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Storia italiana della prima metà del XX secolo
A chi era subordinato il Regno del Sud
Il Regno del Sud non fu dunque uno stato fantoccio, poiché, seppur posto sempre sotto stretto controllo dagli Alleati, seppe guadagnarsi discreti margini di autonomia. Esso inoltre rappresentò la continuità legale dello stato italiano e come tale fu riconosciuto, oltre che dai paesi alleati, anche dalla maggioranza delle nazioni neutrali.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
A chi era subordinato il Regno del Sud
A Brindisi, Vittorio Emanuele III e Badoglio ripresero gradualmente le loro funzioni sotto il vincolo del controllo da parte del comando alleato, mantenendo la continuità istituzionale ma di fatto regnando su sole quattro province pugliesi (la Sardegna pur essendo de jure sottoposta alla sovranità brindisina, di fatto era tagliata fuori da ogni collegamento con il governo regio). Si addivenne così a quello che fu definito impropriamente "Regno del Sud", di fatto del tutto subordinato all'amministrazione militare alleata (Allied Military Government of Occupied Territories, AMGOT). Da Brindisi Vittorio Emanuele III nominò Raffaele de Courten capo di Stato Maggiore della Regia Marina, preferito dagli Alleati al principe Aimone di Savoia-Aosta, che venne nominato comandante italiano della base navale di Taranto.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
A cosa fu dovuta la scissione della CGIL unitaria in CISL e UIL
L'attentato a Palmiro Togliatti del 1948 costituì l'occasione per una scissione e per la nascita di CISL e UIL. La scissione, promossa da sindacalisti cattolici democratici guidati da Giulio Pastore, futuro leader della CISL, era dovuta al fatto che nella CGIL, sin dai primi mesi dopo la sua ricostituzione, avevano iniziato a prevalere orientamenti politici di carattere socialista e comunista, orientati più verso il PCI ed il PSI, che verso gli altri partiti politici.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne condannato a morte nel processo di Verona
Le condanne a morte furono eseguite l'11 gennaio 1944 al poligono di tiro di forte San Procolo da un plotone di 30 militi fascisti comandati da Nicola Furlotti: di tale esecuzione resta anche un filmato. Dei diciannove membri del Gran Consiglio del Fascismo accusati, soltanto sei erano presenti al processo; tra questi Tullio Cianetti che venne condannato a 30 anni di reclusione. Gli altri cinque e cioè: Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Carlo Pareschi furono condannati a morte e fucilati.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne condannato a morte nel processo di Verona
Costituita la Repubblica Sociale Italiana il 28 settembre 1943 ad opera di Mussolini liberato dai paracadutisti tedeschi del Fallschirmjäger-Lehrbataillon, i membri del Gran Consiglio che avevano votato a favore dell'ordine del giorno Grandi furono condannati a morte come traditori nel processo di Verona, tenutosi dall'8 al 10 gennaio 1944; Cianetti, grazie alla sua ritrattazione, scampò alla pena capitale e venne condannato a 30 anni di reclusione. Tuttavia i fascisti repubblicani riuscirono ad arrestare solo 5 dei condannati a morte (Ciano, De Bono, Marinelli, Pareschi e Gottardi) che furono giustiziati mediante fucilazione l'11 gennaio 1944.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne condannato a morte nel processo di Verona
Dopo una veloce assise pubblica, nota come processo di Verona, Ciano venne invece riconosciuto colpevole insieme a Marinelli, Gottardi, Pareschi e al vecchio Maresciallo Emilio De Bono (oltre che a molti altri gerarchi contumaci); inoltre, il genero del Duce fu l'unico imputato ad essere condannato alla fucilazione all'unanimità: mentre gli altri ricevettero 5 voti contrari e 4 favorevoli (Tullio Cianetti ebbe il risultato opposto), contro l'ex Ministro degli Esteri si registrò un 9 a 0.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne condannato a morte nel processo di Verona
Ormai ai margini del potere effettivo, fu condannato a morte nel processo di Verona e venne fucilato l'11 gennaio 1944 insieme a Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Carluccio Pareschi e Luciano Gottardi. Nel suo diario, Giuseppe Bottai ebbe nei suoi confronti parole durissime: "Marinelli era fosco d’occhio e d’anima. Che egli abbia voluto “tradire” Mussolini non è immaginabile. Se non altro la sua cattiva coscienza di gerarca prepotente gliel’avrebbe impedito, ché solo un Mussolini poteva essere il suo degno protettore. Marinelli, piovuto per caso nella compagnia dei 19, dimostra da un punto di vista negativo l’inesistenza del tradimento, poiché egli era di quelli che non tradiscono se non le persone dabbene".
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne condannato a morte nel processo di Verona
Tra l'8 e il 10 gennaio 1944 si tiene il processo di Verona, nel quale vengono giudicati i gerarchi "traditori" che si erano schierati contro Mussolini il 25 luglio 1943: tra questi, viene condannato a morte il genero del duce, Galeazzo Ciano. Non è noto se Mussolini non avesse voluto salvare la vita al marito di sua figlia (nonché dei suoi ex collaboratori) oppure se non avesse effettivamente potuto influire sui verdetti del tribunale giudicante, data la pesante ingerenza tedesca. È invece quasi certo che le istanze di grazia presentate dai condannati non furono inoltrate direttamente a Mussolini per volontà di Alessandro Pavolini, il quale da un lato voleva impedire un eventuale "cedimento sentimentale" del duce e il conseguente placet alla grazia, e dall'altro intendeva risparmiare al duce l'angoscia della scelta, per lui "obbligata".
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne condannato a morte per l'Eccidio delle Fosse Ardeatine
Anche Albert Kesselring, catturato a fine guerra, fu processato e condannato a morte il 6 maggio 1947 da un tribunale militare britannico per crimini di guerra e per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu poi commutata nel carcere a vita. Nel 1952 fu scarcerato per motivi di salute e fece ritorno in Germania, dove si unì ai circoli neonazisti bavaresisenza fonte. Morì nel 1960 per un attacco cardiaco.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne condannato a morte per l'Eccidio delle Fosse Ardeatine
Il comandante Kesselring venne invece giudicato da un tribunale militare britannico a Mestre. Inizialmente venne condannato alla fucilazione per tutti i crimini di guerra commessi, compresi l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema e l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma successivamente la condanna venne modificata con la reclusione a vita, e venne portato nel carcere WerlPrigione allora impiegata dalle autorità di occupazione alleate per ospitare numerosi nazisti e militari condannati per crimini di guerra. Nel 1948 però la pena venne ridotta a 21 anni, fino a quando nel 1952 venne scarcerato a causa delle sue condizioni di salute.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne condannato a morte per l'Eccidio delle Fosse Ardeatine
Nel dopoguerra, Herbert Kappler venne processato e condannato all'ergastolo da un tribunale italiano e rinchiuso in carcere. La condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell'ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche. Colpito da un tumore inguaribile, con l'aiuto della moglie riuscì ad evadere dall'ospedale militare del Celio, il 15 agosto 1977, e a rifugiarsi in Germania, ove morì pochi mesi dopo, il 9 febbraio 1978. Anche il principale collaboratore di Kappler, l'ex-capitano delle SS Erich Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, è stato arrestato ed estradato in Italia, ove, processato, è stato condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. Morirà a Roma l'11 ottobre 2013. Anche Albert Kesselring, catturato a fine guerra, fu processato e condannato a morte il 6 maggio 1946 da un Tribunale Alleato per crimini di guerra e per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu commutata nel carcere a vita. Nel 1952 fu scarcerato per motivi di salute e fece ritorno in Germania, . Morì nel 1960 per un attacco cardiaco.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne condannato a morte per l'Eccidio delle Fosse Ardeatine
Albert Kesselring, che durante il secondo conflitto mondiale fu il comandante delle forze armate germaniche in Italia, a fine conflitto (1947) fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che l'esercito nazista aveva commesso ai suoi ordini (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e molte altre). Successivamente la condanna fu tramutata in ergastolo, ma egli venne rilasciato nel 1952 per le sue presunte gravi condizioni di salute. Tale gravità fu smentita dal fatto che Kesselring visse altri otto anni libero nel suo Paese, ove divenne quasi oggetto di culto negli ambienti neonazisti della Baviera.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
Dopo l'arresto a villa Savoia Mussolini considerava conclusa la sua attività e appariva rassegnato a farsi da parte. Il 12 settembre 1943, dopo vari spostamenti, fu infine liberato al Gran Sasso dai paracadutisti tedeschi. Trasferito in Germania, oltre a non mostrare alcun interesse a riprendere la guida del rinato fascismo, non nutriva alcun sentimento di vendetta nei confronti dei gerarchi che lo avevano sfiduciato. Anzi il 13 ebbe un cordiale incontro con la figlia Edda che, insieme al marito Galeazzo Ciano, era anche lei in Germania Il 15 settembre Mussolini ebbe un incontro con Hitler dove alla presenza di Rudolf Rahn, già nominato ambasciatore presso il costituendo governo fascista, ebbe, secondo le sue stesse parole, un brusco "richiamo alla realtà". Nel corso dell'incontro Mussolini dovette accettare i piani di Hitler che comprendevano il processo e la condanna a morte dei gerarchi che lo avevano sfiduciato il 25 luglio. Dai diari di Joseph Goebbels è riscontrabile l'intento punitivo tedesco nei confronti dei firmatari dell'Ordine del giorno Grandi.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
Solo la guerra e soprattutto l'andamento disastroso su tutti i fronti delle operazioni belliche e il progressivo distacco delle masse popolari dal regime (evidenziato anche dai grandi scioperi del marzo 1943), condussero alla subitanea disgregazione dello Stato fascista dopo il 25 luglio, seguito, dopo i tormentati quarantacinque giorni del primo governo Badoglio, dall'Armistizio di Cassibile dell'8 settembre 1943. La catastrofe dello Stato nazionale e la rapida e aggressiva occupazione di gran parte dell'Italia da parte dell'esercito del Reich offrì alle forze politiche antifasciste, uscite dalla clandestinità, la possibilità di organizzare la lotta politico-militare contro l'occupante e il governo collaborazionista di Salò, subito costituito dalle autorità naziste intorno a Mussolini, liberato dalla prigionia sul Gran Sasso dai paracadutisti tedeschi, ed ai superstiti fascisti, decisi a riprendere la lotta a fianco della Germania e a vendicarsi dei "traditori" interni.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
1943 – Benito Mussolini viene liberato dalla sua prigione a Campo Imperatore, sul Gran Sasso d'Italia, da un commando tedesco guidato dal maggiore dei paracadutisti Harald-Otto Mors e dal capitano delle SS, Otto Skorzeny.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
Il 12 settembre un reparto di paracadutisti tedeschi, comandato dal maggiore Otto Skorzeny, liberò Mussolini, che era stato confinato in un albergo a Campo Imperatore, sul Gran Sasso (operazione "Eiche").
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
La liberazione di Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso fu il preludio alla creazione, nell'Italia del nord, di uno stato fantoccio controllato dal Reich tedesco: nacque così, il 23 settembre 1943, la Repubblica Sociale Italiana (RSI), comunemente detta Repubblica di Salò, dal nome della località sul lago di Garda che ne ospitava alcuni uffici e dove era la residenza di Mussolini.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
Mussolini, subito dopo il suo arresto, è dapprima trattenuto in una caserma dei carabinieri a Roma. Su sua richiesta, Badoglio pensa di trasferirlo alla Rocca delle Caminate, ma il prefetto di Forlì, Marcello Bofondi, fascista della prima ora, sentito telegraficamente, si oppone recisamente, sostenendo, in un tal caso, di non poter garantire l'ordine pubblico. Così, Mussolini viene invece trasportato nell'isola di Ponza (dal 27 luglio). Ma i tedeschi sono sulle sue tracce. Per depistarli, viene portato sull'isola della Maddalena (7 agosto - 27 agosto 1943) e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso, in un luogo ritenuto inattaccabile dall'esterno. Mussolini, che si sente ormai finito, tenta di uccidersi tagliandosi le vene, ma si procura solo ferite superficiali e viene medicato. Il 12 settembre venne liberato da un commando di paracadutisti tedeschi (Fallschirmjäger-Lehrbataillon) guidati dal capitano delle SS Otto Skorzeny a capo dell'Operazione Quercia.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
La reazione di Hitler e dei comandi tedeschi, nonostante la sorpresa per l'improvviso annuncio dell'armistizio, fu rapida ed efficace: il piano Achse venne immediatamente attivato e le truppe della Wehrmacht presero il sopravvento in tutti i teatri bellici dove erano presenti unità italiane, sfruttando soprattutto la disorganizzazione e la confusione presenti tra le truppe e gli alti comandi del Regio Esercito che, privi di direttive precise e tempestive, in gran parte si disgregarono. In Italia settentrionale il feldmaresciallo Rommel occupò le città più importanti e catturò la massa delle divisioni italiane che opposero scarsa resistenza; a Roma dopo alcuni duri combattimenti e confuse trattative il feldmaresciallo Kesselring prese possesso della città; nei Balcani i tedeschi occuparono tutto il territorio e schiacciarono brutalmente i tentativi di resistenza locali, con oltre 600 000 soldati italiani deportati in Germania. Badoglio, il Re e i loro collaboratori preferirono abbandonare subito Roma e, dopo aver raggiunto Pescara, si trasferirono a Brindisi dove ricostituirono una struttura di governo nel territorio sfuggito all'occupazione tedesca (Regno del Sud); il 13 ottobre 1943 il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania ottenendo dagli Alleati lo status di "cobelligerante". Nel frattempo, il 12 settembre 1943, un reparto di paracadutisti tedeschi aveva liberato Mussolini dalla prigione nel Gran Sasso; fortemente sollecitato da Hitler e pur provato e depresso, il Duce decise di prendere la direzione di uno nuovo stato fascista, la Repubblica Sociale Italiana (RSI), che venne costituita il 23 settembre nell'Italia centro-settentrionale per collaborare con l'occupante tedesco.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
Quando – dopo l'annuncio dell'Armistizio di Cassibile – venne meno la necessità per la Germania che i rapporti col governo di Roma fossero anche solo formalmente mantenuti, Adolf Hitler in persona ordinò che Benito Mussolini, fino ad allora prigioniero sul Gran Sasso, venisse liberato e portato in Germania.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
Il 12 settembre un reparto di paracadutisti tedeschi, comandato dal maggiore Harald-Otto Mors, con la partecipazione dell'ufficiale delle Waffen-SS Otto Skorzeny (a cui venne attribuito dalla propaganda tedesca tutto il merito dell'operazione), liberò Mussolini, che era stato confinato sul Gran Sasso, e lo condusse in Germania.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
La liberazione di Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso fu il preludio alla creazione, nell'Italia del nord, di uno stato fantoccio controllato dal Reich tedesco: nacque così, il 23 settembre 1943, la Repubblica Sociale Italiana, per espressa volontà di Adolf Hitler. La Repubblica Sociale Italiana venne riconosciuta dal Terzo Reich, che eserciterà su di essa un protettorato de facto, dall'Impero giapponese e dalla maggioranza degli altri Stati componenti l'Asse: la Repubblica Slovacca, il Regno di Ungheria, la Croazia, il Regno di Bulgaria e il Manciukuò. Invece non riconobbero il nuovo stato fascista repubblicano né la Finlandia (in combattimento accanto alla Germania sul fronte orientale) né le nazioni formalmente neutrali, compresa la Spagna franchista. Le forze armate della RSI vennero principalmente impiegate contro la Resistenza in azioni di rastrellamento e controllo del territorio, e in vari casi con sanguinose rappresaglie verso la popolazione civile per l'aiuto dato ai partigiani stessi.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
Il 12 settembre un reparto di paracadutisti al comando del maggiore Harald-Otto Mors, con la partecipazione dell'ufficiale delle SS Otto Skorzeny che aveva eseguito la difficile missione di individuare le varie prigioni in cui era stato di volta in volta trasferito Mussolini, portò a termine brillantemente la liberazione del Duce da campo Imperatore sul Gran Sasso (operazione "Eiche"), premessa indispensabile alla costituzione di un nuovo governo fascista collaborazionista come auspicato da Hitler.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
L'operazione Quercia (in tedesco, Fall Eiche) fu il nome in codice di un'operazione militare portata a termine il 12 settembre 1943 dai paracadutisti del Lehrbataillon (2. Fallschirmjägerdivision) e da alcune SS del Sicherheitsdienst, operazione finalizzata alla liberazione di Benito Mussolini imprigionato a Campo Imperatore sul Gran Sasso per ordine di Badoglio.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne liberato nell'impresa del Gran Sasso
La pista era troppo corta così Gerlach, abile pilota, decise di far trattenere le ali dello Storch ad alcuni soldati fino ad aver raggiunto il massimo giro dei motori. Ad un segnale, lasciato libero, l’aereo scattò in avanti verso il burrone. Scomparve per qualche momento nell’abisso, ma poi lo si poté vedere da lontano mentre si alzava verso il cielo. A Pratica di Mare, dove atterrò, Mussolini fu imbarcato su un Heinkel He 111 che lo portò a Vienna, e poi a Monaco: il 14 settembre, a Rastenburg, incontrò Hitler. Nonostante il rapporto di Mors, suffragato in tutto e per tutto da quello del generale Student, cui Hitler aveva assegnato il compito di liberare Mussolini, fosse riconosciuto come autentico e veritiero in tutte le fasi, e sin dagli anni cinquanta dagli stessi servizi segreti americani, Hitler diede invece il merito a Skorzeny, cui affidò in seguito simili e difficili imprese, che lo fecero conoscere come "L'uomo più pericoloso d'Europa". Ma nel caso dell'impresa del Gran Sasso non fu vera gloria.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne nominato Capo del Governo dopo le dimissioni di Mussolini
Pietro Badoglio (Grazzano Monferrato, 28 settembre 1871 – Grazzano Badoglio, 1º novembre 1956) è stato un generale e politico italiano, maresciallo d'Italia, senatore e Capo del Governo dal 25 luglio 1943 all'8 giugno 1944. Fu nominato marchese del Sabotino motu proprio dal re Vittorio Emanuele e duca di Addis Abeba. Membro del PNF, dopo la deposizione di Mussolini guidò un governo militare che condusse il paese all'armistizio dell'8 settembre 1943. Venne inserito nella lista dei criminali di guerra dell'ONU su richiesta dell'Etiopia, ma non venne mai processato.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne nominato Capo del Governo dopo le dimissioni di Mussolini
Nella mattinata del 25 luglio 1943, prima ancora di ricevere Benito Mussolini a Villa Savoia, il settantaquattrenne Vittorio Emanuele III conferì a Pietro Badoglio l'incarico di formare il nuovo Governo; il Maresciallo d'Italia accettò, controfirmando l'apposito decreto. Il nuovo Capo del governo aveva settantadue anni. Più tardi, alle ore 17:00, avvenne l'arresto del Primo Ministro uscente. Il primo atto del Capo del governo, nel tardo pomeriggio, e prima ancora di stilare la lista dei ministri, fu quello di incorporare nell'esercito regolare la milizia fascista, che cessava, così, di essere una forza militare e politica di partito. Alle ore 20:00, la radio diffuse il comunicato che il Re aveva accettato le dimissioni di Benito Mussolini e aveva nominato Capo del Governo, primo ministro, segretario di Stato, il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio. Alle ore 22:45, seguì il discorso del nuovo primo ministro con alla fine le parole:
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne nominato Capo del Governo dopo le dimissioni di Mussolini
Il pomeriggio del 25 luglio 1943 Mussolini fu fatto arrestare dal re Vittorio Emanuele dopo un breve colloquio e trasferito successivamente in una serie di rifugi segreti; in poche ore il regime fascista si disgregò, i gerarchi fedeli al Duce fuggirono e il maresciallo Pietro Badoglio venne nominato capo del nuovo governo, che ufficialmente confermò la fedeltà all'alleanza con la Germania e la decisione di continuare a combattere contro gli Alleati. In realtà il Re, Badoglio e i principali dirigenti del nuovo governo ritenevano inevitabile uscire dalla guerra; dopo alcune indecisioni, il 12 agosto 1943 emissari italiani si incontrarono a Lisbona con il capo di stato maggiore di Eisenhower, generale Walter Bedell Smith, dal quale appresero che i capi alleati prevedevano la resa incondizionata dell'Italia.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne nominato Capo del Governo dopo le dimissioni di Mussolini
Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta di Mussolini, il nuovo capo del Governo Pietro Badoglio, con il quale aveva già lavorato nelle colonie, lo sostituì il 14 agosto con un commissario prefettizio.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne nominato Capo del Governo dopo le dimissioni di Mussolini
Ciò avrebbe comportato, nei calcoli dei gerarchi cospiratori, le dimissioni dell'irresoluto Mussolini e la sua sostituzione con un nuovo capo del Fascismo in grado di operare lo sganciamento dalla Germania. In realtà il piccolo sovrano Vittorio Emanuele III, d'accordo con la vecchia volpe di Badoglio, ha già pronto un altro suo retroscena che prevede l'arresto di Mussolini proprio nella sua stessa casa e la nomina di Badoglio Capo del Governo. Alla diramazione radiofonica delle "Dimissioni del Cavalier Benito Mussolini" il popolo fa il resto: esplode in una reazione antifascista da sommossa, distruggendo sedi, stemmi, caserme e statue del Regime, addirittura attuando la "caccia al fascista". Il Fascismo finisce qui e per sempre: Hitler dirà: "Cos'è dunque questo Fascismo che si è sciolto come neve al sole?". Questo fu l'unico caso nella storia di un regime autoaffondatosi.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Chi venne nominato Capo del Governo dopo le dimissioni di Mussolini
Alle ore 22.47 del 25 luglio 1943 ebbe l'incarico di leggere ai microfoni della radio italiana il comunicato ufficiale con il quale veniva annunciato che il re Vittorio Emanuele III aveva « accettato » le dimissioni di Benito Mussolini e aveva nominato capo del Governo il maresciallo d'Italia Pietro Badoglio.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avveniva la censura sulla posta delle truppe nella prima guerra mondiale
Inviare e ricevere lettere era difficile perché non sempre erano disponibili carta, penna, inchiostro e francobollo; alle truppe furono quindi distribuite apposite cartoline militari da spedire in franchigia. Tutta la posta era sottoposta a censura: anche senza volere la corrispondenza poteva contenere informazioni potenzialmente nocive per la sicurezza e al fine di evitarne la divulgazione la censura apriva i documenti, controllava il contenuto e, se ritenuto innocuo, richiudeva le buste con le cosiddette "fascette di censura", che recavano la scritta "Verificato per censura". Spesso le lettere venivano "censurate" con vistose cancellazioni fatte con l'inchiostro di china. Era vietato inviare cartoline che potessero rivelare la posizione dei reparti o utilizzare sistemi criptati di comunicazione, quali la stenografia e il codice Morse. Ancora più rigidi erano i controlli sulla posta dei prigionieri di guerra, controllata dalle censure di entrambi i contendenti.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avvenne l'impresa del Gran Sasso
Il 12 settembre un reparto di paracadutisti tedeschi, comandato dal maggiore Otto Skorzeny, liberò Mussolini, che era stato confinato in un albergo a Campo Imperatore, sul Gran Sasso (operazione "Eiche").
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avvenne l'impresa del Gran Sasso
La liberazione del prigioniero fu condotta perfettamente, infatti avvenne - sorprendentemente - senza che venisse sparato un solo colpo. Skorzeny ebbe infatti l'idea di portare con sé il generale del Corpo degli agenti di polizia Fernando Soleti che, facendosi riconoscere dai carabinieri che presidiavano la fortezza sul Gran Sasso, intimò loro di non sparare. I soldati italiani restarono totalmente disorientati dalla presenza del generale. Alla sua vista lo stesso Mussolini, che si era affacciato alla finestra, disse: "Non sparate, non vedete che è tutto in ordine? C'è un generale italiano!".
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avvenne l'impresa del Gran Sasso
Mussolini, subito dopo il suo arresto, è dapprima trattenuto in una caserma dei carabinieri a Roma. Su sua richiesta, Badoglio pensa di trasferirlo alla Rocca delle Caminate, ma il prefetto di Forlì, Marcello Bofondi, fascista della prima ora, sentito telegraficamente, si oppone recisamente, sostenendo, in un tal caso, di non poter garantire l'ordine pubblico. Così, Mussolini viene invece trasportato nell'isola di Ponza (dal 27 luglio). Ma i tedeschi sono sulle sue tracce. Per depistarli, viene portato sull'isola della Maddalena (7 agosto - 27 agosto 1943) e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso, in un luogo ritenuto inattaccabile dall'esterno. Mussolini, che si sente ormai finito, tenta di uccidersi tagliandosi le vene, ma si procura solo ferite superficiali e viene medicato. Il 12 settembre venne liberato da un commando di paracadutisti tedeschi (Fallschirmjäger-Lehrbataillon) guidati dal capitano delle SS Otto Skorzeny a capo dell'Operazione Quercia.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avvenne l'impresa del Gran Sasso
Il 12 settembre un reparto di paracadutisti tedeschi, comandato dal maggiore Harald-Otto Mors, con la partecipazione dell'ufficiale delle Waffen-SS Otto Skorzeny (a cui venne attribuito dalla propaganda tedesca tutto il merito dell'operazione), liberò Mussolini, che era stato confinato sul Gran Sasso, e lo condusse in Germania.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avvenne l'impresa del Gran Sasso
Il 12 settembre un reparto di paracadutisti al comando del maggiore Harald-Otto Mors, con la partecipazione dell'ufficiale delle SS Otto Skorzeny che aveva eseguito la difficile missione di individuare le varie prigioni in cui era stato di volta in volta trasferito Mussolini, portò a termine brillantemente la liberazione del Duce da campo Imperatore sul Gran Sasso (operazione "Eiche"), premessa indispensabile alla costituzione di un nuovo governo fascista collaborazionista come auspicato da Hitler.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avvenne l'impresa del Gran Sasso
L'operazione Quercia (in tedesco, Fall Eiche) fu il nome in codice di un'operazione militare portata a termine il 12 settembre 1943 dai paracadutisti del Lehrbataillon (2. Fallschirmjägerdivision) e da alcune SS del Sicherheitsdienst, operazione finalizzata alla liberazione di Benito Mussolini imprigionato a Campo Imperatore sul Gran Sasso per ordine di Badoglio.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avvenne l'impresa del Gran Sasso
Skorzeny riprese a tessere la sua tela. Herbert Kappler, capo della Polizia tedesca a Roma, venne a sapere da un messaggio cifrato che attorno al Gran Sasso erano state "ultimate le misure di sicurezza": firmato Gueli; le spie tedesche dicevano che l'ispettore generale Giuseppe Gueli, ex questore di Trieste, era il nuovo funzionario responsabile della sicurezza di Mussolini. La notizia interessò Skorzeny il quale si gettò sulla pista, che si rivelò proficua: sull'altopiano del Gran Sasso chiamato "Campo Imperatore" era stato costruito di recente un centro di sport invernali, il cui albergo era raggiungibile solo tramite la funivia che parte da Assergi; un luogo dunque, l'altopiano, difficile da raggiungere e facilmente difendibile, con i requisiti necessari per custodire un personaggio dell'importanza di Mussolini.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avvenne l'impresa del Gran Sasso
Gli italiani, colti di sorpresa dalla fulmineità dell'azione e da ordini a di poco contraddittori da parte dell'ispettore Gueli, non reagirono. Per di più Skorzeny aveva avuto l'idea, stigmatizzata nell'immediato dagli ufficiali paracadutisti, di portare con sé come ostaggio il generale del Corpo degli agenti di polizia Fernando Soleti che, facendosi riconoscere dai carabinieri che presidiavano la fortezza sul Gran Sasso, intimò loro di non sparare. I soldati italiani restarono totalmente disorientati dalla presenza del generale. Alla sua vista lo stesso Mussolini, che si era affacciato alla finestra, disse: "Non sparate, non vedete che è tutto in ordine? C'è un generale italiano!".
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come avvenne l'impresa del Gran Sasso
La pista era troppo corta così Gerlach, abile pilota, decise di far trattenere le ali dello Storch ad alcuni soldati fino ad aver raggiunto il massimo giro dei motori. Ad un segnale, lasciato libero, l’aereo scattò in avanti verso il burrone. Scomparve per qualche momento nell’abisso, ma poi lo si poté vedere da lontano mentre si alzava verso il cielo. A Pratica di Mare, dove atterrò, Mussolini fu imbarcato su un Heinkel He 111 che lo portò a Vienna, e poi a Monaco: il 14 settembre, a Rastenburg, incontrò Hitler. Nonostante il rapporto di Mors, suffragato in tutto e per tutto da quello del generale Student, cui Hitler aveva assegnato il compito di liberare Mussolini, fosse riconosciuto come autentico e veritiero in tutte le fasi, e sin dagli anni cinquanta dagli stessi servizi segreti americani, Hitler diede invece il merito a Skorzeny, cui affidò in seguito simili e difficili imprese, che lo fecero conoscere come "L'uomo più pericoloso d'Europa". Ma nel caso dell'impresa del Gran Sasso non fu vera gloria.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come era la situazione economica-sociale italiana alla fine del 1942
Alla fine del 1942 la situazione finanziaria, militare e sociale dell'Italia fascista era disastrosa. Al forte disavanzo dell'esercizio finanziario 1942-43 si aggiunse l'incremento dell'inflazione e l'aumento notevole del debito pubblico. Si assistette al peggioramento delle condizioni delle classi popolari: la contrazione dei salari e la penuria dei generi di prima necessità provocarono una diffusa denutrizione. A questo si aggiunse, dall'autunno '42, l'intensificazione dei bombardamenti alleati.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come erano organizzate le trincee nel campo di battaglia e nelle retrovie
Il primo nucleo della linea di trincee fu ottenuto dalle buche provocate dalle granate, collegate tra loro da passaggi e difese con il filo spinato. Già dopo la battaglia della Marna, sul fronte occidentale si era sviluppato un sistema articolato di fossati e fortificazioni che per molto tempo rimase teatro di atroci sofferenze per i soldati in guerra. Le due linee contrapposte erano separate dalla cosiddetta "terra di nessuno", un vero e proprio ammasso di cadaveri, feriti e crateri (certe volte non superava neanche i 100 m di distanza tra le due trincee nemiche), cui non potevano accedere nemmeno le squadre di soccorso. Le retrovie delle trincee ospitavano i comandi militari e i centri di assistenza medica, mentre all'interno delle trincee le truppe vivevano in condizioni molto disagiate dentro ad alloggi sotterranei.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
Giunto al potere alla fine del 1922, Benito Mussolini manifestò subito la volontà di modificare il sistema elettorale per costituirsi una Camera favorevole e di indire nuove elezioni. La legge elettorale del 18 novembre 1923, n. 2444, meglio nota come legge Acerbo (dal nome del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo, che ne fu l'estensore materiale), rispose a questa esigenza introducendo un sistema che prevedeva l'introduzione nel territorio dello Stato del Collegio Unico nazionale attribuendo due terzi dei seggi alla lista che avesse riportato la maggioranza relativa (purché superiore al 25%), mentre l'altro terzo sarebbe stato ripartito proporzionalmente tra le altre liste di minoranza su base regionale e con criterio proporzionale. Questa normativa fu impiegata nelle elezioni politiche italiane del 1924.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (cosiddetta "Legge Acerbo") che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. Il listone guidato da Mussolini ottenne il 64,9% dei voti.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (legge Acerbo) che avrebbe dato i due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto la maggioranza con almeno il 25% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. La Lista Nazionale guidata da Mussolini ottenne la maggioranza assoluta, con il 64,9% dei voti. Le Elezioni politiche italiane del 1924, come ha scritto lo storico e senatore comunista Francesco Renda, furono comunque "la prima e ultima legittimazione costituzionale del fascismo".
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
L'avvento del fascismo vide Orlando tra i suoi benevoli sostenitori: fece parte, con Antonio Salandra e Gaetano Mosca, della commissione incaricata di esaminare il progetto di legge Acerbo, che dava al partito o alla coalizione che avesse ottenuto alle elezioni almeno il 25% dei voti, i due terzi dei seggi parlamentari. Don Sturzo scrisse in seguito a questo proposito: "Vedi la strana sorte di questi illustrissimi uomini di diritto, professori e consiglieri di Stato, quali Salandra, Orlando, Perla e Mosca. Appartenenti alla più pura tradizione liberale e Orlando per di più democratico di razza, sono obbligati a cancellare il loro passato, a dichiarare la bancarotta del liberalismo, a forzare la storia del diritto pubblico, a proclamare il dogma del diritto delle minoranze soverchiatrici, per arrivare a costituire un governo che non è più il governo del Re, né il governo del popolo, ma il governo della fazione dominante vestita della legalità di pseudo - maggioranza...".
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
Le elezioni politiche del 1924 si sono svolte il 6 aprile 1924. Avevano diritto di voto tutti i cittadini maggiorenni di sesso maschile. Furono le uniche elezioni disciplinate dalla cosiddetta "legge Acerbo" (n. 2444 del 18 novembre 1923), proporzionale con premio di maggioranza.
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Come funzionava la legge Acerbo
In base alla nuova legge elettorale (legge 18 novembre 1923 n. 2444, nota come "legge Acerbo"), alla lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa dei voti a livello nazionale - purché avesse almeno il 25% - venivano assegnati i 2/3 dei seggi in tutte le circoscrizioni (ciò significava l'elezione in blocco di tutti i candidati della lista, essendo essi 356), mentre gli scranni rimanenti erano assegnati alle altre liste in proporzione ai voti ottenuti e secondo ordine di preferenza personale. Il Listone comunque ottenne solo 355 seggi su 356, a causa della sopravvenuta morte di uno dei suoi candidati, Giuseppe De Nava.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
Da primo ministro, i primi anni di Mussolini (1922-1925) furono caratterizzati da un governo di coalizione, composto da nazionalisti, liberali e popolari, che non assunse fino al delitto Matteotti veri e propri connotati dittatoriali. In politica interna Mussolini favorì la completa restaurazione dell'autorità statale e la soppressione dell'estrema sinistra, con l'inserimento dei fasci di combattimento nell'interno dell'esercito (fondazione nel gennaio 1923 della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) e la progressiva identificazione del partito nello Stato. In politica economica e sociale vennero emanati provvedimenti che favorivano i ceti industriali e agrari (privatizzazioni, liberalizzazione degli affitti, smantellamento dei sindacati). Nel luglio 1923 venne approvata la legge Acerbo, una legge elettorale di tipo maggioritario, che assegnava due terzi dei seggi alla coalizione che avesse ottenuto almeno il 25% dei suffragi, regola puntualmente applicata nelle elezioni del 6 aprile 1924, nelle quali il "listone fascista" ottenne uno straordinario successo, agevolato anche da ingenti brogli, dalle violenze e dalle intimidazioni e rappresaglie contro gli oppositori.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
Il sistema delineato dal disegno di legge Acerbo andava a modificare il sistema proporzionale in vigore dal 1919, integrandolo con un premio di maggioranza in quota fissa, pari ai 2/3 dei seggi, a beneficio del partito più votato qualora questo avesse superato il quorum del 25%. Durante la discussione in commissione, i popolari avanzarono numerose proposte di modifica, prima cercando di ottenere l'innalzamento del quorum al 40% dei votanti e poi l'abbassamento del premio al 60% dei seggi. Ogni tentativo di mediazione fu però vano e la commissione licenziò l'atto nel suo impianto originale, esprimendo parere favorevole a seguito di una votazione terminata 10 a 8..
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
La Legge Acerbo prevedeva l'adozione di un sistema proporzionale con premio di maggioranza, all'interno di un collegio unico nazionale, suddiviso in 16 circoscrizioni elettorali. A livello circoscrizionale ogni lista poteva presentare un numero di candidati che oscillava da un minimo di 3 a un massimo dei due terzi di quelli eleggibili (non più di 356 su 535); oltre al voto di lista era ammesso il voto di preferenza.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
Rispetto alla precedente legge elettorale, la legge Acerbo ridusse inoltre l'età minima per l'eleggibilità da 30 a 25 anni, abolì l'incompatibilità per le cariche amministrative di sindaco e deputato provinciale, e per i funzionari pubblici (ad eccezione di prefetti, viceprefetti e agenti di pubblica sicurezza). Altra importante innovazione fu l'adozione della scheda elettorale al posto della busta.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come funzionava la legge Acerbo
Nell'agosto del 1923 Mussolini fece approvare dal Parlamento una nuova legge elettorale, la legge Acerbo, che assegnava i due terzi dei seggi alla lista che avesse superato il 25% dei voti. Togliatti scrisse che «il fascismo vuole, conquistato il potere, disperdere gli aggregati proletari, impedire una loro unificazione su qualsiasi terreno e provocare invece una unificazione attorno a sé dei gruppi politici borghesi»: il 6 aprile 1924, le elezioni confermarono il blocco borghese intorno al «listone» mussoliniano che raccolse il 66,2% dei voti e 375 seggi. L'«Alleanza per l'unità proletaria», la lista unitaria di comunisti e socialisti «terzini», ottenne il 3,8% e 19 deputati, tra i quali Gramsci che così, apparentemente protetto dall'immunità parlamentare, poté rientrare in Italia: Togliatti non era candidato, mentre Bordiga, benché sollecitato, aveva rifiutato di presentarsi alle elezioni. Il risultato elettorale ottenuto, benché oggettivamente modesto, fu accolto dal Partito con soddisfazione, essendo stato superiore al previsto e vicino a quello ottenuto dagli altri due partiti socialisti.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come fu organizzata la presa di Roma da parte del generale Clark
Per gli ultimi mesi del 1943 la Linea Gustav rappresentò il principale ostacolo nell'avanzata verso nord degli Alleati, bloccandone, di fatto, lo slancio iniziale. Nel tentativo di sbloccare tale impasse, gli Alleati sbarcarono alcune forze presso Anzio (Sbarco di Anzio), non riuscendo comunque a cogliere gli obiettivi sperati. Il fronte venne rotto solo in seguito ad un attacco frontale a Monte Cassino, nella primavera del 1944, e con la successiva presa di Roma in giugno. Il 5 giugno gli americani entrarono a Roma dichiarata "città aperta", ed evacuata dai tedeschi senza alcuna distruzione e con i suoi ponti intatti. L'operazione "Diadem" che portò alla liberazione di Roma era costata 18.000 perdite agli americani, 14.000 agli inglesi e 11.000 ai tedeschi. Nella Roma occupata dagli Alleati Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto II che assunse la luogotenenza generale, e il dimissionario Badoglio venne sostituito dall'antifascista Ivanoe Bonomi alla guida del governo, espressione dei partiti riuniti nel Comitato di liberazione nazionale.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come fu organizzata la presa di Roma da parte del generale Clark
Il 5 giugno 1944, un giorno prima dello sbarco in Normandia, Clark giunse finalmente a Roma insieme alle sue truppe; secondo le disposizioni dell'ambizioso generale, solo i reparti statunitensi furono autorizzati a partecipare alla liberazione della città dove furono accolti entusiasticamente dalla popolazione.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come fu organizzata la presa di Roma da parte del generale Clark
Nel mese di aprile 1944 il generale Clark, fortemente scosso dopo i ripetuti insuccessi, ritornò in segreto negli Stati Uniti dove rimase per due settimane; i dirigenti americani illustrarono al generale la prevista pianificazione alleata: l'operazione Overlord, il grande sbarco in Francia, era previsto per il 5 giugno e sarebbe stato propagandisticamente importante che prima di quella data le truppe americane fossero riuscite a liberare Roma. Il generale Clark, sempre deciso anche per ambizione personale a conquistare la Città Eterna, ritornò in Italia risoluto a sferrare una nuova offensiva. Contemporaneamente anche Winston Churchill e il generale Harold Alexander, comandante di tutte le forze alleate in Italia, erano intenzionati a riprendere le operazioni contro la linea Gustav; essi miravano ad ottenere un grande successo strategico e continuare la campagna in Italia, evitando possibilmente lo sbarco previsto in Provenza, ritenuto inutile e dispendioso. Durante la primavera numerose divisioni fresche anglo-americane arrivarono al fronte mentre il generale John Harding, capo di stato maggiore del generale Alexander, pianificò la nuova offensiva, denominata in codice operazione Diadem.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come fu organizzata la presa di Roma da parte del generale Clark
Il fronte ora si presentava ampio e consolidato, e per il generale Clark si presentarono due opportunità: puntare diretti verso Roma, conquistando la città ricavando gloria e prestigio, oppure volgere velocemente verso est e intrappolare la 10ª Armata tedesca del generale Vietinghoff, che difendeva ancora efficacemente l'Italia centrale. Ma il richiamo di Roma fu troppo forte, così Clark fece avanzare le sue divisioni verso nord. Il 29 maggio la 1ª Divisione corazzata USA conquistò Campoleone, mentre più a sud gli inglesi avanzarono verso Frosinone, che espugnarono il 31. La pressione alleata sulla 14ª Armata tedesca si fece sempre più insistente. I Colli Albani, uno degli obiettivi di 4 mesi prima, ressero ancora grazie ad una strenua resistenza tedesca, e il 1º giugno il 2º Corpo USA avanzò lungo la costa, dando inizio all'offensiva finale verso Roma.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
A cosa portarono le tensioni per il dominio dei Balcani
Il dominio asburgico sulle terre slave fu la causa scatenante della Prima guerra mondiale: il nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip uccise in un attentato nella città di Sarajevo l'erede al trono austriaco, l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este per rivendicare l'indipendenza da Vienna. Il conflitto vide la sconfitta dell'Impero e la nascita di sommovimenti nazionali che miravano alla creazione di nuovi stati che comprendessero i popoli liberati dal suo dominio. Nei Balcani, nacque il Consiglio Nazionale degli Sloveni, Croati e Serbi che si prefiggeva l'unione dei popoli slavi governati dall'Austria in un'unica entità.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
A cosa portarono le tensioni per il dominio dei Balcani
Conseguenza diretta fu la ripresa delle tensioni per il dominio dei Balcani tra l'Impero Russo e l'Austria-Ungheria, e lo scatenarsi di un gioco di alleanze, che avrebbe portato le potenze mondiali dell'epoca a scendere in campo in quello che sarebbe stato il conflitto più sanguinoso mai accaduto prima, la Prima guerra mondiale.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Cos’era il dirigibile Norge
A contribuire alla spedizione erano il governo Italiano (il 25%), l’uomo d’affari statunitense Lincoln Ellsworth, che partecipò anche alla spedizione, e il resto proveniva dall’Aero Club Norvegese che aveva acquistato il dirigibile dal governo italiano. Dopo l’acquisto furono effettuati ulteriori voli di prova ed il 29 marzo 1926 fu organizzata a Roma, all’aeroporto di Ciampino, una cerimonia in cui l'N1, ribattezzato Norge, fu ufficialmente consegnato ai norvegesi alla presenza di diverse autorità tra cui lo stesso Mussolini, Roald Amundsen e Lincoln Ellsworth.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Cos’era il dirigibile Norge
Norge ( Norvegia in lingua norvegese ) era il nome del dirigibile semirigido costruito in Italia da Umberto Nobile tra il 1923 ed il 1924 con la designazione originaria di N1. Fu successivamente acquistato dall' Aero Club Norvegese diventando il primo dirigibile (e quasi certamente anche il primo aeromobile ) a sorvolare il Polo Nord , il 12 maggio 1926 .
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Come furono i rapporti tra D'Annunzio e Mussolini
Il 12 settembre, Mussolini promosse davanti alla sede de Il Popolo d'Italia una sottoscrizione a favore dell'impresa fiumana di Gabriele D'Annunzio, dopo aver incontrato quest'ultimo per la prima volta a Roma il 23 giugno. Il 7 ottobre era a Fiume, dove ebbe colloqui con D'Annunzio. I rapporti con il Vate furono comunque estremamente fugaci, e condizionati da reciproca diffidenza e rivalità: Mussolini mal sopportava l'idea che D'Annunzio potesse relegarlo in secondo piano; D'Annunzio gli scrisse una lettera tacciandolo di codardia, ma quando la missiva venne pubblicata dal Popolo d'Italia questo passaggio fu censurato.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come furono i rapporti tra D'Annunzio e Mussolini
Il 12 settembre, Mussolini promuove davanti alla sede de Il Popolo d'Italia una sottoscrizione a favore dell'impresa fiumana di Gabriele D'Annunzio, dopo aver incontrato quest'ultimo per la prima volta a Roma il 23 giugno.La questione fiumana era già dibattuta da tempo. Erano stati deliberati, nelle riunioni dei Fasci di combattimento, gli invii di diverse centinaia di volontarii. Vd. Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario cit., pagg. 531 n. 1 e 533 n. 1. Il 7 ottobre è a Fiume, dove ha colloqui con D'Annunzio. I rapporti con il Vate sono comunque estremamente fugaci, e condizionati da reciproca diffidenza e rivalità: Mussolini mal sopporta l'idea che D'Annunzio possa relegarlo in secondo piano; D'Annunzio gli scrive una lettera tacciandolo di codardia, ma quando la missiva è pubblicata dal Popolo d'Italia questo passaggio è censurato.Carteggio Arnaldo-Benito Mussolini, pp. 223-224 (16 settembre 1919)
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come il regime fascista trattò la questione della "bonifica integrale"
Lo Stato fascista era interessato ad allargare il proprio consenso mediante una crescita economica che sostenesse la sua politica espansionista. A tal fine promosse una serie di opere pubbliche attraverso vari organismi quali l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) e l'Istituto Mobiliare Italiano (IMI), per dotare di infrastrutture i territori più depressi del Meridione. Vennero migliorati due porti (Napoli e Taranto), costruite alcune strade, ferrovie e canali, intrapresa la costruzione di un grande acquedotto (quello del Tavoliere Pugliese) e, soprattutto, ideato un ambizioso piano di bonifica integrale. Tuttavia si trattò di investimenti che soddisfacevano solo in minima parte le esigenze locali, con una ricaduta modesta sull'occupazione e distribuiti secondo criteri volti a produrre o consolidare il consenso verso il regime da parte delle popolazioni interessate e, nel contempo, a non ledere gli interessi di quei ceti, latifondisti e piccolo-borghesi, che costituivano lo zoccolo duro del fascismo nel Meridione. Ciò fu particolarmente evidente nell'attuazione dell'imponente piano di bonifica, dove non si riuscirono ad armonizzare gli interessi contrastanti dei contadini, che richiedevano un trasferimento delle terre bonificate a loro favore, e dei vecchi proprietari terrieri, timorosi di venire espropriati. Si cercò invano di limitare l'influenza di questi ultimi e così «... la bonifica si arrestò nel Mezzogiorno alla fase delle opere pubbliche, mentre tutti i fermenti che la miseria e i permanenti squilibri suscitavano, furono incanalati, in quegli anni, verso il mito dell'Impero.»
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Come il regime fascista trattò la questione della "bonifica integrale"
Il principale promotore di tale legislazione e in generale dei processi di bonifica integrale fu Arrigo Serpieri che però nel 1935 fu esonerato dall'incarico di responsabile delle bonifiche proprio a causa della sua intransigenza verso i mancati espropri. La fondazione di nuovi centri e le bonifiche rappresentarono probabilmente l'operazione di maggior valenza propagandistica per il regime, con riflessi anche all'estero, tanto da essere scelti come tema principale per l'esposizione che si tenne in concomitanza del primo decennale della Marcia su Roma, la 1ª Mostra nazionale delle Bonifiche, organizzata da una commissione presieduta dallo stesso Arrigo Serpieri. Questa importanza propagandistica fu uno dei motivi per il quale il modello delle iniziative di "bonifica integrale" fu replicato ovunque e in continuazione fino alle soglie del secondo conflitto mondiale.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come il regime fascista trattò la questione della "bonifica integrale"
Uno degli elementi che caratterizzò la propaganda fascista fu il tema delle bonifiche e della fondazione di nuove città. L'intensa attività relativa alla "bonifica integrale", all'appoderamento di terreni incolti e alla fondazione dei nuovi insediamenti, nasceva da specifici caratteri dell'ideologia fascista e in particolare dalle istanze tradizionaliste, antimoderne e antiurbane che caratterizzavano una parte del movimento fascista, senza per questo esaurirne la complessità, visto le opposte tendenze moderniste.
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Come iniziò la prima rivoluzione russa
Su tutto il fronte i bolscevichi incitavano gli uomini a rifiutarsi di combattere e a partecipare ai comitati dei soldati per sostenere e diffondere le idee rivoluzionarie. Dal fronte le agitazioni si trasmisero alle città e alla capitale. A Pietrogrado il 3 marzo scoppiò un violento sciopero negli stabilimenti Putilov, la principale fabbrica di armamenti e munizioni per l'esercito. L'8 marzo gli operai in sciopero erano circa 90.000, il 10 marzo a Pietrogrado fu proclamata la legge marziale, e lo stesso giorno il potere della Duma fu messo in discussione dal Soviet cittadino del principe menscevico Cereteli. Il 12, a Pietrogrado 17.000 soldati si unirono alla folla che protestava contro lo zar, alle 11 del mattino fu dato alle fiamme il tribunale sulla prospettiva Litejnyj e le stazioni di polizia, era cominciata la prima rivoluzione russa.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Quale decisione a livello internazionale prese De Gasperi nel 1947
Fu in particolare durante la missione di De Gasperi del gennaio 1947 negli Stati Uniti, con i quali si accordò per ricevere gli aiuti economici previsti dal Piano Marshall (un prestito Eximbank di 100 milioni di dollari), che si aprì un dialogo costruttivo tra USA e Italia, in grado di dare a De Gasperi la motivazione e il sostegno necessari ad attuare l'ambizioso disegno di un nuovo governo senza le sinistre. Il Piano Marshall, con cui si chiedeva ai paesi beneficiari di estromettere in cambio le forze filosovietiche, fu il primo atto della guerra fredda. Il PSI e soprattutto il PCI interpretarono la propria esclusione dall'esecutivo, avvenuta nel maggio 1947, alla stregua di un "colpo di stato"; essi tuttavia decisero di non abbandonare i lavori dell'assemblea costituente a cui stavano partecipando insieme alla DC. Questa decisione consentirà in particolare al PCI di acquisire una legittimità costituzionale che non poteva avere sul piano ideologico, e che lo porterà, negli anni a venire, a richiamarsi spesso alla Costituzione come motivo di auto-legittimazione democratica, e a difenderla da qualunque tentativo di modificarla senza un suo previo consenso.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Quale decisione a livello internazionale prese De Gasperi nel 1947
Passato all'opposizione nel 1947 dopo la decisione di De Gasperi di estromettere le sinistre dal governo per collocare l'Italia nel blocco internazionale filo-americano, il PCI rimase fedele alle direttive politiche generali dell'URSS fino agli anni settanta e ottanta pur sviluppando nel tempo una politica sempre più autonoma e di piena accettazione della democrazia già a partire dalla fine della segreteria Togliatti, e soprattutto sotto la guida di Enrico Berlinguer, che promosse il compromesso storico con la Democrazia Cristiana e la collaborazione tra i partiti comunisti occidentali con il cosiddetto eurocomunismo.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come mai i governi italiani non hanno mai consegnato i responsabili dei massacri nei Balcani
I vari governi italiani succedutesi negli anni mai consegnarono i responsabili dei crimini nei Balcani, sia a causa della così detta "amnistia Togliatti" intervenuta il 22 giugno 1946, sia perché il 18 settembre 1953 il governo Pella approvò l'indulto e l'amnistia proposta dal guardasigilli Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948, a cui si aggiunse quella del 4 giugno 1966. All'epoca la sola città di Belgrado chiese di imputare oltre 700 presunti criminali di guerra italiani e i generali Mario Roatta, Vittorio Ambrosio e Mario Robotti, che non furono mai consegnati nonostante gli accordi internazionali prevedessero la loro estradizione.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come mai Matteotti voleva far invalidare le elezioni
L'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, che aveva chiesto l'annullamento delle elezioni per le gravi irregolarità commesse, provocò una momentanea crisi del governo Mussolini. Il leader socialista Matteotti fu ucciso perché denunciò alla Camera dei deputati nel 1924 i brogli e le violenze commesse dai fascisti durante la campagna elettorale e i giorni del voto. Il suo assassinio ebbe un'eco vastissima nell'opinione pubblica in cui si diffuse la convinzione che i mandanti fossero i vertici del governo.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come mai Matteotti voleva far invalidare le elezioni
La proposta di Matteotti di far invalidare l'elezione almeno di un gruppo di deputati - secondo le sue accuse, illegittimamente eletti a causa delle violenze e dei brogli - venne respinta dalla Camera con 285 voti contrari, 57 favorevoli e 42 astenuti. Renzo De Felice ha definito "assurda" l'interpretazione di questo discorso come una richiesta di Matteotti basata su una realistica possibilità di ottenere un successo: secondo lo storico, Matteotti non mirava realmente all'invalidamento del voto, bensì a dare il via dai banchi del parlamento ad una opposizione più aggressiva nei confronti del fascismo, accusando in un colpo solo sia il governo fascista che i "collaborazionisti" socialisti. Una volontà di opposizione intransigente che aveva già espresso in una lettera a Turati precedente alle elezioni:
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Com'era costituita la Flotta del Mar Rosso
La Regia Marina schierava, per i territori coloniali, la Flotta del Mar Rosso, costituita dalla III Squadriglia Cacciatorpediniere (Battisti", "Manin, "Nullo", "Sauro"), dalla V Squadriglia Cacciatorpediniere ("Leone", "Pantera", "Tigre"), da due incrociatori ausiliari tipo RAMB e da una nave ospedale RAMB IV.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Com'era costituita la Flotta del Mar Rosso
La flotta italiana del Mar Rosso aveva base in Eritrea dove erano dislocate quattro unità minori: l'incrociatore Aretusa, l'ariete torpediniere Puglia, la cannoniera Volturno e l'avviso Staffetta trasformato in nave idrografica; nel corso della guerra la piccola squadra venne ampliata dall'incrociatore Calabria, dall'ariete torpediniere Piemonte, dai cacciatorpediniere Artigliere, Garibaldino, Elba, Liguria, Governolo, Caprera, Granatiere e Bersagliere. Tutte le unità erano sotto il comando del capitano di vascello Giovanni Cerrina Feroni, le cui prime azioni belliche causarono l'affondamento di due cannoniere e di undici sambuchi ottomani, probabilmente destinati a uno sbarco in Eritrea per aprire un fronte diversivo contro l'Italia. Dal canto suo, l'Italia forniva aiuti allo sceicco Asir Sa'id Idris, che combatteva i turchi in Arabia.
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Com'era la situazione sociale della Basilicata dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale
In Basilicata, terminata la seconda guerra mondiale, ci fu una fase di lotte dei braccianti, dei mezzadri e dei contadini che occupavano molti terreni dei latifondisti.
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Com'era organizzato l'esercito Italiano per le operazioni in Libia
Per le operazioni in Libia il Regio Esercito mobilitò un Corpo d'armata Speciale agli ordini del generale Carlo Caneva , costituito allo scopo e formato dalla 1ª (generale Guglielmo Pecori Giraldi ) e dalla 2ª divisioni (generale Ottavio Briccola ) per un totale 34000 uomini. Ogni divisione era costituita da due brigate, ed ogni brigata da 2 reggimenti di fanteria (rinforzati ciascuno da una sezione di mitragliatrici), 2 squadroni di cavalleggeri , 1 reggimento di artiglieria da campagna (4 batterie con pezzi da 75A ), 1 compagnia zappatori e servizi. Le truppe non inquadrate erano costituite da 2 reggimenti di bersaglieri ( 8º e 11º ) rinforzati ciascuno da una sezione someggiata di mitragliatrici Maxim ), 1 reggimento di artiglieria da montagna (4 batterie da 70A ), 1 gruppo di artiglieria da fortezza (2 compagnie da 149G ), 1 battaglione di zappatori (2 compagnie) e una compagnia telegrafisti con 4 stazioni radiotelegrafiche. Si trattava di unità "di formazione", ossia composte da elementi provvisoriamente distaccati da altre unità. Agli uomini vennero consegnate nuove divise più adatte per l'ambiente desertico di colore grigioverde (che caratterizzò le uniformi italiane fino alla seconda guerra mondiale ), oltre al classico elmetto coloniale Mod. 1911.
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
A cosa servivano le trincee provvisorie
Venivano scavate anche trincee provvisorie. Durante i preparativi per una grande offensiva venivano scavate, immediatamente dietro alle trincee più avanzate, delle trincee destinate alla raccolta delle truppe che dovevano seguire la prima ondata dell'attacco, che invece partiva dalla prima trincea. Inoltre venivano scavate trincee che si spingevano all'interno della terra di nessuno, spesso lasciate senza presidio di uomini, che servivano come posti di osservazione avanzati oppure come base per attacchi di sorpresa.
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Come reagì il Regio Esercito alle insurrezioni della popolazione montenegrina
Tutto il territorio del Montenegro e il Sangiaccato fu occupato e presidiato dalla 18ª Divisione fanteria "Messina", dai Reali Carabinieri, dalla Polizia, Regia Guardia di Finanza e dalle unità di cetnici montenegrini. Successivamente l'area delle Bocche di Cattaro fu annessa al Regno d'Italia come una nuova provincia italiana, dipendente dal Governatorato della Dalmazia. Il 12 luglio 1941, fu proclamato a Cettigne, sotto il protettorato dell'Italia, il Regno di Montenegro. Il 13 luglio la popolazione montenegrine insorse, sotto la guida del colonnello dei cetnici, Dragoljub Mihailović, e di esponenti del Partito Comunista Jugoslavo, coinvolgendo circa 400 ufficiali dell'ex-Esercito Regio Jugoslavo. L'insurrezione popolare ebbe successo e in sette giorni prese il controllo delle campagne (con l'esclusione delle città e della costa) sconfiggendo i reparti del Regio Esercito Italiano e impadronendosi di ingenti quantitativi di armi e altro materiale bellico. Come reazione il Comando Supremo del R.E.I. trasferì in Montenegro sei divisioni ("Cacciatori delle Alpi", "Emilia", "Pusteria", "Puglie", "Taro", "Venezia") sotto il comando del generale di corpo d'armata Alessandro Pirzio Biroli con funzioni di Governatore civile e militare. Pirzio Biroli attuò durissime repressioni e rappresaglie contro i montenegrini, causando così lo sbandamento delle forze che guidavano l'insurrezione. Si alleò altresì con i gruppi di nazionalisti cetnici, ottenendo così la riconquista e il controllo quasi totale del territorio. L'efferatezze compiute da Pirzio Biroli furono tali che la nuova RSFJ lo dichiarò "criminale di guerra" ma lo Stato italiano non autorizzò mai l'estradizione.senza fonte
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Storia italiana della prima metà del XX secolo
Come reagì il Regio Esercito alle insurrezioni della popolazione montenegrina
Il 20 giugno 1942, Pirzio Biroli fece fucilare 95 comunisti. Il 25 giugno 1942, a Cettigne, in rappresaglia di un attacco partigiano alle truppe del Regio Esercito che aveva provocato la morte di 9 ufficiali italiani, vennero fucilati 30 montenegrini. Il 26 giugno 1942, a Nikšić il giovane Dujo Davico, che lavorava come cameriere presso la mensa degli ufficiali del comando italiano del 48º reggimento fanteria, lanciò contro di loro una bomba a mano. Nonostante l'azione non provocasse vittime, per rappresaglia vennero fucilati 20 prigionieri comunisti. Il 31 dicembre 1942, Pirzio Biroli fece fucilare per rappresaglia contro l'uccisione di un nazionalista 6 montenegrini accusati di correità e partecipazione all'uccisione.senza fonte
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Come reagì il Regio Esercito alle insurrezioni della popolazione montenegrina
L'Italia iniziò una dura politica di persecuzione e repressione delle popolazioni slave presenti in Kosovo e Macedonia, puntando sull'esasperazione del conflitto interetnico, che portò all'eliminazione fisica o alla deportazione di intere comunità contadine, montenegrine e serbe, contro le quali furono particolarmente attivi gli albanesi, già aderenti a movimenti irredentisti e separatisti interni.
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Come reagì il Regio Esercito alle insurrezioni della popolazione montenegrina
Tutto il territorio del Montenegro e il Sangiaccato fu occupato e presidiato dalla 18ª Divisione fanteria "Messina", dai Reali Carabinieri, dalla Polizia, Regia Guardia di Finanza e dalle Unità di cetnici montenegrini. Successivamente l'area delle Bocche di Cattaro fu annessa al Regno d'Italia come una nuova provincia italiana, dipendente dal Governatorato della Dalmazia. Il 12 luglio 1941 fu proclamato a Cettigne, sotto il protettorato dell'Italia, il "libero e indipendente" Regno di Montenegro. Il 13 luglio la popolazione montenegrine insorse, sotto la guida del colonnello dei Cetnici, Dragoljub Mihailović, e di esponenti del Partito Comunista Jugoslavo, coinvolgendo circa 400 ufficiali dell'ex- Esercito Regio Jugoslavo. L'insurrezione popolare ebbe successo e in sette giorni prese il controllo delle campagne (con l'esclusione delle città e della costa) sconfiggendo i reparti del Regio Esercito Italiano e impadronendosi di ingenti quantitativi di armi e altro materiale bellico. Come reazione il Comando Supremo del R.E. I. trasferì in Montenegro sei divisioni ("Cacciatori delle Alpi", "Emilia", "Pusteria", "Puglie", "Taro", "Venezia") sotto il comando del generale di corpo d'armata Alessandro Pirzio Biroli con funzioni di Governatore civile e militare. Pirzio Biroli attuò durissime repressioni e rappresaglie contro i montenegrini, causando così lo sbandamento delle forze che guidavano l'insurrezione. Si alleò altresì con i gruppi di "nazionalisti" cetnici, ottenendo così la riconquista e il controllo quasi totale del territorio. L'efferatezze compiute da Pirzio Biroli furono tali che la nuova RSFJ lo dichiarò "criminale di guerra" ma lo Stato italiano non autorizzò mai l'estradizione.
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Come reagì il Regio Esercito alle insurrezioni della popolazione montenegrina
Il 12 luglio 1941 fu proclamato a Cettigne, sotto il protettorato dell'Italia, il "libero e indipendente" Regno di Montenegro. Il 13 luglio la popolazione montenegrine insorse, sotto la guida del Colonnello dei Cetnici, Dragoljub Mihailović, e di esponenti del Partito Comunista Jugoslavo, coinvolgendo circa 400 ufficiali dell'ex- Esercito Regio Jugoslavo. L'insurrezione popolare ebbe successo e in sette giorni prese il controllo delle campagne (con l’esclusione delle città e della costa) sconfiggendo i reparti del Regio Esercito Italiano e impadronendosi di ingenti quantitativi di armi e altro materiale bellico. Come reazione il Comando Supremo del R.E.I. trasferì in Montenegro sei divisioni ("Cacciatori delle Alpi", "Emilia", "Pusteria", "Puglie", "Taro", "Venezia") sotto il comando del Generale di corpo d'armata Alessandro Pirzio Biroli con funzioni di Governatore civile e militare. Pirzio Biroli attuò durissime repressioni e rappresaglie contro i montenegrini, causando così lo sbandamento delle forze che guidavano l’insurrezione. Si alleò altresì con i gruppi di "nazionalisti" cetnici, ottenendo così la riconquista e il controllo quasi totale del territorio. L'efferatezze compiute da Pirzio Biroli furono tali che la nuova RSFJ lo dichiarò "criminale di guerra" ma lo Stato italiano non autorizzò mai l'estradizione.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'annuncio dell'armistizio italiano
Dopo l'annuncio dell'armistizio italiano dell'8 settembre 1943 i tedeschi dettero avvio all'invasione dell'Italia. Sin dal 10 settembre le province di Bolzano (Alto Adige), Trento e Belluno furono sottoposte al diretto controllo del Terzo Reich venendo incluse nella Zona d'operazioni delle Prealpi, in tedesco Operationszone Alpenvorland – OZAV. Su tale territorio la Repubblica Sociale Italiana, entità statuale satellite della Germania, era titolare di una sovranità puramente formale. Il governo della zona, con la carica di commissario supremo, fu affidato a Franz Hofer, Gauleiter del Tirolo-Vorarlberg.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'annuncio dell'armistizio italiano
La reazione di Hitler e dei comandi tedeschi, nonostante la sorpresa per l'improvviso annuncio dell'armistizio, fu rapida ed efficace: il piano Achse venne immediatamente attivato e le truppe della Wehrmacht presero il sopravvento in tutti i teatri bellici dove erano presenti unità italiane, sfruttando soprattutto la disorganizzazione e la confusione presenti tra le truppe e gli alti comandi del Regio Esercito che, privi di direttive precise e tempestive, in gran parte si disgregarono. In Italia settentrionale il feldmaresciallo Rommel occupò le città più importanti e catturò la massa delle divisioni italiane che opposero scarsa resistenza; a Roma dopo alcuni duri combattimenti e confuse trattative il feldmaresciallo Kesselring prese possesso della città; nei Balcani i tedeschi occuparono tutto il territorio e schiacciarono brutalmente i tentativi di resistenza locali, con oltre 600 000 soldati italiani deportati in Germania. Badoglio, il Re e i loro collaboratori preferirono abbandonare subito Roma e, dopo aver raggiunto Pescara, si trasferirono a Brindisi dove ricostituirono una struttura di governo nel territorio sfuggito all'occupazione tedesca (Regno del Sud); il 13 ottobre 1943 il governo Badoglio dichiarò guerra alla Germania ottenendo dagli Alleati lo status di "cobelligerante". Nel frattempo, il 12 settembre 1943, un reparto di paracadutisti tedeschi aveva liberato Mussolini dalla prigione nel Gran Sasso; fortemente sollecitato da Hitler e pur provato e depresso, il Duce decise di prendere la direzione di uno nuovo stato fascista, la Repubblica Sociale Italiana (RSI), che venne costituita il 23 settembre nell'Italia centro-settentrionale per collaborare con l'occupante tedesco.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'annuncio dell'armistizio italiano
Nonostante la sorpresa iniziale, la risposta tedesca, accuratamente pianificata e organizzata nei dettagli operativi, fu tuttavia rapida e immediatamente efficace, Hitler, di ritorno alle ore 17.00 a Rastenburg dopo un soggiorno di alcuni giorni in Ucraina al quartier generale del feldmaresciallo Erich von Manstein, poco dopo apprese la notizia (proveniente da una trasmissione della BBC) dell'armistizio, e agì con estrema decisione. Alle ore 19.50, pochi minuti dopo la conclusione dell'annuncio di Badoglio, l'aiutante del generale Jodl diramò a tutti i comandi subordinati la parola in codice ("Achse") che automaticamente dava il via alle misure aggressive tedesche contro le forze armate italiane in tutti i teatri bellici del Mediterraneo.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'annuncio dell'armistizio italiano
Dopo l'annuncio dell'armistizio italiano dell'8 settembre 1943, i tedeschi dettero avvio all'invasione dell'Italia. Sin dal 10 settembre le province di Bolzano (Alto Adige), Trento e Belluno furono sottoposte al diretto controllo del Terzo Reich venendo incluse nella Zona d'operazioni delle Prealpi (in tedesco Operationszone Alpenvorland – OZAV), territorio sul quale la Repubblica Sociale Italiana – entità statuale satellite della Germania – era titolare di una sovranità puramente formale.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Il 23 marzo ebbe luogo, ad opera di partigiani gappisti, l'attentato di via Rasella contro una compagnia del Polizeiregiment "Bozen", che riportò trentatré caduti. Il giorno successivo i tedeschi eseguirono per rappresaglia l'eccidio delle Fosse Ardeatine uccidendo 335 persone tra prigionieri politici, ebrei e persone rastrellate nei dintorni di via Rasella. Nel 1983, Pertini dichiarò: «Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola». Tuttavia, esistono diverse versioni sulla posizione da lui tenuta sull'attentato nei giorni immediatamente successivi ai fatti.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Il 24 marzo i tedeschi compirono l'eccidio delle Fosse Ardeatine in cui persero la vita 335 civili italiani, come atto di rappresaglia per l'attentato di via Rasella eseguito da partigiani gappisti contro il Polizeiregiment "Bozen" ed avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana site nei pressi della via Ardeatina, sono diventate un monumento a ricordo dei fatti.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Seconda guerra mondiale: intorno alle tre del pomeriggio esplode una bomba in Via Rasella a Roma, uccidendo 33 soldati tedeschi reclutati nei territori limitrofi a Bolzano, facenti parte dei Polizei Regiment Bozen. Essi erano in transito per questa via. Per rappresaglia il giorno dopo (vedi 24 marzo) le truppe tedesche compiranno l'eccidio delle Fosse Ardeatine
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Eccidio delle Fosse Ardeatine: 335 prigionieri sono fucilati per rappresaglia all'Attentato di via Rasella del 23 marzo
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
L'eccidio delle Fosse Ardeatine fu il massacro di 335 civili e militari italiani, fucilati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l'attentato partigiano compiuto da membri dei GAP romani contro truppe germaniche in transito in via Rasella. L'attentato causò, sul posto e nelle ore successive, la morte di 33 soldati del reggimento "Bozen" appartenente alla Ordnungspolizei dell'esercito tedesco, reclutato in Alto Adige.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Nel marzo del 1944 fu l'ideatore dell'attentato dinamitardo di via Rasella, eseguita da partigiani comunisti dei Gruppi di Azione Patriottica e a cui i tedeschi reagirono con l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Gli altri membri della giunta militare non furono informati preventivamente del piano, come avveniva per consuetudine, per «ragioni di sicurezza cospirativa», secondo quanto dichiarato dallo stesso Amendola.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Il giorno immediatamente successivo a quello dell'attentato, seguì l'Eccidio delle Fosse Ardeatine, rivendicato dal "Comando Tedesco" espressamente come rappresaglia per l'attentato di via Rasella.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
24 marzo - Italia: a Roma in via Rasella vengono uccisi 33 soldati tedeschi. A seguito di ciò avviene l'eccidio delle Fosse Ardeatine per mano dei tedeschi, che uccidono 335 persone.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Nel marzo del 1944 fu l'ideatore dell'attacco dinamitardo di via RasellaLettera di Giorgio Amendola a Leone Cattani sulle vicende di via Rasella, pubblicata sul sito dell'Associazione Italiana Autori Scrittori Artisti "L'ARCHIVIO"., eseguita da partigiani comunisti dei Gruppi di Azione Patriottica e a cui i tedeschi reagirono con l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Gli altri membri della giunta militare non furono informati preventivamente del piano, come avveniva per consuetudine, per «ragioni di sicurezza cospirativa», secondo quanto dichiarato dallo stesso Amendola.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Nei primi sei mesi del 1944 è di stanza a Roma, dove in primavera viene promosso al grado di tenente colonnello; tra le altre cose, a fine maggio di quell'anno viene parzialmente coinvolto nei fatti che riguardano l'attentato partigiano di Via Rasella e la successiva rappresaglia dei tedeschi, concretizzatasi nell'eccidio delle Fosse Ardeatine.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Nel 1984 il quotidiano Dolomiten, principale giornale in lingua tedesca dell'Alto Adige, criticò l'allora presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini per non aver reso omaggio, in occasione delle sue visite a Bolzano, alla lapide posta nel cimitero militare cittadino in memoria dei «sudtirolesi che furono uccisi nel proditorio attentato di via Rasella [...] arruolati e utilizzati semplicemente come corpo di guardia non facendo del male a nessuno» . Pertini replicò domandando al direttore del quotidiano se si fosse «mai recato, nelle sue visite a Roma, alle Fosse Ardeatine, ove sono raccolte le salme di 335 innocenti uccisi dai tedeschi per rappresaglia dell'attentato di via Rasella» .
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Il film ricostruisce attraverso il libro Morte a Roma di Robert Katz, che ha contribuito alla sceneggiatura, gli eventi riguardanti l'episodio storico della resistenza italiana conosciuto come attentato di via Rasella e la susseguente rappresaglia, nota come eccidio delle Fosse Ardeatine.
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Come reagirono i tedeschi dopo l'attentato di via Rasella
Venne arrestato dai tedeschi il 15 febbraio 1944 , dopo la denuncia da parte di una spia delle SS. Condotto nel carcere di via Tasso, venne torturato per giorni, fino quasi a perdere la vista. Il 24 marzo venne portato nelle cave di pozzolana lungo la via Ardeatina dove venne fucilato nell'Eccidio delle Fosse Ardeatine, conseguenza dell'azione partigiana in via Rasella.
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