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./data/hdd_data/secondData/20231018/LEG18/AC-1501 | true | XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 1501
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
GUSMEROLI, MOLINARI, CENTEMERO, CAVANDOLI, COVOLO, FERRARI, GERARDI, ALESSANDRO PAGANO, PATERNOSTER, TARANTINO, ANDREUZZA, BAZZARO, BELLACHIOMA, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BONIARDI, BUBISUTTI, CANTALAMESSA, VANESSA CATTOI, CECCHETTI, COIN, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FOGLIANI, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, IEZZI, INVERNIZZI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LOCATELLI, LOLINI, LUCCHINI, MARCHETTI, MORELLI, MURELLI, PANIZZUT, PAOLINI, PATASSINI, PATELLI, PETTAZZI, PIASTRA, PICCOLO, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, STEFANI, TATEO, TONELLI, TURRI, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZICCHIERI, ZÓFFILI, ZORDAN
Istituzione di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali per gli incrementi di reddito realizzati rispetto all'anno precedente
Presentata il 15 gennaio 2019
Onorevoli Colleghi ! – Da diversi anni si discute di lotta all'evasione e si cerca di contrastarla con una serie di interventi, tra i quali:
il sistema delle deduzioni fiscali, che cerca di creare un conflitto di interessi tra chi deduce il costo e chi deve emettere il documento giustificativo del costo stesso;
i controlli incrociati, come lo spesometro e la fattura elettronica;
la cosiddetta legge «manette agli evasori» ( decreto-legge n. 429 del 1982 , convertito, con modificazioni, dalla legge n. 516 del 1982 ), approvata negli anni ottanta per incentivare la dichiarazione dei redditi posseduti.
Nel corso degli anni, per finanziare le continue necessità del sistema della spesa corrente pubblica statale, è aumentata anche la tassazione, raggiungendo aliquote che scoraggiano l'emersione del sommerso e anzi lo alimentano.
Il progetto di riduzione delle imposte della Lega, denominato « flat tax » e previsto dal contratto di Governo tra la Lega e il Movimento 5 Stelle è stato avviato, per il momento, solo in favore delle piccole imprese individuali e dei professionisti e nel corso del quinquennio di Governo dovrà essere esteso a tutti i contribuenti. Lo scopo della presente proposta di legge è far emergere il reddito imponibile per consentire, al termine di un triennio, l'applicazione della flat tax a tutti i contribuenti.
Si parte da un assunto: il reddito sommerso, al di là delle stime, è altissimo e lo si evince da come sono distribuiti i redditi degli italiani:
da zero a 26.000 euro di reddito: circa il 75 per cento degli italiani (redditi 2016);
da zero a 50.000 euro di reddito: circa il 95 per cento degli italiani (redditi 2016).
La presente proposta di legge prevede che sul maggior reddito rispetto al reddito dell'anno precedente (si considerano i redditi prodotti a partire dal 2019), rivalutato in base agli indici dell'ISTAT sul costo della vita, si applica l'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, di seguito denominata «IrpefIresPlus», del 15 per cento.
Per il primo anno la condizione necessaria per applicare l'imposta sostitutiva sull'incremento di reddito è che il reddito del 2019, rivalutato dall'ISTAT, debba essere superiore a quello del 2018, al fine di evitare che nel 2019, nelle more dell'approvazione della presente proposta di legge, i contribuenti si adoperino per ridurre il loro reddito incrementale al fine di garantirsi l'applicazione dell'IrpefIresPlus.
Per gli anni successivi al 2019 il riferimento base per determinare l'incremento del reddito su cui applicare l'imposta sostitutiva è il reddito dell'anno precedente rivalutato dall'ISTAT.
Per stimolare l'emersione del reddito sommerso relativo all'IRPEF e all'IRES è fissato un limite di conformità del reddito dichiarato pari al 10 per cento di incremento rispetto al reddito dichiarato nell'anno precedente. Qualora sia raggiunto tale limite, non si farà luogo ad accertamenti fiscali se non nel caso di frodi fiscali o di altre condizioni che determinino l'esistenza di reati penali.
La presente proposta di legge, quindi, si prefigge i seguenti obiettivi:
1) garantire l'attuale gettito dell'IRPEF e dell'IRES senza incidere in modo negativo sul bilancio dello Stato e sulla progressività di tali imposte;
2) garantire la naturale crescita del gettito almeno per ciò che riguarda l'adeguamento delle entrate agli indici dell'ISTAT;
3) spingere all'aumento dei redditi dichiarati in quanto, oltre un determinato livello di reddito, l'aliquota massima dell'IRPEF (43 per cento), sommata a quella dell'IRAP e ai contributi all'INPS, spinge all'evasione;
4) prevedere un periodo sperimentale di tre anni in cui far emergere il reddito sommerso stimato da molti centri di studio in oltre 100 miliardi di euro per la sola IRPEF e permettere il passaggio graduale dalle attuali aliquote progressive dell'IRPEF alla flat tax del 15 per cento;
5) contribuire alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia relative all'IVA per il biennio 2020-2021 in attesa della crescita economica che comporterebbe un aumento del gettito dell'IVA;
6) non prevedere alcun «disequilibrio» per quanto concerne il sistema delle deduzioni e delle detrazioni fiscali dell'IRPEF;
7) non determinare alcuna perdita di gettito per gli enti locali perché solo l'incremento del reddito è esente da addizionali;
8) non determinare alcuna perdita per l'INPS perché i redditi soggetti alla contribuzione in favore dell'Istituto sono stabilizzati e i contributi sono rivalutati;
9) intervenire su uno dei difetti del sistema forfetario (mini flat tax ) di determinazione del reddito delle piccole imprese individuali e dei professionisti, cioè la tendenza di non far crescere il fatturato in prossimità della soglia massima di 65.000 euro o 100.000 euro affinché tale fatturato non debba essere tassato con aliquote superiori al 15 per cento;
10) prevedere un doppio sistema premiale per chi incrementa il proprio reddito dichiarato: drastica riduzione della tassazione (pari al 15 per cento) e fissazione di un limite (+10 per cento annuo) che permetta di evitare i controlli, ad esclusione di eventuali reati fiscali o penali.
La presente proposta di legge non comporta oneri per lo Stato.
La tabella seguente fornisce un esempio dei vantaggi derivanti dall'attuazione della presente proposta di legge: sull'incremento del reddito la tassazione è pari esclusivamente al 15 per cento, esente da contributi all'INPS e da addizionali regionali e comunali all'IRPEF.
2018
2019
2020
2021
2022
Reddito
dichiarato
101,1
101,1
105
110
120
ISTAT
1,5%
1,5%
1,6%
1,5%
Base imponibile tassata ad aliquote progressive
101,1
102,61
104,15
105,82
107,40
Incremento
reddito
2,39
5,85
14,18
Incremento reddito che permette la tax compliance
10,26
10,41
10,58
Irpef Plus su incremento reddito
0,36
0,88
2,12
Irpef Plus su tax compliance
1,54
1,56
1,59
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1 .
(Istituzione dell'imposta sostitutiva)
1. È istituita l'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali per gli incrementi di reddito realizzati rispetto all'anno precedente, di seguito denominata «imposta IrpefIresPlus», disciplinata dalla presente legge, che integra l'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e l'imposta sul reddito delle società (IRES) previste dal testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 .
2. L'imposta IrpefIresPlus si applica a tutti i redditi e soggetti già sottoposti all'IRPEF e all'IRES.
Art. 2.
(Aliquota dell'imposta)
1. L'aliquota dell'imposta IrpefIresPlus è pari al 15 per cento ed è sostitutiva dell'IRPEF, dell'IRES e delle relative addizionali regionali e comunali.
Art. 3 .
(Base imponibile per il primo anno)
1. L'imposta IrpefIresPlus si applica, a decorrere dal 1° gennaio 2020, sui redditi conseguiti nell'anno 2019.
2. La base imponibile dell'imposta IrpefIresPlus è costituita dall'incremento di reddito conseguito rispetto al reddito dichiarato nell'anno 2019, rivalutato in base agli indici dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sul costo della vita per lo stesso anno 2019, ai fini della dichiarazione dei redditi relativi all'IRPEF o all'IRES presentata nell'anno 2020.
3. Per il primo anno di applicazione, l'imposta IrpefIresPlus con aliquota pari al 15 per cento si applica ai contribuenti il cui reddito relativo all'anno 2019 sia superiore a quello dichiarato relativo all'anno 2018.
Art. 4 .
(Base imponibile per i successivi due anni)
1. Per gli anni 2021 e 2022 la base imponibile dell'imposta IrpefIresPlus è costituita dall'incremento di reddito conseguito rispetto al reddito dichiarato, rispettivamente, negli anni 2020 e 2021, rivalutato in base agli indici dell'ISTAT sul costo della vita per i medesimi anni.
Art. 5 .
(Oneri deducibili e detrazioni)
1. Gli oneri deducibili e le detrazioni previsti dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 , per l'incremento del reddito possono essere applicati all'imposta IrpefIresPlus o utilizzati ai fini della compensazione o del rimborso, se il loro ammontare complessivo è superiore a quello dell'imposta IrpefIresPlus dovuta.
Art. 6 .
(Versamenti)
1. I versamenti dell'imposta IrpefIresPlus sono effettuati con le stesse modalità ed entro gli stessi termini previsti per l'IRPEF e per l'IRES in sede di dichiarazione dei redditi mediante presentazione del modello unico o del modello 730.
Art. 7 .
(Contributi previdenziali)
1. Sull'incremento di reddito soggetto all'imposta IrpefIresPlus, calcolato ai sensi degli articoli 3 e 4, non sono dovuti, in deroga alla normativa vigente, i contributi previdenziali e assistenziali, ferma restando la possibilità di optare per il versamento dei contributi previdenziali in forma volontaria al fine di aumentare la propria quota pensionistica di accantonamento.
Art. 8 .
(Reddito conforme)
1. Qualora la base imponibile di cui all'articolo 3 per il primo anno e all'articolo 4 per i successivi due anni superi il reddito lordo dichiarato, comprensivo degli oneri deducibili, dell'anno 2019, rivalutato in base agli indici dell'ISTAT sul costo della vita per il medesimo anno, di una percentuale pari al 10 per cento, il reddito è considerato conforme e non accertabile, fatti salvi i casi in cui l'evasione o il mancato reddito dichiarato determinino l'esistenza di reati penali di natura fiscale, di mancata dichiarazione di redditi esteri o di altri reati penali previsti dalla normativa fiscale e dalla legislazione vigente.
Art. 9 .
(Disposizioni finali)
1. Per quanto non espressamente previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 , in quanto compatibili.
2. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, sono emanate le disposizioni per l'applicazione dell'imposta IrpefIresPlus. | Imposta sostitutiva per gli incrementi di reddito realizzati rispetto all'anno precedente
Premessa
Le proposte di legge in esame ( A.C.1501) istituisce una imposta sostitutiva , cd. flat tax , con un'aliquota unica pari al 15 per cento da applicare al reddito incrementale, ovvero sulla parte aggiuntiva di reddito prodotto, rispetto all'anno precedente.
La flat tax (letteralmente, tassa piatta, vale a dire calcolata come percentuale costante) è un sistema fiscale non progressivo, basato su una aliquota fissa, al netto di eventuali deduzioni fiscali o detrazioni.
In sintesi, la proposta introduce una nuova tassa agevolata con aliquota al 15% ( IrpefIresPlus ) - sperimentale per tre anni – da applicarsi sul maggior reddito conseguito rispetto al reddito dell'anno precedente rivalutato in base agli indici dell'ISTAT sul costo della vita .
Per il primo anno di applicazione la condizione necessaria per utilizzare l'imposta sostitutiva è che il reddito rispetto al quale viene calcolato l'incremento di redditi conseguiti risulti già superiore a quello dell'anno precedente, al fine di evitare che nelle more dell'approvazione della proposta di legge i contribuenti si adoperino per ridurre il loro reddito incrementale e garantirsi una maggiore applicazione dell'IrpefIresPlus.
L'aliquota agevolata sostituisce tutte le tasse (Irpef o Ires e addizionali) applicandosi esclusivamente alla parte incrementale del reddito.
Gli oneri deducibili e le detrazioni per l'incremento del reddito possono essere applicati all'imposta o utilizzati ai fini della compensazione o del rimborso se il loro ammontare complessivo è superiore a quello dell'imposta dovuta.
Inoltre, se per i due anni successivi la base imponibile supera il reddito dichiarato al lordo degli oneri deducibili dell'anno precedente (maggiorato della percentuale Istat dell'anno) di una percentuale del 10% , il reddito viene considerato conforme , comportando la non accertabilità fiscale, fatti salvi eventuali reati tributari per i quali scatta il procedimento penale.
L' introduzione dell'imposta , secondo quanto indicato dai firmatari nella relazione che accompagna il testo della proposta di legge, si prefigge come obiettivo, tra gli altri, la correzione del possibile effetto distorsivo dell'attuale regime forfettario : in particolare, essa contrasterebbe l'occultamento intenzionale di ricavi da parte di chi intende rimanere nel regime agevolato non superando la soglia dei 65.000.
Si ricorda che il regime forfettario è un regime fiscale agevolato (al reddito imponibile si applica un'unica imposta, nella misura del 15%, sostitutiva di quelle ordinariamente previste) destinato alle persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni che nell'anno precedente hanno, contemporaneamente:
conseguito ricavi o percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 65.000 euro (se si esercitano più attività, contraddistinte da codici Ateco differenti, occorre considerare la somma dei ricavi e dei compensi relativi alle diverse attività esercitate)
sostenuto spese per un importo complessivo non superiore a 20.000 euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori, anche a progetto, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associati con apporto costituito da solo lavoro e quelle corrisposte per le prestazioni di lavoro rese dall'imprenditore o dai suoi familiari.
Per una panoramica dettagliata sulle norme che disciplinano il regime forfettario si rinvia al Portale della documentazione della Camera dei deputati: Il regime forfetario agevolato (ex "minimi").
Il contenuto del provvedimento
Articolo 1 – Istituzione dell'imposta sostitutiva
L' articolo 1, comma 1, istituisce l'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali per gli incrementi di reddito realizzati rispetto all'anno precedente (denominata: imposta IrpefIresPlus) che integra l'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e l'imposta sul reddito delle società (IRES) previste dal Testo unico delle imposte sui redditi (decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917).
Il comma 2 stabilisce che l'IrpefIresPlus si applica a tutti i redditi e ai soggetti già sottoposti all'IRPEF e all'IRES.
Articolo 2 – Aliquota dell'imposta
L' articolo 2 stabilisce l'aliquota dell'imposta: l'IrpefIresPlus è pari al 15 per cento ed è sostitutiva dell'IRPEF, dell'IRES e delle relative addizionali regionali e comunali.
Secondo la relazione che accompagna il testo, l'introduzione dell'imposta non determinerebbe perdita di gettito per gli enti locali, in quanto solo l'incremento del reddito sarebbe esente da addizionali; verrebbe così garantito l'attuale gettito dell'IRPEF e dell'IRES senza incidere in modo negativo sul bilancio dello Stato e sulla progressività di tali imposte.
Si ricorda che l'articolo 11 del Testo unico delle imposte sui redditi stabilisce che l'imposta lorda sul reddito delle persone fisiche è determinata applicando al reddito complessivo, al netto degli oneri deducibili, le seguenti aliquote per scaglioni di reddito:
fino a 15.000 euro, 23 per cento;
oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro, 27 per cento;
oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro, 38 per cento;
oltre 55.000 euro e fino a 75.000 euro, 41 per cento;
oltre 75.000 euro, 43 per cento.
L'articolo 77 del medesimo Testo unico dispone che l'imposta sul reddito delle società è commisurata al reddito complessivo netto con l'aliquota del 24 per cento.
Articolo 3 – Base imponibile per il primo anno
L' articolo 3, comma 1, prevede che l'imposta IrpefIresPlus si applica, a decorrere dal 1° gennaio 2020, sui redditi conseguiti nell'anno 2019.
Si segnala che il periodo d'imposta a decorrere dal quale si applica l'aliquota agevolata (2020), così come gli anni di riferimento rispetto ai quali calcolare gli incrementi di redditi conseguiti, indicati nel testo della proposta di legge, dovrebbero essere aggiornati.
Il comma 2 stabilisce che la base imponibile dell'imposta è costituita dall' incremento di reddito conseguito rispetto al reddito dichiarato nell'anno precedente, rivalutato in base agli indici dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sul costo della vita per lo stesso anno, ai fini della dichiarazione dei redditi relativi all'IRPEF o all'IRES.
Il comma 3 dispone che per il primo anno di applicazione, l'imposta con aliquota pari al 15 per cento si applica ai contribuenti il cui reddito relativo all'anno 2019 sia superiore a quello dichiarato relativo all'anno precedente (2018).
Articolo 4 – Base imponibile per i successivi due anni
L' articolo 4 chiarisce che per gli anni 2021 e 2022 la base imponibile dell'imposta IrpefIresPlus è costituita dall'incremento di reddito conseguito rispetto al reddito dichiarato rispettivamente nei due anni precedenti ( 2020 e 2021) rivalutato in base agli indici dell'ISTAT sul costo della vita per i medesimi anni.
Articolo 5 – Oneri deducibili e detrazioni
L' articolo 5 stabilisce che gli oneri deducibili e le detrazioni previsti dal Testo unico delle imposte sui redditi possono essere utilizzati ai fini del calcolo dell'imposta IrpefIresPlus o utilizzati ai fini della compensazione o del rimborso , se il loro ammontare complessivo è superiore a quello dell'imposta IrpefIresPlus dovuta.
Si ricorda che l'articolo 80 del Testo unico delle imposte sui redditi stabilisce che se l' ammontare complessivo dei crediti per le imposte pagate all'estero, delle ritenute d'acconto e dei versamenti in acconto, previsti dagli articoli del medesimo Testo unico, è superiore a quello dell'imposta dovuta il contribuente ha diritto, a sua scelta, di computare l'eccedenza in diminuzione dell'imposta relativa al periodo di imposta successivo, di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione dei redditi ovvero di utilizzare la stessa in compensazione.
Articolo 6 – Versamenti
L' articolo 6 dispone che i versamenti dell'imposta IrpefIresPlus sono effettuati con le stesse modalità ed entro gli stessi termini previsti per l'IRPEF e per l'IRES in sede di dichiarazione dei redditi mediante presentazione del modello unico o del modello 730.
Articolo 7 – Contributi previdenziali
L' articolo 7 stabilisce che sull'incremento di reddito soggetto all'imposta, calcolato ai sensi degli articoli 3 e 4 , non sono dovuti , in deroga alla normativa vigente, i contributi previdenziali e assistenziali.
Rimane ferma , tuttavia, la possibilità di optare per il versamento dei contributi previdenziali in forma volontaria al fine di aumentare la propria quota pensionistica di accantonamento.
Articolo 8 – Reddito conforme
L' articolo 8 stabilisce un limite di conformità presunto del reddito dichiarato pari al 10 per cento di incremento rispetto al reddito dichiarato nell'anno precedente. Qualora sia raggiunto tale limite, non si fa luogo ad accertamenti fiscali.
In particolare, la norma dispone che qualora la base imponibile di cui all'articolo 3 per il primo anno, e all'articolo 4 per i successivi due anni, superi il reddito lordo dichiarato , comprensivo degli oneri deducibili, dell'anno 2019, rivalutato in base agli indici dell'ISTAT sul costo della vita per il medesimo anno, di una percentuale pari al 10 per cento , il reddito è considerato conforme e non accertabile.
La norma fa salvi , comunque, i casi in cui l'evasione o il mancato reddito dichiarato determinino l'esistenza di reati penali di natura fiscale , di mancata dichiarazione di redditi esteri o di altri reati penali previsti dalla normativa fiscale e dalla legislazione vigente.
Articolo 9 – Disposizioni finali
L' articolo 9 (comma 1) prevede che per quanto non espressamente previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del Testo unico delle imposte sui redditi in quanto compatibili.
Il comma 2 stabilisce che entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, sono emanate le disposizioni per l'applicazione dell'imposta IrpefIresPlus. | 7,049 | 12 |
./data/hdd_data/secondData/20231018/LEG18/AC-1823 | true | XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 1823
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
SERRACCHIANI, VISCOMI
Modifica all' articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 , convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 , in materia di obbligo contributivo dei liberi professionisti appartenenti a categorie dotate di una propria cassa di previdenza
Presentata il 3 maggio 2019
Onorevoli Colleghi! — Il presente progetto di legge si rende necessario per risolvere un problema che si è verificato a seguito di un'interpretazione del tutto arbitraria delle vigenti disposizioni in materia di obblighi contributivi dei liberi professionisti già iscritti a casse previdenziali di categoria, che l'INPS ha voluto imporre nonostante la soccombenza in tutti gli innumerevoli e conformi pronunciamenti giurisprudenziali.
Come noto, le vigenti disposizioni statutarie e regolamentari di alcuni enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996, approvate a suo tempo dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, hanno previsto la possibilità di esercitare l'attività professionale senza essere tenuti al versamento della contribuzione ordinaria (nel solo caso degli avvocati del libero foro, fino all'entrata in vigore della legge n. 247 del 2012 ).
Tali previsioni si sono rivelate non coerenti con il principio di carattere generale in base al quale tutti i redditi prodotti devono essere assoggettati a contribuzione previdenziale, per cui l'INPS, nell'ambito di una vasta operazione finalizzata a contrastare l'evasione ed elusione contributiva, ha ritenuto di contestare in tali ipotesi il mancato versamento della contribuzione alla gestione separata di cui all' articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 .
Tuttavia, l'analisi dell'originaria formulazione della citata disposizione della legge n. 335 del 1995 , rafforzata dalla successiva norma di interpretazione autentica introdotta con l' articolo 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 , convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 , dovrebbero pacificamente portare ad affermare che la gestione separata dell'INPS fu istituita, in via generale, per tutte le categorie di lavoratori autonomi, di lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e per i venditori a domicilio e, soltanto in via residuale, per le categorie di liberi professionisti ancora prive di una propria cassa di previdenza.
L'INPS, pertanto, non ha il potere di iscrivere d'ufficio nella propria gestione separata singoli soggetti liberi professionisti appartenenti a categorie già dotate di una propria cassa di previdenza alla data di entrata in vigore della legge n. 335 del 1995 , potendo agire in questo senso soltanto nei confronti delle categorie di liberi professionisti che, alla medesima data di entrata in vigore, erano ancora prive di una propria forma di tutela previdenziale e che, nel frattempo, non hanno deliberato in favore di una delle quattro opzioni indicate dall' articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 103 del 1996 .
Ne consegue l'illegittimità dell'iscrizione d'ufficio dei liberi professionisti, appartenenti ad albi dotati (in base ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996) di un proprio ente previdenziale di diritto privato, nella gestione separata dell'INPS per difetto assoluto dei presupposti soggettivi impositivi; una conclusione rafforzata dalla uniformità dei giudizi dei diversi tribunali che in questi anni si sono pronunciati in merito.
Non essendo, quindi, stata sufficiente la formulazione attuale dell' articolo 18, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011 , si ritiene di dover integrare quest'ultimo, non stravolgendone affatto né il senso né l'interpretazione, ma chiarendone ancora di più la portata, perché la norma in esame possa finalmente offrire una soluzione alla questione, precisando ancora una volta, e in maniera inequivocabile, che, nei rapporti privatistici, già sottoposti al vaglio dei competenti organi, vige la cosiddetta «libertà di contrarre» e che dunque sono soggetti all'iscrizione presso la gestione separata dell'INPS coloro che svolgono attività il cui esercizio non è subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi, salva diversa previsione legislativa.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. Al comma 12 dell'articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 , convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 , dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Non possono, quindi, essere iscritti presso la gestione separata dell'INPS i liberi professionisti appartenenti a categorie già dotate di una propria cassa di previdenza alla data di entrata in vigore della citata legge n. 335 del 1995 , con riferimento ai redditi percepiti a seguito dell'esercizio dell'attività prevista dal rispettivo albo professionale». | Modifica all'articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, in materia di obbligo contributivo dei liberi professionisti appartenenti a categorie dotate di una propria cassa di previdenza
Contenuto
QUADRO NORMATIVO
La proposta di legge in esame consta di un solo articolo che integra la disposizione dell'articolo 18, comma 12 della L. 111/2011, norma interpretativa dell'articolo 2, comma 26 L. 335/1995, in materia di obbligo di iscrizione per alcune categorie di lavoratori alla gestione separata dell'Inps.
L'art. 2, comma 26 della Legge n. 335/95 , prevede, in particolare, che,a decorrere dal 1° gennaio 1996, il soggetto che produce reddito da lavoro autonomo e che non è tenuto al versamento presso altra cassa professionale obbligatoria è tenuto ad iscriversi alla Gestione separata dell'INPS, ai fini della estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti.
Si tratta, in particolare, dei soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell' articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell' articolo 49 del medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui all' articolo 36 della legge 11 giugno 1971, n. 426.
A seguito del contenzioso amministrativo e giurisdizionale suscitato dalla predetta disposizione (si veda oltre, per approfondimenti), la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 18 comma 12 legge 111/2011 ,ha interpretato l'articolo 2 nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103, con riguardo a soggetti già pensionati.
Per tali soggetti, che esercitano un'attività professionale e in relazione allo svolgimento di tale attività percepiscono un reddito, gli enti previdenziali di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103, dovevano adeguare entro sei mesi i propri statuti e regolamenti, prevedendo l'obbligatorietà dell'iscrizione e della contribuzione a carico di tutti coloro che risultino aver percepito un reddito, derivante dallo svolgimento della relativa attività professionale.
Il comma 12 ha, inoltre, fatta salva la disposizione di cui all' articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, che facoltizza gli enti esponenziali a livello nazionale degli enti abilitati alla tenuta di albi od elenchi a deliberare con la maggioranza dei componenti dell'organo statutario competente la scelta della forma gestoria più appropriata, tra cui, in particolare, ai sensi della lettera d) l'inclusione della categoria nella forma di previdenza obbligatoria di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, cioè della gestione separata INPS.
Le forme gestorie previste dal predetto art. 3 possono essere, alternativamente : a) la partecipazione ad un ente pluricategoriale, avente configurazione di diritto privato secondo il modello di ente privatizzato delineato dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (che ha trasformato in associazioni e fondazioni taluni enti senza scopo di lucro, assumendo la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del codice civile e continuando a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione e in cui convergano anche altre categorie di lavoratori); b ) la costituzione di un ente di categoria, avente la medesima configurazione di diritto privato di cui alla lettera a ), alla condizione che lo stesso sia destinato ad operare per un numero di soggetti non inferiore a 8.000 iscritti; c ) l'inclusione della categoria professionale per la quale essi sono istituiti, in una delle forme di previdenza obbligatorie già esistenti per altra categoria professionale similare, per analogia delle prestazioni e del settore professionale, compresa fra quelle di cui all'elenco allegato al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 , a condizione che abbia conseguito la natura di persona giuridica privata;
d ) l'inclusione della categoria nella forma di previdenza obbligatoria di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
Nel caso di mancata adozione delle delibere di cui sopra, i soggetti appartenenti alle categorie professionali interessate sono inseriti nella gestione di cui al comma 1, lettera d ).
CONTENUTO DELLA PROPOSTA DI LEGGE
La proposta di legge interviene su un diffuso contenzioso amministrativo e giurisprudenziale che ha interessato pressoché tutte le categorie di liberi professionisti non iscritti alla cassa previdenziale di riferimento, derivante dalla nota "Operazione Poseidone", con la quale l'INPS, a partire dal 2010, ha posto in essere attività di accertamento di crediti contributivi per contestare, all'esito dell'incrocio delle banche dati Inps con le informazioni in possesso dell'Agenzia delle Entrate, la mancata contribuzione alla Gestione separata da parte dei soggetti che hanno dichiarato redditi provenienti da attività di arti e professioni: verificata la natura del reddito e la mancata contribuzione presso altre casse previdenziali autonome (quali ad esempio Cassa forense o Inarcassa) si è proceduto all'invio degli avvisi di accertamento per diversi anni di imposta, a partire dal 2005.
A fronte del suesposto quadro normativo, la posizione dell'INPS si delinea, dunque, nel senso che se un soggetto esercita, per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo che non richiede l'iscrizione a un albo professionale oppure attività di lavoro autonomo il cui esercizio è subordinato all'iscrizione a un albo professionale, ma che non è soggetta al «versamento contributivo» all'ente di categoria (in base alle fattispecie di esclusione previste dall'ordinamento pensionistico di quest'ultimo), sorge l'obbligo di iscrizione presso l'apposita gestione separata. Più in particolare, sin dalla prima circolare successiva all'entrata in scena della norma di interpretazione autentica di cui all'art. 18, co. 12, d.l. n. 98/2011 (ritenuta confermativa dell'orientamento amministrativo espresso dall'Istituto, secondo quanto espressamente affermato nella circolare n. 72/2015: "Il legislatore, all'articolo 18, comma 12, del d.l. 98/2011, con norma di interpretazone autentica, ha confermato quanto disciplinato nelle norme del 1995 e l'orientamento espresso da questo Istituto con circolare n. 9/2011 e messaggio n. 709/2012") l'INPS sostiene che debbano rientrare nell'ambito della gestione separata «tutti coloro che, pur svolgendo attività iscrivibili ad appositi albi professionali, non siano tenuti al versamento del contributo soggettivo presso le Casse di appartenenza, ovvero abbiano esercitato eventuali facoltà di non versamento/iscrizione, in base alle previsioni dei rispettivi Statuti o regolamenti», ribadendo che «tali soggetti continueranno ad essere destinatari dell'obbligo contributivo alla gestione separata INPS, in considerazione del fatto che i redditi percepiti non risultano assoggettati ad altro titolo a contribuzione previdenziale obbligatoria».
I flussi informativi pervenuti dagli uffici finanziari hanno messo in evidenza che un numero significativo di contribuenti, pur avendo prodotto un reddito derivante da attività professionale non assoggettata ad altra contribuzione obbligatoria, ha omesso la compilazione del quadro fiscale relativo alla determinazione del contributo dovuto alla Gestione Separata e, conseguentemente, il pagamento dell'onere previdenziale dovuto.
La capillare attività di accertamento posta in essere dall'INPS ha prodotto, a sua volta, un significativo contenzioso giurisdizionale che ha peraltro portato la prevalente giurisprudenza delle Corti di merito su posizioni opposte rispetto a quelle propugnate dai giudici della Suprema Corte di Cassazione, pressoché integralmente adesive alle posizioni dell'INPS.
Con riferimento alle più rilevanti pronunce della Corte di Cassazione intervenute nel tempo, si segnalano le sentenze n. 30344 e n. 30345 del 2017, con le quali si afferma l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata di coloro che svolgono attività di ingegnere, contemporaneamente all'attività di lavoro subordinato privato o pubblico per la quale esiste altro rapporto previdenziale. CIò sulla base della ratio dell'introduzione della gestione separata, là dove si sostiene che «con la creazione di questa nuova gestione si è inteso estendere la copertura assicurativa, nell'ambito della cd. "politica di universalizzazione delle tutele", non solo a coloro che ne erano completamente privi, ma anche a coloro che ne fruivano solo in parte, a coloro cioè che svolgevano due diversi tipi di attività e che erano "coperti" dal punto di vista previdenziale, solo per una delle due, facendo quindi in modo che a ciascuna corrispondesse una forma di assicurazione».
E' stato precisato, al riguardo, che il versamento del solo contributo integrativo alla propria Cassa professionale da parte del professionista, anche lavoratore dipendente, non esonera dall'iscrizione e dal versamento dei contributi alla Gestione separata dell'Inps in quanto la tutela previdenziale copre quelle attività lavorative che restano scoperte in base allo statuto delle Casse. Tali obblighi contributivi vengono, infatti, considerati "infruttiferi" dll'Inps, cioè "a fondo perduto", perché non destinati ad alimentare alcuna posizione assicurativa suscettibile di sfociare nell'erogazione di prestazioni previdenziali, essendo agganciati a mere finalità solidaristiche, sia pure endocategoriali ed essendo ripetibile nei confronti del debitore, avendo funzione di finanziare altre prestazioni erogate dalla Cassa. La contribuzione integrativa, secondo questa prospettazione, non potrebbe, dunque, ritenersi sostitutiva di quella obbligatoria istituita presso l'INPS: il contributo soggettivo minimo obbligatorio da versare all'Inps non è una maggiorazione percentuale sui corrispettivi prodotti, che deve essere versato da tutti gli iscritti all'Albo, ma deve essere versato dai soli iscritti alla Cassa predetta.
Si chiarisce, infatti, che il pagamento alla cassa professionale di un contributo forfettario di importo non direttamente proporzionale al reddito, ma determinato in misura fissa, integra le condizioni per l'esclusione dal pagamento del contributo alla gestione separata INPS se, in relazione al contributo versato alla cassa, è prevista l'erogazione di un trattamento pensionistico. Qualora il versamento forfettario fisso sia invece effettuato a titolo di solidarietà e non comporti la valutazione del periodo ai fini pensionistici a carico della cassa professionale – si cita a titolo di esempio, il caso dell'ENPAM – il reddito dovrà essere assoggettato a contribuzione INPS
Ancora più recentemente, con la sentenza n. 32167 del 12 dicembre 2018, la Suprema Corte ha deciso la questione inerente all'obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l'Inps per gli avvocati non iscritti obbligatoriamente alla Cassa di previdenza forense alla quale hanno versato esclusivamente un contributo integrativo in quanto iscritti agli albi.
Anche in questo caso, la Corte, ha confermato il precedente orientamento (nn. 30344/17; 30345/17; 1172/18; 2282/18; 1643/18; e, per ultima, la n. 32166), già espresso per la categoria degli ingegneri ed architetti, estendendolo, da ultimo, ai dottori commercialisti.
Analogamente, i numerosi ricorsi presentati, in via amministrativa , innanzi al competente Comitato Amministratore del Fondo per la gestione speciale dei lavoratori autonomi di cui all'Art. 2, Comma 26, della Legge 8 agosto 1995, n.335 avverso i provvedimenti di iscrizione legati alla citata campagna di accertamento, vengono proposti per la delibera di reiezione.
Con riferimento all'indirizzo prevalente presso le Corti di merito , invece, il contenzioso è stato risolto in massima parte nel senso dell'esclusione dell'obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS di «tutti i soggetti comunque tenuti a corrispondere a casse ed enti previdenziali privati dei contributi, quale che ne sia la tipologia e natura» e ciò essenzialmente sulla base di due argomenti: l'uno, di carattere sistematico, diretto a ravvisare la ratio della previsione di cui all'art. 2 della legge n. 335/1995 nell'esigenza di assicurare copertura assicurativa e tutela previdenziale"esclusivamente" a soggetti che, in mancanza di iscrizione alla gestione separata, ne sarebbero privi (ciò che – si argomenta ulteriormente – non potrebbe dirsi nel caso in cui il professionista sia iscritto a una cassa previdenziale o, comunque, a una forma obbligatoria di previdenza, solitamente l'INPS o, in passato, l'INPDAP); l'altro, di carattere testuale, volto a valorizzare l'ampiezza e la genericità del riferimento al «versamento contributivo», senza ulteriori specificazioni, contenuto nell'art. 18, co. 12, d.l. n. 98/2011.
L'articolo 1 della proposta di legge in esame, intendendo specificare e chiarire ulteriormente il contenuto interpretativo del comma 12 dell'articolo 18 della legge 111/2011, inserisce un secondo periodo al comma, prevedendo che "non possono, quindi, essere iscritti presso la gestione separata dell'INPS i liberi professionisti appartenenti a categorie già dotate di una propria cassa di previdenza alla data di entrata in vigore della citata legge n. 335 del 1995, con riferimento ai redditi percepiti a seguito dell'esercizio dell'attività prevista dal rispettivo albo professionale».
Nella relazione di accompagnamento al testo normativo, si evidenzia che esso "si rende necessario per risolvere un problema che si è verificato a seguito di un'interpretazione del tutto arbitraria delle vigenti disposizioni in materia di obblighi contributivi dei liberi professionisti già iscritti a casse previdenziali di categoria, che l'INPS ha voluto imporre nonostante la soccombenza in tutti gli innumerevoli e conformi pronunciamenti giurisprudenziali". A conforto di tale assunto, si richiama la ratio originaria della citata disposizione della legge n. 335 del 1995, rafforzata dalla successiva norma di interpretazione autentica, che istituì la gestione separata dell'INPS, in via generale, per tutte le categorie di lavoratori autonomi, di lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e per i venditori a domicilio e, soltanto in via residuale, per le categorie di liberi professionisti ancora prive di una propria cassa di previdenza, escludendo, pertanto, dalla gestione separata singoli soggetti liberi professionisti appartenenti a categorie già dotate di una propria cassa di previdenza alla data di entrata in vigore della predetta legge del 1995 (e purché, come si è visto nella ricognizione normativa sopra svolta, non fosse nel frattempo intervenuta hanno una delle quattro opzioni indicate dall'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 103 del 1996).
In conclusione, la proposta di legge in esame, attraverso la ridefinizione ulteriore della interpretazione autentica operata con l'articolo 18 della legge 111/2011, si configura essa stessa come legge di interpretazione autentica, valida per il futuro ma anche con effetti retroattivi sui rapporti pregressi, in base alle regole generali .
Al riguardo, si valuti l'opportunità di chiarire gli effetti retroattivi della proposta di legge in esame, valutandone anche gli eventuali effetti finanziari alla luce delle possibili restituzioni di somme incassate dall'Inps a titolo di contributi previdenziali.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di leggi di > interpretazione autentica >
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di > leggi di interpretazione autentica, «il divieto di retroattività della legge > – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio > generale dell'ordinamento, cui il legislatore ordinario deve in principio > attenersi – non è stato elevato a dignità costituzionale, salva per la > materia penale la previsione dell'art. 25 della Costituzione. Quindi il > legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni > di "interpretazione autentica", che determinano – chiarendola – la portata > precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto > plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia > retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul > piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi > costituzionalmente protetti. >
Ed è, quindi, proprio sotto l'aspetto del controllo di ragionevolezza che > rilevano, simmetricamente, la funzione di "interpretazione autentica", che > una disposizione sia in ipotesi chiamata a svolgere, ovvero l'idoneità di > una disposizione innovativa a disciplinare con efficacia retroattiva anche > situazioni pregresse in deroga al principio per cui la legge non dispone che > per l'avvenire (sentenza n. 274/2006; nello stesso senso, ex multis , > sentenze n. 234/2007 e n. 374/2002). >
La Corte costituzionale ha quindi evidenziato (sentenza n. 78 del 2012) come > la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica possa dirsi > costituzionalmente legittima qualora si limiti ad assegnare alla > disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, > riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex > plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del > 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire > «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un > dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di > «ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del > legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del > diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente > interesse costituzionale. Accanto a tale caratteristica, la Corte ha > individuato una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle > leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, > di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei > destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno > ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si > riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; > la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio > connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza > dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente > riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010). | 7,644 | 15 |
./data/hdd_data/secondData/20231018/LEG18/AC-2293 | true | XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 2293
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
ANGIOLA, ARESTA, FRATE, MELICCHIO, NITTI
Modifiche all'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 , in materia di detrazione delle spese per l'acquisto di dispositivi di protezione individuale dei conducenti e dei passeggeri di motocicli e ciclomotori
Presentata il 10 dicembre 2019
Onorevoli Colleghi ! – La presente proposta di legge nasce dall'esigenza di tutelare l'incolumità dei conducenti e dei passeggeri di motocicli e ciclomotori, utenti della strada ritenuti vulnerabili in quanto più esposti al rischio rispetto ad altre tipologie di utenti, soprattutto per la mancanza di protezioni esterne, come l'abitacolo del veicolo. Tali utenti vulnerabili rappresentano nel complesso circa il 24 per cento dei morti sulle strade (793 su un totale di 3.325 morti) secondo i dati raccolti dall'ISTAT per l'anno 2018; un numero complessivo di 793 morti, di cui 685 motociclisti e 108 ciclomotoristi, 208 dei quali di età compresa tra 15 e 30 anni. Inoltre, se si considera il dato statistico relativo ai decessi dei soli conducenti di motocicli e ciclomotori, il predetto rapporto percentuale sale a circa il 34 per cento, considerato che i conducenti di motocicli e ciclomotori deceduti sono 758 su un totale complessivo di 2.253 conducenti morti alla guida di tutte le categorie di veicoli. Sono oltre 54.000, invece, i feriti a seguito di sinistri sulle due ruote.
È necessario, quindi, sollecitare i conducenti e i passeggeri dei mezzi a due ruote all'uso degli strumenti di protezione di ultima generazione, quali i dispositivi di protezione individuale airbag , i cui costi, non proprio contenuti, ne disincentivano l'acquisto, che potrebbe invece essere indubbiamente favorito dalla previsione di una detraibilità della spesa sostenuta.
Si ritiene che le disposizioni della presente proposta di legge siano meritevoli di interesse e di esame non soltanto per il fine intrinseco delle stesse, di evidente rilievo sociale, ma anche e soprattutto perché l'utilizzo dei citati strumenti di protezione, in caso di sinistro, ridurrebbe enormemente i rischi di lesioni gravi o gravissime, nonché di decesso dei motociclisti, e ciò si tradurrebbe, inevitabilmente, in un risparmio della spesa pubblica in termini di costi sociali, tra i quali rientrano quelli sanitari e le provvidenze economiche a sostegno dell'invalidità o inabilità, con innegabili benefiche ripercussioni sull'intera comunità.
Secondo i dati sui «costi sociali» dell'incidentalità stradale elaborati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'anno 2017, così come previsto dal decreto legislativo 15 marzo 2011, n. 35 , il costo medio umano per decesso è di euro 1.503.990, mentre il costo medio umano per ferito è di euro 42.219. I costi sociali degli incidenti stradali costituiscono una stima del danno economico subìto dalla società a causa di tali eventi. Il danno economico non è rappresentato da una spesa diretta sostenuta dalla collettività, ma dalla quantificazione economica degli oneri che, a diverso titolo, gravano sulla stessa a seguito delle conseguenze causate da un incidente stradale. Dal dato statistico emerge l'enorme incisività sociale dei costi sostenuti dalla collettività in conseguenza di un incidente con morti o feriti, costi che in generale sono quelli derivati dai danni al veicolo, dalle spese per il rilievo degli incidenti da parte delle Forze di polizia e dei servizi di emergenza, dai costi legali e amministrativi di gestione e dai danni causati all'infrastruttura stradale e agli edifici. A questi si aggiunge la componente dei costi umani riferiti alle vittime di incidente stradale e derivanti dalla perdita di produttività per la società, dalla perdita affettiva, dal dolore e dalla sofferenza delle persone coinvolte e dei parenti delle vittime, nonché dai costi delle cure mediche alle quali sono sottoposte le vittime stesse.
In ordine alla previsione di spesa necessaria per il riconoscimento dell'incentivo fiscale, occorre considerare le immatricolazioni dei nuovi motocicli avvenute in Italia nel 2018, pari a 219.235 secondo i dati forniti dall'ISTAT, nonché il parco circolante dei veicoli a due ruote con età inferiore a venti anni, pari a 4.932.591 secondo fonti dell'Automobile club d'Italia (ACI). La copertura di tali costi, anche in considerazione dell'attuale situazione del bilancio statale, potrà essere posta a carico delle compagnie assicurative. Queste ultime, infatti, otterranno sicuri benefìci dall'incentivazione all'utilizzo dei moto airbag , considerato che i dati statistici riferiti agli indennizzi liquidati per ciclomotori e motocicli per l'anno 2017 sono i seguenti: gli indennizzi per sinistri di ciclomotori sono stati pari a euro 129.791.519 e quelli per sinistri di motocicli sono stati pari a euro 824.652.000, con la previsione, per questi ultimi, di un margine tecnico lordo negativo (fonte: Bollettino statistico dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni – dicembre 2018).
Questi ultimi dati, che quantificano una spesa sostenuta per indennizzi pari a euro 954.443.519, potrebbero essere suscettibili di un netto miglioramento in caso di utilizzo dei dispositivi di protezione che si intende incentivare, con un conseguente miglioramento della marginalità generale delle compagnie assicurative e una sensibile riduzione del menzionato margine tecnico passivo derivante dagli indennizzi erogati nel ramo assicurativo relativo ai motoveicoli. Un'ulteriore considerazione positiva sulla presente proposta di legge deriva dalla concreta possibilità che la diffusione e l'utilizzo dei moto airbag incentivino i produttori dei medesimi dispositivi a ridurre i relativi prezzi di vendita, oltre a investire su tali tecnologie.
Con la presente proposta di legge si concede il beneficio indistintamente a chiunque decida di comprare un dispositivo moto airbag , a prescindere dal possesso di un ciclomotore o di un motociclo.
La detrazione si applica anche ai contribuenti che acquistino tali dispositivi per soggetti fiscalmente a carico (è il caso, ad esempio, dei genitori che li acquistino per i figli minori).
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. All'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di detrazione per oneri, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 1- quater è inserito il seguente:
« 1-quinquies . A decorrere dall'anno 2020, dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 50 per cento delle spese documentate, fino a un ammontare massimo delle spese pari a euro 500, sostenute per l'acquisto di dispositivi di protezione individuale dei conducenti e dei passeggeri di motocicli e ciclomotori ( motoairbag ), anche se integrati in capi di abbigliamento. Tali dispositivi possono essere ad attivazione meccanica, certificati secondo la normativa europea EN 1621-4, o ad attivazione elettronica, certificati secondo la citata normativa europea nella sola parte applicabile ai dispositivi elettronici»;
b) al comma 2, dopo le parole: « i-decies) del comma 1» sono inserite le seguenti: «e al comma 1- quinquies » e dopo le parole: «alle lettere f) e i-decies) » sono inserite le seguenti: «del comma 1 e al comma 1- quinquies ».
2. Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 1, valutati in 26 milioni di euro per l'anno 2021 e in 13,9 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2022, si provvede mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dalle disposizioni del comma 3.
3. L'aliquota delle imposte previste dagli articoli 4 e 19 della tariffa di cui all'allegato A annesso alla legge 29 ottobre 1961, n. 1216 , è stabilita nella misura del 12,7 per cento nell'anno 2021 e nella misura del 12,6 per cento a decorrere dall'anno 2022. | Detrazioni per l'acquisto di dispositivi di protezione individuale per conducenti e passeggeri di motocicli e ciclomotori
Contenuto
La proposta di legge in esame (A.C. 2293) stabilisce la facoltà di detrarre dall'imposta lorda , a decorrere dall'anno 2020, un importo pari al 50 per cento delle spese documentate, fino a un ammontare massimo delle stesse pari a euro 500, sostenute per l' acquisto di dispositivi di protezione individuale dei conducenti e dei passeggeri di motocicli e ciclomotori (moto airbag ), anche se integrati in capi di abbigliamento, ad attivazione meccanica o elettronica.
In particolare, il comma 1 modifica l'articolo 15 del D.P.R. n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi, Tuir) aggiungendo il comma 1- quinquies con il quale si consente al contribuente di detrarre dall'imposta lorda , a decorrere dall'anno 2020, un importo pari al 50 per cento delle spese documentate, fino a un ammontare massimo delle stesse pari a euro 500, sostenute per l'acquisto di dispositivi di protezione individuale moto airbag , anche se integrati in capi di abbigliamento, ad attivazione meccanica, certificati secondo la normativa di omologazione europea EN1621/4, o elettronica, certificati secondo la citata normativa di omologazione europea, nella sola parte applicabile per i dispositivi elettronici.
Viene di conseguenza modificato il comma 2 dell'articolo 15 del Tuir, in materia di detrazioni per carichi di famiglia, inserendo il rinvio al nuovo comma 1- quinquies citato. A seguito di tale modifica, pertanto, la detrazione in esame spetta anche per le spese sostenute per l'acquisto di tali dispositivi a vantaggio delle persone fiscalmente a carico.
Il comma 2 dell'articolo in esame reca la quantificazione degli oneri del comma 1, pari a 26 milioni di euro per l'anno 2021 e a 13,9 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022 , individuando la copertura nella quota parte delle maggiori entrate derivanti dalle disposizioni di cui al comma 3.
Il comma 3 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla disposizione in esame mediante l' innalzamento dal 12,5 al 12,7 per cento nell'anno 2021 e al 12,6 per cento dal 2022 dell' imposta dei premi sulle assicurazioni in materia di responsabilità civile e delle assicurazioni globali dei veicoli a motore (articoli 4 e 19 della tariffa di cui all'allegato A annesso alla legge 29 ottobre 1961, n. 1216).
Si ricorda che a decorrere dall'anno 2011, l'aliquota dell'imposta RCA, pari al 12,5% può essere aumentata o diminuita in misura non superiore a 3,5 punti percentuali e che a decorrere dall'anno 2012 l'imposta RCA costituisce tributo proprio derivato delle province (articolo 17 del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68 in materia di tributi propri connessi al trasporto su gomma).
Occorrerebbe pertanto valutare la possibilità di chiarire che resta ferma la destinazione dell'attuale prelievo del 12,5 alle province in quanto tributo proprio derivato, mentre l'incremento proposto, pari allo 0,2 per l'anno 2021 e allo 0,1 a decorrere dal 2022, viene attribuito allo Stato e destinato a coprire gli oneri della norma proposta. Resta inoltre ferma la manovrabilità dell'imposta da parte delle province già prevista dalla norma vigente.
Gli incidenti stradali relativi a ciclomotori e motocicli nel Rapporto 2019 - statistiche sull'incidentalità nei trasporti stradali, anche con riferimento alla tipologia di strada.
Secondo il rapporto 2019 curato dalla Direzione Generale per i Sistemi Informativi e Statistici (DGSIS) gli incidenti che hanno coinvolto ciclomotori nell'anno 2018 sono stati 9.883 (di cui 8.845 nei centri abitati e 1.038 fuori dai centri abitati). Si tratta di un dato in calo rispetto agli anni precedenti (942 incidenti in meno rispetto al 2017) e la cui dimensione si è notevolmente ridotta nel corso degli anni. Basti pensare che nel 2001 si erano verificati ben 57.857 incidenti stradali (54.043 nei centri abitati e 3.814 fuori dai centri abitati). Anche con riferimento alla mortalità per i ciclomotori si è avuta una decisa riduzione. Se nel 2001 erano stati registrati 578 morti (375 dentro il centro abitato e 203 fuori dal centro abitato) nel 2018 i morti sono stati 108 (55 nei centri abitati e 53 fuori dai centri abitati). Tale dato è tuttavia leggermente superiore a quanto registrato nel 2017 (96 mori, 64 nei centri abitati e 32 fuori dai centri abitati).
Con riferimento ai motocicli senza passeggeri a bordo nell'anno 2018 si sono registrati in totale 37.698 incidenti (31.712 incidenti entro i centri abitati e 5.986 fuori dai centri abitati). Pur risultando in calo rispetto all'anno 2017, in cui si erano registrati 33.580 incidenti, l'andamento dell'incidentalità concernente i motocicli è meno positiva rispetto a quella registrata con riferimento ai ciclomotori. Infatti, in valore assoluto nell'anno 2001 si erano registrati 26.319 incidenti mentre nel 2010 si era raggiunta la cifra di ben 39.335 incidenti.
Anche con riguardo alla mortalità, in valori assoluti, si è registrato un peggioramento dei dati nel confronto tra le vittime nel 2001 (523 in totale) e nel 2018 (653), pur rilevandosi una leggera riduzione delle vittime rispetto al 2017 (686) e una ben più significativa riduzione rispetto all'anno 2010 (in cui si erano registrate 884 vittime).
Con riguardo agli incidenti relativi a motocicli con passeggeri a bordo nell'anno 2018 risultano 5.153 incidenti, meno della metà di quelli verificatisi nel 2001 (10.896) ed in leggero calo anche rispetto a quelli registrati nell'anno 2017 (5.371). Anche la mortalità si è notevolmente ridotta: dai 437 morti dell'anno 2001 si è passati a 90 morti nell'anno 2018, in calo anche rispetto ai decessi riscontrati nel 2017 (103 morti).
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al Rapporto 2019 - statistiche sull'incidentalità nei trasporti stradali, anche con riferimento alla tipologia di strada e alle relative tabelle, pubblicate sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. | 4,693 | 69 |
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CAMERA DEI DEPUTATI
N. 1963
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa delle deputate
MURONI, PAITA
Istituzione del Parco nazionale del fiume Magra
Presentata l'8 luglio 2019
Onorevoli Colleghi ! – Il fiume Magra ha caratterizzato da sempre l'unità ecologica, sociale ed economica della Lunigiana storica, identificata con il suo bacino idrografico. Il bacino oggi è diviso tra due regioni, la Toscana e la Liguria, una separazione amministrativa che ha portato con sé necessariamente anche strumenti e modelli di gestione non unitaria del territorio e degli ecosistemi. Il fiume e il suo ecosistema possono diventare l'elemento unificante dove applicare politiche di gestione ambientale coordinate e unitarie.
Il 21 giugno scorso si è svolto a Sarzana (La Spezia) il Forum dedicato al Parco del fiume Magra organizzato da Legambiente per fare il punto sul futuro dell'area insieme agli amministratori regionali e locali e alle associazioni del bacino idrografico.
Quello che è emerso dal Forum è l'utilità di andare oltre la richiesta di un Parco del fiume Magra di interesse regionale in quanto il contesto geografico, il bacino idrografico, la biodiversità e la qualità ecologica del territorio rendono propedeutica l'istituzione di un percorso affinché il fiume Magra venga riconosciuto come Parco nazionale.
Per queste ragioni Legambiente ha chiesto alle regioni Toscana e Liguria di lavorare congiuntamente per la valorizzazione integrata del fiume Magra e, in questo contesto, lo strumento più adeguato è l'istituzione del Parco nazionale del fiume Magra che comprenda l'attuale territorio del Parco regionale di Montemarcello-Magra-Vara in provincia della Spezia, le aree naturali protette di interesse locale (ANPIL) situate lungo il fiume Magra in provincia di Massa-Carrara, oltre ai siti della rete Natura 2000 compresi nel bacino idrografico interregionale del fiume Magra.
Il Manifesto proposto da Legambiente mette in evidenza che l'ecosistema fluviale del Magra ha sempre rappresentato un elemento unificante di integrazione delle politiche di tutela della biodiversità, di gestione ambientale e di difesa del suolo. È un importante corridoio ecologico, un territorio di frontiera tra le zone geobotaniche-bioclimatiche mediterranea e medioeuropea con un'eccezionale diversità biologica che interessa, in un'area di soli 50 chilometri, ben sei bioclimi, appartenenti a tre delle quattro regioni bioclimatiche italiane, xeroterica, mesoxerica e axerica fredda, confermando la sua strategicità per garantire servizi ecosistemici e per attuare le strategie della Convenzione degli Appennini del 24 febbraio 2006 e del progetto APE- Appennino Parco d'Europa.
Il fiume Magra è infatti in una posizione cruciale di collegamento e di cerniera tra gli habitat d'importanza internazionale già protetti dell'Appennino tosco-ligure-emiliano, quali il Parco nazionale delle Cinque Terre, riconosciuto patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, il Parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano, riconosciuto riserva della biosfera dall'UNESCO, e, infine, il Parco regionale delle Alpi Apuane, riconosciuto Global Geopark dall'UNESCO.
Per i motivi esposti si presenta questa proposta di legge, nella convinzione che essa riceverà il sostegno di tutti i parlamentari, in particolare di quelli toscani e liguri, ai fini di una sua celere approvazione.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. All' articolo 34, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 , dopo la lettera f-ter) è aggiunta la seguente:
« f-quater) fiume Magra».
2. Il Parco nazionale del fiume Magra interessa l'omonimo bacino idrografico nei territori di significativo o rilevante interesse naturalistico e ambientale delle province della Spezia e di Massa-Carrara. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede, con proprio decreto, alla delimitazione provvisoria del Parco nazionale e, d'intesa con le regioni Liguria e Toscana, adotta le misure di salvaguardia per garantire la conservazione dello stato dei luoghi. Con la medesima procedura si provvede all'eventuale estensione del territorio del Parco nazionale e delle aree contermini.
3. Per l'istituzione e il funzionamento del Parco nazionale del fiume Magra è autorizzata la spesa di euro 300.000 per l'anno 2020 e di euro 1.500.000 annui a decorrere dall'anno 2021.
4. Agli oneri di cui al comma 3 del presente articolo, pari a euro 300.000 per l'anno 2020 e a euro 1.500.000 annui a decorrere dall'anno 2021, si provvede a valere sull'autorizzazione di spesa di cui all' articolo 1, comma 43, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 , mediante corrispondente riduzione delle somme già destinate al funzionamento degli Enti parco. | Istituzione del Parco nazionale del fiume Magra
Premessa
Le aree protette e la loro classificazione
La conservazione dei territori naturali che ancora mantengono inalterate le matrici ecosistemiche rappresenta il principale obiettivo dell'istituzione di aree naturali protette. La legge 6 dicembre 1991, n. 394 ("Legge quadro sulle aree protette") ha provveduto alla classificazione delle aree naturali protette ed ha istituito, altresì, l'Elenco ufficiale delle aree protette (attualmente è in vigore il 6° aggiornamento, approvato con Delibera della Conferenza Stato-Regioni del 17 dicembre 2009 e recepito con il D.M. 27 aprile 2010 (G.U. n. 125 del 31 maggio 2010).
L'ultima relazione del Ministero dell'ambiente sullo stato di attuazione della legge quadro sulle aree protette (Doc. CXXXVIII, n. 5, presentato alla Camera nel gennaio 2018) sottolinea che dal citato elenco si "rileva che la superficie protetta nazionale riconosciuta si è incrementata fino a raggiungere il 10,50% del territorio nazionale e che il numero delle aree protette è di 871, per un totale circa di 3.163.590,71 ettari a terra, 2.853.033,93 ettari a mare e 658,02 chilometri di coste. Così ripartito: 24 parchi nazionali, 147 riserve naturali statali, 27 aree marine protette (più due parchi sommersi e il santuario internazionale dei mammiferi marini), 134 parchi naturali regionali, 365 riserve naturali regionali, 171 altre aree protette di diversa classificazione e denominazione".
Alle succitate aree protette vanno aggiunte le zone di protezione facenti parte della rete europea "Natura 2000" (istituita con la c.d. direttiva habitat n. 92/43/CEE, recepita in Italia con il D.P.R. 357/1997, a sua volta integrato con il D.P.R. 120/2003), concepita ai fini della tutela della biodiversità europea attraverso la conservazione degli habitat naturali e delle specie animali e vegetali di interesse europeo.
Della "rete Natura 2000", istituita dalla c.d. direttiva Habitat (che ha previsto l'individuazione di Siti di importanza Comunitaria e la loro successiva designazione in Zone Speciali di Conservazione), fanno parte anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) classificate dagli Stati membri a norma della c.d. direttiva uccelli (direttiva n. 79/409/CEE, sostituita dalla direttiva 2009/147/CE).
Nella citata relazione del Ministero dell'ambiente viene sottolineato che il sistema delle aree protette nazionali ha un'ampia sovrapposizione con il sistema dei siti della rete "Natura 2000". Tale sovrapposizione, in riferimento alla superficie totale delle aree protette nazionali (parchi nazionali, aree marine protette e riserve statali), raggiunge quasi il 79%.
I parchi nazionali
L'art. 2 della legge quadro sulle aree protette (L. 394/1991), nel classificare le aree protette, dispone che "i parchi nazionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future" (comma 1) e che "la classificazione e l'istituzione dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali, terrestri, fluviali e lacuali, sono effettuate d'intesa con le regioni" (comma 7).
Il successivo articolo 8 dispone, al comma 1, che i parchi nazionali "sono istituiti e delimitati in via definitiva con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente, sentita la regione ".
Il Parco e il bacino del fiume Magra
La relazione illustrativa della proposta di legge in esame ricorda che il 21 giugno 2019 "si è svolto a Sarzana (La Spezia) il Forum dedicato al Parco del fiume Magra organizzato da Legambiente per fare il punto sul futuro dell'area insieme agli amministratori regionali e locali e alle associazioni del bacino idrografico. Quello che è emerso dal Forum è l'utilità di andare oltre la richiesta di un Parco del fiume Magra di interesse regionale in quanto il contesto geografico, il bacino idrografico, la biodiversità e la qualità ecologica del territorio rendono propedeutica l'istituzione di un percorso affinché il fiume Magra venga riconosciuto come Parco nazionale".
Nella stessa relazione viene sottolineato che il Parco nazionale del fiume Magra dovrebbe comprendere "l'attuale territorio del Parco regionale di Montemarcello-Magra-Vara in provincia della Spezia, le aree naturali protette di interesse locale (ANPIL) situate lungo il fiume Magra in provincia di Massa-Carrara, oltre ai siti della rete Natura 2000 compresi nel bacino idrografico interregionale del fiume Magra".
Nel Manifesto approvato nel Forum del giugno 2019 succitato viene evidenziato che "il fiume Magra in Toscana è stato tutelato negli ultimi 15 anni, per un tratto di circa 13 chilometri, da due ANPIL (Aree Naturali Protette d'Interesse Locale) che la recente legge regionale ha abrogato, lasciando quegli habitat senza una chiara destinazione futura", mentre il tratto ligure del Magra e del suo principale affluente, il Vara, invece, è interessato dal Parco Regionale di Montemarcello-Magra-Vara". Nello stesso Manifesto viene evidenziato che il fiume Magra rappresenta inoltre un importante corridoio ecologico che svolge un rilevante ruolo di collegamento tra aree ed ecosistemi continentali e mediterranei, trovandosi in una posizione cruciale di collegamento e di cerniera tra habitat protetti dell'appennino tosco-ligure d'importanza internazionale, quali il Parco Nazionale delle Cinque Terre, il Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano e il Parco Regionale delle Alpi Apuane.
Relativamente al Parco Naturale Regionale di Montemarcello-Magra- Vara, si ricorda che esso è stato istituito dalla legge regionale della Liguria n. 12/1995 e ha una superficie a terra di 4.320 ettari e interessa il territorio di 16 comuni della provincia della Spezia.
Come ricordato nel sito internet del Parco regionale, "all'interno del territorio del Parco di Montemarcello-Magra-Vara ricadono quattro ZSC di cui l'Ente Parco è stato nominato gestore: IT343502 Parco Magra-Vara, IT1345109 Montemarcello, IT1345101 Piana della Magra e IT1345114 Costa di Maralunga. In particolare la prima di queste identifica quasi la totalità del territorio del Parco e comprende oltre il 60% delle foreste alluvionali residue della Liguria con caratteristiche di buona naturalità ed estensione, considerate habitat di interesse comunitario prioritario".
Come viene ricordato nel sito web dell'Autorità di bacino distrettuale dell'Appennino settentrionale, il 17 febbraio 2017 è entrato in vigore il decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 2016 che, ai sensi dell'art. 63, comma 3, del d.lgs. 152/2006 (Codice dell'ambiente), ha dato effettivo avvio alla riforma distrettuale dei bacini idrografici, disciplinando le modalità e i criteri per il trasferimento del personale e delle risorse strumentali e finanziarie dalle vecchie Autorità di bacino previste dalla legge 183/1989, che risultano soppresse, alle nuove Autorità distrettuali previste dal Codice dell'ambiente.
Per espressa previsione dell'art. 64 del Codice, il territorio di riferimento del Distretto idrografico dell'Appennino settentrionale comprende i bacini liguri e toscani (già bacini regionali ai sensi della L. 183/1989), il bacino dell'Arno (già bacino nazionale ai sensi della L. 183/1989), il bacino del Serchio (già bacino pilota ai sensi della L. 183/1989) e il bacino del Magra (già bacino interregionale ai sensi della L. 183/1989).
In attuazione delle previsioni del Codice e del citato D.M. 25 ottobre 2016, con il D.P.C.M. 4 aprile 2018 si è provveduto all'individuazione e al trasferimento delle unità di personale, delle risorse strumentali e finanziarie delle Autorità di bacino, di cui alla legge n. 183/1989, all'Autorità di bacino distrettuale dell'Appennino Settentrionale e alla determinazione della dotazione organica di tale nuova Autorità distrettuale.
Contenuto
La proposta di legge in esame è composta da un unico articolo.
Il comma 1 dell'art. 1 prevede l' istituzione - mediante l'aggiunta della lettera f -quater ) all'art. 34, comma 1, della L. 394/91 (legge quadro sulle aree protette) - del Parco nazionale del fiume Magra.
Il comma 2 indica in via generale il territorio interessato dal Parco del fiume Magra (facendo riferimento all'omonimo bacino idrografico nei territori di significativo o rilevante interesse naturalistico e ambientale delle province della Spezia e di Massa-Carrara) e ne demanda la delimitazione provvisoria ad un apposito decreto del Ministro dell'ambiente da emanare entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Lo stesso comma dispone che il Ministero provvede inoltre, d'intesa con le regioni Liguria e Toscana , all' adozione delle misure di salvaguardia per garantire la conservazione dello stato dei luoghi.
Con la medesima procedura si provvede all' eventuale estensione del territorio del Parco nazionale e delle aree contermini.
Si fa notare che le disposizioni in esame sembrano ricalcare quelle recate dall'art. 34, comma 3, della legge quadro, secondo cui "il Ministro dell'ambiente provvede alla delimitazione provvisoria dei parchi nazionali" (istituiti dal medesimo articolo) e "sentiti le regioni e gli enti locali interessati, adotta le misure di salvaguardia, necessarie per garantire la conservazione dello stato dei luoghi".
Si ricorda altresì che l'art. 8, comma 1, della L. 394/1991, dispone che i parchi nazionali "sono istituiti e delimitati in via definitiva con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente, sentita la regione".
Il comma 3 , per l'istituzione e il funzionamento del Parco nazionale del fiume Magra, autorizza la spesa di 300.000 euro per l'anno 2020 e di 1,5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021. Il comma 4 disciplina la copertura degli oneri previsti dal comma 3, disponendo che vi si provvede a valere sull'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1, comma 43, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, mediante corrispondente riduzione delle somme già destinate al funzionamento degli Enti parco.
Tale autorizzazione di spesa prevede che la dotazione dei capitoli di cui al comma 40 è quantificata annualmente ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, come modificata dalla legge 23 agosto 1988, n. 362. Si tratta degli importi dei contributi dello Stato in favore di enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi, di cui alla tabella A allegata alla legge medesima, che sono iscritti in un unico capitolo nello stato di previsione di ciascun Ministero interessato. Il relativo riparto è annualmente effettuato da ciascun Ministro, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, alle quali vengono altresì inviati i rendiconti annuali dell'attività svolta dai suddetti enti.
Come evidenziato nella relazione illustrativa allo schema di decreto ministeriale concernente il riparto dello stanziamento iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'anno 2019, relativo a contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi ( A.G. 129), su cui l'VIII Commissione ha espresso il proprio parere nella seduta del 20 novembre 2019, "il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha assegnato i fondi stanziati per le spese di natura obbligatoria nella tabella ordinaria, sul capitolo 1551 (del bilancio del Ministero dell'ambiente, n.d.r. ) prevedendo due piani gestionali: piano gestionale 1 - spese di personale; piano gestionale 2 - spese di funzionamento; includendo, in quest'ultimo, le somme da erogare in favore di enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi da ripartire con decreto interministeriale (MATTM-MEF), previa acquisizione del parere favorevole da parte delle competenti Commissioni Parlamentari".
Nello relazione illustrativa allo schema di riparto relativo al 2020 ( A.G. 218) - sul quale l'VIII Commissione ha espresso parere favorevole nella seduta del 9 dicembre 2020 - si ricorda invece che "i fondi stanziati da dedicare al decreto di riparto per l'anno in corso sono di euro 4.102.413" a fronte di uno stanziamento complessivo, nel capitolo 1551, pari a 70,6 milioni per l'esercizio 2020.
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
La proposta di legge in esame reca una disciplina riconducibile alla materia " tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato dall'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. | 5,666 | 54 |
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CAMERA DEI DEPUTATI
N. 2005
PROPOSTA DI LEGGE
APPROVATA DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 18 luglio 2019 (v. stampato Senato n. 763)
d'iniziativa dei senatori
GRANATO, PATUANELLI, MONTEVECCHI, CORRADO, VANIN, ABATE, ANGRISANI, BOTTICI, CASTELLONE, DONNO, L'ABBATE, LANZI, LEONE, LUCIDI, PACIFICO, PIARULLI, ROMANO, TRENTACOSTE, VONO, FLORIDIA, AUDDINO, PUGLIA
Modifiche alla legge 13 luglio 2015, n. 107 , in materia di ambiti territoriali e chiamata diretta dei docenti
Trasmessa dal Presidente del Senato della Repubblica
il 18 luglio 2019
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. All' articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107 , sono apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 18, 80, 81 e 82 sono abrogati;
b) il comma 66 è sostituito dal seguente:
« 66 . A decorrere dall'anno scolastico 2019/2020 i ruoli del personale docente sono regionali, suddivisi in sezioni separate per gradi di istruzione, classi di concorso e tipologie di posto»;
c) al comma 68, il primo periodo è sostituito dal seguente: «A decorrere dall'anno scolastico 2019/2020, con decreto del dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale, l'organico dell'autonomia è ripartito tra le istituzioni scolastiche ed educative statali, ferma restando la possibile assegnazione alle attività di cui al secondo periodo, nel limite massimo di cui al terzo periodo»;
d) al comma 70:
1) al primo periodo, le parole: «del medesimo ambito territoriale» sono soppresse;
2) al secondo periodo, le parole: «di un medesimo ambito territoriale» sono soppresse;
e) al comma 73, l'ultimo periodo è soppresso;
f) dopo il comma 73 è inserito il seguente:
« 73-bis. Il personale docente titolare su ambito territoriale alla data del 1° settembre 2018 assume la titolarità presso l'istituzione scolastica che gli ha conferito l'incarico triennale»;
g) il comma 74 è sostituito dal seguente:
« 74. Le reti di scuole sono definite assicurando il rispetto dell'organico dell'autonomia e nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
h ) il comma 79 è sostituito dal seguente:
« 79. A decorrere dall'anno scolastico 2019/2020, per la copertura dei posti dell'istituzione scolastica, i docenti di ruolo sono assegnati prioritariamente sui posti comuni e di sostegno, vacanti e disponibili, al fine di garantire il regolare avvio delle lezioni. Il dirigente scolastico può utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati, purché posseggano titoli di studio validi per l'insegnamento della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire e purché non siano disponibili docenti abilitati in quelle classi di concorso»;
i) al comma 109, lettera a) , il terzo periodo è sostituito dal seguente: «I soggetti utilmente collocati nelle graduatorie di merito dei concorsi pubblici per titoli ed esami del personale docente sono assunti, nei limiti dei posti messi a concorso e ai sensi delle ordinarie facoltà assunzionali, nei ruoli di cui al comma 66 ed esprimono, secondo l'ordine di graduatoria, la preferenza per l'istituzione scolastica di assunzione, all'interno della regione per cui hanno concorso»;
l) al comma 109, lettera c) , le parole: «, sono destinatari della proposta di incarico di cui ai commi da 79 a 82» sono soppresse e le parole: «per l'ambito territoriale di assunzione, ricompreso fra quelli» sono sostituite dalle seguenti: «per l'istituzione scolastica ricompresa fra quelle». | Modifiche alla legge 13 luglio 2015, n. 107, in materia di ambiti territoriali e chiamata diretta dei docenti
Premessa
La proposta di legge, già approvata dal Senato (A.S. 763), elimina , anzitutto, dall'ordinamento la disciplina per l'affidamento degli incarichi di insegnamento da parte del dirigente scolastico ( c.d. chiamata diretta ), introdotta dalla L. 107/2015, ma di fatto già disapplicata in virtù di accordi sindacali.
Inoltre, elimina dall'ordinamento l'istituto degli ambiti territoriali , anch'esso introdotto dalla L. 107/2015 e al quale già, in base alla legge di bilancio 2019, non si fa più riferimento, per le procedure di reclutamento e di mobilità dei docenti, dall'a.s. 2019/2020.
La relazione illustrativa all'A.S. 763, evidenziando che si tratta di modifiche correlate tra loro, sottolineava, in particolare, che si intendono abrogare quelle parti della L. 107/2015 che hanno permesso un accentramento di potere eccessivo in favore dei dirigenti scolastici, nonché l'istituto della titolarità dei docenti su ambito territoriale, che ha costretto molti docenti a faticosi spostamenti sul territorio provinciale.
Il quadro normativo
La L. 107/2015 ha introdotto nell'ordinamento l' organico dell'autonomia , costituito, in base all' art. 1 , co. 63 , da posti comuni, posti per il sostegno e posti per il potenziamento dell'offerta formativa.
L' art. 1, co. 66 , della medesima legge ha disposto che, a decorrere dall'a.s. 2016/2017, i ruoli del personale docente sono regionali, articolati in ambiti territoriali , suddivisi in sezioni separate per gradi di istruzione, classi di concorso e tipologie di posto. Ha, altresì, previsto che, entro il 30 giugno 2016, gli Uffici scolastici regionali, su indicazione del MIUR, sentiti le regioni e gli enti locali, dovevano definire l'ampiezza degli ambiti territoriali, inferiore alla provincia o alla città metropolitana, considerando: la popolazione scolastica; la prossimità delle istituzioni scolastiche; le caratteristiche del territorio, tenendo anche conto della specificità delle aree interne, montane e delle piccole isole, della presenza di scuole nelle carceri, nonché di ulteriori situazioni o esperienze territoriali già in atto.
Il MIUR ha emanato le linee guida per la costituzione degli ambiti > territoriali con nota 726 del 26 gennaio > 2016.
Il co. 68 ha previsto che, dallo stesso a.s. 2016/2017, con decreto del dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale, l' organico dell'autonomia è ripartito tra gli ambiti territoriali.
Il co. 73 ha disposto, per quanto qui più interessa, che, dal medesimo a.s., la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra i medesimi ambiti territoriali.
In seguito, però, l' art. 1, co. 796 , della L. 145/2018 (L. di bilancio 2019) ha disposto che, a decorrere dall'anno scolastico 2019/2020 , le procedure di reclutamento del personale docente e quelle di mobilità territoriale e professionale del medesimo personale non possono comportare che ai docenti sia attribuita la titolarità su ambito territoriale.
In base ai co. 79 - 82 della L. 107/2015 – ai quali fa rinvio il co. 18 della medesima legge, introducendo la nuova disciplina relativa all'affidamento degli incarichi di insegnamento (c.d. chiamata diretta ) – a decorrere dall'a.s. 2016/2017, l'attribuzione dell'incarico di docente era stata rimessa al dirigente scolastico. In particolare, era stato previsto che il dirigente scolastico proponeva il conferimento di incarichi triennali ai docenti assegnati all'ambito territoriale di riferimento, anche tenendo conto delle candidature presentate dagli stessi e valorizzando il curriculum, le esperienze e le competenze professionali. Potevano essere svolti colloqui. La proposta si perfezionava con l'accettazione del docente che, nel caso di ricevimento di più proposte di incarico, doveva optare tra quelle ricevute. I criteri adottati per il conferimento degli incarichi, gli incarichi conferiti e il curriculum dei docenti dovevano essere pubblicati sul sito internet delle scuole. In ogni caso, nel conferire gli incarichi, il dirigente scolastico doveva dichiarare l'assenza di rapporti di parentela o affinità, entro il secondo grado, con i docenti stessi. Gli incarichi riguardavano prioritariamente posti comuni e posti di sostegno vacanti e disponibili e dovevano essere rinnovati , purché in coerenza con il piano triennale dell'offerta formativa.
Per i docenti che non avevano ricevuto o accettato proposte, o in caso di inerzia del dirigente scolastico, doveva provvedere l'ufficio scolastico regionale.
Con nota 2609 del 22 luglio > 2016 il MIUR > aveva fornito prime indicazioni operative per il conferimento degli > incarichi.
Successivamente, peraltro, erano intervenute variazioni a seguito della sigla, l'11 aprile 2017, del contratto collettivo nazionale integrativo sul passaggio da ambito territoriale a scuola per l'a.s. 2017/2018. In particolare, il CCNI aveva introdotto la necessità di una deliberazione del Collegio dei docenti , su proposta del dirigente scolastico, sul numero e la specifica dei requisiti da considerare utili ai fini dell'esame comparativo delle candidature dei docenti titolari su ambito territoriale, disponendo anche che i requisiti erano individuati da ciascun dirigente scolastico in numero non superiore a sei tra quelli indicati nell'allegato A.
Da ultimo, il 26 giugno 2018 è stata siglata un' ipotesi di contratto collettivo nazionale integrativo sul passaggio da ambito territoriale a scuola per l'a.s. 2018/2019, in base alla quale la competenza ad assegnare alle scuole i docenti è stata attribuita nuovamente all' Ufficio scolastico competente per territorio.
Con comunicato stampa emanato in pari data, il MIUR ha riportato quanto fatto presente dall'allora Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Marco Bussetti, in quell'occasione: "Con l'accordo sindacale, siglato oggi presso gli Uffici del MIUR, già dal prossimo anno scolastico si elimina, così come preannunciato in questi giorni, l'istituto della cosiddetta chiamata diretta dei docenti. In attesa dell'intervento legislativo di definitiva abrogazione, che è mia intenzione proporre nel primo provvedimento utile, con l'accordo sindacale di oggi si dà attuazione a una precisa previsione del contratto del governo del cambiamento, sostituendo la chiamata diretta, connotata da eccessiva discrezionalità e da profili di inefficienza, con criteri trasparenti e obiettivi di mobilità ed assegnazione dei docenti dagli uffici territoriali agli istituti scolastici".
Con nota n. 29748 del 27 giugno 2018, il MIUR ha poi fornito istruzioni per il passaggio da ambito a scuola.
Contenuto
La proposta di legge modifica in più punti l'art. 1 della L. 107/2015.
Anzitutto, abroga i co. 18, 80, 81 e 82 e modifica il co. 79 dell'art. 1, che disciplinano la procedura di affidamento degli incarichi di insegnamento ai docenti da parte del dirigente scolastico.
Inoltre, sopprime – con effetto dall'a.s. 2019/2020 – la previsione relativa all' articolazione dei ruoli regionali del personale docente in ambiti territoriali. A tal fine, novella l'art. 1, co. 66.
Prevede, poi, che, a decorrere dal medesimo a.s. 2019-2020 , l' organico dell'autonomia è ripartito , sempre con decreto del dirigente preposto all'Ufficio scolastico regionale, fra le istituzioni scolastiche ed educative statali (e non più fra gli ambiti territoriali). A tal fine, novella l'art. 1, co. 68, primo periodo.
Al contempo, dispone che il personale docente titolare su ambito territoriale alla data del 1° settembre 2018 assume la titolarità presso l'istituzione scolastica che gli ha conferito l'incarico triennale. A tal fine, inserisce nell'art. 1 il co. 73- bis.
Si valuti innanzitutto l'opportunità di aggiornare i riferimenti temporali.
Inoltre, si valuti l'opportunità di mantenere nei co. 66 e 68, primo periodo, il riferimento all'articolazione dei ruoli regionali del personale docente in ambiti territoriali operante nel periodo tra l'a.s. 2016-2017 e l'entrata in vigore della nuova disciplina.
Conseguentemente, sopprime la previsione che la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra gli ambiti territoriali. A tal fine, sopprime l'art. 1, co. 73, ultimo periodo.
Ulteriori, conseguenziali, modifiche riguardano le reti fra istituzioni scolastiche , per le quali, in particolare, il testo sopprime la previsione che debbano essere costituite fra istituzioni scolastiche del medesimo ambito territoriale. A tal fine, novella l'art. 1, co. 70.
Si stabilisce, inoltre, che le reti (e non più anche gli ambiti territoriali) sono definite assicurando il rispetto dell'organico dell'autonomia e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tal fine, il testo novella il co. 74.
Si ricorda che il co. 70 ha finalizzato la costituzione delle reti alla valorizzazione delle risorse professionali, alla gestione comune di funzioni e di attività amministrative, alla realizzazione di progetti o iniziative didattiche, educative, sportive o culturali di interesse territoriale, da definire sulla base di accordi di rete , raggiunti fra le istituzioni scolastiche autonome.
In base al co. 71, gli accordi di rete individuano:
a) i criteri e le modalità per l'utilizzo dei docenti nella rete, anche per insegnamenti opzionali, specialistici, di coordinamento e di progettazione funzionali ai piani triennali dell'offerta formativa di più istituzioni scolastiche inserite nella rete;
b) i piani di formazione del personale scolastico;
c) le risorse da destinare alla rete per il perseguimento delle proprie finalità;
d) le forme e le modalità per la trasparenza e la pubblicità delle decisioni e dei rendiconti delle attività svolte.
Il MIUR ha emanato le linee guida per la costituzione delle reti di scuole con nota 2151 del 7 giugno 2016.
Da ultimo, sempre conseguentemente, si modifica la disciplina relativa all' accesso ai ruoli a tempo indeterminato del personale docente ed educativo.
A tal fine, il testo novella l'art. 1, co. 109 che, a seguito di quanto disposto dall'art. 21, co. 1, lett. a) , del d.lgs. 59/2017, si applica solo ai concorsi per il reclutamento del personale docente della scuola dell'infanzia e primaria.
In particolare, con riguardo alla procedura di assunzione dei soggetti utilmente collocati nelle graduatorie dei concorsi pubblici e di quelli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento (GAE), si sopprime innanzitutto il riferimento alla proposta di incarico da parte del dirigente scolastico. Inoltre, si stabilisce che gli stessi esprimono, secondo l'ordine di graduatoria, la preferenza per l'istituzione scolastica della regione in cui i medesimi hanno concorso o della provincia nelle cui GAE sono iscritti, eliminando, dunque, il riferimento all'ambito territoriale.
Relazioni allegate
L'A.S. 763 era corredato di relazione illustrativa.
Necessità dell'intervento con legge
La proposta di legge modifica disposizioni normative primarie.
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
La proposta di legge riguarda la disciplina del personale scolastico.
Al riguardo, si ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza n. 76/2013 - nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 8 della L. 7/2012 della regione Lombardia, che disponeva in merito all'assunzione, seppure a tempo determinato, di personale docente alle dipendenze dello Stato - ha evidenziato che "ogni intervento normativo finalizzato a dettare regole per il reclutamento dei docenti non può che provenire dallo Stato, nel rispetto della competenza legislativa esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera g) , Cost., trattandosi di norme che attengono alla materia dell' ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato ".
Incidenza sull'ordinamento giuridico
Collegamento con lavori legislativi in corso
Non risultano lavori legislativi in corso sulla materia. | 5,167 | 165 |
./data/hdd_data/secondData/20231018/LEG18/AC-3144 | true | XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 3144
PROPOSTA DI LEGGE
APPROVATA DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 26 maggio 2021 (v. stampato Senato n. 1196)
d'iniziativa del senatore AUGUSSORI
Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 , al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 , e alla legge 25 marzo 1993, n. 81 , concernenti il computo dei votanti per la validità delle elezioni comunali e il numero delle sottoscrizioni per la presentazione dei candidati alle medesime elezioni
Trasmessa dal Presidente del Senato della Repubblica
il 27 maggio 2021
PROPOSTA DI LEGGE
Art . 1.
(Modifica all'articolo 71 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 )
1. All'articolo 71 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 , il comma 10 è sostituito dal seguente:
« 10 . Ove sia stata ammessa e votata una sola lista, sono eletti tutti i candidati compresi nella lista ed il candidato a sindaco collegato, purché essa abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti ed il numero dei votanti non sia stato inferiore al 40 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. Qualora non si siano raggiunte tali percentuali, l'elezione è nulla. Ai fini del presente comma non si tiene conto degli elettori iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero che non hanno votato».
2. L'articolo 60 del testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 , è abrogato.
Art . 2.
( Modifiche all'articolo 3 della legge
25 marzo 1993, n. 81)
1. All' articolo 3 della legge 25 marzo 1993, n. 81 , sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
« 1. La dichiarazione di presentazione delle liste di candidati al consiglio comunale e delle collegate candidature alla carica di sindaco per ogni comune deve essere sottoscritta:
a) da non meno di 1.000 e da non più di 1.500 elettori nei comuni con popolazione superiore ad un milione di abitanti;
b) da non meno di 500 e da non più di 1.000 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 500.001 e un milione di abitanti;
c) da non meno di 350 e da non più di 700 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 100.001 e 500.000 abitanti;
d) da non meno di 200 e da non più di 400 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 40.001 e 100.000 abitanti;
e) da non meno di 175 e da non più di 350 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 20.001 e 40.000 abitanti;
f) da non meno di 100 e da non più di 200 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 10.001 e 20.000 abitanti;
g) da non meno di 60 e da non più di 120 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 5.001 e 10.000 abitanti;
h) da non meno di 30 e da non più di 60 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 2.001 e 5.000 abitanti;
i) da non meno di 25 e da non più di 50 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 2.000 abitanti;
l) da non meno di 15 e da non più di 30 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 751 e 1.000 abitanti;
m) da non meno di 10 e da non più di 20 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 501 e 750 abitanti;
n) da non meno di 5 e da non più di 10 elettori nei comuni con popolazione fino a 500 abitanti»;
b) il comma 2 è abrogato. | Computo dei votanti per la validità delle elezioni comunali e numero delle sottoscrizioni per la presentazione dei candidati
Contenuto
La proposta di legge A.C. 3144, approvata dal Senato il 26 maggio 2021 ed ora all'esame della Camera, riduce dal 50% al 40% il numero dei votanti ( quorum strutturale) richiesto per la validità delle elezioni amministrative nei comuni con meno di 15.000 abitanti nei casi in cui sia stata ammessa e votata una sola lista (articolo 1) e introduce l'obbligo di sottoscrizione delle liste per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale anche nei comuni con meno di 1.000 abitanti (articolo 2).
Quorum di validità delle elezioni nei comuni fino a 15.000 abitanti (articolo 1)
L' articolo 1, comma 1, novella l'articolo 71, comma 10, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al decreto legislativo n.267/2000, riducendo il quorum strutturale necessario per la validità dell'elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni sino a 15.000 abitanti nel caso in cui sia stata ammessa e votata una sola lista.
Il comma 2 sopprime l'art. 60 del Testo unico delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, di cui al D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, al fine di abrogare una disciplina che presenta elementi di sovrapposizione con il citato art.71 del TUEL.
In particolare, il comma 1 interviene sul richiamato comma 10 dell'art. 71 del TUEL che, nel testo vigente, stabilisce che nei comuni con meno di 15.000 abitanti, qualora sia stata ammessa e votata una sola lista, risultino eletti "tutti i candidati compresi nella lista, e il candidato a sindaco collegato" nel caso in cui siano rispettate le seguenti condizioni:
i) che abbia partecipato alla votazione almeno il 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del Comune ( quorum strutturale);
ii) che l'unica lista presentata o ammessa abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento del numero dei votanti ( quorum funzionale). Nel caso in cui tali condizioni non si verifichino, l'elezione è nulla.
Il riferimento alla circostanza che "tutti i candidati compresi nella lista" risultano eletti va inteso nel senso che all'unica lista presentata o ammessa vengono attribuiti tanti seggi quanti sono i suoi candidati fino al massimo del numero dei seggi previsti per il consiglio comunale (Cfr. Consiglio di Stato, Sezione quinta, decisione 20 maggio 1994, n.1118).
L'articolo 1 della proposta di legge incide sulla disciplina vigente confermandone l'impianto ma modificando una delle richiamate condizioni al ricorrere delle quali, come detto, l'elezione nei comuni con meno di 15.000 abitanti, in cui sia stata ammessa e votata una sola lista, è considerata valida.
Nello specifico, per un verso, viene confermato il quorum funzionale, ribadendo la condizione secondo cui l'unica lista eletta deve aver riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti; per l'altro, viene diminuito il quorum strutturale, stabilendo:
che il numero dei votanti debba essere almeno pari al 40 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune ;
che "ai fini del presente comma", cioè ai fini della determinazione del numero degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune, non si tiene conto degli elettori iscritti all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (A.I.R.E.) "che non hanno votato". Al riguardo, il riferimento agli elettori iscritti all'A.I.R.E. "che non hanno votato" appare riferita agli elettori che non hanno preso parte alla medesima procedura elettorale di cui occorre verificare il quorum strutturale. La disposizione mira dunque a scomputare gli elettori iscritti all'A.I.R.E. ai fini della determinazione del quorum strutturale cui è subordinata la validità delle elezioni nei comuni con meno di 15.000 elettori in cui sia stata ammessa e votata una sola lista.
L'A.I.R.E. è stata istituita con legge 27 ottobre 1988, n. 470 (recante "Anagrafe e censimento degli italiani all'estero") e contiene i dati dei cittadini italiani che risiedono all'estero per un periodo superiore ai dodici mesi o quelli che già vi risiedano, sia perché nati all'estero che per successivo acquisto della cittadinanza italiana a qualsiasi titolo. Essa è gestita dai comuni, che ne curano l'aggiornamento, sulla base delle comunicazioni (iscrizione, variazione e cancellazione) da parte delle Rappresentanze consolari all'estero. L'iscrizione (così come l'aggiornamento della posizione) è rimessa all'interessato con dichiarazione all'Ufficio consolare competente per territorio.
Per completezza di informazione, si segnala che sebbene il testo vigente dell'articolo 71, comma 10 (v. supra), del TUEL non imponga esplicitamene di tener conto degli elettori iscritti all'Aire ai fini della determinazione del numero degli elettori iscritti nelle liste elettorali del Comune, limitandosi a richiedere che il numero dei votanti debba essere almeno pari al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune, tale effetto inclusivo deriva da altre fonti giuridiche. In proposito, viene in rilievo in particolare il combinato disposto fra l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960 n. 570, ai sensi del quale "[s]ono elettori i cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali compilate a termini della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, e successive modificazioni" e l'art.11, secondo comma, della legge 7 ottobre 1947, ai sensi del quale "[i] cittadini italiani residenti all'estero, purché in possesso dei requisiti [..], possono chiedere di essere iscritti nelle liste elettorali o di esservi reiscritti se già cancellati o di conservare la iscrizione nelle liste, anche quando non risultino compresi nel registro della popolazione stabile del Comune".
In relazione alla disposizione in titolo, nel corso delle audizioni svolte sul provvedimento in esame durante l 'iter al Senato sono state in particolare ricordate le difficoltà in molti Comuni "per le note problematiche legate allo spopolamento ed al voto degli elettori aventi diritto, sia dei residenti ma anche di quelli iscritti all'AIRE", ricordando che i residenti all'estero "generalmente non esercitano più questo diritto da tempo e contribuiscono al mancato raggiungimento del quorum previsto per la validità delle elezioni". Nello specifico, è stata evidenziata la necessità di procedere ad una revisione della normativa, perché altrimenti "[s]i rischia la nullità delle elezioni con il commissariamento dell'Ente fino alle elezioni successive con tutto ciò che ne consegue", nonostante il frequentemente ricorso, per evitare tale situazione, alle cosiddette liste satellite (memoria depositata dai rappresentanti dell'ANCI in occasione della audizione del 18 marzo 2021).
Sull'art. 71, comma 10, del TUEL si era espressa anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 242 del 2012 , che era stata adita dal Consiglio di Stato. Il Giudice rimettente, in sintesi, partendo dalla considerazione che i residenti all'estero non partecipano alla vita locale e non subiscono direttamente gli effetti delle scelte amministrative e normative compiute dagli organi elettivi, dubitava della legittimità costituzionale dell'art.71, comma 10, del TUEL che condiziona invece la validità delle elezioni al raggiungimento di un quorum dei votanti rapportato anche ai residenti all'estero iscritti nelle liste elettorali, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno esercitato il diritto di voto. Nelle parole del Consiglio di Stato, la norma avrebbe finito col determinare un'eccessiva compromissione del voto degli abitanti, in quanto condizionato da quello dei residenti all'estero avulso dalla partecipazione responsabile alla vita democratica. L'estromissione dal quorum degli iscritti all'AIRE avrebbe di contro assicurato il giusto equilibrio tra le due categorie di elettori, senza peraltro incidere sulla capacità elettorale dei residenti all'estero e sul loro diritto elettorale.
Pur rigettando la questione di legittimità prospettata dal giudice remittente, in quanto la disposizione è giudicata frutto del legittimo (in quanto non manifestamente irragionevole) esercizio del potere spettante al Parlamento, la Corte non manca di "ritenere opportuna, da parte del legislatore, una rimeditazione del bilanciamento di interessi attuato in detta norma". La Corte ha evidenziato che: "[l]e considerazioni del rimettente sugli inconvenienti derivanti dalla assenza (cui è auspicabile che il legislatore ponga rimedio) di una normativa agevolativa del voto dei residenti all'estero con riguardo alle elezioni amministrative, e i rilievi dello stesso giudice diretti ad una «diversa formulazione» della norma in esame, anche in ragione dei segnalati suoi profili di non piena coerenza, nel testo attuale, con la disciplina di settore, [..] inducono a ritenere opportuna, da parte del legislatore, una rimeditazione del bilanciamento di interessi attuato in detta norma" sebbene "non ne evidenziano un tasso di irragionevolezza manifesta, tale da comportarne la caducazione da parte di questa Corte". (Considerato in diritto n.5, secondo capoverso).
Si ricorda inoltre che una disposizione simile a quella in esame è prevista dalla legge elettorale comunale della regione a statuto speciale Friuli Venezia Giulia che ha competenza esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali. L'art. 71 della Legge regionale 5 dicembre 2013, n. 19 prevede infatti che nel caso in cui sia stato ammesso un unico candidato alla carica di sindaco, l'elezione è valida se il candidato ha riportato un numero di voti validi non inferiore al cinquanta per cento dei votanti e il numero dei votanti non è stato inferiore al cinquanta per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. Per determinare il quorum dei votanti non sono computati tra gli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune quelli iscritti nell'anagrafe degli elettori residenti all'estero.
Il Governo aveva impugnato la disposizione (che era contenuta in precedenza nella L.R. 21/2003) innanzi alla Corte costituzionale. La Corte costituzionale ha rigettato il ricorso in quanto "la determinazione del quorum partecipativo previsto dalla norma censurata non incide, concernendo una condizione di validità del voto, sull'espressione dello stesso, ma attiene a un momento precedente e non rientra quindi nella previsione dell'art. 48 secondo comma" della costituzione che reca tra l'altro il principio dell'uguaglianza del voto. Inoltre, la Corte ha affermato che "l'introduzione di un regime speciale per gli elettori residenti all'estero, ai fini del calcolo del quorum di partecipazione alle elezioni in oggetto, lungi dal costituire una lesione del principio di eguaglianza del voto, persegue una logica di favore verso il puntuale rinnovo elettorale degli organi degli enti locale. Ed infatti questo regime trova la sua giustificazione nell'alto tasso di emigrazione che caratterizza alcune aree della Regione Friuli-Venezia Giulia, il quale potrebbe determinare il mancato raggiungimento del quorum richiesto, con conseguente annullamento delle elezioni e successivo commissariamento del Comune in attesa dell'indizione di nuove elezioni" ( sent. 73/2005).
Gli effetti della norma in esame sono peraltro già stati anticipati, limitatamente all'anno 2021, dall'articolo 2, commi 1-bis e 1-ter del decreto-legge 5 marzo 2021, n. 25, in materia di disposizioni urgenti per il differimento di consultazioni elettorali.
Tali disposizioni, che recano deroghe puntuali all'art.71, comma 10, del TUEL, sono state introdotte in considerazione del permanere del quadro epidemiologico da Covid-19 complessivamente e diffusa-mente grave su tutto il territorio nazionale e a causa delle oggettive "difficoltà di movimento all'interno dei singoli Stati e fra diversi Stati".
Nello specifico, il comma 1- bis dell'art. 2 del citato decreto-legge 25/2021 dispone che per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni sino a 15.000 abitanti, ove sia stata ammessa e votata una sola lista, sono eletti tutti i candidati compresi nella lista ed il candidato a sindaco collegato, a due condizioni: 1) che la stessa lista abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti (come già prevede l'art.71, comma 10, del TUEL in via ordinaria); 2) che il numero dei votanti non sia stato inferiore al 40 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune (la citata disposizione del TUEL, oggetto dunque di deroga puntuale per l'anno 2021, prescrive invece che il numero di votanti non debba essere inferiore al 50 per cento degli elettori). Il comma 1-ter prevede che per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni sino a 15.000 abitanti, "in deroga a quanto previsto dall'articolo 71, comma 10 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267", per la determinazione del numero degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune non si tiene conto degli elettori iscritti all'A.I.R.E. che non esercitano il diritto di voto. Qualora non siano rispettate tali percentuali l'elezione è nulla.
La proposta di legge (art. 1, comma 2 ) sopprime inoltre l'articolo 60 del Testo unico delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali, di cui al DPR n. 570 del 1960. L'intervento è volto in particolare a ragioni di coordinamento normativo , tenuto conto che l'art. 60, in ogni caso antecedente temporalmente al TUEL, reca una disciplina in parte sovrapponibile a quella dell'art .71 del TUEL, su cui interviene il comma 1 della proposta di legge in titolo. Nello specifico, ai sensi del primo periodo del comma primo dell'art. 60, qualora nei Comuni con popolazione sino a 10.000 abitanti (l'art. 71 del TUEL riguarda i comuni con più di 15.000 abitanti), sia stata ammessa e votata una sola lista, si intendono eletti i candidati al verificarsi delle seguenti condizioni: i) che gli stessi abbiano riportato un numero di voti validi non inferiore al 20 per cento dei votanti: ii) che il numero dei votanti non sia stato inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del Comune. La disposizione, al secondo periodo, anch'esso oggetto di abrogazione, reca anche la fattispecie dell'unica lista ammessa e votata nei Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti. In tal caso le condizioni previste per la validità delle elezioni sono le seguenti: i) i candidati compresi nella lista devono aver riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti; ii) il numero dei votanti non deve essere stato inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del Comune. Qualora il numero dei votanti non abbia raggiunto la percentuale richiesta - ai sensi del secondo comma - la elezione è nulla. Inoltre si stabilisce che sia parimenti nulla la elezione nei Comuni con popolazione sino a 10.000 abitanti, qualora non sia risultata eletta più della metà dei consiglieri assegnati.
Obbligo di sottoscrizione delle liste per le elezioni nei comuni con meno di 1.000 abitanti (articolo 2).
L' articolo 2 modifica la legge n. 81 del 1993 che disciplina, in particolare, l'elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale.
L'unico comma di cui si compone l'articolo 2 novella in particolare l'art. 3 della legge 25 marzo 1993, n. 81, riguardante il numero di sottoscrizioni per la presentazione delle liste per l'elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale. La disposizione in esame introduce l'obbligo di sottoscrizione delle liste anche per i comuni con meno di 1.000 abitanti. In dettaglio, il comma 2, novella interamente il comma 1 dell'art. 3 della legge 25 marzo 1993, n. 81 confermandone l'impianto di fondo - che prevede che la dichiarazione di presentazione delle liste sia sottoscritta da un numero di firme che si riduce al ridursi della dimensione del comune interessato - salvo modificare la formulazione vigente del comma 1, lettera i), e introdurre , a seguire, le lettere l), m) e n) , con conseguente soppressione del comma 2 della legge n. 81 del 1983.
La lettera i) del comma 1 e il comma 2 della legge 25 marzo 1993, n. 81, nel testo vigente , prevedono, rispettivamente, che la dichiarazione di presentazione delle liste di candidati al consiglio comunale e delle collegate candidature alla carica di sindaco per ogni comune debba essere sottoscritta da non meno di 25 e da non più di 50 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 1.000 e 2.000 abitanti e che non sia necessaria alcuna sottoscrizione per le liste nei comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti.
A seguito delle modifiche apportate dalla proposta di legge in esame, le lettere dalla i) alla n) del comma 1 dell'art. 3 della legge n. 81 del 1983, come modificate e integrate, richiedono che la richiamata dichiarazione di presentazione delle liste e delle collegate candidature sia sottoscritta : i) da non meno di 25 e da non più di 50 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 1001 e 2000 abitanti; l) da non meno di 15 e da non più di 30 elettori nei comuni con popolazione tra 751 e 1000 abitanti; m) da non meno di 10 e da non più di 20 elettori nei comuni con popolazione tra 501 e 750 abitanti; n) da non meno di 5 e da non più di 10 elettori nei comuni con popolazione sino a 500 abitanti.
Le modifiche previste sono dunque volte, come detto, a rendere obbligatoria la sottoscrizione delle candidature e delle liste anche in comuni con meno di 1000 abitanti , a differenza di quanto è previsto dalla legislazione vigente. Conseguentemente l'articolo in esame sopprime il comma 2 del citato articolo 3 della legge n. 81 del 1983 , ai sensi del quale nessuna sottoscrizione è richiesta per la dichiarazione di presentazione delle liste nei comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti.
Resta ferma la restante parte dell'art. 3, comma 1, che richiede che siano sottoscritte:
a ) da non meno di 1.000 e da non più di 1.500 elettori nei comuni con popolazione superiore ad un milione di abitanti;
b ) da non meno di 500 e da non più di 1.000 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 500.001 e un milione di abitanti;
c ) da non meno di 350 e da non più di 700 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 100.001 e 500.000 abitanti;
d ) da non meno di 200 e da non più di 400 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 40.001 e 100.000 abitanti;
e ) da non meno di 175 e da non più di 350 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 20.001 e 40.000 abitanti;
f ) da non meno di 100 e da non più di 200 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 10.001 e 20.000 abitanti;
g ) da non meno di 60 e da non più di 120 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 5.001 e 10.000 abitanti;
h ) da non meno di 30 e da non più di 60 elettori nei comuni con popolazione compresa tra 2.001 e 5.000 abitanti.
In base al comma 4 per la raccolta delle sottoscrizioni si applicano, in quanto compatibili, anche le disposizioni del testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati (approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 , articolo 20, quinto comm) e sono competenti ad eseguire le autenticazioni delle firme di sottoscrizione delle liste, oltre ai soggetti di cui all'articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53 , i giudici di pace e i segretari giudiziari.
Il richiamato articolo 14, come da ultimo modificato dal DL 76/2020, fa riferimento ai seguenti soggetti: i notai, i giudici di pace, i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle Corti di appello, dei tribunali e delle preture, i segretari delle procure della Repubblica, gli avvocati iscritti all'albo che abbiano comunicato la loro disponibilità all'ordine di appartenenza, i consiglieri regionali, i membri del Parlamento, i presidenti delle province, i sindaci metropolitani, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i componenti della conferenza metropolitana, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e i vice presidenti dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia. Sono altresì competenti ad eseguire le pedette autenticazioni i consiglieri provinciali, i consiglieri metropolitani e i consiglieri comunali che comunichino la propria disponibilità, rispettivamente, al presidente della provincia e al sindaco.
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
La proposta di legge interviene sulla materia " legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane" ricompresa nell'ambito della competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lettera p) della Costituzione. | 7,913 | 184 |
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CAMERA DEI DEPUTATI
N. 503
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa del deputato RIZZETTO
Abrogazione della legge 11 giugno 1974, n. 252 , recante regolarizzazione della posizione assicurativa dei dipendenti dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di tutela e rappresentanza della cooperazione
Presentata l'11 aprile 2018
Onorevoli Colleghi! – È fatto notorio che la legge 11 giugno 1974, n. 252 – cosiddetta legge Mosca – ha concesso il riconoscimento di un regime contributivo agevolato a persone che hanno prestato attività lavorativa alle dipendenze di partiti politici, sindacati, istituti di patronato e associazioni del movimento cooperativo e ha rappresentato un palese caso di conflitto di interessi poiché è stata proposta dall'onorevole Giovanni Mosca, sindacalista della CGIL, per favorire partiti e sindacati. E invero, la legge Mosca, a causa degli inadeguati criteri ivi previsti per l'attribuzione del contributo previdenziale, ha determinato una moltitudine di procedimenti giudiziari poiché ha permesso il riconoscimento di anni di «falsa» attività lavorativa a molti di coloro che ne hanno beneficiato. Tali contenziosi hanno coinvolto un centinaio di procure della Repubblica – tra le quali quella presso il tribunale di Grosseto interessata da un procedimento con novantasette indagati – e si sono conclusi con la condanna per truffa e falso ideologico di soggetti che hanno avuto accesso al trattamento pensionistico disposto dalla legge Mosca. Il caso più clamoroso è il processo istruito contro centoundici lavoratori fittizi di PCI, DC, CISL e Lega Coop, accusati di aver usufruito della pensione garantita dalla legge Mosca senza aver mai prestato attività lavorativa, rispettivamente, presso partiti, sindacati e cooperative. Nel tempo prorogata, fino al marzo del 1980, la legge ha consentito a 35.564 persone (dati dell'Istituto nazionale di statistica – INPS) di beneficiare di pensioni agevolate e di godere del riscatto a basso costo degli anni trascorsi nel partito politico o nel sindacato, prevedendo, irragionevolmente, quale requisito sufficiente per l'attribuzione dei contributi, la mera dichiarazione del rappresentante del partito o del sindacato per attestare l'avvenuta prestazione lavorativa. È stato stimato che il costo di questi benefìci previdenziali per l'erario dello Stato ha superato i 25.000 miliardi di lire, ossia 12,5 miliardi di euro, sottraendo dunque all'INPS i contributi versati ai fini pensionistici da coloro che realmente avevano prestato attività lavorativa. È ormai un fatto acquisito alle conoscenze della collettività, tale da apparire incontestabile, che pur essendo nota l'illegittimità di molti dei diritti previdenziali conseguiti attraverso la legge Mosca, nel tempo la classe politica si è resa, immotivatamente, passiva dinanzi ad ogni proposta volta a fare chiarezza sulla vicenda e a riparare i danni causati al patrimonio pubblico. Infatti, i vari Governi che si sono succeduti non hanno mai fornito il dovuto riscontro ai numerosi atti di sindacato ispettivo presentati sulla questione, né è stato dato seguito ai progetti di legge per istituire una Commissione parlamentare di inchiesta al fine di valutare l'effettiva esistenza dei requisiti di quanti sono riusciti, con irragionevole facilità, a ottenere importanti riconoscimenti previdenziali. Ad oggi, la legge Mosca non risulta abrogata e appare idonea a produrre tuttora effetti nei confronti dei lavoratori che abbiano fatto domanda di regolarizzazione entro il termine fissato da ultimo dalla legge n. 648 del 1979 e non abbiano ancora avuto accesso al pensionamento; è chiaro che si tratterebbe, verosimilmente, di una platea molto limitata, considerando che dall'entrata in vigore della legge sono trascorsi oltre quaranta anni e che i soggetti in attività all'epoca hanno potuto accedere al pensionamento con requisiti contributivi e anagrafici ben inferiori a quelli attualmente vigenti. Ebbene, la presente proposta di legge si prefigge l'obiettivo di ottenere la formale abrogazione della legge Mosca, al di là degli effetti che potrebbe continuare ad avere laddove vi fossero soggetti che non abbiano ancora avuto accesso al pensionamento ivi previsto. La legge Mosca, a causa dei criteri irragionevoli adottati per l'accesso ai benefìci previdenziali, si è rivelata uno strumento che ha privilegiato ingiustamente e in assenza di un fondamento costituzionale una determinata classe di persone. Pertanto, si ribadisce, a prescindere dalla cogenza o no della legge Mosca, ovvie ragioni di opportunità richiedono che si proceda alla sua abrogazione, poiché una legge che nel tempo si riveli illegittima non può e non deve restare vigente nel nostro ordinamento. Ciò anche considerando che il grave danno provocato all'erario dello Stato dalla moltitudine di illegittime pensioni ottenute in base alla stessa è un fatto acquisito e consolidato dall'opinione pubblica, tanto da rendere tristemente nota tale legge come «legge truffa». L'indubbia sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni che caratterizza i nostri tempi è anche conseguenza di vicende come quella determinata dalla legge Mosca, che hanno messo in rilievo come il potere legislativo, che dovrebbe garantire l'imparzialità delle leggi e della loro applicazione, possa emettere dei provvedimenti utilizzati per ottenere ingiusti privilegi che contribuiscono a determinare la disuguaglianza sociale in danno del bene comune. Va da sé che la formale abrogazione della legge rappresenterebbe un giusto e opportuno provvedimento che attribuirebbe agli occhi dei cittadini maggiore credibilità alla classe politica, che ha il dovere di prefiggersi quale unico obiettivo la cura del bene comune, anche in conformità all'articolo 54 della Carta costituzionale che sancisce al secondo comma che «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore (...)».
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. La legge 11 giugno 1974, n. 252 , in materia di regolarizzazione della posizione assicurativa dei dipendenti dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di tutela e rappresentanza della cooperazione, è abrogata. | Abrogazione della legge 11 giugno 1974, n. 252, in materia di posizione assicurativa dei dipendenti dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di tutela e rappresentanza della cooperazione
Contenuto
L'articolo unico della proposta di legge in esame abroga interamente lalegge 11 giugno 1974, n. 252, in materia di regolarizzazione della posizione assicurativa dei dipendenti dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di tutela e rappresentanza della cooperazione
La legge 252 del 1974 (cd legge Mosca, dal nome del suo proponente), ha previsto il riconoscimento di un regime contributivo agevolato a soggetti che hanno prestato attività lavorativa alle dipendenze di partiti politici, sindacati, istituti di patronato e associazioni del movimento cooperativo.
La relazione illustrativa nell'evidenziare l'ampio contenzioso generato dalla legge, rileva anche che essa "appare idonea a produrre tuttora effetti nei confronti dei lavoratori che abbiano fatto domanda di regolarizzazione entro il termine fissato da ultimo dalla legge 19 dicembre 1979, n. 648 (con scadenza nei 90 giorni successivi all'entrata in vigore della stessa) e non abbiano ancora avuto accesso al pensionamento; è chiaro che si tratterebbe, verosimilmente, di una platea molto limitata, considerando che dall'entrata in vigore della legge sono trascorsi oltre quaranta anni e che i soggetti in attività all'epoca hanno potuto accedere al pensionamento con requisiti contributivi e anagrafici ben inferiori a quelli attualmente vigenti".
In effetti, come mette in evidenza l'articolo 1, comma 3 della legge 252 del 1974, la regolarizzazione dei periodi di lavoro presi in considerazione decorre a partire dall'8 settembre 1943 e, in generale, dai periodi legati alla fase storica della liberazione (si veda, infra , la ricostruzione del contenuto della l. 252 del 1974).
Non risultano, peraltro, ulteriori normative volte a consentire regolarizzazioni di periodi lavorativi in favore dei dipendenti dei partiti politici o dei sindacati, cui si applicano le regole generali previste dall'ordinamento giuridico per l'accesso al pensionamento.
Lalegge 252 del 1974
L'articolo 1 , in particolare, dispone che "i periodi di lavoro o di attività politico-sindacale antecedenti alla data di entrata in vigore della presente legge, prestati alle dipendenze dei partiti politici rappresentati in Parlamento, delle organizzazioni sindacali, degli istituti di patronato e di assistenza sociale e delle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo riconosciute con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, possono essere regolarizzati nella assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e superstiti e nell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria e nell'assicurazione contro la tubercolosi, secondo le norme stabilite dalla presente legge. A detta regolarizzazione si procede, sempreché trattisi di attività lavorativa retribuita e prestata con carattere di continuità e prevalenza, e i periodi interessati non risultino già coperti da contribuzione obbligatoria, figurativa o volontaria nella medesima assicurazione generale ovvero in forme di previdenza sostitutive o che abbiano dato luogo ad esclusione od esonero dall'assicurazione medesima o in altro trattamento obbligatorio di previdenza in virtù della stessa o di altra contemporanea attività lavorativa".
Con riferimento ai periodi arretrati da regolarizzare, la disposizione ha modo di precisare che il versamento dei contributi "è possibile, a seconda dei casi, a partire dalla data dell'8 settembre 1943, o, se successiva, dalla data di liberazione delle singole province, o dalla data della ricostituzione nelle stesse dei partiti politici suddetti, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni nazionali in rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, o dalla data dei decreti ministeriali di riconoscimento giuridico degli istituti di patronato e di assistenza sociale, sino alla data di entrata in vigore della presente legge".
In ordine alla domanda di regolarizzazione, interviene l'articolo 2 , secondo cui essa "deve essere presentata dagli organi centrali di partiti, organizzazioni sindacali, patronati e associazioni del movimento cooperativo di cui al precedente articolo 1 alla direzione generale dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, entro il termine perentorio di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. La domanda deve essere corredata da una dichiarazione rilasciata dagli stessi organi sotto la loro responsabilità, attestante il periodo di servizio o di incarico di lavoro o di attività politico-sindacale cui la regolarizzazione si riferisce, nonché la qualifica lavorativa rivestita dall'interessato nel periodo stesso e la retribuzione percepita, indicando il contratto collettivo di lavoro cui si sia fatto riferimento o le tabelle retributive in vigore nei singoli periodi presso le rispettive organizzazioni".
La domanda può altresì essere presentata nel medesimo termine direttamente dall'interessato e deve essere corredata da idonea documentazione comprovante la esistenza e la durata del rapporto di lavoro nonché la qualifica e la misura della retribuzione percepita nei singoli periodi.
Spetta ad una commissione centrale istituita presso il Ministero del lavoro, presieduta dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale o da un suo rappresentante[1], il compito di esaminare le dichiarazioni di cui sopra e di esprimere parere vincolante all'Istituto nazionale della previdenza sociale sull'idoneità delle medesime ai fini della regolarizzazione assicurativa di cui alla presente legge ( articolo 3 ).
L'articolo 4 distingue: "la regolarizzazione assicurativa, per i periodi anteriori al 1° maggio 1964, è effettuata mediante il versamento all'INPS dei contributi base delle assicurazioni generali obbligatorie per l'invalidità, la vecchiaia e superstiti. Per i periodi successivi al 30 aprile 1964, ancorché prescritti, sono dovuti i contributi base e a percentuale per le assicurazioni generali obbligatorie per l'invalidità, vecchiaia e superstiti.... Per i periodi successivi al 1° maggio 1964, ove la retribuzione dichiarata ai sensi del precedente articolo 2 risulti comunque superiore ai livelli indicati dai contratti collettivi di riferimento o dalle tabelle retributive di cui allo stesso articolo 2, la regolarizzazione per la parte eccedente tali livelli retributivi è effettuata secondo le ordinarie norme di legge".
L'articolo 5 dispone che i contributi versati ai sensi della presente legge sono validi a tutti gli effetti e si considerano versati alla data della domanda di regolarizzazione, sempreché il relativo versamento intervenga entro il termine di novanta giorni dalla richiesta dell'Istituto nazionale della previdenza sociale.
[1] Della stessa commissione centrale fanno parte due rappresentanti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, uno del Ministero del tesoro ed uno dell'Istituto nazione della previdenza sociale ed un rappresentante per ogni confederazione sindacale a carattere nazionale dei lavoratori dipendenti, designato dalle organizzazioni sindacali rappresentate nel CNEL. I componenti della commissione sono nominati con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. | 3,971 | 70 |
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CAMERA DEI DEPUTATI
N. 3074
PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE
Norme contro la propaganda e la diffusione di messaggi inneggianti a fascismo e nazismo e la vendita e produzione di oggetti con simboli fascisti e nazisti
Presentata il 29 aprile 2021
Onorevoli Deputati! – Da anni assistiamo impassibili al proliferare dell'esposizione ovunque di simboli che si richiamano al fascismo e al nazismo, frutto di anni di sottovalutazione del fenomeno del ritorno di queste ideologie che mai come oggi sono pericolose. Il «Rapporto Italia 2020» dell'Eurispes ci dice che dal 2004 ad oggi è aumentato il numero di coloro che pensano che la Shoah non sia mai avvenuta: erano solo il 2,7 per cento, oggi sono il 15,6 per cento, mentre sono in aumento, sebbene in misura meno eclatante, anche coloro che ridimensionano la portata della Shoah , dall'1,1 per cento al 16,1 per cento. Inoltre, secondo l'indagine, riscuote nel campione un «discreto consenso» l'affermazione che sostiene che «Mussolini sia stato un grande leader che ha solo commesso qualche sbaglio» (19,8 per cento). Con percentuali di accordo vicine tra loro seguono: «gli italiani non sono fascisti ma amano le personalità forti» (14,3 per cento), «siamo un popolo prevalentemente di destra» (14,1 per cento), «molti italiani sono fascisti» (12,8 per cento) e, infine: «ordine e disciplina sono valori molto amati dagli italiani» (12,7 per cento). In compenso secondo la maggioranza degli italiani, recenti episodi di antisemitismo sono casi isolati, che non sono indice di un reale problema di antisemitismo nel nostro Paese (61,7 per cento).
Per meno della metà del campione (47,5 per cento) gli atti di antisemitismo avvenuti anche in Italia sono il segnale di una pericolosa recrudescenza del fenomeno. Per il 37,2 per cento, invece, sono bravate messe in atto per provocazione o per scherzo.
Nella scorsa legislatura solo un ramo del Parlamento aveva approvato una proposta di legge che sanzionava coloro che propagandavano le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco.
La presente proposta di legge riprende quelle finalità e aggiunge alcune ulteriori aggravanti per l'esposizione di simboli fascisti e nazisti nel corso di eventi pubblici.
Qualcosa sta accadendo: i media trasudano da anni di notizie che era giusto considerare allarmanti, vi era e persiste una crescente diffusione di razzismi e di appelli a trovare soluzioni autoritarie. Oggi riteniamo fondamentale che dal basso si riparta per riparlare dei valori della nostra Costituzione e attualizzarli: la Costituzione, con la sua XII disposizione transitoria, vieta la ricostituzione, sotto ogni forma, del disciolto partito fascista. È necessario, di fronte all'esposizione e alla vendita di oggetti o di simboli che si richiamano a quella ideologia, che la normativa non lasci spazi di tolleranza verso chi si cela dietro le libertà democratiche per diffondere, attraverso la propaganda, l'esposizione o la vendita di oggetti, di nuovo i simboli di quel passato tragico.
Ripartiamo da un'iniziativa popolare dal basso per difendere la nostra Costituzione e i suoi valori.
PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE
Art. 1.
1. Al capo II del titolo I del libro secondo del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente articolo:
«Art. 293- bis . — (Propaganda del regime fascista e nazifascista) — Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque propaganda i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero dei relativi metodi eversivi del sistema democratico, anche attraverso la produzione, la distribuzione, la diffusione o la vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne fa comunque propaganda richiamandone pubblicamente la simbologia o la gestualità, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici.
La pena di cui al primo comma è altresì aumentata di un terzo se il fatto è commesso con modalità e atti espressivi dell'odio etnico o razziale».
Art. 2.
1. All' articolo 5, primo comma, della legge 20 giugno 1952, n. 645 , le parole: «sino a» sono sostituite dalle seguenti: «da sei mesi a».
Art. 3.
1. Dopo il comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122 , convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 , è inserito il seguente:
« 1-bis . Qualora, nelle pubbliche riunioni di cui al comma 1, l'esposizione riguardi emblemi o simboli riconducibili al partito fascista o al partito nazionalsocialista tedesco, la pena di cui al medesimo comma 1 è aumentata del doppio». | Norme contro la propaganda e la diffusione di messaggi inneggianti a fascismo e nazismo e la vendita e produzione di oggetti con simboli fascisti e nazisti
Contenuto
La proposta di legge C. 3074 , di iniziativa popolare, si compone di 3 articoli ed è volta ad introdurre nel codice penale la nuova fattispecie delittuosa della propaganda del regime fascista e nazifascista. La proposta inoltre interviene sulla normativa vigente con riguardo al compimento, in pubbliche riunioni, di "manifestazioni esteriori" o ostentazione di simboli ed emblemi riconducibili ai contenuti e metodi dei partiti fascisti e nazifascisti.
Si segnala che la proposta in esame riproduce in parte il contenuto la proposta di legge AC 3433 (Fiano) presentata nella XVII legislatura, e approvata dall'Assemblea della Camera il 12 settembre 2017. L'iter della proposta di legge si è interrotto in Senato ( AS 2900).
In particolare, l'a rticolo 1, introduce nel codice penale il delitto di propaganda del regime fascista e nazifascista.
Il nuovo articolo 293- bis del codice penale, inserito dalla proposta di legge tra i delitti contro la personalità interna dello Stato (Libro II, Titolo I, Capo II), punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque:
propaganda i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero dei relativi metodi eversivi del sistema democratico, anche attraverso la produzione, la distribuzione, la diffusione o la vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli chiaramente riferiti a tali partiti;
fa comunque propaganda dei suddetti contenuti, richiamandone pubblicamente la simbologia o la gestualità.
Tali condotte sono punite ai sensi dell'articolo 293- bis , salvo che il fatto costituisca più grave reato.
Al riguardo, si ricorda che la legge 20 giugno 1952, n. 645, recante "norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale, comma primo, della Costituzione" ( c.d. legge Scelba ) ha vietato la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista e previsto i reati di apologia di fascismo, di istigazione e reiterazione delle pratiche tipiche e proprie del partito e del regime.
Costituisce in particolare apologia del fascismo (art. 4) la propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità proprie del partito fascista; la pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 2 anni e la multa da euro 206 a euro 516. La stessa pena è inflitta a chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Aggravanti sono previste: se il fatto riguarda idee o metodi razzisti (reclusione da 1 a 3 anni e multa da euro 516 a euro 1.032) o se alcuno dei fatti che costituiscono apologia sono commessi col mezzo della stampa (reclusione da 2 a 5 anni e multa da euro 516 a euro 2.065).
Analogamente, la legge n. 645 punisce le manifestazioni fasciste (art. 5) cioè il reato di chi, partecipando a pubbliche riunioni , compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste; la pena è quella della reclusione fino a tre anni e la multa da euro 206 a euro 516. Sia per l'apologia che per le manifestazioni fasciste è prevista, in sede di condanna, la pena accessoria dell'interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, dall'elettorato attivo e passivo e da ogni altro diritto politico; tuttavia, mentre per l'apologia l'interdizione è obbligatoria, per le manifestazioni fasciste è rimessa alla discrezionalità del giudice.
La c.d. legge Mancino ( decreto-legge n. 122 del 1993, convertito dalla legge n. 205 del 1993) ha introdotto inoltre specifiche ipotesi di delitto per la repressione delle condotte di propaganda delle idee fondate sulla superiorità della razza e di istigazione a commettere violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche se non legate alla dottrina fascista. In particolare, l'articolo 2, comma 1, della citata legge punisce con la r eclusione fino a 3 anni e con la multa da 103 a 258 euro chiunque, in p ubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (di cui all' art. 604-bis del codice penale). Il comma 2 vieta l'accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche alle persone che vi si recano con i predetti emblemi o simboli, specificando che il contravventore è punito con l'arresto da tre mesi ad un anno.
Si ricorda inoltre che l'art. 604-bis del codice penale (già art. 3 della legge 654/1975, di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966) punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato:
chiunque propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (primo comma, lett. a): reclusione fino ad un anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro);
chiunque, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (primo comma, lett. b): reclusione da 6 mesi a 4 anni);
chiunque partecipa o presta assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (secondo comma: reclusione da 6 mesi a 4 anni);
chiunque promuove o dirige organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (secondo comma: reclusione da 1 a 6 anni).
Il terzo comma dell'art. 604-bis, infine, prevede un'aggravante speciale (reclusione da 2 a 6 anni) quando la propaganda, l'istigazione e l'incitamento alla discriminazione o all'odio razziale, etnico o religioso siano commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione e si fondino "in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra" come definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale (art. 6, crimine di genocidio; art. 7, crimini contro l'umanità; art. 8, crimini di guerra), ratificato dall'Italia con la legge n. 232 del 1989.
La Corte costituzionale si è pronunciata in merito alla costituzionalità della legge 645/1952 (legge Scelba) con riguardo all'apologia del fascismo (art.4) e alle manifestazioni fasciste (art. 5). In particolare, la sanzionabilità dell'apologia del fascismo ha da tempo sollevato discussioni in relazione ai limiti posti alla libertà di manifestazione del pensiero tutelata dall'art. 21 della Costituzione. La Corte si è espressa sulla questione con la nota sentenza n. 1 del 1957, originata da più di un ricorso in cui si sollevava il dubbio di l egittimità costituzionale dell'apologia proprio con riferimento alla asserita violazione dell'art. 21 Cost. La sentenza – dichiarando la manifesta infondatezza e non ravvisando alcuna violazione delle disposizioni contenute nell'art. 21 della Costituzione - ha, tuttavia, precisato che l'apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una semplice difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista cioè in una «istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente». Dunque, soltanto il collegamento con il tentativo di riorganizzare l'abolito partito fascista può realizzare il reato di "apologia del fascismo". Secondo la Corte: "Ciò significa che (l'apologia, n.d.r.) deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione. Trattasi non di una istigazione diretta, perché questa è configurata nell'art. 2 della legge 1952, bensì di una istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente".
Successivamente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 74 del 1958, confermando la legittimità dell'art. 5 della legge Scelba che vieta le manifestazioni fasciste (nel caso specifico, si valutava la legittimità del saluto romano), ha chiarito i presupposti per la sanzionabilità dell'illecito, chiarendone il perimetro di applicazione. In particolare, ha affermato che "la denominazione di "manifestazioni fasciste" adottata dalla legge del 1952 e l'uso dell'avverbio "pubblicamente" fanno chiaramente intendere che, seppure il fatto può essere commesso da una sola persona, esso deve trovare nel momento e nell'ambiente in cui é compiuto circostanze tali, da renderlo idoneo a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste.
Anche la giurisprudenza di legittimità si è più volte pronunciata sulle leggi Scelba (L. 645/1952) e Mancino (L. 205/1993). In relazione al rapporto tra le disposizioni delle due leggi - che sanzionano fattispecie sostanzialmente sovrapponibili - la Cassazione (sentenza n. 1475 del 1999) ha affermato che la norma di cui all'art. 1 della legge Mancino ha carattere di sussidiarietà rispetto a quella dell'art. 1 della legge Scelba (che punisce la ricostituzione del partito fascista), per cui la prima trova applicazione solo ove la legge Scelba non sia applicabile per insussistenza nella fattispecie concreta di elementi specializzanti rispetto a quelli contemplati nella norma sussidiaria. Ne deriva - prosegue la Cassazione - che "se si ritiene di non poter riconoscere, attraverso la propaganda razzista, la ricostituzione del disciolto partito fascista, la propaganda può acquistare rilevanza, sul piano penale, solo come forma di incitamento punibile ai sensi della legge n. 205 del 1993" ( si veda anche infra ).
Il nuovo articolo 293- bis c.p. prevede inoltre due aggravanti specifiche che consistono.
nella commissione del fatto attraverso strumenti telematici o informatici;
nella commissione del fatto con modalità e atti espressivi dell' odio etnico o razziale.
In entrambi i casi la pena è aumentata di un terzo.
Gli articoli 2 e 3 della proposta intervengono sulla normativa vigente con riguardo al compimento, in pubbliche riunioni, di "manifestazioni esteriori" o ostentazione di simboli ed emblemi riconducibili ai contenuti e metodi dei partiti fascisti e nazifascisti.
Come sopra ricordato, nel quadro normativo vigente, tali condotte sono riconducibili:
all'articolo 5 della legge Scelba (legge 20 giugno 1952, n. 645) che punisce con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da 206 a 516 euro, chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compia manifestazioni usuali o esponga simboli riconducibili al disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste;
alla c.d. legge Mancino (decreto legge n. 122 del 1993 recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa) con riguardo alla fattispecie di cui all'articolo 2, comma 1, che punisce c on la reclusione fino a 3 anni e con la multa da euro 103 a euro 258 il compimento, in pubbliche riunioni, di "manifestazioni esteriori" tipiche di organizzazioni aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Per quanto le due fattispecie incriminatrici siano sostanzialmente equiparate sul piano del trattamento sanzionatorio, la giurisprudenza di legittimità ha interpretato le due fattispecie in maniera diversa in relazione al requisito del pericolo per il bene giuridico tutelato. In particolare la Corte di cassazione, seguendo le indicazioni della Corte Costituzionale ( vedi sopra), interpreta la fattispecie di cui all'art. 5 in termini di r eato di pericolo concreto , che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell'ideologia fascista in sé, in ragione delle libertà garantite dall'art. 21 Cost., ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, da verificarsi in concreto con riguardo al momento ed all'ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi (Cass., Sez. 1, 2 marzo 2016, n. 11038; Cass. pen. Sez. I, 14/12/2017, n. 8108; Cass. pen. Sez. V Sent., 18/04/2019, n. 36162). La stessa Corte ha invece interpretato la fattispecie di cui all'art. 2, comma 1 della c.d. legge Mancino, sottolineandone la funzione di tutela preventiva, che è quella propria dei reati di pericolo astratto. In particolare la Cassazione ha sottolineato come "la natura del reato inoltre, impone, per la sua configurazione, che sia accertata la idoneità della condotta a offendere il bene giuridico, contestualizzando il comportamento dell'agente attraverso un giudizio ex ante. Tale contestualizzazione presuppone un accertamento finalizzato a verificare se la condotta dell'imputato è astrattamente idonea a essere percepita come manifestazione esteriore o come ostentazione simbolica ed emblematica delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3 della legge n. 654 del 1975" (Cass.pen. Sez. I, sentenza n. 21409 del 2019).
Per ciò che rileva in relazione al provvedimento in esame, l e "manifestazioni esteriori" consistenti nel c.d. "saluto fascista" secondo un orientamento consolidato della Corte di cassazione integrano la fattispecie dell'art. 2 del decreto-legge n. 122 del 1993, , per la connotazione di pubblicità che qualifica tale espressione gestuale, evocativa del disciolto partito fascista, in quanto pregiudizievole dell'ordinamento democratico e dei valori che vi sono sottesi. Sul punto, la corte, con la citata sentenza n. 21409 del 2019, richiama il "principio di diritto", secondo cui: "Il cosiddetto "saluto romano" o "saluto fascista" è una manifestazione esteriore propria o usuale di organizzazioni o gruppi indicati nel D.L. 26 aprile 1993, n. 22, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205".
In particolare, l'articolo 2 modifica la c.d. legge Scelba (legge 20 giugno 1952, n. 645), con riguardo al delitto di manifestazioni fasciste in pubbliche riunioni (di cui all'articolo 5 della citata legge) che punisce attualmente con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da 206 a 516 euro, chiunque partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste. Con la novella si inasprisce la suddetta pena, individuandone il minimo in sei mesi di reclusione.
L'articolo 3 interviene sulla c.d. legge Mancino (decreto legge n. 122 del 1993), con riguardo alla fattispecie di cui all'articolo 2, comma 1, che punisce con la reclusione fino a 3 anni e con la multa da euro 103 a euro 258 il compimento, in pubbliche riunioni, di "manifestazioni esteriori" tipiche di organizzazioni aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La novella è volta a prevedere un'aggravante consistente nell'aumento del doppio della suddetta pena qualora tali manifestazioni riguardino emblemi o simboli riconducibili al partito fascista o al partito nazionalsocialista tedesco. Dalla formulazione letterale della disposizione sembra che con l'applicazione dell'aggravante la pena debba essere non raddoppiata ma "aumentata del doppio"; dunque, per le fattispecie incriminate, potrebbe essere comminata una pena fino a 9 anni di reclusione (3 anni più il doppio di 3). Si valuti l'opportunità di coordinare tale previsione con la disciplina sanzionatoria del compimento di manifestazioni esteriori di carattere fascista o nazista in pubbliche runioni di cui all'articolo 5 della legge n. 645 del 1952 che, per fattispecie sostanzialmente analoghe, prevede la pena della reclusione fino a 3 anni.
Relazioni allegate o richieste
La proposta di legge, di iniziativa popolare, è corredata della relazione illustrativa. | 6,800 | 71 |
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CAMERA DEI DEPUTATI
N. 104
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa della deputata BRAGA
Istituzione della Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili
Presentata il 23 marzo 2018
Onorevoli Colleghi ! — La presente proposta di legge è volta a istituire la Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili, da celebrare il 16 febbraio di ogni anno. La data ricorda l'entrata in vigore, nel 2005, del Protocollo di Kyoto, il trattato internazionale che pone al centro delle politiche ambientali la questione del cambiamento climatico.
Dalla stessa data Caterpillar , un programma di Radio2 della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, organizza la manifestazione «M'illumino di meno – Giornata del risparmio energetico», con l'invito a spegnere simbolicamente le luci non indispensabili per promuovere l'utilizzo più razionale dell'energia.
La manifestazione si è ripetuta ininterrottamente dal febbraio 2005 e intorno ad essa si è sviluppato un repertorio di buone pratiche ambientali e scientifiche, di divulgazione delle medesime, di iniziative pedagogiche e di efficiente amministrazione. Hanno da subito aderito fattivamente alla manifestazione molte istituzioni, la Camera dei deputati è tra queste, amministrazioni pubbliche, privati cittadini, scuole e università, aziende, musei, società sportive e associazioni del terzo settore. Nelle varie edizioni della manifestazione si sono spente simultaneamente le maggiori piazze d'Italia e d'Europa. Vi hanno partecipato negli anni, in diverse modalità, decine di migliaia di persone, con iniziative diffuse su tutto il territorio nazionale volte a divulgare l'utilizzo più razionale delle risorse energetiche, a promuovere modalità e approcci alle politiche di riduzione degli sprechi, nonché a condividere innovazioni e progetti messi in atto dai diversi aderenti. La manifestazione ha catalizzato la sensibilità ambientale presente nei cittadini e nelle diverse articolazioni della nostra società, fornendole un'occasione pubblica in cui rappresentarsi, contribuendo così negli anni a generare una consapevolezza diffusa sui temi del risparmio energetico, dell'uso sostenibile delle risorse e degli stili di vita sostenibili.
La presente proposta di legge si configura quindi come doveroso riconoscimento istituzionale a una Giornata di fatto già in atto, attivata da una radio del servizio pubblico e celebrata da istituzioni, comuni, aziende, associazioni e singoli cittadini.
L'Italia si è impegnata in sede di Unione europea con gli obiettivi al 2030 del pacchetto clima-energia a raggiungere l'obiettivo del 30 per cento di efficienza energetica, avendo già raggiunto gli obiettivi al 2020. A livello globale, l'Accordo dell'Organizzazione delle Nazioni Unite concluso alla 21° Conferenza sui cambiamenti climatici, tenutasi a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre 2015, ha segnato un risultato storico sul tema del contrasto ai cambiamenti climatici. L'Unione europea ha inoltre emanato un importante Piano d'azione per l'economia circolare, basato sull'uso efficiente delle risorse e sulla riduzione degli sprechi di materia ed energia.
L'Italia ha fatto negli anni dei grandi passi in avanti nel campo dell'efficienza energetica, sia nel settore dei consumi delle famiglie, con dispositivi di controllo e di riduzione dei consumi, sia nel settore delle costruzioni, grazie anche agli incentivi per la riqualificazione energetica degli edifici ( ecobonus ), a misure come il conto termico, recentemente semplificato e ampliato, nonché agli investimenti sull'efficienza energetica di edifici pubblici, in primis nelle scuole. Il sistema produttivo italiano è tra i più efficienti in campo ambientale, a partire dai consumi energetici e dalle emissioni inquinanti.
Tuttavia i margini di miglioramento sono ancora enormi, in tutti questi campi; un sistema più efficiente porta con sé benefìci ambientali ma anche economici e contribuisce a creare nuove opportunità di lavoro in settori innovativi e competitivi, come dimostrano i dati nazionali sulla green economy .
In Italia i consumi finali di energia si suddividono in quote quasi uguali fra il settore industriale (27,7 per cento), dei trasporti (31,4 per cento) e quello civile (30,3 per cento). Questo dimostra quanto le scelte di economia energetica non siano solamente responsabilità dei grandi gruppi industriali ma anche dei semplici cittadini, che attraverso una razionalizzazione dei consumi possono contribuire in maniera sostanziale alla diminuzione del fabbisogno energetico nazionale e di conseguenza alla riduzione dei gas serra.
È infatti l'insieme dei comportamenti dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni che può permetterci di ridurre sensibilmente sprechi di energia e di risorse necessarie allo svolgimento delle nostre attività. Questo obiettivo può essere ottenuto modificando anche le più semplici abitudini: mettere una coperta in più invece di alzare il termostato, usare il ventilatore anziché il condizionatore, preferire una doccia al bagno, spegnere le luci se non servono, andare a piedi tutte le volte che è possibile rinunciare all'automobile, condividere spazi, mezzi di trasporto, strumenti tecnologici per ridurre il consumo di risorse e per creare occasioni di socialità.
L'istituzione della Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili risponde all'obiettivo di dare riconoscimento e visibilità al valore di tanti semplici gesti individuali, promuovendo la conoscenza di buone pratiche, la diffusione di una cultura del risparmio energetico e della riduzione degli sprechi attraverso forme innovative di condivisione. La Giornata, inoltre, coinvolge direttamente le istituzioni pubbliche in azioni di risparmio energetico, a partire da quella più rappresentativa della citata «M'Illumino di meno – Giornata del risparmio energetico» che prevede lo «spegnimento» per un arco temporale simbolico di edifici, monumenti e piazze alimentati da illuminazione pubblica; più in generale la Giornata intende richiamare le istituzioni pubbliche all'importanza di compiere scelte orientate al risparmio di energia e di risorse e alla riduzione degli sprechi, in tutti i settori di loro competenza.
La proposta di legge si compone di tre articoli: con l'articolo 1 si riconosce il 16 febbraio quale Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili, finalizzata a promuovere la cultura del risparmio energetico e di risorse, mediante la riduzione degli sprechi e la messa in atto di azioni di condivisione, nonché la diffusione di stili di vita sostenibili; con l'articolo 2 si indicano, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, le modalità di svolgimento della Giornata e i relativi obiettivi; con l'articolo 3 si individua nel Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'organo di coordinamento nazionale della Giornata, in collaborazione con altri Ministeri coinvolti, con l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, con le regioni e con gli enti locali.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Istituzione della Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili).
1. La Repubblica riconosce il 16 febbraio quale Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili, di seguito denominata «Giornata», al fine di promuovere la cultura del risparmio energetico e di risorse mediante la riduzione degli sprechi, la messa in atto di azioni di condivisione e la diffusione di stili di vita sostenibili.
Art. 2.
(Celebrazi one della Giornata).
1. In occasione della Giornata, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, le istituzioni pubbliche, negli edifici e negli spazi aperti di loro competenza, adottano iniziative di risparmio energetico e azioni di risparmio nell'uso delle risorse, anche attraverso pratiche di condivisione; promuovono, altresì, incontri, convegni e interventi concreti dedicati alla promozione del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili.
Art. 3.
(Competenze).
1. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il coinvolgimento di altri Ministeri interessati e dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, costituisce l'organo competente per il coordinamento della Giornata, in collaborazione con le regioni e con gli enti locali. | Istituzione della Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili
Contenuto
L' A.C. 104 , composto di tre articoli, è volto ad istituire la Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili.
L' art. 1 stabilisce che la Repubblica riconosce il 16 febbraio quale Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili , di seguito denominata "Giornata", al fine di promuovere la cultura del risparmio energetico e di risorse mediante la riduzione degli sprechi, la messa in atto di azioni di condivisione e la diffusione di stili di vita sostenibili.
L' art. 2 disciplina la celebrazione della Giornata, prevedendo che in occasione della medesima, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, le istituzioni pubbliche adottano, negli edifici e negli spazi aperti di loro competenza, iniziative di risparmio energetico e azioni di risparmio nell'uso delle risorse, anche attraverso pratiche di condivisione.
La norma in esame prevede altresì la promozione di incontri, convegni e interventi concreti, dedicati alla promozione del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili.
L' art. 3 prevede che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (oggi Ministero della transizione ecologica), con il coinvolgimento di altri Ministeri interessati e dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), sia l'organo competente per il coordinamento della Giornata, in collaborazione con le regioni e con gli enti locali.
La relazione illustrativa specifica che la data del 16 febbraio ricorda l'entrata in vigore, nel 2005, del Protocollo di Kyoto, il trattato internazionale che ha posto al centro delle politiche ambientali la questione del cambiamento climatico. Dalla stessa data Caterpillar, un programma di Radio2 della RAI- Radiotelevisione italiana Spa, organizza la manifestazione " M'illumino di meno – Giornata del risparmio energetico", con l'invito a spegnere simbolicamente le luci non indispensabili per promuovere l'utilizzo più razionale dell'energia.
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
Le previsioni recate dall'articolo 1, istitutivo della Giornata nazionale del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili, sono riconducibili alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di "ordinamento civile" (art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.). Le previsioni recate dagli articoli 2 e 3 sono, invece, riconducibili in linea generale alla materia "tutela dell'ambiente", attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.) nonché alla materia "promozione e organizzazione di attività culturali", attribuita alla competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost). | 3,382 | 13 |
./data/hdd_data/secondData/20231018/LEG18/AC-665 | true | XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 665
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
VERSACE, GELMINI, CARFAGNA, PELLA, APREA, ASCANI, BAGNASCO, ANNA LISA BARONI, BATTILOCCHIO, BENIGNI, BERGAMINI, BIANCOFIORE, BIGNAMI, BOND, BRAMBILLA, CALABRIA, CANNIZZARO, CARRARA, CASCIELLO, CASSINELLI, CATTANEO, CORTELAZZO, D'ATTIS, DE MARTINI, DELLA FRERA, D'ETTORE, DONZELLI, FASCINA, FATUZZO, FIORINI, FITZGERALD NISSOLI, FOSCOLO, GAGLIARDI, GIACOMETTO, GIACOMONI, LABRIOLA, LAZZARINI, LOCATELLI, MANDELLI, MARIN, MARROCCO, MAZZETTI, MILANATO, MINARDO, MUGNAI, MULÈ, MUSELLA, NEVI, NOJA, NOVELLI, OCCHIUTO, PALMIERI, PANIZZUT, PEDRAZZINI, PENTANGELO, PEREGO DI CREMNAGO, PETTARIN, POLVERINI, PORCHIETTO, RIPANI, ROSSELLO, ROSSO, ROTONDI, RUFFINO, SACCANI JOTTI, SANDRA SAVINO, SCOMA, SEGNANA, SILLI, SORTE, SOZZANI, TIRAMANI, MARIA TRIPODI, VIETINA, ZANELLA, ZANGRILLO, ZIELLO, ZOFFILI
Introduzione degli ausili e delle protesi destinati a persone disabili per lo svolgimento dell'attività sportiva tra i dispositivi erogati dal Servizio sanitario nazionale
Presentata il 24 maggio 2018
Onorevoli Colleghi ! — Il legame tra disabilità, sport e salute ha origini antiche.
Una prima tappa nella promozione delle attività sportive dei soggetti disabili è stata l'organizzazione dei Giochi internazionali per sordi di Parigi del 1924, evento al quale hanno partecipato atleti provenienti da undici nazioni.
Ma è stato soprattutto grazie alla felice intuizione di Ludwig Guttman, neurochirurgo tedesco, direttore di un centro per lesioni spinali a Stoke Mandeville, nel sud- est dell'Inghilterra, che si è valorizzato il ruolo dello sport come formidabile strumento di cura e di integrazione delle persone disabili. Guttman, negli anni quaranta, ha introdotto un'innovativa tecnica di sport-terapia, che inizialmente aveva il solo scopo di agevolare la partecipazione dei suoi pazienti alla riabilitazione, ma che è divenuta, successivamente, una vera e propria metodologia di lavoro, funzionale a garantire una vita più lunga e qualitativamente migliore alle persone ricoverate. Egli ha compreso che il movimento e lo sport assicurano miglioramenti sul piano muscolare e respiratorio, conferiscono maggior equilibrio e abilità motorie e ha rilevato che i soggetti paraplegici dimostrano una più elevata competenza e velocità nell'uso della carrozzina, utile non soltanto nell'esercizio sportivo ma anche nella vita quotidiana.
Nel 1948 Guttman ha colto l'occasione dei Giochi olimpici di Londra per organizzare i primi giochi sportivi per disabili. Ha avvicinato, in tal modo, allo sport i pazienti britannici reduci dal secondo conflitto mondiale che avevano riportato traumi e lesioni midollari, proprio al fine di aiutarli a sviluppare le loro capacità residue. A tale evento hanno assistito medici e tecnici provenienti da ogni parte del mondo, che hanno quindi avuto modo di osservare ed apprendere le metodologie di riabilitazione utilizzate da Guttman.
Nel 1952 è stato organizzato il primo evento sportivo internazionale per persone disabili ed è stato chiaro sin da subito che, attraverso lo sport, gli atleti paraplegici non solo migliorano dal punto di vista fisico ma, soprattutto, aumentano la possibilità di instaurare relazioni sociali, riuscendo a integrarsi meglio nella collettività.
I Giochi sportivi di Stoke Mandeville costituiscono l'antecedente storico dei Giochi paralimpici ufficiali che, come le Olimpiadi, si svolgono ancora oggi con cadenza quadriennale.
Solo con l'edizione di Roma nel 1960 si è data vita alle Paralimpiadi moderne e, per la prima volta nella storia, i Giochi olimpici e paralimpici si sono svolti nella stessa città. L'8 settembre 1960, nello stadio dell'Acquacetosa a Roma, davanti a cinquemila spettatori, si sono esibiti quattrocento atleti in carrozzina, in rappresentanza di ventitré Paesi.
Questo breve excursus storico evidenzia quanto, nel corso degli anni, sia cresciuta la consapevolezza del legame indissolubile esistente tra sport e salute. La salute è un diritto primario e un bene irrinunciabile per la vita quotidiana, che deve essere costantemente promosso, tutelato e garantito.
Anche l'Organizzazione mondiale della sanità rileva che la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto la semplice assenza dello stato di malattia o infermità. Tale nozione deve tradursi in politiche idonee ad affermarne il suo reale significato.
Il ruolo di primazia dell'attività sportiva, quale coelemento fondamentale per garantire un adeguato livello di salute, emerge anche da numerosi atti ufficiali delle istituzioni dell'Unione europea. Tali atti promuovono l'attività fisica come fattore essenziale nella vita di milioni di cittadini europei, condividendo e favorendo le buone pratiche tra i Paesi membri.
In Italia vivono più di quattro milioni di persone disabili, una percentuale rilevante della popolazione che versa in condizioni di particolare vulnerabilità e alla quale occorre garantire una tutela adeguata, sia mediante l'assistenza medico-sanitaria sia, al contempo, mediante il riconoscimento di pari opportunità e diritti.
La Convenzione dell'ONU del 2006 sui diritti delle persone con disabilità, nella promozione della quale l'Italia ha svolto un ruolo fondamentale, sancisce la necessità di fornire a tutte le persone disabili una maggiore tutela e di migliorare le loro condizioni di vita in qualunque parte del mondo. Essa traccia il percorso che gli Stati devono porre in essere al fine di garantire i diritti di uguaglianza e di inclusione sociale di tutti i cittadini con disabilità. In particolare, l'articolo 30 della Convenzione, rubricato «Partecipazione alla vita culturale, alla ricreazione, al tempo libero e allo sport», al paragrafo 5, dispone che: «Al fine di permettere alle persone con disabilità di partecipare su base di eguaglianza con gli altri alle attività ricreative, del tempo libero e sportive, gli Stati Parti prenderanno misure appropriate per:
a) Incoraggiare e promuovere la partecipazione, più estesa possibile, delle persone con disabilità alle attività sportive ordinarie a tutti i livelli;
b) Assicurare che le persone con disabilità abbiano l'opportunità di organizzare, sviluppare e partecipare ad attività sportive e ricreative specifiche per le persone con disabilità e, a questo scopo, incoraggiare la messa a disposizione, sulla base di eguaglianza con gli altri, di adeguati mezzi di istruzione, formazione e risorse;
c) Assicurare che le persone con disabilità abbiano accesso a luoghi sportivi, ricreativi e turistici;
d) Assicurare che i bambini con disabilità abbiano eguale accesso rispetto agli altri bambini alla partecipazione ad attività ludiche, ricreative, di tempo libero e sportive, incluse le attività comprese nel sistema scolastico;
e) Assicurare che le persone con disabilità abbiano accesso ai servizi da parte di coloro che sono coinvolti nell'organizzazione di attività ricreative, turistiche, di tempo libero e sportive».
Appare evidente come lo sport, nonché il miglioramento del livello di salute conseguente alla sua pratica abituale, sia riconosciuto, tanto in un contesto globale quanto in ambito europeo, quale elemento funzionale al superamento delle barriere sociali; di espressione delle capacità delle persone con disabilità; di ausilio nello sviluppo delle capacità di leadership ; di formazione dei giovani, anche dal punto di vista educativo.
Nell'ambito nazionale è opportuno richiamare, altresì, due norme della Costituzione:
l'articolo 32 che dispone: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
l'articolo 3, inserito tra i princìpi fondamentali, che prevede: «Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Dunque, anche sulla base del dettato costituzionale e in applicazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui al citato articolo 3, secondo comma, della Costituzione , emerge l'obbligo dello Stato di agevolare la persona disabile nell'accesso al mondo dello sport, garantendole il diritto a sviluppare pienamente le proprie capacità fisico-motorie, intellettuali e sociali.
Nonostante il diritto alla pratica sportiva sia proclamato e riconosciuto tanto a livello globale quanto in ambito europeo, occorre evidenziare l'esistenza di lacune sistemiche che ne impediscono l'accesso in maniera effettiva e incondizionata.
Infatti, la pratica sportiva impone, per le diverse forme di disabilità, la dotazione indispensabile di ausili e protesi appositamente studiati e realizzati, i cui costi proibitivi o comunque notevoli ne impediscono, di fatto, l'accesso. Ne consegue che una percentuale rilevante di persone disabili, nonché la collettività nel suo insieme, sono private di tutte le ricadute positive che la pratica abituale di uno sport assicura o quanto meno agevola.
Infine, sul piano economico, l'intervento normativo proposto va letto come un investimento a lungo termine per il Servizio sanitario nazionale: infatti il cittadino che pratica uno sport è innegabilmente un cittadino più sano. È evidente, pertanto, che garantire oggi una maggiore qualità di vita ai numerosi cittadini disabili comporterà domani un minor impegno di spesa da parte del Servizio sanitario nazionale.
Nel 2000 a Monaco, durante la cerimonia di consegna dei Laureus World Sports Awards , Nelson Mandela si è così espresso: «Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di ricongiungere le persone come poche altre cose. Ha il potere di risvegliare la speranza dove prima c'era solo disperazione».
Per molti, soprattutto per chi convive con una disabilità, la pratica sportiva equivale a una rinascita, aumenta l'autostima, conferisce un'opportunità di nuova vita, assicura una migliore e più spedita integrazione sociale, abbatte le barriere mentali e non conosce la discriminazione.
Proprio in considerazione di quanto dichiarato dal Presidente Mandela e del legame evidente tra sport e condizioni generali di salute, desideriamo sottoporre alla vostra attenzione la presente proposta di legge, volta a garantire alle persone disabili il diritto allo sport in maniera concreta ed effettiva, prevedendo che il Servizio sanitario nazionale assicuri la copertura per l'acquisto degli ausili e delle protesi di tecnologia avanzata.
Conseguentemente, si prevede che il Governo provveda alla modifica del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 , recante i livelli essenziali di assistenza, al fine di aggiungere all'elenco delle prestazioni e delle tipologie di dispositivi erogabili dal Servizio sanitario nazionale anche gli ausili e le protesi di ultima generazione, a tecnologia avanzata e con caratteristiche funzionali allo svolgimento della pratica sportiva, destinati a persone con disabilità fisiche.
PROPOSTA DI LEGGE
Art . 1.
(Introduzione nei livelli essenziali di assistenza degli ausili e delle protesi destinati a persone disabili per lo svolgimento dell'attività sportiva).
1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita la Commissione nazionale per l'aggiornamento dei LEA e la promozione dell'appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale, di cui all' articolo 1, comma 556, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 , si provvede a modificare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 , pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2017, al fine di individuare e di inserire nel nomenclatore di cui all'allegato 5 al medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, relativo all'elenco delle prestazioni e delle tipologie di dispositivi erogabili dal Servizio sanitario nazionale, gli ausili e le protesi degli arti inferiori e superiori, a tecnologia avanzata e con caratteristiche funzionali allo svolgimento di attività sportive, destinati a persone con disabilità fisiche.
Art . 2.
(Copertura finanziaria).
1. All'onere derivante dall'attuazione dell'articolo 1, pari a 40 milioni di euro annui a decorrere dal 2019, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per i medesimi anni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio 2018-2020, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. | Introduzione degli ausili e delle protesi destinati a persone disabili per lo svolgimento dell'attività sportiva tra i dispositivi erogati dal Servizio sanitario nazionale
Contenuto
La presente proposta di legge è volta a introdurre una modifica al DPCM 12 gennaio 2017 che ha aggiornato i livelli essenziali di assistenza (LEA) inserendo, nell'elenco delle prestazioni e delle tipologie di dispositivi erogabili dal Servizio sanitario nazionale, anche gli ausili e le protesi degli arti inferiori e superiori, a tecnologia avanzata e con caratteristiche funzionali allo svolgimento di attività sportive , destinati a persone con disabilità fisiche, con lo scopo di incentivare lo svolgimento dell'attività sportiva.
Pertanto, l'art. 1 prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e previa intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, sentita la Commissione nazionale per l'aggiornamento dei LEA e la promozione dell'appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale, si provvede a modificare il citato DPCM 12 gennaio 2017 per individuare ed inserire nel nomenclatore di cui all'allegato 5 anche i predetti dispositivi medici.
Va osservato che nel caso in esame, conformemente alla procedura delineata dal comma 554 della legge n. 208/2015 (legge di stabiità per il 2016), sembrerebbe opportuno prevedere il parere delle commissioni parlamentari competenti.
Si ricorda che l'allegato 5 contiene un elenco degli ausili su misura , dispositivi fabbricati appositamente in base alla prescrizione redatta da un medico specialista, e un elenco riguardante gli ausili di serie , diviso in una prima parte degli ausili che richiedono la messa in opera da parte di un tecnico abilitato e in una seconda parte degli ausili pronti all'uso (v. qui il documento).
E' compito della Commissione nazionale per l'aggiornamento dei LEA e la promozione della appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale, prevista all' articolo 1, comma 556, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (qui il decreto attuativo DM 19 gennaio 2017), monitorare il livello di attuazione e implementazione dei nuovi LEA in tutte le regioni ed eventualmente intervenire, mediante apposite verifiche effettuate in collaborazione con il Nucleo speciale di Antisofisticazione - NAS,nelle ipotesi di mancata, incompleta o scorretta erogazione dei livelli.
L'art. 2 dispone la copertura finanziaria, quantificando un onere di 40 milioni di euro annui a partire dal 2019 , cui si provvede con lo stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, nell'ambito della programmazione 2018-2020, allo stato di previsione del MEF, per l'anno 2018. Si autorizza conseguentemente il Ministero ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Relazioni allegate o richieste
Si tratta di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, corredata, pertanto, della sola relazione lllustrativa.
Necessità dell'intervento con legge
La proposta di legge in esame è diretta ad introdurre una modifica al D.P.C.M. del 12 gennaio 2017, recante Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. Sulla modifica e sull'aggiornameno del citato D.P.C.M. dispone il comma 554 dell'articolo 1 della legge n. 208/2015 ( Legge di stabilità 2016 ), che prevede una particolare procedura: decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari. Nel caso in esame sembrerebbe quindi opportuno prevedere il parere delle commissioni parlamentari competenti.
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
La proposta di legge in esame riguarda l'introduzione di una modifica al D.P.C. M. del 12 gennaio 2017, concernente la definizione e l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza: la materia trattata, pertanto, sembra potersi ricondurre alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera m). Come sopra già ricordato, sulla modifica e sull'aggiornameno del citato D.P.C.M. dispone il comma 554 dell'articolo 1 della legge n. 208/2015 ( Legge di stabilità 2016 ), che prevede una particolare procedura: decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari. Il comma citato tuttavia non dà indicazioni specifiche di contenuto sul D.P.C.M. e sulle sue modifiche. | 5,797 | 30 |
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