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Peppe Aquaro WC695 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG49 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Questo per dire che i sette distretti del ciclo delle acque della regione, al centro oggi di un restyling tecnologico e funzionale, all'interno del Piano di autonomia idrica e grandi reti ( il cui progetto sarà raccontato oggi, dalle 15.30, alla fiera di Ecomondo, a Rimini, dal presidente della regione Campana, Vincenzo De Luca, intervistato dalla giornalista e scrittrice Claudia Conte), ha padri nobili e radici antichissime.Certo, nel presente occorre fare i conti con la parola siccità che impone di ricercare nuove fonti di approvvigionamento idrico, perseguire risparmi energetici nelle stazioni di sollevamento e soprattutto contrastare la dispersione dell'acqua nelle reti colabrodo, ma l'obiettivo è molto più importante degli ostacoli che ci potranno essere nel corso dei lavori. «Con un Piano del valore di 3 miliardi di euro, vogliamo rendere autonoma una intera regione per quanto riguarda le forniture idriche, di uso potabile, di uso agricolo e industriale», spiega De Luca, il cui scopo è non disperdere l'acqua («Se ne perde purtroppo il 40%, ma creando reti duali, separando l'uso potabile dall'uso agricolo e industriale, potremo risolvere il problema») e neppure a livello di gestione. Il Piano prevede, infatti, un'unica società regionale che dovrà gestire le grandi reti idriche: qualcosa come 8 gruppi sorgentizi, altrettanti campi pozzi, 400 mila metri cubi di serbatoi, 600 chilometri di reti e due centrali idroelettriche. A coronamento del Progetto di autonomia idrica e di gestione delle grandi reti in Campania, c'è la grande diga di Campolattaro, nel Beneventano, i cui lavori furono ultimati esattamente 30 anni fa e che sta per diventare il simbolo dell'autonomia idrica della Campania: proprio in questi giorni sono stati aggiudicati i lavori a tempo record per più di 700 milioni di euro.Della gestione della diga beneventana, così come del sistema d'invasi collinari diffusi sull'intero territorio regionale se ne occuperà la nuova società regionale. «Il progetto della diga di Campolattaro è uno dei più grandi interventi mai realizzati, sicuramente nell'Italia meridionale. E sarà uno dei tasselli decisivi per garantire l'autonomia idrica della regione», assicura il presidente della Campania, sottolineando che dei tre aspetti del ciclo delle acque, quello dell'adduzione primaria costituirà «Opera di interesse strategico di valenza regionale». E non è un caso che l'espressione, «La grande adduzione», caratterizzata dal ciclo dell'acqua che, dalle sorgenti, arriva alle diverse province della regione, ricordi un po' quella della «Grande bellezza», magari aggiornata alle grandi esigenze ambientali del territorio campano tra nodi idraulici, serbatoi principali, pozzi e sorgenti. E non solo. Perché, a quanto pare di capire dalle parole di De Luca, quando parliamo di ambiente, dovremmo essere ancora più concreti: «A mio modesto parere, avrei utilizzato il Pnrr per risolvere 4 o 5 problemi strutturali dell'Italia: per esempio, rendendola autonoma dal punto di vista delle forniture idriche per uso potabile, agricolo e industriale. E noi, in Campania, faremo proprio questo».Senza lasciare a terra nessuno. Tantomeno i «vicini di casa» della Puglia, per i quali saranno garantiti i 6.000 litri al secondo di acqua in partenza dalle sorgenti di Cassano Irpino. Un trasferimento di risorse imponente, ma che non intaccherà l'autonomia idrica della Campania. «Il tema delle risorse idriche è un tema del futuro, con il quale dovremo fare i conti nei decenni a venire per via delle mutazioni climatiche e soprattutto per l'esaurirsi della risorsa acqua». © RIPRODUZIONE RISERVATA
9 November 2023
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Federico Rota WC535 words
Corriere della Sera SCCORDES EDBERGAMO PG6 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
La Fiera sarà quindi uno showroom che darà spazio a cucine, salotti, camere da letto, arredi per il bagno e nuove illuminazioni, senza dimenticarsi della tecnologia e della sostenibilità. Il Salone del Mobile di Bergamo metterà a confronto alcune delle migliori proposte per individuare la soluzione ideale per arredare casa, grazie ai consigli degli esperti e a proposte personalizzate e di tendenza che sono spesso sfociate in autentiche icone del design. È il caso di tanti progetti firmati da Enrico Baleri, già premiato con quattro Compassi d'Oro e noto (tra l'altro) per aver esposto quattro prodotti nella collezione permanente del Moma di New York. Sarà lui l'ospite d'onore quest'anno al Salone, al quale Promoberg consegnerà il premio «Bergamo Design Award» in virtù della prestigiosa carriera (l'appuntamento è sabato 11 novembre alle 15).Inoltre «quest'anno - spiega il presidente di Promoberg, Luciano Patelli - grazie al coinvolgimento dei mobilieri, delle associazioni degli artigiani e della Fondazione architetti Bergamo, il Salone si consolida anche come luogo d'incontro e di confronto tra professionisti». Un'unione, quella con Confartigianato e con la Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa, che si è tradotta in un'area dedicata a una ventina di realtà, con la partecipazione di falegnami, fabbri, vetrai e marmisti. «Ci piace pensare che sia l'inizio di un percorso di collaborazione che si possa sviluppare ulteriormente», osserva Giacinto Giambellini, presidente di Confartigianato Bergamo. «Abbiamo riunito sia i grandi gruppi industriali che segnano le tendenze del mercato - riflette Alessandro Pagnoni, project manager per Promoberg del Salone del Mobile -, sia gli artigiani che creano con abile manualità soluzioni personalizzate, sia gli architetti».A tal proposito, la Fondazione architetti Bergamo ha curato la rassegna «In fila per tre col resto design» (due ore per incontro, che mette a disposizione crediti professionali) e una mostra dedicata ad architetti-designer celebri: Achille Castiglioni, Franco Albini e Vico Magistretti. Il tutto grazie alla collaborazione avviata con le tre fondazioni omonime che ne mantengono viva la memoria. Info, programma e ticket su www.fieradelmobile-bergamo.it.Federico Rota© RIPRODUZIONE RISERVATALa schedaAl Salone del Mobile, sabato, verrà premiatoEnrico Baleri (nella foto) Ha ricevutocon quattro Compassi d'Oro eha espostoal Momadi New York Al Saloneun centinaiodi brand, da 7 regioni e dalla Repubblica Ceca
9 November 2023
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Federico Fubini WC807 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG6 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Perché Draghi ieri, libero dalle vesti ufficiali che ha ricoperto quasi tutta la vita, non ha fatto sconti. Non ha abbellito il quadro. Né delle sfide geopolitiche, né delle difficoltà economiche e del ritardo tecnologico dell'Europa. Sul primo fronte, le critiche dell'ex premier investono anche gli Stati Uniti e le amministrazioni democratiche con le quali lo stesso Draghi ha sempre mantenuto un dialogo stretto: quelle di Bill Clinton, Barack Obama e dello stesso Joe Biden. «Abbiamo accettato la Russia nel G8 anche se non aveva accettato la sovranità dell'Ucraina, poi in Siria non abbiamo mantenuto la promessa che saremmo intervenuti se Bashar al-Assad avesse usato le armi chimiche, quindi abbiamo avuto la Crimea e il ritiro dall'Afghanistan», ha ricordato l'ex presidente della Banca centrale europea. «La lezione è che non dovremmo mai fare compromessi sui valori fondamentali di pace, democrazia, libertà, sovranità. Se lo facciamo, si mettono in discussione le premesse dell'Unione europea: per questo non c'è alternativa a vincere questa guerra» ha continuato Draghi, con riferimento all'Ucraina.L'ex premier ha riassunto la fase attuale citando un libro di Robert Kagan del 2018, «The Jungle Grows Back», «La giungla ricresce», simbolo dell'erosione dell'ordine mondiale a guida americana degli ultimi decenni. «Be' la giungla è davvero ricresciuta - ha notato Draghi -. Ma se c'è una cosa che non possiamo e non voglio fare è restare senza reagire: ciò che avevamo dato per scontato per molti anni non lo è e dobbiamo combattere per averlo».Qui s'innesta l'analisi dell'ex premier sulla condizione inadeguata dell'Unione europea. «Serve molta più integrazione perché l'Unione europea sia in grado di esprimere un punto di vista politico e militare: dobbiamo investire di più e soprattutto razionalizzare le spese della difesa». Draghi ha ricordato che l'Europa, in aggregato, è seconda solo agli Stati Uniti per investimenti militari. «Ma lo si vede? Davvero no - ha proseguito -. Dobbiamo diventare un'unione, invece che tanti piccoli Paesi che si fanno concorrenza l'uno con l'altro nell'industria della difesa».Ma la disamina dell'ex premier sullo stato dell'Europa è anche più radicale. «Il modello su cui si basava sembra finito: la difesa fornita dagli Stati Uniti, l'export in gran parte verso la Cina, l'energia a buon mercato dalla Russia». Questa in particolare suona come una lettura della Germania, cuore industriale del continente da cui dipende anche il manifatturiero italiano. Draghi ha ricordato che ormai l'Europa ha costi dell'energia più alti che negli Stati Uniti e «molto più alti» che in Cina. «Così non andiamo da nessuna parte», ha detto. Parte della risposta per lui è in maggiori sforzi comuni in reti, import e produzione di energia «rinnovabile e di altro tipo».Ma l'ex premier vede un'altra «questione drammatica»: la demografia europea in declino - qui sorvola sull'Italia - impone forti aumenti di produttività per sostenere l'economia. «Dobbiamo investire molto di più in tecnologia», dice. Nel breve, Draghi si dice «quasi sicuro che avremo una recessione verso la fine dell'anno» (anche se il commissario Ue Paolo Gentiloni nota che finora la si è evitata). Ma l'uomo che nel 2012 salvò l'euro con il suo «whatever it takes» ora ha una preoccupazione più grave: «O l'Europa si mette insieme e diventa un'unione più profonda capace di esprimere una politica estera, di difesa e sulle migrazioni, o temo che non sopravviverà in altra forma che come mercato unico».© RIPRODUZIONE RISERVATAI messaggiL'ex premier italiano Mario Draghi ieriha parlato all'evento«The Global Boardroom: Strategies for Growth and Disruption» organizzato dal Financial Times Secondo Draghi l'Europa non deve scendere a compromessi sui valori fondamentali su cui è stata costruita quali pace, libertà, democrazia e sovranità nazionale Per quanto riguardala situazione economica, nella zona euro - ha detto - «c'è un rischio di recessione, ma non direi né profondo né destabilizzante»
9 November 2023
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di dario di vico WC1,100 words
Corriere della Sera SCCORDES PG23 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Prima però di addentrarci negli aspetti congiunturali Luca Dondi dall'Orologio, Ceo di Nomisma, invita a tener presenti le dinamiche demografiche che in un tempo non così lontano come si pensa «condizioneranno il mercato». Aumenta il numero delle famiglie (25,3 milioni nel 2021), ma cala il numero dei componenti: le persone sole sono il 33%, le coppie con figli il 32% e le coppie senza figli il 20 per cento. Nel 2041 le famiglie cresceranno fino a quota 26,3 milioni ma l'avanzamento sarà dovuto ai single. E se la tendenza dovesse mantenersi entro il 2045 le coppie senza figli supererebbero quelle con figli.«Andremo verso una riduzione delle superfici medie richieste. Lo standard sarà di 70-80 metri quadri. E la quota di anziani che vivranno da soli richiederà la fornitura di servizi accessori e vie di uscita che comporteranno un'ospitalità non demandata a strutture sanitarie».DisallineamentiAllora rispetto a queste macro-tendenze bisogna capire per bene il timing, offerta e domanda oggi non sono pienamente consapevoli di queste trasformazioni eppure stiamo parlando di cose che si verificheranno già nel 2031, non nel lontano 2070. In più, il post-Covid ha generato una tendenza opposta a richiedere superfici più ampie per avere la stanza di più per fare smartworking, ma si tratta di una "fase drogata".Passando agli elementi di più stretta attualità la casella di partenza è rappresentata dalla perdita di potere d'acquisto dei potenziali acquirenti. Nomisma stima circa nel 10% la differenza tra inflazione e aumenti salariali a fine 2022, per effetto di incrementi retributivi molto contenuti e lontani dall'assorbire l'aumento dei prezzi. L'effetto sul mercato immobiliare è quello di mettere in difficoltà la domanda e più in specifico la credibilità delle richieste di mutuo. «Le intenzioni di acquisto restano alte - sottolinea Dondi - ma si riduce drasticamente la loro bancabilità. La fragilità legata al costo della vita rende, per l'appunto, meno credibile la richiesta di mutuo». Le banche sono legate «alla cultura di Basilea, adottano una regolazione macro-prudenziale» e questo vuol dire inasprimento dei criteri di gestione del credito.Sul totale delle famiglie che vogliono comprare un'abitazione nei prossimi 12 mesi, il 43% ha certamente intenzione di accendere un mutuo, con un altro 35% che dice probabilmente sì ma, come detto, tra domanda e offerta non c'è assolutamente allineamento e la conversione delle intenzioni d'acquisto in vere e proprie compravendite resta una chimera. Per la cronaca il tasso medio è poco superiore al 5%, ma le banche privilegiano forme di finanziamento già legate all'efficacia energetica, anticipando la direttiva europea green prima ancora che venga recepita negli ordinamenti. «Aggiungo che la Bce sarà lenta a ridurre i tassi per paura di una nuova fiammata inflattiva e di conseguenza rimarremo con queste condizioni di credito e con questi comportamenti delle banche anche nel 2024».Un bilancioNel 2023 le compravendite dovrebbero assestarsi attorno al 14-15% in meno perché si è ridotta la componente dell'acquisto tramite mutuo. È rimasto sul mercato solo chi poteva finanziare la nuova abitazione con la liquidità, ma nel 2024 il novero dei "liquidi" inevitabilmente si restringerà (o resterà in finestra ad aspettare l'evoluzione dei prezzi) mentre non vi dovrebbero essere novità positive per le transazioni tramite mutuo. Di conseguenza dalle 680 mila compravendite annue si potrebbe passare attorno a quota 620 mila.Del resto nelle grandi città come Milano e Bologna - dove il mercato in precedenza era salito -siamo già al quarto trimestre negativo e ne potrebbe seguire un altro paio (considerazione valida anche per le altre piazze dove i trimestri negativi sono per ora solo tre).A fronte di un mercato che scende ci troviamo con una rigidità dei prezzi. «Un'anomalia tutta italiana - segnala Dondi -. Vuoi per una certa opacità e vuoi perché il mercato da noi è fatto dall'offerta. C'è un ritardo di consapevolezza, i prezzi non scendono perché la proprietà aspetta e ha una percezione di valore del tutto distorta». Il risultato è che, sommando la situazione macro-economica avversa, l'orientamento delle banche sul credito e la rigidità dei prezzi, il mercato è inevitabilmente fermo. Ma se le compravendite non decollano la domanda di abitazioni potrebbe e dovrebbe rivolgersi alle locazioni senonchè anche questo mercato è saturo. A cercare l'affitto sono gli habitué di questa formula, gli studenti e i turisti e tutto ciò crea un eccesso di domanda.Istituzionali cercansiL'offerta, dal canto suo, è condizionata nelle sue scelte dalla paura dell'aumento della morosità (anche per la perdita di potere d'acquisto di cui sopra) e quindi o tiene le case sfitte, o le usa saltuariamente o le dedica agli affitti brevi. Del resto il differenziale lordo di reddito tra un affitto breve e uno tradizionale con un calcolo pure prudenziale può essere stimato nell'80-100% in più, con tutte le conseguenze del caso. «Si parla spesso di apportare novità normative al mercato degli affitti brevi, ma personalmente ho delle perplessità, non è detto che determinino un utilizzo diverso delle abitazioni di proprietà. Se le preoccupazioni maggiori riguardano la possibile morosità, meno Airbnb non equivarrà comunque a più affitti tradizionali. Certo si potrebbero penalizzare fiscalmente le case sfitte, ma non penso che questo governo adotterebbe una norma considerata impopolare» .In definitiva, dunque, assistiamo anche nel campo della locazione un mercato bloccato. L'edilizia residenziale pubblica ha un impatto inadeguato, gli operatori finanziari come banche e assicurazioni che avevano case da locare oggi le hanno dismesse e di conseguenza resta in campo solo la piccola e media proprietà. «Manca un operatore istituzionale che apporti equilibrio tra domanda e offerta» chiosa Dondi. E questa carenza aggrava un quadro in cui un prodotto immobiliare vecchio poco si concilia con le esigenze di mobilità della domanda, soprattutto giovane.© RIPRODUZIONE RISERVATA
27 November 2023
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Nicolò Fagone La Zita WC568 words
Corriere della Sera SCCORDES EDIMPRESATORINO PG10.11 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
In questo modo non si estrae materia prima vergine e si valorizza il rifiuto». Si possono utilizzare pannelli, intonaci termici, oppure degli isolanti da inserire nelle pareti o sul tetto. Un modo per ridurre il fabbisogno energetico e di conseguenza le bollette. Il secondo step prevede di modificare i serramenti, optando per il triplo vetro, e cambiare la caldaia a metano in favore di pompe di calore elettriche. Dopodiché si passa all'ultima fase, ovvero l'installazione di pannelli che possano produrre energia, come quelli del fotovoltaico. «Così riduco i consumi - aggiunge Monterisi - ulteriormente limitati dall'autoproduzione di energia». Soluzioni utili per tutti, dalla villa al condominio. Monterisi è cofondatrice di «Ricehouse», un'azienda di bioarchitettura che costruisce edifici con gli scarti della produzione del riso. Una combinazione strana quanto azzeccata, capace di creare nuovi materiali naturali a impatto zero per il mondo delle costruzioni. «L'Italia è prima in Europa per produzione di riso e noi ne prediamo gli scarti, come la pelle del chicco, e anziché bruciarli gli ridiamo valore. Per il nostro Paese può essere una risorsa preziosa, un modo per essere autosufficienti senza dipendere da materie prime importate. Un nuovo modello di business che riduce l'inquinamento. Quest'anno abbiamo utilizzato 1.200 tonnellate di scarti di riso, ma ne avremmo a disposizione circa 2 milioni ogni anno». L'architetto Paolo Bidese invece, 41 anni, è specializzato nella qualità dell'aria tra le mura domestiche. «In Italia l'aria degli alloggi è 5 volte più inquinata di quella presente all'esterno - spiega il titolare di Pbarc - e noi interveniamo su questo aspetto. Prima di tutto si effettua una misurazione con delle cartucce che si appendono nella casa per una settimana, dopodiché eseguiamo le analisi in laboratorio». L'azienda ha campionato quaranta sostanze cancerogene e diffuse negli alloggi, dal benzene al formaldeide. «Comprendiamo quali sono le sostanze dannose presenti e interveniamo con nuovi materiali naturali che possano eliminarle, da intonaci a base di argilla a fibre di canapa». Secondo Federlegno la bioedilizia in Italia vale circa 1,39 miliardi di euro. L'Italia è il quarto produttore europeo di prefabbricati in legno, superando un paese come l'Austria che vanta una lunga tradizione ma rimanendo ancora indietro rispetto alla Germania, prima nel continente con un fatturato di 2,836 miliardi. Una filiera appena sbocciata e che può crescere ancora. Nel PNRR sono stati stanziati circa 15 miliardi di euro per incentivare l'edilizia sostenibile e per un efficientamento energetico concreto.© RIPRODUZIONE RISERVATA
27 November 2023
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Luigi Ippolito WC606 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG15 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Londra Per una volta Boris e i laburisti sono d'accordo: bisogna alzare la soglia minima di salario necessaria per ottenere un visto di lavoro in Gran Bretagna. L'ex premier conservatore Johnson ha usato la sua pagina settimanale sul Daily Mail per dire che occorre fissare ad almeno 40 mila sterline il livello di ingresso, in modo da spezzare «la dipendenza dal lavoro a basso costo». E la ministra ombra degli Interni del partito di opposizione, Yvette Cooper, gli ha fatto eco dicendo che, una volta al potere, anche il Labour procederebbe a una stretta analoga nei confronti dell'immigrazione.Sono prese di posizione che fanno seguito alla pubblicazione di cifre choc sugli ingessi legali in Gran Bretagna: nel 2022 l'immigrazione netta (cioè gli arrivi meno le uscite) si è attestata sul numero record di 745 mila persone, pari alla somma di tutti gli anni dal 1945 al 2000. Questo vuole dire che nell'ultimo anno la Gran Bretagna ha assorbito 1 milione e 400 mila immigrati e che negli ultimi due anni la popolazione è cresciuta di un milione 200 mila persone, pari a una città come Birmingham (o Milano). Dal 2010 a oggi, l'immigrazione ha aggiunto alla popolazione britannica l'incredibile cifra di dieci milioni di persone.La destra del partito conservatore preme per introdurre misure che in qualche modo rallentino questi flussi: dunque il sottosegretario all'Immigrazione, Robert Jenkins, ha messo a punto un piano in cinque punti centrato sull'idea di alzare il requisito minimo di stipendio per ottenere un visto di lavoro: si passerebbe dalle attuali 26.200 sterline lorde annue ad almeno 35 mila.Questa misura significherebbe però, in pratica, sbarrare le porte ai giovani italiani ed europei. Attualmente lo stipendio iniziale per un neolaureato in Gran Bretagna si aggira in media fra le 25 mila e le 30 mila sterline annue: portare la soglia minima per chi arriva dall'estero a 35 mila e oltre comporterebbe tagliare fuori chi è appena uscito dall'università e lasciare posto solo a manager più esperti o a chi va a ricoprire lavori super-qualificati nella City.Oltre che alzare il salario minimo per ottenere un visto come lavoratori qualificati, si pensa anche ad agganciare all'inflazione la soglia minima di retribuzione richiesta per badanti e assistenti alla persona, che è ora fissata a sole 20.960 sterline. In più, si vorrebbe limitare o proibire del tutto la possibilità per chi lavora nel settore dell'assistenza di portare con sé familiari.La ventilata stretta di Londra sull'immigrazione legale fa seguito al siluramento, da parte della Corte Suprema, del Piano Ruanda per la deportazione dei clandestini in Africa: il governo di Rishi Sunak ha bisogno di mostrare che è in grado di fare qualcosa per ridurre i flussi di ingresso in Gran Bretagna. Dopo la Brexit, infatti, l'immigrazione è esplosa, perché se è vero che è stata posta fine alla libera circolazione dei cittadini europei, dall'altro lato è stato messo in piedi un generoso sistema di visti che ha portato a un boom di arrivi dai Paesi extra-europei.Il governo Sunak gioca sul filo: da un lato deve tenere conto delle pressioni politiche, dall'altro deve badare alle necessità dell'economia. A farne le spese, però potrebbero essere (anche) i giovani italiani.Luigi Ippolito© RIPRODUZIONE RISERVATADestra e sinistraBoris Johnson, ex premier britannico, e Keir Starmer, leader dei laburisti che sono in testa ai sondaggi
27 November 2023
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Fabrizio Dividi WC682 words
Corriere della Sera SCCORDES EDTORINO PG11 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
«Io sono io e mi dovete accettare così: prendere o lasciare». Nel pomeriggio di ieri, nella cornice del festival LiberAzioni, Vera Gemma ha incontrato un centinaio di detenuti nella sala-teatro del Carcere Lorusso Cutugno in occasione della proiezione di Vera . Accompagnata dalla regista Tizza Covi - insieme a Gemma, questa mattina alle 10 condurrà un workshop al Centro Sereno Regis di via Garibaldi -, l'attrice ha partecipato per la prima volta a una presentazione all'interno di un penitenziario: «Quando me lo hanno proposto - ha rivelato - ho accettato senza esitazione; perché penso che questo film sia contro ogni pregiudizio e che possa far riflettere su quanto siamo davvero capaci di rialzarci».L'esperienza vissuta in un contesto così particolare ha lasciato traccia emotiva tra tutti i partecipanti. Da una parte Vera, «di nome e di fatto», che con un cinema che riscrive i rapporti tra finzione e realtà mette in scena se stessa e i rapporti con un genitore (Giuliano Gemma) «tanto amato quanto ingombrante». Dall'altra il pubblico, partecipe nel sostenere le parti della protagonista alle prese con le sue sventure amorose: «Non toccarla!» si lascia scappare uno di loro quanto Vera viene colpita dal suo compagno. Un altro si emoziona quando lo scopre: «Allora Vera è veramente la figlia di Giuliano Gemma». Poi, l'empatia discreta durante la proiezione si trasforma in uno scrosciante applauso che saluta protagonista e regista sui titoli di coda.La prima mano si alza: «Quanto c'è di vero?». «Praticamente tutto», risponde Vera. «Davvero il figlio di Goethe ha una tomba senza nome?», chiede un altro: «È la maledizione dei "figli di" - risponde -: essere ricordati soltanto per i meriti di un genitore e dover continuamente affermare la propria identità».Un ragazzo del Plana, Istituto che da 70 anni organizza corsi scolastici all'interno dei carceri torinesi, si lascia a un commento degno di un critico: «In questo film che rappresenta il vero, sembra che gli attori non recitino un copione al contrario di quasi tutto il cinema italiano». Ha 19 anni e la sua insegnante appare orgogliosa di lui, «come di tutti i miei ragazzi».Alla proiezione partecipano la direttrice del carcere Elena Lombardi Vallauri; i garanti delle persone private della libertà personale della Regione e della Città di Torino, Bruno Mellano e Monica Cristina Gallo, che concordano sulla necessità di più interazioni tra mondo esterno e carcerario, «perché il carcere possa essere davvero luogo di redenzione anche attraverso le arti». E con loro ci sono anche Claudia Gianetto in rappresentanza del Museo del Cinema, la consigliera comunale Sara Diena, Vittorio Sclaverani di Amnc e la direttrice di LiberAzioni Valentina Noya che ricorda l'appuntamento di stasera alle 20.45 con Scusate l'attesa , opera messa in scena con gli attori della Casa di Reclusione di Saluzzo al Teatro Don Orione.Prima del saluto un giovane si rivolge a Vera e chiede educatamente: «Vorrei sapere se è possibile abbracciarla». Vera volge il capo verso le guardie carcerarie presenti in sala che acconsentono. L'abbraccio è accompagnato da fischi e applausi che lo rendono emotivamente «collettivo» e qualcuno si commuove.Fabrizio Dividi© RIPRODUZIONE RISERVATALa schedaVera Gemma ha 53 annied è nataa Roma, figliadi Giuliano Gemma e Natalia Roberti Con il padre, ha recitatoda bambinanel filmdel 1978Il grande attacco Oltrea lavorarenel cinema,ha avuto anche esperienze come attricee autrice teatrale Nel 2022è protagonista del film Vera , diretto da Tizza Covi e Rainer Frimmel, in concorso nella sezione Orizzonti a Venezia, (vince il Premio Orizzonti per la miglior interpretazione femminile) Ieri il filmè stato proiettatoal Lorusso e Cutugno, oggi se ne parlerà al Sereno Regis
14 October 2023
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Giulio De Santis WC553 words
Corriere della Sera SCCORDES EDROMA PG3 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
L'udienza preliminare si terrà il 23 gennaio. C'è un terzo filone d'indagine sul calvario patito da Sara dove sono indagati sei giovani. Due per violenza sessuale, Ralli e Claudio Nardinocchi, mentre gli altri rispondono dell'accusa di spaccio di stupefacenti. Nei loro confronti la Procura ordinaria, dopo la chiusura indagini disposta lo scorso gennaio, non ha ancora deciso per chi chiedere il rinvio a giudizio. A dettare in questo contesto i tempi della giustizia, potrebbe essere stata la necessità di sentire come testimoni i maggiorenni, indagati per spaccio, nel processo (per ora l'unico) a Patrizio Ranieri, difeso dall'avvocato Valentina Bongiovanni, imputato con l'accusa di aver violentato (da solo e in gruppo) Sara.Qualora, infatti, i maggiorenni fossero rinviati a giudizio, ascoltarli diventerebbe più complesso per ragioni procedurali. Chi sono i ragazzi che siederanno nel ruolo d'imputati davanti al gup del Tribunale dei minori? Innanzitutto ci sono Giuseppe e Luigi, assistito dall'avvocato Marco Casalini, imputati per violenza sessuale di gruppo. Con ancora la mezzanotte lontana, avrebbero abusato di Sara nel bagno al primo piano, facendo da palo uno all'altro, mentre si sarebbero alternati nelle violenze. Ad affiancarli, ci sarebbe stato Ranieri che, secondo l'accusa, ha condotto Sara nel bagno approfittando dello stato di alterazione psicofisica della minore, che avrebbe assunto sostanze stupefacenti prima delle violenze. Per aver stuprato Sara in quel frangente è indagato (non ancora imputato) anche Nardinocchi, anche se la giovane l'ha scagionato dalle accuse. La cronaca di quella notte, raccontata attraverso gli atti, spiega quale calvario abbia patito Sara. Perché, secondo l'accusa, in quella prima fase la ragazza sarebbe stata stuprata da tre giovani. Poi c'è un secondo tempo. Sara, dopo le due di notte, si sarebbe distesa su un letto. Ad accorgersene, Giuseppe, che le avrebbe anche ceduto hashish. Il ragazzo entra in camera e la stupra. Pertanto Giuseppe avrebbe violentato la ragazza due volte. C'è poi il terzo tempo. La cui ricostruzione è complessa, almeno sul piano processuale. Dopo le tre di notte Adele avrebbe proposto a Ralli - assistito dall'avvocato Fabrizio Gallo - un rapporto a tre con Sara. L'iniziativa impone, sul piano giuridico, l'accusa di stupro da contestare ad Adele. Sara, di questo terzo tempo, non ricorda alcunché. A rivelarlo sono stati Adele stessa e altri testimoni. Secondo l'accusa, Sara è stata stuprata cinque volte .Giulio De Santis© RIPRODUZIONE RISERVATA
14 October 2023
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Paolo Coccorese WC638 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG27 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Riflettere sul futuro vuol dire confrontarsi con visioni diverse. La metropoli padana Mi-To è solo uno dei possibili scenari. Gli altri sono la «capitale delle Alpi» connessa con la Francia, il fulcro del nuovo triangolo industriale o un più sobrio centro urbano più piccolo dove si vive bene e si studia ancora meglio. Esempi di «città possibili» che questa sera saranno protagonisti del confronto «Torino 2050: costruiamo insieme il futuro», evento organizzato dalCorriere Torino-Corriere della Sera.Nato sulle pagine del giornale, il dibattito sul modello di sviluppo salirà sul palco della Nuvola Lavazza, dove a fare gli onori di casa ci sarà Marco Lavazza, il vicepresidente dell'azienda dell'espresso. Volto del mondo imprenditoriale piemontese che per definizione (e per i suoi investimenti) deve guardare a un futuro su cui si confronteranno Giovanni Semi, sociologo dell'Università di Torino, e Stefano Boeri. L'architetto milanese non condivide la proposta del collega Ratti. «Torino - spiega l'urbanista - deve diventare un polo metropolitano autonomo rispetto al sistema Padano. Una città in grado di misurarsi con Milano, Genova, Nizza e Lione, con una propria identità, all'insegna di un rapporto di reciprocità competitiva».Ripensare i legami locali è necessario se si guarda ad un orizzonte temporale così distante. Davanti c'è una sfida globale per attrarre l'insediamento di aziende, vedi l'ultimo «sogno» dell'arrivo della fabbrica Tesla nei capannoni Maserati di Grugliasco. Ma anche quei giovani residenti essenziali per sfuggire all'inverno demografico di una Torino con i capelli grigi. Se Oscar Farinetti, il fondatore di Eataly, vorrebbe una «città dei Libri, in onore del Salone» e la professoressa ed ex ministro Elsa Fornero invita a riscoprire i valori del santo sociale Don Bosco, la ricetta per il 2050 della manager culturale Laura Milani è «pensare a una Torino delle famiglie, dove si vive bene e le scuole funzionano». Alla Nuvola si confronterà con Barbara Graffino, co-founder di Talent Garden e presidente dei Giovani Imprenditori Unione Industriali di Torino, e con Gianpiero Caroggi Silvagni, Innovative Solutions Marketing Manager Vodafone. Subito dopo, ad esplorare la «propria» idea di Torino 2050, sarà chiamato Luca Dal Fabbro , presidente di Iren. Infine, discuteranno del rilancio economico, della messa a terra dei fondi Pnrr e della crisi demografica il sindaco di Torino Stefano Lo Russo eil presidente del Piemonte Alberto Cirionel dialogo conclusivo con Carmine Festa, responsabile delCorriere Torino , e Venanzio Postiglione, vice direttore delCorriere della Sera.© RIPRODUZIONE RISERVATAL'eventoOggi alle 17.30 aLa Centrale Nuvola Lavazza si terrà«Torino 2050: costruiamo insiemeil futuro della città». L'evento può essere seguito anche in streaming su corriere.it , torino.corriere.it e sui socialdel Corriere Protagonisti del dibattito, iniziato lo scorso agosto sulle pagine del Corriere Torino guidato da Carmine Festa, sono sociologi, urbanisti,accademicie manager che affronteranno gli scenari del futuro della città. L'incontro sarà apertoda Venanzio Postiglione, vicedirettore del Corriere
8 November 2023
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Federico Rota WC463 words
Corriere della Sera SCCORDES EDBERGAMO PG7 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Pagati poco, considerati meno e scarsamente rappresentati (anche sul piano politico). In un quadro generale sui giovani e il lavoro possono essere queste le noti dolenti che si traducono in una spinta verso mercati esteri. Ma in una società «che ha a cuore il futuro è meglio partecipare, scontrarsi, guardarsi in faccia e parlarsi. Rispetto all'indifferenza, al distacco e alla fuga all'estero. Cioè alla frattura sociale». Ferruccio de Bortoli, già direttore e oggi presidente di Fondazione Corriere della Sera , parla rivolgendosi a una platea composta per larga parte proprio da giovani. Alcuni sono studenti delle classi quinte del liceo scientifico Lussana, molti altri rappresentano la nuova generazione di fisici medici. Professionisti sanitari il cui lavoro spazia dalla radiologia alla diagnostica per immagini, passando per la medicina nucleare, che applicano i principi e i procedimenti della fisica in ambito medico per la prevenzione, la diagnosi e la cura di patologie. Ospite d'eccezione alla Giornata internazionale di fisica medica, organizzata ogni anno dall'Associazione italiana di fisica medica e sanitaria (Aifm) nell'anniversario della nascita di Marie Curie nella città designata Capitale italiana della Cultura, de Bortoli riflette su alcuni dei cambiamenti occorsi nel binomio giovani-lavoro. Dalla necessità di un aggiornamento costante, all'ossessione per il successo («per stimolare l'imprenditorialità giovanile è importante dire che fallire non è una colpa. Vuol dire che ci ha provato»), alle retribuzioni («sono scandalizzato quando un imprenditore chiede incentivi fiscali per assumere un giovane perché vuol dire che lo assume non per il suo valore ma per il suo costo»). Pone l'accento anche sul fenomeno dei Neet: l'anno scorso, la quota di ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiava e non lavorava era pari al 19%. «Dovrebbe essere una delle emergenze nazionali», riflette de Bortoli.Per quanto occorrano non meno di 8 anni di studi (laurea specialistica in fisica e un diploma triennale di specializzazione), la fisica medica attrae: in un anno le immatricolazioni alle scuole sono cresciute del 45%. C'è però un ostacolo: il 78% degli specializzandi non riceve contributi, o percepisce meno di mille euro al mese. «Il fabbisogno di nuovi specialisti è di 100 all'anno, le Università sono in grado di bandire i posti ma mancano borse di studio e contratti di formazione - sottolinea Carlo Cavedon, presidente di Aifm -. Se ci fossero si coprirebbe l'intero fabbisogno».Federico Rota© RIPRODUZIONE RISERVATALa schedaL'Associa-zione italiana di fisica medica e sanitaria, nell'anniversa-rio della nascita di Marie Curie, celebra la Giornata internazionale di fisica medica nella città designata Capitale della Cultura
8 November 2023
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di pieremilio gadda WC631 words
Corriere della Sera SCCORDES PG60 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
I tassi resteranno alti a lungo. Qualcuno dice oltre il 2024...«Ma non dobbiamo lasciare che uno shock di breve termine confonda le idee rispetto alle tendenze di lungo termine. Il portafoglio 60 azioni/40 bond in realtà ha molto più senso oggi rispetto a tre o quattro anni fa: qualora la convinzione del mercato circa "lo stop ai rialzi" della Fed dovesse essere confermata, vedremo un importante ritorno d'interesse per il reddito fisso lungo e per le azioni. I portafogli degli investitori individuali andranno comunque ripensati, inserendo anche una quota di mercati privati».Quali sono gli altri effetti dello choc monetario?«Un aumento dell'attenzione ai costi da parte degli investitori. Dopo il 2022, molti investitori hanno riesaminato i portafogli, partendo dalle spese. Lo stesso fattore sta guidando una forte crescita sul segmento etf (exchange traded fund, strumenti a replica passiva di un indice ndr). Il nostro business iShares è sulla buona strada per realizzare il miglior anno di sempre, soprattutto in Europa».Anche la regolamentazione, del resto, spinge nella stessa direzione, ponendo un forte accento sul rapporto qualità/prezzo della consulenza finanziaria...«A tendere, avremo molti più investitori che chiederanno una consulenza sull'intero portafoglio, anziché l'acquisto di un singolo prodotto. Questo spingerà la domanda di costi più competitivi. È possibile che in Italia, tra 10 anni, ci sia molta più consulenza di portafoglio fee based (remunerata in modo esplicito ndr) rispetto ad oggi».Il cambio di focus dal prodotto al portafoglio riguarda solo i grandi patrimoni?«No, si sta diffondendo tra i piccoli investitori e il merito è ascrivibile soprattutto alla crescita degli investimenti attraverso piattaforme digitali. Parliamo di persone che investono 100 o 200 euro al mese per acquistare portafogli diversificati attraverso etf, a costi estremamente contenuti. È un mercato che cinque anni fa non esisteva e sta esplodendo in alcune aree. Nel 2017, in Germania, si contavano 600 mila investitori digitali, oggi sono 7 milioni...la democratizzazione che ha portato all'accesso al mercato dei capitali da parte di investitori individuali che acquistano fondi attraverso piani di risparmio in etf sarà uno degli elementi di maggiore innovazione nei prossimi 10 anni».Gli investimenti a lungo termine sono diventati mento attraenti, per effetto dello choc monetario. Vale anche per gli investimenti sostenibili?«No, rappresentano un'eccezione. Negli ultimi 18 mesi, abbiamo assistito a una crescita continua dei flussi, trainata in larga parte dagli etf azionari sostenibili. Serviranno tra i 1000 e i 2000 miliardi di dollari d'investimento aggiuntivo ogni anno per finanziare lo sviluppo sostenibile verso l'obiettivo di un'economia a basse emissioni di carbonio. E questo riguarderà non solo l'energia, ma anche l'industria dei trasporti e dei materiali. Ci sono enormi opportunità d'investimento in questi settori».© RIPRODUZIONE RISERVATA
4 December 2023
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di Enrica Roddolo WC640 words
Corriere della Sera SCCORDES PG45 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
«Ho fondato la maison con mio marito vent'anni fa, ma ai manager inglesi della moda, con poche eccezioni, manca un'esperienza globale. E non volevo un francese, cercavo un professionista col quale ripensare l'assetto organizzativo», così Alice Temperley spiega la scelta di Donnini.Come si è arrivati invece alla trattativa con Times Square, e quali i piani?«Dopo due anni di trattative siamo alla firma di un accordo che apre il capitale a Times Square Llc, gruppo di famiglia di Dubai, già partner per il Medioriente di diverse case di moda, come l'italiana Furla o Manolo Blahnik oltre a Zadig &Voltaire, e proprietario di spazi retail. Il primo step in estate è stata l'acquisizione da parte di Times Square del nostro store di Dubai. Adesso il gruppo guidato da Ritesh Punjabi entrerà con la quota di maggioranza nella Maison iniettando nuove risorse per grandi progetti».Temperley London è nato come progetto condiviso da aristocrazia del denaro o di sangue, molto British. Quale sarà il nuovo assetto?«La Maison di Alice è nata con il sostegno di un vero e proprio club deal, circa 80 azionisti al 90% britannici che la sostengono dall'inizio e resteranno tutti, con piccole quote dal 5% allo 0,1% nel capitale della casa di moda, che con il nuovo azionista può pensare in grande in uno scenario globale»Com'è distribuita Temperley e quali sono i piani?«La Maison conta ora punti vendita fisici a Somerset fuori Londra dove abbiamo trasferito anche il quartier generale, il negozio di Chelsea a Londra e quello di Dubai: fatturato di dieci milioni di sterline con il piano di crescere a doppia cifra. E presto apriremo un nuovo store ad Abu Dhabi e lavoriamo a una nuova grande apertura a Mayfair, il salotto di Londra».Con quale investimento?«Investiremo 700 mila sterline per le vetrine ad Abu Dhabi e oltre un milione per il nuovo flagship a Londra dove presenteremo anche arredo casa e lifestyle. E continuiamo a credere sull'Europa con il piano di aprire in Italia, a Milano o Roma. Poi, rotta sugli Usa».Entrato in Temperley, ha allargato ad accessori e pelletteria affidandosi a laboratori in Toscana, centralizzando a Verona logistica e fornitori, con laboratori italiani per maglieria e denim. Quali altri piani sull'Italia?«Le sete degli abiti da sera Temperley, da tempo sono comasche. Ora l'Italia sarà al centro di tutta la strategia di produzione: capispalla in Emilia Romagna, regione che conosco bene per gli anni in Max Mara, alta maglieria in Veneto, pelletteria in Toscana e Marche. Il resto della produzione nel Regno Unito, dove attorno a Somerset l'azienda si appoggia a storiche manifatture: qui ci sono il cuore creativo, prototipia e marketing».Lei resta ceo e la fondatrice Alice, l'anima e il direttore creativo, con un nuovo azionista.«Non solo, restiamo azionisti nella società, con il 10% ciascuno soggetto a crescere con le performance della Maison».© RIPRODUZIONE RISERVATA
4 December 2023
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di Salvo Fallica WC929 words
Corriere della Sera SCCORDES PG47 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Da Riposto al Nord America, dal mondo etneo all'Australia, con i prodotti di cioccolato e i ghiaccioli Polaretti continua l'affermazione della Dolfin nei mercati nazionali ed internazionali. L'azienda guidata dal presidente Santi Finocchiaro negli ultimi tre anni ha quasi raddoppiato il fatturato, passando da 33 milioni di euro ad oltre 59 milioni e 300mila nel 2023. Una crescita in cui è rilevante la conquista progressiva dei mercati esteri - incidono per quasi il 40% del fatturato - . Quella della Dolfin è una storia secolare, fatta di passaggi generazionali ben riusciti e dalla capacità dei proprietari di saper diversificare ed innovare. Il nonno Santo Finocchiaro fondò l'azienda nel 1914 producendo caramelle (e poi confetti). Nel 1948 la piccola fabbrica artigianale della Dolfin divenne un opificio industriale. Nel 1964 nacque la prima fabbrica di cioccolato dove presero forma le prime uova di Pasqua made in Sicily. Uno sviluppo nel corso del tempo, sino a giungere alla creazione dei ghiaccioli Polaretti nel 1992.La societàLa compagine societaria di Dolfin è composta dai tre fratelli Santi, Gaetano e Rosaria - terza generazione della famiglia Finocchiaro alla guida dell'azienda - e da Matteo Cosentino (che ha una quota del 5% e lavora come responsabile di produzione nell'azienda). Santi Finocchiaro, che è anche vicepresidente di Confindustria Catania e neo presidente del gruppo Uova pasquali e prodotti cioccolato (di Confindustria), spiega la filosofia della Dolfin: «Impegno costante e unione familiare, innovazione e valorizzazione delle risorse umane, qualità dei prodotti ed ecosostenibilità. Dolfin si è da sempre contraddistinta per una forte propensione all'innovazione, sia nell'ambito dei prodotti, che esporta in oltre 50 Paesi - ultimi ingressi del 2023 Bosnia, Iraq, Ucraina e Ungheria-, sia nell'ambito dei processi e della tecnologia impiegata.«Sul piano della governance la Dolfin ha attuato modelli all'avanguardia ispirandosi alla Germania, inserendo nel proprio consiglio di amministrazione, dove già sedevano i rappresentanti degli azionisti, due esponenti del management che portano il contributo e la testimonianza di chi vive il quotidiano aziendale dal punto di vista dei dipendenti. Si tratta del responsabile dell'area finanziaria ed amministrativa (Cfo), Pietro Monteleone, e del responsabile delle risorse umane (Hrm), Tiberio Diana. «Il loro contributo - sottolinea il presidente Santi Finocchiaro - è determinante perché introduce elementi di diversity che arricchiscono i processi decisionali del board rendendolo ancora più vicino ai lavoratori. Noi crediamo nella grande importanza del capitale umano per lo sviluppo aziendale di medio-lungo termine e per affrontare le nuove sfide che l'impresa è chiamata ad affrontare».Dolfin ha puntato sull'hi-tech ed anche sull'automazione, i dipendenti non sono diminuiti ma aumentati. Con i nuovi investimenti sono nate nuove figure professionali. Ora sono oltre 300 i lavoratori della Dolfin, con un amento dei laureati, dei giovani e delle donne. Vi sono anche 40 robot. Il cuore strategico e produttivo è a Riposto (comunità ionico-etnea che ha dato i natali al grande Franco Battiato).Racconta Santi Finocchiaro: «Nel solco della Digital Transformation abbiamo avviato da tempo un imponente programma di investimenti che ha riqualificato il sistema di produzione con le più moderne tecnologie in chiave 4.0. Tecnologie smart che grazie all'interazione fra connessione, informazione e automazione migliorano la produttività degli impianti rendendoli intelligenti, efficienti e veloci».La Dolfin è al secondo posto in Italia nel mercato uova di Pasqua nel target Kids (dati IRI - DM della Pasqua 2023). La classifica è la seguente: Ferrero, Dolfin, Balocco, Cerealitalia, Motta e Bauli. Finocchiaro è orgoglioso anche di questo dato così come del successo dei Polaretti che prima hanno conquistato il mercato italiano e poi quelli esteri. Grazie anche ad efficaci campagne comunicative, spot televisivi ma anche social, sono entrati a far parte dell'immaginario collettivo dei bambini. L'astronauta etneo-paternese Luca Parmitano ha portato i Polaretti anche nella missione spaziale. Ed è in arrivo a Riposto Polarettilandia, il grande villaggio dedicato al «Magico Mondo dei Polaretti» e ai suoi protagonisti, a cominciare dal testimonial, il pinguino Mister Polaretto.Fondamentale per la crescita all'estero, nel Nord America (Canada e Stati Uniti), è stato l'accordo commerciale con la canadese Deebee's per la produzione di merende alla frutta biologiche e senza zucchero - anche queste da gelare, come i Polaretti- , dal valore salutistico. Nel 2023 per Deebee's sono stati prodotti e venduti circa 12,5 milioni di ghiaccioli. Una commessa che rappresenta il 60% dell'export di Dolfin. Il resto è rappresentato dal mercato Ue e dal Sud-Est asiatico (Corea del Sud e Giappone), con il tradizionale Polaretto e quello nuovo bio. Deebee's ha chiesto a Dolfin di formulare una seconda linea di prodotto al gusto tropicale e soprattutto un gelo di frutta bio senza zucchero destinato agli adulti. Per Superfruit, distribuito da Deebee's, Dolfin utilizza frutta italiana (arance e limoni bio siciliani, mele e frutti di bosco dell'Alto Adige). E l'acqua dei Polaretti è made in Etna.© RIPRODUZIONE RISERVATA
4 December 2023
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Renato Franco WC643 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG17 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Un chiarimento che nasce dopo aver letto «ricostruzioni mirabolanti, complottarde, a volte incredibili, ma tutte divertenti», per questo «voglio fornire la mia versione, naturalmente senza nessuna pretesa di esser creduto, ci mancherebbe, ma solo per dare un contributo al dibattito». Ricci comincia dal principio: «Mercoledì mattina sulla scrivania mi trovo la rivista Chi (secondo alcuni house organ della famiglia Berlusconi) con in prima pagina la foto del first gentleman in un campo di grano, a guisa di papaverone o spaventapasseri. All'interno veniva esaltato il cuore "gitano" e il ciuffo del giornalista che sarebbe priapescamente cresciuto con gli ascolti. Acciderbola - ho pensato - l'astuto cardinal Signorini si sta preparando a celebrare una beatificazione». Così a Ricci viene l'idea di spegnere quella che vede come un'immotivata esaltazione: «Siccome sono un laico, specie in estinzione, ho una naturale diffidenza verso i nuovi santi, ricorderete il caso Soumahoro. Ho pensato subito di utilizzare l'antidoto. Da una fortunosa pesca estiva avevo due fuorionda del giornalista in frigo. Li ho usati. Così come son solito fare. Come quello di Buttiglione-Tajani che Berlusconi dichiarò esser la causa della caduta del suo governo».Quindi affila l'arma dell'ironia: «Qualche lombrosiano potrebbe obiettare: "Potevi mandarlo senz'audio, non ci vogliono mica dieci anni per capire che soggetto è, basta solo vedere come cammina". Lo so, a volte son didascalico. È un mio difetto. Violando la privacy vi posso raccontare della telefonata di Fedele Confalonieri. L'incipit è stato: "Sei il re dei rompicoglioni, anzi sei l'imperatore dei rompicoglioni". Il seguito, essendo stato pronunciato in stretto lombardo, anche volendo, non sono in grado di riferirlo».Dopo aver raccontato la genesi spontanea della sua personale caccia al Giambruno, Ricci riflette sulle ricostruzione che ne sono scaturite: «La cosa che mi ha più stupito di tutto il dibattito è che per il 90% dei giornali sembra impossibile che possa esistere qualcuno che prende iniziative di testa sua e non sia un mero ventriloquo. Un'anomalia da censurare». Quindi chiude la sua riflessione riferendosi all'ultima parte del post di Giorgia Meloni: «Per quanto riguarda la pioggia sulla roccia, magari non scalfisce subito, ma può far nascere un bell'arcobaleno».In sostanza Ricci ha voluto confermare l'autonomia che spinge da sempre il suo modo di agire, la volontà di nuotare spesso controcorrente, di comportarsi da lupo solitario o cane sciolto. Come aveva spiegato in un'intervista «faccio cose che altri non farebbero mai, non perché sia potente, ma perché sono incosciente. Cammino su un filo tra due palazzi, ma non sono un acrobata. Sono solo uno che ci prova e finora non sono mai caduto».© RIPRODUZIONE RISERVATAIl giornalista e le trasmissioniLa carriera a MediasetGiambruno a Mediaset è stato autore a Quinta Colonna , Matrix , Mattino 5 . Volto di Tgcom24 , poi di Studio Aperto , dall'estateè diventato il conduttore del Diario del giorno1Lo stop di 7 giornie la valutazioneGiambruno, in accordo con la direzione di testata, si è autosospeso per una settimana dalla conduzio-ne di Diario del giorno su Rete 4. Mediaset valuta tutti gli episodi2«Scoprirà che leho fatto un piacere»Antonio Ricci, padre di Striscia la notizia , dopo la l'annuncio della premier di lasciare il compagno Giambruno, ha detto: «Meloni. Un giorno scoprirà che le ho fatto un piacere»3
22 October 2023
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Lorenzo Bini Smaghi WC869 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG28 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Il primo è che i mercati non sempre reagiscono alle informazioni in modo lineare. Hanno spesso bisogno di tempo per elaborare i dati, valutare i comportamenti e definire le loro strategie di investimento. Ciò può generare movimenti repentini ed inaspettati delle quotazioni, che in brevissimo tempo possono creare forte instabilità. In altre parole, le reazioni dei mercati arrivano quando meno ce le si aspetta, talvolta innescate da shock esterni.Il secondo motivo è che una volta che gli operatori di mercato - dalle agenzie di rating agli analisti e fondi di investimento - si sono fatti una opinione negativa sulla finanza pubblica di un paese è poi molto difficile far cambiare loro opinione e invertire la tendenza. Si rendono a quel punto necessarie manovre in senso opposto, fortemente restrittive, che tendono a produrre effetti recessivi sull'economia. Agire solo in funzione dei mercati spinge la finanza pubblica ad essere pro-ciclica, ossia troppo espansiva quando l'economia è in buona salute e i mercati sono favorevoli, e troppo restrittiva in fase di rallentamento, quando gli investitori si fanno più prudenti.Il terzo motivo è che una perdita di fiducia dei mercati rende politicamente più difficile qualsiasi manovra correttiva. Si innesca infatti, in questi casi, un incentivo a gridare al complotto organizzato dalla finanza internazionale contro il governo scelto dai cittadini. Tale reazione si verifica in particolare quando le valutazioni sui programmi di finanza pubblica effettuate all'interno del paese, in particolare dalle istituzioni preposte a tale compito, appaiono accondiscendenti e disallineate rispetto alle successive reazioni dei mercati.Il caso del 2011 è emblematico. Il documento programmatico di finanza pubblica presentato nella primavera dal governo Berlusconi fu valutato in Italia con una certa benevolenza, con al massimo la critica di essere «ambizioso», il che rese poi di difficile comprensione la reazione negativa dei mercati, iniziata con il progressivo aumento dei tassi d'interesse nel giugno 2011, seguita dalla revisione al ribasso delle valutazioni delle agenzie di rating e culminata con l'esplosione dello spread oltre 500 punti base nel corso dell'estate, anche per effetto del contagio derivante dalla ristrutturazione del debito della Grecia.Pertanto, è meglio non aspettare le reazioni dei mercati finanziari, ma cercare piuttosto di anticiparle e di comprendere da subito le loro preoccupazioni, anche sollecitando critiche costruttive. Capire cosa preoccupa i mercati non è peraltro così difficile, poiché la NADEF, che porta la firma del Presidente del Consiglio e del Ministro dell'Economia, evidenzia in modo assai chiaro le sfide cui deve far fronte la finanza pubblica italiana per i prossimi anni. Che sono soprattutto di natura politica.La sintesi del problema si trova nel grafico di pagina 95 della NADEF, che mostra l'evoluzione prevista del debito pubblico italiano rispetto al Prodotto lordo nei prossimi dieci anni. Il documento evidenzia chiaramente che, per evitare un aumento insostenibile del debito, è necessario che la manovra correttiva contenuta nella legge finanziaria di quest'anno venga seguita da una ulteriore correzione, per circa 1,8 punti di Pil, ossia poco meno di 40 miliardi di euro nel 2025-26. A ciò si devono aggiungere eventuali ulteriori misure correttive, nel caso in cui non si riuscissero a realizzare i 20 miliardi di privatizzazioni previsti.Il documento mostra anche che la manovra restrittiva non si può fermare nel 2026, altrimenti il debito riprenderebbe nuovamente a salire pericolosamente verso il 150% del Prodotto. La sostenibilità del debito italiano richiede pertanto che nel prossimo decennio il surplus primario continui ad aumentare, anno dopo anno, fino a raggiungere un livello di oltre il 3% del Pil. Per fare un confronto del grado di restrizione fiscale che deve essere messo in atto, il surplus primario più elevato degli ultimi 15 anni è stato registrato nel 2012, per opera del governo Monti, che lo portò dallo 0,9% al 2%. Ciò può dare un parametro di riferimento dell'enorme sforzo che deve essere messo in campo dai prossimi governi, per assicurare che il debito pubblico italiano si allinei su una dinamica sostenibile.Gli investitori, italiani e internazionali, si chiedono legittimamente se tale sforzo sia realizzabile, soprattutto dal punto di vista politico. Eventuali dubbi sulla volontà e sulla capacità di mettere in atto tali politiche potrebbero innescare reazioni più veloci e dolorose del previsto. Fugare questi dubbi è compito primario della politica.© RIPRODUZIONE RISERVATA
22 October 2023
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Guido Olimpio WC612 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG3 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
La sorpresaUn post su X (Twitter) di una sola parola: «Sorpresa». E poi il lancio di missili in direzione di Israele. I miliziani sciiti Houthi hanno cercato di colpire la città di Eilat dallo Yemen ma lo scudo ha intercettato la minaccia con il ricorso, per la prima volta, al sistema Arrow. Il fronte del Mar Rosso si era aperto il 10 ottobre con le minacce dei guerriglieri appoggiati e armati dall'Iran, i loro leader avevano detto di essere pronti a muovere al fianco di Hamas. Nove giorni dopo hanno sferrato il primo colpo, attacco sventato dall'azione di una nave americana poco a nord dello Yemen che ha abbattuto la maggior parte dei «proiettili», e dai sauditi. Al primo «ciclo» ne sono seguiti altri, con esplosioni attribuite a droni-kamikaze nella località egiziane di Taba e Nuweiba, nel Sinai, probabilmente «velivoli senza pilota» andati fuori rotta. Infine, ieri mattina il nuovo allarme attorno a Eilat, determinato dall'avvistamento di droni, e il successivo strike portato con missili, forse i Toufan. A Gerusalemme si attendono altre «sorprese», un portavoce Houthi le ha promesse.In guardiaIsraele era in guardia. I radar - ve ne è uno importante nel Negev gestito insieme agli americani - e la ricognizione avanzata hanno «avvistato» i vettori innescando la risposta di caccia F15 e batterie di Arrow, arma sviluppata proprio per parare armamenti a lungo raggio. Accanto ai dispositivi dello Stato ebraico ci sono quelli statunitensi, aumentati di numero in tutta la regione. Un gigantesco ponte aereo ha trasferito Patriot, Thaad e relative munizioni nei Paesi alleati mentre è stata intensificata la sorveglianza con un grande schieramento aeronavale che va dal Mediterraneo al Golfo Persico e include il Mar Rosso dove incrociano unità alleate.Le manovreNella Striscia l'esercito ha continuato la sua pressione lungo il mare, nella parte nord, e a oriente raggiungendo i sobborghi di Gaza City. Altra spinta nella parte centrale con l'intento di arrivare alla strada costiera Al Rashid per chiudere una sacca densamente popolata. I soldati, però, hanno incontrato una resistenza tenace da parte dei miliziani. Come prevedibile i mujaheddin sono sbucati dai tunnel ingaggiando l'avversario e tendendo imboscate. Tattica documentata da un video diffuso dal movimento: i guerriglieri escono da una galleria in una zona rurale, avanzano tra i cespugli bassi e poi aprono il fuoco con gli anticarro. Episodi che si ripeteranno all'infinito costringendo l'esercito a procedere con prudenza. Sempre massiccio il numero di tank, blindati e ruspe corazzate, le avanguardie di due divisioni. Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha confermato l'asprezza della battaglia: otteniamo risultati ma con un prezzo alto. Per ora è stata comunicata la morte di due militari della Brigata Givati.Erano membri di un plotone di ricognizione impiegato in un assalto a Jabalia. Una fase dell'operazione per eliminare un comandante di Hamas, Ibrahim Biari, che ha portato anche al raid sulle case del campo profughi con conseguenze devastanti per gli abitanti.© RIPRODUZIONE RISERVATA
1 November 2023
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Paola Pollo WC815 words
Corriere della Sera SCCORDES EDMILANO PG6 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
«Dopo il Covid tutti erano chiusi, nessuno parlava con nessuno. Come barbiere io sono sempre stato abituato a chiacchierare, così ho pensato che tagliare i capelli avrebbe potuto essere un mezzo per superare tanta negatività. All'inizio tutti mi dicevano di no. Mi chiamavano "il carabiniere" perché facevo sempre troppe domande. Io rispondevo che ero solo un barbiere un po' artista. Adesso mi riconoscono ed è tutto più facile». Perché un ragazzo di, allora 25 anni, si mette in testa di parlare con degli sconosciuti? «Se incontro qualcuno che ha un bel sorriso, automaticamente sorrido. E, al contrario, se è triste, mi chiudo, divento cupo e questo non mi piace». Il suo accento non tradisce le radici casertane anche se assicura che con i suoi parla napoletano. «Sono qui grazie a mio papà che è un muratore. Lavorava al Nord ed era a casa ogni 15 giorni. Ma mamma voleva sempre stare con lui così ci trasferimmo anche noi, a Sesto San Giovanni, zona Marzabotto. Avevo 11 anni e tutto cambiò». Non in meglio: «Mi bullizzavano, schiaffi e parole, perché ero un bravo ragazzo, ero timido e piccolino e andavo all'oratorio. Ma a casa non lo raccontavo, sapevo che sarebbe passato. E oggi, grazie anche a quell'oratorio, sono chi sono. Non mi sono mai piaciuti i ragazzi che se ne stanno buttati in giro. Oggi mi chiamano nelle scuole a parlare contro il bullismo».In uno dei suoi ultimi video, dice ai giovani: scuotetevi. «Cerco, nel mio piccolo, di far cambiare l'atteggiamento. Spesso quando fermo i ragazzi sono scorbutici ma poi mi raccontano di storie incredibili. A volte ce l'hanno con i genitori. C'è troppa confidenza e poco rispetto. Ho ascoltato di alcuni che hanno alzato le mani su padri e madri e lo confessano pentendosi. Così come ho raccolto la tristezza di figli che hanno subito violenze».Perché non il «barbiere dell'oratorio»? «Tagliare i capelli era il mio sogno, la mia ossessione, sin da ragazzino. Ma zio Mimmo era al Sud e non avevamo i soldi per le scuole del Nord. Così mi sono iscritto a meccanica, che era a cinque minuti da casa. Alle 8 ero puntuale in classe e poi quando uscivo alle 2 correvo giù in cantina e pregavo chiunque fra gli amici (pochi perché non si fidavano) , di venire da me a tagliare i capelli gratis. Guardavo i tutorial. Ho imparato in quartiere cioè nel blocco. Poi ho preso anche il diploma per corrispondenza «arrotondando» come operaio di notte all'Expo».Riesce ad aprire le persone, qualsiasi età abbiano. Storie di gioie e di dolori. «Succede che è come se li conoscessi da tanto». E se fosse sindaco di Milano per un giorno? «Aumenterei i punti di incontro per i ragazzi. Con altre attività. E poi cercherei di coinvolgerne il più possibile togliendoli dalla strada, dai parchi, da casa, dalla play station». Video giochi ma anche altro: «io non fumo e non mi drogo. Non sono mai stato attratto. Vidi mio padre quasi soffocare per un attacco di asma, fumava due pacchetti al giorno: lui ha smesso e io ho capito. Alla Bicocca un giorno ho trovato dei tredicenni che fumavano, gli ho chiesto il perché. Mi hanno detto che lo hanno visto fare da amici. Tredici anni...Dalle sigarette alle canne e poi? Vado anche nelle comunità di recupero, mi chiamano. Ascolto e mi ascoltano. Prima o poi la paghi e chi sta là dentro lo sa».I tagli dei sogni? «Ai rapper Drake e Central Cee». Con «Il barbiere del blocco», paga i collaboratori e investe nei progetti: «Andrò sui palchi di tutto il mondo, sento che ce la farò». Infiniti tagli, infinite storie.© RIPRODUZIONE RISERVATA
1 November 2023
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Valentina Iorio WC586 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG17 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
fine del costante aumento dei prezzi possa essere vicina. Meglio essere cauti?«Pensare di aver raggiunto il target fissato dalla Bce sarebbe prematuro e non realistico. L'inflazione in questa fase è in calo ma il dato di ottobre è un'illusione statistica, sarebbe troppo bello per essere vero - spiega Tommaso Monacelli, ordinario di Macroeconomia ed Economia monetaria all'Università Bocconi -. Il confronto avviene, infatti, rispetto a ottobre dello scorso anno, un periodo in cui il tasso di inflazione ha registrato un fortissimo aumento, soprattutto per l'impennata dei costi dei beni energetici».A cosa è dovuta questa brusca frenata dell'inflazione?«Soprattutto al rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici. Dobbiamo ricordare che i prezzi dell'energia lo scorso ottobre erano aumentati di oltre il 70 per cento rispetto all'anno precedente. Proprio perché si era raggiunto un livello record, oggi il prezzo dell'energia risulta molto più basso rispetto a un anno fa. A conferma del fatto che siamo di fronte a un valore anomalo c'è il fatto che, su base mensile, tra settembre e ottobre, i prezzi sono calati solo dello 0,1 per cento. Un altro dato a cui guardare per capire cosa sta succedendo è quello dell'inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, che rallenta molto meno passando da +4,6% a +4,2%, così come quella al netto dei soli beni energetici».Cosa dobbiamo attenderci a novembre?«Probabilmente ci sarà un nuovo rialzo dell'inflazione perché non ci saranno quei fattori che distorcono il dato di ottobre. Inoltre con l'aggravarsi del conflitto in Medio Oriente, il prezzo del petrolio sta tornando a correre. Se dovessimo andare incontro a uno shock petrolifero, l'inflazione potrebbe tornare a correre e tenuto conto del dato negativo del Pil dell'Eurozona (nel terzo trimestre è calato dello 0,1%, ndr ) per i prossimi sei mesi potremmo andare incontro a uno scenario di stagflazione».Per riportare l'inflazione definitivamente sotto controllo, cioè al target del 2 per cento, potrebbero servire nuovi rialzi, dopo lo stop dell'ultima riunione?«Non mi sento di escluderlo. Credo che la scelta della Bce di fermarsi adesso, alla probabile vigilia di un nuovo incremento dei prezzi dell'energia, potrebbe rivelarsi una scommessa sbagliata. Il problema è che un nuovo rialzo in una fase in cui l'economia dell'Eurozona non cresce potrebbe avere conseguenze più pesanti di quello che avrebbe avuto un nuovo rialzo a ottobre».Vede un rischio di recessione?«Il quadro a breve e medio termine sembra deteriorarsi. L'aggravarsi della situazione geopolitica in Medio Oriente causerà un incremento dei prezzi dell'energia, petrolio innanzitutto. E questo potrebbe determinare uno shock inflattivo dal lato dell'offerta molto più rapido della capacità della politica monetaria di reagire».Quali sono i rischi per l'Italia?«La crescita è al palo e in questo contesto non vedo grandi margini di miglioramento. Servirebbero delle misure espansive, ma nella Manovra non ce ne sono. L'unica che va in quella direzione è il taglio del cuneo fiscale, ma dovrebbe essere strutturale. Un intervento solo per un anno non basta».© RIPRODUZIONE RISERVATA
1 November 2023
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Paolo Conti WC480 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG13 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Tolkien, professore, piace molto a Giorgia Meloni...«Tolkien piace alla presidente Giorgia Meloni? Benissimo. Ma piace a Zerocalcare ed era molto amato da Michela Murgia. Io ho 39 anni, vivo e lavoro in Gran Bretagna da venti. Quando sento dire che in Italia ancora si parla di un "Tolkien di destra" resto allibito, sono considerazioni assurde di un provincialismo pazzesco che ci riportano indietro in un mondo scomparso. Negli stessi anni lontani in cui Tolkien era studiato a destra in Italia, negli Usa gli hippy impazzivano per lui».Comunque c'è chi dice che la mostra sia stata voluta da Palazzo Chigi e chiesta al ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.«In questa mostra non c'è nemmeno l'ombra della politica. Io stesso provengo da una sensibilità politica e da radici molto lontane dall'attuale governo. Ma il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha lasciato ai curatori Oronzo Cilli e Alessandro Nicosia piena e assoluta libertà, non c'è stata alcuna interferenza. Come avviene nel mondo universitario: l'etimologia stessa della parola spinge verso il concetto di universale, di vasto».Non ideologica, lei dice. Allora come definirebbe la mostra?«Scientifica e di ricerca. Il mondo dell' immaginario di Tolkien è vastissimo e sarebbe un errore prendere una parte per farne il tutto, anche se c'è chi vorrebbe appropriarsene. Sarebbe bello se si lasciasse stare la mostra così com'è, da destra e da sinistra. Perché è una rassegna da osservare a occhi aperti senza pregiudizi di alcun tipo».Quale Tolkien racconta?«La mostra è all'insegna dell'ampiezza e dell'inclusione. Come tutti i grandi classici, Tolkien ha saputo parlare a cuori diversissimi tra loro. Infatti Il Signore degli Anelli ha venduto almeno 150 milioni di copie in tutto il mondo. È il libro più venduto nel Pianeta dopo la Bibbia e il Corano . L'universo di Tolkien è fluido, tiene insieme mondi differenti e anche contrastanti tra loro. Ci sono gli elfi, personaggi conservatori che vogliono mantenere tutto così com'è non accettando la storia che cambia. Ci sono i grandi eroi. E poi gli hobbit, nascosti nelle tane. C'è il mago Saruman. Posizioni eterogenee che però riescono a integrarsi in un viaggio narrativo comune. Perché camminano tutti insieme».© RIPRODUZIONE RISERVATAChi èG iuseppe Pezzini, 39 anni, professoredi Lingua e letteratura latina
15 November 2023
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F. Ang. WC453 words
Corriere della Sera SCCORDES EDTORINO PG11 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Max Giusti non ha dubbi: a fare il Marchese del Grillo è proprio bravo. L'attore, comico e conduttore romano è cresciuto a pane e Alberto Sordi, «ma solo dopo che ho iniziato a salire sul palcoscenico per un po' di volte - racconta - ho capito davvero quanto avessi interiorizzato il grande Sordi. Molto di più di quello che pensavo. Non lo scimmiotto, sarebbe deprimente, ma neppure lo stravolgo. La gente quando viene a vedere lo spettacolo ha in mente il film e deve rimanere contenta». E che film. Uno dei più indimenticabili del grande Mario Monicelli che il regista Massimo Romeo Piparo (che ne ha curato l'adattamento con Gianni Clementi) porta a Torino, al Teatro Colosseo, sabato e domenica in pomeridiana. Le scenografie sono di Teresa Caruso e le musiche di Emanuele Friello. Una grande produzione (che per le dimensioni del Colosseo verrà un po' ridimensionata) che prevede 27 attori in scena e dieci persone dietro le quinte.Giusti ricorda quando, da ragazzo, tornava da scuola e alle due si metteva davanti alla televisione: «Ogni pomeriggio davano un film di Alberto Sordi. Mi rivedo molto in lui, non solo per la romanità, ma anche per il fatto che entrambi siamo autodidatti. Per me è un feticcio». È molto legato anche alla figura di Monicelli, regista simbolo della Commedia all'italiana. «Ebbi l'onore di intervistarlo durante un festival di Venezia. Gli feci delle domande sul film suo che amo di più, La grande guerra , mi raccontò qualche aneddoto. Aveva un sarcasmo incredibile». E comunque, Giusti è proprio bravo, «non glielo direi se non fossi certo. "Volavo basso" durante la prima conferenza stampa, non sono una persona arrogante. Ho avuto una grande fortuna a fare questo spettacolo, il personaggio sembra cucito addosso a me. Un'occasione così è da vivere intensamente. Potrebbe non ricapitare più nella vita». Ma questo è il momento giusto, come lo fu per Sordi nel 1981: «Lui era al massimo del suo splendore. Anche al botteghino». Aveva 61 anni, Giusti ne ha 55. «Ho alle spalle molte cose fatte, molti ruoli, quindi esperienza preziosa. Ma ho anche tanta forza fisica e tanta voglia. Per me questo spettacolo è una vera e propria goduria. In un anno e mezzo che lo portiamo in giro, mai una volta ho tirato il freno a mano sul palcoscenico. Ho sempre dato il massimo. I cambi d'abito tra Onofrio e Gasperino sono 12. Chissà se mi ricapita più un altro Marchese del grillo».F. Ang.© RIPRODUZIONE RISERVATA
15 November 2023
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S. Bus. WC586 words
Corriere della Sera SCCORDES EDMILANO PG5 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Con 37 voti a favore e 36 contrari, ieri è passato il testo, presentato dal capogruppo del Pd Pierfrancesco Majorino, e condiviso da Alleanza Verdi e Sinistra, Azione Italia Viva, M5S e Patto Civico, che invita la giunta a valutare la possibilità di «sollevare» Lo Palo dalla carica che ricopre perché «non adeguata a dirigere una struttura di controllo dell'ambiente a garanzia della popolazione lombarda». Tutto è partito da alcune dichiarazioni della presidente di Arpa, dove affermava: «Non credo che il cambiamento climatico sia frutto dell'uomo», definendolo un fenomeno «in corso da diverse ere geologiche». Facendo i conti tra i consiglieri presenti, i «franchi tiratori» tra i banchi della maggioranza dovrebbero essere otto, un numero consistente, che ha spiazzato (almeno pubblicamente) l'aula, visto che anche l'indicazione della giunta era di votare contro la mozione. Quello che è certo è che Lo Palo è persona vicina a Fratelli d'Italia, candidata per il partito alle scorse regionali, risultata poi non eletta.Poco prima del voto, il capogruppo della Lega, Alessandro Corbetta, in aula parlava di una mozione «strumentale», volta a spaccare la maggioranza, e aveva assicurato un voto contrario e «compatto» del suo gruppo. Sempre lui però aveva aggiunto anche che «chi ricopre un certo ruolo dovrebbe anche avere più cautela nell'esternare il suo pensiero. In certi ruoli è fondamentale esprimere equidistanza e terzietà». Il capogruppo di FdI, Christian Garavaglia, si dice sorpreso del risultato ma «crediamo che Lo Palo debba restare al suo posto. Speriamo che la giunta possa rinnovare la fiducia verso di lei, questa è la nostra richiesta».Esultano intanto le opposizioni. «Per la seconda volta la maggioranza di destra in Regione va sotto attraverso il voto segreto, entrambe le volte su questioni che riguardano persone o proposte riconducibili a FdI - sottolinea Majorino -. Le tesi strampalate del negazionismo climatico di certa destra, di cui Lo Palo è solo l'ennesima rappresentante, non stanno in piedi». Per Nicola Di Marco, capogruppo del M5s «Lo Palo è emblema del non merito e delle logiche spartitorie con cui Lega e FdI si sono divisi le poltrone. È da Ferragosto che denunciamo l'inadeguatezza del profilo di Lo Palo, in virtù delle carenze curriculari poi palesatesi alla prima occasione».Intanto, le associazioni Cittadini per l'Aria, Legambiente e Wwf regionali hanno denunciato con un esposto alla Procura presso la Corte dei Conti Lombardia «l'inadeguatezza di Lo Palo a ricoprire quel ruolo - dichiara Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l'aria -, ma il problema è che negli anni sono state adottate norme che hanno reso l'Arpa Lombardia un simulacro di autonomia».dsfS. Bus.© RIPRODUZIONE RISERVATALa vicendaLuciaLo Palo, presidente dell'Arpa, nominatadalla giunta guidata da Attilio Fontana (foto ), è stata «sfiduciata» ieri dall'auladel consiglio regionale La mozione delle opposizioni che chiedevano la rimozione della neo presidente è stata approvataa maggioranza e con il voto segreto
15 November 2023
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di alessandra quattordio WC673 words
Corriere della Sera SCCORDES EDMODA_E_MODI PG19 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Ciò è confermato dalle qualità dei materiali impiegati nella produzione 100% Made in Italy dell'azienda, scelti sempre in base alla loro sostenibilità: dal metallo al legno di foreste certificate - lavorato nello stabilimento di Manzano in Friuli -, dalle materie plastiche - del 2020 le prime sedie in polipropilene riciclato, al 50% da scarto di materiali post consumo e al 50% da scarto di materiale industriale (i prodotti «recycled grey») - fino al tessile degli imbottiti e alle fibre. E continui sono gli investimenti volti a ridurre sia l'impatto ambientale, in termini di emissione di CO2, che il consumo idrico ed energetico (grazie a 6.000 mq di pannelli fotovoltaici).Luca Molinari, curatore della mostra che si dipana dal piano alto al ground floor del Pavilion, spiega: «Si parte dal territorio e dalla comunità che hanno dato vita a Pedrali nei suoi primi 60 anni. Era impossibile fare un'esposizione completa su un'esperienza così densa; quindi, abbiamo lavorato su alcuni frammenti significativi della filosofia di lavoro, della attività produttiva e dell'attenzione alla qualità tecnica ed estetica dei prodotti». Quale il focus della storia? «Il momento in cui l'azienda, che nasce da un'officina di fabbro per arredi da esterno, opera un primo salto tecnologico grazie all'introduzione dell'informatica applicata alla gestione del processo di produzione. Con Monica e Giuseppe, da un lato si accresce ancora di più il livello tecnologico dei processi produttivi e dall'altro si vede l'avvio delle collaborazioni con designer per dar vita a nuove famiglie di oggetti».Sono loro, i figli di Mario, ad aver affidato l'ideazione del Pavillon a AMDL CIRCLE e Michele De Lucchi, con lo scopo di siglare i primi 60 anni di attività della Pedrali via via innervata dall'energia di sempre nuovi designer di respiro internazionale: fra gli altri, Patrick Norguet, Patrick Jouin, Odo Fioravanti, Marco Merendi & Diego Vencato, Eugeni Quitllet, Robin Rizzini, Sebastian Herkner.L'architetto De Lucchi, deus ex machina del Pavilion, ora posto a Mornico e domani, forse, destinato ad altro luogo, precisa quali sono le linee del progetto che vede oggi la struttura con tetto voltato, modellato a scandole in larice, ergersi in mezzo alla campagna. «Un'opera che sta fra il fienile e il portico lombardo, realizzata in base al concetto di struttura temporanea per sfidare non l'eternità, ma la contingenza. L'architettura oggi non è più fatta da "costruzioni per sempre", ma da "installazioni". Qualsiasi cosa si edifichi, vengono consumate molte risorse. Quando si fanno installazioni invece si mettono insieme elementi compositivi usando la minor quantità possibile di materiale. La temporalità diviene così la qualità di architetture, sì, celebrative, ma trasferibili altrove, con nuove funzionalità e senza eccessivo dispendio di mezzi».© RIPRODUZIONE RISERVATAArredi e testimonianzel'esposizioneLa mostra «Pedrali60, we design for a better future» ( nella foto ), allestita sui due livelli del Pavilion a Mornico al Serio, (headquarter dell'azienda) presenta prototipi, grafiche, cataloghi, progetti. Inoltre, i monitor offrono testimonianze e voci della community Pedrali.
22 November 2023
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Nino Dolfo WC650 words
Corriere della Sera SCCORDES EDBRESCIA PG14 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Nella sua lunga carriera questa è la terza volta che lo affronta sul palcoscenico, corpo a corpo. Nel 1969 lo incontrò nello storico sceneggiato televisivo di Sandro Bolchi, poi quarant'anni dopo ci fu La leggenda del grande inquisitore con la regia di Pietro Babina, oggi è alle prese con Le memorie di Ivan Karamazov : in scena al Teatro Sociale da stasera al 26 novembre, tutti i giorni alle ore 20.30, la domenica alle ore 15.30. Lo spettacolo è tratto dal romanzo di Dostoevski, vede la drammaturgia di Umberto Orsini e Luca Micheletti, tratta dal romanzo di Fëdor Dostoevskij, l'interpretazione di Umberto Orsini e la regia di Luca Micheletti, peraltro talento bresciano insieme allo scenografo Giacomo Andrico. Una produzione Compagnia Umberto Orsini.Il grande romanzo dello scrittore russo si e ci interroga sui temi capitali: la seduzione del potere, l'autorità, la legge, la fede, ma soprattutto la libertà. Perché qui la tesi diabolica in discussione è che, non addicendosi agli uomini la libertà, meglio la servitù dello spirito che garantisce una fanciullesca felicità. Un argomento che, visto il mondo in cui viviamo, frenetico e connesso, è di urlante modernità.«Io e Micheletti - ci racconta Umberto Orsini - abbiamo pensato che Ivan Karamazov, non avendo un finale nel romanzo, era un personaggio infinito. E quindi poteva avere un seguito. In effetti Dostoevskij aveva previsto una continuazione. Pertanto abbiamo immaginato un sequel, rimanendo fedeli alla parola dello scrittore, in cui Ivan si trova in un'aula di tribunale aperto alle intemperie e pretende un epilogo. Questo è il pretesto per riprendere in mano la storia della famiglia Karamazov e soprattutto il delitto che sta dentro questa storia, mettendo al centro il libro nel libro, il capitolo cruciale, ovvero la Leggenda del grande inquisitore, con la sua materia sempre scottante, che ci domanda perché l'uomo non ha la capacità di usare la propria libertà».Quella dell'inquisitore è una figura nodosa e enigmatica. Rappresenta la Chiesa che difende una ortodossia o una ragion di Stato in quanto tale? Il vero colpo di scena è poi che alla fine dell'incontro nella piazza della cattedrale di Siviglia dopo il rogo degli eretici, Cristo, sempre silenzioso, bacia l'inquisitore. Dostoevskij piace ai giuristi ( Gustavo Zagrebelsky, Gherardo Colombo) e piaceva anche a Dietrich Bonhoeffer, il teologo luterano tedesco, protagonista della resistenza al nazismo, che su questo bacio dava una sua interpretazione. «La scena del bacio - risponde Orsini - è presente anche in questo spettacolo e sarà uno specchio a ipotizzare quel gesto. Cristo, ritornato sulla terra rimane silente di fronte all'inquisitore che gli imputa di disturbare il suo lavoro, perché gli uomini sono felici così, non si sono mai pentiti di aver ceduto al potere, nella fattispecie la Chiesa, la loro libertà. Ad ogni spettatore l'ardua sentenza».Umberto Orsini e Luca Micheletti saranno inoltre protagonisti dell'appuntamento intitolato Riscrivere e Interpretare Dostoevskij per il teatro, domani alle ore 16.30 presso il Teatro Sociale.Nino Dolfo© RIPRODUZIONE RISERVATASul palcoLe memorie di Ivan Karamazov è in scena al Teatro Sociale da stasera al 26 novembre, tutti i giorni alle ore 20.30, la domenica alle ore 15.30 Lo spettacolo è tratto dal romanzo di Dostoevski, vede la drammaturgia di Umberto Orsini e Luca Micheletti Il grande romanzo dello scrittore russo si e ci interroga sui temi capitali: la seduzione del potere, l'autorità, la legge, la fede, ma soprattutto la libertà
22 November 2023
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di lorenzo nicolao WC652 words
Corriere della Sera SCCORDES EDMODA_E_MODI PG21 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Una tradizione forte non consente la rinuncia al cambiamento. Le necessità industriali odierne sono diverse rispetto a quelle degli Anni '70, quando un'azienda come Poliform muoveva i suoi primi passi nel campo dell'arredamento a Inverigo (Como), dopo essere nata come impresa artigiana nel 1942. Chi si occupa di design non deve così inseguire solo le tendenze dell'abitare, ma tener conto della sostenibilità del proprio lavoro. Il 2022-2023 da questo punto di vista ha rappresentato un biennio cruciale per un leader di settore che conta oggi oltre 400 punti vendita in 90 Paesi. Un passato vincente non toglie quindi spazio a un futuro che richiede scelte adeguate. Lo sanno bene i fondatori, e cugini nella vita, Alberto Spinelli, Aldo Spinelli e Giovanni Anzani, che per anni hanno ricoperto a rotazione la carica di amministratore delegato.La costante crescita dell'azienda è dovuta anche a una strategia che ha saputo intercettare l'avvento delle esigenze ambientali. Poliform è riuscita nel corso del 2022 a ridurre le emissioni in atmosfera di 173 tonnellate di CO2, producendo 702.600 kWh di energia elettrica con il supporto degli impianti fotovoltaici installati in quattro sedi aziendali. È stato inoltre massimizzato il recupero dei rifiuti (94%), utilizzando per esempio 2mila tonnellate di legno di scarto per la produzione di energia termica. Traguardi vicini a un'effettiva economia circolare, grazie anche al lavoro di oltre 30 addetti alla ricerca e allo sviluppo, che non hanno rallentato l'espansione nei mercati internazionali di un'azienda che ha generato nel 2022 un volume d'affari pari a 235 milioni di euro, registrando un aumento del 15% rispetto al 2021 e del 46% rispetto al 2020. Numeri che attestano il punto di contatto degli obiettivi industriali ed economici con quelli ambientali e sociali.Come la realizzazione di divani, poltrone, armadi, tavolini e di ogni componente dell'arredamento possa indossare una veste green lo ha spiegato l'ad Giovanni Anzani: «La nostra progettazione è basata sull'impiego efficiente di risorse e materiali, permettendo di ridurre l'impatto ambientale legato alla produzione, come i rifiuti generati, intervenendo su durabilità, riparabilità e riciclabilità dei prodotti stessi», ha spiegato Anzani, fornendo poi qualche ulteriore dettaglio sugli strumenti impiegati.«Utilizziamo tecnologie di riciclaggio di ultima generazione assicurando che il legno possa essere adottato, riutilizzato e riciclato di volta in volta in prodotti ad alte prestazioni. Attraverso l'utilizzo di determinate tecnologie ed impianti usiamo gli scarti di lavorazione per produrre energia termica da impiegare all'interno delle nostre sedi produttive. Pertanto, quello che rappresenta normalmente uno scarto, soprattutto in termini di costo per lo smaltimento, può esser trasformato e valorizzato in energia attraverso impianti di cogenerazione».L'ad ha fatto infine riferimento anche alle peculiarità del proprio settore: «Il ciclo di vita dei nostri prodotti è lunghissimo. Il loro utilizzo, infatti, si estende su un orizzonte temporale di almeno 20 o 30 anni. Legno, vetro e alluminio vengono in questo modo riciclati alla loro dismissione, rientrando completamente nel ciclo naturale. Operando sull'intera supply chain, con nuove soluzioni impiantistiche, abbiamo raggiunto la massima valorizzazione delle risorse. Risultati che riflettono una mentalità imprenditoriale capace di guardare al futuro e il rispetto verso la comunità che ci caratterizza da sempre».© RIPRODUZIONE RISERVATAUn recupero recordl'energiaNel 2022 Poliform ha prodotto 702mila kWh di energia da impianti fotovoltaici, evitato l'emissione di oltre 173 tonnellate di CO2, recuperato il 94% dei rifiuti e riutilizzato almeno 2mila tonnellate di legno di scarto. ( Nella foto, Alberto e Aldo Spinelli e Giovanni Anzani ).
22 November 2023
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Corriere della Sera SCCORDES PG20 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Nei vari sondaggi e ricerche che si sono susseguiti negli anni, Millennial e Gen Z hanno sempre riconosciuto sia la valenza positiva di una corretta pianificazione finanziaria sia l'importanza della presenza di un consulente che possa accompagnarli nel percorso di investimento del risparmio, soprattutto per gli obiettivi di integrazione pensionistica. La pensano così, per esempio, tre giovani italiani su cinque nell'ambito di un recente sondaggio condotto da Bva Doxa per Invesco, che ha analizzato i comportamenti di un panel composto per due terzi da Millennial e per un terzo dalla Generazione Z. «I fatti, però, sembrano smentire queste dichiarazioni - argomenta Sonia Ceramicola, amministratore e co-fondatore di Teseo, ente di ricerca e sviluppo di didattica applicata e centro di cultura finanziaria indipendente -. Solo il 30% degli intervistati, infatti, ha un consulente che li assiste in questo percorso. Inoltre, non sembra esserci coerenza tra gli strumenti finanziari in cui i giovani dicono di investire e il livello di attenzione agli obiettivi pensionistici. Analizzando i dati di un ulteriore sondaggio condotto dal Comitato Edufin tra Millennial e Gen Z, poi, a fronte di un 27% degli intervistati che dichiara di voler soddisfare finalità previdenziali, il 51% afferma di aver fatto il primo investimento in azioni (27%), criptovalute (11%), valute (7%) e materie prime (6%)».E con riferimento specifico alle criptovalute, Ceramicola fa notare come solo il 12% ne apprezzi la facilità di utilizzo e le opportunità di guadagno nel breve termine e come solo il 16% consideri le crypto un'opportunità in termini di rivalutazione a lungo termine del capitale superiore ad azioni e obbligazioni: «se ne deduce che il resto degli investitori le compri perché ritiene che siano un elemento strutturale del portafoglio, quindi utili a diversificare. Un paradosso che può essere spiegato ancora una volta con la ridotta cultura finanziaria, che porta ad assumere scelte di investimento eccessivamente rischiose su asset class o veicoli di investimento dei quali si ignorano i fondamentali, ma si pretende di conoscere le virtù».Millennial e, ancora di più, la Gen Z sono cresciuti in un contesto che li ha abituati alla velocità. «E così come hanno bisogno di velocità di comunicazione, allo stesso tempo si aspettano velocità di risultati - puntualizza ancora Ceramicola -. E probabilmente è anche per questo che prediligono asset come le criptovalute, che promettono guadagni facili e veloci. Fa parte del loro mondo. Di conseguenza, accettano inconsapevolmente rischi che probabilmente non sono in grado di sopportare. Proprio per questo è fondamentale educare alla finanza, e non solo nelle scuole. C'è tutto un mondo da educare al di fuori del contesto scolastico, dove è più difficile raggiungere gli interlocutori».Sembra quasi che l'educazione finanziaria sia utile solo a chi ha patrimoni importanti. Ma è esattamente il contrario. Il problema maggiore è il piccolo risparmiatore, il ragazzo, il giovane, che deve capire i criteri fondamentali del risparmio e dell'investimento. La gran parte delle persone rifiuta l'educazione finanziaria perché ritiene che non gli serva. Non è passato il messaggio che una maggiore alfabetizzazione finanziaria è utile nella vita di tutti i giorni. «Ed è su questo che dobbiamo lavorare», conclude Ceramicola.Gabriele Petrucciani© RIPRODUZIONE RISERVATA
30 October 2023
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Monica Guerzoni WC821 words
Corriere della Sera SCCORDES EDRIBATTUTA PG12 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
«Abbiamo sulle nostre spalle una responsabilità storica, consolidare la democrazia dell'alternanza e accompagnare finalmente l'Italia nella Terza Repubblica», scrive Meloni. Con la riforma costituzionale la premier spera di scrivere una nuova pagina di storia, chiudendo la Seconda Repubblica nata dopo gli anni tempestosi di Tangentopoli. Sono passati decenni, il centrodestra «ha trascorso anche momenti difficili», ma è cresciuto, si è strutturato e oggi «aspira a essere la sintesi di tutte le idee maturate nell'alveo della tradizione conservatrice e cristiano-liberale».L'ingresso nella «Terza Repubblica» dovrebbe avvenire grazie al disegno di legge in cinque articoli sul cosiddetto premierato soft, destinato ad approdare nel Consiglio dei ministri di venerdì. Il testo può ancora cambiare, perché Meloni e i suoi avrebbero ancora dubbi su alcuni passaggi decisivi. Oggi a Palazzo Chigi la premier farà il punto con Ciriani, Fazzolari, Mantovano, Salvini, Tajani, Lupi e ovviamente la ministra Casellati.L'ultima bozza della legge, che entrerebbe in vigore alla fine del secondo settennato di Sergio Mattarella (2029), è da giorni a Palazzo Chigi, dove i tecnici si stanno confrontando con il Quirinale. Le forze di opposizione e anche diversi costituzionalisti temono che la riforma possa intaccare i poteri del capo dello Stato, minando l'equilibrio di pesi e contrappesi che sorregge l'architettura istituzionale. Elly Schlein ha già detto a Giorgia Meloni che il Pd non è disponibile a sostenere l'elezione diretta. «Un disegno spaventoso e sconclusionato», lo straccia il segretario di +Europa, Riccardo Magi. Ma Casellati difende il progetto, assicurando che «nessuno vuole toccare le prerogative del presidente della Repubblica».Nel ddl il capo dello Stato conferisce l'incarico al premier eletto e mantiene il potere di nominare i ministri su indicazione del capo del governo, il quale non può revocarli. Non c'è sfiducia costruttiva, ma una norma anti-ribaltone per garantire continuità alla legislatura e impedire che i parlamentari cambino casacca. Se il premier si dimette o cade non si torna subito al voto. Il Quirinale può conferire l'incarico allo stesso premier uscente, oppure a un altro parlamentare, collegato al predecessore eletto direttamente dal popolo, purché sia votato dalla stessa maggioranza in entrambe le Camere. Questa formulazione, proposta da Forza Italia, non convinceva FdI, perché toglie al capo del governo il potere di «minacciare» il ritorno alle urne. «Se viene meno la fiducia nel premier si va a votare», è infatti il leitmotiv di Meloni.Dopo le tensioni tra FdI e Lega sull'iter delle riforme e dell'Autonomia, ora dal Carroccio arrivano segnali rassicuranti. Il ministro Calderoli ha lavorato in tandem con Casellati, «il testo è stato condiviso e costruito insieme» e stamattina Salvini valuterà il risultato. La Carta viene modificata agli articoli 88, 92 e 94. Il cardine della riforma è l'elezione diretta del premier, il cui mandato dura cinque anni. C'è l'indicazione per un sistema elettorale maggioritario con un premio del 55% assegnato su base nazionale ed è prevista una sola scheda, con cui votare sia il premier sia le Camere. Renzi è favorevole, Calenda lo era ma ci ha ripensato, Conte resta drasticamente contrario. Per il leader del M5S il premierato indebolisce il Parlamento e spiana la strada all'«uomo solo al comando».© RIPRODUZIONE RISERVATALe tappeUn dicastero dedicatoLa presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha voluto nel suo esecutivo un ministro, nel caso specifico Elisabetta Alberti Casellati, che si dedicasse ad un progetto complessivo di riforme costituzionali per ridefinire ruolo e poteri degli organi dello Stato (presidente della Repubblica e premier)Presidenzialismoprima ipotesiNel programma elettorale di Fratelli d'Italia tra le riforme costituzionali ritenute più importanti c'era il cosiddetto «presidenzialismo»,cioè l'elezione direttadel presidente della Repubblica, così da attribuirgli un ruolopiù politico e operativo in virtù della designazione popolareL'accordosul premieratoIl confronto dentrola maggioranzadi centrodestra nel corso del tempo ha portato a condividere una riforma che punti a dare maggiori poteri al presidente del Consiglio (il «premierato»). Si interverrà sugli articoli 88, 92 e 94 della Costituzione per introdurre l'elezione diretta
30 October 2023
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Pietro Tosca WC512 words
Corriere della Sera SCCORDES EDBERGAMO PG1.4 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Nel progetto il Comune collabora con le coop Insieme di Treviglio, il Susino di Caravaggio e Fili intrecciati di Brignano. C'è chi ha imparato a servire ai tavoli e chi ha scoperto che il suo posto è accanto al pizzaiolo a stendere i panetti di pasta e a guarnirli. Un percorso iniziato sette anni fa, passando da un tirocinio che poi è diventato un contratto stagionale e ora arriva a maturazione con un'assunzione a tempo indeterminato. I protagonisti sono 8 ragazzi che frequentavano le tre cooperative che offrono possibilità lavorative a persone disabili.«Abbiamo aperto a Treviglio nel 2015 - spiega Claudio Cerri che dirige il Mate con Giulia Duca - e un anno dopo i soci si sono trovati concordi nel voler impegnarsi in quest'avventura». I ragazzi coinvolti, quattro maschi e quattro femmine, prima hanno seguito corsi preparatori all'Abf, la scuola professionale della Provincia. «All'inizio - spiega ancora Cerri - venivano in quattro al locale ogni martedì. Negli anni sono cresciuti molto, imparando più mansioni e guadagnando autonomia. Dall'anno scorso abbiamo iniziato ad aggregare un ragazzo ogni sera alla nostra brigata per tutti i servizi della sera. È stato un passo difficile perché hanno dovuto superare gli schemi ma che ha permesso loro di guadagnare in autonomia».Ora il traguardo con la decisione di un'assunzione a tempo indeterminato che prevederà un impegno calibrato di 6 ore al mese. «Da lunedì al venerdì ci saranno due ragazzi - chiarisce Duca -. Si è stabilito di farli lavorare due alla volta perché abbiamo sperimentato che questo li rassicura». Il percorso di crescita ha riguardato anche il resto del personale: «Abbiamo imparato a relazionarci con loro», spiega Duca.Un progetto che l'amministrazione comunale ha voluto raccontare pubblicamente con un convegno ieri mattina proprio nell'ex Upim dove ha sede il ristorante. All'incontro hanno preso parte il consigliere regionale Giovanni Malanchini, il direttore di Abf Treviglio Davide Finazzi, la presidente della Cooperativa Insieme Antonietta Santi, Elisabetta Donati dei centri per l'impiego della Provincia di Bergamo e la consigliera comunale Mariagrazia Morini.«A fare la differenza in situazioni come queste, prima ancora che le norme, è la sensibilità dell'impresa - spiega il sindaco Juri Imeri -. Di solito questa nasce da un attaccamento e un radicamento al territorio. Nel caso del Mate questo va addirittura oltre perché i titolari sono arrivati a Treviglio solo da pochi anni ma hanno voluto subito aprirsi a questa esperienza». Un progetto che il sindaco ora vorrebbe replicare. «In collaborazione con la Provincia - conclude Imeri - stiamo pensando di proporne una versione aperta a tutti i commercianti della città».P.T.© RIPRODUZIONE RISERVATA
24 October 2023
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Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG37 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
da quando sono piccola ho nel cuore il desiderio di essere utile. In adolescenza la mia mente è stata invasa da un vuoto di senso: il trascinarmi nelle giornate era lento, l'essere utile - tanto desiderato - non volevo avesse come destinatario un mondo che mi appariva insensato. Non ero affezionata a nulla del mio tempo, se non a due ore il sabato pomeriggio in una casa di riposo. Ricordo l'odore terribile e i lunghi corridoi verso la stanza in cui gli anziani ci aspettavano per cantare insieme. Eravamo quindici ragazzi che, gratuitamente e senza voti in più a scuola, si dedicavano a uno ospizio storico di Rimini. Le prime volte andavo per pura filantropia, poi - iniziando a sentire la fatica che quell'impegno richiedeva - mi sono accorta che non lo facevo solo per questo. Quel luogo poteva essere l'esasperazione dell'insensatezza che avvertivo, eppure io ci tornavo costantemente. Iniziata l'università, ho cercato a Milano un posto in cui poter fare la stessa esperienza. Da quattro anni, il venerdì pomeriggio offro due ore di aiuto allo studio a ragazzi delle medie nella zona di Corvetto. Nella frenesia della settimana milanese, quelle sono le ore «per me». Niente Spa o parrucchieri, dedico il tempo al desiderio di amare ed essere amata. Con questi ragazzi tutti i miei buoni propositi spesso cadono: tante volte è impossibile farli studiare. Ma grazie a loro sto intuendo che la consistenza della mia utilità sta nel mio essere lì, capisco che ho valore perché ci sono e non per la buona riuscita della mia performance. Allora, perché fare volontariato a 20 anni oggi? Perché si scopre che la bellezza della vita aumenta quanto più si chiarifica la consapevolezza di esserci. Questo credo che rompa tutti gli schemi perbenistici, meritocratici e performanti che la società impone. Un gesto del genere è più rivoluzionario per il mondo - e per la mia vita - di qualsiasi piazza gremita di gente con forconi alla mano.EmiliaCara Emilia,mi permetto di darti del tu perché hai l'età dei miei figli e perché in queste righe la profondità e la trasparenza con cui ti racconti creano subito empatia. Su queste pagine ci siamo spesso occupati della crisi del volontariato che oggi riguarda soprattutto le nuove generazioni e anche del malessere sempre più diffuso di tanti, troppi giovani. La tua testimonianza tiene tutto insieme. Da una parte mi convince che i giovani sono meglio di come li raccontiamo: magari non si iscrivono alle associazioni di volontariato ma sono pronti a donarsi. Dall'altra mi interroga: noi adulti sappiamo dare risposte alla vostra domanda di senso (e di educazione adeguata, di occupazione retribuita, di sostegno alla vita autonoma)? Ecco. Forse il problema siamo noi e se vogliamo aiutarvi dobbiamo mettere in discussione i nostri modelli, le nostre certezze.© RIPRODUZIONE RISERVATA
24 October 2023
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Rita Querzè WC1,268 words
Corriere della Sera SCCORDES PG2.3 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
D'altra parte il quite quitting non è altro che una forma soft e meno ambiziosa del fenomeno delle grandi dimissioni: se la tua qualifica non è così richiesta da permetterti agevolmente di passare da un lavoro a un altro, strappando nella lettera d'assunzione più flessibilità oraria e più smart working, allora resti dove sei, ma riduci gli sforzi al minimo.Il fidanzamento con l'aziendaIl punto è: le aziende si possono permettere questo scollamento emotivo con i propri dipendenti? La risposta è ovviamente un secco «no». A sentire direttori del personale ed esperti in organizzazione aziendale, una via d'uscita ci sarebbe. Si tratterebbe di rifondare l'idea di «carriera». Anche se non si tratta di una sfida da poco. Morta e sepolta negli anni Duemila, a fare i funerali alla «carriera» è stata l'organizzazione orizzontale, che consente maggiore autonomia e agilità ai team di lavoro, favorisce l'operatività per obiettivi permettendo così all'organizzazione di reagire velocemente a ogni input che arriva. Ma poi, una volta raggiunto il singolo risultato, che si fa? Quali sono le prospettive? Una nuova squadra e un nuovo obiettivo: e poi?L'idea di «carriera» in una organizzazione verticale come negli anni Ottanta è certamente superata ma qualcosa da salvare c'è, ed è l'idea di futuro intrinseca nel concetto di carriera stesso. Immaginare un percorso di carriera, per il dipendente voleva dire immaginarsi un futuro all'interno dell'impresa, con l'investimento emotivo e di energie che questo comporta. Il punto è: come potrebbe declinarsi oggi nelle organizzazioni il concetto di carriera, inteso come investimento sul proprio futuro dentro l'organizzazione? «Oggi si parla molto di engagement , per descrivere il coinvolgimento dei dipendenti negli obiettivi aziendali - fa notare Barbara Imperatori, docente di Organizzazione aziendale all'università Cattolica di Milano -. L'obiettivo dei direttori del personale è giustamente quello di avere collaboratori "ingaggiati". In inglese engagement significa anche "fidanzamento". Questo ci fa capire come in pratica alle persone si chieda un investimento personale totalizzante e proiettato avanti nel tempo. Ma perché questo funzioni bisogna mettere sul piatto qualcosa, dare qualcosa in cambio. Non credo che il vecchio concetto di carriera come progressione verticale all'interno dell'impresa sia facilmente recuperabile. Ma "fare carriera" oggi per le persone potrebbe voler dire per esempio, in prospettiva, avere maggiore libertà di organizzarsi e più tempo per sé».L'azienda di famigliaCome è possibile? Siamo sicuri? A dare un esempio di come questo possa avvenire è Licia Pollastri, al vertice dell'azienda di famiglia nel settore metalmeccanico in provincia di Reggio Emilia: «Io ai miei capi settore non chiedo di essere sempre presenti - spiega -. Il mio parametro per valutare un dirigente non è il tempo che passa in azienda ma che cosa succede al suo reparto quando lui non c'è. Se tutto funziona bene e non mi accorgo della sua assenza, allora significa che quel manager è in gamba perché ha saputo motivare e formare al meglio i suoi collaboratori. Se, invece, quando non è presente qualcosa si inceppa, allora vuole dire che non ci siamo. Da notare: nessuno può essere onnipresente, prima o poi a tutti capita di doversi assentare. È per questo che sapere delegare e responsabilizzare fa bene alle organizzazioni. E consente alle persone qualche grado di libertà in più».L'indagineChe il concetto di carriera si stato troppo velocemente messo in soffitta è dimostrato anche da un'indagine condotta dalla Fim, il sindacato metalmeccanici della Cisl, tra duemila impiegati del settore in Lombardia. Ne esce che il maggiore motivo di insoddisfazione all'interno delle imprese non è la retribuzione, come pure si sarebbe potuto pensare, vista la perdita di potere d'acquisto degli stipendi, ma proprio la carriera.Il 60% degli intervistati, infatti, trova le aziende manchevoli per quanto riguarda le opportunità di crescita personale mentre la retribuzione arriva soltanto al terzo posto tra i motivi di disagio. «Tutto questo è coerente con quello che ci dicono anche altre indagini», si inserisce Paolo Iacci, docente di gestione delle risorse umane alla Statale di Milano e presidente di Aidp promotion, società controllata da Aidp, associazione dei direttori del personale. «Gli italiani che hanno risposto all'indagine internazionale "State of the global workplace" di Gallup hanno detto solo nel 5% dei casi di essere coinvolti dal proprio lavoro, mentre il 46% dei dipendenti ha detto di soffrire di stress quotidiano. Tutto questo ci fa pensare che sia partito, accelerato dalla pandemia, un ripensamento del rapporto con il lavoro. Oggi fare carriera non coincide con un aumento delle responsabilità e del potere ma spesso con il passaggio da una situazione di minore libertà a una di maggiore libertà. Attenzione: parlare di "ripensamento" del lavoro è ben diverso dal descrivere quello che sta succedendo come una "fuga dal lavoro". In realtà la fuga non c'è, basti guardare ai tassi di attività degli italiani che non sono mai stati così elevati» .La sfidaÈ evidente come in questo contesto le organizzazioni siano di fronte a una sfida enorme. «Il fatto è che da gestire non c'è soltanto la motivazione e l'ingaggio dei dipendenti - aggiunge Barbara Imperatori -. C'è anche il calo demografico che riduce l'offerta di personale. E poi questo personale deve avere sempre di più specializzazioni elevate e ben precise. Negli anni passati si è talvolta snobbata l'espressione "capitale umano" . In realtà credo che sia calzante. Quando si parla di "capitale umano" è implicito il grande investimento che le aziende fanno sulle persone.Certo, bisogna essere consapevoli del fatto che ai dipendenti stiamo chiedendo sempre di più anche sul fronte delle competenze. Per questo funziona mettere in campo occasioni di education e di formazione. Spesso è anche attraverso l'offerta di un corso di specializzazione molto qualificante che l'azienda dimostra la sua attenzione per il dipendente, la sua voglia di investire su di lui al punto da aumentarne le competenze a vantaggio dell'organizzazione, certo, ma anche del dipendente stesso che arricchisce un patrimonio di conoscenze che domani potrebbe spendere anche sul mercato» .Altro punto interessante: fino a oggi quando in azienda si è parlato di «ad personam» si faceva riferimento al trattamento economico. «In realtà sempre di più il trattamento delle persone dovrebbe essere "ad personam" a tutto tondo», suggerisce Imperatori. «Il punto è che nelle aziende convivono fianco a fianco generazioni diverse, con diverse esigenze. Di tutti bisogna sapere comprendere i bisogni per offrire in qualche modo un piano di crescita su misura - continua Imperatori -. Ci sono settori poi in cui la sfida per i responsabili delle risorse umane è particolarmente alta perché trattenere le persone è difficile. Parliamo della cosiddetta retention . Ma sono proprio le aziende che operano in questi ambiti a interrogarsi oggi di più e a sperimentare un nuovo patto simbolico con i loro dipendenti».Di certo un patto da costruire su nuove basi. Sempre all'insegna della lealtà e della trasparenza .© RIPRODUZIONE RISERVATA
24 October 2023
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Lorenzo Cremonesi WC687 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG6 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Non ci saranno celebrazioni per la liberazione della 37enne Israa Jabis. Niente feste o banchetti con parenti e amici, come vorrebbe la tradizione araba per i momenti di gioia, nessuna bandiera, nessun assembramento per strada. «La polizia è venuta a dirci che non tollera neppure le distribuzioni di dolci, nulla di pubblico verrà permesso che possa anche apparire come un sostegno per Hamas», spiega il fratello 30enne Suhaib, che ha un'azienda edile a Gerusalemme Est, lavora spalla a spalla con quelle israeliane e teme ripercussioni sul suo lavoro.Abbiamo raggiunto l'abitazione della famiglia Jabis ieri pomeriggio, poche ore dopo la diffusione della lista dei 300 nomi di donne e ragazzini detenuti nelle prigioni israeliane per «motivi di sicurezza», tra i quali verranno scelti 150 da scambiare con i 50 ostaggi israeliani. Nella lista ci sono 32 donne, di cui due diciottenni e una quindicenne, oltre a 144 ragazzi sotto i 18 anni. Sono quasi tutti della Cisgiordania e 76 di Gerusalemme Est, per lo più catturati tra i 2 e 5 anni fa.«Non abbiamo la certezza matematica che lei verrà liberata subito, ma questo lasciano intendere le autorità israeliane e i giornalisti palestinesi», dice il fratello di Israa. Per venirli a trovare occorre dribblare le viuzze povere e male illuminate della parte araba di Gerusalemme. Ras El Amud è una valle stretta dominata dalle bastionate attorno al Muro del Pianto, dal Monte degli Ulivi e dai nuovi quartieri ebraici sulle zone alte. Poco dopo ci raggiunge la mamma 58enne Muntaa e la sorella maggiore Mona. E questo è il loro racconto: «La mattina dell'11 ottobre 2015, Israa tornava dal suo lavoro in un asilo dei villaggi verso Betlemme quando al posto di blocco israeliano di Zaiem la sua vecchia Subaru ha preso fuoco per un guasto. Spaventata dalle fiamme ha gridato Allah Akbar, che i soldati hanno scambiato per il motto dei kamikaze islamici. Subito catturata, pur se ustionata, è stata processata e condannata a 11 anni di carcere duro».Domandiamo: perché non avrebbe potuto essere una terrorista? Risposta: «Non era armata, non aveva esplosivo. A bordo c'era una bombola usata del gas da cucina che doveva riempire. Ha un figlio, Moatassem, che allora aveva 6 anni e oggi 14. Faceva un bel lavoro, non ha mai mostrato propensione per qualche tipo di militanza politica e gode i privilegi degli abitanti arabi di Gerusalemme est, che stanno molto meglio di quelli nella Cisgiordania occupata. Gli israeliani hanno commesso una delle tante ingiustizie contro di noi, sanno benissimo che Israa non rappresenta alcun pericolo».Nelle parole della mamma e della sorella si avverte un'ostilità malcelata. Entrambe ricordano la loro bella villa distrutta dai bulldozer israeliani poco lontano da qui nel 1980 con la scusa che era stata costruita senza permesso. «Loro edificano dove vogliono senza problemi, ma noi non possiamo muovere un mattone», protestano.Negli ultimi anni tra loro hanno fatto il turno per andare a visitare Israa l'unica volta al mese concessa nel carcere di massima sicurezza di Damon, non lontano da Haifa. «Abbiamo fatto amicizia con altri famigliari delle donne e dei ragazzini che adesso potrebbero venire liberati per lo scambio con Hamas», dicono. Del gruppo islamico però non vogliono parlare. «Troppo pericoloso per noi. Gli israeliani ascoltano tutto, ma ovvio che Hamas è oggi più popolare che mai», sussurrano. Molto più espliciti sono i reporter di Al Quds , il quotidiano filo Fatah della Cisgiordania. «Hamas non è mai stata tanto forte. La gente li vede come il collante della nostra unità nazionale».Lorenzo Cremonesi© RIPRODUZIONE RISERVATAcon il figlionullLa donnaIsraa Jabis, palestinese, fu arrestata a un posto di blocco nel 2015 dopo che la sua auto prese fuoco. Ha un figlio, Moatassem, che oggi ha 14 anni
23 November 2023
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Giovanna Maria Fagnani WC567 words
Corriere della Sera SCCORDES EDRIBATTUTA PG29 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Il Casiraghi fino al 1978 era a Sesto San Giovanni e si è poi trasferito a Cinisello Balsamo, nell'immensa cittadella su viale Fulvio Testi, nel Parco Nord, che ospita anche il Cartesio e il Montale: un complesso con 5 mila studenti, il più vasto d'Europa. Il Casiraghi ne conta 1.200, tra classico, scientifico e linguistico. Al classico, che ha due sezioni, l'80 per cento dei diplomati supera il primo anno di università con una media del 27,9. Il voto medio di maturità è 89,4. Questo risultato si riferisce ai diplomati degli ultimi tre anni e i ragazzi si chiedevano: saremo in grado di mantenerlo? «Sono sicura di sì. Abbiamo festeggiato e parlato anche di stereotipi» racconta Cristina Traverso, docente di italiano e latino e coordinatrice del classico. Quali? «Quelli sulle periferie, rappresentate sempre come qualcosa di deficitario. Non bisogna negare i problemi, ma io qui ho incontrato umanità, dignità e tanta consapevolezza. Il classico per i nostri studenti è frutto di una scelta personale, senza pressioni da parte delle famiglie o senza il voler frequentare una scuola solo perché blasonata».Che cos'ha il Casiraghi più degli altri? «È un polo liceale: i tre indirizzi dialogano e condividono progetti comuni». Fiore all'occhiello è il laboratorio di fisica moderna, in cui gli alunni, guidati da insegnanti formati dal Cern, rivelano e tracciano le particelle cosmiche. Oltre a padroneggiare l'uso di camere a nebbia, e diversi tipi di rivelatori a scintillazione, acquisiscono competenze su linguaggi informatici. E poi ci sono la curvatura biomedica, accessibile dal triennio anche per il classico e il potenziamento Cambridge, per cui alcune materie si studiano in inglese.La scuola è aperta nel pomeriggio per una miriade di corsi: dalla fotografia all'hip hop, dal teatro ai caffè letterari, allo studio assistito. Il collettivo studentesco ha un'aula a disposizione. «Siamo felici e orgogliosi dal primo posto, ma non lavoriamo per emergere sugli altri, bensì per portare avanti al meglio la nostra missione. Al classico, si parte prima dall'insegnare il giusto metodo di studio e poi con le nozioni» conclude il preside Delio Pistolesi.Giovanna Maria Fagnani© RIPRODUZIONE RISERVATALa scuolaIl liceo Casiraghiè il miglior Classicodi Milanoe provincia secondola classifica Eduscopio della Fondazione Agnelli L'istituto, nato a Sesto San Giovanni dove è rimasto fino agli anni Settanta, è stato trasferito al Parco Nord di Cinisello Balsamo Il polo studentesco invece ha oltre 5 mila alunni: è il più grande d'Europa
23 November 2023
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Andrea Arzilli Maria Egizia Fiaschetti WC726 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG12 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Roma Il giorno dopo la dura sconfitta nella corsa a tre per aggiudicarsi Expo 2030 - Roma è arrivata ultima con soli 17 voti dietro Riad e Busan - si rincorrono le analisi per ricostruire cosa non abbia funzionato al di là dello strapotere economico dei sauditi. Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ritiene che il posizionamento dell'Italia in coda alla classifica, con un punteggio che segna il record negativo nella storia recente dell'Esposizione universale, sia dovuto al «ritardo nella partenza della candidatura con l'allora governo Conte» e alla scelta dell'ex sindaca Raggi (giugno 2021, a quattro mesi dalle elezioni amministrative) di proporla «come una sorta di ripiego a fronte del rifiuto delle Olimpiadi (settembre 2016, ndr ) che forse sarebbero state un obiettivo più raggiungibile». Convinto che le recriminazioni ormai servano a poco, Urso esorta a «imparare dagli errori e a prepararsi al meglio». Nel frattempo, è scattato il tutti contro tutti nel timore di ritrovarsi con il cerino in mano mentre si cerca di risalire alla catena degli errori.Antonio Tajani, responsabile della Farnesina, non potrebbe essere più esplicito: «Forse l'occasione persa era quella delle Olimpiadi: non bisognava rinunciare, le avremmo vinte». Dal Campidoglio, però, ricordano che il 12 ottobre, quando il sindaco ha provato a fare lobbying con una ventina di Paesi dell'America Latina e dei Caraibi - presente anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella - per convincerli a votare Roma, Tajani si è limitato a un saluto istituzionale sulla Terrazza Caffarelli. Il giorno dopo, quando erano in programma gli incontri bilaterali, il ministro, che era anche presidente della Conferenza Italia-America Latina-Caraibi, è volato in Israele suscitando il disappunto dei potenziali partner stranieri: «Si è sfiorato l'incidente diplomatico», è quanto filtra da Palazzo Senatorio.La tesi del forfait olimpico come genesi del cortocircuito risuona anche in area Pd e viene rilanciata da altre forze di opposizione: «Una candidatura nata male - è la riflessione condivisa da alcuni parlamentari dem - dopo che Milano aveva già ospitato l'Expo nel 2015. È stato uno degli argomenti utilizzati contro l'Italia in campagna elettorale, facendo notare che sebbene non fosse vietato dal regolamento non era mai successo nella storia della manifestazione». C'è poi chi contesta la decisione come operazione di opportunismo politico: «Una suggestione buttata lì a pochi mesi dalle elezioni comunali, senza aver prima sondato il terreno per capire se vi fosse un reale interesse per Roma». Dopo la caduta del governo Conte bis (febbraio 2020) il nuovo esecutivo Draghi, pur raccogliendo l'appello pro Expo dei quattro candidati a sindaco di Roma (oltre a Raggi, Gualtieri, Michetti e Calenda) non mostra particolare entusiasmo per l'avventura di Expo non considerandola una priorità. E però - è tra le considerazioni che circolano in queste ore - «con lui magari la rete globale avrebbe funzionato meglio e non avremmo perso in misura così schiacciante... forse abbiamo scontato una certa debolezza internazionale dell'Italia». Tra i molti rumors sulle possibili cause della disfatta spunta poi il retroscena di «un incontro ai massimi livelli, non meno di due mesi fa, tra governo, Comitato promotore e Campidoglio» nel quale sarebbero emerse proiezioni disastrose: «Già allora si sapeva che Riad aveva incassato il sostegno della stragrande maggioranza dei delegati - rivela un insider - . Si sarebbe pensato addirittura di ritirare la candidatura, salvo poi decidere di andare avanti per evitare la figuraccia internazionale che alla fine c'è stata lo stesso...».Dal fronte politico a quello diplomatico, ci si interroga anche su come si siano mossi gli special ambassador inviati all'estero a caccia di consensi e sulla strategia adottata dal Comitato promotore: «Evidentemente i loro conti erano sbagliati - è quanto trapela da ambienti della Farnesina - e certe esternazioni sono fuori dalla realtà».Andrea ArzilliMaria Egizia Fiaschetti© RIPRODUZIONE RISERVATALa schedaRiad, capitale dell'Arabia Saudita, si è aggiudicata l'Expo 2030 con 119 voti su 165 delegati votanti (in tutto gli aventi diritto erano 182) Seconda si è piazzata Busan con 29 voti mentre Roma si è fermataa 17
30 November 2023
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S. Gan. WC601 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG17 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Domani e sabato, nel World Climate Action Summit, prenderanno la parola i capi di Stato e di governo, per elencare i propri impegni in materia climatica. Assenti sia il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sia il leader della Cina, Xi Jinping. Anche il protagonista più atteso, Papa Francesco, ha dato forfeit all'ultimo per ragioni di salute; al suo posto ci sarà il cardinale Parolin. Un segnale positivo è arrivato, però, dall'inviato Usa per il clima: il «veterano» John Kerry ha confermato che Cina e Usa, responsabili del 40% delle emissioni globali di gas serra, collaboreranno per il «successo di questa Cop».Tra i 160 leader attesi al vertice figurano il presidente ucraino Zelensky, il turco Erdogan, il francese Macron, il brasiliano Lula e, per restare sulla cronaca, sia l'israeliano Herzog sia il leader dell'Autorità palestinese Abu Mazen. La presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, interverrà domani, nella giornata dedicata all'adattamento. Tra i Vip non politici, ci saranno re Carlo d'Inghilterra, Bill Gates e l'attivista Vanessa Nakate. Non sarà a Dubai, invece, Greta Thunberg.Il bilancio (o Global Stocktake) sul rispetto dei target stabiliti a Parigi, per non superare la soglia limite degli 1,5° di aumento della temperatura media globale, sarà uno dei temi principali di Cop28. Un recente rapporto dell'Onu mostra che i piani nazionali per il clima (o Contributi determinati a livello nazionale) ridurrebbero entro il 2030 le emissioni globali solo del 2% rispetto ai livelli del 2019, ma per la scienza è necessario tagliarle del 43%.Al centro del dibattito, e delle polemiche, anche i finanziamenti sia per il Fondo clima, che (forse) finalmente quest'anno raggiungerà i 100 miliardi di dollari promessi dai Paesi ricchi, sia per il fondo Perdite e Danni, unico vero risultato raggiunto lo scorso anno a Cop27, su cui ancora non c'è l'accordo definitivo rispetto a chi saranno i donatori, quanto denaro conterrà e come verrà erogato. L'unico punto su cui c'è un'intesa è che, temporaneamente, verrà gestito dalla Banca Mondiale.Nella seconda settimana, si entrerà nel vivo dei negoziati per arrivare ad un documento finale. L'Unione europea punta ad un impegno globale per triplicare la produzione di energia rinnovabile e raddoppiare l'efficienza energetica, obbiettivo condiviso da un centinaio di Paesi. Resta, però, il nodo dei combustibili fossili - eliminazione o riduzione - che, come in passato, rischia di bloccare la Cop, anche per l'opposizione durissima dei Paesi produttori.S. Gan.© RIPRODUZIONE RISERVATAAssentiPresentiIl verticeLa Cop28 è la ventottesima conferenzasul clima delle Nazioni Unite Si apre a Dubai, con 198 Paesi, nell'anno più caldo mai registrato prima1,5434021
30 November 2023
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Antonella Frontani WC642 words
Corriere della Sera SCCORDES EDTORINO PG9 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Arriva puntale, come sempre, nonostante l'agenda tempestata di appuntamenti.Di fronte alla sua collezione di francobolli l'aplomb del politico lascia il posto all'entusiasmo del collezionista.Quando nasce questa collezione?«Fin da bambino mio padre mi appassionò alla filatelia e ogni settimana mi portava serie di francobolli, acquistate nel negozio filatelico di Bolaffi, con cui aveva un'amicizia nata nel comune impegno nella Resistenza. E così anno dopo anno ho raccolto una collezione molto ampia di francobolli di ogni Paese e di ogni continente. Bolaffi pubblicava ogni anno il catalogo internazionale, così, andavo a cercare i francobolli che non avevo».Cosa rappresentavano per un bambino i francobolli?«Uno splendido strumento di conoscenza! Ogni francobollo ti fa entrare in un Paese: la sua storia, le sue personalità, i suoi monumenti, le sue epopee, la sua religione».Vorrei il ricordo di un'emozione suscitata da un francobollo.«Ricordo i francobolli del Laos con elefanti e animali esotici molto affascinanti per un bambino. E ogni volta mi precipitavo a rintracciare sul mappamondo il paese che il francobollo mi suggeriva. Lì iniziai a coltivare la passione per la storia».In che senso?«I francobolli raccontano la storia. Dittature e democrazie, regni e repubbliche, imperi e colonie, tirannie e annessioni, guerre e paci. E le personalità che hanno segnato la vita delle nazioni: imperatori, re, presidenti, eroi, santi, artisti, scienziati. E poi i costumi, la fauna, la flora, i monumenti».Facciamo un esempio.«Ecco, questo francobollo rappresenta l'Ifni, provincia spagnola sulla costa occidentale dell'odierno Marocco - che oggi è la terra contesa del Sahrawi - che fu, per un certo periodo, posta sotto amministrazione fiduciaria delle Nazioni Unite. I suoi francobolli raffiguravano cammelli, dromedari, antilopi, serpenti. Ognuna di queste immagini accendeva in me la curiosità di scoprire mondi sconosciuti».Alcuni di questi francobolli sono antichi.«Sì, risalgono all'Ottocento, vengono dalla collezione del nonno proseguita da mio padre e poi da me, in un affresco straordinario del '900».La sua attività politica l'ha portata a girare nei due terzi del mondo. Ha mai legato un luogo al ricordo di un francobollo?«Sempre. Ogni volta che ho visitato un Paese nella mia memoria si affacciava un francobollo».Altri ricordi?«Allora non esistevano i social né la posta elettronica. Raccoglievo tutte le buste della amplissima corrispondenza della azienda di Papà, che mi insegnò il modo di staccare i francobolli senza danneggiarli, delicata operazione a cui contribuiva anche la mamma».Il racconto è appassionato. Lo sguardo è luminoso. È nota la passione per la politica a cui ha dedicato la sua vita. Ora capisco che affonda in una passione più remota: quella per la conoscenza.© RIPRODUZIONE RISERVATALa serieLa passione per le collezioni (come nel caso di Piero Fassino, nella foto) rivela spesso l'altra faccia, quella più riservata,di persone impegnate nel mondo delle professioniche coltivano questa cura privata per gli oggetti in loro possesso Spesso si tratta di una vera e propria sfida che porta i collezionisti alla ricerca del «pezzo raro»o del «pezzo unico» conquistato per arricchirele teche e per dimostrare forse anche a se stessi che il collezionismoè occasionedi viaggi,di scambi di conoscenze e di informazioni sugli oggetti
29 November 2023
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Camilla Palladino WC462 words
Corriere della Sera SCCORDES EDROMA PG5 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Tanto che il sindaco Roberto Gualtieri lunedì 27 novembre ha disposto per due giorni la chiusura dei cimiteri e di cinque grandi viali alberati (via di Castelfusano, via dei Pescatori, via della Villa di Plinio, via Federico Ozanam e via di Santa Cornelia), e il divieto delle attività ludiche nei parchi.In effetti i dati raccolti dall'Acos relativamente alla manutenzione del verde nelle ville storiche non sono rassicuranti: su 20 luoghi presi in considerazione (di cui due terzi sparsi tra i Municipi I e II, da Villa Glori a Villa Pamphili, passando per Villa Torlonia e Villa Borghese), in sei il verde verticale non è manutenuto per niente, in nove lo è solo parzialmente. Cinque, cioè un quarto, i punti in cui gli alberi sono curati adeguatamente. Le condizioni peggiori sono registrate sulle alberature intorno all'Acquedotto Felice (all'interno del parco degli Acquedotti) «invaso da piante infestanti nelle aree a prato e in quelle recintate» con «canneti spontanei che in parte impediscono il passaggio». In questo caso, su 14 siti controllati, nessuno godeva di una manutenzione che raggiungesse la sufficienza.E la situazione non migliora se si fa riferimento alla pulizia e allo sfalcio del verde orizzontale. Dentro ville e parchi storici l'incuria è totale in 11 dei 20 punti monitorati, parziale in tre, sufficiente in sei. Complessivamente, considerando anche prati e aiuole intorno a monumenti, musei e aree archeologiche, la manutenzione manca completamente nei due terzi dei casi (66 per cento) e nel 17 per cento è solo parziale. Non mancano i problemi relativi alle piante incolte, che nel 14 per cento dei casi impediscono completamente la visuale dei monumenti, e parzialmente nel 27 per cento. Infine la crescita di erbacce e piante infestanti sui manufatti: la vegetazione invasiva ricopre il 33 per cento dei siti, mentre nel 44 per cento si trova solo su alcune parti della superficie.Camilla Palladino© RIPRODUZIONE RISERVATA
29 November 2023
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Fabrizio Dividi WC481 words
Corriere della Sera SCCORDES EDTORINO PG11 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Sempre all'Ambrosio, domani alle 20.30, Anselma Dell'Olio presenterà il suo Enigma Rol . Il documentario, girato in parte in città, ricostruisce la vita di Gustavo Rol, per alcuni sensitivo per altri abile illusionista, attraverso le testimonianze di chi lo ha conosciuto e di chi ha assistito ai suoi esperimenti torinesi. Concedendo la parola a seguaci e scettici, il film si propone di offrire gli strumenti utili a ciascuno per formare un proprio punto di vista.Infine, gran finale previsto per giovedì: alle 18.45 al Cinema Fratelli Marx (prevendita in corso) Giorgio Diritti presenterà al pubblico il suo ultimo film, Lubo , selezionato in Concorso alla 80esima Mostra del Cinema di Venezia e sostenuto (come Enigma Rol ) da Film Commission Torino Piemonte. Il film racconta del nomade Lubo, un artista di strada di cultura Jenisch, che nel 1939 viene chiamato nell'esercito elvetico a difendere i confini nazionali dal rischio di un'invasione tedesca. Al suo ritorno, scopre che sua moglie è morta nel tentativo di difendere i figli, strappati alla famiglia in seguito al programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada. La vicenda, ispirata a fatti realmente accaduti, è tratta dal romanzo Il Seminatore di Mario Cavatore ed è sceneggiata dallo stesso regista in collaborazione con Fredo Valla.Poco più tardi, alle 20.30 al Cinema Massimo sarà Kasia Smutniak a presentare il suo esordio alla regia con Mur , film che documenta la costruzione del muro di 186 chilometri al confine tra Polonia e Bielorussia, progettato per respingere i migranti in cerca di asilo.Fabrizio Dividi© RIPRODUZIONE RISERVATALa schedaQuesta è la settimana della presentazione ufficiale del Tff (a Roma), maè anche quella dell'arrivo in sala (a Torino) di tanti registi Si comincia con Edoardo De Angelise il suo Comandante , oggi alle 21al Cinema Ambrosio
7 November 2023
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Carlo Baroni WC789 words
Corriere della Sera SCCORDES EDMILANO PG11 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Leonardo Maiuri ha una storia da raccontare e un'altra che sta ancora scrivendo. «A me il Covid mi ha fregato - si lamenta - non perché mi sia ammalato. È che prima facevo parte di una commissione per decidere sulle invalidità. Bloccato tutto per due anni e adesso non mi hanno ancora richiamato. Devo trovare qualcosa da fare, mica posso starmene qui con le mani in mano». Che detto da uno che ha un secolo di vita fa un po' di impressione. Come sapere che sta per rinnovare la patente. «Mi è sempre piaciuto guidare, i motori - spiega -. Le due ruote, i Mosquito e la Lambretta. Ma a Milano faceva troppo freddo d'inverno. E così mi sono fatto la prima macchina: una Topolino 500 B». Erano gli anni subito dopo la fine della guerra.Conviene fare un passo indietro. A prima del conflitto. Leonardo Maiuri arriva a Milano nel 1931. «Io ero nato a Trebisacce, in Calabria nel '23. Mio padre era un funzionario delle ferrovie. Voleva farmi studiare. Tra le città del Nord scelse Milano. Qui ho fatto tutte le scuole: le elementari, le medie, il ginnasio e il liceo al Carducci. Infine l'università: facoltà di Medicina, specialità pediatria».Il camice bianco lo indossa fino al 1991. Lavora al Niguarda. Come pazienti cura anche i futuri sindaci Aldo Aniasi e Carlo Tognoli. Partecipa alla vita sociale e politica. E finisce sulle pagine di cronaca per una battaglia ambientalista ante litteram: quella contro l'inceneritore di Figino. «Avevo constatato che il numero delle persone affette da tumore era aumentato in numero considerevole in pochi anni. C'era un nesso evidente. Il Comune mi attaccò pesantemente, accusandomi di creare il panico. Ma alla fine l'ho spuntata». Del resto le situazioni pericolose non erano nuove. «Durante la guerra la Repubblica sociale mi mandò in Germania. Erano tempi che se sbagliavi una mossa finivi fucilato al muro». Poi, una volta cominciata la professione medica, le vite da salvare erano quelle degli altri. «All'epoca c'era sì la specializzazione ma bisognava saper fare di tutto: il dermatologo, il cardiologo, l'ortopedico. Una volta venne una famiglia disperata: aveva dimesso il figlio dall'ospedale dicendo che non c'era più niente da fare. Mi pregarono di andare a casa da loro. Non so se fu per le mie cure o se avevano sbagliato diagnosi. Sta di fatto che il paziente si riprese».Il dottor Maiuri non ha segreti per i suoi cent'anni: «Me lo chiedono e qualche volta me lo domando anch'io. Poi guardo quello che ho fatto e non trovo segreti. Nessuna dieta miracolosa, nessuno stile di vita speciale. Ho trascorso l'esistenza senza negarmi niente. Anche qualche bicchiere di vino. Chissà forse ho il Dna giusto. Di sicuro tengo allenato il cervello. Non mi piace rimbambirmi davanti alla tv. Vivo in casa da solo e me la cavo. Mia moglie è mancata cinque anni fa. Adesso ho i figli: quattro». Se fai il medico resti dottore per tutta la vita. Il giuramento di Ippocrate non parla di pensione. Difatti il dottor Maiuri continua a lavorare. Almeno ci prova. «Mi offrissero di entrare in una commissione lo farei subito - dice -, di sicuro l'esperienza non mi manca». La sua Milano è cambiata da quando è arrivato, nel 1931 e ci mancherebbe che non fosse così. «Ma neanche tanto - chiosa -, leggo però che ci sono tanti centenari. Nonostante l'aria inquinata. E le auto sono centuplicate. Ma quelle mi sono sempre piaciute». Già, a giorni c'è la patente da rinnovare. A proposito, che auto guida: «Mercedes». Chapeau!© RIPRODUZIONE RISERVATAChi èIl 2 agostoil medicoin pensione Leonardo Maiuriha compiuto cent'anni Natoin Calabrianel 1923,è arrivato all'età di 8 anni a Milano dove ha fattole scuolee l'università laureandosiin Medicina Tra i suoi pazienti, nel corso degli anni anchei futuri sindaci Aldo Aniasie Carlo Tognoli
7 November 2023
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roberto galaverni WC1,158 words
Corriere della Sera SCCORDES EDLETTURA PG39 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
C'è anzi da credere che ogni poeta abbia scritto una o più di queste poesie. Se si pensa ad esempio alla nostra tradizione recente, diciamo dal Novecento a oggi, ne vengono in mente davvero tante, non di rado bellissime. Perfino Sandro Penna, il più alieno dei nostri poeti ai discorsi di critica e di poetica, ha sentito il bisogno di scrivere comunque la sua (s'intitola, dal verso iniziale, Avete mai provato, in un'aria serena ). E si capisce: per un poeta si tratta di portare a chiarezza il proprio fare, di rendere ragione del suo particolare modo di mettere in forma di parole la vita, d'illuminare almeno un poco la misteriosa alchimia dell'immaginazione creativa. Così in questi casi l'impressione è di avere a che fare con una creatura - la creazione poetica, appunto - che voglia essere al contempo il certificato di nascita che garantisca la propria autenticità e legittimità.Nuno Júdice, uno dei più stimati poeti portoghesi, ha appositamente raccolto in vista di un'edizione italiana le poesie sulla poesia che ha scritto nel corso di una vita (è nato a Mexilhoeira Grande nel 1949). Il volume, uscito per le edizioni I Quaderni del Bardo, s'intitola La casa della poesia ed è stato tradotto, con estrema fedeltà all'elegante franchezza del dettato poetico originario, da Emilio Coco, a cui si deve anche la nota introduttiva. Il titolo di per sé dice già molto, perché rimanda subito al quadro di riferimenti che poi verranno variamente modulati nel corso della raccolta. L'immagine, in effetti, è molto feconda: la poesia come un ospitare che è a sua volta un essere ospitati, il rapporto tra interno ed esterno come quello tra il vedere il mondo e lo scriverlo, il piccolo rito domestico della scrittura poetica e insieme la sua imprevedibile straordinarietà, l'ascolto della Musa e il suo silenzio, la strana alternanza tra i riferimenti consueti e il disorientamento, la chiarezza che improvvisamente si gira nel buio e viceversa. Ecco dunque, dalla poesia eponima: «Allora, che ci faccio io in questa casa/ da cui il sole non riesce a togliere le ombre? Perché/ insisto a guardare negli angoli più bui, fuggendo/ dalla luce?».Questa raccolta si può davvero leggere come un piccolo manuale d'istruzioni d'uso poetico, a patto però di tenere sempre presente, come si diceva prima, che ogni idea, considerazione o precetto in realtà qui è un'immagine, un racconto, una riflessione incarnata in una forma espressiva particolare e determinata. E questo fa sì che non possa venire impunemente sottratta all'esperienza poetica a cui fa riferimento e, in fin dei conti, alla poesia stessa che ne offre testimonianza. Si potranno meglio comprendere, allora, certe liriche concepite fin dal titolo appunto come un essenziale prontuario poetico: Come si fa la poesia , ad esempio, oppure Guida ai concetti fondamentali , il componimento costruito in forma di decalogo che chiude il libro e di cui, tra le indicazioni che un poeta dovrebbe seguire, si fa notare anzitutto la seguente: «Non ha bisogno/ di dominare tutti i requisiti del sistema» (e infatti, si potrebbe postillare seguendo una nota considerazione di Seamus Heaney, se un poeta governa la lingua né è comunque a sua volta governato).C'è tutta una fenomenologia dei processi creativi che si può seguire attraverso la raccolta, a cominciare dall'idea della poesia intesa anzitutto come una pratica, come un concretissimo fare.Quello che potrebbe anche essere il componimento più bello del libro s'intitola non a caso Ricetta per fare l'azzurro , ed è costruito come un'implicita analogia tra la composizione del testo poetico e la preparazione del colore da parte di un pittore. Inizia così: «Se vuoi fare l'azzurro,/ prendi un pezzo di cielo e mettilo in una pentola grande,/ che possa mettere sul fuoco dell'orizzonte». Ecco invece i versi conclusivi: «Così ho fatto io, Abraham ben Judah ibn Haim,/ miniatore di Loulé, e ho lasciato la ricetta a chi vorrà,/ un giorno, imitare il cielo». L'azzurro è il «colore che figura il paradiso», diceva il nostro Attilio Bertolucci, del quale viene in mente una poesia piuttosto simile (anch'essa splendida, dunque), Gli imbianchini sono pittori . Ma poi ci sono le similitudini tra la poesia e la disposizione di un negozio di alimentari («sacchi di baccalà/ ammucchiati come strofe»), il lavare e stendere i panni, un viaggio in autobus, il fare il pane. E c'è soprattutto lui, il poeta, sempre oscillante tra cecità e visione, tra la quotidianità e la sacralità della sua vocazione. Ed è bravo Júdice, e convincente, perché capace di una cosa tra le più difficili: raccontare con parole schiette e con immagini dirette ed evidenti la profondità, e la complessità anche, dell'esperienza poetica: «Questa poesia, per esempio, non ha/ niente di nuovo. Le parole sono facili,/ i sensi sono ovvi. Ed è per questo/ che cammino, in mezzo ad essa, in cerca di / cose nuove».© RIPRODUZIONE RISERVATAinullIspirazione TraduzioneNUNO JÚDICELa casa della poesia.(Antologia)Traduzione di Emilio CocoI QUADERNI DEL BARDOPagine 106, e 10,40L'autoreNuno Júdice è stato addetto culturale dell'Ambasciata portoghese e direttore dell'Istituto Camões a Parigi. Ha insegnato Letteratura portoghese e francese all'università. In Italia sono usciti La poesia corrompe le dita (Colpo di fulmine, 1991), Adagio (Sestante, 1994), per Kolibris A te che chiamo amore (2011), La materia della poesia (2015) e Formule di una luce inesplicabile (2017), poi La Cospirazione Cellamare (Grimaldi & C., 2020) e Ritorno allo scenario campestre (Delta 3Edizioni, 2021)L'editoreI Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno sono presenti alla fiera Più libri più liberi con il loro stand (N14-P13)
3 December 2023
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Floriana Rullo WC740 words
Corriere della Sera SCCORDES EDBRESCIA PG12 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Ci racconta che cosa è successo?«Per due anni non ho mai fatto un ritardo sul posto di lavoro. Poi mi però mi sono trasferita ad Abbiategrasso. Qui è iniziata la mia odissea con treni ogni giorno in ritardo o soppressi. E così in meno di otto mesi ho perso il lavoro».Si spieghi meglio...«Ogni mattina, fino a giovedì, ho preso il treno per andare a lavorare a Milano. Ad Abbiategrasso passano due linee. In 25 minuti permettono di arrivare in centro».E invece?«Ci mettevo almeno quattro ore a cause dei ritardi. Quando il treno non veniva soppresso del tutto. Un disagio che però l'utente scopre solo arrivando in stazione. Sull'app di Trenord non viene segnalato. Conosco pendolari che partono alle 6 per arrivare alle 8.30 in ufficio. Ma io avevo un lavoro part-time, non potevo stare in giro quattro ore per lavorarne solo altre quattro. Se andare al lavoro è già un lavoro, tornare a casa lo è altrettanto».Come mai ritardi o cancellazioni non vengono segnalati?«Come pendolari ci siamo resi conto che Trenord non segnala i disagi così da non peggiorare le sue statistiche. Ma le associazioni di pendolari come la "Mimoal" ha registrato i dati reali dimostrando che il servizio è garantito solo al 60 %. E io non riuscivo più a sostenere i ritmi imposti dai mezzi pubblici. Va bene fare sacrifici ma non si può regalare la propria vita».Quindi è rimasta senza lavoro?«Avevo già avuto due lettere di richiamo per i ritardi. Non ho avuto scelta. Diciamo che è stata una decisione consensuale. Il mio datore di lavoro sapeva che non mentivo sui ritardi ma ovviamente non si poteva andare avanti così».Una situazione che per i pendolari è ormai insostenibile.«La tratta su cui viaggiavo è tra le peggiori d'Italia. Si viaggia ammassati, d'estate al caldo, d'inverno al gelo. Per questo in molti hanno deciso di non rinnovare gli abbonamenti e di non pagare i biglietti. Tanto nessuno controlla. E se lo fanno basta fare il biglietto a bordo. Perché pagare 80 euro di abbonamento mensili quando al massimo dopo un controllo si paga appena il prezzo del biglietto?».Ci racconti come funzionava la sua mattinata.«Un calvario. Treni cancellati uno dietro l'altro. Quelli che arrivano sono pieni, viaggiatori accalcati. Andavo a dormire la notte pensando se il treno ci sarebbe stato l'indomani o che viaggio mi aspettava. Un incubo».Quando lo ha raccontato sui social alcuni utenti le hanno risposto di spostarsi in auto.«Sì, senza pensare all'ambiente. Una metropoli dovrebbe garantire l'efficienza dei mezzi pubblici così da far lasciare l'auto a casa, non incentivarne l'uso. Poi ci si lamenta dell'inquinamento e del traffico».E ora che cosa farà?«Continuerò ad insegnare in palestra. Ma ho già fatto un colloquio in un ristorante ad un quarto d'ora da casa. Non dovrò più usare i mezzi pubblici».Non viaggerà più?«Per ora no almeno in treno. Così sarò sicura di non dover fare i conti con i ritardi per lavorare».© RIPRODUZIONE RISERVATAlo sfogoSui socialDeborah Simeone, 35 anni, pendolare, si è sfogata sulla pagina social «La freccia delle risaie» raccontando le sue disavventure con i treni che le hanno fatto perdere il posto di lavoro come portinaia a Milano. Per lei era diventato impossibile rispettare gli orari del suo impiego.
3 December 2023
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Giovanna Maria Fagnani WC542 words
Corriere della Sera SCCORDES EDMILANO PG5 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Ieri mattina e ieri sera il traffico in zona è andato in tilt, con migliaia di persone che cercavano di raggiungere il centro, attirate dalle offerte speciali e dagli spettacoli per festeggiare il primo giorno di apertura.La struttura apre con oltre 1.700 dipendenti, ma se ne cercano altri 482, oltre duecento soltanto per l'area della ristorazione. Progettato da CallisonRtkl con il vetro e il legno come elementi fondamentali, nonché numerose certificazioni di sostenibilità, il «lifestyle center» è a cura della società Merlata Mall, co-finanziato da Ceetrus, ImmobiliarEuropea e SalService. La gestione è affidata a Nhood Services.Tante le novità. Tra i servizi, ad esempio, quello di poter acquistare i prodotti e farseli trovare depositati in un apposito locker, evitando, così, di andare in giro carichi di pacchetti. Due i superstore: Esselunga, che per la prima volta apre un ipermercato in un mall, corredato dal bar-gelateria Atlantic e dalla profumeria del gruppo ove si potranno anche effettuare trattamenti per la cura del viso e delle mani. Decathlon si insedia invece con uno store su due piani ed un nuovo polo di uffici.Altra novità è un'area di 150 metri quadrati dedicata all'economia circolare, con servizi di riparazione, noleggio e acquisto di seconda mano. Roadhouse invece ha annunciato menù dedicati e offerte speciali per garantire prezzi accessibili alla clientela, in particolare a quella degli studenti fuorisede che alloggiano nel quartiere e che presto arriveranno a Mind. A Merlata ha aperto anche Notorious Cinema, con dieci sale e mille posti. Proiezioni in programma dalle 11 fino a tarda sera. E si potranno ordinare bevande e popcorn e farsele portare direttamente in sala alle poltrone reclinabili.Giovanna Maria Fagnani© RIPRODUZIONE RISERVATA70 Mila mq L'estensione del centro commerciale Merlata Bloom che ha aperto ieri con 210 spazi commerciali, 43 ristoranti, 10 sale cinemaLa schedaOltre ai punti vendita, il nuovo centro commerciale offre 43 ristoranti, un cinema con dieci sale, terrazze panoramiche, un parco giochi al coperto, un'arena dei videogiochi e un parco esterno Ci sono due superstore: Esselunga, con annessi bar e profumeria, e Decathlon, con uno store su due piani e un nuovo polo di uffici Prevista la possibilità di acquistare e trovare i prodotti depositati in un proprio spazio, e c'è un'area dedicata all'economia circolare, con servizi di riparazione, noleggio e acquisto di seconda mano
16 November 2023
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Manuel Colosio WC499 words
Corriere della Sera SCCORDES EDBRESCIA PG10 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Sciopero dei trasporti decisamente depotenziato quello di domani a Brescia: la precettazione chiesta dal ministro Salvini, accolta dalla commissione di garanzia sugli scioperi, ridurrà ancora di più lo stop dei bus rispetto alle 4 ore imposte. Al netto delle fasce di garanzia, previste dalla legge per tutelare pendolari e studenti, alla fine nella nostra provincia l'astensione di Cgil e Uil sarà di solo due ore e mezza. A Brescia infatti dalle 6 alle 9 e dalle 11.30 alle 14.30 interviene l'obbligo di legge ad effettuare il servizio, quindi si incroceranno le braccia solo tra le 9 e le 11.30. Una stretta che alimenta la rabbia dei sindacati contro il ministro leghista: «Si tratta di un evidente attacco politico ad un diritto sancito dalla Costituzione» afferma Davide Bertolassi, delegato Filt-Cgil a Brescia Trasporti, esprimendo una preoccupazione che travalica la questione trasporti parlando di «un chiaro attacco all'agibilità sindacale e una riduzione dei diritti di tutti i lavoratori: il fatto che sia stato precettato uno sciopero contro le politiche del governo e la manovra, mentre non hanno ricevuto restrizioni altre astensioni negli ultimi mesi con rivendicazioni di settore, è un chiaro segnale di quanto questi contenuti diano fastidio e facciano paura». Sulla stessa linea anche Alberto Gasparini, segretario Uiltrasporti di Brescia, che ribadisce come «ci sono stati diversi scioperi prima di questo e nessuno ha detto niente, mentre quando scendiamo in campo come Cgil e Uil arrivano le precettazioni».Il fatto che a Brescia sarà ridotto a due ore e mezza «lo fa diventare uno "sciopericchio" che rischia di disincentivare la partecipazione - aggiunge Bertolassi, prevedendo però come - potrebbe registrare comunque un' alta adesione, vista la gravità di quanto accaduto: faremo un presidio fuori in piazza Duomo alle 10 e da sciopero sindacale diventerà una forte denuncia politica, per difendere ciò che la Costituzione garantisce».Gasparini cala su Brescia il ragionamento: «Chiaro che era uno sciopero importantissimo, non solo per i problemi nazionali come la manovra o il rinnovo del contratto, ma anche a livello locale dove il servizio è sempre peggiore: ci si deve domandare se si vuole davvero un trasporto pubblico o cancellarlo. Tutti si riempiono le bocca, ad esempio con il futuro tram, intanto però il trasporto su gomma, che era un fiore all'occhiello della città, lo stanno demolendo. Senza parlare di chi non vive nel capoluogo e lo vorrebbe raggiungere, ma subisce sempre maggiori disagi. Bisogna creare maggiori collegamenti e rendere il trasporto pubblico degno di questo nome».Manuel Colosio© RIPRODUZIONE RISERVATALa vicendaLa precettazione del ministro Matteo Salvini rischia, secondo i sindacati, di far fallire lo sciopero indetto per domani contro la manovra La decisione del ministro ha ridotto l'orario di astensione dei lavoratori del settore trasporti: a Brescia i mezzi di trasporto saranno fermi tra le 9 e le 11.30
16 November 2023
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Francesca Basso WC520 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG13 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
BRUXELLES La Commissione europea ha rivisto al ribasso le stime di crescita dell'Ue rispetto alle previsioni macroeconomiche estive. Mentre Bruxelles stima che l'inflazione, scesa ai minimi di due anni nell'Eurozona in ottobre, continui a diminuire. Tagliate anche le previsioni di crescita dell'Italia. «Il 2023 è un anno difficile per l'economia europea», ha spiegato il commissario Ue all'Economia Paolo Gentiloni a margine della presentazione delle previsioni macroeconomiche di autunno: «C'è un evidente rallentamento dell'economia europea e, in questo quadro - ha proseguito - anche dell'economia italiana, che tuttavia non è in recessione, a differenza di altri Paesi europei».Bruxelles stima una crescita del Pil nel 2023 allo 0,6% sia nell'Ue che nell'area euro (0,2% in meno rispetto alle previsioni estive). Nel 2024, la crescita del Pil dell'Ue è attesa all'1,3% (-0,1% rispetto all'estate). Nell'Area euro la crescita del Pil è prevista leggermente inferiore, all'1,2%. Nel 2025, con l'attenuarsi dell'inflazione e del freno della stretta monetaria, si prevede un rafforzamento della crescita all'1,7% per l'Ue e all'1,6% per l'area euro. Per quanto riguarda l'Italia il Pil nel 2023 sarà dello 0,7% (Germania -0,3%, Francia 1%), per salire allo 0,9% nel 2024 (Germania 0,8%, Francia 1,2%) e all'1,2% nel 2025 (Germania 1,2%, Francia 1,4%) grazie agli investimenti finanziati dal Pnrr. Gentiloni ha ricordato che «l'attuazione del Pnrr è fondamentale per sostenere la crescita» e per «evitare rischi di recessione». La Commissione ha calcolato «un impatto potenziale di uno 0,5% di crescita all'anno proveniente dagli investimenti, senza contare le riforme del Pnrr».Aumenta il numero di Paesi con un deficit superiore al 3% del Pil: erano 10 nel 2022, salgono a 12 nel 2023, scendono a 8 nel 2024 e aumentano a 13 nel 2025 a politiche invariate. Il deficit ancora elevato determina per l'Italia l'aumento del rapporto debito pubblico nel 2024-25. Bruxelles prevede che il rapporto debito/Pil diminuisca leggermente al 139,8% nel 2023, ma che aumenti al 140,6% nel 2024 e al 140,9% nel 2025. Le stime della Commissione sono diverse da quelle del governo per tre elementi: costo degli interessi sul debito, prolungamento della misura sul cuneo fiscale e incremento nel valore dei salari pubblici. L'inflazione nel nostro Paese dovrebbe scendere al 6,1% quest'anno, al 2,7% nel 2024 e al 2,3% nel 2025.Ieri l'Istat ha rivisto al ribasso l'inflazione: con il dato definitivo su ottobre all'1,7%, limato di uno 0,1% rispetto alla stima iniziale, i prezzi al consumo in Italia tornano su livelli che non si registravano da luglio 2021 (+1,9%).L'Aula della Camera esaminerà il disegno di legge di ratifica della riforma del Mes dal 22 novembre.© RIPRODUZIONE RISERVATA
16 November 2023
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Paolo Giordano WC978 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG1.40 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
sopraffazione è il segretomeglio custodito dagli uomini, e che tutti gli uomini conoscono. Tutti gli uomini, anche imansueti. Ognuno di noi(maschi), al cospettodell'0micidio di Giulia Cecchettin, riconosce in sé l'eco dell'ascesso psichico dal quale talvoltascaturisce l'aggressione: un bolo di possesso, frustrazione,inadeguatezza, odio, invidia,terrore, ferocia, propensioneall'ossessività, desiderio dipunizione e annientamento e di autodistruzione, che ci riguarda tutti ma che rimane cautamente oscurato dal dibattito pubblico.I n queste ore viene ripreso lo slogan «educate your son», educate vostro figlio. Al di là del suonare come l'ennesimo richiamo soprattutto alle madri, ci sembra che la famiglia non sia mai stata un luogo troppo affidabile di educazione sul genere. E non è comunque il luogo sul quale una società nel suo complesso dovrebbe fare affidamento. Quali altri allora? Qualcuno è in grado di nominare anche un solo contesto nel quale avvenga oggi una costruzione dell'affettività? O abbiamo abbandonato quel tipo di percorso interamente al caso, alla fantasia comoda che le nuove generazioni siano più consapevoli, più aperte, meno sessiste eccetera? Se una parte della società si sta alfabetizzando sulle complicazioni della vita relazionale, si ha l'impressione che l'altra scivoli indietro, e che questo movimento retrogrado non sia legato a una mera distinzione di classe.«Educate vostro figlio» presuppone inoltre che l'apprendistato all'affettività possa dirsi a un certo punto completo, che la violenza di genere abbia un'età di espressione e una di scadenza (guarda caso, adesso, quella di Filippo Turetta) e che il rapporto con il genere opposto - e con il proprio - non sia invece una negoziazione continua, a ogni stadio della vita (sebbene gran parte dei femminicidi siano perpetrati da giovani o da adulti, se ne verificano con meno clamore anche tra le persone anziane). Non mi vergogno di ammettere, per esempio, di aver imparato solo da adulto a nominare alcune pratiche segnanti del maschilismo. Ne cito due a titolo di esempio, scusandomi in anticipo con i detrattori degli anglicismi: il catcalling (ovvero l'abitudine di esprimere apprezzamenti alle ragazze per strada) e il mansplaining (ovvero l'abitudine altrettanto diffusa tra i maschi di spiegare come stanno o si fanno le cose). Non che non conoscessi queste pratiche anche prima, che non le conoscessi implicitamente, anzi visceralmente, ma sentirle nominare in anni recenti le ha portate sopra la soglia della mia consapevolezza, rendendomele riconoscibili. È difficile da credere, ma c'è ancora così tanto del rapporto fra i generi a non essere affiorato alla superficie verbale, così tanto che ha bisogno di essere cavato fuori dall'informe delle pulsioni. Quell'«educate your son» ci chiama in causa anzitutto, ancora, come educandi.Nei giorni successivi allo stupro di gruppo di Palermo vorticava ad esempio in aria la parola «consenso», ma si è depositata a terra prima ancora che iniziassero le scuole. Sarebbe tanto assurdo pretendere che ogni ragazzo e ogni ragazza, anzi ogni bambino e ogni bambina, incappasse almeno una volta nel termine «consenso» prima di addentrarsi nelle tenebre dell'età puberale? Sapere le parole non mette al riparo nessuno, è chiaro, ma può renderci, in media, un po' più decenti. E diffondere un sillabario minimo sulle molte forme della violenza di genere, a partire dai primi cicli scolastici, non richiederebbe nemmeno un grande sforzo. Mi riferisco a qualcosa di diverso dalle «campagne di sensibilizzazione», che hanno quasi sempre quell'aria di polizia che mira a insegnare a riconoscere il pericolo fuori, come irriducibilmente altro da sé, quando si tratta di imparare a nominare spinte innominate che esistono dentro di sé. In questo senso, nella coincidenza inedita di due donne alla guida, sarebbe davvero importante che il governo accettasse la mano tesa dell'opposizione.C'è anche una parola che dovrebbe vorticare in aria dopo l'assassinio di Giulia Cecchettin, non la conosco ma è qualcosa che ha a che fare con lo svincolo. Con quanto sia delicato e talvolta pericoloso il momento in cui una ragazza o una donna si svincolano nei confronti di un ragazzo o di un compagno o di un padre. Tra i molti aspetti odiosi di questa vicenda c'è infatti il momento della vita di Giulia Cecchettin in cui l'omicidio è avvenuto, nell'imminenza della sua laurea, appena in tempo per soffocare la sua piena emancipazione. Afferrare, trattenere, bloccare, immobilizzare dalle braccia sono tra i gesti tipici del dominio maschile. E sono, di nuovo, gesti consueti, che ogni uomo sa esistere nei propri muscoli. Talvolta si manifestano in maniera letterale ma più frequentemente vengono traslati, per esempio nel contenere o tagliare o anche solo «gestire» le risorse all'interno delle famiglie.Alcune delle ragioni per cui l'omicidio di Giulia Cecchettin ci ha tenuto avvinti sono equivoche. Non c'entrano davvero con il fatto che una ragazza è stata uccisa, e nemmeno con la sua giovane età. C'entrano semmai con la piccola borghesia e l'impossibilità di porre una distanza sociale rispetto a quel contesto, e c'entrano con il modo in cui la vicenda si è sviluppata mediaticamente davanti a noi: la scomparsa, la suspence e le congetture, il ritrovamento del cadavere, poi la fuga improbabile e la cattura dell'assassino pedinato dalle telecamere in autostrada. Quello che altrimenti sarebbe stato il centoduesimo femminicidio del 2023 ha colpito l'immaginazione collettiva anche perché assomiglia a una crime story ben sceneggiata. Così funziona purtroppo la nostra adesione emotiva alla realtà, e così funzionano i media. Per questo assisto con un po' di scetticismo alle esibizioni diffuse di contrizione maschile. Ma, al netto delle ragioni, il suo assassinio ha dato un impulso. Durerà quel che durerà, poco, meno di un soffio, ma adesso c'è. Non sprecarlo è il solo atto riparativo che come collettività possiamo tentare per lei .© RIPRODUZIONE RISERVATA
21 November 2023
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Pietro Gorlani WC565 words
Corriere della Sera SCCORDES EDBRESCIA PG7 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
La posizione del vicepresidente del consiglio regionale, espressa più e più volte durante i suoi dieci anni al governo della seconda città della Lombardia (Brescia) è nota: Brescia e la sua provincia hanno sempre avuto un trattamento di serie B riguardo ai fondi per il trasporto pubblico, perché in un territorio dove vive il 12% della popolazione lombardia arriva solo il 9% dei fondi nazionali (ripartiti da Regione) per il trasporto pubblico. Infatti Brescia città ogni anno aggiunge 8,5 milioni di risorse proprie per garantire i collegamenti dei bus cittadini anche con 14 paesi dell'hinterland, contribuendo così ad «alleviare» la pressione delle auto private. Per anni ha anche chiesto dei fondi strutturali per pagare i costi della metropolitana, fino a che nel dicembre 2020 un emendamento della deputata bresciana Simona Bordonali alla legge di Bilancio (sostenuto in modo bipartisan) permise di far arrivare alla città 10 milioni di contributi per il metrò per dieci anni. Il problema in città si ripresenterà con l'entrata in funzione del tram nel 2029 (servono milioni annui per i costi di gestione) ma nel frattempo è la provincia a patire i maggiori disservizi, con corse tagliate o soppresse: l'agenzia del Tpl è obbligata a questi tagli perché le risorse non bastano.«Sostanzialmente abbiamo un trasporto pubblico che regredisce nelle stragrande maggioranza delle valli e delle pianure - ha infatti ribadito ieri il sindaco di Brescia, affiancato anche dall'attuale vicesindaco Federico Manzoni, che dal 2013 è assessore alla Mobilità -. Ha retto nelle aree urbane perché le città hanno messo risorse proprie ma questo alla lunga non può reggere. Sui trasporti non siamo più un'eccellenza da troppo tempo». Del Bono reputa folle investire 400 milioni nei treni a idrogeno senza che la linea venga dotata di una corsa in più: un'operazione che vanifica il progetto di treno metropolitano fino a Iseo che era stato concordato tra la Loggia e l'ex presidente Maroni. Non solo. «Mentre si trovano oltre 90 milioni di euro in più di parte corrente ogni anno da dare a Trenord - ha detto ancora Del Bono - non si trovano le risorse per il trasporto su gomma. E questo è un problema di crescita e di sviluppo dell'intera Lombardia, perché è un problema di di uguaglianze». Secondo il consigliere regionale «mancando il trasporto pubblico e entrando in crisi la sanità di territorio la popolazione si sta spostando» con «le valli e le pianure che si spopolano. C'è uno spostamento verso le aree urbane e la Regione sembra non accorgersi di questi squilibri profondissimi che segneranno il nostro futuro. Va totalmente corretta la rotta» ha chiuso il vicepresidente del consiglio regionale.Pietro Gorlani© RIPRODUZIONE RISERVATA
21 November 2023
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Andrea Camurani WC668 words
Corriere della Sera SCCORDES EDBERGAMO PG12 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Varese «È durato meno di un secondo. Il ramo che si spezza e ci cade addosso, tutti urlano, mia figlia che piange, non la vedo, anche lei schiacciata. Passata la paura non ho più sentito le gambe e ho intuito che la mia vita sarebbe cambiata». Luino, 26 giugno 2023, tardo pomeriggio: un gruppo di persone attende l'apertura delle porte dell'oratorio per riportare a casa i bambini dopo il campo estivo quando il pesantissimo ramo di un ippocastano si spezza e travolge chi sta cercando attimi di refrigerio in quel giorno rovente. Fra i diversi feriti, quasi tutti con fratture e contusioni ci sono anche Donatella Alesso e sua figlia Arianna, 6 anni: vengono soccorse da vigili del fuoco e ambulanze, e lì la loro strada si separa: la bimba finisce a Bergamo, la mamma prima a Varese poi al San Gerardo di Monza dove inizia una lunga degenza. A un passo dalle dimissioni, Donatella sa che resterà per sempre sulla sedia a rotelle, ma sente la vicinanza di una comunità, grazie ad una raccolta fondi lanciata da suo marito per le spese di adeguamento della loro casa, in modo da poter accogliere una persona gravi problemi di mobilità perché sulla sedia a rotelle.«Io e mio marito Andrea eravamo titubanti, non sapevamo se fosse una buona idea lanciare una raccolta fondi in rete, ma poi abbiamo pensato alle nostre tre figlie, alle difficoltà economiche da affrontare e abbiamo chiesto una mano a chi ci conosce». E così è partita la raccolta sulla piattaforma «Gofundme» e, grazie al tam tam, amici e conoscenti hanno contribuito raccogliendo 20 mila euro in pochi giorni (l'obiettivo è arrivare al doppio). Soldi che serviranno per rimodulare lo spazio della casa, quindi un nuovo accesso, la strada di oltre 50 metri da asfaltare, una nuova tettoia, bagno e camera da letto da rifare. «Devo parlare al passato. Quindi "avevo" un lavoro, in Svizzera, come assistente di cura, a domicilio. Anche mio marito lavora in Canton Ticino, due belle posizioni lavorative, ma tutto ci è all'improvviso caduto addosso», racconta Donatella dal «Cto» di Milano, il Centro traumatologico ortopedico da dove verrà dimessa alla fine di novembre. «Al San Gerardo, dove sono rimasta fino all'11 luglio, sono stata operata. Un intervento durato una notte intera. Ma anche dopo l'operazione continuavo a non sentire più nulla dalla vita in giù. Attendevo il responso dei medici. Un giorno sono entrata per caso col telefono nello Spid e ho letto il mio fascicolo sanitario. Ho capito che non sarei mai più tornata a camminare: oltre alla clavicola rotta e al forte trauma toracico, il ramo mi ha spezzato le vertebre D6 e D7. Per me non c'è alcuna speranza di tornare in piedi. I dottori mi hanno detto che aspettavano ad informarmi perché non volevano turbarmi». Una vita distrutta. Oltre alla consapevolezza di non poter tornare quella di prima, anche la preoccupazione per la figlia che Donatella non aveva più rivisto dal momento dell'incidente: «Sentire piangere Arianna e non poter fare nulla per aiutarla è stato terribile, siamo state separate sin dall'inizio in due ospedali diversi e solo dopo tanto tempo ho potuto riabbracciarla. Per fortuna se l'è cavata con qualche settimana di ospedale. Per me è l'unica consolazione sapere che quello che poteva accadere a lei è accaduto a me: non so come ho fatto, ma quando il grande ramo stava cadendo, d'istinto mi sono spostata verso mia figlia, e il mio corpo ha attutito il suo trauma».Donatella ha compiuto 45 anni il 27 ottobre, la sua primogenita coinvolta nel crollo dell'albero ne ha fatti 7 il giorno successivo: «Mi hanno permesso di uscire dall'ospedale per qualche ora. Abbiamo festeggiato i nostri compleanni insieme».Andrea Camurani© RIPRODUZIONE RISERVATA
21 November 2023
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Elena Comelli WC1,019 words
Corriere della Sera SCCORDES PG33 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
La rapida avanzata della transizione energetica rende finalmente reale la prospettiva di ridurre la dipendenza dell'Occidente dal petrolio e dai combustibili fossili, limitando la crisi del clima e l'influenza dei «petroStati» come l'Iran o la Russia, che infatti rispondono destabilizzando lo scacchiere geopolitico mondiale. Il rischio, però, è di cadere da una dipendenza in un'altra. «Il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare», disse già nel lontano 1987 l'allora leader cinese Deng Xiaoping mentre visitava Baotou, nella Mongolia interna, sede di uno dei più grandi giacimenti di terre rare della Cina.L'impennataLe terre rare, in realtà, si trovano in tutto il mondo, ma nessun Paese le ha sfruttate bene come la Cina. Pechino ha riconosciuto l'importanza strategica di queste risorse più di tre decenni fa e ha costruito una posizione dominante nella produzione globale di materiali critici per la transizione energetica. Ora altri stanno cercando di recuperare il ritardo: la produzione non cinese di questi materiali è aumentata di quasi quattro volte, raggiungendo le 90 mila tonnellate, dal 2015 al 2022. Ma la Cina non è rimasta ferma. La produzione di terre rare è raddoppiata, passando da 105 mila a 210 mila tonnellate nel 2022, superando di gran lunga l'aumento al di fuori dei suoi confini in termini assoluti, nel tentativo, per ora riuscito, di dominare un mercato che cresce a rotta di collo.Il mercato dei minerali che servono per alimentare la produzione di veicoli elettrici, turbine eoliche, pannelli solari e altre tecnologie fondamentali per la transizione verso l'energia pulita è raddoppiato negli ultimi cinque anni, in base al rapporto «Critical Minerals Market Review 2023» dell'International Energy Agency. La prima analisi annuale del braccio energetico dell'Ocse su questo mercato indica che l'avanzata record delle tecnologie energetiche pulite sta spingendo un'enorme domanda di minerali come litio, cobalto, nichel e rame.Dal 2017 al 2022, il settore energetico è stato il fattore principale che ha fatto triplicare la domanda complessiva di litio, seguita da un aumento del 70% della domanda di cobalto e da un incremento del 40% della domanda di nichel.Il mercato dei minerali per la transizione energetica ha raggiunto i 320 miliardi di dollari nel 2022 ed è destinato a crescere rapidamente, spostandosi sempre più al centro della scena per l'industria mineraria globale. In risposta, gli investimenti nello sviluppo di minerali critici sono balzati del 30% lo scorso anno, dopo un aumento del 20% nel 2021.Tra i diversi minerali, il litio ha visto l'aumento più marcato degli investimenti, con un balzo del 50%, seguito da rame e nichel. «In un momento cruciale per la transizione verso l'energia pulita in tutto il mondo, siamo incoraggiati dalla rapida crescita del mercato dei minerali critici - ha detto il direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol, commentando il rapporto -. Rimangono però grandi sfide. C'è ancora molto da fare per garantire che le catene di approvvigionamento dei minerali critici siano sicure e sostenibili». Secondo l'analisi della Iea, se tutti i progetti minerari critici pianificati nel mondo venissero realizzati, l'offerta potrebbe essere sufficiente a sostenere gli impegni nazionali sul clima annunciati dai governi da qui al 2030. La Iea però mette in luce proprio il problema della scarsa diversificazione dell'offerta.Il controlloRispetto a tre anni fa, la quota dei tre principali produttori di minerali critici (con la Cina quasi sempre in prima posizione) nel 2022 è rimasta invariata o è aumentata, soprattutto per nichel e cobalto. Per il cobalto, la Cina controlla il 70% dell'estrazione mineraria globale. Nel nichel, i primi tre produttori (Indonesia, Filippine e Russia) controllano i due terzi del mercato, mentre per il litio i primi tre produttori (Australia, Cile e Cina) controllano oltre il 90%. In prospettiva, poi, la crescita non è sufficiente.A partire dal 2030 nessuno di questi minerali chiave avrà abbastanza miniere operative per limitare il surriscaldamento globale a 1,5 gradi. Alla fine del decennio il mercato del litio avrà triplicato le sue dimensioni e all'offerta di rame mancheranno 2,4 milioni di tonnellate. L'estrazione, del resto, è solo il primo passo. I minerali critici devono essere raffinati e forgiati in leghe in un processo complesso, altamente specializzato e in più fasi, prima di poter essere utilizzati. Anche in questo caso c'è molto terreno da recuperare per i nuovi arrivati, come l'Europa.La Cina ha stabilito una posizione di controllo in ogni fase di questo processo, con una strategia industriale concertata a lungo termine, sostenuta da sussidi statali. È impossibile superare in pochi anni un vantaggio competitivo costruito in un trentennio.I governi da Washington a Bruxelles a Tokyo stanno valutando dove approvvigionarsi in modo affidabile senza passare attraverso l'orbita di Pechino. La Cina, per ritorsione, sta valutando la possibilità di limitare le esportazioni di alcuni materiali. Già a luglio Pechino ha imposto restrizioni alle esportazioni di gallio e germanio, metalli utilizzati nella produzione di una serie di prodotti strategici, tra cui veicoli elettrici e microchip. Ora si teme che la mossa di Bruxelles di metà settembre di lanciare un'indagine anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici cinesi possa provocare altre misure commerciali di ritorsione su altri materiali chiave. Per promuovere il dialogo, la Iea ha convocato un summit sui minerali critici a Parigi a fine settembre, ma di questi tempi la cooperazione internazionale è sempre più difficile.© RIPRODUZIONE RISERVATA
23 October 2023
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Milena Gabanelli e Gianni Santucci WC1,251 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG11 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Diluvio informatico Al-Aqsa7 ottobre, ore 6.35: le sirene avvertono del lancio dei primi razzi di Hamas.6.33/7.04: il gruppo hacker Anonymous Sudan lancia attacchi contro due app, Tzeva Adom e RedAlert, utilizzate per diramare messaggi di allerta alla popolazione israeliana su attacchi imminenti. Si tratta di attacchi DDoS, distributed denial of service : l'aggressore attiva i propri «eserciti» di computer infetti per indirizzare un volume enorme di richieste simultanee verso un sito o un'app, che viene paralizzata dall'abnorme sovraccarico di traffico.9.46: gli aerei israeliani iniziano a colpire Gaza.16.18: Anonymous Sudan attacca il sito del Jerusalem Post , con un'altra azione DDoS, facendolo crollare per 12 ore. Punto importante: sabotare sistemi di allerta alla cittadinanza e canali di informazione può essere considerata un'azione di guerra collaterale.18.10: un altro gruppo hacker, Cyber Av3ngers, manda offline il sito della Israel Electric Corporation.150 gruppi pro HamasDal 7 al 17 ottobre, gli analisti della società di sicurezza informatica Swascan hanno individuato 178 gruppi di attivisti cyber che stanno partecipando al conflitto a diversi livelli. Tra questi, circa 150 sono pro Hamas, e hanno basi (dichiarate) in uno scenario molto ampio rispetto al teatro di guerra: Marocco, Yemen, Iran, Sudan, Malesia, Indonesia, Russia, Bangladesh, Emirati Arabi. Poco più di 20 gruppi sono pro Israele, con basi nella stessa Israele e in India. Un rapido identikit di alcuni gruppi rende evidente quale sia la vastità dello scacchiere. Cyber Av3ngers (pro Hamas) è un gruppo iraniano: oltre alla Israel Electric Corporation, ha aggredito altre infrastrutture critiche come l'Israel Independent System Operator (Noga), gestore della rete elettrica. E ancora: gli hacker filorussi Killnet hanno dichiarato guerra cibernetica contro Israele e si sono alleati con Anonymous Sudan. Collaborazione definita con la creazione del gruppo Killnet Palestina, a cui hanno aderito gli altri hacker filorussi di UserSec.La «guerra partecipata»Secondo giorno di guerra, dalla notte inizia a dipanarsi uno degli attacchi più significativi della cyberwar. 8 ottobre, ore 1.29: il gruppo AnonGhost annuncia di aver trovato una vulnerabilità nell'applicazione RedAlert (stavolta non è un sovraccarico di traffico verso l'app ma un'operazione estremamente più complessa e che richiede un'elevatissima competenza tecnica). Invece di una notifica di pericolo in tempo reale, gli hacker fanno comparire su molti telefonini israeliani il messaggio «fuck Israel». Poco dopo, diffondono il codice di vulnerabilità su un gruppo Telegram, mettendo l'arma a disposizione di altri. In giornata creeranno tensione inviando messaggi su «imminenti eventi nucleari». 10.58: il sito di Hamas viene attaccato da Indian Cyber Force (esempio di «controffensiva»). 14.52: Cyber Av3ngers afferma di aver compromesso la centrale elettrica Dorad (il sito non è raggiungibile). 16.59: Killnet attacca il sito del governo israeliano. 17.18: Anonymous Sudan fa una chiamata alle armi sul proprio canale Telegram. Questo è il livello meno sofisticato, ma comunque di forte impatto, della guerra cibernetica: proselitismo, disinformazione, diffusione di fake news.Codici di vulnerabilità condivisiHamas è bandita da Facebook, Instagram e Google, ma attiva su Telegram: su due account dell'organizzazione islamista, i follower in 10 giorni sono passati da 300 mila a un milione. La cronologia mostra come il conflitto si sia subito allargato in uno scenario di guerra partecipata. Un'escalation in ambito cyber. Le piattaforme informatiche consentono una partecipazione sia a gruppi molto strutturati dal punto di vista ideologico e di competenze informatiche, sia a gruppi di livello inferiore, sia ai «cani sciolti», permettendo a soggetti sparsi per il mondo di entrare nel conflitto. Spiega Pierguido Iezzi, ceo di Swascan: «Quello che abbiamo visto con RedAlert è l'esempio più lampante dei rischi connessi alla guerra partecipata: un attivista o un gruppo di elevata capacità tecnica scopre una vulnerabilità e poi la condivide. In questo modo, altri gruppi o singoli, con competenze inferiori, possono innescare quel tipo di attacchi. Teniamo presente che dietro etichette anonime o schermate potrebbero essere attivi anche gruppi con legami più alti a livello istituzionale nei propri Paesi di riferimento».Hacker a attivisti in azione9 ottobre, ore 5.15: Indian Cyber Force attacca il ministero dei Trasporti della Palestina. 5.38: TeamHerox rende irraggiungibile il sito di un ospedale israeliano. 17.02: Ghosts of Palestine attacca il ministero degli Esteri di Israele. Questa timeline è ridotta agli eventi salienti, ma la sequenza degli attacchi informatici è uno stillicidio.10 ottobre, 00.33: Dark Cyber War colpisce il ministero degli Esteri palestinese. 1.01: YourAnonTl3X rende irraggiungibile il sito dell'Agenzia spaziale israeliana. 15.22: Blackfield vende informazioni personali di membri dell'esercito israeliano sul forum Ramp. 19.55: Stucx Team aggredisce il sito del ministero della Sanità israeliano, e invita altri gruppi di hacker a partecipare all'attacco.Si rivela così un altro punto chiave nello scenario della guerra partecipata: tra i gruppi pro Hamas c'è stata una forte condivisione di obiettivi. Se più gruppi si concentrano sugli stessi target (ognuno con la propria schiera di computer infettati) l'urto degli attacchi DDoS è moltiplicato. In più: la condivisione allarga la schiera dei potenziali attaccanti, soprattutto quando mette a disposizione strumenti sofisticati che non tutti i gruppi avrebbero nel proprio bagaglio tecnico. «Questa strategia, almeno nelle proporzioni, segna una marcata differenza rispetto al versante cyber del conflitto Russia/Ucraina», commenta Pierguido Iezzi. Mentre nel mondo si moltiplicano i contatti diplomatici, la guerra cibernetica va avanti in parallelo a bombardamenti e lanci di missili.Un mondo senza confini11 ottobre, ore 00.56: AnonGhost attacca di nuovo l'app RedAlert. 20.55: su un forum, un utente pubblica 400 mila contatti whatsapp israeliani.E ancora. 12 ottobre, ore 6.28: SilentOne «acceca» il sito dell'Autorità palestinese dell'Energia. Dalle 23 diversi gruppi hacker iniziano a scagliare attacchi DDoS l'uno contro l'altro. IndianCyberForce (pro Israele) contro Skynet (pro Hamas). Cyber Army of Russia contro Killnet, con l'obiettivo di riportare l'attenzione sul conflitto Ucraina-Russia (molti gruppi l'hanno spostato sul conflitto Israele/Hamas).14 ottobre, ore 7.22: su un forum compare una lista di vulnerabilità di obiettivi israeliani (sul modello di ciò che è accaduto per l'app RedAlert). 17.36: Haghjoyan afferma di aver violato 4.150 telecamere a circuito chiuso di alta sicurezza israeliane. Sono azioni di un conflitto altamente asimmetrico: Israele possiede i migliori sistemi di difesa sul fronte cyber, ma Hamas si muove in ambito più analogico. Anche per questo probabilmente le antenne dell'intelligence non sono state efficaci per intercettare la minaccia. Però in concomitanza con l'inizio del conflitto, il fronte dell'aggressione cyber contro Israele si è acceso in modo estremamente rapido e in proporzioni molto ampie. Questo lascia intuire un coordinamento (benché non dimostrabile) fra i gruppi hacker più radicalizzati sparsi per il mondo, che poi attirano altri attivisti non direttamente coinvolti.Dataroom@corriere.it© RIPRODUZIONE RISERVATA
23 October 2023
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Ferruccio de Bortoli WC767 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG1.26 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
E bisogna pensarci per tempo perché le candidature vanno individuate con cura e rigore, tenendo conto che, nella prossima legislatura europea, si affronteranno temi cruciali: non solo transizione energetica e lotta al riscaldamento climatico, ma anche intelligenza artificiale, regole della Rete, tutela dei diritti individuali e benessere futuro di comunità sempre più multietniche. Di conseguenza, immaginiamo che tutti i partiti siano già duramente impegnati nel selezionare le liste sulla base di questi essenziali criteri di competenza. Puntando soprattutto sui giovani perché sono temi di loro interesse, sui quali spesso sono i più preparati.A Strasburgo si inciderà sui destini delle prossime generazioni molto più che nel Parlamento di un singolo Paese. Come? Non è così? Ah, scusate, ci eravamo per un attimo illusi che con il tanto parlare dell'interesse nazionale fosse questa la principale preoccupazione. Al contrario assistiamo al riemergere di un antico e trasversale vizio della politica italiana. Riassunto così. Il seggio europeo è un succedaneo di quello nazionale e si è pronti a lasciarlo se vi sono opportunità migliori. È una ricompensa per torti (veri o falsi) subiti o per processi terminati con relativa pena assolta. Un secondo tempo della politica nazionale. Un limbo ben pagato. Le assenze sono una necessità, non una colpa. La settimana è spesso cortissima. Quando i leader si mettono poi a capo delle liste per calamitare consensi si sa che lasceranno quasi sempre il seggio vuoto, salvo essere presenti per parlare al proprio elettorato interno.Le eccezioni ovviamente non mancano - e brillano trasversalmente - ma dovrebbero costituire la regola. Gli esempi di cui essere fieri. Perché poi nelle commissioni, gli altri, spesso più preparati e soprattutto assidui, ci fanno semplicemente neri. E addio interesse nazionale. I tedeschi affiancano al parlamentare uscente un futuro e possibile candidato dello stesso collegio in modo che studi dossier sempre più complessi e non perda mesi nell'adattarsi una volta eletto. Non si può (si lederebbero diritti fondamentali) costringere gli eletti a rimanere cinque anni ma nemmeno far passare l'idea che uno stia lì in attesa di un'alternativa. Non è serio. E poi, parliamo tanto di giovani, ne abbiamo pochi, li paghiamo male e se ne vanno all'estero, però se guardiamo all'elettorato attivo (chi vota) e passivo, l'eleggibilità, c'è solo da vergognarsi. La Germania ha abbassato, con il voto del Bundestag del 10 novembre 2022, il limite per votare alle europee da 18 anni (il nostro) a 16, come in Austria e in Belgio. In linea con una risoluzione del Parlamento europeo del 3 maggio 2022. Nella stragrande maggioranza dei Paesi membri si è eleggibili compiuti i 18 anni. Noi siamo ultimi, insieme alla Grecia, con il limite di 25 anni, ma Atene fa votare i diciassettenni. In sintesi: lasciamo fuori di fatto un pezzo della generazione che ha più dimestichezza e familiarità con le tecnologie digitali, con i temi ambientali, quella che ha più interesse ad essere rappresentata e decidere del proprio futuro. Con il paradosso che chi è più giovane può candidarsi e farsi eleggere in un altro Paese (principio di non discriminazione). Un segnale devastante. È come se dicessimo loro: andatevene qui non c'è posto. Ci stracciamo le vesti sui giovani e non siamo in grado di garantire nemmeno gli stessi diritti politici dei loro coetanei nel resto dell'Unione europea. Ne discutiamo? No. Al contrario ci si è accapigliati sull'opportunità di diminuire la soglia di sbarramento, per avere seggi nel Parlamento europeo, dal 4 al 3 per cento semplicemente per una questione di vita o di morte di alcuni partiti. Non certo per difendere meglio l'interesse nazionale e, tanto meno, per dare maggiore rappresentanza ai giovani.© RIPRODUZIONE RISERVATA
29 October 2023
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Piera Genta Rosalba Graglia WC647 words
Corriere della Sera SCCORDES EDTORINO PG8 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Si comincia con CioccolaTò , kermesse tra piazza San Carlo e via Roma fino al 5 novembre, quest'anno - sarà l'effetto Tim Burton e Willy Wonka - in versione Cioccolato delle Meraviglie. Dentro c'è di tutto: cultura, arte, talk, giochi, laboratori, masterclass e showcooking, fabbriche di cioccolato, menù nei ristoranti e cioccolato sospeso a favore del Sermig. Ospite d'onore Modica, con quell' inconfondibile cioccolato di ispirazione azteca che ha i suoi estimatori anche sotto la Mole. Come destreggiarsi nei giorni che trasformeranno il centro nel segno del cacao? Il programma completo si trova su www.cioccola-to.events, noi vi suggeriamo qualche spunto un po' nuovo. Come la rassegna Imprenditori del Cioccolato: il cibo degli dei non è solo ricetta di felicità, ma anche un'importante risorsa economica, spesso al femminile. Bella occasione per sentir raccontare da Debora Massari, la figlia del sommo pasticcere Iginio, gli sviluppi dell'e-commerce e la ricerca di nuovi prodotti, e la storia di famiglia di Valentina Arzilli di La Perla di Torino e l'equilibrio fra tradizione e innovazione. O ancora la scelta di Francesca Caon che ha creato il suo marchio a Carmagnola e vende solo on line cioccolato fatto a mano, senza macchinari. E poi la ricerca e l'innovazione dei due Guidi del cioccolato torinese, Castagna e Gobino, Peyrano e lo storico stabilimento di Corso Moncalieri con Alessandro Pradelli e Marco Giovine. Francesco Ciocatto di Pfatisch racconta in anteprima Choco Story Torino, il nuovo museo del cioccolato atteso per il 2024 insieme a Clara e Gigi Padovani (che presentano pure il loro ultimo libro «Storie di cioccolato a Torino e in Piemonte»).E non c'è solo il cioccolato. Novità di quest'anno gli abbinamenti con vino e distillati. Saranno quattro grappe, giovani e invecchiate, da diversi territori del Piemonte presentate dal Consorzio Tutela Grappa mentre Nicolas Vella della pasticceria Il chicco tostato di Val della Torre propone due cioccolatini da abbinare al Moscato passito. Ancora il Vermouth di Torino con le dolcezze di Silvio Bessone e una coinvolgente esperienza di gusto con gli aromatici piemontesi e le eccellenze di Guido Gobino. Il vino continua ad essere protagonista in città: fino al 12 novembre ci sono Vendemmia a Torino - Grapes in Town e Portici Divini con una vigna didattica in piazza Carlo Felice e un ricco palinsesto di appuntamenti tra cui sabato 4 novembre le masterclass in una location creata in piazza Solferino, che avranno come protagonisti le vigne del Canavese e il vitigno dell'anno, l'Erbaluce, cui è dedicato l'Erbaluce Day il giorno 6. Insieme ai Consorzi Freisa di Chieri e Collina Torinese Doc, Valsusa Doc e Pinerolese Doc la domenica 5 il focus delle masterclass sarà «I vini della Collina e delle montagne torinesi». In calendario (programma completo sul sito www.grapesintown) anche numerosi incontri con degustazioni tra enoteche, ristoranti e locali torinesi che ospiteranno una trentina di produttori vitivinicoli, creando abbinamenti ad hoc.Tra i partner del cioccolato c'è pure il caffè e domenica 29 ottobre Domenico Messineo, grande esperto e tostatore artigianale rivela i segreti della tostatura e gli accordi perfetti con il cibo degli dei. E se preferite il tè, da The Tea in via Corte d'Appello Claudia Carità propone inediti abbinamenti con il cacao, compreso un esclusivo tè bicerin .Piera GentaRosalba Graglia© RIPRODUZIONE RISERVATALa schedaTornano protagoniste tre grandi passioni torinesiin fattodi gusto: cioccolato,vino e caffè Si comincia con CioccolaTò, si prosegue con Vendemmiaa Torino - Grapes in Town e quindiconPortici Divini Infine si va alla scoperta dei segretidella tostatura
29 October 2023
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Aldo Cazzullo WC857 words
Corriere della Sera SCCORDES EDNAZIONALE PG30 LAItalian CYCopyright 2023 © RCS Mediagroup S.p.a. Tutti i diritti sono riservati
Dietro molte tra le critiche a Israele, oltre alla sincera pietà per i civili di Gaza, c'è la critica all'Occidente, e in particolare al colonialismo, alla sua storia, alla sua eredità. Un'attitudine non nuova. In odio all'Occidente, nelle piazze dei primi Anni 70 i giovani di estrema sinistra inneggiavano a Pol Pot e a Mao, che nel frattempo stavano massacrando milioni di loro connazionali. La critica all'Occidente era già da tempo un classico del pensiero dell'estrema destra, refrattaria all'idea della democrazia e dell'uguaglianza tra gli uomini.L'attitudine che prevale oggi, nei campus anglosassoni ma anche in molti licei e università italiani, è la critica al retaggio del colonialismo.E anche qui occorre distinguere tra gli eccessi ideologici - a cominciare dalla follia di abbattere le statue di Cristoforo Colombo - e l'inevitabile ripensamento del nostro passato.Carlo III in Kenya chiede perdono «per le malefatte del colonialismo», Scholz fa lo stesso con la Tanzania - nata dall'unione tra Zanzibar e Tanganica, colonia tedesca sino alla prima guerra mondiale -, Macron nella campagna elettorale del 2017 andò in Algeria e definì il colonialismo un «crimine contro l'umanità». Non stiamo parlando di estremisti dei centri sociali, ma del re d'Inghilterra, del Cancelliere tedesco, del presidente della Repubblica francese. E in effetti i morti della guerra d'Algeria si contano a centinaia di migliaia, quelli del colonialismo belga in Congo a milioni (noi italiani, si sa, siamo brava gente: le decine di migliaia di vittime in Libia e in Etiopia sono del tutto assenti dalla memoria nazionale, anzi abbiamo eretto un mausoleo al «governatore di Addis Abeba» Graziani, che fece massacrare i monaci cristiani di Debra Libanòs). Certo, la storia non è solo contabilità funebre. Perché ragionando così allora si dovrebbe ricordare che gli inglesi tenevano l'India con eserciti composti in buona parte da soldati indiani, e il massacro di Amritsar dove il 13 aprile 1919 il generale Dyer aprì il fuoco sui civili - «una cicatrice vergognosa» ha detto la premier conservatrice Theresa May - è una goccia nel mare di sangue versato da hindu e musulmani nei giorni della Partizione; anche se i critici a oltranza del colonialismo direbbero che pure quelle stragi furono una conseguenza dell'occupazione. Ma se oggi l'India si afferma come grande potenza, è anche grazie alla lingua del colonizzatore, l'inglese, che fa da lingua franca al subcontinente e lo mette in comunicazione con il mondo globale. Il dibattito insomma potrebbe proseguire all'infinito.Quel che è importante oggi, per confrontarci con i nostri giovani e per affinare la nostra capacità di lettura della guerra di Gaza e della questione israelo-palestinese, è ribadire che la storia di Israele non è una storia di colonialismo. Gli studenti pensano Israele come l'avamposto dell'Occidente, e in un certo senso lo è; ma per fortuna, visto che rappresenta un'isola di democrazia, dove i governanti vengono liberamente criticati quando sbagliano, come accade ora a Netanyahu. Soprattutto, la nascita di Israele è cosa ben diversa dal colonialismo. Gli ebrei arrivarono in Medio Oriente da profughi. Scampati ai pogrom nell'Europa dell'Est. Sopravvissuti alla Shoah. La potenza coloniale, in quel momento l'Inghilterra, tentava di ostacolare il loro sbarco, e non a caso fu attaccata dai combattenti ebrei, a volte con metodi terroristici. Poi certo dopo vennero gli insediamenti dei coloni a Gaza, che sono stati smantellati, e in Cisgiordania, che invece con Netanyahu sono stati incentivati; ma questa è un'altra storia.Ripensare il proprio passato, discuterne liberamente, è indice di cultura critica e di maturità. È tipico insomma delle democrazie e dei loro principi, tra cui la libertà di insegnamento. L'odio di sé, l'incertezza sui propri valori, è invece segnale di debolezza: perché la libertà e la democrazia non si potranno esportare con le armi, soprattutto se offerte come paravento di un'egemonia economica e militare; ma la libertà e la democrazia restano molto meglio di oppressione e tirannide. Oltre che dell'intolleranza religiosa che anima Hamas e i suoi alleati iraniani. E dell'aggressività di quello che è oggi il vero colonialismo: non quello occidentale, ma cinese e russo. La Cina opprime le minoranze tibetane e uigure, compra porti e terre in Africa, Asia, financo Europa, strappa concessioni e monopoli. La Russia interviene in Siria e in Libia, dove è molto attiva la Turchia di Erdogan, che vagheggia di riportare la propria influenza su tutte le antiche province dell'impero ottomano. Se ci sono oggi cannoniere al largo delle zone di crisi, non battono solo la bandiera dell'Occidente.© RIPRODUZIONE RISERVATA
5 November 2023
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