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https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/natura-vincolata-del-provvedimento-e-garanzie-partecipative
Natura vincolata del provvedimento e garanzie partecipative
N. 06288/2021REG.PROV.COLL. N. 01042/2021 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1042 del 2021, proposto da Fallimento Farmacia San Bartolomeo di Angela Belinci e C. S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alfonso Tordo Caprioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto come in atti; contro Regione Umbria, Comune di Passignano sul Trasimeno, Comune di Umbertide, Ordine dei Farmacisti della Provincia di Perugia, Fallimento della Società Luca della Robbia S.n.c. dei Dottori Angela Belinci, Giuliano Sisti e Massimiliano Vezzosi, non costituiti in giudizio; Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; Farma San Bartolomeo S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fabio Buchicchio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Azienda Unità Sanitaria Locale Umbria n. 1, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Mario Rampini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone 44; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) n. 630/2020, resa tra le parti, concernente il provvedimento di decadenza dalla titolarità della farmacia; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, di Farma San Bartolomeo S.r.l. e dell’Azienda Unità Sanitaria Locale Umbria n. 1; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 luglio 2021 il Cons. Stefania Santoleri; quanto alla presenza degli avvocati si fa rinvio al verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. – Con il ricorso di primo grado, la ricorrente ha esposto che: - la società “Farmacia San Bartolomeo s.a.s. di Angela Belinci” era titolare dell’autorizzazione all’esercizio della farmacia omonima sita in Passignano sul Trasimeno, fraz. Castel Rigone, nonché del dispensario farmaceutico collocato nella vicina frazione di Preggio del Comune di Umbertide. - la predetta società è costituita dai soci Angela Belinci, accomandataria e titolare del 50% delle quote per un importo di euro 5.000, e Giuliano Sisti, accomandante e titolare del 50% delle quote per un importo di euro 5.000. - con atto a rogito del Notaio Luigi Sconocchia Silvestri del 3.3.2020, rep. 3019, racc. 2195, registrato a Perugia il 6 successivo, n. 5607, la Farmacia San Bartolomeo s.a.s. e la società ABIMOG S.R.L., con sede in Terni, hanno costituito una società, denominata Farma San Bartolomeo S.r.l. nella quale, a liberazione del capitale sottoscritto, la Farmacia San Bartolomeo ha conferito il ramo d’azienda costituito dalla titolarità e dall’esercizio della farmacia sita in Passignano sul Trasimeno, fraz. Castel Rigone, e del dispensario farmaceutico sito in Comune di Umbertide, fraz. Preggio; - il conferimento del ramo d’azienda da parte della Farmacia San Bartolomeo veniva effettuato sotto la condizione sospensiva del rilascio del provvedimento di trasferimento della gestione della farmacia da parte della competente USL e, comunque, delle necessarie autorizzazioni amministrative; - in data 16.3.2020, la società Farma San Bartolomeo ha chiesto alla ASL l’autorizzazione al trasferimento in proprio favore della titolarità della farmacia oggetto del conferimento e l’autorizzazione all’esercizio della stessa e del dispensario farmaceutico di Preggio; - nelle more, con sentenza del Tribunale di Perugia del 12.3.2020 n. 21, è stato dichiarato il fallimento della società Luca della Robbia S.n.c. dei dottori Angela Belinci, Giuliano Sisti e Massimo Vezzosi, nonché dei soci illimitatamente responsabili Angela Belinci, Giuliano Sisti e Massimo Vezzosi. - poiché i dottori Belinci e Sisti erano rispettivamente socio accomandatario e socio accomandante di Farmacia San Bartolomeo sas, dal 12.3.2020 il socio accomandatario ed unico amministratore Belinci Angela è stato escluso di diritto dalla società, ai sensi dell’art. 2288 c.c. applicabile alle società in accomandita semplice per il rinvio operato dall’art. 2315 c.c. all’art. 2293 c.c.; - l’art. 2288, comma 1, c.c. dispone “è escluso di diritto il socio che sia dichiarato fallito”; a norma dell’art. 2318, comma 2, c.c. “l’amministrazione della società può essere conferita soltanto a soci accomandatari”; inoltre l’art. 2323, comma 2, c.c dispone “se vengono a mancare tutti gli accomandatari per il periodo indicato nel comma precedente (6 mesi n.d.a.), gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio per gli atti di ordinaria amministrazione. L’amministratore provvisorio non assume la qualità di socio accomandatario”; - pertanto la società è così risultata priva dell’unico socio accomandatario (Dott.ssa Belinci) e dell’amministratore unico, nonché legale rappresentante e, come tale, impossibilitata ad agire ed esprimere la propria volontà negoziale. 2. - La ASL, con nota del 3.4.2020, ha dettato disposizioni contingibili ed urgenti alla Farmacia San Bartolomeo s.a.s. al fine di garantire comunque l’assistenza farmaceutica e le prestazioni sanitarie connesse, “tenendo conto delle limitazioni consequenziali alla sentenza di cui all’oggetto relativamente alla posizione dei due soci e comunque nel rispetto di tutte le disposizioni della Curatela Fallimentare”. 2.1 - Con deliberazione del Commissario Straordinario del 25.6.2020 n. 754, allegata alla nota prot. 102755/2020 inviata il 26.06.2020, veniva dichiarata la decadenza dell’autorizzazione rilasciata alla Farmacia San Bartolomeo s.a.s. a causa della chiusura non autorizzata dell’esercizio per un periodo superiore a quindici giorni, ai sensi dell’art. 113, comma 1, lett. d, del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, approvato con R.D. 27.7.1934 n 1265; 2.2 - Con nota della USL del 29.6.2020 prot. 102755, veniva dichiarata la improcedibilità dell’istanza di trasferimento a favore della neo costituita società Farma San Bartolomea s.r.l., in base, tra l’altro, alla dichiarata decadenza della titolarità della Farmacia in capo alla ricorrente con determina 754/2020. 3. - Avendo interesse all’impugnazione di tali atti, la ricorrente – ormai priva del socio accomandatario, proprio legale rappresentante (dott.ssa Belinci) – ha presentato istanza al Presidente del T.A.R. Umbria, evidenziando che la società Farmacia San Bartolomeo s.a.s., stante il fallimento della socia accomandataria Belinci Angela, non aveva rappresentante legale e quindi, nella prospettiva di impugnare gli atti amministrativi ritenuti lesivi, non vi era soggetto con potere di rappresentanza della società ricorrente e, quindi, legittimato a conferire mandato alle liti, chiedendo i provvedimenti ritenuti necessari ed urgenti, e la nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art.78 c.p.c.. 3.1 - Con provvedimento del 14 settembre 2020, comunicato a mezzo pec in pari data, il Presidente del T.A.R. Umbria ha declinato la giurisdizione a favore del Tribunale ordinario, disponendo tuttavia, in via cautelare, la sospensione del termine decadenziale per ricorrere in via giurisdizionale come indicato nel provvedimento sopra richiamato. L’istante ha notificato il provvedimento alle controparti entro il termine di 5 (cinque giorni); ha quindi presentato una nuova istanza ai sensi dell’art. 78 c.p.c. al Presidente del Tribunale Ordinario di Perugia che con provvedimento del 20 ottobre 2020 ha nominato “curatore speciale” l’Avv. Monica Benedetti, a cui tuttavia la Cancelleria non ha notificato/comunicato la nomina. L’avv. Monica Benedetti, appreso aliunde della nomina, solo in data 19 novembre 2020 la ha accettata (stante anche le problematiche ed i provvedimenti connessi alla emergenza Covid); quindi ha conferito mandato in data 23 novembre 2020 al legale per presentare ricorso al Tribunale Amministrativo regionale dell’Umbria. 3.2 - Il ricorso è stato notificato in data 24 novembre 2020 con istanza cautelare di sospensione. 3.3 - In esito alla iscrizione a ruolo, il Tribunale adito ha fissato la camera di consiglio del 15 dicembre 2020 per la discussione e la decisione sulla richiesta sospensiva. Si è costituita in giudizio la AUSL Umbria con una corposa memoria depositata in data venerdì 11 dicembre 2020 alle ore 12.20 (allegando 24 documenti), con cui, in via preliminare, ha eccepito la tardività e quindi la irricevibilità del ricorso e comunque, la infondatezza dello stesso. Si è costituita in giudizio, quale cointeressata, la Farma San Bartolomeo s.r.l., chiedendo il rinvio dell’udienza e la riunione con altro proprio ricorso, avente ad oggetto l’impugnazione degli stessi atti amministrativi. 3.4 - Come si evince dalla sentenza appellata, alla camera di consiglio del 15 dicembre per la discussione della domanda cautelare, il Collegio ha deciso di convertire il rito e di trattenere, ai sensi dell’art.60 c.p.a., la causa per la sua immediata decisione in forma semplificata, “ricorrendone i presupposti di legge”. 3.5 - Con la decisione gravata il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria ha ritenuto fondata la eccezione preliminare formulata dalla AUSL Umbria, dichiarando la irricevibilità del ricorso, con compensazione delle spese. 4. - Avverso tale decisione la ricorrente ha proposto appello, deducendo due motivi di impugnazione avverso la sentenza di irricevibilità, reiterando anche le doglianze dedotte in primo grado ed assorbite dal giudice di prime cure. 4.1 - Si è costituita in giudizio la AUSL che ha replicato alle doglianze proposte chiedendone il rigetto. 4.2 - Si è costituita anche la Farma San Bartolomeo aderendo alle tesi difensive dell’appellante. 4.3 – Con sentenza n. 33 del 14/5/2021 il Tribunale di Perugia, Sezione Fallimentare, ha dichiarato il fallimento della ricorrente Farmacia San Bartolomeo S.a.s. La AUSL appellata ha quindi chiesto la declaratoria di interruzione del giudizio. 4.4. – Con comparsa del 24/6/2021 il Fallimento Farmacia San Bartolomeo S.a.s. si è costituito in prosecuzione del giudizio, insistendo per la definizione della controversia all’udienza pubblica già fissata del 29 luglio 2021. 4.5 - Le parti hanno depositato scritti difensivi a sostegno delle rispettive tesi. 5. - All’udienza pubblica del 29 luglio 2021 l’appello è stato trattenuto in decisione. 6. - L’appello è fondato e va, dunque, accolto. 7. – Va dato atto, preliminarmente, che la costituzione del Fallimento Farmacia San Bartolomeo S.a.s. consente la definizione del giudizio senza ricorrere all’interruzione. 8. - Con il primo motivo l’appellante ha dedotto le doglianze di “Violazione del contraddittorio, violazione del diritto di difesa e degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione della Repubblica Italiana” rappresentando che il Tribunale aveva fissato l’udienza camerale per discutere la istanza di sospensiva per il giorno 15 dicembre 2020; la Ausl Umbria si era costituita in giudizio in data 11 dicembre (venerdì) con memoria depositata telematicamente alle 12.20, e dunque prodotta, ai fini dell’esercizio dei diritti difensivi della controparte, il giorno successivo. La decisione di “convertire il rito” e decidere la causa immediatamente con sentenza semplificata avrebbe leso il suo diritto di difesa impedendole di controdedurre sulla corposa memoria della resistente, e di proporre motivi aggiunti in conseguenza della produzione documentale effettuata dalla resistente AUSL. La tempistica del deposito della costituzione avversaria (avvenuta 2 giorni liberi prima dell’udienza camerale) le avrebbe impedito anche di richiedere la discussione in presenza, con istanza da depositare 5 gg. prima della udienza. Ha quindi dedotto che il disposto di cui all’art. 25 d.l. 137/2020, poi convertito in legge, secondo cui il Tribunale può “senza avviso” decidere la causa con sentenza semplificata, non potrebbe che essere interpretato in senso costituzionalmente orientato, poiché in difetto, ove applicato pedissequamente a tutte le fattispecie, integrerebbe un evidente vulnus al diritto di difesa, al contraddittorio ed alla effettività della tutela giudiziaria. Nella fattispecie in esame il TAR avrebbe dovuto tenere conto della particolarità della situazione e differire la udienza, e/o comunque non convertire il rito, tanto più che era stata già presentata dalla Farma San Bartolomeo l’istanza di riunione con il ricorso da essa avanzato. L’appellante ha quindi chiesto al Collegio di valutare la sussistenza dei presupposti per disporre il rinvio al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a. per violazione del diritto di difesa, ovvero di di ritenere ammissibile, anche ex art. 37 c.p.a., la proposizione dei motivi aggiunti (ove tali siano considerati dal Giudice adito), in seguito sviluppati e specificati, in conseguenza dei documenti prodotti dalla resistente AUSL Umbria sub 7, 8 e 9 , relativi alle note inviate dal Curatore fallimentare del Fallimento Luca della Robbia s.n.c.. 8.1 - Tale doglianza non può essere condivisa. Condivisibilmente la AUSL Umbria n. 1 ha rilevato che la propria costituzione e memoria difensiva è intervenuta nei termini. Il legislatore ha previsto all’art. 4, comma 1, del D.L. n. 28/2020 (applicabile al giudizio di primo grado) che la richiesta di trattazione dell’udienza da remoto per gli affari cautelare deve essere proposta 5 giorni prima dell’udienza: ne consegue che la ricorrente in primo grado era ben consapevole che la AUSL avrebbe potuto costituirsi (con deposito di memorie e documenti) entro 2 giorni liberi prima dell’udienza camerale; non a caso il legislatore ha previsto nello stesso art. 4 la possibilità di depositare note di udienza entro le ore 12.00 del giorno antecedente l’udienza, al fine di consentire alle parti di rappresentare al giudice le circostanze che avrebbe potuto esporre nell’udienza svolta in presenza delle parti. L’art. 25, comma 2, del d.l. n. 137/2020 prevede espressamente che “gli affari in trattazione passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, omesso ogni avviso”. Ne consegue che l’appellante avrebbe potuto rappresentare al giudice di primo grado le proprie esigenze difensive (chiedendo la discussione orale, cautelativamente, nell’ipotesi di costituzione della controparte, ovvero semplicemente depositando note difensive nelle quali rappresentare l’esigenza di proporre motivi aggiunti). 8.2 - Ne consegue che non sussiste la violazione del diritto di difesa dell’appellante e, dunque, non ricorrono i presupposti per disporre l’annullamento con rinvio ai sensi dell’art. 105 c.p.a. 8.3 - Per quanto concerne la pretesa ad introdurre ulteriori motivi di ricorso in grado di appello, è sufficiente rilevare il difetto di interesse dell’appellante a coltivare tale richiesta alla luce dell’accoglimento del ricorso per i motivi già ritualmente dedotti. 9. - Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto la censura di “Infondatezza ed erroneità della declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo violazione dell’art.61 e 29 c.p.a.; violazione degli artt. 3, 24 e 111 della costituzione; in subordine sussistenza presupposti per applicazione dell’art.37 c.p.a. e rimessione in termini” contestando la pronuncia di irricevibilità del ricorso di primo grado. Secondo il TAR, infatti, il ricorso sarebbe tardivo perché notificato il 24 novembre 2020, sebbene il termine ultimo per l’impugnazione sarebbe maturato “al 09 ottobre 2020”. Il decreto presidenziale del 14/9/2020, infatti, aveva disposto la sospensione del termine decadenziale di impugnazione “subordinatamente alla presentazione dell’istanza prevista dall’art. 78 e sino alla data del provvedimento del giudice sulla stessa, ove intervenga entro il 15.mo giorno dalla data del presente decreto, e comunque non oltre sessanta giorni dalla data stessa ai sensi del comma 5 dell’art. 61, c.p.a.” Il TAR ha ritenuto che, quanto alla efficacia temporale del provvedimento presidenziale del 14 settembre 2020, di sospensione del termine di impugnazione, “ l’art. 61 comma 5 c.p.a. dispone che il provvedimento di accoglimento perde comunque effetto ove entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare ed esso non sia depositato nei successivi cinque giorni corredato da istanza di fissazione di udienza; in ogni caso la misura concessa ai sensi del presente articolo perde effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, dopo di che restano efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o disposte in corso di causa”. Pertanto, secondo il Tribunale, il termine decadenziale – in forza del decreto presidenziale del 14 settembre, sarebbe stato sospeso fino al “28 settembre (quindici giorni), e quindi il termine di impugnazione dei provvedimenti gravati, ricominciando a decorrere dal 29 settembre sarebbe “venuto a scadere in data 9 ottobre 2020” (pag.6 sentenza appellata). 9.1 - Tale statuizione è stata contestata dall’appellante deducendo la non correttezza del calcolo, anche alla luce della tempistica relativa alla nomina del curatore speciale a cui si è fatto cenno in precedenza; l’appellante ha anche dedotto, che in ogni caso – tenuto conto del ritardo con il quale il curatore era stato nominato ed aveva accettato l’incarico – il TAR avrebbe dovuto riconoscere l’errore scusabile ex art. 37 c.p.a., essendo di fatto impossibilitato a proporre ricorso fino al 19 novembre 2020, data in cui il curatore speciale ha accettato la nomina. 9.2 - La censura è condivisibile. A prescindere dalla correttezza dell’interpretazione del decreto presidenziale e, di conseguenza, dalle modalità di computo del calcolo dei giorni di sospensione, resta incontestato che: - il curatore speciale è stato designato dal Presidente del Tribunale di Perugia il 20 ottobre 2020; - quest’ultimo ha accettato la nomina solo in data 19/11/2020; - la procura ad litem è stata conferita in data 23/11/2020; - il ricorso al TAR è stato notificato il 24/11/2020. Poiché fino al momento dell’accettazione da parte dell’Avv. Monica Benedetti dell’incarico di curatore speciale la società non poteva conferire mandato ad un difensore e proporre l’azione, ricorrono i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile ex art. 37 c.p.a., ricorrendo il presupposto del “grave impedimento di fatto” alla proposizione del ricorso. Ne consegue che la sentenza di primo grado va riformata. 10. - Vanno quindi esaminati i motivi di ricorso di primo grado, assorbiti dal TAR, e riproposti ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. 10.1 - Con il primo motivo riproposto l’appellante ha dedotto la censura di “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 bis della l. 7.8.1990 n. 241 anche in relazione all’art. 7 della stessa l. 241/1990”; con il secondo motivo, ha quindi dedotto il vizio di “Violazione dell’art. 7 della 8.8.1990 n. 241 – violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell’art. 113, comma 1, lett. d, del r.d. 27.7.1934 n. 1265 - eccesso di potere per difetto di motivazione – eccesso di potere per omessa e/o errata valutazione dei presupposti– eccesso di potere per difetto di istruttoria” evidenziando che la Azienda USL non avrebbe consentito il contraddittorio in sede procedimentale, né prima di adottare il provvedimento di decadenza, né prima di emettere il rigetto della domanda di trasferimento dell’autorizzazione in favore della Farma San Bartolomeo S.r.l.: secondo l’appellante la mancata osservanza delle suddette modalità procedimentali avrebbe viziato in maniera irrimediabile i provvedimenti impugnati, poiché avrebbe impedito al destinatario di evidenziare profili utili ai fini dell’adozione di atti aventi un contenuto diverso, come rappresentato con le argomentazioni illustrate nell’atto di appello. 10.2 - La AUSL Umbria 1 ha controdedotto tale doglianza sostenendo che si sarebbe trattato di atti vincolati per i quali avrebbe potuto omettersi la comunicazione dell’avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 della L. 241/90 ed il preavviso di rigetto ex art. 10 bis della stessa legge: l’appellante, infatti, avrebbe volontariamente chiuso la farmacia senza ottemperare alle prescrizioni dell’Amministrazione che le imponevano di tenerla aperta; alla luce di tale circostanza, il vizio sarebbe solo formale, e come tale superabile ai sensi dell’art. 21 octies L. 241/90, atteso che l’esito del procedimento non avrebbe potuto mutare a seguito della partecipazione procedimentale. Tali ragioni, secondo l’appellata, consentirebbero di respingere anche la doglianza relativa al provvedimento di diniego di trasferimento dell’autorizzazione, adottato in via derivata rispetto all’atto decadenziale ex art. 113, comma 1, lett. d) del R.D. n. 1265/1934. 10.3 - La tesi dell’Amministrazione non può essere condivisa alla luce della particolarità del caso di specie, caratterizzato dalla circostanza che la Farmacia San Bartolomeo si era trovata – a causa del fallimento dell’altra società Luca della Robbia S.n.c. – senza l’amministratore (dott.ssa Belinci) che fungeva anche da direttore tecnico. Ritiene il Collegio che tenuto conto della singolarità della vicenda verificatasi, sarebbe stato necessario un approfondimento in contraddittorio tra le parti, consentendo alla Farmacia San Bartolomeo di rappresentare le proprie ragioni prima di adottare il provvedimento di decadenza dall’autorizzazione, fondato sulla chiusura non autorizzata della farmacia per oltre 15 giorni, senza tener conto della specifica situazione che si era creata. Nelle proprie difese la dott.ssa Belinci, infatti, ha rappresentato che, a causa della dichiarazione di fallimento della società Luca della Robbia e dei soci, non poteva più svolgere l’attività di amministratore e legale rappresentante della farmacia; solo con la nomina del curatore speciale da parte del Presidente del Tribunale di Perugia, ha avuto la possibilità di impugnare gli atti lesivi della propria sfera giuridica; pertanto non avrebbe potuto impugnare il provvedimento del 3/4/2020 prot. n. 61968 e la diffida del 27/5/2020, nei confronti dei quali – secondo l’Amministrazione – avrebbe prestato acquiescenza; la decadenza dalla qualità di socio accomandatario e legale rappresentante avrebbe avuto – a dire della ricorrente in primo grado – ripercussioni sulla sua condizione di direttore tecnico della farmacia e sulla possibilità di provvedere alla nomina di un soggetto in sua sostituzione. 10.4 - In sintesi, l’appellante ha sostenuto che gli atti con i quali la AUSL le aveva ordinato di tenere aperta la farmacia si scontravano la sua specifica condizione; ha anche rilevato che la ASL avrebbe potuto assumere provvedimenti alternativi a tutela della salute pubblica, anziché procedere alla declaratoria di decadenza dall’autorizzazione. In sostanza, l’appellante ha fornito in giudizio elementi che avrebbero dovuto essere valutati dall’Amministrazione in sede procedimentale, prima di addivenire all’adozione del provvedimento decadenziale. 10.5 - Ritiene, dunque, il Collegio che, tenuto conto della complessità della situazione e della gravità degli effetti derivanti dal provvedimento di decadenza, dovevano essere assicurate le garanzie partecipative al procedimento, prima tra tutte la comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. 241/90; le stesse garanzie partecipative dovevano essere osservate prima del diniego di autorizzazione al trasferimento dell’autorizzazione richiesto dalla società Farma San Bartolomeo S.r.l. 10.6 - La natura vincolata degli atti impugnati non costituisce valido motivo per omettere il rispetto delle garanzie partecipative in situazioni peculiari e giuridicamente complesse come quella in questione; la giurisprudenza più avveduta afferma la sussistenza dell'obbligo di avviso dell'avvio anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della condivisibile considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (cfr. C.d.S. sez. VI 20.4.2000 n. 2443; C.d.S. 2953/2004; 2307/2004 e 396/2004). Invero, non è rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all'amministrazione l'inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 19/10/2006, n.8683). Tale principio è stato riaffermato di recente dalla giurisprudenza sostenendo che “È illegittimo il provvedimento vincolato emesso senza che sia stata offerta al destinatario dello stesso provvedimento la preventiva “comunicazione di avvio del procedimento” ex art. 7 l. n. 241/1990, ove dal giudizio emerga che l'omessa comunicazione del procedimento avrebbe consentito al privato di dedurre le proprie argomentazioni, idonee a determinare l'emanazione di un provvedimento con contenuto diverso” (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 26/08/2020, n.750). 11. - L’appello va quindi accolto, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado. 12. - Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tra le parti, tenuto conto dell’alterno esito dei giudizi e della complessità della fattispecie. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 luglio 2021 con l'intervento dei magistrati: Franco Frattini, Presidente Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore Giulia Ferrari, Consigliere Umberto Maiello, Consigliere Franco Frattini, Presidente Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore Giulia Ferrari, Consigliere Umberto Maiello, Consigliere IL SEGRETARIO
​​​​​​Procedimento amministrativo - Comunicazione di avvio – Atti vincolati – Omissione – Situazione sottesa complessa – Illegittimità.               E’ illegittima la mancata comunicazione di avvio del procedimento che porta all’adozione di un atto di natura vincolata ove la situazione sottesa si dimostri particolarmente complessa (1).    ​​​​​​ (1) Ha chiarito la Sezione che la natura vincolata degli atti impugnati non costituisce valido motivo per omettere il rispetto delle garanzie partecipative in situazioni peculiari e giuridicamente complesse; la giurisprudenza più avveduta afferma la sussistenza dell'obbligo di avviso dell'avvio anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della condivisibile considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (Cons. St., sez. VI, 20 aprile 2000, n. 2443; id. n. 2953 del 2004; n. 2307 del 2004 e n. 396 del 2004). Invero, non è rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all'amministrazione l'inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria (Tar Napoli, sez. II, 19 ottobre 2006, n.8683). ​​​​​​​Tale principio è stato riaffermato di recente dalla giurisprudenza sostenendo che “È illegittimo il provvedimento vincolato emesso senza che sia stata offerta al destinatario dello stesso provvedimento la preventiva “comunicazione di avvio del procedimento” ex art. 7, l. n. 241 del 1990, ove dal giudizio emerga che l'omessa comunicazione del procedimento avrebbe consentito al privato di dedurre le proprie argomentazioni, idonee a determinare l'emanazione di un provvedimento con contenuto diverso” (C.g.a. 26 agosto 2020, n.750). 
Procedimento amministrativo
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Alla Corte costituzionale la competenza in Umbria dei Comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici dei Comuni siti in zone sismiche
N. 05078/2021REG.PROV.COLL. N. 04825/2017 REG.RIC. N. 04828/2017 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sui seguenti ricorsi in appello:1) numero di registro generale 4825 del 2017, proposto dai signori Renato Chiaranti ed Ersilia Stefanini, rappresentati e difesi dall’avvocato Umberto Segarelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.B. Morgagni, 2/A, contro - il Comune di Terni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Gennari, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13; - il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio dell’Umbria, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti - dell’Impresa Ponteggia S.n.c. di Ponteggia Massimo Augusto e Stefano, rappresentata e difesa dall’avvocato Giovanni Ranalli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Panama n. 86; - dell’Albergo Lido S.r.l., non costituito in giudizio; 2) numero di registro generale 4828 del 2017, proposto dai signori Renato Chiaranti ed Ersilia Stefanini, rappresentati e difesi dall’avvocato Umberto Segarelli, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via G.B. Morgagni, 2/A, contro il Comune di Terni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Gennari, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13, nei confronti - dell’Albergo Lido S.r.l. e della Regione Umbria non costituiti in giudizio; - dell’Impresa Ponteggia S.n.c. di Ponteggia Massimo Augusto e Stefano, rappresentata e difesa dall’avvocato Giovanni Ranalli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Ranalli in Roma, via Panama n. 86; per la riforma quanto al ricorso n. 4828 del 2017: della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria (sezione Prima) n. 751/2016, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 4825 del 2017: della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria (sezione Prima) n. 750/2016, resa tra le parti. Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Terni, della Impresa Ponteggia S.n.c. di Ponteggia Massimo Augusto e Stefano, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio dell’Umbria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 13 maggio 2021, il Cons. Giuseppe Rotondo, nessuno presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con atto di appello R.G. n. 4825/2017, i signori Renato Chiaranti ed Ersilia Stefanini propongono appello avverso la sentenza del T.A.R. per l’Umbria n. 750/2016, assunta nella camera di consiglio del 12 ottobre 2016, pubblicata il 6 dicembre 2016, di cui chiedono l’annullamento o la riforma e, in accoglimento del gravame, l’annullamento: del “Piano attuativo di iniziativa privata per la trasformazione urbanistica del complesso edilizio ex <<Hotel Lido>> a Piediluco (ditta Impresa Ponteggia S.n.c.” adottato con delibera di G.C. n. 170 del 7 maggio 2014, approvato con delibera della G.C. n. 93 del 1 aprile 2015, della quale i ricorrenti assumono di avere avuto conoscenza a seguito della pubblicazione sul B.U.R. n. 28 (serie avvisi e concorsi) del 14 ottobre 2015; del parere di compatibilità paesaggistica, accordato dall’indicata Soprintendenza con nota 23luglio 2014, prot. n. 14325; del parere di non assoggettabilità alla procedura di valutazione di incidenza, di cui all’art. 6 del d.P.R. 12 marzo 2003, n. 120, accordato della Regione Umbria con nota prot. 160542 del 13 novembre 2014; del parere di compatibilità idrogeologica, idraulica e sismica (art. 89 D.P.R. n. 380/2001), espresso dalla Giunta Comunale con la impugnata delibera 7 maggio 2014, n. 170 (di adozione del P.A.) nonché del parere 11 aprile 2014 dalla Commissione Comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio. 2.Con il ricorso di prima istanza (N.R.G. 824/2015), gli odierni appellanti - sul presupposto di essere proprietari ognuno di un appartamento costituente parte di un edificio in Piediluco, una parete perimetrale del quale è in aderenza a quella dell’edificio (Albergo Lido) della Impresa Ponteggia S.n.c. di Ponteggia Massimo, Augusto e Stefano (società controinteressata) - avevano impugnato i medesimi atti, lamentando l’illegittimità degli atti di assenso edilizio, inclusi quelli presupposti di pianificazione generale e attuativa. 2.1. Il ricorso veniva affidato a otto motivi di gravame sussumibili nella violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere. I ricorrenti deducevano violazioni di carattere sia formale e procedimentale che sostanziale. 2.2.In particolare, quanto ai vizi di carattere procedimentale, essi deducevano: omessa comunicazione di avvio del procedimento di approvazione del piano attuativo; assenza del parere regionale in materia sismica; incompetenza della Commissione comunale per la qualità architettonica e del paesaggio a rendere tale parere; incompetenza della Giunta ad approvare il piano attuativo, in luogo del Consiglio comunale; difetto di motivazione dei pareri della medesima Commissione e della Soprintendenza; approvazione del piano regolatore comunale generale del Comune di Terni in difetto di V.A.S.; quanto ai vizi sostanziali: che il piano regolatore consentirebbe ristrutturazioni di tipo conservativo e non anche a carattere demolitorio come quella in contestazione; omessa valutazione preventiva per stabilire la necessità, o meno, di compiere l’iter di V.A.S.; omessa valutazione di incidenza degli interventi in contestazione; ricostruzione dell’edificio in contestazione con sagoma differente rispetto a quella originaria; errata classificazione dei lavori in questione come di “ristrutturazione edilizia” laddove si consentirebbe, invece, una nuova costruzione; illegittimo aumento di cubatura o superficie utile coperta; illegittimità dei condoni riguardanti l’edificio in contestazione. 2.3. Si costituivano in giudizio il Comune di Terni e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo - Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici. dell’Umbria per resistere al ricorso. 3.Il T.A.R. respingeva il ricorso e condannava i ricorrenti alle spese del giudizio. 4. Il giudice di prime cure osservava che: 4.a) sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento, trova applicazione l’art. 13 della legge n. 241 del 1990 nonché la legge regionale n. 11 del 2005; 4.b) sulla competenza della Commissione comunale per la qualità architettonica e del paesaggio a rendere il parere sismico, trova applicazione l’art. 24, comma 9, della citata legge regionale n. 11 del 2005; 4.c) sulla competenza della Giunta comunale in ordine al piano attuativo, la normativa nazionale introdotta dal c.d. decreto sviluppo (d.l. n. 70 del 2011), acconsente a che la Giunta possa deliberarne l’approvazione; 4.d) le valutazioni contenute nel parere reso dalla Commissione comunale appaiono sufficientemente motivate per relationem; 4.e) la motivazione resa nel parere espresso dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio dell’Umbra risulta essere stata ulteriormente esplicitata dalla medesima Soprintendenza in occasione del “Rapporto descrittivo dello sviluppo del procedimento”; 4.f) il vizio di difetto di V.A.S. è insuscettibile di inficiare la procedura in esame in quanto il PRG non è oggetto di impugnativa e il piano attuativo non apporta ad esso varianti; 4.g) l’intervento edilizio (demolizione e ricostruzione dell’edificio) è riconducibile alla tipologia della ristrutturazione edilizia in quanto, pur comportando una leggera modifica di sagoma - mediante arretramento del suo volume, per rendere l’edificio maggiormente omogeneo all’aggregato urbano di riferimento rispetto alla sponda del lago e contribuire, così, ad una maggiore godibilità dell’ambiente circostante mantenendo sostanzialmente inalterato il quadro d’insieme – esso è rispettoso del volume e contempla, altresì, una altezza inferiore rispetto a quella originaria. 5. Gli originari ricorrenti appellano la sentenza n. 750/2016 per i seguenti motivi. 5.a. Error in procedendo – Violazione dell’art. 70 del c.p.a. 5.a.a. Il T.A.R. ha omesso di esaminare la richiesta di riunione formulata dai ricorrenti per iscritto, in seno alla memoria di replica 16 settembre 2016, e per aver omesso la riunione del ricorso n. 849/2015 (ad oggetto: impugnazione dei condoni rilasciati dal Comune con riguardo a porzioni notevolmente rilevanti dell’edificio “Hotel Lido’ di Piediluco, quale la sopraelevazione di 3 piani dell’originario corpo, l’ampliamento mediante aggiunzione di una salone pranzo in avanzamento verso il lago, l’avanzamento del corpo centrale verso la Piazza Bonanni del centro di Piediluco) a quello n. 824/2015; la decisione sulla legittimità o meno dei condoni era di rilievo in ordine alla decisione giudiziale direttamente inerente il P.A. 5.b. Motivo correlato ai motivi VI/A e VII del ricorso di primo grado. Error in iudicando - Incompetenza – Violazione e falsa applicazione di legge (L.r. n. 11/2005 artt. 17 e 18 e L.r. n. 1/2015, Art. 31 e 32 ; D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 5, co. 13, lett. b) - Violazione e travisamento del P.R.G. - Violazione, mancata e falsa applicazione di legge (T.U. Edilizia D.P.R. n. 380/2001, art. 3, co. 1, lett. d) [secondo e terzo periodo] in correlazione all’art. 1, co 1, del medesimo T.U.) - Erronea e falsa applicazione di legge (L.r. n. 1/2004, art. 3, co. 1, lett. d) [come sostituita dall’art. 52, comma 2, L.R. 16 settembre 2011, n. 8]): 5.b.b. Il P.R.G. vigente prevede la conservazione delle connotazioni dei fabbricati esistenti. Le N.T.A. [del P.P. del Centro storico di Piediluco] in particolare l’art. 10 (trascritto nella delibera di G.C. n. 93/2015) consentono sì ristrutturazioni, ma a carattere conservativo, atteso che le modifiche di sagoma sono ammesse per le sole coperture, e che l’art. 56, co. 2, delle N.T.A. del P.R.G. p.o. (del 2008) stabilisce, per le << zone a insediamenti residenziali storici>> “Gli interventi in queste zone sono finalizzati alla salvaguardia delle caratteristiche storico-tipologiche degli edifici e dell’impianto urbano …”. Il TAR, non si sarebbe curato di prendere in considerazione le disposizioni pianificatorie primarie, bensì ha sostenuto, in ritenuto contrasto rispetto alle richiamate prescrizioni di P.R.G, che le opzioni di radicale trasformazione per via di demolizione e nuova sostitutiva costruzione, introdotte e consentite dal Piano impugnato, sarebbero coerenti con le citate regole di pianificazione generale. L’affermata coerenza è ritenuta errata “là dove, invece, è stata sostituita una scelta di radicale trasformazione del contesto urbano e paesaggistico a una sovraordinata opzione conservativa. Il P.A. ha variato, rispetto al P.R.G., le scelte urbanistiche riguardanti il punto centrale del paese di Piediluco, variazione questa necessariamente di competenza consiliare per disposto di legge”. E’ lo stesso D.P.R. n. 380/2001, all’art. 3, co. 1, lett. d). [secondo e terzo periodo], in correlazione all’art. 1, co 1, del medesimo T.U., a stabilire che, quanto ad immobili ricadenti in ambiti paesaggisticamente protetti e vincolati (come appunto il paese di Piediluco), non possono essere praticati interventi di innovazione edilizia consistenti in demolizioni e ricostruzioni innovative quanto a sagoma. 5.c. Errores in procedendo ed in iudicando – Travisamento - Violazione, mancata e falsa applicazione di legge (T.U. Edilizia D.P.R. n. 380/2001, art. 3, co. 1, lett. d) [secondo e terzo periodo] in correlazione all’art. 1, co 1, del medesimo T.U.) - Erronea e falsa applicazione di legge (L.r. n. 1/2004, art. 3, co. 1, lett. d) [come sostituita dall’art. 52, comma 2, L.R. 16 settembre 2011, n. 8]). 5.c.c. Il contesto paesaggistico in cui ricade l’intervento è protetto in virtù di specifico provvedimento ed ex lege (vincolo paesaggistico ex D.M. 5 gennaio 1976 e d.lgs. n. 42/2004, art. 136, e sito di interesse comunitario ex D.P.R. n. 357/1997). Il Comune, nel consentire una demolizione integrale seguita da ristrutturazione con sagoma differente, e con il qualificare consimile intervento come di “ristrutturazione” (con ciò che ne consegue in tema di regole e quantità edificatorie) contrasta con le disposizioni di legge. Dal confronto e dalla disamina delle tavole, di P.A., n. 2 “elaborato stato di fatto” e n. 3 “elaborato di progetto” emergerebbe l’errore commesso dal T.A.R., la fallacità del decisum in correlazione alle norme in rubrica, nonché il fatto che il piano attuativo stesso abilita a demolire e ricostruire con radicalmente difforme sagoma. Gli atti ufficiali consentono di dire e ritenere che “sia stata rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente” e “non consentono, quindi, di dar spazio ad un’iniziativa edificatoria affrancandola - quanto a distanze dai confini, quanto ad arretramento dalle strade e piazze, quanto a standards da rispettare - dall’osservanza delle vigenti regole sull’uso del territorio e sui rapporti di vicinato mediante una qualificazione interdetta dalla legge”. Le componenti grafico-progettuali del P.A. attesterebbero, infatti, il contrario, posto che per “sagoma” di un edificio è da intendersi la conformazione planovolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti. Nel caso di specie, il contorno e il perimetro dell’esistente e del progettato differirebbero marcatamente. 5.d. Doglianza correlata al motivo VI/C del ricorso di primo grado - Errores in procedendo ed in iudicando – Travisamento - Violazione e falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 380/2001, art. 3, co. 1, lettere d) [secondo e terzo periodo] ed e), in relazione al ed in combinato con il R.R. n. 9/3 novembre 2008, art. 25, co. 2 (ora, dall’art. 25 co. 2, della L.r. n. 1 del 2015; N.T.A. del P.R.G., Art. 29, co. 3; art. 8 del D.M. n. 1444/1968; art. 3 co. 1, lett. d), del T.U. edilizia); art. 66 del c.p.a. 5.d.d. Il piano attuativo prevede la realizzazione di un edificio che per le sue connotazioni, non può essere qualificabile come ristrutturazione, bensì come “nuova costruzione”. In particolare: - l’arretramento del sostitutivo nuovo edificio, contemplato dal piano, dal ciglio (carrabile) di via Noceta misura da circa ml. 4,00 a ml. 2,00 (tale ultima esigua misura all’angolo con piazza Bonanni); l’arretramento rispetto a detta piazza misura da ml. 2,50 (all’altezza del menzionato angolo) a ml. 4,50 circa. Tanto, in violazione delle norme in rubrica che stabiliscono, quanto ad aree interne ai centri abitati, per strade di larghezza inferiore a ml. 7, l’arretramento di minimo 5,00 ml; - il Piano consente che l’edificio sostitutivo ascenda, al colmo, ad altezza maggiore rispetto alla vicinissima chiesa romanica di S. Francesco; - sotto questo profilo, il TAR non avrebbe preso in esame gli indizi forniti dalla perizia di parte, né si sarebbe avvalso dell’ausilio di cui all’art. 66 del c.p.a. per il riscontro di quanto risultante dalla citata perizia di parte. 5.e. Errores in iudicando - Violazione e falsa applicazione di legge e dei principi generali (Art. 117 della Costituzione -- T.U. Edilizia, art. 89, c. 1; art. 4 L.r. n. 1/2004 ed artt. 24 co. 9, e 37, co. 3, della L.r. n. 11/2005) - Eccesso di potere - Incompetenza della Commissione per la qualità architettonica e del paesaggio. 5.e.e. La decisione risulterebbe errata al confronto con l’art. 24 della L.R. 11 del 2005, norma, quest’ultima, in base alla quale è stato respinto il motivo di ricorso proposto avverso la censura di incompetenza della Commissione comunale. Detta norma, con lo stabilire che il Comune in sede di adozione (quindi, per esso, uno degli organi politici dell’ente) “esprime parere ai fini dell'articolo 89 del D.P.R. n. 380/2001… , sentito il parere della commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio”, altro non avrebbe stabilito se non che anche l’ente pianificatore deve esprimersi riguardo alla tematica della compatibilità sismica del piano in avvio di iter di approvazione, ma, ciò, senza porre nel nulla (detto art. 24 della legge regionale) la regola di legge statale, che obbliga alla richiesta di parere all’ufficio regionale competente in materia sismica. E invero, se il disposto del comma 9 dell’art. 24 della L.r. n. 11/2005 fosse da intendere derogatorio rispetto all’art. 89 del D.P.R. n. 380 del 2001, la norma regionale in questione sarebbe viziata da incostituzionalità per violazione dell’art. 117 della Carta e ne dovrebbe essere valutata la sua rimessione alla Corte per l’esame di legittimità costituzionale. 5.f. Errores in iudicando ed in procedendo - Travisamento – inadeguata motivazione della sentenza – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990 e dei principi generali in materia di atti amministrativi. 5.f.f. La motivazione del parere è carente. Il TAR ha ritenuto sufficiente la motivazione per relationem ai verbali, tuttavia dai verbali non risulterebbe essere stato compiuto alcun raffronto tra i valori paesaggistici del contesto e l’opera edilizia in fieri; inoltre, nei detti verbali non risulterebbe espresso alcun giudizio di compatibilità fra il fabbricato realizzando ex P.A. ed il vincolo/valore paesaggistico dell’ambito di intervento, e men che meno risulta un giudizio motivato adeguatamente. 5.f.f.f. Anche la motivazione del parere favorevole reso dalla Soprintendenza beni architettonici e paesaggistici dell’Umbria, del 23 luglio 2014, n. 14325, reso <in conseguenza dell’aver visto “la relazione tecnica illustrativa dell’Amministrazione di cui in oggetto”>, sarebbe illegittimo per apoditticità. Il TAR non ha, infatti, accolto la censura sulla scorta del soprintendentizio “Rapporto descrittivo dello sviluppo del procedimento”. Tuttavia, tale scritto risulterebbe “1) acquisito al giudizio in data e forma ignota; 2) datato “Perugia, 4 novembre 2013” ; 3) privo di numero di protocollo; 4) palesemente funzionale ad integrare il parere impugnato, ma ex post rispetto alla conclusione del procedimento di pianificazione attuativa, dato che nell’oggetto’ reca riferimento al “Ricorso al TAR con sospensiva Avv. Chiaranti Renato e Stefanini Ersilia”. 5.g. Errores in procedendo ed in iudicando – Travisamento, per erronea interpretazione del petitum – Violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 1 del c.p.a., e dei correlati principi generali. 5.g.g. Il Tribunale di primo grado avrebbe del tutto omesso di decidere in ordine al quarto motivo del ricorso introduttivo, relativo alla omessa V.A.S. ai fini dell’approvazione del piano attuativo che, per i piani inerenti siti di interesse comunitario (quale è il Lago di Piediluco), risulta necessaria ai sensi del d.lgs, 3 aprile 2006, n. 152, art. 6, commi 3 e 3-bis, ed art. 12. 5.h. Errores in procedendo ed in iudicando – Violazione e falsa applicazione di legge (art. 5 del D.P.R. n. 357/1997, segnatamente co. 7) - Travisamento, per erronea interpretazione del petitum – Violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 1 del c.p.a., e dei correlati principi generali. 5.h.h. Il giudice di primo grado non ha correttamente esaminato la censura dedotta col quinto motivo di ricorso, relativa alla omessa valutazione, non della VAS bensì, della incidenza sul sito Piediluco, di interesse comunitario. La Regione non avrebbe curato la verificazione d’incidenza, né si sarebbe espressa motivatamente riguardo alle indicazioni in merito all’incidenza contenute negli elaborati del P.A. 6. Si sono costituiti in giudizio, per resistere all’appello, il Comune di Terni, il Ministero dei beni e delle attività culturali e l’impresa Ponteggia S.n.c. di Ponteggia Massimo Augusto e Stefano. 6.1. Il Comune, oltre a chiedere il rigetto dell’appello, ha eccepito l’inammissibilità del motivo col quale è stata introdotta in primo grado, e riproposta in appello, la censura relativa all’asserito difetto di competenza della Commissione comunale a rendere il parere sismico. 7. Con atto di appello R.G. n. 4828/2017, i signori Renato Chiaranti ed Ersilia Stefanini propongono appello avverso la sentenza del T.A.R. per l’Umbria n. 751/2016, assunta nella camera di consiglio del 12 ottobre 2016, pubblicata il 6 dicembre 2016, di cui chiedono l’annullamento o riforma. 8. Con il ricorso di primo grado (R.G. n. 849/2015), integrato con motivi aggiunti proposti successivamente al deposito documentale dell’Amministrazione, gli odierni appellanti, premesso di essere proprietari ognuno di un appartamento costituente parte di un edificio in Piediluco (C.so Raniero Salvati, ove risiede la ricorrente sig.ra Stefanini) una parete perimetrale del quale è in aderenza a quella dell’edificio (Albergo Lido) della controinteressata, avevano chiesto l’annullamento della concessione edilizia in sanatoria 3 agosto 2011, prot. 113861, relativa a lavori di tamponatura al piano terra su due lati di un portico con infissi metallici e parapetto in muratura, ampliamento al piano primo lato sud, ampliamento in sopraelevazione degli interi piano quarto e piano quinto; della concessione edilizia in sanatoria 3 agosto 2011, prot. 113880, relativa a: realizzazione di un locale, ad uso sala ristorante, al piano primo dell’ala nord-ovest entrambe concernenti l’edificio già Albergo Ristorante Lido, in Terni, Loc. Piediluco, Piazza Bonanni n. 2, Foglio catastale 170, Particelle 116 e 117 ; e di tutti gli atti - preparatori, connessi, istruttori, consultivi - dei procedimenti che hanno portato al rilascio delle impugnate concessioni edilizie a sanatoria, segnatamente dei pareri della Commissione Edilizia Comunale integrata, espressi, rispettivamente, nelle sedute del 17 giugno 2003 e del 19 aprile 2007, nonché degli atti di nomina della suddetta Commissione. 9. Questi i motivi del gravame in prime cure: 9.1. Violazione erronea e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 146, c. 4 e 5, del d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 2; c. 1, lett. s), del d.lgs. n. 63 del 2008; 9.2. Violazione dell’art. 146, commi 6, 7 e 8, del d.lgs. n. 42 del 2004, nel testo vigente pre-modifiche apportate dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157; violazione dell'art. 32, c. 1 e 4, della L. n. 47 del 1985, anche in reciproca relazione; nonché violazione del principio di tipicità ed eccesso di potere per lacune istruttorie; 9.3. Violazione erronea e falsa applicazione di legge, oltre che dei principi generali (art. 97 della Cost. e L. n. 241/1990, art. 2; art. 32 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 39 della L 23 dicembre 1994, n. 724); eccesso di potere per difetto o carenza di motivazione, carenze istruttorie, illegittimità dei presupposti; 9.4. Eccesso di potere sotto vari profili sintomatici, in relazione alla illegittimità degli atti presupposti alle concessioni edilizie in sanatoria. 9.5. In sintesi, i ricorrenti lamentavano il difetto del nulla osta di competenza della Soprintendenza; la mancata trasmissione dei pareri alla Soprintendenza per il controllo di legittimità; mancata esplicitazione delle ragioni per le quali l’intervento edilizio oggetto di condono possa ritenersi compatibile con il contesto paesistico circostante; omessa analisi di compatibilità dell’opera rispetto alla morfologia, ante e post operam, abusiva; apoditticità delle affermazioni. 10. Il T.a.r. respingeva il ricorso per le seguenti motivazioni: 10.1. L’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, come risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, lett. s), del d.lgs. n. 63 del 2008, non può applicarsi al caso di specie, atteso che i condoni impugnati sono stati rispettivamente incardinati in data 30 settembre 1986 e 3 marzo 1995, e ricadono quindi ratione temporis nella disciplina normativa di cui alla legge n. 1497/1939 (Protezione delle bellezze naturali) ed alla legge della Regione Umbria n. 29/1984 (Norme urbanistiche ed ambientali modificative ed integrative delle leggi regionali 3 giugno 1975, n. 40, 9 maggio 1977, n. 20, 4 marzo 1980, n. 14, 18 marzo 1980, n. 19 e 2 maggio 1980, n. 37), che non prevedono affatto che la Soprintendenza si debba necessariamente esprimere con un parere a carattere obbligatorio e/o vincolante. 10.2. La Commissione edilizia ha specificatamente motivato il proprio giudizio sul rilievo del mancato pregiudizio delle vedute panoramiche oggetto di tutela; 10.3. E’ stata rappresentata alla Soprintendenza, in caso di eventuale esercizio del sindacato di legittimità di propria competenza, la possibilità di visionare la documentazione (ai fini del controllo di legittimità). 10.4. La mancata analisi della compatibilità dell’opera rispetto alla morfologia del contesto di riferimento, ante e post operam, sia dal punto di vista paesaggistico che ambientale, è circostanza insuscettibile di inficiare il condono edilizio n. 113861/2011, tenuto conto delle positive valutazioni espresse al riguardo dalla Soprintendenza e dalla Commissione Edilizia Comunale Integrata. 11. Nel gravarsi in appello avverso la sentenza del T.a.r., gli appellanti deducono i seguenti motivi. 11.1. Error in procedendo – Violazione dell’art. 70 del c.p.a. Il T.a.r. ha omesso di esaminare la richiesta di riunione formulata dai ricorrenti per iscritto, in seno alla memoria di replica 16 novembre 2016, e per aver omesso la riunione del ricorso 849/2015 al ricorso n. 824/2015. 11.2. Error in iudicando - Violazione erronea e falsa applicazione di legge (art. 146, co. 4 e 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 2, co. 1, lett. s), del d.lgs. n. 63 del 2008, in relazione alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 32, co. 1, nonché falsa ed errata applicazione della L.R Umbria n. 29 del 1984). Il T.a.r. ha errato nel ritenere inapplicabile l’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 nel testo modificato dal d.lgs. n. 63 del 2008 in ragione della anteriorità delle date di “incardinamento” dei due procedimenti di condono (1986 e 1995), e affermando l’applicabilità, nei casi di specie, della L. n. 1497/1939 e di quella della Regione Umbria n. 29/1984, e non del d.lgs. n. 42 del 2004: l’autorità preposta alla tutela del vincolo avrebbe dovuto tenere conto della disciplina vigente al momento in cui era chiamata a valutare la domanda di sanatoria, in quanto oggetto del giudizio è l’attuale compatibilità dei manufatti realizzati abusivamente. 11.3. Errores in procedendo ed in iudicando – Violazione erronea e falsa applicazione di legge (art. 146, commi 6, 7, 8, del d.lgs. n. 42 del 2004, nel testo vigente pre-modifiche apportate dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, ed altresì dell’art. 32, c. 1 e 4, della L. n. 47 del 1985, anche in reciproca relazione; nonché violazione del principio di tipicità. Il T.a.r. ha errato nel non ritenere la necessità della partecipazione co-decisionale al procedimento della Soprintendenza statale, mediante invio degli atti alla medesima. 11.4. Falsa applicazione dei principi generali e delle norme di legge (art. 97 della Costituzione, art. 3 della L. n. 241/1990, art. 32 della L. n. 47/1985) - Carenze nella motivazione della sentenza. L’affermazione del T.a.r. secondo cui il “mancato pregiudizio delle vedute panoramiche oggetto di tutela” integra una motivazione adeguata, è in contrasto con l’esigenza di “mettere in chiaro le ragioni della compatibilità dell’opera, realizzata senza titolo e in difetto di autorizzazione paesaggistica, con i valori protetti”. 11.5. Error in iudicando – Falsa applicazione dei principi generali e violazione di essi e delle norme di legge (Art. 97 della Costituzione, Art. 3 della L. n. 241/1990, Art. 32 della L. n. 47/1985) - Illogicità della motivazione. Non è in sintonia con la ratio delle norme in rubrica, l’affermazione del T.a.r. secondo cui la segnalata possibilità di visionare gli atti, i progetti e le foto “concessa” dall’Associazione dei Comuni alla Soprintendenza non avrebbe privato il “parere” e la “sanatoria” di validità. 11.6. Falsa applicazione dei principi generali e violazione di essi e delle norme di legge (art. 97 della Costituzione, art. 3 della L. n. 241/1990, art. 32 della L. n. 47/1985) - Violazione del principio di tipicità degli atti e dei procedimenti amministrativi - Travisamento - Illogicità della motivazione. Non vi sarebbe traccia delle “asserite, positive valutazioni della Soprintendenza”. 12. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Terni e l’impresa Ponteggia S.n.c. di Ponteggia Massimo Augusto e Stefano. 12.1. Il Comune di Terni, oltre a chiedere il rigetto dell’appello, eccepisce l’inammissibilità del gravame, già dedotta in primo grado, per non avere controparte “neppure allegato una circostanza attualmente e concretamente pregiudizievole per i propri interessi”. 12.2. L’Ente locale reitera, altresì, l’eccezione di irricevibilità dei motivi aggiunti al ricorso di primo grado per tardività. I documenti, avverso i quali è stato proposto il ricorso per motivi aggiunti in primo grado, sono stati depositati in giudizio il 13 novembre 2015, data da cui decorre la loro piena conoscenza legale; la notifica dell’atto si è perfezionata per il richiedente con la sua consegna al servizio postale il 9 febbraio.2016, dunque, oltre il decorso del termine di sessanta giorni dal deposito dei documenti in giudizio. 13. Parte appellante ha controdedotto, puntualmente e in fatto, alle eccezioni di inammissibilità e irricevibilità dei gravami. 14. All’udienza del 13 maggio 2021, gli appelli sono stati trattenuti per la decisione. DIRITTO 15. Preliminarmente, il Collegio dispone la riunione dei ricorsi in ragione della loro connessione soggettiva e oggettiva. 16. Con un primo motivo di appello (articolato in entrambi i gravami), è stata dedotta la violazione dell’art. 70 del c.p.a. Il T.a.r., sostengono gli appellanti, avrebbe omesso di esaminare la richiesta di riunione dei ricorsi n. 824/2012 (deciso con la sentenza oggi all’esame dell’appello) e n. 849/2015 (recante ad oggetto i condoni edilizi inerenti il medesimo edificio). 17. Il motivo è infondato. 17.1. I ricorsi in questione sono stati decisi dal T.a.r. per l’Umbria con sentenze n. 750/2016 e 751/2016 nella medesima camera di consiglio del 12 ottobre 2016. La circostanza attesta la trattazione congiunta dei due ricorsi, modalità questa che risponde alla medesima ratio sottesa alla “riunione”. 17.2. Giova, comunque, ricordare che la riunione dei ricorsi è in facoltà e non in obbligo del giudice, che la può disporre, nella sussistenza della identità di causa petendi o petitum, laddove esigenze di concentrazione e sinteticità dei giudizi suggeriscano l’opportunità di una decisione uno actu, anche per scongiurare eventuali conflitti tra giudicati. L’esercizio della facoltà, come la sua omissione, non è, pertanto, un motivo di invalidità della sentenza. In ogni caso, la disposta riunione dei giudizi nel presente grado di appello rende in parte superata la questione. 18. Si può passare all’esame di merito degli appelli. 19. Per priorità logica, il Collegio ritiene di dover principiare dall’appello rubricato al R.G. n. 4828/2017. 20. Gli appellanti contestano la sentenza del T.a.r. per l’Umbria n. 751/2017 che ha respinto il ricorso proposto avverso le concessioni edilizie del 3 agosto 2011, prot. n. 113861 e prot. n. 113880. 20.1. I motivi di appello sono incentrati, principalmente e sostanzialmente, sulla dedotta violazione dell’art. 146 del d.lgs n. 42 del 2004, meglio sul mancato coinvolgimento della Soprintendenza statale investita in via primaria e codecisionale del parere-autorizzazione funzionale alla tutela del paesaggio. 21. Il T.a.r. ha respinto il ricorso sul presupposto che non troverebbe applicazione alla fattispecie (rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria) la citata fonte normativa, nel testo modificato dal d.lgs. n. 63 del 2008, in ragione della anteriorità delle date di “incardinamento” dei due procedimenti di condono (1986 e 1995). 22. Prima di esaminare nel merito i menzionati motivi, occorre, tuttavia, scrutinare le eccezioni di inammissibilità e irricevibilità formulate dal Comune di Terni. 22.1. Nell’ordine di trattazione, il Collegio ritiene di procedere dall’esame della eccezione di inammissibilità. 22.2. L’Amministrazione civica sostiene che gli appellanti non avrebbero comprovato la propria legittimazione ad agire, per avere gli stessi omesso di allegare un concreto pregiudizio derivante alla personale sfera patrimoniale, distinta dalla mera vicinitas, essa s’appalesa infondata. Il rilievo è stato formulato in primo grado e riproposto in appello. 23. Il Collegio osserva che la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione diretta all’ottenimento di una “qualsiasi” decisione di merito. 23.1. L’esistenza della condizione deve riscontrarsi “esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza” (Cons. Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3657). 23.2. Con riguardo specifico alle controversie relative all’impugnazione di un titolo edilizio, deve darsi atto di due orientamenti contrapposti (v. Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2019, n. 2025). 23.4. Il primo e tradizionale orientamento, tutt’ora seguito, è quello che ritiene la vicinitas, intesa quale stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 30 settembre 2019, n. 6521), elemento sufficiente a radicare la legittimazione e l’interesse ad agire in giudizio, senza che sia necessario, da parte del ricorrente, fornire la prova di un pregiudizio concreto ed effettivo arrecato alla sua sfera giuridica dal provvedimento impugnato (Cons. Stato, Sez. II, 14 ottobre 2019, n. 6938; Sez. IV, 24 aprile 2019, n. 2645; sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5307; Cons. Stato, Sez. IV, 20 agosto 2018, n. 4969; id., sez. IV, 26 luglio 2018, n. 4583). Una recente sentenza di questo Consiglio (Sez. VI, 29 marzo 2019, n. 2100) ha puntualizzato come “la giurisprudenza ha riconosciuto il criterio della vicinitas di per sé idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2010 n. 2565), assorbendo in sé anche il profilo dell’interesse all’impugnazione, qualora ad impugnare sia il proprietario confinante (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 29 dicembre 2010 n.9537). … deve aggiungersi che, nell’ambito degli abusi edilizi, la giurisprudenza ritiene il pregiudizio del confinante in re ipsa, dato che ogni edificazione abusiva incide sull'equilibrio urbanistico e sull’ordinato sviluppo del territorio (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2861; Cons. di Stato, Sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3180)”, così ribadendo e confermando l’orientamento tradizionale. 23.5. Il secondo e più recente orientamento, invece, ritiene necessario che il ricorrente fornisca la “prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute ed all’ambiente” (Cons. Stato, Sez. II, 1 giugno 2020, n. 3440; Sez. IV, 13 marzo 2019 n. 1656; Sez. IV, 22 giugno 2018, n. 3843; Sez. IV, 15 dicembre 2017 n. 5908; Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4830). 23.6. Sotto quest’ultimo profilo, va dato atto che gli appellanti hanno lamentato in primo grado il pregiudizio ad essi derivante dalle superfetazioni condonate (tra cui, la sopraelevazione dell’Albergo Lido di un piano e di un ulteriore torrino scale e vano di accesso al piano di copertura; un locale uso ristorante) che “incombono sull'edificio del quale sono parte le unità residenziali dei ricorrenti”. In particolare, essi hanno prospettato che “la sopraelevazione da un lato confina con lo stabile al civico n. 44/a, di C.so Raniero Salvati”, e che le superfetazioni condonate “si interpongono tra gli affacci e terrazzi da/di detti appartamenti e le sponde del lago, restringendo il cono visuale goduto dalle dette unità abitative”. 23.7. Tale circostanza non è stata contestata dalle controparti. 23.8. La fattispecie concreta all’esame del Collegio permette di prescindere dal prendere posizione per uno o per l’altro orientamento, in quanto è incontestato che l’abitazione degli appellanti è posta nelle vicinanze dell’area dove dovrebbe realizzarsi la assentita ristrutturazione (i cui lavori non sono ancora iniziati in attesa che venga definita l’intera controversia: vedi istanza di prelievo datata 20 luglio 2020, versata agli atti del fascicolo di appello n. 4825/2017) ed è parimenti comprovato che da essa scaturirà una compromissione della veduta panoramica. 23.9. La circostanza che la compromissione della fruizione del panorama – quale elemento di pregio del bene di cui gli appellati sono proprietari – potrebbe avvenire anche solo in misura minima, parziale o marginale non assume, invero, alcun rilievo per disconoscere la titolarità di un interesse da difendere in giudizio e, dunque, la stessa legittimazione ad agire, rilevando come unico valore la tutela del proprio bene, cui si correlano gli interessi giuridici di protezione che l’ordinamento riconosce a prescindere dalla consistenza materiale o economica dei medesimi. 23.10. Le considerazioni che precedono, in punto di fatto, fanno ragione anche sulla sussistenza, in capo agli appellanti, dell’interesse ad agire, compiutamente rappresentato dai ricorrenti in primo grado laddove è stato evidenziato come, dal rilascio dei titoli edilizi reputati illegittimi, sarebbe scaturita, in mancanza della proposizione dell’azione di annullamento, la preclusione della vista panoramica. 23.11. Va soggiunto, infine, che l’interesse ad agire neppure potrebbe essere revocato in dubbio dalla circostanza che le opere abusive, ritenute pregiudizievoli, fossero preesistenti al condono edilizio, così che la condizione dell’azione si sarebbe inverata in epoca precedente al rilascio dei titoli edilizi oggi avverati. Lo stato di abusività delle opere, se permette, infatti, al confinante di sollecitare i poteri di controllo e repressivi contemplati dalla legislazione di settore, non altrettanto consente di legittimarlo all’azione di annullamento in difetto di un titolo da impugnare. Ragion per cui, soltanto nel momento in cui l’amministrazione competente avrà adottato i provvedimenti del caso (demolitori, di sanatoria, di condono, ecc…) insorgerà l’interesse ad agire in capo ai rispettivi soggetti lesi. 24. Si può passare, ora, all’esame di merito dell’appello n. 4828/2017. 25. L’appello è infondato. 26. La sua infondatezza consente di prescindere dall’esame della eccezione di irricevibilità dei motivi aggiunti al ricorso di primo grado, formulata dal Comune di Terni nella memoria di costituzione. 27. Con un primo ordine di motivi, gli appellanti hanno dedotto violazione dell’art. 146 del d.lgs n. 42 del 2004, per il mancato coinvolgimento della Soprintendenza statale investita in via primaria e co-decisionale del parere-autorizzazione funzionale alla tutela del paesaggio. 27.1. Il T.a.r. ha respinto il ricorso sul presupposto che non troverebbe applicazione alla fattispecie (rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria) la suddetta fonte normativa, nel testo modificato dal d.lgs. n. 63 del 2008, in ragione della anteriorità delle date di “incardinamento” dei due procedimenti di condono (1986 e 1995). 27.2. La tesi dell’Amministrazione comunale, condivisa dal giudice di primo grado, è, dunque, che le norme di cui al d.lgs n. 42 del 2004 non troverebbero applicazione al procedimento de quo in quanto incardinato in data 30 settembre 1986, nella vigenza della legge n. 1497/1939 e della legge della Regione Umbria n. 29/1984. 28. I motivi sono infondati. 28.1. A dire degli appellanti, difetterebbe il parere della Soprintendenza ai BB CC e AA, configurante “una valutazione di merito amministrativo espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico”. 28.2. Sul punto, va richiamata la giurisprudenza amministrativa (cfr sez. VI, sentenza 17 maggio 2013, n. 4492, pure richiamata dagli appellanti ma con una sua lettura solo parziale) secondo la quale va applicato il procedimento autorizzatorio ordinario paesaggistico ex art. 146 del Codice dei beni culturali (anche) per le richieste di condono edilizio depositate in ogni epoca (nella specie, due condoni), sulle quali tuttavia ancora non si sono avute manifestazioni di diniego e accoglimento in ambito paesaggistico. 28.3. Il Consiglio di Stato, con la citata pronuncia, si è espresso nel senso di ritenere l’applicabilità della disciplina “a regime” di cui all’art. 146, che, secondo la previsione dell’art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, si applica “anche ai procedimenti di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica che, alla data del 31 dicembre 2009, non si siano ancora conclusi con l’emanazione della relativa autorizzazione o approvazione”. 28.4. Ebbene, nel caso di specie i procedimenti di condono edilizio si sono conclusi in data 3 agosto 2011 (dopo l’entrata in vigore della novella normativa richiamata dagli appellanti). Tuttavia, il procedimento avente prot. 113880, richiama il parere favorevole della Commissione edilizia comunale integrata del 17 giugno 2003; quello avente prot. 113861, richiama il parere favorevole della medesima Commissione del 19 aprile 2007. Inoltre, la delibera con la quale l’Esecutivo dell’Associazione Intercomunale del Comprensorio n.12 della Conca Ternana ha espresso parere favorevole per i divisati lavori per quanto attiene al punto di vista ambientale, è datata 22 settembre 1989 (atto n. 387/1989). 28.5. Va da sé che, i procedimenti di autorizzazione paesaggistica, volti alla verifica della compatibilità ambientale dei lavori in questione (oggetto delle domande di condono) con i vincoli esistenti, si erano già conclusi alla data di entrata in vigore della novella legislativa di cui al d.lgs n. 63 del 2008. Ragion per cui, correttamente l’Amministrazione civica ha considerato acquisiti ai procedimenti di condono edilizio i rispettivi provvedimenti. 28.6. Il novum normativo evocato dagli appellanti ha, infatti, riguardato la fase del procedimento nella quale erano stati (già) adottati atti preparatori, la cui adozione aveva avuto la funzione di determinare la situazione giuridica necessaria a che l’atto conclusivo del procedimento, che li presuppone (rilascio delle sanatorie edilizie), potesse legittimamente sorgere; novum che ha inciso su requisiti di atti già adottati. 28.7. La regola dello ius superveniens, applicata ai procedimenti in corso secondo il criterio della loro suddivisione in fasi, comporta, pertanto, che i menzionati atti, adottati nel regime ratione temporis vigente (vale a dire prima della modifica apportata all’art. 146 del d.lgs n. 42 del 2004 dal d.lgs n. 63 del 2008), hanno conservato, anche sotto la vigenza della nuova legge, la loro validità, finendo per fungere da legittimi presupposti per i successivi e conclusivi provvedimenti di sanatoria. 29. Con altro ordine di motivi, gli appellanti hanno lamentato, comunque, il mancato coinvolgimento della Soprintendenza ai fini dell’esercizio del potere di controllo ratione temporis vigente. 30. I motivi sono infondati. 30.1. Giova chiarire che il provvedimento recante il nulla osta di compatibilità ambientale è stato rilasciato dalla Associazione Intercomunale della Conca Ternana ai sensi della legge Regione Umbria 8 giugno 1984, n. 29, e in forza dell’art. 9 della medesima legge che reca(va) la “subdelega” di funzioni amministrative ai Consorzi comprensoriali e alle Comunità Montane. 30.2. La delibera recante il detto nulla osta è stata trasmessa, in osservanza a quanto disposto dall’art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431, al Sindaco del Comune di Terni, alla Regione Umbria e alla Soprintendenza per i Beni Ambientali per l’esercizio del sindacato di legittimità di competenza ministeriale, ratione temporis vigente: sindacato che il Ministero dei Beni Culturali – Soprintendenza dell’Umbria, non risulta abbia esercitato. 30.3. Risulta, dunque, per tabulas l’acquisizione al procedimento del nulla osta ambientale nonché il positivo coinvolgimento-interessamento dell’autorità preposta alla gestione delle funzioni amministrative di cui alla legge n. 1497 del 1939 e all’art. 9 della legge della Regione Umbria n. 29 del 1984. 30.4. Tanto basta per respingere anche le censure articolate sub specie di deficit istruttorio e motivazionale dei condoni per non essere stato, il nulla osta, asseritamente preso in esame dal dirigente che ha rilasciato il detto titolo. La concordanza motivazionale nel rilascio di entrambi i provvedimenti (nulla osta ambientale e condono) nonché la natura vincolata in parte qua del provvedimento finale, sono sufficienti ad eludere ogni sospetto in tal senso adombrato. 31. Gli istanti lamentano il deficit istruttorio e motivazionale anche degli atti di assenso ambientale. 31.1. Le censure non sono fondate. 31.2. Sulla compatibilità ambientale delle opere in questione si sono espressi due organismi diversi in tre circostanze separate: il Comitato esecutivo dell’Associazione Intercomunale della Conca Ternana (organo sub-delegato dalla Regione all’esercizio della competenza in materia) e la commissione edilizia integrata (quest’ultima nel 2003, sul subprocedimento n. 9103/773 e nel 2007 sul sub-procedimento n. 9103/774). 31.3. Il coinvolgimento di più organismi sulla medesima questione di compatibilità ambientale, revoca in dubbio l’attendibilità della censura di difetto di istruttoria. 31.4. Quanto al difetto di motivazione, ferme le conclusioni rassegnate dal T.a.r., può soggiungersi che l’esplicitazione pur sintetica di compatibilità ambientale e di carenza di pregiudizio nei sensi articolati nel provvedimento di nulla osta e nei pareri, s’appalesa sufficiente e congruente in quanto supportata da una concordanza di valutazioni positive, prive di contraddittorietà intrinseca ed estrinseca. 31.5. Trattandosi di esercizio di ampia discrezionalità amministrativa, l’eccesso di potere denunciato dagli appellanti sconta un rafforzato regime di prova, idoneo a inferire la manifesta irragionevolezza o illogicità, ictu oculi percepibile, oppure il palese travisamento dei fatti; profili sintomatici che non si riscontrano nella circostanza alla stregua dell’incedere dell’istruttoria e delle valutazioni effettuate di cui sopra è stata data illustrazione. 32. In conclusione, l’appello in esame è infondato e va, pertanto, respinto. 33.Si può passare, ora, all’esame del gravame n. 4825/2017. 33.1. Gli appellanti censurano il Piano attuativo di iniziativa privata per la trasformazione urbanistica del complesso edilizio ex <<Hotel Lido>> a Piediluco, adottato con delibera di G.C. n. 170 del 7 maggio 2014, approvato con delibera della G.C. n. 93 del 1 aprile 2015, del quale i ricorrenti assumono di avere avuto conoscenza a seguito della pubblicazione sul B.U.R. n. 28 (serie avvisi e concorsi) del 14 ottobre 2015. 33.2. Contestano, in particolare: a) il parere di compatibilità idrogeologica, idraulica e sismica reso espresso dalla Giunta Comunale con la impugnata delibera 7 maggio 2014, n. 170 (di adozione del P.A.) ai sensi dell’art. 89 d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 24, c. 9 della legge della Regione Umbria 22 febbraio 2005, n. 11 (recante “Norme in materia di Governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale”); b) il parere di compatibilità paesaggistica, accordato dalla Soprintendenza con nota 23 luglio 2014, prot. n. 14325; c) il parere di non assoggettabilità alla procedura di valutazione di incidenza, di cui all’art. 6 del d.P.R. 12 marzo 2003, n. 120, accordato della Regione Umbria con nota prot. 160542 del 13 novembre 2014. 34. Con un primo ordine di rilievi, gli appellanti censurano il vulnus arrecato alle garanzie partecipative. 34.1. La censura non è fondata. 34.2. Correttamente il TAR ha applicato alla fattispecie l’articolo 13 della legge n. 241 del 1990 che esclude siffatta categoria di atti (id est, di pianificazione) dalla partecipazione disciplinata al Capo III della legge n. 241 del 1990. Per quest’ultima, infatti, la partecipazione si collega al concetto di interesse ed è a tutela di posizioni sostanziali. Si tratta di partecipazione uti singuli, preordinata alla tutela di una posizione soggettiva, in funzione “egoistica”, ovvero individuale e personale. 34.3. L’esclusione sancita dall’articolo 13 è coerente con questa impostazione giacché i singoli procedimenti quivi scanditi contemplano una diversa e apposita partecipazione, dove la legittimazione è data non dalla posizione soggettiva bensì dal possesso di uno status. 35. Con altro ordine di rilievi, gli appellanti hanno censurato l’omessa, previa verifica di assoggettabilità a V.A.S. e V.INC.A. del piano attuativo in base al quale è stato assentito l’intervento edificatorio. 35.1. I motivi sono stati articolati nel ricorso di primo grado ai punti “IV”: “IV.A” - “IV.B”, e riproposti ai punti “VII” e “VIII” dell’appello incidentale. 35.2. Il T.a.r. ha respinto i suddetti motivi perché “nel caso di specie il p.r.g. richiamato da parte ricorrente non è oggetto di impugnativa, sicché il lamentato vizio di difetto di V.A.S. è insuscettibile di inficiare la procedura in esame, anche in ragione del fatto che il piano attuativo riguardante gli interventi demolitori in questione, non apporta alcuna variante al predetto strumento urbanistico generale (cfr., in termini, la “valutazione di non incidenza” espressa sul punto dall’Amministrazione regionale con nota del 13 novembre 2014, prot. n. 160542)”. 35.3. I motivi sono infondati. 35.4. Il sito del lago di Piediluco è di interesse comunitario. Ricade in area sottoposta a tutela protetta ex art. 136, comma 1, lett. c) e d) del d.lgs n. 42/2004, per effetto del D.M. 5 gennaio 1976. Il piano particolareggiato del Comune è stato approvato dalla Regione Umbria con determina dirigenziale 28 giugno 2002, n. 5810. Le sue prescrizioni consentivano, nel centro di Piediluco, ristrutturazioni conservative, escludendo demolizioni integrali e ricostruzioni. Il piano regolatore, approvato nel dicembre 2008, ha recepito tali prescrizioni. Il piano attuativo (adottato con deliberazione 7 maggio 2014, n. 170) ha previsto la demolizione dell’ex Albergo Lido e la sua ricostruzione, con talune diverse destinazioni d’uso (originariamente abitativo) e forme. Il piano regolatore, nella vigenza del quale il piano attuativo è stato adottato, prevede “la conservazione delle connotazioni dei fabbricati esistenti, consentendo unicamente la eliminazione delle superfetazioni e modifiche delle coperture”. Segnatamente, l’art. 10 delle N.T.A., ripreso nel piano attuativo, consente ristrutturazioni a carattere conservativo mentre le modifiche di sagoma sono ammesse per le sole coperture; l’articolo 56, comma 2, delle stesse N.T.A. del PRG del Comune stabilisce che per le << ZONE A INSEDIAMENTI RESIDENZIALI STORICI>> “Gli interventi in queste zone sono finalizzati alla salvaguardia delle caratteristiche storico-tipologiche degli edifici e dell’impianto urbano…”. In punto di fatto, il piano attuativo ha, dunque, apportato modifiche allo strumento urbanistico generale (quanto a tipologia di interventi effettuabili nella zona), sia pure minori e relative una piccola area a livello locale. 35.5. L’articolo 6, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”) stabilisce che “Viene effettuata una valutazione ambientale strategica per tutti i piani e i programmi: (…) per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d’incidenza ai sensi dell’articolo 5 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni”. Il successivo comma 3 dispone che “Per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale è necessaria qualora l’autorità competente valuti che producano impatti significativi sull’ambiente, secondo le disposizioni di cui all’articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell’area oggetto di intervento”. 35.6. Orbene, l’area in cui ricade l’intervento è a livello locale, ha una consistenza piccola e le modifiche apportate al Piano generale, sia pure minori, hanno comunque inciso sulla tipologia degli interventi effettuabili nell’area in questione, apportando, quindi, modifiche al piano generale e particolareggiato. L’intervento ricade, dunque, nel paradigma normativo di cui agli artt. 6 e 12 del d.lgs n. 152 del 2006, a mente dei quali la necessità della valutazione ambientale (di incidenza) deve scontare una previa verifica circa la capacità del detto intervento di produrre impatti significativi sull’ambiente. La giurisprudenza di questo Consiglio, richiamata anche dagli appellanti, è nel senso che “Quando un progetto comporta variante allo strumento urbanistico generale in un’area di importanza comunitaria, va fatta applicazione dell’art. 5 del D.P.R. n. 357/1997 il quale richiede la valutazione dell’incidenza dell’intervento da realizzare sui siti ‘protetti’” (sentenza 8 agosto.2006, n. 4778). 35.7. Ebbene, nella circostanza tale valutazione da parte dell’autorità competente c’è stata. Essa si ricava de plano e per tabulas dalla nota della Regione Umbria datata 13 novembre 2014, prot. 160542. Si legge nell’oggetto della nota: “Direttiva 92/43/CEE; D.P.R. 357/1997 e s.m. e i. L.R. 27/2000 e D.G.R. n. 5/2009; Valutazione di Incidenza. Richiesta di non assoggettabilità per ‘Piano Attuativo di iniziativa privata per la trasformazione urbanistica del complesso edilizio ex Albergo Lido’. Loc. Piediluco. Comune di Terni. Prop. Ponteggia Massimo Augusto”. Questo il contenuto del parere espresso dal responsabile del procedimento, arch. Augusto Tiberini: “A seguito di Vostra nota, acquisita agli atti con Prot. n. 135129 del 15/10/2014; si esprime parere favorevole alla realizzazione degli interventi”. La nota, sia pure dal carattere “sintetico” della motivazione, ha valore di VINCA favorevole e anche di esclusione dell’assoggettabilità a VAS (è espressamente richiamata la direttiva VAS). Detta nota, conosciuta dagli appellanti per essere stata menzionata nel giudizio di primo grado e per essere stata conosciuta in esito alla sua produzione in giudizi, non è stata avversata nel merito della valutazione favorevole espressa dall’autorità competente. Le censure sono proposte in modo estremamente generico e al solo fine di volere revocare in dubbio l’idoneità della nota a valere come espressione del giudizio di assogettabilità a verifica, laddove il documento è inconfutabilmente reso a tale fine e gli appellanti bene avrebbero fatto ad avversarlo con specifiche censure. 36. Con altro motivo di ricorso, gli appellanti hanno censurato il parere di idoneità sismica che il Comune ha reso a supporto del Piano adottato, per violazione all’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001 (incompetenza), prospettando, al riguardo, l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, c. 9 della L.R. Umbria 22 febbraio 2005, n. 11, per contrasto con l’art. 117, Cost. 37. Deve essere, innanzitutto, esaminata l’eccezione di inammissibilità del relativo motivo articolato sul presupposto della tardiva impugnazione del Piano attuativo adottato. 37.1. L’eccezione è infondata. 37.1.1. In primo luogo, va osservato che l’Ente locale, al fine di sostenere l’eccezione, prende a riferimento temporale la data di adozione del piano (atto n. 170 del 7 maggio 2014) e la sua pubblicazione sul B.U.R.L. (giugno 2014), probabilmente muovendo dalla lettura dell’articolo 89, c. 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 che prevede la richiesta di “parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione …”. Sennonché, ai fini processuali, ovvero dell’inveramento dell’interesse ad agire come condizione dell’azione, rileva, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, ai sensi dell’articolo. 41, c. 2, c.p.a., la data di pubblicazione sul B.U.R.L. della delibera di approvazione del Piano, rappresentando questo il momento della definitiva composizione dell’assetto di interessi urbanistici inveranti il profilo della concreta lesività. Il Piano è stato approvato con delibera della G.C. n. 93 del 1 aprile 2015, e pubblicata sul B.U.R. n. 28 (serie avvisi e concorsi) il 14 luglio 2015. Il Comune non ha comprovato la tardività rispetto a tale momento di decorrenza del termine di impugnativa. 37.1.2. In secondo luogo si può aggiungere, in via più generale, che, secondo i consolidati principi, le norme degli strumenti urbanistici – fuori dell’ipotesi, qui non sussistente, in cui producano direttamente effetti lesivi nella proprietà degli interessati – non vanno impugnate immediatamente, ma possono essere censurate solo unitamente agli atti che ne fanno applicazione: pertanto, nella specie non vi era alcun onere di immediata impugnativa del Piano, del quale non sussisteva un carattere immediatamente lesivo (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 26 aprile 2019, n. 2680; sez. IV, 19 gennaio 2018, n. 332; idem sez. IV, n. 5235 del 2015). 37.2. Nel merito, l’esame del motivo di appello (incompetenza dell’organo comunale a rendere il parere di compatibilità sismica) sconta l’applicazione alla fattispecie dell’articolo dell’art. 24, c. 9, legge regione Umbria 22 febbraio 2005, n. 11 (recante “Norme in materia di Governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale”). 37.2.1. La norma in commento così recita: “Il comune, in sede di adozione del piano attuativo e tenuto conto della relazione geologica, idrogeologica e geotecnica, relativa alle aree interessate, nonché degli studi di microzonazione sismica di dettaglio nei casi previsti dalle normative vigenti, esprime parere ai fini dell’articolo 89 del D.P.R. n. 380/2001 ed ai fini idrogeologici e idraulici, sentito il parere della commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio”. Il parere di cui alla normativa di cui sopra, reso dal Comune, consiste, dunque, in una valutazione espressa sulla base dello studio sismico e afferente la compatibilità delle previsioni di progetto con le condizioni geomorfologiche del territorio. Il potere esercitato dal Comune (parere sismico reso sul Piano attuativo) trova, pertanto, fonte nell’art. 24, c. 9 della citata legge regionale n. 11 del 2005, che ha attribuito agli Enti locali la competenza riservata dall’articolo 89 del d.P.R. n. 380/2001 all’organo tecnico regionale di esprimere il parere ai fini idrogeologici e idraulici, sentito il parere della Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio. 38 La Sezione ha ragione di dubitare della conformità a Statuto della norma in esame e reputa, pertanto, sussistenti i presupposti per sollevare dinanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale delle norme contemplate nell’articolo 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto le stesse si porrebbero in contrasto con i principi fondamentali in materia di “governo del territorio” e di “protezione civile”, contenuti nell’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui il parere sugli strumenti urbanistici generali dei comuni siti in zone sismiche o in abitati da consolidare andrebbe richiesto al “competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera di approvazione, e loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio” (comma 1). 38.1. Sulla rilevanza della questione. 38.2. E’ stato sopra già chiarito che l’impugnativa del Piano attuativo risulta tempestiva. La riscontrata infondatezza del ricorso n. 4828/2017 proposto avverso le concessioni edilizie in sanatoria (appello scrutinato per primo), rende ancor più evidente tale rilevanza; come anche l’infondatezza delle altre censure appena sopra esaminate con riguardo all’appello ora in esame. La decisione sul presente ricorso (n.r.g. 4825/2017), quanto al vizio in esame, dovrebbe scontare, infatti, l’applicazione alla fattispecie, ratione temporis, della norma sospettata di incostituzionalità. E invero, qualora detta norma venisse caducata dalla Corte, ne conseguirebbe l’accoglimento del motivo di appello basato sulla incompetenza del Comune ad esprimere, in sede di adozione del piano attuativo, il parere ai fini dell’articolo 89 del d.P.R. n. 380/2001 ovvero il parere sismico in luogo dell’organo regionale a ciò deputato dalla fonte normativa di rango statale. 38.3. Sempre in punto di rilevanza, la Sezione ritiene di svolgere le seguenti, ulteriori considerazioni. 38.4. La norma di cui si discetta (articolo 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11) è stata abrogata dalla successiva legge regionale n. 11 del 2015 la quale, tuttavia, all’articolo art. 28, comma 10, ha riprodotto lo stesso, identico contenuto della precedente disposizione. Sennonché, l’articolo 28, comma 10, della legge regionale dell’Umbria n. 1/2015 è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza 5 aprile 2018, n. 68; più in particolare, il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, nella parte in cui stabiliscono che sono i Comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche. La questione di costituzionalità involge, pertanto, una norma (articolo 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11) non più in vigore nell’ordinamento giuridico ma che, ciò nonostante, è stata applicata ratione temporis alla fattispecie che ha originato la controversia, assumendo così connotati della rilevanza in concreto in forza del principio tempus regit actum. La Sezione non può, tuttavia, ignorare, ai fini della esaminanda rilevanza, la nota distinzione tra “disposizione” e “norma”; distinzione che riflette la dialettica tra legislazione e interpretazione. Per disposizione si intende la proposizione normativa (o enunciato) contenuta in un testo, per norma ciò che risulta a seguito dell’attività interpretativa di una disposizione. Ragion per cui, tra una disposizione e una norma non sussiste necessariamente un parallelismo perfetto potendo ad una norma corrispondere più disposizioni (il caso del “combinato disposto”) come anche ad una disposizione corrispondere, invece, norme diverse. Nella fattispecie in esame, le proposizioni normative recate dall’art. 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11 (applicato ratione temporis alla fattispecie e tuttora vigente come enunciato) e dall’art. 28, comma 10, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 (la cui disposizione è stata dichiarata incostituzionale) sono diverse. Pur tuttavia, le norme – quale frutto di esegesi delle due disposizioni - s’appalesano identiche. Per cui, alla controversia in esame andrebbe applicata una norma regionale (ovvero un “diritto concreto”) non più esistente nella corrente interpretazione che ne ha fornito la Corte costituzionale. Il che, espresso in altri termini, significherebbe applicare al rapporto tuttora ancora pendente una norma dichiarata incostituzionale eppur, tuttavia, presente nell’ordinamento giuridico come “diritto astratto”, in ragione della disposizione (testo legislativo) che la veicola. E’ poiché l’oggetto del sindacato di legittimità costituzionale sono, non sempre le disposizioni quanto, piuttosto, proprio le norme (si pensi alle c.d. sentenze interpretative, di accoglimento e di rigetto, e tutte le nuove tipologie di sentenze: manipolative, additive, sostitutive; incidono per l’appunto, non sul testo delle disposizioni legislative, bensì sul loro significato), si potrebbe essere indotti a ritenere che la norma recata dall’art. 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11, non sia più cogente a seguito della sentenza 5 aprile 2018, n. 68 abrogativa della stessa norma riprodotta nel testo degli artt. 28, co. 10, della legge regionale Umbria n. 1 del 2015 e, dunque, inapplicabile alla controversia. Un’attività interpretativa, questa, che finirebbe però per essere operata dal giudice a quo e sottratta alla Corte ma che potrebbe legittimarsi alla luce di altri principi costituzionali, anche di matrice eurounitaria, altrettanto rilevanti e immediatamente precettivi quali quelli di economia processuale, concentrazione dei giudizi nonché ragionevole durata del processo; opzione questa che, tuttavia, proprio perché di carattere interpretativo e proveniente dal giudice sfornito della competenza sull’annullamento delle leggi, non potrebbe sortire l’effetto espulsivo della norma dall’ordinamento giuridico la quale, pertanto, continuerebbe ad esistere nella gerarchia formale delle fonti potendo in tal modo generare incertezza negli operatori e nell’attività regolatrice dei rapporti amministrativi tuttora incisi temporalmente dalla norma in questione, finendo per compromettere altrettanti valori ordinamentali come l’effettività della tutela e la certezza del diritto. 38.5. La Sezione ritiene, quindi, rilevante, anche sotto tale ultimo profilo, la questione di legittimità della norma rimettendone lo scrutinio alla Corte affinché il giudice delle leggi chiarisca se il sindacato di legittimità può e deve essere esercitato tutte le volte che di “efficacia” (art. 136 Cost.) e di “applicazione” (art. 30, legge 11 marzo 1953, n. 87) della legge possa parlarsi - indipendentemente dalla avvenuta abrogazione della medesima ad opera di una legge regionale sopravvenuta ma ratione temporis inapplicabile o dalla dichiarazione di incostituzionalità che ha investito la norma sopravvenuta recante il medesimo contenuto precettivo - poiché tale legge resterebbe pur sempre “efficace” ed “applicabile” nei limiti consacrati dai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo. 38.6. Oppure se, a fronte di disposizioni diverse ma norme perfettamente identiche, la Corte ritiene che la declaratoria di incostituzionalità della norma successiva abbia una tale espansione abrogativa da esonerare il giudice a quo dalla necessità di operare, sempre e in ogni caso, il rinvio (anche) della norma anteriore, ab illo tempore vigente, il cui testo materiale continua ad essere presente nell’ordinamento gerarchico formale mentre il suo contenuto, identicamente riprodotto in una norma successiva poi dichiarata incostituzionale, non costituirebbe più, di fatto, il diritto vivente. 38.7. Va soggiunto, ad ogni buon fine, che la legge regionale n. 11 del 2005 (e con essa l’articolo 24, co. 10) è stata abrogata dalla successiva legge regionale n. 1 del 2015 (art. 271), a decorrere dalla data di entrata in vigore del nuovo testo unico (29 gennaio 2015). Deve ritenersi, quindi, che la norma in esame abbia prodotto effetti fino alla data del 29 gennaio 2015, regolando ratione temporis e tempus regit atum, il procedimento per cui è causa. 38.8. Anche per tal via, s’appalesa rilevante la questione di costituzionalità dell’articolo 24, co. 10, della legge regionale dell’Umbria n. 11 del 2005. 39. Sulla manifesta non infondatezza della questione. L’articolo 89 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, così recita: “1. Tutti i comuni nei quali sono applicabili le norme di cui alla presente sezione e quelli di cui all’articolo 61, devono richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera di approvazione, e loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio. 2. Il competente ufficio tecnico regionale deve pronunciarsi entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta dell'amministrazione comunale. 3. In caso di mancato riscontro entro il termine di cui al comma 2 il parere deve intendersi reso in senso negativo”. 39.1. Già con la sentenza n. 167 del 2014, La Corte costituzionale era stata chiamata ad affrontare la questione di legittimità sollevata in relazione all’articolo 10 della legge della Regione Abruzzo 16 luglio 2013, n. 20. La norma regionale così statuiva: “Non è necessaria l’acquisizione del parere di cui all’art. 89 del D.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 (ex art. 13 della Legge 3 febbraio 1974, n. 64) per varianti urbanistiche che non comportino un aumento della densità edilizia e/o modifiche della tipologia edilizia, qualora tale parere sia stato già acquisito in sede di pianificazione generale pur privo della valutazione sullo studio di microzonazione sismica di livello 1”. 35.2.3. Il giudice delle leggi - dopo avere chiarito che “l’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001 ha come suo oggetto gli strumenti urbanistici e le costruzioni nelle zone ad alto rischio sismico e come sua ratio la tutela dell’interesse generale alla sicurezza delle persone. Esso, pertanto, trascende l’ambito della materia del «governo del territorio» o altro ambito di competenza riservato al legislatore regionale, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica e della «protezione civile», come più volte affermato, in relazione a norme ritenute di principio dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, le richiamate sentenze n. 300, n. 101 e n. 64 del 2013, n. 201 del 2012, n. 254 del 2010), anche in specifico riferimento a funzioni ascritte agli uffici tecnici della Regione analoghe a quella in esame (sentenze n. 64 del 2013 e n. 182 del 2006)” - ha precisato che detto articolo 89 “riveste una posizione «fondante» di un determinato settore dell’ordinamento (ex plurimis, sentenze n. 282 del 2009, n. 364 del 2006, n. 336 del 2005), attesa la rilevanza del bene protetto, che involge i valori di tutela dell’incolumità pubblica, i quali non tollerano alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali”, per affermare, infine, che la norma regionale “introduce una deroga al principio fondamentale espresso dall’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001, non subordinando in alcun modo l’adozione delle varianti urbanistiche né all’acquisizione del previsto parere del competente ufficio tecnico regionale su tutti gli strumenti urbanistici, né al previo svolgimento dello studio di microzonazione sismica”. Il vulnus recato dalla menzionata norma è stato, dunque, individuato nella avere il legislatore regionale dell’Abruzzo pretermesso la verifica di compatibilità sismica per determinati tipi di interventi o varianti; esenzione che costituisce un vulnus grave e inderogabile al bene protetto (compatibilità geomorfologica del territorio), che involge i valori di tutela dell’incolumità pubblica, i quali non tollerano alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali. 39.2. La Corte costituzionale è tornata, di recente, sulla questione relativa alla competenza dell’ufficio tecnico regionale ad esprimere il parere sismico sugli strumenti di pianificazione urbanistica di primo e secondo livello. L’occasione è stata fornita dal ricorso formulato dalla Presidente del Consiglio dei ministri che ha promosso (tre le altre) questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 10, e dell’art. 56, comma 3, della sopravvenuta legge della Regione Umbria 21 gennaio 2015, n. 1, nella parte in cui, rispettivamente, il primo attribuiva al Comune, in sede di adozione del PRG, il compito di esprimere il parere sugli strumenti urbanistici generali dei comuni siti in zone sismiche o in abitati da consolidare, di cui all’art. 89 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; il secondo stabiliva che lo sportello unico delle attività produttive ed edilizie (SUAPE) acquisisca direttamente “i pareri che debbono essere resi dagli uffici comunali, necessari ai fini dell’approvazione del piano attuativo compreso il parere in materia sismica, idraulica ed idrogeologica, da esprimere con le modalità di cui all’articolo 112, comma 4, lettera d)”. 39.3. La Corte costituzionale, con la sentenza 5 aprile 2018, n. 68, ha ritenuto fondata la questione e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, nella parte in cui stabiliscono che sono i Comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche. 40. La Sezione ritiene che le medesime argomentazioni svolte dalla Corte nella sentenza n. 68/2015 e sottese alla censura di incostituzionalità delle norme colà annullate, valgano a revocare in dubbio la legittimità costituzionale dell’articolo 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11, quale fonte normativa efficace ratione temporis e applicata alla fattispecie controversa. 40.1. Muovendo, dunque, dalle considerazioni più volte affermate e ribadite dalla Corte secondo cui l’art. 89 del d.P.R. n. 380/2001 è norma di principio in materia non solo di “governo del territorio”, ma anche di “protezione civile”, in quanto volta ad assicurare la tutela dell’incolumità pubblica, se ne deve inferire che detta norma (di rango legislativo) si impone al legislatore regionale nella parte in cui in cui prescrive a tutti i Comuni, per la realizzazione degli interventi edilizi in zone sismiche, di richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati, nonché sulle loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio (comma 1); disciplina le modalità e i tempi entro cui deve pronunciarsi detto ufficio (comma 2); infine prevede che, in caso di mancato riscontro, il parere deve intendersi reso in senso negativo (comma 3). 40.2. Tale norma, al pari di altre ritenute di principio dalla giurisprudenza della Corte (cfr. sentenze n. 167 del 2014, n. 300, n. 101 e n. 64 del 2013, n. 201 del 2012, n. 254 del 2010), anche in specifico riferimento a funzioni ascritte agli uffici tecnici della Regione analoghe a quella in esame (sentenze n. 64 del 2013 e n. 182 del 2006), “riveste una posizione ‘fondante’ […] attesa la rilevanza del bene protetto, che involge i valori di tutela dell’incolumità pubblica, i quali non tollerano alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali” (sentenza n. 167 del 2014). 40.3. Le disposizioni regionali di cui all’art. 24, c. 9, pertanto, nella parte in cui assegnano ai Comuni – piuttosto che al competente ufficio tecnico regionale ‒ il compito di rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche, si pongono in contrasto con il principio fondamentale posto dall’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001. 40.4. Va soggiunto che, neppure appare rilevante la circostanza che l’art. 20 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (“Ulteriori norme per l’accelerazione delle procedure per l’esecuzione di opere pubbliche”) avesse consentito alle Regioni di prevedere uno snellimento delle procedure e di introdurre norme per l’adeguamento degli strumenti urbanistici generali e particolareggiati vigenti, nonché sui criteri per la formazione degli strumenti urbanistici ai fini della prevenzione del rischio sismico. 40.5. Sul punto, la Corte costituzionale ha già chiarito che “l’intera materia è stata oggetto di una più recente completa regolazione, che si è tradotta nelle vigenti disposizioni di cui al d.P.R. n. 380 del 2001 […] il quale ha fatto venire meno – anche in mancanza di formale abrogazione – le possibilità di deroga di cui all’art. 20 della legge n. 741 del 1981” (sentenza n. 64 del 2013; nello stesso senso, sentenza n. 182 del 2006). 40.6. La disposizione in esame, dunque, si pone, ad avviso della Sezione, in netto contrasto con i principi fondamentali in materia di “governo del territorio” e di “protezione civile” contenuti nel citato art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001. Secondo quest’ultimo, infatti, il parere sugli strumenti urbanistici generali dei comuni siti in zone sismiche o in abitati da consolidare deve essere richiesto al “competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera di approvazione, e loro varianti, ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio” (comma 1). 41. Per le considerazioni che precedono deve ritenersi, pertanto, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n. 11, nella parte in cui stabilisce che sono i Comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche, stante il suo contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in ragione della interposta norma rafforzata, espressione di un principio generale dell’ordinamento giuridico, rappresentata dall’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001. In conclusione, per quanto sin qui argomentato: -va definitivamente respinto l’appello n.r.g.. 4828/2017; -va parzialmente respinto l’appello n.r.g. 4825/2017, come in motivazione, e per il resto va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo dell’art. 29, c. 9, della L.R. Umbria 25 febbraio 2005, n. 11, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede che “Il comune, in sede di adozione del piano attuativo e tenuto conto della relazione geologica, idrogeologica e geotecnica, relativa alle aree interessate, nonché degli studi di microzonazione sismica di dettaglio nei casi previsti dalle normative vigenti, esprime parere ai fini dell’articolo 89 del D.P.R. n. 380/2001 ed ai fini idrogeologici e idraulici, sentito il parere della commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio”; per l’effetto, va sospeso in parte qua, il relativo giudizio previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione del suindicato incidente di costituzionalità. Le spese di entrambi gli appelli sono riservate al definitivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), previa loro riunione, così provvede sugli appelli n. 4825/2017 e n. 4828/2017: 1) definitivamente pronunciando sull’appello n.r.g.. 4828/2017, lo respinge. 2) in parte respinge l’appello n.r.g. 4825/2017 e per il resto dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 29, c. 9, della L.R. Umbria 25 febbraio 2005, n. 11, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede che “Il comune, in sede di adozione del piano attuativo e tenuto conto della relazione geologica, idrogeologica e geotecnica, relativa alle aree interessate, nonché degli studi di microzonazione sismica di dettaglio nei casi previsti dalle normative vigenti, esprime parere ai fini dell'articolo 89 del D.P.R. n. 380/2001 ed ai fini idrogeologici e idraulici, sentito il parere della commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio”; 3) sospende, per l’effetto, il giudizio sull’appello n.r.g. 4825/2017 e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 4) rinvia ogni ulteriore statuizione di merito all’esito del giudizio incidentale promosso con la presente pronuncia; 6) ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente della Giunta regionale dell’Umbria, nonché comunicata al Presidente del Consiglio regionale dell’Umbria. Spese di entrambi gli appelli al definitivo. Ordina che la presente sentenza/ordinanza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 13 maggio e10 giugno 2021 con l’intervento dei magistrati: Raffaele Greco, Presidente Oberdan Forlenza, Consigliere Luca Lamberti, Consigliere Alessandro Verrico, Consigliere Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore Raffaele Greco, Presidente Oberdan Forlenza, Consigliere Luca Lamberti, Consigliere Alessandro Verrico, Consigliere Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore IL SEGRETARIO
Edilizia – Piano regolatore  – Umbria – Parere ex art. 89, d.P.R. n. 380 del 2001 – Art. 29, comma 9, l. reg. Umbria n-. 11 del 2005 – Competenza dei Comuni, anziché dell’ufficio tecnico regionale competente – Rilevanza e non manifesta infondatezza.              E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 9, l. reg. Umbria 25 febbraio 2005, n. 11, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui stabilisce che sono i Comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche, stante il suo contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in ragione della interposta norma rafforzata, espressione di un principio generale dell’ordinamento giuridico, rappresentata dall’art. 89, d.P.R. n. 380 del 2001 (1).    (1) Ha chiarito che l’art. 24, comma 9, l. reg. Umbria 25 febbraio 2005, n.11 è stato abrogato dalla successiva legge regionale n. 11 del 2015 la quale, tuttavia, all’art. 28, comma 10, ha riprodotto lo stesso, identico contenuto della precedente disposizione.  Sennonché, l’articolo 28, comma 10, della legge regionale dell’Umbria n. 1/2015 è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza 5 aprile 2018, n. 68; più in particolare, il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 28, comma 10, e 56, comma 3, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, nella parte in cui stabiliscono che sono i Comuni, anziché l’ufficio tecnico regionale competente, a rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche.  La questione di costituzionalità involge, pertanto, una norma (articolo 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11) non più in vigore nell’ordinamento giuridico ma che, ciò nonostante, è stata applicata ratione temporis alla fattispecie che ha originato la controversia, assumendo così connotati della rilevanza in concreto in forza del principio tempus regit actum.  La Sezione non può, tuttavia, ignorare, ai fini della esaminanda rilevanza, la nota distinzione tra “disposizione” e “norma”; distinzione che riflette la dialettica tra legislazione e interpretazione.  Per disposizione si intende la proposizione normativa (o enunciato) contenuta in un testo, per norma ciò che risulta a seguito dell’attività interpretativa di una disposizione. Ragion per cui, tra una disposizione e una norma non sussiste necessariamente un parallelismo perfetto potendo ad una norma corrispondere più disposizioni (il caso del “combinato disposto”) come anche ad una disposizione corrispondere, invece, norme diverse.  Nella fattispecie in esame, le proposizioni normative recate dall’art. 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11 (applicato ratione temporis alla fattispecie e tuttora vigente come enunciato) e dall’art. 28, comma 10, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 (la cui disposizione è stata dichiarata incostituzionale) sono diverse.  Pur tuttavia, le norme – quale frutto di esegesi delle due disposizioni - s’appalesano identiche.  Per cui, alla controversia in esame andrebbe applicata una norma regionale (ovvero un “diritto concreto”) non più esistente nella corrente interpretazione che ne ha fornito la Corte costituzionale. Il che, espresso in altri termini, significherebbe applicare al rapporto tuttora ancora pendente una norma dichiarata incostituzionale eppur, tuttavia, presente nell’ordinamento giuridico come “diritto astratto”, in ragione della disposizione (testo legislativo) che la veicola.   E’ poiché l’oggetto del sindacato di legittimità costituzionale sono, non sempre le disposizioni quanto, piuttosto, proprio le norme (si pensi alle c.d. sentenze interpretative, di accoglimento e di rigetto, e tutte le nuove tipologie di sentenze: manipolative, additive, sostitutive; incidono per l’appunto, non sul testo delle disposizioni legislative, bensì sul loro significato), si potrebbe essere indotti a ritenere che la norma recata dall’art. 24, c. 9, della legge della Regione Umbria 25 febbraio 2005, n.11, non sia più cogente a seguito della sentenza 5 aprile 2018, n. 68 abrogativa della stessa norma riprodotta nel testo degli artt. 28, co. 10, della legge regionale Umbria n. 1 del 2015 e, dunque, inapplicabile alla controversia.  Un’attività interpretativa, questa, che finirebbe però per essere operata dal giudice a quo e sottratta alla Corte ma che potrebbe legittimarsi alla luce di altri principi costituzionali, anche di matrice eurounitaria, altrettanto rilevanti e immediatamente precettivi quali quelli di economia processuale, concentrazione dei giudizi nonché ragionevole durata del processo; opzione questa che, tuttavia, proprio perché di carattere interpretativo e proveniente dal giudice sfornito della competenza sull’annullamento delle leggi, non potrebbe sortire l’effetto espulsivo della norma dall’ordinamento giuridico la quale, pertanto, continuerebbe ad esistere nella gerarchia formale delle fonti potendo in tal modo generare incertezza negli operatori e nell’attività regolatrice dei rapporti amministrativi tuttora incisi temporalmente dalla norma in questione, finendo per compromettere altrettanti valori ordinamentali come l’effettività della tutela e la certezza del diritto.   La Sezione ritiene, quindi, rilevante, anche sotto tale ultimo profilo, la questione di legittimità della norma rimettendone lo scrutinio alla Corte affinché il giudice delle leggi chiarisca se il sindacato di legittimità può e deve essere esercitato tutte le volte che di “efficacia” (art. 136 Cost.) e di “applicazione” (art. 30, legge 11 marzo 1953, n. 87) della legge possa parlarsi - indipendentemente dalla avvenuta abrogazione della medesima ad opera di una legge regionale sopravvenuta ma ratione temporis inapplicabile o dalla dichiarazione di incostituzionalità che ha investito la norma sopravvenuta recante il medesimo contenuto precettivo - poiché tale legge resterebbe pur sempre “efficace” ed “applicabile” nei limiti consacrati dai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo.   Oppure se, a fronte di disposizioni diverse ma norme perfettamente identiche, la Corte ritiene che la declaratoria di incostituzionalità della norma successiva abbia una tale espansione abrogativa da esonerare il giudice a quo dalla necessità di operare, sempre e in ogni caso, il rinvio (anche) della norma anteriore, ab illo tempore vigente, il cui testo materiale continua ad essere presente nell’ordinamento gerarchico formale mentre il suo contenuto, identicamente riprodotto in una norma successiva poi dichiarata incostituzionale, non costituirebbe più, di fatto, il diritto vivente.  Va soggiunto, ad ogni buon fine, che la legge regionale n. 11 del 2005 (e con essa l’articolo 24, co. 10) è stata abrogata dalla successiva legge regionale n. 1 del 2015 (art. 271), a decorrere dalla data di entrata in vigore del nuovo testo unico (29 gennaio 2015).   Deve ritenersi, quindi, che la norma in esame abbia prodotto effetti fino alla data del 29 gennaio 2015, regolando ratione temporis e tempus regit atum, il procedimento per cui è causa.  Anche per tal via, s’appalesa rilevante la questione di costituzionalità dell’articolo 24, co. 10, della legge regionale dell’Umbria n. 11 del 2005.  Sulla manifesta non infondatezza della questione.  L’articolo 89 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, così recita:   “1. Tutti i comuni nei quali sono applicabili le norme di cui alla presente sezione e quelli di cui all’articolo 61, devono richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera di approvazione, e loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio.   2. Il competente ufficio tecnico regionale deve pronunciarsi entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta dell'amministrazione comunale.   3. In caso di mancato riscontro entro il termine di cui al comma 2 il parere deve intendersi reso in senso negativo”.  Muovendo  dalle considerazioni più volte affermate e ribadite dalla Corte secondo cui l’art. 89 del d.P.R. n. 380/2001 è norma di principio in materia non solo di “governo del territorio”, ma anche di “protezione civile”, in quanto volta ad assicurare la tutela dell’incolumità pubblica, se ne deve inferire che detta norma (di rango legislativo) si impone al legislatore regionale nella parte in cui in cui prescrive a tutti i Comuni, per la realizzazione degli interventi edilizi in zone sismiche, di richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati, nonché sulle loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio (comma 1); disciplina le modalità e i tempi entro cui deve pronunciarsi detto ufficio (comma 2); infine prevede che, in caso di mancato riscontro, il parere deve intendersi reso in senso negativo (comma 3).  Tale norma, al pari di altre ritenute di principio dalla giurisprudenza della Corte (cfr. sentenze n. 167 del 2014, n. 300, n. 101 e n. 64 del 2013, n. 201 del 2012, n. 254 del 2010), anche in specifico riferimento a funzioni ascritte agli uffici tecnici della Regione analoghe a quella in esame (sentenze n. 64 del 2013 e n. 182 del 2006), “riveste una posizione ‘fondante’ […] attesa la rilevanza del bene protetto, che involge i valori di tutela dell’incolumità pubblica, i quali non tollerano alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali” (sentenza n. 167 del 2014).   Le disposizioni regionali di cui all’art. 24, c. 9, pertanto, nella parte in cui assegnano ai Comuni – piuttosto che al competente ufficio tecnico regionale ‒ il compito di rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali e attuativi dei Comuni siti in zone sismiche, si pongono in contrasto con il principio fondamentale posto dall’art. 89 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Edilizia
https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/clausola-sociale-nelle-gare-di-appalto
Clausola sociale nelle gare di appalto
N. 06761/2020REG.PROV.COLL. N. 01530/2020 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 1530 del 2020, proposto da Le Macchine Celibi soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Fornasari e Cristina Rimondi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Fornasari in Bologna, viale Aldini, n. 88; contro Comune di Modena, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Maini, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; Comune di Modena - Settore Cultura, Sport e Politiche Giovanili, non costituito in giudizio; nei confronti Open Group soc. coop. sociale onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Grazzini, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Firenze, p.zza Vittorio Veneto, n. 1; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, Sezione Seconda, n. 00018/2020, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Modena e della Open Group soc. coop. sociale onlus; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, Cod. proc. amm.; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il Cons. Alberto Urso, uditi per le parti gli avvocati Fornasari e Grazzini e preso atto della richiesta di passaggio in decisione, senza discussione, depositata dall’avv. Maini; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con determina a contrarre del 28 gennaio 2019 e successivo bando spedito per la pubblicazione il 15 febbraio 2019 il Comune di Modena indiceva procedura di gara per l’affidamento dei servizi bibliotecari per le biblioteche del medesimo comune e il polo bibliotecario modenese SBN. Risultava prima classificata in graduatoria Le Macchine Celibi soc. coop., la quale veniva tuttavia esclusa a seguito di verifica sul rispetto dei minimi salariali: l’offerta proposta era infatti reputata complessivamente incongrua e non conforme a siffatti minimi, nonché tale da non assicurare il rispetto della clausola sociale e delle previsioni del capitolato di gara. Unitamente a tale esclusione la stazione appaltante procedeva allo scorrimento della graduatoria di gara in favore della seconda classificata Open Group soc. coop. sociale onlus. 2. Le Macchine Celibi proponeva ricorso avverso tale provvedimento e gli altri atti di gara dinanzi al Tribunale amministrativo per l’Emilia Romagna che, nella resistenza del Comune di Modena e della Open Group, con la sentenza segnata in epigrafe respingeva il ricorso. 3. Avverso la sentenza ha proposto appello Le Macchine Celibi deducendo: I) erronea reiezione del primo motivo di ricorso avente a oggetto violazione di legge, in particolare dell’art. 97 d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 3 l. n. 241 del 1990, eccesso di potere e violazione dei principi del contraddittorio, di trasparenza, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, difetto di motivazione; II) erronea reiezione del secondo motivo di ricorso avente a oggetto violazione di legge, in particolare dell’art. 97 d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 3 l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di motivazione e motivazione contraddittoria, violazione dei principi di trasparenza, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa; III) erronea reiezione del terzo motivo di ricorso avente a oggetto violazione di legge, in particolare dell’art. 97 d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 3 l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di motivazione, violazione dei principi di trasparenza, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, difetto di ragionevolezza. L’appellante ha proposto anche domanda di risarcimento del danno, già avanzata in primo grado. 4. Si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello il Comune di Modena e la Open Group, la quale ha altresì riproposto ex art. 101, comma 2, Cod. proc. amm. alcune eccezioni rimaste assorbite in primo grado. 5. All’esito dell’udienza pubblica del 15 ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione con cui gli appellati deducono che Le Macchine Celibi non avrebbe mosso specifiche doglianze alla sentenza ai sensi dell’art. 101 Cod. proc. amm. limitandosi a riprodurre i motivi di ricorso di primo grado, ciò che condurrebbe all’inammissibilità dell’appello. È sufficiente rilevare che Le Macchine Celibi enuclea in modo sufficientemente dettagliato le ragioni di doglianza nei confronti della sentenza, i cui capi criticati pure chiaramente individua (v., al riguardo, infra, sub § 2 ss.): il che vale di per sé a ritenere infondata l’eccezione sollevata. 1.1. Le altre eccezioni preliminari formulate possono essere esaminate unitamente al merito, afferendo a profili strettamente connessi a questo (v. infra, sub § 3 ss.). 2. Col primo motivo di gravame l’appellante censura il rigetto della doglianza con cui aveva dedotto in primo grado la violazione del contraddittorio in relazione alla verifica della congruità del costo della manodopera e alla correlata valutazione eseguita dall’amministrazione in ordine alla complessiva adeguatezza dell’offerta. Al riguardo l’appellante pone in risalto che il giudizio negativo espresso dall’amministrazione si baserebbe su elementi - fra i quali, in particolare, il mancato rispetto della clausola sociale e l’insostenibilità di alcuni costi, anzitutto relativi alle attrezzature - non rientranti nelle richieste di chiarimenti inviate dal Comune, e non sottoposti perciò al contraddittorio con Le Macchine Celibi. 2.1. Il motivo non è fondato. 2.1.1.Va premesso che le verifiche sulle quali si fonda il provvedimento finale d’esclusione si sono articolate essenzialmente in due fasi. Con una prima richiesta di giustificativi del 18 aprile 2019 il Comune domandava chiarimenti sui costi della manodopera, in specie sul rispetto dei minimi salariali ai sensi dell’art. 95, comma 10 e 95, comma 5, lett. d), d.lgs. n. 50 del 2016, chiedendo in particolare spiegazioni a Le Macchine Celibi sui profili inerenti “alla sua organizzazione, al numero di persone che dedica all’appalto ed alla tipologia di contratti in cui questo è inquadrato”; Le Macchine Celibi rispondeva con nota del 30 aprile 2019. Seguiva un’ulteriore richiesta nella quale la stazione appaltante ampliava lo spettro dell’indagine, muovendo dalla considerazione che non risultava dimostrata la congruità e realizzabilità dell’offerta, né veniva dimostrato che il prezzo offerto fosse sufficiente ad assicurare lo svolgimento del servizio secondo le modalità previste nel capitolato e nell’offerta tecnica “anche in relazione agli obblighi e agli impegni a tutela del personale impiegato”. Il Comune rappresentava così che “il ribasso del 14% […] offerto determina[va] uno scostamento al ribasso dell’importo a base di gara talmente elevato, sia in termini assoluti che nel raffronto con le altre offerte in gara, da richiedere un serio ulteriore approfondimento al fine di tutelare l’interesse pubblico a che il servizio [fosse] affidato a fronte di un’offerta congrua e non temeraria”. In tale contesto richiamava anche un “calcolo del tutto teorico e apparentemente discutibile del costo del lavoro supplementare” e l’azzeramento completo dell’Irap, paventando una possibile “esecuzione non rispettosa degli obblighi in materia di contratti di lavoro e lesiva dei diritti dei lavoratori” e chiedendo ulteriori chiarimenti sull’offerta economica, con particolare riferimento al costo della manodopera. Le Macchine Celibi replicava con nota del 14 maggio 2019, cui seguiva il provvedimento espulsivo che riteneva l’offerta dell’appellante non congrua rispetto a varie voci di costo, nonché difforme dalle previsioni della lex specialis in quanto violativa della clausola sociale; in relazione all’adeguatezza dei costi veniva contestata anche la previsione di un costo della manodopera eccessivamente ridotta e tale da non assicurare la tutela dei diritti dei lavoratori, non venendo in particolare riconosciuta a questi l’anzianità già maturata presso il precedente gestore del servizio (i.e., la controinteressata Open Group). 2.1.2. Ciò premesso, emerge anzitutto - sul piano procedurale - l’effettiva realizzazione del contraddittorio con l’interessata, essendosi susseguito un doppio scambio di richiesta di chiarimenti e conseguente replica di Le Macchine Celibi che ben corrisponde al modello d’interlocuzione previsto dall’art. 97 d.lgs. n. 50 del 2016 per la fase di verifica della congruità dell’offerta. Sotto altro profilo, occorre rilevare che Le Macchine Celibi, soffermandosi nelle note di chiarimento sul costo della manodopera e l’inquadramento dei dipendenti da assorbire, prendeva anche espressa posizione sull’applicazione della clausola sociale (cfr. la nota del 30 aprile 2019, che dedica apposito paragrafo al tema) e sulle correlate questioni inerenti il personale già impiegato nell’appalto (cfr. la nota del 14 maggio 2019, spec. par. 5) e corrispondente imposizione Irap (cfr., ancora, la nota del 14 maggio 2019, spec. par. 3), mostrando così di aver rettamente inteso, in senso omnicomprensivo, i rilievi mossi dall’amministrazione anche “in relazione agli obblighi e agli impegni a tutela del personale impiegato”. Sulla questione dell’applicazione della clausola sociale come correlata al tema del costo del lavoro si è pertanto realizzato il contraddittorio. Allo stesso modo l’appellante si è soffermata espressamente su altri profili inerenti all’adeguatezza dell’offerta, quali quelli relativi ai costi per la sicurezza e ai costi generali (cfr. la nota del 30 aprile 2019, par. 3 e 4). I residui elementi, fra cui in particolare i costi per le attrezzature (oltre alle ulteriori voci prese ad esame dal Comune, quali l’utile d’impresa, considerato al fianco dei già menzionati costi generali e per la sicurezza), rientrano nella valutazione globale e sintetica sulla sostenibilità dell’offerta che compete alla stazione appaltante, così che rispetto ad essi non è ravvisabile una violazione del contraddittorio nel quadro dell’indagine attivata dal Comune “al fine di tutelare l’interesse pubblico a che il servizio in oggetto sia affidato a fronte di un’offerta congrua e non temeraria”: non può ritenersi infatti che il principio del contraddittorio richieda una specifica e singolare contestazione preventiva nonché una discussione su ciascuna delle voci in relazione alle quali la valutazione di anomalia (che non può che maturare ex post, cioè successivamente all’istruttoria) venga resa, purché risulti comunque assicurata all’impresa - come avvenuto nella specie - un’adeguata informativa e la possibilità di una piena interlocuzione con la stazione appaltante. A ciò si aggiunga peraltro che - sul piano sostanziale - gli elementi rappresentati dall’appellante in relazione al giudizio espresso dall’amministrazione su tali voci, diverse dal costo della manodopera, non risultano idonei a inficiare la valutazione della stazione appaltante (cfr. infra, sub § 3.4 ss.), sicché la dedotta violazione del contraddittorio si risolve in realtà in una contestazione di ordine formale in sé priva di rilievo sostanziale, non avendo Le Macchine Celibi - neppure nella presente sede - fornito elementi utili a confutare il giudizio dell’amministrazione sulle predette voci. 3. Col secondo motivo l’appellante si duole del rigetto della censura con cui aveva criticato in primo grado la valutazione d’incongruità dell’offerta espressa dall’amministrazione, non sussistendo nella specie né le ragioni d’inadeguatezza dei costi rappresentate dal Comune, né la violazione della clausola sociale prevista dalla lex specialis e l’inadeguatezza del costo della manodopera, anche rispetto alla tutela dei diritti dei lavoratori. 3.1. Col terzo motivo Le Macchine Celibi censura la reiezione del corrispondente motivo di ricorso con il quale aveva dedotto in primo grado l’illegittimità del provvedimento d’esclusione in relazione all’affermata insostenibilità del costo della manodopera a fronte della possibilità che ai lavoratori assorbiti fossero giudizialmente riconosciuti gli scatti d’anzianità negati da Le Macchine Celibi: secondo l’appellante la motivazione della sentenza impugnata sul punto sarebbe erronea in quanto basata su circostanze meramente ipotetiche. 3.2. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, sono fondati nei limiti e per le ragioni che seguono. 3.2.1. Sotto il primo profilo, è fondata la censura con la quale l’appellante contesta il giudizio d’inadeguatezza del costo della manodopera e la violazione della lex specialis affermata dalla stazione appaltante: Le Macchine Celibi pone in evidenza in proposito come non emerga in realtà dalla legge di gara alcun obbligo di attribuzione ai lavoratori assorbiti del medesimo livello d’anzianità già posseduto, né la clausola sociale può essere applicata in tal guisa, stante la sua necessaria conciliazione con i principi di libera organizzazione dell’attività d’impresa affermati dalla giurisprudenza. 3.2.1.1. Va rilevato al riguardo che l’art. 24 del disciplinare di gara prevede che “al fine di promuovere la stabilità occupazionale nel rispetto dei principi dell’Unione Europea e ferma restando la necessaria armonizzazione con l’organizzazione dell’operatore economico subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto, l’aggiudicatario del contratto di appalto è tenuto ad assorbire prioritariamente nel proprio organico il personale già operante alle dipendenze dell’aggiudicatario uscente, come previsto dall’articolo 50 del Codice, garantendo l’applicazione dei CCNL di settore, di cui all’art. 51 del D. Lgs. n. 81/2015. A tal fine, l’elenco del personale attualmente impiegato è riportato nel Progetto - Parte III - Calcolo della spesa e prospetto economico complessivo”. Già la regola generale inserita nel disciplinare prevede dunque l’applicazione della clausola sociale “ferma restando la necessaria armonizzazione con l’organizzazione dell’operatore economico subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto”. In linea con tale impostazione, i chiarimenti resi dalla stazione appaltante valorizzano espressamente il suindicato passaggio della clausola precisando che “in ottemperanza ai principi costituzionali e comunitari di libertà d’iniziativa economica e di concorrenza, oltreché di buon andamento, e nel rispetto delle autonome scelte organizzative e imprenditoriali del nuovo appaltatore, la clausola sociale non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento di tutto il personale utilizzato dall’impresa uscente”. Ciò posto, il richiamo all’elenco del personale già impiegato (cfr. l’art. 24 del disciplinare) e la relativa tabella recante il “calcolo della spesa e prospetto economico complessivo” nell’ambito del “Progetto ai sensi dell’art. 23 del d. lgs. n. 50/2016 ss.mm.ii.” valevano a rendere edotti i concorrenti sulla conformazione della forza lavoro già presente, ma non incidevano sul grado di vincolatività della clausola sociale, né implicavano sic et simpliciter l’obbligo di conservare gli scatti d’anzianità in capo ai dipendenti. Un siffatto obbligo non derivava neppure dal calcolo del costo della manodopera presente nel suindicato Progetto, atteso che il richiamo all’inquadramento dei singoli lavoratori valeva a spiegare come l’importo complessivo fosse stato determinato (“i costi della manodopera […] sono stati stimati […] tenendo conto della qualifica e del livello di inquadramento degli operatori addetti”), ma non implicava di per sé un vincolo al corrispondente inquadramento del personale; detto importo costituiva del resto una “stima”, avente “necessariamente carattere presuntivo, in funzione dell’importo posto a base di gara e della durata triennale dell’affidamento”, e poteva valere quale costo minimo vincolante per gli operatori solo a parità di condizioni rispetto a quelle enunciate, fra cui anche il Ccnl applicato e il livello d’inquadramento dei lavoratori: ma da tale stima non poteva ricavarsi sic et simpliciter un obbligo a tener ferma l’anzianità dei lavoratori già impiegati. Coerentemente con tale impostazione, i chiarimenti resi dalla stazione appaltante precisavano anche che l’elenco totale degli addetti in servizio, con relativo inquadramento professionale, aveva “valore di riferimento per la costruzione dell’importo stimato dell’appalto” ed era stato fornito anche ai fini della clausola sociale “per consentire ai concorrenti una ponderazione con il fabbisogno di personale per l’esecuzione del nuovo contratto e con le proprie autonome scelte organizzative ed imprenditoriali”: in tal senso va pertanto letto, anche nell’ambito del suddetto Progetto, il collegamento fra l’elenco del personale già impiegato e la clausola sociale. Anche la domanda di partecipazione alla procedura si limitava in proposito a prevedere l’accettazione, nell’ipotesi in cui si fosse risultati aggiudicatari, delle condizioni della clausola sociale di cui al par. 24 del disciplinare di gara. D’altra parte, dallo stesso regime dell’offerta tecnica emergeva un’ampia autonomia dei concorrenti in ordine alla strutturazione del progetto organizzativo e gestionale, anzitutto in relazione alla conformazione della forza lavoro e alle modalità di selezione del personale (cfr. il disciplinare, sub par. 16.1). Alla luce di quanto esposto non emerge dunque dalla lex specialis uno specifico obbligo d’inquadramento del personale (eventualmente) assorbito allo stesso livello d’anzianità già posseduto. 3.2.1.2. Una diversa interpretazione che volesse ricavare dalla lex specialis un vincolo per i concorrenti, una volta aderita la clausola, al mantenimento dei livelli d’anzianità vantati dai lavoratori risulterebbe del resto contraria allo spirito e al significato delle clausole sociali, come delineato dalla giurisprudenza. È stato infatti posto in risalto che il regime della clausola sociale “richiede un bilanciamento fra più valori, tutti di rango costituzionale, ed anche europeo […]. Ci si riferisce da un lato al rispetto della libertà di iniziativa economica privata, garantita dall’art. 41 Cost, ma anche dall’art. 16 della Carta di Nizza, che riconosce ‘la libertà di impresa’, conformemente alle legislazioni nazionali […].Ci si riferisce, dall’altro lato, in primo luogo al diritto al lavoro, la cui protezione è imposta dall’art. 35 Cost, e dall’art. 15 della Carta di Nizza, di analogo contenuto” (Cons. Stato, Comm. spec., parere 21 novembre 2018, n. 2703). Per tali ragioni detta clausola va formulata e intesa “in maniera elastica e non rigida, rimettendo all’operatore economico concorrente finanche la valutazione in merito all’assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario”, anche perché solo in questi termini “la clausola sociale è conforme alle indicazioni della giurisprudenza amministrativa secondo la quale l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2019, n. 3885; III, 30 gennaio 2019, n. 750; III, 29 gennaio 2019, n. 726; 7 gennaio 2019, n. 142; III, 18 settembre 2018, n. 5444; V, 5 febbraio 2018, n. 731; V, 17 gennaio 2018 n. 272; III 5 maggio 2017, n. 2078; V 7 giugno 2016, n. 2433; III, 30 marzo 2016, n. 1255)” (Cons. Stato, V, 12 settembre 2019, n. 6148; cfr. anche Cons. Stato, VI, 21 luglio 2020, n. 4665; 24 luglio 2019, n. 5243; V, 12 febbraio 2020, n. 1066). Il tema delle modalità di attuazione della clausola sociale è stato peraltro affrontato dal Consiglio di Stato in sede consultiva, con il parere già citato reso sulle Linee guida dell’Anac relative all’applicazione dell’art. 50 d.lgs. n. 50 del 2016 (Linee guida n. 13, poi approvate con delibera n. 114 del 13 febbraio 2019). Al riguardo è stata posta in risalto in particolare l’opportunità di prevedere un “vero e proprio ‘piano di compatibilità’ o ‘progetto di assorbimento’, nel senso che [l’offerta] debba illustrare in qual modo concretamente l’offerente, ove aggiudicatario, intenda rispettare la clausola sociale”; il che confluirebbe nella formulazione di “una vera e propria proposta contrattuale […] che contenga gli elementi essenziali del nuovo rapporto in termini di trattamento economico e inquadramento, unitamente all’indicazione di un termine per l’accettazione”, con conseguente possibilità per il lavoratore di “previa individuazione degli elementi essenziali del contratto di lavoro” (Cons. Stato, parere n. 2703 del 2018, cit.). Allo stesso modo, la stazione appaltante potrebbe valutare se “inserire tra i criteri di valutazione dell’offerta quello relativo alla valutazione del piano di compatibilità, assegnando tendenzialmente un punteggio maggiore, per tale profilo, all’offerta che maggiormente realizzi i fini cui la clausola tende”. Da ciò si ricava chiara conferma che è rimessa al concorrente la scelta sulle concrete modalità di attuazione della clausola, incluso l’inquadramento da attribuire al lavoratore, spettando allo stesso operatore formulare eventuale “proposta contrattuale” al riguardo, anche attraverso il cd. “progetto di assorbimento”, effettivamente introdotto dall’art. 3, ultimo comma, delle Linee guida Anac n. 13 (cfr., in proposito, Cons. Stato, V, 1 settembre 2020, n. 5338); il che vale a escludere che dalla clausola sociale possa derivare sic et simpliciter un obbligo in capo al concorrente d’inquadrare il lavoratore con lo stesso livello d’anzianità già posseduto. È stato recentemente sottolineato come la clausola non comporti “alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo”; di guisa che “l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche non è assoluto né automatico” (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, cit.; cfr. anche Id., 16 gennaio 2020, n. 389, in cui si precisa, sotto altro concorrente profilo, che sull’aggiudicatario non grava “l’obbligo di applicare ai lavoratori esattamente le stesse mansioni e qualifiche che avevano alle dipendenze del precedente datore di lavoro”; v. anche Id., 13 luglio 2020, n. 4515, in ordine al Ccnl prescelto). Per tali ragioni va escluso che la clausola sociale possa implicare la necessaria conservazione dell’inquadramento e dell’anzianità del lavoratore assorbito dall’impresa aggiudicataria. Va peraltro rilevato, sotto altro profilo, che l’aspetto inerente al “modo [con cui] l’imprenditore subentrante dia seguito all’impegno assunto con la stazione appaltante di riassorbire i lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario (id est. come abbia rispettato la clausola sociale) attiene […] alla fase di esecuzione del contratto, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro” (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, cit.; cfr. anche la Linee guida Anac n. 13, che all’art. 5 prevedono: “L’inadempimento degli obblighi derivanti dalla clausola sociale comporta l’applicazione dei rimedi previsti dalla legge ovvero dal contratto. Nello schema di contratto le stazioni appaltanti inseriscono clausole risolutive espresse ovvero penali commisurate alla gravità della violazione. Ove ne ricorrano i presupposti, applicano l’articolo 108, comma 3, del Codice dei contratti pubblici”). Per contro non vale il richiamare il precedente della Sezione che ha escluso che l’estensione della libertà imprenditoriale possa spingersi sino al punto di vanificare le sottostanti esigenze di tutela dei lavoratori sotto il profilo del mantenimento delle condizioni economiche e contrattuali vigenti, pena la legittimazione di politiche aziendali di dumping sociale in grado di vanificare gli obiettivi di tutela del lavoro (Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n. 3885): il caso esaminato era infatti caratterizzato da una clausola sociale e una corrispondente disposizione di legge regionale che prevedevano espressamente il mantenimento delle condizioni economiche e contrattuali già in essere in capo ai lavoratori, sicché la fattispecie - in disparte ogni ulteriore considerazione al riguardo - non è sovrapponibile a quella qui in esame. 3.2.1.3. Applicando al caso di specie i principi sin qui esposti e le valutazioni già espresse in ordine all’interpretazione della lex specialis, deve osservarsi quanto segue. Sotto un primo profilo, discende da quanto sin qui indicato che non incombeva in capo a Le Macchine Celibi alcun onere d’impugnazione immediata della lex specialis in relazione alla clausola sociale, proprio perché - in via assorbente - dalla stessa non era ricavabile alcun obbligo di mantenimento dell’anzianità in capo ai lavoratori assunti. È piuttosto dal provvedimento d’esclusione per ritenuta anomalia dell’offerta e sua difformità dalle previsioni della legge che s’è prodotta la lesione per l’interesse de Le Macchine Celibi. Di qui l’infondatezza dell’eccezione preliminare d’inammissibilità del ricorso riproposta dalla Open Group ex art. 101, comma 2, Cod. proc. amm. per omessa impugnazione immediata della lex specialis di gara. 3.2.1.4. Sotto altro profilo, va riconosciuta la fondatezza della doglianza formulata dall’appellante. Una volta escluso che dalla lex specialis discenda un obbligo di mantenimento dell’anzianità già riconosciuta ai lavoratori assorbiti, deve parimenti escludersi la sussistenza d’una qualche difformità fra l’offerta di Le Macchine Celibi e la lex specialis di gara, con riferimento in particolare all’impegno previsto dalla clausola sociale alla riassunzione del personale. Allo stesso modo il diverso inquadramento attribuito ai lavoratori assorbiti non può valere di per sé quale ragione d’anomalia sul costo della manodopera e relativa imposizione Irap, proprio perché, non potendosi rinvenire un obbligo generalizzato di mantenimento degli scatti d’anzianità già posseduti dal personale, neppure può ravvisarsi un profilo d’inadeguatezza dell’offerta in relazione al costo del personale contestando la mancata copertura di tutti i suddetti scatti e del corrispondente prelievo Irap. Né d’altra parte consta o è specificamente contestato dall’amministrazione che il maggiore o minore grado di recepimento della clausola sociale potesse incidere nella specie sulle valutazioni delle offerte (così come ipotizzato da Cons. Stato, n. 2703 del 2018, cit.; ma cfr. al riguardo le valutazioni espresse da Cons. Stato, n. 5243 del 2019, cit.), essendo ben altri i criteri di apprezzamento del modello organizzativo offerto (v., in particolare, l’art. 16.1 del disciplinare); mentre le eventuali ritenute violazioni della clausola sociale nei termini in cui effettivamente aderita dal concorrente non potrebbero che essere fatte valere in sede esecutiva. Irrilevanti risultano i richiami alla circostanza che le risorse di personale da impiegare dovessero avere un’esperienza qualificata, come previsto dal Progetto ex art. 23 d.lgs. n. 50 del 2016, atteso che altro è l’esperienza professionale, altro l’anzianità d’inquadramento contrattuale del lavoratore. Parimenti privo di rilievo è il riferimento alla disciplina di cui all’art. 7 d.lgs. n. 23 del 2015, che si limita a prevedere un sistema di calcolo delle indennità in caso di licenziamento che tenga conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato concretamente impiegato nell’attività appaltata, senza in nulla incidere perciò sugli scatti d’anzianità che occorre riconoscere ai singoli lavoratori in caso d’adesione alla clausola sociale da parte dell’aggiudicatario di un appalto pubblico. Lo stesso è a dirsi per il Ccnl “Multiservizi”, il cui regime sulla continuazione del rapporto di lavoro in caso di cd. “cambio appalto” non interferisce di per sé sul funzionamento della clausola sociale in esame, rimessa ai principi specifici della elasticità e flessibilità, nonché della conciliazione con l’autonomia organizzativa dell’impresa aggiudicataria nel quadro dell’affidamento di un appalto pubblico. 3.3. Del pari fondata è la doglianza formulata col terzo motivo di gravame sulla erroneità della motivazione circa l’insostenibilità del costo della manodopera espressa in ragione della possibilità che, a fronte delle eventuali istanze dei lavoratori, potrebbero essere giudizialmente attribuiti a questi ultimi gli scatti d’anzianità loro sottratti, con conseguente insostenibilità a quel punto per Le Macchine Celibi dei costi della manodopera. 3.3.1. Come correttamente posto in risalto dall’appellante la motivazione così formulata risulta ipotetica e congetturale, basandosi sulla circostanza che la (eventuale) pretesa dei lavoratori di vedersi riconosciuta dall’appaltatore subentrante l’anzianità di servizio maturata, “una volta accolta, renderebbe insostenibile il rispetto delle condizioni economiche oggi rappresentate da Le Macchine Celibi, le quali presuppongono appunto il mancato riconoscimento dell’anzianità maturata” (il provvedimento richiama a tal fine anche la possibilità che l’intera operazione venga riqualificata in termini di cessione d’azienda, profilo che attiene pur sempre al possibile re-inquadramento dei lavoratori all’esito dei contenziosi da questi eventualmente intrapresi). Trattasi evidentemente di circostanze né attuali, né concrete, bensì meramente ipotetiche, come tali non invocabili a fini escludenti. Il che conferma l’erroneità del giudizio di anomalia come correlato agli scatti di anzianità del personale assorbito, da un lato difettando un vincolo ai fini del riconoscimento dei suddetti scatti ricavabile dalla lex specialis, dall’altro presentandosi il profilo dei relativi costi come ipotetico e inattuale, in quanto legato ad eventuali vertenze proposte dai dipendenti e alle relative (non certe) vicende ed esiti. Come rilevato dall’appellante, la sentenza impugnata non ha rettamente inteso il significato di “aleatorietà” invocato dalla ricorrente, limitandosi a richiamare, ai fini del rigetto della doglianza, la sussistenza di una pluralità di ragioni di anomalia invocate dall’amministrazione e la discrezionalità - nonché il carattere prognostico - del relativo giudizio rimesso a questa: il che in nulla incide sugli elementi di censura fatti valere da Le Macchine Celibi rispetto alla contestata anomalia del costo della manodopera, come incentrati sul carattere meramente ipotetico delle circostanze all’uopo richiamate dal Comune. 3.4. Non sono fondate, invece, le doglianze formulate dall’appellante nell’ambito del secondo motivo di gravame in relazione agli altri profili di anomalia ravvisati dall’amministrazione. 3.4.1. Va premesso al riguardo che non è suscettibile di favorevole apprezzamento l’eccezione d’inammissibilità del ricorso motivata sulla base della circostanza che, venendo in rilievo un provvedimento plurimotivato, fondato su cinque distinte cause d’esclusione, la fondatezza anche di una sola delle ragioni addotte basterebbe al rigetto dell’impugnativa; in senso contrario è sufficiente rilevare, da un lato il carattere sintetico e globale della valutazione di anomalia posta a fondamento dell’esclusione, dall’altro che non emerge in alcun modo dal provvedimento l’assorbente sufficienza di ciascuno dei profili d’incongruità riscontrati ai fini dell’esclusione della concorrente: non vengono perciò in rilievo nella specie distinte cause d’esclusione, bensì differenti ragioni di anomalia che - nella prospettiva propria (sintetica e globale) del relativo giudizio, effettivamente recepita dal provvedimento impugnato - concorrono congiuntamente e complessivamente alla valutazione sulla congruità dell’offerta (in tal senso s’è espressa peraltro la sentenza di primo grado che, pur richiamando le varie ragioni d’anomalia riscontrate dall’amministrazione, le ha valorizzate nella prospettiva del giudizio sintetico e unitario che ne scaturisce). 3.4.2. In tale contesto infondata si rivela anzitutto la doglianza relativa alla voce delle attrezzature, su cui la stazione appaltante ravvisava elementi di anomalia ritenendo che “si prevedono solo 11.500 euro di attrezzature […] quando solo l’incidenza dell’acquisto e della gestione di un’auto lascia ben poco spazio alle ulteriori spese che si dovranno comunque affrontare per le necessarie dotazioni delle almeno 32 persone da impiegare e per le 5 sedi da gestire nei tre anni”. Al riguardo l’appellante richiama - quale elemento in grado di giustificare il limitato importo indicato - la disponibilità di un parco attrezzature (in particolare computer, telefoni cellulari, router wi-fi, software per la rilevazione delle presenze, un’autovettura ecologica) del quale essa già disporrebbe in forza dei numerosi appalti gestiti. Tuttavia, come eccepito dalla Open Group, l’appellante non fornisce specifica evidenza e documentazione di tali invocati elementi, sicché la doglianza rimane apodittica e indimostrata, non risultando confortata da adeguate risultanze probatorie in ordine alla disponibilità delle attrezzature richiamate e alle loro caratteristiche, profili necessari per consentire un vaglio sulla ragionevolezza dell’apprezzamento espresso dalla stazione appaltante. A ciò si aggiunga che il Comune richiamava all’uopo anche i costi relativi alla gestione dell’auto, che concorrerebbero a pressoché assorbire - a fronte dell’importo complessivo previsto da Le Macchine Celibi, pari a € 11.500,00 - le disponibilità per le dotazioni su 32 dipendenti e cinque sedi; e su tale elemento l’appellante non ha formulato specifiche censure. Per tali ragioni, al di là della dedotta mancata interlocuzione sul punto con la stazione appaltante (su cui v. retro, sub § 2 ss. in ordine ai profili procedurali), l’appellante non offre specifici elementi d’evidenza idonei a dimostrare l’irragionevole e manifestamente erronea valutazione di merito resa dall’amministrazione su tale voce di costo. 3.4.3. Allo stesso modo non vale a confutare il giudizio d’incongruità espresso dal Comune sugli oneri per la sicurezza relativi ai rischi specifici l’invocare la mera circostanza che il loro importo coincide con quello previsto dalla lex specialis per gli oneri di sicurezza cd. “interferenziali”, trattandosi in realtà di voci aventi funzioni e significati diversi, la cui mera coincidenza numerica non consente di dimostrare la congruità della voce esposta da Le Macchine Celibi e di ravvisare una manifesta irragionevolezza o erroneità nella corrispondente valutazione d’inadeguatezza resa dalla stazione appaltante. 3.4.4. Del pari infondata è la censura formulata in relazione alla voce dei costi generali, argomentata dall’appellante sulla base del suo coinvolgimento anche in altri appalti, con conseguente dotazione degli elementi di base necessari all’attività (fra cui, in particolare, il software per la rilevazione delle presenze del personale). In senso contrario è sufficiente osservare come la stazione appaltante abbia contestato in realtà che, di 11.500,00 euro previsti da Le Macchine Celibi per siffatta voce, ben 5.000,00 sono già destinati a coprire le spese di pubblicazione, sicché il residuo di 6.500,00 euro risulta troppo esiguo per un affidamento di durata triennale. In relazione a tale contestazione l’appellante non fornisce concreti e specifici elementi di segno opposto, limitandosi a rimandare alle dotazioni già a disposizione dell’impresa: il che non consente di ravvisare profili di evidente irragionevolezza od erroneità nel giudizio espresso dall’amministrazione, e quindi di superare la valutazione d’incongruità da questa formulata. 3.4.5. Irrilevante risulta poi la doglianza prospettata in relazione all’utile d’impresa (stimato in € 30.637,12), ritenuto dalla stazione appaltante inidoneo a coprire costi integrativi per la possibile assunzione di personale a condizioni più favorevoli, nonché esigenze impreviste e necessarie al mantenimento di servizi qualitativamente accettabili; la censura all’uopo articolata, con cui si deduce la corretta determinazione dell’utile e la sua idoneità a sopportare eventuali maggiori costi risulta nella specie non rilevante né conducente alla luce di quanto già statuito e delle relative conseguenze di seguito esposte (v. infra, sub § 5). Va posto in risalto in proposito che, al di là di quanto già rilevato in ordine ai presunti costi aggiuntivi della manodopera e all’erroneo richiamo a tal fine al mantenimento degli scatti d’anzianità già vantati dal personale (v. retro, sub § 3 ss.), in termini generali, per costante giurisprudenza anche un utile esiguo di per sé solo non equivale a determinare l’anomalia dell’offerta, atteso che “non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo” (inter multis, Cons. Stato, III, 17 giugno 2019, n. 4025; V, 8 maggio 2020, n. 2900). Ferme queste precisazioni, va osservato che nel caso di specie il richiamo all’utile non è espresso dall’amministrazione quale autonoma causa d’inadeguatezza dell’offerta e per questo si rende necessario procedere - a fronte dei profili di doglianza accolti e di quelli respinti, nei termini suindicati - a un nuovo giudizio sintetico e globale di sostenibilità dell’offerta nel quale considerare anche la capienza dell’utile esposto dall’impresa per poter compensare le sottostime delle voci di costo sopra confermate, ciò che compete all’amministrazione valutare (v. infra, sub § 5). 4. In conclusione, per le suesposte ragioni risultano fondate le doglianze proposte dall’appellante in relazione alla voce del costo della manodopera e relativo prelievo Irap, rispetto alle quali è peraltro infondata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dagli appellati sulla base dell’invocata discrezionalità propria delle valutazioni sull’anomalia, atteso che le suddette (fondate) censure non incidono sul giudizio discrezionale rimesso alla stazione appaltante, ma evidenziano da un lato l’erronea contestazione d’una difformità dell’offerta rispetto alla lex specialis, dall’altro una (connessa) illegittima impostazione nella valutazione dei costi della manodopera. Si rivelano invece non meritevoli di favorevole apprezzamento le censure relative alle altre voci dell’offerta giudicate anomale dalla stazione appaltante. 5. Per effetto dell’accoglimento dell’appello nei suddetti termini va dunque riformata la sentenza e accolto il ricorso di primo grado con conseguente annullamento dell’impugnato provvedimento di esclusione de Le Macchine Celibi e di scorrimento della graduatoria in favore della Open Group. L’annullamento del provvedimento a fronte dei profili d’illegittimità riscontrati non comporta peraltro il necessario e automatico affidamento della commessa in favore dell’appellante, bensì la rivalutazione dell’anomalia dell’offerta da parte della stazione appaltante sulla base di quanto sopra indicato. Non emerge infatti chiaramente, nella specie - né può essere autonomamente apprezzato dal giudice - l’esito finale sulla sostenibilità economica dell’offerta di Le Macchine Celibi alla luce dei profili di doglianza accolti e di quelli respinti nel quadro della valutazione unitaria sull’anomalia compiuta dall’amministrazione: il che comporta la necessaria rivalutazione sintetica e globale dell’anomalia dell’offerta da parte della stazione appaltante, che si atterrà a tal fine alle suesposte statuizioni. 5.1. Stante la necessaria rivalutazione dell’anomalia dell’offerta va respinta la domanda risarcitoria proposta da Le Macchine Celibi, atteso che non v’è prova della spettanza del bene della vita in capo all’appellante e dunque della lesione di una situazione giuridica meritevole di ristoro. 6. In conclusione l’appello va accolto nei termini suindicati, con conseguente riforma della sentenza e accoglimento del ricorso di primo grado, cui segue l’annullamento del provvedimento impugnato e la nuova valutazione della congruità dell’offerta dell’appellante secondo quanto suesposto. 7. La complessità e particolarità della fattispecie giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio fra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado annullando il provvedimento gravato nei termini di cui in motivazione; compensa le spese del doppio grado di giudizio fra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati: Carlo Saltelli, Presidente Raffaele Prosperi, Consigliere Federico Di Matteo, Consigliere Alberto Urso, Consigliere, Estensore Cecilia Altavista, Consigliere Carlo Saltelli, Presidente Raffaele Prosperi, Consigliere Federico Di Matteo, Consigliere Alberto Urso, Consigliere, Estensore Cecilia Altavista, Consigliere IL SEGRETARIO
Contratti della Pubblica amministrazione – Clausola sociale – Art. 50, d.lgs. n. 50 del 2016 – Ratio - Individuazione  ​​​​​​​          Nelle gare di appalto, il regime della clausola sociale richiede un bilanciamento fra più valori, tutti di rango costituzionale, ed anche europeo; ci si riferisce da un lato al rispetto della libertà di iniziativa economica privata, garantita dall’art. 41 Cost, ma anche dall’art. 16 della Carta di Nizza, che riconosce ‘la libertà di impresa’, conformemente alle legislazioni nazionali; dall’altro lato, in primo luogo al diritto al lavoro, la cui protezione è imposta dall’art. 35 Cost, e dall’art. 15 della Carta di Nizza, di analogo contenuto (1).    (1) Cons. Stato, Comm. spec., parere 21 novembre 2018, n. 2703. La clausola sociale va formulata e intesa in maniera elastica e non rigida, rimettendo all’operatore economico concorrente finanche la valutazione in merito all’assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario, anche perché solo in questi termini la clausola sociale è conforme alle indicazioni della giurisprudenza amministrativa secondo la quale l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto (Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2019, n. 6148; id., sez. VI, 21 luglio 2020, n. 4665; id. 24 luglio 2019, n. 5243; id., sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1066). Il tema delle modalità di attuazione della clausola sociale è stato peraltro affrontato dal Consiglio di Stato in sede consultiva, con il parere già citato reso sulle Linee guida dell’Anac relative all’applicazione dell’art. 50, d.lgs. n. 50 del 2016 (Linee guida n. 13, poi approvate con delibera n. 114 del 13 febbraio 2019).  Al riguardo è stata posta in risalto in particolare l’opportunità di prevedere un “vero e proprio ‘piano di compatibilità’ o ‘progetto di assorbimento’, nel senso che [l’offerta] debba illustrare in qual modo concretamente l’offerente, ove aggiudicatario, intenda rispettare la clausola sociale”; il che confluirebbe nella formulazione di “una vera e propria proposta contrattuale […] che contenga gli elementi essenziali del nuovo rapporto in termini di trattamento economico e inquadramento, unitamente all’indicazione di un termine per l’accettazione”, con conseguente possibilità per il lavoratore di “previa individuazione degli elementi essenziali del contratto di lavoro” (Cons. Stato, parere n. 2703 del 2018, cit.). Allo stesso modo, la stazione appaltante potrebbe valutare se “inserire tra i criteri di valutazione dell’offerta quello relativo alla valutazione del piano di compatibilità, assegnando tendenzialmente un punteggio maggiore, per tale profilo, all’offerta che maggiormente realizzi i fini cui la clausola tende”.  Da ciò si ricava chiara conferma che è rimessa al concorrente la scelta sulle concrete modalità di attuazione della clausola, incluso l’inquadramento da attribuire al lavoratore, spettando allo stesso operatore formulare eventuale “proposta contrattuale” al riguardo, anche attraverso il cd. “progetto di assorbimento”, effettivamente introdotto dall’art. 3, ultimo comma, delle Linee guida Anac n. 13 (cfr., in proposito, Cons. Stato, sez. V, 1 settembre 2020, n. 5338); il che vale a escludere che dalla clausola sociale possa derivare sic et simpliciter un obbligo in capo al concorrente d’inquadrare il lavoratore con lo stesso livello d’anzianità già posseduto.  È stato recentemente sottolineato come la clausola non comporti “alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo”; di guisa che “l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche non è assoluto né automatico” (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, cit.; cfr. anche id. 16 gennaio 2020, n. 389, in cui si precisa, sotto altro concorrente profilo, che sull’aggiudicatario non grava “l’obbligo di applicare ai lavoratori esattamente le stesse mansioni e qualifiche che avevano alle dipendenze del precedente datore di lavoro”; v. anche Id. 13 luglio 2020, n. 4515, in ordine al Ccnl prescelto). Per tali ragioni va escluso che la clausola sociale possa implicare la necessaria conservazione dell’inquadramento e dell’anzianità del lavoratore assorbito dall’impresa aggiudicataria.  Va peraltro rilevato, sotto altro profilo, che l’aspetto inerente al “modo [con cui] l’imprenditore subentrante dia seguito all’impegno assunto con la stazione appaltante di riassorbire i lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario (id est. come abbia rispettato la clausola sociale) attiene […] alla fase di esecuzione del contratto, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro” (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, cit.; cfr. anche la Linee guida Anac n. 13, che all’art. 5 prevedono: “L’inadempimento degli obblighi derivanti dalla clausola sociale comporta l’applicazione dei rimedi previsti dalla legge ovvero dal contratto. Nello schema di contratto le stazioni appaltanti inseriscono clausole risolutive espresse ovvero penali commisurate alla gravità della violazione. Ove ne ricorrano i presupposti, applicano l’articolo 108, comma 3, del Codice dei contratti pubblici”).  Per contro non vale il richiamare il precedente della Sezione che ha escluso che l’estensione della libertà imprenditoriale possa spingersi sino al punto di vanificare le sottostanti esigenze di tutela dei lavoratori sotto il profilo del mantenimento delle condizioni economiche e contrattuali vigenti, pena la legittimazione di politiche aziendali di dumping sociale in grado di vanificare gli obiettivi di tutela del lavoro (Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2019, n. 3885). ​​​​​​​
Contratti della Pubblica amministrazione
"https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/principio-di-continuita-nel-possesso-dei-requis(...TRUNCATED)
"\nPrincipio di continuità nel possesso dei requisiti di qualificazione - Sostituzione dell’ausil(...TRUNCATED)
"N. 00951/2020 REG.PROV.COLL.\nN. 02045/2019 REG.RIC.\n\n\nREPUBBLICA ITALIANA\nIN NOME DEL POPOLO I(...TRUNCATED)
"Contratti della Pubblica amministrazione – Requisiti di partecipazione - Principio di continuità(...TRUNCATED)
Contratti della Pubblica amministrazione
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Pianificazione della distribuzione sul territorio delle sale da gioco
"N. 04464/2020REG.PROV.COLL.\nN. 09720/2019 REG.RIC.\n\n\nREPUBBLICA ITALIANA\nIN NOME DEL POPOLO IT(...TRUNCATED)
"Giochi – Sala da gioco – Contrasto alla ludopatia - pianificazione della distribuzione sul terr(...TRUNCATED)
Giochi
"https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/diritto-del-proprietario-ad-ottenere-trascrizio(...TRUNCATED)
"\nDiritto del proprietario ad ottenere trascrizioni, cancellazioni, etc, a fronte di giudicato civi(...TRUNCATED)
"N. 00125/2021REG.PROV.COLL.\nN. 00810/2020 REG.RIC.\n\n\nREPUBBLICA ITALIANA\nIN NOME DEL POPOLO IT(...TRUNCATED)
"Espropriazione per pubblica utilità - Occupazione - Occupazione appropriativa – Esistenza per (...TRUNCATED)
Espropriazione per pubblica utilità
"https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/fornitura-dei-buoni-spesa-per-generi-alimentari(...TRUNCATED)
Fornitura dei buoni spesa per generi alimentari
"N. 03469/2020 REG.PROV.CAU.\nN. 03015/2020\r\n REG.RIC.\n\n\nREPUBBLICA ITALIANA\nTr(...TRUNCATED)
"Covid-19 – Aiuti economici – Buoni spesa per generi alimentari – Fornitura – Non va sospesa(...TRUNCATED)
Covid-19
"https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/iscrizione-degli-artigiani-al-fondo-di-solidari(...TRUNCATED)
"\nIscrizione degli artigiani al Fondo di Solidarietà Bilaterale Alternativo dell’Artigianato per(...TRUNCATED)
"N. 04047/2020 REG.PROV.CAU.\nN. 03707/2020\r\n REG.RIC.\n\n\nREPUBBLICA ITALIANA\nTr(...TRUNCATED)
"Covid-19 – Aiuti economici – Artigiani - Fondo di Solidarietà Bilaterale Alternativo dell’Ar(...TRUNCATED)
Covid-19
"https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/indennita-di-trasferimento-al-personale-delle-f(...TRUNCATED)
Indennità di trasferimento al personale delle Forze armate e militare
"N. 06588/2019REG.PROV.COLL.\nN. 01837/2019 REG.RIC.\n\n\nREPUBBLICA ITALIANA\nIN NOME DEL POPOLO IT(...TRUNCATED)
"Militare, forze armate e di polizia – Trattamento economico – Indennità di trasferimento - Qua(...TRUNCATED)
Militari, forze armate e di polizia
"https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/tre-importanti-puntualizzazioni-su-questioni-pr(...TRUNCATED)
"\nTre importanti puntualizzazioni su questioni processuali: procedimento cautelare nel rito appalti(...TRUNCATED)
"N. 05966/2022REG.PROV.COLL.\nN. 02986/2022 REG.RIC.\n\n\nREPUBBLICA ITALIANA\nIN NOME DEL POPOLO IT(...TRUNCATED)
"Processo amministrativo – rito appalti – Domanda cautelare – Istanza di rinvio – Conseguenz(...TRUNCATED)
Processo amministrativo

ITA-CASEHOLD

Dataset Summary

  • This dataset contains the data used in the research of the ITA-CASEHOLD model, an extractive summarization model to extract holdings from Italian Legal Administrative documents.
  • The research paper titled 'Legal Holding Extraction from Italian Case Documents using Italian-LEGAL-BERT Text Summarization' is accepted for ICAIL 23.
  • It consists of 1101 pairs of judgments and their official holdings between the years 2019 and 2022 from the archives of Italian Administrative Justice.
  • The Administrative Justice system in Italy covers a wide range of issues, including public contracts, environmental protection, public services, immigration, taxes, and compensation for damages caused by the State

Download the dataset

To download the dataset, use the following lines:

from datasets import load_dataset

dataset = load_dataset("itacasehold/itacasehold")

To split the train, test, and validation dataset, use

dataset = load_dataset("itacasehold/itacasehold", split = 'train')

Supported Tasks and Leaderboards

Summarization, Multi-class Text classification

Languages

Italian

Data Fields

The dataset consists of

  • URL: link to the document
  • Document: The document
  • Summary: The holding of the document
  • Materia : Legal subject
  • Title : Title of the document

Data Splits

  • Train : 792
  • Validatio : 88
  • Test : 221

Source Data

The data is collected from 'Judicial Administration site'.

Social Impact of Dataset

Legal holdings are considered the most essential part of a legal decision because they summarize it without going into the merits of the specific case, establish a legal principle and set a legal precedent. The holdings writing is carried out by legal experts who, starting from a judgment, set out the applied principle of law in a clear, precise, and concise manner. We approached the problem of extracting legal holdings as an Extractive text summarization task.

This Dataset addresses the Legal holding Extraction topic and so far the first and the only one present in the Italian language. This dataset contributes to Summarization in the Italian language and Summarization tasks in Legal domains. Apart from this, the Dataset can also be used as a multi-class text classification task utilizing legal subjects.

Dataset Limitation

This Dataset specifically focuses on the Italian Legal domain, and it is only in Italian. The documents are only from the period of 2019-2022.

Additional Information

Dataset Curators

The Dataset was curated by researchers from Scoula Superiore Sant'Anna as a part of the project 'Guistizia Agile (Agile Justice)' funded by the Italian Ministry of Justice.

Licensing Information

The data sets are distributed under the Apache 2.0 License. More information about the terms of use of the original data sets is listed here.

Citation Information

If you use this dataset then, please, cite the following paper:

@inproceedings{10.1145/3594536.3595177,
author = {Licari, Daniele and Bushipaka, Praveen and Marino, Gabriele and Comand\'{e}, Giovanni and Cucinotta, Tommaso},
title = {Legal Holding Extraction from Italian Case Documents using Italian-LEGAL-BERT Text Summarization},
year = {2023},
isbn = {9798400701979},
publisher = {Association for Computing Machinery},
address = {New York, NY, USA},
url = {https://doi.org/10.1145/3594536.3595177},
doi = {10.1145/3594536.3595177},
abstract = {Legal holdings are used in Italy as a critical component of the legal system, serving to establish legal precedents, provide guidance for future legal decisions, and ensure consistency and predictability in the interpretation and application of the law. They are written by domain experts who describe in a clear and concise manner the principle of law applied in the judgments.We introduce a legal holding extraction method based on Italian-LEGAL-BERT to automatically extract legal holdings from Italian cases. In addition, we present ITA-CaseHold, a benchmark dataset for Italian legal summarization. We conducted several experiments using this dataset, as a valuable baseline for future research on this topic.},
booktitle = {Proceedings of the Nineteenth International Conference on Artificial Intelligence and Law},
pages = {148–156},
numpages = {9},
keywords = {Italian-LEGAL-BERT, Holding Extraction, Extractive Text Summarization, Benchmark Dataset},
location = {<conf-loc>, <city>Braga</city>, <country>Portugal</country>, </conf-loc>},
series = {ICAIL '23}
}
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