source
stringlengths
159
2.29k
target
stringlengths
190
2.86k
Quare autem hoc quod repertum est, illustre, cardinale, aulicum et curiale adicientes vocemus, nunc disponendum est: per quod clarius ipsum quod ipsum est faciamus patere. Primum igitur quid intendimus cum illustre adicimus, et quare illustre dicimus, denudemus. Per hoc quoque quod illustre dicimus, intelligimus quid illuminans et illuminatum prefulgens: et hoc modo viros appellamus illustres, vel quia potestate illuminati alios et iustitia et karitate illuminant, vel quia excellenter magistrati excellenter magistrent, ut Seneca et Numa Pompilius.Et vulgare de quo loquimur et sublimatum est magistratu et potestate, et suos honore sublimat et gloria.Magistratu quidem sublimatum videtur, cum de tot rudibus Latinorum vocabulis, de tot perplexis constructionibus, de tot defectivis prolationibus, de tot rusticanis accentibus, tam egregium, tam extricatum, tam perfectum et tam urbanum videamus electum, ut Cynus Pistoriensis et amicus eius ostendunt in cantionibus suis.Quod autem exaltatum sit potestate, videtur. Et quid maioris potestatis est quam quod humana corda versare potest, ita ut nolentem volentem et volentem nolentem faciat, velut ipsum et fecit et facit?Quod autem honore sublimet, in promptu est. Nonne domestici sui reges, marchiones, comites et magnates quoslibet fama vincunt? Minime hoc probatione indiget. Quantum vero suos familiares gloriosos efficiat, nos ipsi novimus, qui huius dulcedine glorie nostrum exilium postergamus.Quare ipsum illustre merito profiteri debemus.
Ora bisogna esporre il motivo per cui questo linguaggio che si è trovato noi lo indichiamo accostandovi (i termini) illustre, cardinale, aulico e curiale; attraverso quest'operazione facciamo risaltare più chiaramente ciò che questo linguaggio è per se stesso. Per prima cosa, quindi, mettiamo in evidenza che cosa intendiamo quando gli accostiamo l'aggettivo "illustre" e perché lo chiamiamo illustre. Veramente, per ciò che chiamiamo illustre intendiamo qualche cosa che illumina e che, illuminata, risplende: e in questo modo chiamiamo gli uomini illustri o perché, illuminati dal potere, a loro volta illuminano gli altri sia con la giustizia che con la carità, o perché eccellentemente istruiti, a loro volta eccellentemente istruiscono, come Seneca e Numa Pompilio. E il volgare di cui parliamo sia elevato da un potere e magistero che solleva i suoi con onore e gloria.(Mi) sembra che proprio che sia stato esaltato dal magistero (intende l'insieme dei poeti stilnovisti), poiché di tanti rozzi vocaboli dei Latini, di tante perplesse costruzioni, di tante incerte declinazioni, di tanti accenti rustici, lo vediamo innalzato, così eccellente, così chiaro, così perfetto, così urbano, come Cino da Pistoia e il suo amico (Dante stesso) mostrano nelle loro canzoni.È, d'altra parte, evidente che sia esaltato dal potere. E cosa ha potere maggiore di ciò che può mutare gli animi, cosicché rende nolente ciò che è volente, e volente ciò che è nolente, come lo stesso ha fatto e fa?E, d'altra parte, è chiaro che esso sia sublimato dall'onore. Forse i suoi intimi non superano in fama qualsiasi re, marchese, conte e magnate? Ciò non ha affatto bisogno di dimostrazione. Quanto in realtà renda gloriosi coloro che lo praticano noi stessi lo sappiamo, che per la dolcezza di questa gloria ignoro il nostro esilio.Perciò lo dobbiamo meritatamente riconoscere illustre.
Duos igitur fines providentia illa inenarrabilis homini proposuit intendendos: beatitudinem scilicet huius vite, que in operatione proprie virtutis consistit et per terrestrem paradisum figuratur; et beatitudinem vite ecterne, que consistit in fruitione divini aspectus ad quam propria virtus ascendere non potest, nisi lumine divino adiuta, que per paradisum celestem intelligi datur. Ad has quidem beatitudines, velut ad diversas conclusiones, per diversa media venire oportet.Nam ad primam per phylosophica documenta venimus, dummodo illa sequamur secundum virtutes morales et intellectuales operando; ad secundam vero per documenta spiritualia que humanam rationem transcendunt, dummodo illa sequamur secundum virtutes theologicas operando, fidem spem scilicet et karitatem.
Dunque due fini da perseguire additò all'uomo l'inenarrabile Provvidenza: la beatitudine di questa vita, che consiste nell'attuazione della propria virtù e raffigurata attraverso il paradiso Terrestre, e la beatitudine della vita eterna, che consiste nel godimento della visione di Dio, alla quale non si può ascendere con la propria virtù se non (è) aiutata dall'illuminazione divina, e che è dato di essere capita attraverso il paradiso celeste. A queste due beatitudini certamente, come per differenti conclusioni, è necessario giungere con diversi mezzi. Infatti arriviamo alla prima attraverso i documenti filosofici, purché li seguiamo operando secondo le virtù morali ed intellettuali; invece alla seconda attraverso i documenti spirituali che trascendono l'umana ragione, purché li seguiamo operando secondo le virtù teologali; cioè la fede, la speranza e la carità.
Propter quod opus fuit homini duplici directivo secundum duplicem finem: scilicet summo Pontifice, qui secundum revelata humanum genus perduceret ad vitam ecternam, et Imperatore, qui secundum phylosophica documenta genus humanum ad temporalem felicitatem dirigeret. Et cum ad hunc portum vel nulli vel pauci, et hii cum difficultate nimia, pervenire possint, nisi sedatis fluctibus blande cupiditatis genus humanum liberum in pacis tranquillitate quiescat, hoc est illud signum ad quod maxime debet intendere curator orbis, qui dicitur romanus Princeps, ut scilicet in areola ista mortalium libere cum pace vivatur.Cumque dispositio mundi huius dispositionem inherentem celorum circulationi sequatur, necesse est ad hoc ut utilia documenta libertatis et pacis commode locis et temporibus applicentur, de curatore isto dispensari ab Illo qui totalem celorum dispositionem presentialiter intuetur. Hic autem est solus ille qui hanc preordinavit, ut per ipsam ipse providens suis ordinibus queque connecteret.
Perciò fu necessaria all'uomo una duplice guida conformemente al suo duplice fine: e cioè il sommo Pontefice che, secondo le (verità) rivelate, conducesse il genere umano alla vita eterna; e l'Imperatore che, attraverso i documenti filosofici, guidasse il genere umano alla felicità temporale. E poiché possono arrivare a questo porto o nessuno o pochi - e questi con molta difficoltà - se non dopo aver sedato i flutti della carezzevole cupidigia e il genere umano vive affrancato nella serenità della pace, essa è quell'obbiettivo al quale soprattutto deve tendere il curatore del mondo, che è chiamato il Principe Romano, ossia che in codesta aiuola di mortali si viva in libertà e pace. E poiché la disposizione del mondo terreno è determinata da quella inerente al movimento circolare dei cieli, è necessario perciò, affinché gli utili insegnamenti della libertà e della pace si adattino opportunamente ai luoghi e alle circostanze.
Hoc autem vulgare quod illustre, cardinale, aulicum et curiale ostensum est, dicimus esse illud quod vulgare latium appellatur. Nam sicut quoddam vulgare est invenire quod proprium est Cremone, sic quoddam est invenire quod proprium est Lombardie; et sicut est invenire aliquod quod sit proprium Lombardie, [sic] est invenire aliquod quod sit totius sinistre Ytalie proprium; et sicut omnia hec est invenire, sic et illud quod totius Ytalie est. Et sicut illud cremonense ac illud lombardum et tertium semilatium dicitur, sic istud, quod totius Ytalie est, latium vulgare vocatur.Hoc enim usi sunt doctores illustres qui lingua vulgari poetati sunt in Ytalia, ut Siculi, Apuli, Tusci, Romandioli, Lombardi et utriusque Marchie viri.Et quia intentio nostra, ut polliciti sumus in principio huius operis, est doctrinam de vulgari eloquentia tradere, ab ipso tanquam ab excellentissimo incipientes, quos putamus ipso dignos uti, et propter quid, et quomodo, nec non ubi, et quando, et ad quos ipsum dirigendum sit, in inmediatis libris tractabimus.Quibus illuminatis, inferiora vulgaria illuminare curabimus, gradatim descendentes ad illud quod unius solius familie proprium est.
D'altra parte diciamo che questo volgare, che è stato mostrato come illustre, cardinale, aulico e curiale, sia quello che si chiama volgare italiano. Infatti come è possibile trovare un volgare che sia proprio di Cremona, così è possibile trovarne (uno) che è proprio della Lombardia; e come se ne trova uno che è proprio della Lombardia, è possibile trovarne uno che si propria di tutta la parte sinistra dell'Italia; e come è possibile trovare tutti questi, così (si può trovare) anche quello che sia proprio di tutta l'Italia. E come quello si chiama cremonese e quello lombardo e il terzo semi-italiano, così questo, che è proprio di tutta l'Italia, si chiama volgare italiano. Di questo infatti si sono serviti i maestri illustri che hanno poetato in lingua volgare in Italia, come i Siciliana, gli Apuli, i Toscani, i Romagnoli, i Lombardi, e gli uomini di entrambe le Marche.E poiché la nostra intenzione, come promettemmo all'inizio di quest'opera, è di tramandare la dottrina dell'eloquenza della lingua volgare, nei libri seguenti tratteremo di coloro che hanno cominciato da quello quasi come dall'eccellentissimo, che reputiamo degni di servirsi di esso, e a causa di cosa, e come, e dove, e quando, e a chi esso va diretto.Illuminati da queste cose, avremo cura di illuminare i volgari inferiori, che discendono gradualmente verso quello che è proprio di una sola famiglia.
Neque sine ratione ipsum vulgare illustre decusamus adiectione secunda, videlicet ut id cardinale vocetur. Nam sicut totum hostium cardinem sequitur ut, quo cardo vertitur, versetur et ipsum, seu introrsum seu extrorsum flectatur, sic et universus municipalium grex vulgarium vertitur et revertitur, movetur et pausat secundum quod istud, quod quidem vere paterfamilias esse videtur. Nonne cotidie extirpat sentosos frutices de Ytalia silva? Nonne cotidie vel plantas inserit vel plantaria plantat? Quid aliud agricole sui satagunt nisi ut amoveant et admoveant, ut dictum est? Quare prorsus tanto decusari vocabulo promeretur.Quia vero aulicum nominamus illud causa est quod, si aulam nos Ytali haberemus, palatinum foret.Nam si aula totius regni comunis est domus et omnium regni partium gubernatrix augusta, quicquid tale est ut omnibus sit comune nec proprium ulli, conveniens est ut in ea conversetur et habitet, nec aliquod aliud habitaculum tanto dignum est habitante: hoc nempe videtur esse id de quo loquimur vulgare.Et hinc est quod in regiis omnibus conversantes semper illustri vulgari locuntur; hinc etiam est quod nostrum illustre velut accola peregrinatur et in humilibus hospitatur asilis, cum aula vacemus.Est etiam merito curiale dicendum, quia curialitas nil aliud est quam librata regula eorum que peragenda sunt: et quia statera huiusmodi librationis tantum in excellentissimis curiis esse solet, hinc est quod quicquid in actibus nostris bene libratum est, curiale dicatur. Unde cum istud in excellentissima Ytalorum curia sit libratum, dici curiale meretur.Sed dicere quod in excellentissima Ytalorum curia sit libratum, videtur nugatio, cum curia careamus. Ad quod facile respondetur. Nam licet curia, secundum quod unita accipitur, ut curia regis Alamannie, in Ytalia non sit, membra tamen eius non desunt; et sicut membra illius uno Principe uniuntur, sic membra huius gratioso lumine rationis unita sunt. Quare falsum esset dicere curia carere Ytalos, quanquam Principe careamus, quoniam curiam habemus, licet corporaliter sit dispersa.
E non senza ragione onoro con il secondo aggettivo lo stesso volgare illustre, sì, cioè da chiamarlo cardinale. Infatti, come l'intera porta segue il cardine, cosicché si gira dove si gira il cardine, e questo stesso si piega o verso l'esterno o verso l'interno, così anche l'insieme dei comuni si volge e si rivolge come il gregge dei dialetti, si muove e si ferma per il fatto che questo sembra davvero un pater familias. Non estirpa forse quotidianamente i frutti spinosi dalla foresta italica? Non innesta forse quotidianamente marze o non pianta forse delle pianticelle? In cos'altro si affaccendano i suoi contadini, se non a rimuovere e a mettere, come (gli) si è detto? Perciò merita di essere onorato con un così grande vocabolo.Il motivo per cui, poi, lo definiamo aulico consiste nel fatto che se noi Italiani avessimo una reggia, esso sarebbe (lingua) di palazzo. Infatti se la reggia è la casa comune di tutto il regno, l'augusta reggitrice di tutte le parti del regno, qualsiasi cosa è tale da essere comune a tutti e non propria di alcuno, è ben che risieda ed abiti in essa (l'aula); né alcuna altra dimora è degna di tanto importante abitante: tale sembra certamente che sia quel volgare di cui parlo. E da ciò deriva il motivo per cui coloro che frequentano tutte le regge parlino sempre il volgare illustre; da questo anche deriva che il nostro volgare illustre se ne va pellegrino come uno straniero e è ospitato in umili asili, poiché non abbiamo una reggia.Deve anche essere definito, a buon diritto, curiale, poiché la curialità non è nient'altro se non una norma ponderata delle cose che devono essere fatto; e poiché una bilancia capace di una tale pesata suole trovarsi solo nelle curie migliori, da questo deriva che qualsiasi cosa che c'è di ben ponderato è detto curiale. Da qui questo, poiché è stato pesato nella più eccelsa curia degli Italiani, merita di essere chiamato curiale.Ma dire che è stato pesato nella curia più eccelsa degli Italiani sembra una burla, poiché manchiamo di una curia. Ma a questo si risponde facilmente. Infatti sebbene in Italia non vi sia una curia, nel senso unitaria, come è la curia del re di Germania, non fanno difetto le sue membra; e come le membra di quella sono unite sotto un solo Principe, così le membra di questa (l'Italia) sono unite dalla graziosa luce della ragione. Perciò sarebbe falso dire che gli Italiani mancano di una curia, anche se manchiamo di un Principe, poiché abbiamo una curia, sebbene sia fisicamente divisa.
Et cita cum tremulis anus attulit artubus lumen.talia tum memorat lacrimans exterrita somno:‘Eurydica prognata, pater quam noster amauit,uires uitaque corpus meum nunc deserit omne.nam me uisus homo plucher per amoena salictaet ripas raptare locosque nouos: ita solapostilla, germana soror, errare uidebartardaque uestigare et quaerere to neque possecorde capessere: semita nulla pedem stabilibat.exim compellare pater me uoce uideturhis uerbis: “O gnata, tibi sunt ante gerendaeaerumnae, post ex fluuio fortuna resistet.”haec effatus pater, germana, repente recessitnec sese dedit in conspectum corde cupitus,quamquam multa manus ad caeli caerula templatendebam lacrumans et blanda uoce uocabam.uix aegro cum corde meo me somnus reliquit.
E quando la vecchia, affrettandosi, portò con mani tremanti il lume, allora Ilia, atterrita dal sogno, piangendo così raccontò: "O figlia di Euridice amata da nostro padre, ora le forze della vita abbandonano tutto il mio corpo Infatti ho sognato che un uomo di bell'aspetto mi trascinava attraverso ameni saliceti e rive e luoghi a me ignoti; così dopo, sorella mia, mi sembrava di vagare e di mettermi, con lenta andatura, alla ricerca di te, ma non riuscivo ad orientarmi; su qualsiasi sentiero il mio piede vacillava. Poi mi sembrava che nostro padre mi rivolgesse queste parole: "Figlia, dovrai dapprima sopportare molte tribolazioni, poi la buona sorte ti sarà restituita dal fiume". Dette queste parole, sorella, nostro padre improvvisamente scomparve, sebbene io lo desiderassi con tutto il cuore, sebbene tendessi molte volte le mani verso gli spazi azzurri del cielo, piangendo, e teneramente lo chiamassi. Proprio in quel momento il sonno mi lasci con il cuore angosciato.
Haece locutus vocat quocum bene saepe libenterMensam sermonesque suos rerumque suarumComiter impartit, magnam cum lassus dieiPartem fuisset de summis rebus regundisConsilio iudu foro lato sanctoque senatu:Cui res audacter magnas parvasque iocumqueEloqueretur, et cuncta malaque et bona dictuEvomeret, si qui vellet, tutoque locaret.Quocum multa volup ac gaudia clamque palamque.Ingenium cui nulla malum sententia suadetUt faceret facinus, levis, haut malus, doctus, fidelis,Suavis homo, facundus, suo contentus, beatus,Scitus, secunda loquens in tempore, commodus verbumPaucum, multa tenens antiqua sepulta, vestutasQuem facit et mores veteresque novosque tenentem,Multorum veterum leges divumque hominumque;Prudenter qui dicta loquive tacereve possit:Hunc inter pugnas compellat Servilius sic.
Dopo aver detto queste parole, chiamò uno col quale volentieri assai spessodivideva affabilmente la propria mensa e che metteva al corrente dei suoidiscorsi e dei suoi affari, quando era stanco per aver trascorso gran parte dellagiornata nei consigli dati nell'ampio foro e nel sacro Senato: uno a cui potevacon libertà parlare di cose grandi e piccole e scherzare, con cui poteva sfogarsi raccontando a un tempo fatti brutti e belli a dirsi, se in qualche modo ne aveva desiderio, e confidarsi come con persona sicura, e dividere molte cosepiacevoli e gioie in segreto e apertamente: era persona di tale carattere che nessun pensiero poteva indurlo a compiere per leggerezza o malizia un'azionecattiva: dotto, fedele, dolce, abile parlatore, contento del suo stato, felice, ricco di esperienza, sapeva dire la parola giusta a tempo opportuno, equilibrato,uomo di poche parole, sapeva molti fatti del passato, dei quali il tempo seppellisce la memoria, e conosceva i costumi di una volta e quelli moderni, molte leggi antiche del diritto umano e divino: un uomo di tale prudenza, da sapere quando doveva parlare o doveva tacere. A costui nel mezzo della battaglia così si rivolgeva
Successit huic Nero, Caligulae, avunculo suo, simillimus, qui Romanum imperium et deformavit et diminuit, inusitatae luxuriae sumptuumque, ut qui exemplo C. Caligulae in calidis et frigidis lavaret unguentis, retibus aureis piscaretur, quae blattinis funibus extrahebat. Infinitam senatus partem interfecit, bonis omnibus hostis fuit. Ad postremum se tanto dedecore prostituit, ut et saltaret et cantaret in scaena citharoedico habitu vel tragico. Parricidia multa commisit, fratre, uxore, sorore, matre interfectis.Urbem Romam incendit, ut spectaculi eius imaginem cerneret, quali olim Troia capta arserat. In re militari nihil omnino ausus Britanniam paene amisit. Nam duo sub eo nobilissima oppida capta illic atque eversa sunt. Armeniam Parthi sustulerunt legionesque Romanas sub iugum miserunt. Duae tamen sub eo provinciae factae sunt, Pontus Polemoniacus concedente rege Polemone et Alpes Cottiae Cottio rege defuncto.
A questo successe Nerone, molto simile a suo zio Caligola; il quale deturpò e diminuì l'autorità dei Romani, affinchè questi con l'esempio delle smodatezze e dell'inusuale lussuria di Caligola si lavasse con unguenti caldi e freddi, pescasse con reti d'oro, che tirava con funi di porpora. Tolse di mezzo un'infinita parte del senato, fu nemico di tutti gli onesti. Infine si oppose con tanto disonore, che ballava e cantava sulla scena nella veste di un citoredico o di un tragico. Uccisi il fratello, la moglie, la sorella e la madre, commise molti omicidi dei parenti. Incendiò la città di Roma, per riconoscere l'immagine del suo spettacolo nel modo stesso che Troia, catturata, era arsa. Non arrischiatosi affatto nell'arte militare, si lasciò quasi sfuggire la Bretagna. Infatti furono catturate sotto di lui due città fortificate e furono distrutte lì stesso. I Parti sottomisero le legioni romane in Armenia. Tuttavia sotto di lui furono create due provincie, il Ponto Polemoniaco per concessione del re Polemone e le Alpi Cozie alla morte del re Cozio.
Anno urbis conditae sexcentesimo nonagesimo tertio C. Iulius Caesar, qui postea imperavit, cum L. Bibulo consul est factus. Decreta est ei Gallia et Illyricum cum legionibus decem. Is primus vicit Helvetios, qui nunc Sequani appellantur, deinde vincendo per bella gravissima usque ad Oceanum Britannicum processit. Domuit autem annis novem fere omnem Galliam, quae inter Alpes, flumen Rhodanum, Rhenum et Oceanum est et circuitu patet ad bis et tricies centena milia passuum.Britannis mox bellum intulit, quibus ante eum ne nomen quidem Romanorum cognitum erat, eosque victos obsidibus acceptis stipendiarios fecit. Galliae autem tributi nomine annuum imperavit stipendium quadringenties, Germanosque trans Rhenum adgressus inmanissimis proeliis vicit. Inter tot successus ter male pugnavit, apud Arvernos semel praesens et absens in Germania bis. Nam legati eius duo, Titurius et Aurunculeius, per insidias caesi sunt.
Nel 693 dopo la fondazione di Roma Caio Giulio Cesare, che in seguito comandò, fu eletto console con Lucio Bibulo. Gli si assegnarono la Gallia e l'Illiria, con dieci legioni. Egli per primo vinse gli Elvezi, che ora sono chiamati Sequani, in seguito vincendo attraverso violentissime battaglie giunse all'Oceano Britannico. Poi in nove anni sottomise quasi tutta la Gallia, che è compresa fra le Alpi, il fiume Rodano, il Reno e l'Oceano ed ha un perimetro di seimila miglia. Subito mosse guerra ai Britanni, ai quali prima di lui non era nemmeno noto il nome dei Romani, ed avendo accettato ostaggi da loro, trasformò i vinti in mercenari. Poi impose alla Gallia un riscatto annuo di 400 sesterzi a testa come tributo e, dopo aver attaccato i Germani oltre il Reno, vinse scontri durissimi. Fra tanti successi combattè male tre volte, una volta presso gli Arverni essendo presente, due volte in Germania essendo assente. Infatti i suoi due luogotenenti, Titurio e Arunculeio, furono uccisi in un'imboscata.
Interiecto anno contra Pyrrum Fabricius est missus, qui prius inter legatos sollicitari non potuerat, quarta regni parte promissa. Tum, cum vicina castra ipse et rex haberent, medicus Pyrri nocte ad eum venit, promittens veneno se Pyrrum occisurum, si sibi aliquid polliceretur. Quem Fabricius vinctum reduci iussit ad dominum Pyrroque dici quae contra caput eius medicus spopondisset. Tum rex admiratus eum dixisse fertur: "Ille est Fabricius, qui difficilius ab honestate quam sol a cursu suo averti potest." Tum rex ad Siciliam profectus est.Fabricius victis Lucanis et Samnitibus triumphavit. Consules deinde M. Curius Dentatus et Cornelius Lentulus adversum Pyrrum missi sunt. Curius contra eum pugnavit, exercitum eius cecidit, ipsum Tarentum fugavit, castra cepit. Ea die caesa hostium viginti tria milia. Curius in consulatu triumphavit. Primus Romam elephantos quattuor duxit. Pyrrus etiam a Tarento mox recessit et apud Argos, Graeciae civitatem, occisus est.
Passato un anno fu inviato contro di Pirro Fabrizio, che in precedenza tra gli ambasciatori non aveva potuto essere corrotto dalla promessa di un quarto del regno. Allora, avendo lui e il re gli accampamenti vicini, il medico di Pirro venne di notte da lui, promettendo di uccidere con il veleno Pirro, se gli avesse promesso qualcosa. Fabrizio ordinò che fosse portato in catene dal suo padrone, e che si dicesse a Pirro in che cosa il medico si era impegnato in cambio della vita di lui. Allora si dice che il re, ammirato, avesse detto: "Fabrizio è quello che può essere allontanato dall'onestà più difficilmente che il sole dal suo corso". Allora il re partì per la Sicilia. Fabrizio vinti i Lucani e i Sanniti celebrò il trionfo. Poi i consoli Marco Curio Dentato e Cornelio Lentulo furono inviati contro Pirro. Curio combatté contro di lui, ne distrusse l'esercito, lo mise in fuga a Taranto, ne conquistò l'accampamento. In quel giorno furono uggisi ventitremila nemici. Curio nel suo consolato celebrò il trionfo. Per primo condusse a Roma quattro elefanti. Anche Pirro subito si ritirò da Taranto e fu ucciso ad Argo, città della Grecia.
Hinc consules coepere, pro uno rege duo, hac causa creati, ut, si unus malus esse voluisset, alter eum, habens potestatem similem, coerceret. Et placuit, ne imperium longius quam annuum haberent, ne per diuturnitatem potestatis insolentiores redderentur, sed civiles semper essent, qui se post annum scirent futuros esse privatos. Fuerunt igitur anno primo ab expulsis regibus consules L. Iunius Brutus, qui maxime egerat, ut Tarquinius pelleretur, et Tarquinius Collatinus, maritus Lucretiae.Sed Tarquinio Collatino statim sublata est dignitas. Placuerat enim, ne quisquam in urbe remaneret, qui Tarquinius vocaretur. Ergo accepto omni patrimonio suo ex urbe migravit, et loco ipsius factus est L. Valerius Publicola consul. Commovit tamen bellum urbi Romae rex Tarquinius, qui fuerat expulsus, et collectis multis gentibus, ut in regnum posset restitui, dimicavit.
Da questo momento ebbero inzio i consoli, al posto di un re due, creati per questa causa, affinché se uno avesse voluto essere dannoso, l'altro avendo simile potere, lo frenasse. E si deliberò che non tenessero il potere più a lungo di un anno, affinché non fossero resi troppo prepotenti a causa della lunghezza del potere, ma affinché fossero sempre moderati, dal momento che loro sapevano che dopo un anno sarebbero diventati cittadini privati. Furono dunque consoli durante il primo anno dopo la cacciata dei re Giunio Bruto, il quale si era dato specialmente da fare per espellere Tarquinio e Tarquinio Collatino, marito di Lucrezia. Ma a Tarquinio Collatino venne subito revocata la carica. Si era deciso infatti che in città non rimanesse nessuno che si chiamasse Tarquinio. Pertanto, preso tutto il suo patrimonio, si trasferì dalla città e al suo posto venne nominato console L. Valerio Publicola.
Interea proelium ab utroque duce instructum est, quale vix ulla memoria fuit, cum peritissimi viri copias suas ad bellum educerent. Scipio victor recedit paene ipso Hannibale capto, qui primum cum multis equitibus, deinde cum viginti, postremo cum quattuor evasit. Inventa in castris Hannibalis argenti pondo viginti milia, auri octoginta, cetera supellectilis copiosa. Post id certamen pax cum Carthaginiensibus facta est. Scipio Romam rediit, ingenti gloria triumphavit atque Africanus ex eo appellari coeptus est.Finem accepit secundum Punicum bellum post annum nonum decimum, quam coeperat.
Intanto da entrambi i comandanti venne preparato uno scontro, quale quasi mai ci fu a memoria d’uomo, dato che guidavano alla guerra le loro truppe due uomini che erano i più esperti in fatto di arte militare. Scipione uscì vincitore, dopo che per poco non venne catturato Annibale in persona, che fuggì accompagnato prima da molti cavalieri, poi da venti, alla fine da quattro. Nell’accampamento di Annibale furono trovate ventimila libbre d’argento, ottanta d’oro, altri oggetti preziosi. Dopo questo scontro fu stipulata la pace coi Cartaginesi. Scipione tornò a Roma, celebrò il trionfo con una splendida manifestazione di gloria e cominciò ad essere chiamato da allora l’Africano. La seconda guerra punica ebbe fine diciannove anni dopo che era iniziata.
Huic Titus filius successit, qui et ipse Vespasianus est dictus, vir omnium virtutum genere mirabilis adeo, ut amor et deliciae humani generis diceretur, facundissimus, bellicosissimus, moderatissimus. Causas Latine egit, poemata et tragoedias Graece conposuit. In oppugnatione Hierosolymorum sub patre militans duodecim propugnatores duodecim sagittarum confixit ictibus. Romae tantae civilitatis in imperio fuit, ut nullum omnino puniret, convictos adversum se coniurationis dimiserit vel in eadem familiaritate, qua antea, habuerit.Facilitatis et liberalitatis tantae fuit, ut, cum nulli quicquam negaret et ab amicis reprehenderetur, responderit nullum tristem debere ab imperatore discedere, praeterea, cum quadam die in cena recordatus fuisset nihil se illo die cuiquam praestitisse, dixerit: "Amici, hodie diem perdidi". Hic Romae amphitheatrum aedificavit et quinque milia ferarum in dedicatione eius occidit.
A questo successe il figlio Tito, che anche lui si chiamava Vespasiano, uomo ammirevole per ogni genere di virtù a tal punto che era chiamato amore e delizia del genere umano, eloquentissimo, bellicosissimo, equilibratissimo. Trattò cause giudiziarie in latino, compose poemi e tragedie in greco. Nell'assedio di Gerusalemme, combattendo sotto il padre, trafisse dodici difensori con dodici colpi di frecce. A Roma fu di una tale mitezza nel governo che non punì proprio nessuno, e lasciò andare i colpevoli di una congiura contro di lui in modo tale che li ebbe nella stessa amicizia di prima. Fu di così grande cortesia e bontà che, non negando nulla a nessuno ed essendo criticato per questo dagli amici, rispose che nessuno doveva allontanarsi tristemente dall'imperatore, inoltre un giorno durante la cena, essendosi ricordato di non aver concesso nulla a nessuno quel giorno, disse "Amici, oggi ho perso un giorno". Questi fece costruire un anfiteatro a Roma e uccise nell'inaugurazione cinquemila belve.
Hinc iam bellum civile successit exsecrandum et lacrimabile, quo praeter calamitates, quae in proeliis acciderunt, etiam populi Romani fortuna mutata est. Caesar enim rediens ex Gallia victor coepit poscere alterum consulatum atque ita ut sine dubietate aliqua ei deferretur. Contradictum est a Marcello consule, a Bibulo, a Pompeio, a Catone, iussusque dimissis exercitibus ad urbem redire. Propter quam iniuriam ab Arimino, ubi milites congregatos habebat, adversum patriam cum exercitu venit.Consules cum Pompeio senatusque omnis atque universa nobilitas ex urbe fugit et in Graeciam transiit. Apud Epirum, Macedoniam, Achaiam Pompeio duce senatus contra Caesarem bellum paravit.
Dopo iniziò una guerra civile maledetta e deplorevole, con la quale, oltre alle sventure che successero nei combattimenti, anche il destino del popolo romano mutò. Cesare infatti, ritornando dalla Gallia vincitore, iniziò a chiedere un'altro consolato. fu contraddetto dal console Marcello, da Bibulo, da Pompeo, da Catone e gli fu ordinato di tornare in città dopo aver sciolto gli eserciti. Per questo affronto da Rimini, dove aveva radunato i soldati, mosse verso la sua patria con l'esercito. I consoli, con Pompeo, tutto il senato e tutta la nobiltà fuggì dalla città e si trasferì in Grecia. Presso l'Epiro, la Macedonia e l'Acaia il senato preparò la guerra contro Cesare, con Pompeo come comandante.
Interim Pompeius pacem rupit et navali proelio victus fugiens ad Asiam interfectus est. Antonius, qui Asiam et Orientem tenebat, repudiata sorore Caesari Augusti Octaviani, Cleopatram, regina Egypti, duxit uxorem. Contra Persas etiam ipse pugnavit. Primis eos proeliis vicit, regrediens tamen fame et pestilentia laboravit et, cum instarent Parthi fugienti, ipse recessit.
Frattanto Pompeo ruppe la pace e vinto in battaglia navale fu ucciso mentre fuggiva in Asia. Antonio, che occupava Asia e Oriente, dopo aver ripudiato la sorella di Cesare Ottaviano Augusto, sposò Cleopatra regina di Egitto. Contro i Persiani combatté anche lui in persona. Li vinse durante le prime battaglie, tuttavia mentre tornava indietro soffrì a causa della fame e di una pestilenza e, dandogli addosso i Parti mentre fuggiva, si allontanò (come uno sconfitto).
Anno urbis conditae sexcentesimo sexagesimo secundo primum Romae bellum civile commotum est, eodem anno etiam Mithridaticum. Causam bello civili C.Marius sexiens consul dedit. Nam consul missus est Sulla bellum gesturus contra Mithridatem, qui Asiam et Achaiam occupaverat. Dum Sulla exercitum in Campania paulisper tenet, ut reliquiae belli socialis, quod intra Italiam gestum erat, tollerentur, Marius adfectavit ut ipse ad bellum Mithridaticum mitteretur.Qua re Sulla commotus cum exercitu ad urbem venit. Illic contra Marium et Sulpicium dimicavit. Primus Romam armatus intravit, Sulpicium interfecit, Marium fugavit, atque ita ordinatis consulibus in futurum annum Cn. Octavio et L. Cornelio Cinna ad Asiam profectus est.
Nel 662° anno dalla fondazione della città fu intrapresa la prima guerra civile a Roma, nello stesso anno anche quella Mitridatica. Mario, per la sesta volta console, fornì il pretesto per la guerra civile. Infatti il console Silla essendo stato mandato a combattere contro Mitridate, che aveva occupato l’Asia e l’Acaia, ed essendo stato lui stesso per poco tempo a capo dell’esercito in Campania, per incoraggiare i superstiti della guerra sociali, della quale abbiamo parlato, che era stata combattuta in Italia, Mario dispose che egli stesso fosse mandato a combattere la guerra Mitridatica. Perciò Silla, irritato, marciò sulla città con l’esercito. Lì combattè contro Mario e Sulpicio. (Silla) entrò per primo armato nella città di Roma, uccise Sulpicio, mise in fuga Mario e così nominati consoli per l’anno successivo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna, partì per l’Asia.
Huic successit Tullus Hostilius. Hic bella reparavit, Albanos vicit, qui urbi Romae proximi sunt, Veientes et Fidenates, quorum illi sexto miliario absunt ab urbe Roma, hi octavo decimo, bello superavit atque urbem ampliavit, adiecto Caelio monte. Cum triginta et duos annos regnavisset, fulmine ictus, cum domo sua arsit.
Costui riprese le guerre, sconfisse gli Albani, che sono vicini alla città di Roma, vinse in guerra i Veienti e i Fidenati dei quali quelli erano distanti sei miglia dalla città di Roma, questi diciotto miglia e amplio la città, dopo aver aggiunto il colle Celio.Dopo aver regnato per 32 anni, colpito da un fulmine, bruciò insieme alla sua casa.
Postea Numa Pompilius rex creatus est, qui bellum nullum gessit, sed non minus civitati quam Romulus profuit .Nam et leges Romanis moresque constituit, cum consuetudine proeliorum iam latrones ac semibarbari putarentur, et annum, prius sine ulla supputatione confusum, descripsit in decem menses, et infinita Romae sacra ac templa constit. Morbo decessit quardagesimo et tertio imperi anno. Numae successit Tullus Hostilium. Hic bella reparavit, Albanos vicit, Veientes et Fidenates bello superavit, urbem ampliavit, adiecto Caelio monte.Cum triginta et duos annos regnavissent, fulmine ictus cum domo sua arsit. Post Hostilium, Ancus Marcius, Numae ex filia nepos, suscepit imperium.Contra Latines dimicavit, Aventium montem civitati adiecit et Ianiculum. Apud ostium Tiberis civitatem supra mare condidit. Vicesimo et quarto anno imperii morbo periit.
Dopo fu fatto re Numa Pompilio, il quale non fece nessuna guerra, ma non giovò alla città meno di Romolo. Infatti fondò anche le leggi e i costumi romani, esseendo considerati già ladroni e incivili a causa dell'abitudini ai combattimenti, divise l'anno in dieci mesi, prima confuso senza nessuna divisione e fondò infiniti riti sacri e templi a Roma. Egli morì per una malattia nel 43^ anno di potere. Tullo Ostilio successe a Numa. Costui riprese le guerre e vinse gli Albani, superò i Veienti e i Fidenati con una guerra, ampliò la città, dopo che fu aggiunto il Monte Celio. Dopo aver regnato per 32 anni, colpito da un fulmine bruciò con la sua casa. Dopo Ostilio, Anco Marzio, nipote di Numa da parte della figlia, prese il potere. Lottò contro i Latini, aggiunse il Monte Aventino e il Gianicolo alla città. Fondò una città sopra il mare presso la foce del Tevere. Morì nel 24^anno di potere, per una malattia.
Cum Perseo autem Aemilius Paulus consul III Nonas Septembres dimicavit vicitque eum viginti milibus peditum eius occisis. Equitatus cum rege integer fugit. Romanorum centum milites amissi sunt. Urbes Macedoniae omnes, quas rex tenuerat, Romanis se dediderunt; ipse rex, cum desereretur ab amicis, venit in Pauli potestatem. Sed honorem ei Aemilius Paulus consul non quasi victo habuit. Nam et volentem ad pedes sibi cadere non permisit et iuxta se in sella conlocavit.Macedonibus et Illyriis hae leges a Romanis datae: ut liberi essent et dimidium eorum tributorum praestarent, quae regibus praestitissent, ut appareret, populum Romanum pro aequitate magis quam avaritia dimicare. Itaque in conventu infinitorum populorum Paulus hoc pronuntiavit et legationes multarum gentium, quae ad eum venerant, magnificentissime convivio pavit, dicens eiusdem hominis esse debere et bello vincere et in convivii apparatu elegantem esse.
Contro Perseo combattè il cinque settembre il console Emilio Paolo e lo sconfisse dopo aver ucciso ventimila suoi fanti. Dei Romani furono perduti cento soldati. Tutte le città della Macedonia, che il re aveva tenuto, si arresero ai Romani; il re stesso, essendo abbandonato dagli amici, cadde in potere di Paolo. Ma a lui il console Emilio Paolo fece onore come se non fosse stato battuto. A lui infatti, che voleva prostrarsi ai suoi piedi, non lo permise e lo mise nel seggio di fianco a sè. Furono date queste condizioni ai Macedoni e agli Illiri : di essere liberi e versare la metà di quei tributi, che avevano pagato ai re, perchè fosse evidente che il popolo Romano combatteva per la giustizia più che per l'avidità. E così al congresso di numerosissimi popoli Paolo dichiarò ciò e fece imbandire con grande magnificenza un banchetto per le rappresentanze di molti popoli, che erano venute da lui, sostenendo che era proprio di uno stesso uomo sia vincere in guerra sia essere raffinato nella preparazione di un banchetto.
Post eum M. Antoninus solus rem publicam tenuit, vir quem mirari facilius quis quam laudare possit. A principio vitae tranquillissimus, adeo ut ex infantia quoque vultum nec ex gaudio nec ex maerore mutaverit. Philosophiae deditus Stoicae, ipse etiam non solum vitae moribus, sed etiam eruditione philosophus. Tantae admirationis adhuc iuvenis, ut eum successorem paraverit Hadrianus relinquere, adoptato tamen Antonino Pio generum ei idcirco esse voluerit, ut hoc ordine ad imperium perveniret.
Dopo di lui (di Vero) resse da solo lo Stato Marco Antonino, uomo che qualcuno può più facilmente ammirare che lodare. Fin dal principio della vita (fu) molto tranquillo, a tal punto che fin dall'infanzia non mutava faccia né alla gioia né dal dolore. Dedito alla filosofia Stoica, anch'egli (fu) fu filosofo non solo per il comportamento (libero per vitae moribus), ma anche per l'erudizione. Da giovane (fu degno) di così tanta ammirazione, che Adriano dispose che fosse lasciato come successore, e adottato tuttavia Antonino Pio, volle appunto che fosse per lui genero, affinché prendesse la carica di imperatore per quest'ordine.
Anno urbis septingentesimo fere ac nono interfecto Caesare civilia bella reparata sunt. Percussoribus enim Caesaris senatus favebat. Antonius consul partium Caesaris civilibus bellis opprimere eos conabatur. Ergo turbata re publica multa Antonius scelera committens a senatu hostis iudicatus est. Missi ad eum persequendum duo consules, Pansa et Hirtius, et Octavianus, adulescens annos X et VIII natus, Caesaris nepos, quem ille testamento heredem reliquerat et nomen suum ferre iusserat.Hic est, qui postea Augustus est dictus et rerum potitus. Qui profecti contra Antonium tres duces vicerunt eum. Evenit tamen ut victores consules ambo morerentur. Quare tres exercitus uni Caesari Augusto paruerunt.
Verso il settecentesimo anno della città, dopo l'assassinio di Cesare, furono riorganizzate le guerre civili. Infatti il senato favoriva gli uccisori di Cesare. Il console Antonio, del partito di Cesare, tentava di vincerli con le guerre civili. Dunque, agitata la repubblica, Antonio, che commetteva molti delitti, fu dichiarato pubblicamente un nemico dal senato. Furono mandati due consoli per punirlo, Pansa e Irzio, e il giovane Ottaviano, dell'età di diciotto anni, nipote di Cesare, il quale quello aveva nominato erede nel testamento e aveva comandato di tramandare il suo nome. Questo è colui che in seguito fu chiamato Augusto e si impadronì del potere. E avanzati contro Antonio tre condottieri lo vinsero. Tuttavia successe che ambedue i consoli vincitori morirono. Perciò tre eserciti furono a disposizione dello stesso Cesare Augusto.
Eodem tempore Tarentinis, qui iam in ultima Italia sunt, bellum indictum est, quia legatis Romanorum iniuriam fecissent. Hi Pyrrum, Epiri regem, contra Romanos in auxilium poposcerunt, qui ex genere Achillis originem trahebat. Is mox ad Italiam venit, tumque primum Romani cum transmarino hoste dimicaverunt. Missus est contra eum consul P. Valerius Laevinus, qui cum exploratores Pyrri cepisset, iussit eos per castra duci, ostendi omnem exercitum tumque dimitti, ut renuntiarent Pyrro quaecumque a Romanis agerentur.Commissa mox pugna, cum iam Pyrrus fugeret, elephantorum auxilio vicit, quos incognitos Romani expaverunt. Sed nox proelio finem dedit; Laevinus tamen per noctem fugit, Pyrrus Romanos mille octingentos cepit et eos summo honore tractavit, occisos sepelivit. Quos cum adverso vulnere et truci vultu etiam mortuos iacere vidisset, tulisse ad caelum manus dicitur cum hac voce: se totius orbis dominum esse potuisse, si tales sibi milites contigissent.
Allo stesso tempo fu dichiarata guerra ai Tarantini, che si trovano nella parte più remota dell'Italia, poiché avevano fatto un’offesa agli ambasciatori dei Romani. Questi invocarono in aiuto contro i Romani Pirro, re dell'Epiro, che traeva le origini dalla stirpe di Achille. Egli subito venne in Italia, e allora per la prima volta i Romani combatterono con un nemico d'oltremare. Fu mandato contro di lui il console Publio Valerio Levino, che, catturati le spie di Pirro, ordinò che fossero condotte per (tutto) l'accampanento, che fossero mostrate a tutto l'esercito e che dopo fossero liberate, affinché riferissero a Pirro tutto cio che si faceva dai Romani. Attaccata subito la battaglia, quando ormai Pirro fuggiva, vinse con l'aiuto degli elefanti, che, sconosciuti ai Romani, (li) spaventarono (la trad. letterale è praticamente impossibile). Ma la notte pose fine alla battaglia; Levino comunque fuggì durante la notte, Pirro catturò milleottocento Romani e li trattò col massimo riguardo, (e) seppellì i cadaveri. E avendo visto questi (i cadaveri) che giacevano con le ferite riverse e il volto truce anche da morti, si dice che rivolse le mani al cielo con queste parole: che sarebbe potuto essere il padrone del mondo intero, se gli fossero toccati tali soldati.
Postea Pyrrus, coniunctis sibi Samnitibus, Lucanis, Brittiis, Romam perrexit, omnia ferro ignique vastavit, Campaniam populatus est atque ad Praeneste venit, miliario ab urbe octavo decimo. Mox terrore exercitus, qui eum cum consule sequebatur, in Campaniam se recepit. Legati ad Pyrrum de redimendis captivis missi ab eo honorifice suscepti sunt. Captivos sine pretio Romam misit. Unum ex legatis Romanorum, Fabricium, sic admiratus, cum eum pauperem esse cognovisset, ut quarta parte regni promissa sollicitare voluerit, ut ad se transiret, contemptusque est a Fabricio.Quare cum Pyrrus Romanorum ingenti admiratione teneretur, legatum misit, qui pacem aequis condicionibus peteret, praecipuum virum, Cineam nomine, ita ut Pyrrus partem Italiae, quam iam armis occupaverat, obtineret.
In seguito Pirro, messosi insieme ai Sanniti, ai Lucani (e) ai Brizzi, si diresse verso Roma, mise tutto a ferro e fuoco, saccheggiò la Campania ed arrivò a Preneste, a diciotto miglia dalla città. Subito per la paura l'esercito, che lo seguiva insieme al console, si recò in Campania. Gli ambasciatori, inviati a Pirro per il riscatto dei prigionieri, furono onorevolmente accolti da lui. Mandò a Roma i prigionieri senza riscatto. Restò così ammirato di uno degli ambasciatori Romani, Fabrizio, che, quando seppe che era povero, lo volle corrompere con la promessa di un quarto del (suo) regno per passare dalla sua parte, e (la proposta) fu disprezzata da Fabrizio. Perciò Pirro, provando la massima ammirazione per i Romani, mandò come ambasciatore a chiedere la pace ad eque condizioni un uomo straordinario di nome Cinea, in modo che Pirro ottenesse la parte dell'Italia che già aveva occupato con le armi.
Transacto bello Macedonico secutum est Syriacum contra Antiochum regem P. Cornelio Scipione M. Acilio Glabrione consulibus. Huic Antiocho Hannibal se iunxerat, Carthaginem, patriam suam, metu, ne Romanis traderetur, relinquens. M. Acilius Glabrio in Achaia bene pugnavit. Castra regis Antiochi nocturna pugna capta sunt, ipse fugatus. Philippo, quia contra Antiochum Romanis fuisset auxilio, filius Demetrius redditus est.
Poiché la guerra macedonica fu conclusa, fu intrapresa la guerra di Siria contro il re Antioco sotto il consolato di P. Cornelio Scipione e M. Acilio Glabrione. Annibale si era unito ad Antioco, poiché aveva abbandonato Cartagine, la sua patria, per non essere consegnata ai romani. M. Acilio Glabrione ebbe esito favorevole in Acaia. L'accampamento del re Antioco fu conquistato con una battaglia notturna, il re fu messo in fuga. A Filippo, poiché era stato d'aiuto ai Romani contro Antioco, fu reso il figlio Demetro.
Institutus est ad philosophiam per Apollonium Chalcedonium, ad scientiam litterarum Graecarum per Sextus Chaeronensem, Plutarchi nepotem, Latinas autem eum litteras Fronto, orator nobilissimus, docuit. Hic cum omnibus Romae aequo iure egit, ad nullam insolentiam elatus est imperii fastigio; liberalitatis promptissimae. Provincias ingenti benignitate et moderatione tractavit. [...]
Fu istruito in filosofia grazie a Apollonio Calcedonio, in letteratura Greca grazie a Sesto di Cheronea, nipote di Plutarco, mentre quella latina (gliela) insegnò Frontone, grandissimo oratore. Questo a Roma trattò con tutti con piena uguaglianza di diritti, non fu spinto a nessuna sconvenienza per la grandezza dell'impero; (fu) di una evidentissima benevolenza. Trattò le province con grande benevolenza e moderazione. [...]
Hic quoque ingens bellum civile commovit cogente uxore Cleopatra, regina Aegypti, dum cupiditate muliebri optat etiam in urbe regnare. Victus est ab Augustus navali pugna clara et illustri apud Actium, qui locus in Epiro est, ex qua fugit in Aegyptmum et, et desperatis rebus, cum omnes ad Augustum transirent, ipse se interemit. Cleopatram sibi aspidem admisit et veneno eius exstincta est. Aegyptus per Octavianum Augustum imperio Romano adiecta est preaepsitusque ei C.Cornelius Gallus. Hunc primum Aegyptus Romano iudicem habuit.
Questi fomentò anche una grande guerra civile, costretto dalla moglie Cleopatra, regina d'Egitto, poiché per ambizione femminile bramava regnare anche a Roma. Fu sconfitto da Augusto nella celebre e importante battaglia navale di Azio, che è un luogo dell'Epiro, (battaglia) dalla quale fuggì in Egitto e essendo ormai la situazione disperata poiché tutti passavano dalla parte di Augusto, si tolse la vita. Cleopatra avvicinò a sé un aspide e si uccise col suo veleno. L'Egitto fu annesso grazie a Ottaviano Augusto all'Impero Romano e ad esso fu preposto Caio Cornelio Gallo. L'Egitto ebbe per la prima volta un giudice romano.
Ita bellis toto orbe confectis Octavianus Augustus Romam rediit, duodecimo anno, quam consul fuerat. Ex eo rem publicam per quadraginta et quattuor annos solus obtinuit. Ante enim duodecim annis cum Antonio et Lepido tenuerat. Ita ab initio principatus eius usque ad finem quinquaginta et sex anni fuerunt. Obiit autem septuagesimo sexto anno morte communi in oppido Campaniae Atella. Romae in campo Martio sepultus est, vir, qui non inmerito ex maxima parte deo similis est putatus.Neque enim facile ullus eo aut in bellis felicior fuit aut in pace moderatior. Quadraginta et quattuor annis, quibus solus gessit imperium, civilissime vixit, in cunctos liberalissimus, in amicos fidissimus, quos tantis evexit honoribus, ut paene aequaret fastigio suo.
Così dopo aver terminato le guerre in tutto il mondo Ottaviano Augusto ritornò a Roma, undici anni dopo che fu fatto console. Da quel momento mantenne per 44 anni lo stato da solo. Infatti dodici anni prima lo aveva mantenuto con Antonio Lepido. Così dall’inizio del suo principato fino alla fine trascorsero 56 anni. Morì poi nel settantaseiesimo anno per morte comune nella città di Atella in Campania. L’uomo che meritatamente fu considerato da molti simile a un dio, fu sepolto a Roma nel Campo Marzio. Infatti nessuno facilmente fu sia guerra più fortunato o pace più moderato. Per 44 anni governò da solo l’impero, visse civilmente, liberissimo in giudizio, fedelissimo con gli amici, ricompensato di tanti amori, pari quasi alla sua grandezza.
Pax displicuit remandatumque Pyrro est a senatu eum cum Romanis, nisi ex Italia recessisset, pacem habere non posse. Tum Romani iusserunt captivos omnes, quos Pyrrus reddiderat, infames haberi, quod armati capi potuissent, nec ante eos ad veterem statum reverti, quam si binorum hostium occisorum spolia retulissent. Ita legatus Pyrri reversus est. A quo cum quaereret Pyrrus, qualem Romam comperisset, Cineas dixit regum se patriam vidisse; scilicet tales illic fere omnes esse, qualis unus Pyrrus apud Epirum et reliquam Graeciam putaretur.Missi sunt contra Pyrrum duces P. Sulpicius et Decius Mus consules. Certamine commisso Pyrrus vulneratus est, elephanti interfecti, viginti milia caesa hostium, et ex Romanis tantum quinque milia; Pyrrus Tarentum fugatus.
La pace non piacque e dal senato fu risposto a Pirro che non poteva avere una pace con i Romani se non fosse andato via dall'Italia. Allora i Romani ordinarono che tutti i prigionieri che Pirro aveva restituito fossero ritenuti infami, avendo potuto essere presi in armi, e che non tornassero alla precedente condizione se prima non portassero le spoglie di due nemici uccisi. Così l'ambasciatore di Pirro se ne tornò. E Pirro, quando gli chiese come avesse trovato Roma, Cinea disse che aveva visto la patria dei re; cioè che là quasi tutti erano tali e quali a come il solo Pirro era ritenuto in Epiro e nel resto della Grecia. Furono inviati come comandanti contro Pirro i consoli Publio Sulpicio e Decio Mure. Intrapresa la battaglia Pirro fu ferito, gli elefanti uccisi, ventimila uccisi tra i nemici, e solo cinquemila tra i Romani; Pirro fu messo in fuga a Taranto.
Cum igitur clarum Scipionis nomen esset, iuvenis adhuc consul est factus et contra Carthaginem missus. Is eam cepit ac diruit. Spolia ibi inventa, quae variarum civitatum excidiis Carthago collegerat, et ornamenta urbium civitatibus Siciliae, Italiae, Africae reddidit, quae sua recognoscebant. Ita Carthago septingentesimo anno, quam condita erat, deleta est. Scipio nomen, quod avus eius acceperat, meruit, scilicet ut propter virtutem etiam ipse Africanus iunior vocaretur.
Dopo ciò, mentre il nome di Scipione era famoso, venne nominato un giovane console sino ad ora e venne mandato contro Cartagine. Questo la conquistò e la distrusse. Là trovate le spoglie, che Cartagine aveva raccolto grazie alla distruzione di varie società, restituì alle città di Sicilia, Italia e Africa l’onore delle città che passarono in loro rassegna. Così Cartagine al settecentesimo anno, dopo essere stata fondata, fu distrutta. Il nome Scipione, che aveva ricevuto da suo nonno, se lo meritò tanto da essere anche lui chiamato l'Africano più giovane per merito della virtù.
Nono anno post reges exactos, cum gener Tarquini ad iniuriam soceri vindicandam ingentem collegisset exercitum, nova Romae dignitas est creata, quae dictatura appellatur, maior quam consulatus. Eodem anno etiam magister equitum factus est, qui dictatori obsequeretur. Neque quicquam similius potest dici quam dictatura antiqua huic imperii potestati, quam nunc tranquillitas vestra habet, maxime cum Augustus quoque Octavianus, de quo postea dicemus, et ante eum C.Caesar sub dictaturae nomine atque honore regnaverint. Dictator autem Romae primus fuit T. Larcius, magister equitum primus Sp. Cassius.
Otto anni dopo la cacciata dei re, dopo che il genero di Tarquinio per vendicare l'ingiustizia del suocero aveva radunato un ingente esercito, a Roma fu creata una nuova carica pubblica, chiamata dittatura, maggiore del consolato. Lo stesso anno fu anche creato il comandante della cavalleria che obbedisse al dittatore. E niente si può dire più simile all'antica dittatura dell'istituto imperale di cui oggi Vostra Serenità si fregia, soprattutto dopo che regnarono anche Ottaviano Augusto, di cui pareremo dopo, e prima di lui Caio Cesare sotto il nome e la carica di dittatore. Il primo dittatore di roma fu T. Larcio, invece il primo comandante della cavalleria Sp. Cassio.
Duo cum incidissent in latronem milites,unus profugit, alter autem restititet vindicavit sese forti dextera.Latrone excusso timidus accurrit comesstringitque gladium, dein reiecta paenula“Cedo” inquit “illum; iam curabo sentiatquos attemptarit.” Tunc qui depugnaverat:“Vellem istis verbis saltem adiuvisses modo;constantior fuissem vera existimans.Nunc conde ferrum et linguam pariter futilem.Ut possis alios ignorantes fallere,ego, qui sum expertus quantis fugias viribus,scio quam virtuti non sit credendum tuae.”Illi adsignari debet haec narratio,qui re secunda fortis est, dubia fugax.
Due soldati s’imbatterono in un malvivente,uno scappò via, l’altro invece resistettecon accanimento. Sconfitto il malvivente, il compagno vilesi fa avanti, impugna la spada, getta via il mantelloe proferisce: «Lasciamelo, ora gli farò sentire io contro chisi è messo costui». E quello che aveva combattutofino in fondo: «Avrei voluto che tu mi avessisoccorso prima almeno con queste parole, sarei statopiù forte credendole vere. Riponi ormai la spadae, allo stesso modo, frena la tua futile lingua;forse puoi ingannare gli altri che non sanno…Io, che ho sperimentato quanta energiametti nel fuggire, so quanto sia da tenere in pococonto il tuo valore». Questa favola deve essere applicataa colui che è coraggioso nella buona sorte e vile nelle avversità.
Adversus omnes fortis et velox ferascanis cum domino semper fecisset satis,languere coepit annis ingravantibus.Aliquando obiectus hispidi pugnae suis,arripuit aurem; sed cariosis dentibuspraedam dimisit rictus. Venator dolenscanem obiurgabat. Cui senex contra latrans:“Non te destituit animus, sed vires meae.Quod fuimus lauda, si iam damnas quod sumus.”Hoc cur, Philete, scripserim pulchre vides.
Un cane vigoroso contro tutte le veloci fiere, che avevasempre lavorato bene per il suo padrone, cominciòa perdere vigore con l’incalzare dell’età.Un giorno che si scontrò con un ispido cinghialegli afferrò l’orecchio, ma a causa dei denti cariati abbandonòla preda. E il cacciatore, dolente, lo sgridò. Di rimando,il vecchio Lacone: «Tu non hai perduto il miocoraggio, ma le mie forze; tu lodi ciò ch’io fuise ora dileggi ciò che sono». E tu, Fileto, potraicapire perché io mi esprimo in questo modo.
Mons parturibat, gemitus immanes ciens,eratque in terris maxima expectatio.At ille murem peperit. Hoc scriptum est tibi,qui, magna cum minaris, extricas nihil.
Una montagna partoriva emettendo enormi lamenti.E c’era nel mondo grande attesa, ma quella partorìun topo. Questo scritto ti si addice, perché, mentreprometti grandi cose, non concludi nulla
Personam tragicam forte vulpes viderat;quam postquam huc illuc semel atque iterum verterat,'O quanta species' inquit 'cerebrumnon habet.'Hoc illis dictum est quibus honorem et gloriamFortuna tribuit, sensum communem abstulit.
Una volpe casualmente aveva visto una maschera tragica; e poi averla ruotata di qui e li uno e due volte, “ Oh quanta bellezza, affermò, però non ha il cervello”. Ciò venne affermato per quelli a cui Fortuna attribuì onore e gloria, però rimosse il comune ingegno.
Odiosa cornix super ovem consederat;quam dorso cum tulisset invita et diu,“Hoc” inquit “si dentato fecisses cani,poenas dedisses.” Illa contra pessima:“Despicio inermes, eadem cedo fortibus;scio quem lacessam, cui dolosa blandiar.ideo senectam mille in annos prorogo.
Una cornacchia molesta s’era adagiata soprauna pecora, la quale, dopo averla trasportata a lungo, suomalgrado disse: «Se tu ti fossi comportata così con un canezannuto avresti subìto pene». E quella maledetta, a sua volta:«Io che maltratto i deboli, io stessa cedo ai fortie so bene chi posso irritare e chi con arte allettare.Pertanto, per mille anni, prolungo la vecchiaia».
Cum servus nequam Socrati male diceret,uxorem domini qui corrupisset sui,idque ille sciret notum circumstantibus,“Places tibi” inquit “quia cui non debes places;sed non impune, quia cui debes non places.
Un servo arrogante, che aveva sedotto la mogliedel suo padrone, parlava male di Socrate, il qualeaveva appreso il fatto dai vicini: «Ti glori» disse«perché sei gradito a chi non dovresti, ma non senzarischio, perché non piaci a chi sarebbe giusto».
Mercurium hospitio mulieres olim duaeinliberali et sordido receperant;quarum una in cunis parvum habebat filium,quaestus placebat alteri meretricius.Ergo ut referret gratiam officiis parem,abiturus et iam limen excedens ait:“Deum videtis; tribuam vobis protinusquod quaeque optarit.” Mater suppliciter rogatbarbatum ut videat natum quam primum suum;moecha ut sequatur sese quidquid tetigerit.Volat Mercurius, intro redeunt mulieres.Barbatus infans, ecce, vagitus ciet.Id forte meretrix cum rideret validius,nares replevit umor ut fieri solet.Emungere igitur se volens prendit manutraxitque ad terram nasi longitudinem,et aliam ridens ipsa ridenda extitit.
Due coabitanti avevano accolto Mercurio nella lorocasa povera e lercia. Una delle due teneva un bimbonella culla, l’altra esercitava il meretricio.Pertanto, volendo quello rendersi utile per ricambiarela loro ospitalità, mentre s’avviava verso l’uscio, disse:«Vi trovate di fronte a un dio e subito potròconcedervi ciò che ciascuna di voi mi chiederà».La madre, supplichevole, chiede di vedere il suo bimbopresto con la barba, la prostituta, invece, di averein suo possesso qualunque cosa abbia toccato. Vola viaMercurio, mentre le due donne ritornano in casa. Il bimbodiventa barbuto e vagisce, la prostituta scoppiaa ridere per quel portento e le sue narici, come spesso accade, si gonfiano di moccio; volendo soffiarsi il nasolo afferrò con la mano e lo trascinò a terra semprepiù lungo e mentre rideva dell’altra donnadivenne lei stessa oggetto di derisione.
Quidam immolasset verrem cum sancto Herculi,cui pro salute votum debebat sua,asello iussit reliquias poni hordei.Quas aspernatus ille sic locutus est:“Libenter istum prorsus adpeterem cibum,nisi qui nutritus illo est iugulatus foret.”Huius respectu fabulae deterritus,periculosum semper vitavi lucrum.Sed dicis: “Qui rapuere divitias, habent.”Numeremus agedum qui deprensi perierunt;maiorem turbam punitorum reperies.Paucis temeritas est bono, multis malo.”
Un uomo immolò un porco al sacro Ercole;a cui doveva un voto per la propria salute. Ordinòche i resti dell’orzo andassero all’asino. Quello rifiutòdicendo: «Mangerei assai volentieri il puro cibose colui che se ne è nutrito non fosse stato sgozzato».Dissuaso dalla morale di questa favola, ho sempreevitato il guadagno rischioso. Obietterai:«Coloro che hanno arraffato ricchezzele custodiscono». Dunque, teniamo presenticoloro che, presi sul fatto, pagarono con la vitae ti accorgerai che la schiera dei giustiziatiabbonda. La temerarietà giova a pochi, a molti è dannosa.
Calvi momordit musca nudatum caput, quam opprimere captans alapam sibi duxit gravem. Tunc illa inridens: "Punctum volucris parvulae voluisti morte ulcisci; quid facies tibi, iniuriae qui addideris contumeliam?" Respondit: "Mecum facile redeo in gratiam, quia non fuisse mentem laedendi scio. Sed te, contempti generis animal improbum, quae delectaris bibere humanum sanguinem, optem necare vel maiore incommodo." Hoc argumento venia donari decet qui casu peccat.Nam qui consilio est nocens, illum esse quavis dignum poena iudico.
La mosca morse il capo spoglio di un calvo, che cercando di ammazzarla si diede un forte colpo. Dunque questa ridendo: “Hai voluto vendicare con il decesso la puntura d’un insetto piccolo; che fai per te, che all'oltraggio hai sommato la beffa?” Risponde: “Con me semplicemente ritorno in amicizia, perché so che non vi é stata nessuna intenzione di fare male. Pero' te, cattivo essere di una specie odiata, che ti diverti a bere sangue umano, vorrei ammazzarti anche con maggior male.” Con codesta prova è bene che sia offerto perdono a chi erra casualmente. Pero' chi è dannoso per volere reputo che quello sia degno di ogni castigo.
In principatu commutando, saepiusnil praeter domini nomen mutant pauperes.id esse verum parva haec fabella indicat.Asellum in prato timidum pascebat senex.Is hostium clamore subito territussuadebat asino fugere ne possent capi.At ille lentus: "Quaeso, num binas mihiclitellas impositurum victorem putas?".Senex negavit. "Ego quid mea,cui seviam, clitellas dum portem meas?".
Nel cambiare governo, troppo spesso i poveri non cambiano nulla tranne il nome del padrone. Questa favoletta dimostra che questo è vero. Un vecchio timoroso pascolava un asinello nel prato. Quello atterrito dall'improvviso arrivo dei nemici, persuadeva l'asino a fuggire per non essere catturati. Ma quello calmo: "Per favore, forse tu pensi che il vincitore mi imporrà due bisacce?". Il vecchio negò. "Pertanto cosa mi interessa a chi io serva, purchè io porti le mie bisacce?".
Cum castitatem Iuno laudaret suam,iocunditatis causa non renuit Venus,nullamque ut affirmaret esse illi pareminterrogasse sic gallinam dicitur:“Dic, sodes, quanto possis satiari cibo?”Respondit illa “Quidquid dederis, satis erit,sic ut concedas pedibus aliquid scalpere.”“Ne scalpas” inquit “satis est modius tritici?“Plane, immo nimium est, sed permitte scalpere.”“Ex toto ne quid scalpas, quid desideras?”Tum denique illa fassa est naturae malum:“Licet horreum mi pateat, ego scalpam tamen.”Risisse Iuno dicitur Veneris iocos,quia per gallinam denotavit feminas.
Giunone si gloriava per la sua castità, Venere non rinunciòa un’occasione di giocondità e per dimostrarle che nessunola poteva uguagliare, interrogò la gallina, come si racconta.«Ti prego, dimmi: quanto cibo occorre perchétu possa saziarti?». E quella: «Ciò che midarai mi sarà sufficiente, purché tumi permetta di grattare qualcosa con le zampe».«E per non grattare ti è sufficiente un moggio di frumento?»«Certo, è perfino troppo, ma permetti ch’io razzoli».«Infine, per non razzolare, che cosa ti necessita?».Allora finalmente la gallina dichiara che si tratta d’un difettodi natura. «Anche se tu consentissi ad aprirmi il granaio,ciononostante, io continuerei a raspare». Si raccontòche Giunone avesse riso alle battute di Venere, in quantoaveva capito che la gallina indicava le donne.
Cursu volucri, pendens in novacula,calvus, comosa fronte, nudo corpore,quem si occuparis, teneas, elapsum semelnon ipse possit Iuppiter reprehendere,occasionem rerum significat brevem.Effectus impediret ne segnis mora,finxere antiqui talem effigiem Temporis.
Corridore alato, sospeso sul filo di un rasoio,calvo, con la fronte cosparsa di peli, con la nucanuda (se riesci a fermarlo, tienilo stretto, ma unavolta ch’è scappato non può riprenderlo lo stessoGiove) rappresenta la fugacità delle cose.Gli antichi così raffigurarono il tempo, perchéil lento indugio non rendesse vano il successo.
Homo in periclum simul ac venit callidus,reperire effugium quaerit alterius malo.Cum decidisset vulpes in puteum insciaet altiore clauderetur margine,devenit hircus sitiens in eundem locum.Simul rogavit, esset an dulcis liquoret copiosus, illa fraudem moliens:“Descende, amice; tanta bonitas est aquae,voluptas ut satiari non possit mea.”Immisit se barbatus. Tum vulpeculaevasit puteo, nixa celsis cornibus,hircumque clauso liquit haerentem vado.
L’uomo astuto, appena sente che è in pericolo,è abituato a trovare scampo a danno degli altri.Mentre una volpe distratta era precipitata in un pozzoe vi restava imprigionata, data la sponda alta,un caprone assetato capitò in quello stessoluogo; subito le chiese se l’acqua fosse buonae abbondante. E la volpe, ingannando: «Vieni giù, amico,c’è tanta bontà d’acqua che il mio piaceredi bere non può essere saziato». E il barbuto saltò dentro.Allora la volpetta, puntandosi sulle alte corna,uscì fuori dal pozzo e lasciò il caproneincastrato in quel guado senza uscita.
Periculosum est credere et non credere.Utriusque exemplum breviter adponam rei.Hippolytus obiit, quia novercae creditum est;Cassandrae quia non creditum, ruit Ilium.Ergo exploranda est veritas multum, priusquam stulte prava iudicet sententia.Sed, fabulosam ne vetustatem eleves,narrabo tibi memoria quod factum est mea.Maritus quidam cum diligeret coniugem,togamque puram iam pararet filio,seductus in secretum a liberto est suo,sperante heredem suffici se proximum.qui, cum de puero multa mentitus foretet plura de flagitiis castae mulieris,adiecit, id quod sentiebat maximedoliturum amanti, ventitare adulterumstuproque turpi pollui famam domus.Incensus ille falso uxoris criminesimulavit iter ad villam, clamque in oppidosubsedit; deinde noctu subito ianuamintravit, recta cubiculum uxoris petens,in quo dormire mater natum iusserat,aetatem adultam servans diligentius.Dum quaerunt lumen, dum concursant familia,irae furentis impetum non sustinensad lectum vadit, temptat in tenebris caput.Ut sentit tonsum, gladio pectus transigit,nihil respiciens dum dolorem vindicet.Lucerna adlata, simul adspexit filiumsanctamque uxorem dormientem [illum prope],sopita primo quae nil somno senserat,representavit in se poenam facinoriset ferro incubuit quod credulitas strinxerat.Accusatores postularunt mulierem,Romamque pertraxerunt ad centumviros.Maligna insontem deprimit suspicio,quod bona possideat.Stant patroni fortitercausam tuentes innocentis feminae.A divo Augusto tum petiere iudicesut adiuvaret iuris iurandi fidem,quod ipsos error implicuisset criminis.Qui postquam tenebras dispulit calumniaecertumque fontem veritatis repperit,«Luat» inquit «poenas causa libertus mali;namque orbam nato simul et privatam viromiserandam potius quam damnandam existimo.Quod si delata perscrutatus criminapaterfamilias esset, si mendaciumsubtiliter limasset, a radicibusnon evertisset scelere funesto domum.»Nil spernat auris, nec tamen credat statim,quandoquidem et illi peccant quos minime putes,et qui non peccant impugnantur fraudibus.Hoc admonere simplices etiam potest,opinione alterius ne quid ponderent.Ambitio namque dissidens mortaliumaut gratiae subscribit aut odio suo.Erit ille notus quem per te congnoveris.Haec exsecutus sum propterea pluribus,brevitate nimia quoniam quosdam offendimus.
È un rischio credere e anche non credere.Esporrò brevemente un esempio per l’uno e l’altro caso.Ippolito morì perché la sua matrigna fu creduta;Cassandra non fu creduta e Troia andò in macerie.Per questo occorre esaminare a fondo la verità,prima che una sentenza iniqua giudichi stoltamente.Ma per non attingere a storie antiche, tiracconterò un fatto ben chiaro alla mia memoria.Un marito, che stravedeva per la sua compagnae che stava per apprestare la splendida toga al figlio,fu sobillato segretamente da un suo libertoche sperava diventare prossimo erede. Questomaligno, dopo aver costruito menzogne nei confrontidel giovane e molte infamie sulla moglie onorata,ammise, con un colpo estremo al cuore dell’innamorato,che un amante s’aggirava per la sua casa disonorandolacon ignobile incesto. Il marito, acceso dalla falsa infamiasulla moglie, simulò un viaggio alla villa, e invecerimase nascosto in città; poi, di notte, entròportandosi nella stanza da letto della moglie, dovecostei aveva comandato al figlio di dormire e dovel’avrebbe sorvegliato attentamente per la sua etàcritica. E mentre i servi chiedono una lucerna, mentresi precipitano, l’uomo, preso dall’impeto dell’ira,irrompe verso il letto, tasta nel buio il capo e, appenalo sente rasato, conficca la spada nel petto per nullacosciente poi che rivendicava il suo dolore.Arrivata la luce, come vide il figlio e la casta moglieche dormiva nella sua stanza, la quale nulla avevainteso, sopita com’era nel primo sonno, l’uomorivolse a se stesso la pena del delitto suicidandosicon la spada che la sua credulità gli aveva fattoimpugnare. Viene accusata la moglie e trascinatadavanti ai centurioni. Grave è l’indizio per leidisgraziata, che detiene il patrimonio. Vi sonoavvocati che perorano con impegno la causadi questa donna innocente. Allora i giudicisi rivolsero al Divo Augusto e chiesero, frastornaticom’erano, la fiducia del giuramento per quel delittoinfamante. E il Divo Augusto poté fugare le tenebredella calunnia; scoprì la precisa originedella verità e sentenziò: «Che paghi quel libertola colpa per il male. Giudico, difatti, la donnaprivata del figliolo e del consorte, danneggiatapiù che colpevole. Se quell’uomo, padre di famiglia,avesse vagliato le accuse riferite, se avessepotuto immaginare la falsità, non avrebbedistrutto la sua casa con siffatta tragedia».Nulla spregi il tuo orecchio, ma tu non devicredere alla leggera, perché laddovenon sospetti, si trovano i colpevoli, e invecegli innocenti vengono distrutti da vili accuse.Può giovare pure questo discorso ai semplici,perché non prendano per oro colato l’opinionedegli altri: la cupidigia, infatti, tenendo discordii mortali, accorda ora l’odio ora il favore.Ti sarà noto solo colui che avrai conosciutodirettamente. Io ho esposto tutto ciò dilungandomidal momento che per eccessiva brevitàpotremmo offendere qualcuno.
Consilia qui dant prava cautis hominibuset perdunt operam et deridentur turpiter.Canes currentes bibere in Nilo flumine,a corcodillis ne rapiantur, traditum est.Igitur cum currens bibere coepisset canis,sic corcodillus 'Quamlibet lambe otio,noli vereri'. At ille 'Facerem mehercules,nisi esse scirem carnis te cupidum meae'.
Quelli che offrono brutti consigli agli uomini prudenti perdono tempo e vengono presi in giro in modo turpe. Si dice che i cani correndo bevevano nel fiume Nilo, per non venir catturati dai coccodrilli. Dunque un cane avendo iniziato a bere correndo, così il coccodrillo « Bevi in modo sereno quanto vuoi, non aver paura ». E quello « Lo farei, sicuramente, se non fossi a conoscenza che sei desideroso della mia carne».
Contra potentes nemo est munitus satis;si vero accessit consiliator maleficus,vis et nequitia quicquid oppugnant, ruit.Aquila in sublime sustulit testudinem:quae cum abdidisset cornea corpus domo,nec ullo pacto laedi posset condita,venit per auras cornix, et propter volans«Opimam sane praedam rapuisti unguibus;sed, nisi monstraro quid sit faciendum tibi,gravi nequiquam te lassabit pondere.»promissa parte suadet ut scopulum superaltis ab astris duram inlidat corticem,qua comminuta facile vescatur cibo.inducta vafris aquila monitis paruit,simul et magistrae large divisit dapem.sic tuta quae Naturae fuerat munere,impar duabus, occidit tristi nece.
Nessuno è abbastanza al sicuro contro i potenti;poi, se v’è tra i piedi un consigliere maligno,qualunque cosa combattano la violenza e la crudeltàva in rovina. Un’aquila trasse in alto una tartaruga.Questa si nascose nel suo guscio corneo affinché non potesseessere danneggiata in nessun modo. Comparve per l’aria unacornacchia e, volandole vicino, disse: «Hai rapito con i tuoiartigli una bestiaccia, ma se non ti suggerisco che cosaoccorre fare, inutilmente ti stancherai con quel corpopesante». Promessale una parte, le suggerìdi buttare il duro guscio dall’alto soprauno scoglio, affinché, una volta infranto, potesse cibarseneliberamente. Persuasa dalle parole, l’aquila diede retta ai consigli, spartì generosamente con quella consiglierail banchetto. E così quella che era al sicuroper un dono della natura morìmiseramente, impotente contro due.
Muli gravati sarcinis ibant duo:unus ferebat fiscos cum pecunia,alter tumentis multo saccos hordeo.Ille onere dives celsa cervice eminens,clarumque collo iactans tintinabulum;comes quieto sequitur et placido gradu.Subito latrones ex insidiis advolant,interque caedem ferro ditem sauciant:diripiunt nummos, neglegunt vile hordeum.spoliatus igitur casus cum fleret suos,"Equidem", inquit alter, "me contemptum gaudeo;nam nil amisi, nec sum laesus vulnere".Hoc argumento tuta est hominum tenuitas,magnae periclo sunt opes obnoxiae.
Due muli camminavano, carichi di sacche; uno portava delle sacche di denaro, l'altro sacche piene zeppe di molto orzo. Il primo, ricco, che sporgeva con il collo fiero per il carico, e che, altezzoso, scuoteva con il collo il "sonaglio"; il compagno lo segue con passo lento e tranquillo. Improvvisamente da un'imboscata irrompono dei briganti, e nella mischia colpirono con una spada il (mulo) ricco, saccheggiano le monete ed ignorarono il vile orzo. Allora, mentre quello derubato piangeva le sue disgrazie, l'altro disse: "Sono veramente felice di essere stato disprezzato; infatti non ho perso niente, e non sono stato ferito".Con questo discorso è difesa la semplicità degli uomini, (mentre) le ricchezze sono soggette a un grande pericolo.
Aesopus auctor quam materiam repperit,hanc ego polivi1 versibus senariis.Duplex libelli dos est: quod risum movet,et quod prudenti vitam consilio monet.Calumniari si quis autem voluerit,quod arbores loquantur, non tantum ferae,fictis iocari nos meminerit fabulis.”
Ho raffinato con versi senari, gli argomentiche l’autore Esopo inventò. Duplice è la dotedel libretto, perché sprigiona il riso e perchétempra l’esistenza con savia prudenza. Se qualcunopoi avrà da ridire sul fatto che sono gli alberia parlare, non solamente le bestie, tenga a menteche ci siamo svagati con racconti immaginati.”
Eunuchus litigabat cum quodam improbo,qui super obscena dicta et petulans iurgiumdamnum insectatus est amissi corporis.«En» ait «hoc unum est cur laborem validius,integritatis testes quia desunt mihi.Sed quid Fortunae, stulte, delictum arguis?Id demum est homini turpe quod meruit pati.
Un eunuco litigava con un tale malvagioil quale, oltre alle parole oscene, con arroganzasi accaniva sulla menomazione del suo corpo mutilato.Si difese quello: «L’unico difetto per cui mi tormento moltoè perché mi mancano i testimoni dell’integrità, ma perché,stolto, mi accusi per un delitto della malasorte?È vergognoso per l’uomo solo ciò che ha meritato patire».
Numquam est fidelis cum potente societas:testatur haes fabella propositum meum.Vacca et capella et patiens ovis iniuriaeSocii fuere cum leone in saltibus.Hi cum sepissent cervum vasti corporis,sic est locutu partibus factis leo:"Ego primam tollo, nomina quia leo;secundam, quia sum socius, tribuetis mihi;tum, quia plus valeo, me sequetur tertia;malo adficietur, siquis quartam tetigerit".Sic totam praedam sola improbitas abstulit.
Non c'è mai un'alleanza sicura con un prepotente: questa favoletta dimostra la mia premessa. Una mucca e una capretta e una pecora, che tollera l'offesa, furono socie con un leone nei boschi. Avendo questi preso un cervo dalla grande corporatura, il leone parlò così, dopo che furono fatte le parti: "io prendo la prima (parte), perché sono chiamato leone; la seconda la darete a me, perché sono il vostro socio, poi, la terza parte mi seguirà perché sono il più forte; se qualcuno toccherà la quarta parte, sarà colpito dal male.". Così la sola prepotenza portò via tutta la preda.
Stultum consilium non modo effectu caret,sed ad perniciem quoque mortalis devocat.Corium depressum in fluvio viderunt canes.Id ut comesse extractum possent facilius,aquam coepere ebibere: sed rupti priusperiere quam quod petierant contingerent.
Un consiglio sciocco non solo è privo di risultato, ma conduce i mortali anche alla rovina. Dei cani videro nel fiume una pelle di animale messa a mollo. Per poterla più facilmente mangiarla (una volta) estratta, cominciarono a bere l’acqua: ma morirono scoppiati prima di poter toccare quello che cercavano.
Aesopi ingenio statuam posuere Attici, servumque collocarunt aeterna in basi, patere honoris scirent ut cuncti viam nec generi tribui sed virtuti gloriam. Quoniam occuparat alter ut primus foret, ne solus esset, studui, quod superfuit. nec haec invidia, verum est aemulatio. quodsi labori faverit Latium meo, plures habebit quos opponat Graeciae. Si Livor obtrectare curam voluerit, non tamen eripiet laudis conscientiam. Si nostrum studium ad aures pervenit tuas, et arte fictas animus sentit fabulas, omnem querellam submovet felicitas.sin autem rabulis doctus occurrit labor, sinistra quos in lucem natura extulit, nec quidquam possunt nisi meliores carpere, fatale exilium corde durato feram, donec Fortunam criminis pudeat sui.
All'ingegno di Esopo gli Attici fecero una statua, e misero un servo nella eterna base, affinché tutti comprendessero che la strada dell’onore è aperta e la fama non si dà alla famiglia bensì alla virtù. Siccome un altro aveva sorpassato per esser primo, affinché non fosse solo, mi impegnai, per quel che rimase. Né questa è invidia, bensì imitazione. Che se il Lazio avrà favorito il mio sforzo, avrà molti da mettere contro la Grecia. Se il Livore avrà voluto sindacare l’impegno, però non toglierà lo spirito del merito. Se il nostro sforzo è arrivato alle tue orecchie, e il cuore sente le favole fatte con arte, la fortuna leverà ogni reclamo. Se al contrario la sapiente fatica incontra ciarlatani, che la natura sinistra pose in luce, e non possono nulla se non prendere i migliori; tollererò con cuore calmo il fatale esilio, finché Fortuna provi pudore del suo crimine.
Papilio vespam prope volantem viderat:“O sortem iniquam! Dum vivebant corpora,quorum ex reliquiis animam nos accepimus,ego eloquens in pace, fortis proeliis,arte omni princeps inter aequalis fui;en cuncta levitas putris et volito cinis.Tu, qui fuisti mulus clitellarius,quemcumque visum est laedis infixo aculeo.”At vespa dignam memoria vocem edidit:“Non qui fuerimus, sed qui nunc simus, vide.”
Una farfalla, librandosi qua e là, apostrofavauna vespa: «O sorte ostile! Mentre respiravano i corpidai resti dei quali abbiamo ricevuto l’anima, io fui eloquentein pace, forte nelle battaglie e, tra i miei uguali,principe in ogni sapere.Ecco ora sono leggerezza polverosae cenere svolazzante, mi libro qua e là! Tu che fosti muloda soma, ferisci chi vuoi conficcando il pungiglione».E la vespa fece sentire la sua vocedegna di memoria: «Guarda non chi eravamo,ma chi siamo ora».
Anus iacere vidit epotam amphoram,adhuc Falerna faece e testa nobiliodorem quae iucundum late spargeret.Hunc postquam totis avida traxit naribus:"O suavis anima, quale in te dicam bonumantehac fuisse, tales cum sint reliquiae!"Hoc quo pertineat dicet qui me noverit.
Una anziana notò giacere una anfora svuotata, che diffondeva ancora intorno per la feccia di Falerno dal nobile coccio un profumo gradevole. Dopo che avida lo tirò con tutte le narici : ”Oh animo sublime, quale affermerò che fu il bene in te prima, essendo così gli avanzi.” Chi mi avrà conosciuto affermerà a cosa è pertinente ciò.
Fraudator homines cum advocat sponsum improbos, non rem expedire, sed malum ordiri expetit. Ovem rogabat cervus modium tritici, lupo sponsore. At illa, praemetuens dolum, 'Rapere atque abire semper adsuevit lupus; tu de conspectu fugere veloci impetu. Ubi vos requiram, cum dies advenerit? '
Quando un fraudolento invoca dei cattivi per testimoniare,prova non di sciogliere la cosa, bensì compiere un male. Il cervo domandava alla pecora un moggio di grano, assicurante il lupo. Però quella, capendo la trappola, «Il lupo è sempre solito rubare e fuggire ; tu a scappare dalla vista con una marcia rapida. Ove vi cercherò, mentre il giorno sarà giunto?»
Laceratus quidam morsu vehementis canis,tinctum cruore panem misit malefico,audierat esse quod remedium vulneris.Tunc sic Aesopus: 'Noli coram pluribushoc facere canibus, ne nos vivos devorent,cum scierint esse tale culpae praemium'.Successus improborum plures allicit.
Un tale ferito dal morso di un cane impetuoso, lanciò pane immerso nel sangue alla canaglia, avendo sentito che era quello il rimedio della lacerazione. Allora così Esopo: “Non fare codesto dinnanzi a molti cani, affinché non ci mangino vivi, avendo saputo esser questo il premio della colpa”. Il successo dei cattivi attira molti.
Athenae cum florerent aequis legibus,procax libertas civitatem miscuit,frenumque solvit pristinum licentia.Hic conspiratis factionum partibusarcem tyrannus occupat Pisistratus4.Cum tristem servitutem flerent Attici,non quia crudelis ille, sed quoniam graveomne insuetis onus, et coepissent queri,Aesopus talem tum fabellam rettulit.‘Ranae, vagantes liberis paludibus,clamore magno regem petiere ab Iove,qui dissolutos mores vi compesceret.Pater deorum risit atque illis deditparvum tigillum, missum quod subito vadimotu sonoque terruit pavidum genus.Hoc mersum limo cum iaceret diutius,forte una tacite profert e stagno caput,et explorato rege cunctas evocat.Illae timore posito certatim adnatant,lignumque supra turba petulans insilit.Quod cum inquinassent omni contumelia,alium rogantes regem misere ad Iovem,inutilis quoniam esset qui fuerat datus.Tum misit illis hydrum, qui dente asperocorripere coepit singulas.Frustra necemfugitant inertes; vocem praecludit metus.Furtim igitur dant Mercurio mandata ad Iovem,adflictis ut succurrat. Tunc contra Tonans“Quia noluistis vestrum ferre” inquit “bonum,malum perferte”. Vos quoque, o cives,’ ait‘hoc sustinete, maius ne veniat, malum’.
Quando Atene splendeva per le sue leggi democratiche,un’eccessiva libertà sconvolse la Cittàe la licenziosità sciolse l’antico freno. A seguitodi una cospirazione fra i capi dei partiti, il tiranno Pisistratoespugna l’Acropoli. Poiché gli Ateniesi piangevano l’odiosaservitù, non perché quello fosse spietato, ma perchégravoso è un peso a cui non si è abituati,Esopo allora divulgò la seguente favola.Le rane, che vagavano libere per le paludi,con forte schiamazzo, chiesero a Giove un re, perchéreprimesse con forza i costumi dissoluti. Il Padre degli dèisi fece una risata e lanciò a queste un travicello,che cadde improvviso, fragoroso, sopra le acque; atterrìla timida schiatta. Mentre questa da lungo tempo giacevaimmersa nel limo, d’improvviso una solleva in silenzio il capo dallo stagno e, scrutato il re, fa venire le altre.Quelle, abbandonato ogni timore, guazzanoa gara e una schiera sfacciata balza sul legno.Avendolo lordato con ogni oltraggio,inviarono a Giove un messaggero per chiedere un altro re,perché quello che avevano avuto non serviva a nulla.Allora Giove inviò a queste una biscia che, con dente canino,una alla volta cominciò ad afferrarle. Inutilmente le poveraccetentano di sottrarsi alla morte, la paura bloccaloro la voce. Così, di nascosto, affidano a Mercurioun messaggio per Giove, perché soccorra le disgraziate.Ma, in risposta, il dio: «Poiché avete respintola vostra guida» disse «tenetevi il male».«Pure voi, o cittadini ateniesi», proseguìEsopo, «sopportate questo male, perché un altronon se ne verifichi, ancora più grande».
Barbam capellae cum impetrassent ab Iove,hirci maerentes indignari coeperuntquod dignitatem feminae aequassent suam.“Sinite,” inquit, “illas gloria vana fruiet usurpare vestri ornatum muneris,pares dum non sint vestrae fortitudini.”Hoc argumentum monet ut sustineas tibihabitu esse similes qui sunt virtute impares.
Dal momento che le capre riuscirono ad avere da Giovela barba, i caproni, addolorati, cominciarono a irritarsipoiché le femmine avevano raggiunto una dignità pari allaloro. «Lasciate» disse «che queste godanodi una gloria inutile e usurpino l’ornamentoproprio del vostro grado, purché non siano pari a voinella forza». Tollera – dice questa favola – coloroche nelle sembianze ti sono simili, impari per virtù.
Nihil agere quod non prosit fabella indicat.Formica et musca contendebant acriter,quae pluris esset. Musca sic coepit prior:“Conferre nostris tu potes te laudibus?Moror inter aras, templa perlustro deum;ubi immolatur, exta praegusto omnia;in capite regis sedeo cum visum est mihi,et matronarum casta delibo oscula;laboro nihil atque optimis rebus fruor.Quid horum simile tibi contingit, rustica?”“Est gloriosus sane convictus deum,sed illi qui invitatur, non qui invisus est.Aras frequentas? Nempe abigeris quom venis.Reges commemoras et matronarum oscula?Super etiam iactas tegere quod debet pudor.Nihil laboras? Ideo, cum opus est, nihil habes.Ego grana in hiemem cum studiose congero,te circa murum pasci video stercore;mori contractam cum te cogunt frigora,me copiosa recipit incolumem domus.aestate me lacessis; cum bruma est siles.Satis profecto rettudi superbiam.”Fabella talis hominum discernit notas,eorum qui se falsis ornant laudibus,et quorum virtus exhibet solidum decus.
La favola insegna che non va fatto nulla che non sia utile.Con accanimento, la formica e la mosca discutevanosu chi dei due contasse di più. La mosca incominciòper prima a parlare: «Tu puoi competere con i mieipregi? Indugio tra gli altari, perlustro i templidegli dèi; dove si compie un sacrificio, pregustotutte le viscere; siedo sulla testa del re quandovoglio e assaporo i baci puri delle matrone.Non fatico affatto e ottengo le cose più belle.A te cosa ti tocca di simile, contadinella?». «Certoè glorioso stare con gli dèi, ma per coluiche è invitato, non per chi è sgradito. Svolazzi per le are?Però, appena ti posi, sei scacciata. Parli dei ree dei baci delle matrone e poi lodi, oltre misura, quantoil pudore dovrebbe nascondere. Non ti affatichi affatto?Perciò quando hai bisogno non hai nulla.Io, quando con fatica raccolgo il grano per l’inverno,ti vedo lungo i muri che ti nutri di sterco.In estate mi tormenti, quando ritorna l’inverno taci.E quando il freddo ti sorprende intorpidita mentre stai permorire, una casa provvista di tutto mi accoglie incolume.Ora basta, ho posto freno abbastanza alla tua superbia».La favola vuole anche distinguere le caratteristichedegli uomini, di coloro che si adornano di meriti non proprie di quelli la cui virtù mostra un motivo fondato di gloria.
Quam dulcis sit libertas breviter proloquar.Cani perpasto macie confectus lupusforte occurrit; dein, salutati invicemut restiterunt, "Unde sic, quaeso, nites?Aut quo cibo fecisti tantum corporis?Ego, qui sum longe fortior, pereo fame."Canis simpliciter: "Eadem est condicio tibi,praestare domino si par officium potes"."Quod?" inquit ille. "Custos ut sis liminis,a furibus tuearis et noctu domum.Adfertur ultro panis; de mensa suadat ossa dominus; frusta iactat familia,et quod fastidit quisque pulmentarium.Sic sine labore venter impletur meus"."Ego vero sum paratus: nunc patior nivesimbresque in silvis asperam vitam trahens.Quanto est facilius mihi sub tecto vivere,et otiosum largo satiari cibo!""Veni ergo mecum".Dum procedunt, aspicitlupus a catena collum detritum cani."Unde hoc, amice?". "Nil est". "Dic, sodes, tamen"."Quia videor acer, alligant me interdiu,luce ut quiescam, et uigilem nox cum venerit:crepusculo solutus qua visum est vagor"."Age, abire si quo est animus, est licentia?""Non plane est" inquit. "Fruere quae laudas, canis;regnare nolo, liber ut non sim mihi".
Quanto sia dolce la libertà lo dirò brevemente. Un giorno un lupo emaciato dalla fame incontrò un cane ben pasciuto. Fermatisi, dopo essersi salutati: "Dimmi, come fai ad essere così bello? Con quale cibo sei ingrassato tanto? Io che sono di gran lunga più forte, muoio di fame". Il cane schiettamente: "Puoi stare così anche tu, se presti ugual servizio al mio padrone". "Quale?", chiese. "La guardia della porta, la custodia della casa dai ladri della notte". "Ma io sono pronto! Ora conduco una vita grama sopportando nei boschi neve e piogge; quanto è più facile vivere sotto un tetto, starsene in ozio, saziandosi di abbondante cibo!". "Vieni dunque con me". Mentre camminano il lupo vede il collo del cane spelacchiato dalla catena. "Amico, cos'è questo?". "Non è niente". "Ma ti prego, dimmelo". "Dato che sembro troppo vivace, mi legano di giorno, affinché riposi quando è chiaro e sia sveglio quando viene la notte; al tramonto, slegato, me ne vado in giro dove voglio. Mi danno il pane senza che lo chieda; il padrone mi getta le ossa dalla sua mensa; gettano pezzi i servi e quel che avanza del companatico. Così, senza fatica, la mia pancia si riempie". "Ma se ti viene voglia di andartene, è permesso?". "Questo no", rispose. "Goditi quello che vanti, o cane. Neanche un regno vorrei, se non sono libero".
Cum venatorem celeri pede fugeret lepuset a bubulco visus veprem inreperet:“Per te oro superos perque spes omnes tuas,ne me indices, bubulce; nihil umquam malihuic agro feci.” Et rusticus: “Ne timueris;late securus.” Iamque venator sequens:“Quaeso, bubulce, numquid huc venit lepus?”“Venit, sed abiit hac ad laevam,” et dexteramdemonstrat nutu partem. Venator citusnon intellexit seque e conspectu abstulit.Tunc sic bubulcus: “Ecquid est gratum tibi,quod te celavi?” “Linguae prorsus non negohabere atque agere maximas me gratias;verum oculis ut priveris opto perfidis.
Una lepre, mentre fuggiva a zampe levate da un cacciatoreche la inseguiva, si rifugiò in un cespuglio, ma un bifolcola scorse: «Ti scongiuro, per tutti gli dèi e per tutto ciòche desideri, di non farmi scoprire, bifolco; giammaiho danneggiato questo campo». E il campagnolo: «Non temere,rimani nascosta al sicuro». E già il cacciatore l’inseguiva:«Bifolco, ti prego, è qui ch’è sopraggiunta una lepre?»«C’era, ma si è data alla fuga, a sinistra». E gli mostrò la partedestra con ammiccamento. Il cacciatore, preso dalla fretta,non intese e si tolse dal cospetto. Allora il bifolco così:«Probabilmente non hai gradito che ti ho lasciatanascosta?» «Non nego di dovere alla tua linguala massima gratitudine, ma speroche tu sia privato di quegli occhi maligni».
Vulgare amici nomen sed rara est fides.Cum parvas aedes sibi fundasset Socratescuius non fugio mortem si famam adsequar,et cedo invidiae dummodo absolvar cinis,ex populo sic nescioquis, ut fieri solet:"Quaeso, tam angustam talis vir ponis domum?""Utinam" inquit "veris hanc amicis impleam!"
Il nome di amico è comune, però la fiducia é rara. Avendo Socrate edificato per sé una modesta dimora,non declino la sua morte se ne ottenessi la gloria, e cedo all’invidia se venga assolto come cenere, allora un non so chi dal popolo, come è consueto succedere: ”Supplico, un certo uomo fai una casa così modesta?” ”Volesse il cielo, affermò, colmasti codesta di veri compagni.”
Apes in alta fecerant quercu favos.Hos fuci inertes esse dicebant suos.Lis ad forum deducta est, vespa iudice;quae, genus utrumque nosset cum pulcherrime,legem duabus hanc proposuit partibus:«Non inconveniens corpus et par est color,in dubium plane res ut merito venerit.Sed, ne religio peccet inprudens mea,alvos accipite et ceris opus infundite,ut ex sapore mellis et forma favi,de quis nunc agitur, auctor horum appareat.»Fuci recusant, apibus condicio placet.Tunc illa talem rettulit sententiam:«Apertum est quis non possit et quis fecerit.Quapropter apibus fructum restituo suum.»Hanc praeterissem fabulam silentio,si pactam fuci non recusassent fidem.”
Su un’alta quercia, le api avevano fattoi favi; gli inerti fuchi li reclamavano come propri.La lite finì in tribunale, giudice la vespa.Questa, che conosceva tanto bene l’una e l’altraspecie, propose questa condizione alle due parti:«Il corpo non differisce, medesimo è il coloree così logicamente il caso è assai dubbioso.Ma, affinché io non sbagli per mancanza di scrupolosità,prendete le arnie e versate nelle cellette il vostro prodotto,in modo che dal sapore del miele e dalla struttura del favo,si riveli chi è, in effetti, l’autore di queste».I fuchi si ritirano. La condizione è graditaalle api. Allora, la vespa troncò con questasentenza: «Si nota chi non può e chi sa operare.Per questo rendo alle api il loro frutto».Avrei lasciato questa favola nel silenziose i fuchi non avessero rifiutato la prova pattuita.
Canes effugere cum iam non possit fiber(Graeci loquaces quem dixerunt castoremet indiderunt bestiae nomen dei,illi qui iactant se verborum copia),abripere morsu fertur testiculos sibi,quia propter illos sentiat sese peti.Divina quod ratione fieri non negem;venator namque simul invenit remedium,omittit ipsum persequi et revocat canes.Hoc si praestare possent homines, ut suovellent carere, tuti posthac viverent;haud quisquam insidias nudo faceret corpori.
Quando il castoro ormai non può più sfuggire ai cani(i greci loquaci, che vantano una doviziadi parole, lo chiamarono Castoro e attribuironoalla bestia il nome di un dio) si strappai testicoli con un morso, così si racconta,in quanto avverte il motivo per cui è inseguito.Non nego che ciò avviene per una ragione divina;e, infatti, appena il cacciatore trova quel rimedio,desiste dall’inseguimento e chiama indietro i cani.Se gli uomini potessero fare ciò, cioè privarsidel loro sesso, vivrebbero poi al sicuro.E nessuno tenterebbe insidie a un corpo.
Angusto in aditu taurus luctans cornibusCum vix intrare posset ad praesepia,Monstrabat vitulus quo se pacto plecteret.“Tace” inquit “ante hoc novi quam tu natus es”.Qui doctiorem emendat sibi dici putet.
Un toro per passare alla sua greppia scornava in un passaggio troppo angusto; un vitello piegandosi cercava di indicargli come fare. "Taci" . "Non eri nato e lo sapevo". Lo faccia suo chi sgrida uno più esperto.
Olim quas vellent esse in tutela suadivi legerunt arbores. Quercus Iovi,at myrtus Veneri placuit, Phoebo laurea,pinus Cybebae, populus celsa Herculi.Minerva admirans quare steriles sumerentinterrogavit. Causam dixit Iuppiter:«Honorem fructu ne videamur vendere.»«At mehercules narrabit quod quis voluerit,oliva nobis propter fructum est gratior.»Tum sic deorum genitor atque hominum sator:«O nata, merito sapiens dicere omnibus.Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria.»Nihil agere quod non prosit fabella admonet.
Un tempo gli dèi si scelsero gli alberi che volevanotutelare: Giove scelse la quercia, Venere il mirto,Febo l’alloro, Cibele il pino ed Ercole l’altopioppo. Minerva, meravigliata, chiese come maiquella scelta di alberi sterili. Giove spiegòil motivo: «Perché non sembri che noi barattiamol’onore con il frutto». «Ma, per Ercole, ognuno dica purela sua come crede, a noi ci è più gradito l’ulivoper il suo frutto». Allora il padre degli dèie creatore degli uomini: «Figliola mia,tutti ti dicono sapiente. Se, non è utile ciò che facciamo,stolta è la gloria». La favola consigliadi non far nulla che non sia proficuo.
Si quando in silvis urso desunt copiae,scopulosum ad litus currit et prendens petrampilosa crura sensim demittit vado;quorum inter villos haeserunt cancri simul,in terram adsiliens excutit praedam maris,escaque fruitur passim collecta vafer.Ergo etiam stultis acuit ingenium fames.
Quando all’orso viene meno il cibo nel boscosi precipita verso il lido scoglioso e, aggrappandosia una roccia, un po’ per volta, si adagia nel guadocon le pelose zampe;appena s’impigliano i gamberitra i peli, trascina a riva la preda marina, se la scuotedi dosso e il furbo si sazia con il cibo raccolto un po’ per volta.Dunque, la fame aguzza anche l’ingegno dello stolto.
Inter capellas agno palanti canis«Stulte» inquit «erras; non est hic mater tua.»Ovesque segregatas ostendit procul.«Non illam quaero quae cum libitum est concipit,dein portat onus ignotum certis mensibus,novissime prolapsam effundit sarcinam;verum illam quae me nutrit admoto ubere,fraudatque natos lacte ne desit mihi.»«Tamen illa est potior quae te peperit.» «Non ita.Beneficium sane magnum natali dedit,ut expectarem lanium in horas singulas!Unde illa scivit niger an albus nascerer?Age porro, parere si voluisset feminam,quid profecisset cum crearer masculus?Cuius potestas nulla in gignendo fuit,cur hac sit potior quae iacentis miserita est,dulcemque sponte praestat benevolentiam?Facit parentes bonitas, non necessitas.»His demonstrare voluit auctor versibusobsistere homines legibus, meritis capi.
Disse il cane a un agnello che belava tra le capre:«Sciocco, sbagli, tua madre non si trova qui» e gli fecevedere le pecore sparse lontano. «Non inseguocolei che per suo piacere concepisce, e quindi sopportaun peso sconosciuto per mesi, e infine espelle il fardello;inseguo la pecora che mi sazia porgendomi le mammellee sottrae il latte ai suoi figli perch’io non rimanga digiuno».«Tuttavia mi pare migliore quella che ti ha generato».«Non è così: avrebbe potuto prevedere s’io fossinato nero oppure bianco? E ciò non è tutto: se avessevoluto generare una femmina cosa avrebbeguadagnato essendo nato maschio? Certo un gran bel donomi ha fatto nel mettermi al mondo, dal momento che attendo,da un momento all’altro, il macellaio. Perché dovrei preferirechi nel generarmi non ebbe per me alcuna attenzione,al posto di questa che ha avuto pietà di me abbandonatoe mi colma di dolci benevolenze? L’amorevolezza rendegenitori, non il legame naturale». Con questi versi,il poeta ha voluto dimostrare che gli uomini oppongonoresistenza alle leggi, mentre si lasciano conquistare dai meriti.
In sterquilino pullus gallinaceusDum quaerit escam, margaritam repperit."Iaces indigno quanta res" inquit "loco.Hoc si quis pretii cupidus vidisset tui,Olim redisses ad splendorem pristinum.Ego quod te inveni, potior cui multo est cibus,Nec tibi prodesse nec mihi quicquam potest".Hoc illis narro, qui me non intellegunt.
In un letamaio un piccolo gallettomentre cercava cibo, trovò una perla."Tu così bella giaci, dice, in luogo indegno!Se uno avido del tuo prezzo avesse visto ciò,una saresti goà ritornata all'antico splendore.Io perché ti ho trovato, del quale il cibo è molto più importante,non può giovare per nulla né a me né a te."Narro questo per quelli che non mi capiscono.
Quamvis sublimes debent humiles metuere,vindicta docili quia patet sollertiae.Vulpinos catulos aquila quondam sustulit,nidoque posuit pullis escam ut carperent.Hanc persecuta mater orare incipit,ne tantum miserae luctum importaret sibi.Contempsit illa, tuta quippe ipso loco.Vulpes ab ara rapuit ardentem facem,totamque flammis arborem circumdedit,hosti dolorem damno miscens sanguinis.Aquila, ut periclo mortis eriperet suos,incolumes natos supplex vulpi reddidit.
I superbi devono temere moltissimo gli umili, pociché la vendetta è esposta a una duttile furbizia. Una volta un'aquila catturò dei piccoli volpini e li adagiò sul nido per i (suoi) pulicini affinché (li) beccassero. Mamma volpe, che aveva seguito questa, cominciò a supplicar(la) di non arrecare a (lei) infelice un così grande dolore. Quella disprezzò (la preghiera della volpe), dato che (era) al sicuro in quel posto. La volpe prese una fiaccola ardente dall'altare (degli dei), circondò tutto l'albero con le fiamme, mischiando al danno della (sua) progenie il dolore del nemico. prometteva cosii' alla misera nemica una morte atroce, anche procurando danno (con danno) ai suoi figli. E L'aquila, per sottrarre i suoi (figli) dal pericolo di morte, restituì supplice i figli incolumi alla volpe.
Inops, potentem dum vult imitari, perit.In prato qundam rana conspexit bovemEt tacta invidia tantae magnitudinisRugosam inflavit pellem: tum natos suosInterrogavit, an bove esse latior.Ille negaverunt. Rursus intendit cutemMaiore nisu et simili quaesivit modo,Quis maior esset. Illi dixerunt bovem.Novissime indignata, dum vult validiusInflare sese, rupto iacuit corpore.
Il debole, quando vuole imitare il potente, perisce. Una volta una rana vide in un prato un bue e colpita dall'invidia per una tale grandezza gonfiò la pelle rugosa: poi chiese ai suoi piccoli, se fosse più grande del bue. Quelli negarono. Nuovamente tese la pelle con uno sforzo maggiore e in modo simile chiese, chi fosse il più grosso. Quelli dissero il bue. Infine indignata mentre vuole gonfiarsi di più, giacque con il corpo scoppiato.
Nulli nocendum: si quis vero laeserit,multandum simili iure fabella admonet.Vulpes ad cenam dicitur ciconiamprior invitasse et illi in patina liquidamposuisse sorbitionem, quam nullo modogustare esuriens potuerit ciconia.Quae vulpem cum revocasset, intrito ciboplenam lagonam posuit: huic rostrum inserenssatiatur ipsa et torquet convivam fame.Quae cum lagonae collum frustra lambert,peregrinam sic locutam volucrem accepimus:«Sua quisque exempla debet aequo animo pali».
Non si deve nuocere a nessuno: ma se qualcuno l’ avrà fatto, la favoletta avverte che dovrà essere punito con simile diritto. Si racconta che la volpe per prima avesse invitato a pranzo la cicogna e le avesse imbandito, in un piatto un brodo liquido, che la cicogna, affamata, in nessun modo poté assaggiare.Questa, avendo a sua volta invitato la volpe, le pose davanti una bottiglia piena di cibo sminuzzato: inserendovi il becco, essa stessa si sazia e tormenta la commensale con la fame. E mentre quella leccava invano il collo della bottiglia, sappiamo che così parlò l’uccello migratore: «Ciascuno deve sopportare di buon animo gli esempi che ha dato».
Numquam est fidelis cum potente societas: testatur haec fabella propositum meum. Vacca et capella et patiens ovis iniuriae socii fuere cum leone in saltibus. Hi cum cepissent cervum vasti corporis, sic est locutus, partibus factis, leo: "ego primam tollo, nominor quoniam leo: secundam, quia sum socius, tribuetis mihi; tum, quia plus valeo, me sequetur tertia; malo afficietur si quis quartam tetigerit". Sic totam praedam sola improbitas abstulit.
L’alleanza coi prepotenti non è mai sicura Questa favoletta dimostra la mia premessa. Una mucca e una capretta e una pecora abituata a sopportare le offeseFurono socie con un leone in regioni selvose.Costoro avendo preso un cervo di grosse proporzioni,il leone parlò così dopo aver fatto le parti:“Io prendo la prima (parte), perché sono chiamato leone;la seconda (parte), la darete a me, perché sono socio;Poiché sono più forte, mi spetta la terza;(sarà affetto da malanno) la pagherà a caro prezzo se qualcuno toccherà la quarta parte.Così la prepotenza sola portò via tutta la preda.
Plerumque stulti, risum dum captant levem,gravi destringunt alios contumelia,et sibi nocivum concitant periculum.Asellus apro cum fuisset obvius,‘Salve’ inquit ‘frater’. Ille indignans repudiatofficium, et quaerit cur sic mentiri velit?Asinus demisso pene ‘Similem si negastibi me esse, certe simile est hoc rostro tuo’.Aper, cum vellet facere generosum impetum,repressit iram et ‘Facilis vindicta est mihi:sed inquinari nolo ignavo sanguine’.
Sono soprattutto gli sciocchi che, cercando di suscitareil riso, offendono gli altri gravemente e si caccianoin un brutto pericolo. Un asinello, avendo incontratoun cinghiale: «Ti saluto, fratello» gli disse. E quello,offeso, rigettò il saluto chiedendogli perchémentisse in quel modo. L’asino, con il membro floscio:«Se neghi ch’io ti somigli, questo certamente è simileal tuo grugno». Il cinghiale, che stava per buttarsisubito all’assalto, represse la sua ira e:«Facilmente compirei la mia vendetta» proferì«mi freno tuttavia per non lordarmi di un vile sangue».
Repente liberalis stultis gratus est,verum peritis inritos tendit dolos.Nocturnus cum fur panem misisset cani,obiecto temptans an cibo posset capi,‘Heus’, inquit ‘linguam vis meam praecludere,ne latrem pro re domini? Multum falleris.Namque ista subita me iubet benignitasvigilare, facias ne mea culpa lucrum’.
Colui che d’improvviso è generoso riescegradito agli sciocchi, ma tende insidie vaneagli accorti. Un ladro notturno buttò a un cane, sperandodi ammansirlo con il cibo, un po’ di pane: «Sul serio» la bestiadisse «tu vorresti frenare la mia lingua perchénon abbai per la roba del padrone? Ti sbagli alla grande,perché questa tua generosità improvvisa mi imponedi badare bene affinché tu non possa lucrare per colpa mia».
Opes invisae merito sunt forti viro,quia dives arca veram laudem intercipit.Caelo receptus propter virtutem Hercules,cum gratulantes persalutasset deos,veniente Pluto, qui Fortunae est filius,avertit oculos. Causam quaesivit Pater.“Odi” inquit “illum quia malis amicus estsimulque obiecto cuncta corrumpit lucro.
Le ricchezze sono odiose a ragione all’uomo di valore,in quanto uno scrigno pieno d’oro impedisce la vera gloria.Ercole, accolto in cielo per la sua virtù, dopoaver salutato gli dèi che si congratulavano con lui, alla vistadi Pluto, figlio della Fortuna, si voltò dall’altra parte.Chiese il motivo suo padre: «Lo detesto» rispose«in quanto è amico dei furfanti e corrompetutto e tutti offrendo un guadagno».
Vicini furis celebres vidit nuptiasAesopus et continuo narrare incipit:Uxorem quondam Sol cum vellet ducere,Clamorem ranae sustulere ad sidera.Convicio permotus quaerit IuppiterCausam querelae. Quaedam tum stagni incola:«Nunc» inquit «omnes unus exurit lacusCogitque miseras arida sede emori.Quidnam futurum est, si crearit liberos?»
Esopo vide le nozze gremite di un vicino brigante, e immediatamente inizia a narrare: “Un giorno volendo il Sole prendere moglie, le rane elevarono un urlo alle stelle. Colpito dal clamore Giove domanda il motivo del lamento. Quindi una abitante dello stagno “Adesso, affermò, un unico arde tutti i laghi, e obbliga le povere a perire per la casa secca. Cosa mai capiterà se avrà prodotto figli?”
Amittit merito proprium qui alienum adpetit.Canis, per fluvium carnem cum ferret,natans lympharum in speculo vidit simulacrum suum,aliamque praedam ab altero ferri putanseripere voluit; verum decepta aviditaset quem tenebat ore dimisit cibum,nec quem petebat adeo potuit tangere.
Perde giustamente il proprio chi brama l’altrui. Un cane, mentre trasportava la carne sul fiume, nuotando notò nel riflesso delle acque la sua immagine, e credendo che un’altra preda venisse trasportata da un altro volle prenderla; però l’avidità fuorviata perse pure il cibo che afferrava con la bocca, né poté così ottenere quello che desiderava.
Musca in temone sedit et mulam increpans«Quam tarda es» inquit «non vis citius progredi?Vide ne dolone collum conpungam tibi.»Respondit illa: «Verbis non moveor tuis;sed istum timeo sella qui prima sedenscursum flagello temperat lento meum,et ora frenis continet spumantibus.quapropter aufer frivolam insolentiam;nam et ubi tricandum et ubi sit currendum scio.»Hac derideri fabula merito potestqui sine virtute vanas exercet minas.
Una mosca si posò sul timone d’un carro e rimbrottandola mula: «Come sei moscia!» disse. «Non vuoi mettertia trottare? Stai attenta a non pungerti il collocon il mio pungiglione». La mula, di rimando: «Parole,le tue, che non mi pungono; io ho timore, piuttosto,di questo qui che, sedendo avanti, governa il mio dorsocon la flessuosa frusta, blocca la mia bocca con il frenospumoso. Smettila, ormai, con la tua vana arroganza,in quanto io so quando andare piano e quandodi corsa». A ragione, questa favola può deridere coluiche, senza alcun valore, usa inutili minacce.
Qui se laudari gaudet verbis subdolis, sera dat poenas turpi paenitentia. Cum de fenestra corvus raptum caseum comesse vellet, celsa residens arbore, vulpes hunc invidit, deinde sic coepit loqui: "O qui tuarum, corve, pinnarum est nitor! Quantum decoris corpore et vultu geris! Si vocem haberes, nulla prior ales foret". At ille stultus, dum etiam vocem vult ostendere, lato ore emisit caseum; quem celeriter dolosa vulpes avidis rapuit dentibus. Tum demum ingemuit corvi deceptus stupor.
Coloro che godono di venire elogiati con subdole parole, poi scontano la pena con misero pentimento. Quando un corvo voleva saziarsi con del formaggio preso da una finestra, sostando su un alto albero, una volpe lo notò, e quindi così iniziò a parlare: ”O Corvo, quale lucentezza è delle tue penne! Quanto di bello porti nel corpo e nel viso! Se avessi la voce, nessun uccello sarebbe superiore”. Così quello sciocco, poichè vuole mostrare anche la voce, fece cadere dal lungo becco il formaggio, che la furba volpe velocemente afferrò con i denti voraci. Allora infine gemette l'ingannato stupore del corvo.
Est ardalionum quaedam Romae natio,trepide concursans, occupata in otio,gratis anhelans, multa agendo nil agens,sibi molesta et aliis odiosissima.hanc emendare, si tamen possum, volovera fabella; pretium est operae attendere.Caesar Tiberius2 cum petens Neapolimin Misenensem villam venisset suam,quae, monte summo posita Luculli manu,prospectat Siculum et respicit Tuscum mare,ex alte cinctis unus atriensibus,cui tunica ab umeris linteo Pelusioerat destricta, cirris dependentibus,perambulante laeta domino viridia,alveolo coepit ligneo conspargerehumum aestuantem, iactans come officiolum:sed deridetur.inde notis flexibuspraecurrit alium in xystum, sedans pulverem.agnoscit hominem Caesar, remque intellegit:«Heus!» inquit dominus. ille enimvero adsilit,donationis alacer certae gaudio.tum sic iocata est tanta maiestas ducis:«Non multum egisti et opera nequiquam perit;multo maioris alapae mecum veneunt».
Circola per Roma una razza di faccendoni, semprein moto e frettolosa, beata nel dolce far niente;si affanna gratuitamente, mentre crede di fare tanto,non conclude nulla; ed è di intralcio a se stessa e odiosa agli altri.Vorrei con questo racconto vero correggerla se solovi riuscissi. Il prezzo dell’opera sta nell’ascolto. CesareTiberio, in viaggio per Napoli, sostò nella sua villadi Miseno costruita da Lucullo in cima al montecon davanti il mare di Sicilia e alle spalleil Tirreno. Uno dei suoi maestri di casa – con la tunicatessuta di lino Pelusio che gli scendeva giù dalle spalleimponente, con frange pendenti – mentre il suo padronetra le verdi aiuole passeggiava, si affrettò a dare acquacon un secchio di legno al terreno tutto arso, mostrandoil proprio zelo, ma venne deriso. Poi, attraversouna scorciatoia, raggiunse prima dell’altroun vialetto, trattenendo al suolo la polvere. Cesareinquadrò subito l’uomo e capì che si attendevanon si sa che cosa. «A te» esclamò il signore.Il domestico fece un balzo, giubilante,per il piacere di un dono certo. Allorala maestà di un così grande duce, scherzandodisse: «Nulla di rilevante hai fattoe la tua opera non vale nulla; presso di mea prezzo più alto vendiamo gli scappellotti».
Puerorum in turba quidam ludentem AtticusAesopum nucibus Cum vidisset, restitit,et quasi delirum risit. quod sensit simulderisor potius quam deridendus senex,arcum retensum posuit in media via:«Heus», inquit «sapiens, expedi quid fecerim».concurrit populus. ille se torquet diu,nec quaestionis positae causam intellegit;novissime succumbit. tum vietar sophus:«Cito rumpes arcum, semper si tensum habueris;at, si laxaris, cum voles erit utilis».Sic lusus animo debent aliquando dari,ad cogitandum melior ut redeat tibi.
Un ateniese si accorse che Esopo giocava a nociin mezzo a una schiera di ragazzotti; si fermò e risecome un matto.Quando il vecchio, abituatopiù a deridere che a essere deriso, se ne accorse pose un arcoallentato in mezzo alla strada: «A te, sapientone» disse«spiegami il motivo di ciò!». La gente accorre.Quello si sforza a lungo, ma non riesce a capireil senso del quesito posto; infine si arrende.Pertanto, il sapiente vittorioso: «Spezzerai subitol’arco, se lo terrai sempre teso, ma se lo lasceraiallentato potrà servirti quando vorrai. Così occorre,qualche volta, concedere svago alla menteaffinché torni a te più aperta per poter meditare».
Peras imposuit Iuppiter nobis duas:Propriis repletam vitiis post tergum dedit,Alienis ante pectus suspendit gravem.Hac re videre nostra mala non possumus,Alii simul deliquunt censores sumus.
Giove ci mise (sulle spalle) due bisacce: pose dietro la schiena la bisaccia piena dei propri difetti, sospese davnti al petto la pesante bisaccia dei vizi degli altri. A causa di ciò non possiamo vedere i nostri difetti, ma siamo censori (critici severi) non appena gli altri sbagliano.
Pendere ad lanium quidam vidit simiuminter relicuas merces atque opsonia;quaesivit quidnam saperet. Tum lanius iocans"Quale" inquit "caput est, talis praestatur sapor."Ridicule magis hoc dictum quam vere aestimo;quando et formosos saepe inveni pessimos,et turpi facie multos cognovi optimos.
Un tale vide appesa dal macellaio una scimmia tra le altre merci e provviste; chiese che sapore avesse. Allora il macellaio,scherzando: "Quale la testa" disse "tale il sapore, lo garantisco". Sono più ridicole che veraci queste parole ; io almeno cosi la penso; infatti i belli li ho spesso trovati malvagi; molti invece, dalla brutta faccia, ho saputo poi che erano ottime persone.
Quanta sit inconstantia et libido mulierum.Per aliquot annos quaedam dilectum virum amisit et sarchphago corpus condidit; a quo revelli nullo cum posset modo et in sepulchro lugens vitam degeret, claram assecuta est famam castae coniugis. Interea fanum qui compilarant Iovis, cruci suffixi luerunt poenas numini. Horum reliquias ne quis posset tollere, custodes dantur milites cadaverum, monumentum iuxta, mulier quo se incluserat. Aliquando sitiens unus de custodibus aquam rogavit media nocte ancillulam, quae forte dominae tunc adsistebat suae dormitum eunti; namque lucubraverat et usque in serum vigilias perduxerat.Paulum reclusis foribus miles prospicit, videtque egregiam facie pulchra feminam. Correptus animus ilico succenditur uritque sensus impotentis cupiditas. Sollers acumen mille causas invenit, per quas videre posset viduam saepius. Cotidiana capta consuetudine paulatim facta est advenae submissior, mox artior revinxit animum copula. Hic dum consumit noctes custos diligens, desideratum est corpus ex una cruce. Turbatus miles factum exponit mulieri. At sancta mulier: "Non est quod timeas", ait, virique corpus tradit figendum cruci, ne subeat ille poenas neglegentiae. Sic turpitudo laudis obsedit locum.
Quanto sia grande la volubilità e la libidine delle donne.Una donna perse il marito, amato per diversi anni, e compose il corpo in un sarcofago; non potendo essere allontanata da esso in nessun modo e trascorrendo in lacrime la vita nel sepolcro ottenne la chiara fama di casta moglie.Nel frattempo alcuni, che avevano saccheggiato il tempio di Giove, appesi a una croce, scontarono la pena in difesa della divinità. Affinché nessuno potesse portare via i cadaveri di questi furono posti dei soldati come custodi dei cadaveri vicino al sepolcro in cui la donna si era chiusa.Una volta uno dei custodi, avendo sete, in piena notte chiese dell’acqua a una servetta che per caso assisteva la sua padrona mentre stava andando a dormire; infatti aveva rinnovato il lume e aveva protratto la veglia fino a tardi. Dalle porte socchiuse il soldato guarda e vede la donna affranta e di bell’aspetto. L’animo catturato subito si accende e il desiderio di quello sfacciato brucia sempre di più. L’ingegno acuto trova mille pretesti per mezzo dei quali possa vedere più spesso la vedova. Presa dalla frequentazione quotidiana poco a poco divenne più compiacente con lo straniero e subito lega il suo animo con un legame più forte. Mentre il custode diligente trascorre le notti qui, un corpo fu sottratto dalla croce. Il soldato sconvolto racconta l’evento alla donna, ma la santa donna dice: “Non c’è da temere”, e consegna il corpo del marito da appendere alla croce, affinché egli non subisca la pena della sua negligenza. Così l’infamia prese il posto della lode.
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant,Siti compulsi; superior stabat lupusLongeque inferior agnus. Tunc fauce improbaLatro incitatus iurgii causea intulit."Cur", inquit, "turbulentam fecisti mihiAquambibenti?". "Laniger contra timens:"Qui possum, quaeso, facere quod quereris, lupe?A te decurrit ad meos haustus liqourRepulsus ille veritatis viribus:"Ante hos sex menses male", ait, "dixisti mihi"Respondit agnus: "Equidem natus non eram"."Pater hercle tuus", inquit, "male dixit mihi".Atque ita correptum lacerat iniusta nece.Haec propter illos scripta est homines fabula,Qui fictis causis innocentes opprimunt.
Un lupo e un agnello spinti dalla sete erano andati allo stesso ruscello; il lupo stava più in alto e l'agnello di gran lunga più in basso. Allora il prepotente spinto dalla gola malvagia portò un motivo di litigio. "Perché" disse "mi hai reso torbida l'acqua che bevo?". L'agnello come risposta disse temendo: "Come posso io, di grazia, fare quello di cui ti lamenti, o lupo? L'acqua scorre da te alla mia bocca". Quello respinto dalla forza della verità: "Sei mesi fa tu hai parlato male di me". L'agnello rispose: "Ma io non era nato.". "Tuo padre, per Ercole, ha parlato male di me". E così (il lupo) lo sbrana dopo averlo afferrato con una ingiusta morte. Questa favola è stata scritta a causa di quegli uomini i quali opprimono gli innocenti per mezzo di falsi pretesti.
Ne gloriari libeat alienis bonis,suoque potius habitu vitam degere,Aesopus nobis hoc exemplum prodidit.Tumens inani graculus superbiapinnas, pavoni quae deciderant, sustulit,seque exornavit. Deinde, contemnens suosimmiscet se ut pavonum formoso gregiilli impudenti pinnas eripiunt avi,fugantque rostris. Male mulcatus graculusredire maerens coepit ad proprium genus,a quo repulsus tristem sustinuit notam.Tum quidam ex illis quos prius despexerat‘Contentus nostris si fuisses sedibuset quod Natura dederat voluisses pati,nec illam expertus esses contumeliamnec hanc repulsam tua sentiret calamitas’.
Perché nessuno si glori dei meriti altruie l’esistenza completi secondo la proprianatura, Esopo ci ha lasciato questa scrittura.Gonfia di vana superbia, una cornacchiaraccolse le penne che andava perdendo un pavonee si abbellì. Poi, deridendo i suoi pari, s’intrufolòin una bella schiera di pavoni. A quellaspudorata, i pavoni tolgono le penne e con i becchila mettono in fuga. Afflitta e mal ridotta,la cornacchia tenta il ritorno tra i suoi.Da questi allontanata, subì uno sgradevole rimprovero.Poi, una di loro che prima era stata derisa:«Se tu fossi rimasta tra noie ti fossi accontentata di quanto la natura ti avevaaccordato non avresti subìto quell’affrontoné ora la tua sventura sperimenterebbe questo rifiuto».
Quicumque turpi fraude semel innotuit,etiam si verum dicit, amittit fidem.Hoc adtestatur brevis Aesopi fabula.Lupus arguebat vulpem furti crimine;negabat illa se esse culpae proximam.Tunc iudex inter illos sedit simius.Uterque causam cum perorassent suam,dixisse fertur simius sententiam:'Tu non videris perdidisse quos petis;te credo subripuisse quod pulchre negas'
Chiunque una volta sola fu noto per un orribile imbroglio, pure se afferma il vero, perde la fiducia. Ciò dimostra la corta favola di Esopo. Il lupo accusava la volpe per il crimine di un furto; questa affermava di non essere vicina alla colpa. Dunque sedette come giudice fra loro la scimmia. Mentre l’uno e l’altro difendeva la propria causa, si narra che la scimmia annunciò la sentenza : “Tu non sembri aver smarrito ciò che domandi; reputo che tu abbia tolto ciò che neghi”.
Cursu volucri, pendens in novacula,calvus, comosa fronte, nudo corpore,quem si occuparis, teneas, elapsum semelnon ipse possit Iuppiter reprehendere,occasionem rerum significat brevem.Effectus impediret ne segnis mora,finxere antiqui talem effigiem Temporis.
Corridore alato, sospeso sul filo di un rasoio,calvo, con la fronte cosparsa di peli, con la nucanuda (se riesci a fermarlo, tienilo stretto, ma unavolta ch’è scappato non può riprenderlo lo stessoGiove) rappresenta la fugacità delle cose.Gli antichi così raffigurarono il tempo, perchéil lento indugio non rendesse vano il successo.
Mordaciorem qui improbo dente adpetit,hoc argumento se describi sentiat.In officinam fabri venit vipera.Haec, cum temptaret si qua res esset cibi,limam momordit. Illa contra contumax,“Quid me,” inquit, “stulta, dente captas laedere,omne adsuevi ferrum quae conrodere?
Chi morde con dente maligno uno ancora più mordace,sappia che si troverà descritto in quanto segue.Una vipera entrò nell’officina d’un fabbroe, mentre cercava se c’era qualcosa da mangiare,morse una lima. Quella, dura, dal canto suo, disse: «Perché,sciocchina, vuoi ferire con i denti proprio meche sono avvezza a rosicchiare qualunque oggetto di ferro?».
Solet a despectis par referri gratia.Panthera inprudens olim in foveam decidit.Videre agrestes; alii fustes congerunt,alii onerant saxis; quidam contra miseritiperiturae quippe, quamvis nemo laederet,misere panem ut sustineret spiritum.Nox insecuta est; abeunt securi domum,quasi inventuri mortuam postridie.At illa, vires ut refecit languidas,veloci saltu fovea sese liberatet in cubile concito properat gradu.Paucis diebus interpositis provolat,pecus trucidat, ipsos pastores necat,et cuncta vastans saevit irato impetu.Tum sibi timentes qui ferae pepercerantdamnum haut recusant, tantum pro vita rogant.At illa: «Memini quis me saxo petierit,quis panem dederit; vos timere absistite;illis revertor hostis qui me laeserunt.»
Chi è disprezzato suole contraccambiare con la stessa grazia.Una pantera imprudente precipitò un giorno in un fosso.I contadini la scorsero: alcuni la prendono a bastonate, altrile lanciano sassate; alcuni però, provando compassioneper quella che stava ormai per morire, anche se nessunol’avesse più ferita, le diedero del pane perché potessesopravvivere. Si fece notte. Rincasarono tranquilli, quasicerti che l’avrebbero trovata morta il giorno dopo.Ma la bestia, appena riacquistate le sue forze indebolite,con scatto veloce esce dalla fossa e rapida si avviaalla sua tana. Dopo alcuni giorni, si precipita fuori,massacra il gregge, uccide gli stessi pastori e devastandotutto infuria con impeto rabbioso. Allora, esterrefattiper la propria rovina coloro ch’erano stati clementi verso la bestia,si rassegnano al danno e implorano solo la vita.E la bestia: «Mi ricordo di coloro che mi hannopreso a sassate e di coloro che mi hannoofferto del pane: smettete di temere, perché saròsolamente la nemica di coloro che mi fecero male».
Humiles laborant ubi potentes dissident.Rana e palude pugnam taurorum intuens,'Heu, quanta nobis instat pernicies' ait.interrogata ab alia cur hoc diceret,de principatu cum illi certarent gregislongeque ab ipsis degerent vitam boves,'Sit statio separata ac diversum genus;expulsus regno nemoris qui profugerit,paludis in secreta veniet latibula,et proculcatas obteret duro pede.Ita caput ad nostrum furor illorum pertinet'.
Gli umili soffrono, quando i potenti si trovano schierati in campi opposti. La rana osservando dalla palude un combattimento di tori: "ohime`, che flagello sta per venirci addosso!"esclamo. Interrogata da un`altra perche dicesse questo, mentre quelli si contendevano la signoria della mandria e per giunta, i bovini passavano la loro vita ben lontano da loro, disse:"Sede separata e razza diversa, certo; ma chi, cacciato dal reame della battaglia, fuggito, verrà nei recessi della palude e dopo averci calpestato ci schiaccerà con piede inesorabile. Ecco perchè il loro furore si estende fino alla nostra vita".
Nemo libenter recolit qui laesit locum. Instante partu mulier actis mensibus humi iacebat, flebilis gemitus ciens. Vir est hortatus, corpus lecto reciperet, onus naturae melius quo deponeret. "Minime - inquit - illo posse confido loco malum finiri quo conceptum est initio".
Nessuno ritorna volentieri nel luogo che lo ha danneggiato. Essendo il parto imminente, una donna, passati i mesi, giaceva a terra emettendo flebili lamenti. Il marito la esortò a mettere il suo corpo a letto affinché deponesse meglio il peso della natura. (Ella) disse: “Non confido affatto che il male possa finire nel luogo in cui è iniziato”.
Aesopus domino solus cum esset familia,parare cenam iussus est maturius.Ignem ergo quaerens aliquot lustravit domus,tandemque invenit ubi lacernam accenderet,tum circumeunti fuerat quod iter longiuseffecit brevius: namque recta per forumcoepit redire. Et quidam e turba garrulus:«Aesope, medio sole quid tu lumine?»«Hominem» inquit «quaero.» Et abiit festinans domum.Hoc si molestus ille ad animum rettulit,sensit profecto se hominem non visum seni,intempestive qui occupato.
A Esopo, che da solo costituiva la servitù del suo padrone,fu richiesto di preparare la cena al più presto.Bussò quindi, di casa in casa, cercando del fuocoe infine trovò come alimentare la sua lucerna;s’avviò, poi, abbreviando la strada, allungata mentres’era recato di qua e di là e tagliò direttamenteper il foro. Ma un chiacchierone tra la folla: «Esopo,in pieno giorno con quel lume?». Rispose: «Cercol’uomo» e tagliò con fretta verso casa.Se quel seccatore ha soppesato il senso di ciò, ha capitocertamente di non essere sembrato un uomo al vecchio e diavere scherzato in modo inopportuno con chi era occupato.
Igitur Bruto Collatinoque ducibus et auctoribus, quibus ultionem sui moriens matrona mandaverat, populus Romanus ad vindicandum libertatis ac pudicitiae decus quodam quasi instinctu deorum concitatus regem repente destituit, bona diripit, agrum Marti suo consecrat, imperium in eosdem libertatis suae vindices transfert, mutato tamen et iure et nomine. Quippe ex perpetuo annuum placuit, ex singulari duplex, ne potestas solitudine vel mora corrumperetur, consulesque appellavit pro regibus, ut consulere civibus suis debere meminisset.Tantumque libertatis novae gaudium incesserat, ut vix mutati status fidem caperent alterumque ex consulibus, Lucretiae maritum, tantum ob nomen et genus regium fascibus abrogatis urbe dimitterent. Itaque substitutus Horatius Publicola ex summo studio adnixus est ad augendam liberi populi maiestatem. Nam et fasces ei pro contione submisit, et ius provocationis adversus ipsos dedit, et ne specie arcis offenderet, eminentis aedis suas in plana submisit. Brutus vero favori civium etiam domus suae clade et parricidio velificatus est. Quippe cum studere revocandis in urbem regibus liberos suos comperisset, protraxit in forum et contione media virgis cecidit securique percussit, ut plane publicus parens in locum liberorum adoptasse sibi populum videretur. [...]
Pertanto, sotto la guida e il comando di Bruto e di Collatino, a cui la matrona morente aveva affidato la sua vendetta, il popolo romano, spinto a rivendicare la libertà e quindi la dignità per così dire da una ispirazione divina, destituì il re di colpo, gli tolse il patrimonio, consacrò il territorio a Marte, suo patrono, trasferì il potere a quegli stessi che avevano rivendicato la sua libertà, cambiando sia la legislazione che il nome (del regime). Infatti il potere da eterno che era venne stabilito annuale, da individuale doppio, per evitare che degenerasse perché detenuto da uno solo o perché troppo a lungo nelle sue mani, e (il popolo romano) chiamò chi esercitava il potere consoli invece che re, perché tenessero a mente che dovevano pensare al bene dei loro concittadini.Ed era subentrata tanta soddisfazione per la nuova libertà che a malapena potevano credere al cambiamento di situazione e uno dei due consoli, marito di Lucrezia, soltanto per il suo nome e la sua stirpe imparentata coi re lo fecero andare via da Roma, dopo che gli erano stati tolti i fasci del potere. E così Valerio Publicola, che era stato messo al suo posto, si dette da fare con intenso zelo per accrescere l’autorità del popolo libero. Infatti a lui trasferì il potere davanti all’assemblea popolare e concesse il diritto di appello proprio contro questo potere e, per non urtare la suscettibilità con la posizione elevata sulla rocca, trasferì la sua casa, che si trovava in alto, in pianura.Bruto da parte sua partì col vento in poppa per riconquistare il favore dei suoi concittadini anche a prezzo della rovina e del tradimento della sua famiglia. Infatti avendo scoperto che i suoi figli cercavano di far tornare i re a Roma, li trascinò nel foro e in mezzo all’assemblea popolare li torturò con le verghe e li giustiziò, affinché fosse assolutamente chiaro che lui genitore di tutti aveva adottato al posto dei suoi figli il popolo.[...]
Ebrius ac petulans, qui nullum forte cecidit,dat poenas […][...] sed quamvis inprobus annisatque mero fervens cavet hunc quem coccina laenavitari iubet et comitum longissimus ordo,multum praeterea flammarum et aenea lampas.me, quem luna solet deducere vel breve lumencandelae, cuius dispenso et tempero filum,contemnit. miserae cognosce prohoemia rixae,si rixa est, ubi tu pulsas, ego vapulo tantum.stat contra starique iubet.parere necesse est;nam quid agas, cum te furiosus cogat et idemfortior? "unde venis" exclamat, "cuius aceto,cuius conche tumes? quis tecum sectile porrumsutor et elixi verecis labra comedit?nil mihi respondes? aut dic aut accipe calcem.ede ubi consistas: in qua te quaero proseucha?"dicere si temptes aliquid tacitusve recedas,tantumdem est: feriunt pariter, vadimonia deindeirati faciunt. libertas pauperis haec est:pulsatus rogat et pugnis concisus adoratut liceat paucis cum dentibus inde reverti.
Un ubriaco e petulante, che per caso non ha picchiato nessuno, si tormenta […]Ma anche se sfrontato per gli anni e ribollente di vino, evita un mantello rosso e un ordine lunghissimo di compagni, inoltre molte fiaccole e lampade di bronzo. L’ubriaco disprezza me, me che la luna è solita condurre o una luce modesta di una candela, della quale candela io dispenso e tempero il filo. Ascolta l’esordio di una misera rissa, se rissa è, dove tu colpisci io soltanto incasso. Lui ubriaco ti sta davanti e ordina di fermarti, è necessario ubbidire; infatti cosa puoi fare quando una persona furiosa ti obbliga e lo stesso ubriaco è abbastanza forte? <Da dove vieni?> esclama <della vinaccia di chi, delle fave di chi ti rimpinzi? Quale calzolaio ha mangiato con te un insalata di porri e ritagli di lesso castrato? Non mi rispondi niente? O lo dici o prendi un calcio. Dimmi dove abiti: in quale sinagoga ti trovo?>. se provi a dire qualcosa o in silenzio ti ritiri, è lo stesso; colpiscono ugualmente, poi arrabbiati pronunciano querele. Questa è la libertà del povero: picchiato chiede e prega che sia lecito allontanarsi da li con pochi denti.
da testem Romae tam sanctum quam fuit hospesnuminis Idaei, procedat vel Numa vel quiservavit trepidam flagranti ex aede Minervam:protinus ad censum, de moribus ultima fietquaestio. "quot pascit servos? quot possidet agriiugera? quam multa magnaque paropside cenat?"quantum quisque sua nummorum servat in arca,tantum habet et fidei. iures licet et Samothracumet nostrorum aras, contemnere fulmina paupercreditur atque deos dis ignoscentibus ipsis.Quid quod materiam praebet causasque iocorumomnibus hic idem, si foeda et scissa lacerna,si toga sordidula est et rupta calceus alterpelle patet, vel si consuto volnere crassumatque recens linum ostendit non una cicatrix?nil habet infelix paupertas durius in sequam quod ridiculos homines facit.
Presenta un testimone a Roma tanto rispettabile quanto fu l’ospite della divinità dell’ Ida […]Subito, al censo, l’ultima richiesta sarà riguardo ai suoi costumi: <Quanti servi mantiene? Quanti iugeri di terra possiede? Con quanto grandi e quanto numerose stoviglie cena?>. Ciascuno quanto conserva denaro nella sua cassettina, tanto ha di credibilità. È lecito giurare sugli altari dei samotraci e sui nostri, è ritenuto che il povero disprezzi i fulmini e gli dei essendo gli stessi dei non consapevoli. Che cosa dire del fatto che offre motivo e cause di scherno per tutti. Questo stesso se il mantello è sporco e rotto, se la toga è piuttosto sudicia e una delle due calzature mostra la pelle o se lo spago grossolano e recente mostra non una cicatrice essendo stato cucito insieme? La infelice povertà nulla ha in se di più duro del fatto che rende gli uomini ridicoli.
Non possum ferre, Quirites,Graecam urbem. quamvis quota portio faecis Achaei?iam pridem Syrus in Tiberim defluxit Oronteset linguam et mores et cum tibicine chordasobliquas nec non gentilia tympana secumvexit et ad circum iussas prostare puellas.ite, quibus grata est picta lupa barbara mitra.rusticus ille tuus sumit trechedipna, Quirine,et ceromatico fert niceteria collo.hic alta Sicyone, ast hic Amydone relicta,hic Andro, ille Samo, hic Trallibus aut Alabandis,Esquilias dictumque petunt a vimine collem,viscera magnarum domuum dominique futuri.
Io non posso sopportare, o cittadini di Roma, una Roma greca, sebbene i greci siano una parte della feccia?Già da tempo l’Oronte della Siria è sfociato nel Tevere e ha trasportato con se sia la lingua sia i costumi sia le corde oblique con il flautista e i timpani gentili, le fanciulle comandate a restare al circo. Avanti, coloro ai quali la lupa dipinta con la mitra piace. Quel tuo figliolo contadino, o romano, si è messo i sandaletti e porta le medagliette sul collo cosparso di ceroma. Questo (proviene) dall’alta Sicione, quest’altro dalla desolata Amidone, questo da Andro, quello da Samo, questo da Tralli o Alabanda, prendono d’assalto l’Esquilia e il colle detto dal vimine, anime di grandi casati e futuri signori.
[...] Tanta feritas animorum erat, ut nec origini suae parcerent. Namque Lucani isdem legibus liberos suos quibus et Spartani instituere soliti erant. Quippe ab initio pubertatis in silvis inter pastores habebantur sine ministerio servili, sine veste, quam induerent vel cui incubarent, ut a primis annis duritiae parsimoniaeque sine ullo usu urbis adsuescerent. [...] Primum illis cum Lucanis, originis suae auctoribus, bellum fuit, qua victoria erecti cum pacem aequo iure fecissent, ceteros finitimos armis subegerunt tantasque opes brevi consecuti sunt, ut perniciosi etiam regibus haberentur.Denique Alexander, rex Epiri, cum in auxilium Graecarum civitatium cum magno exercitu in Italiam venisset, cum omnibus copiis ab his deletus est. Quare feritas eorum successu felicitatis incensa diu terribilis finitimis fuit. Ad postremum inploratus Agathocles spe ampliandi regni a Sicilia in Italiam traiecit.
[...] Tanta era la ferocia del loro carattere che non avevano riguardo neppure della loro stirpe. Vediamo perché. I Lucani erano soliti educare i loro figli con le stesse regole con cui li educavano anche gli Spartani. Infatti fin dalla prima pubertà essi erano tenuti nei boschi in mezzo ai pastori senza l’assistenza della servitù, senza vesti da indossare o coperte su cui dormire, per abituarsi fin dai primi anni di vita alla resistenza fisica e alla frugalità, lontani dalle comodità cittadine. [...] In un primo tempo (i Bruzi) fecero guerra ai Lucani, fondatori della loro stirpe, e, preso vigore da questa vittoria, stipulata una pace a condizioni eque, sottomisero colle armi tutti gli altri popoli confinanti e raggiunsero in breve tempo tanta potenza da essere ritenuti pericolosi anche per i re. Alla fine Alessandro, re dell’Epiro, venuto in Italia con un grande esercito per aiutare le città della Magna Grecia, venne da loro sbaragliato con tutte le armate. Perciò, la loro ferocia, esaltata dal successo, incusse a lungo terrore ai popoli vicini. Alla fine Agatocle dietro loro richiesta insistente passò dalla Sicilia in Italia con la speranza di espandere il suo dominio.
Administrationem rei publicae per ordines divisit: regibus potestatem bellorum, magistratibus iudicia et annuos successores, senatui custodiam legum, populo sublegendi senatum vel creandi quos vellet magistratus potestatem permisit. Fundos omnium aequaliter inter omnes divisit, ut aequata patrimonia neminem potentiorem altero redderent. Convivari omnes publice iussit, ne cuius divitiae vel luxuria in occulto essent. Iuvenibus non amplius una veste uti toto anno permissum, nec quemquam cultius quam alterum progredi ne epulari opulentius, ne imitatio in luxuriam verteretur.Pueros puberes non in forum, sed in agrum deduci praecepit, ut primos annos non in luxuria, sed in opere et in laboribus agerent. Nihil eos somni causa substernere et vitam sine pulmento degere neque prius in urbem redire, quam viri facti essent, statuit. Virgines sine dote nubere iussit, ut uxores eligerentur, non pecuniae, severiusque matrimonia sua viri coercerent, cum nullis frenis dotis tenerentur. [...]
Divise l'amministrazione dello stato per gradi: permise ai re la potestà delle guerre, ai magistrati la giustizia e i successori annui, al senato la custodia delle leggi, al popolo di nominare il senato o di creare, coloro che voleva, in potere della magistratura. Divise ugualmente i fondi di tutti fra tutti, affinché un'uguale suddivisione dei patrimoni non rendesse qualcuno più potente dell'altro. Ordinò che tutti banchettassero a pubbliche spese, affinché la cui ricchezza e la lussuria fossero nascoste. Permise, alla gioventù, non più di una veste da usare per tutto l'anno, né che qualcuno procedesse più colto dell'altro, né che la finzione fosse mutata in lussuria. Stabilì che i bambini adolescenti fossero condotti non nel foro ma nel campo affinchè trascorressero i primi anni non nella lussuria ma nell'attività e nei lavori. Decise che niente li sottomettesse a causa della pigrizia, che vivessero senza mangiare carne e che non ritornassero in città senza essere diventati uomini. Ordinò che le vergini senza dote si sposassero, perchè venissero scelte le spose, e non i patrimoni, e perché gli uomini tenessero i loro matrimoni con maggiore severità poiché non erano costretti dalla dote. [...]
README.md exists but content is empty.
Downloads last month
19