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@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Siwa (oasi).\n### Descrizione: Siwa (toponimo berbero, in caratteri arabi trascritto سيوة, Ammònia in italiano) è un'oasi del deserto libico, che appartiene all'Egitto e si trova a circa 300 chilometri dalla costa del Mar Mediterraneo, nel territorio del governatorato di Matruh, quasi al confine con la Libia. Una strada la collega al capoluogo Marsa Matruh a nord, nonché all'oasi di Bahariya a est.\nSituata in una profonda depressione (18 m sotto il livello del mare), Siwa è molto ricca di acque e produce grandi quantità di datteri di ottima qualità.\nLa sua fama deriva principalmente dal suo antico ruolo di sede di un Oracolo di Ammon, le cui rovine sono una popolare attrazione turistica che ha dato all'oasi il suo antico nome di 'Oasi di Amon-Ra', una delle principali divinità egizie.\n\nDescrizione.\nL'acqua di Siwa viene anche sfruttata da una impresa italo-egiziana che la imbottiglia e la commercializza in gran parte dell'Egitto.La grande ricchezza di acque dell'oasi presenta però il rischio di allagare i terreni coltivati e raggiungere le ampie distese di sale che si trovano ai suoi margini, rendendo sterili i campi. Per questo è necessaria una costante opera di drenaggio delle acque e un assiduo controllo.\nNel 1926 il villaggio di Siwa dovette essere abbandonato dopo tre giorni di piogge ininterrotte: l'acqua aveva reso inabitabili le case costruite in karshif, un fango essiccato impregnato di sale.L'oasi di Siwa presenta la caratteristica di essere il più estremo punto orientale dove venga parlata la lingua berbera (un tempo essa era diffusa in tutte le oasi del deserto orientale e giungeva fino al delta del Nilo). I suoi abitanti (circa 15.000) sono tutti berberofoni, e persino alcune tribù arabe nomadi che la frequentano (gli Awlad Ali) fanno uso del dialetto berbero locale (siwi) per dialogare con gli oasiti.\n\nStoria.\nNell'antichità Siwa era nota per il tempio dedicato al dio Sole (per gli Egizi Amon), che ospitava un celebre oracolo. Secondo Erodoto, la tribù libica che abitava l'oasi era quella degli Ammonii. Nel VI secolo a.C. il re persiano Cambise II, dopo avere sottomesso l'Egitto, cercò di conquistare l'oasi con un esercito che si perse nel deserto senza più fare ritorno.\nAll'oracolo del dio Ammone (assimilato dai Greci a Zeus) si rivolse, tra gli altri, Alessandro Magno, ricevendone vaticini particolarmente favorevoli e la consacrazione a figlio della divinità. Per i grandi vincoli che univano il conquistatore Macedone all'oracolo, molti sostengono che egli abbia scelto di farsi seppellire proprio nell'oasi, e non ad Alessandria, come comunemente si ritiene.\nLe prove dell'esistenza del cristianesimo a Siwa sono incerte, ma nel 708 i Siwani resistettero a un esercito islamico e probabilmente non si convertirono fino al XII secolo. Un manoscritto locale menziona solo sette famiglie per un totale di 40 uomini che vivevano nell'oasi nel 1203.\nNel XII secolo, Al-Idrisi la cita come abitata principalmente da berberi, con una minoranza araba; un secolo prima Al-Bakri affermava che vi abitavano solo berberi. Lo storico egiziano Al-Maqrizi si recò a Siwa nel XV secolo e descrisse come la lingua parlata lì 'è simile alla lingua degli Zenata'.\nIl primo europeo a visitarla dall'epoca romana fu il viaggiatore inglese William George Browne, che vi giunse nel 1792 per vedere l'antico tempio dell'Oracolo di Amon. La studiosa Bompiani, nella descrizione dell'esploratore ottocentesco Luigi Robecchi Bricchetti, chiamò questo sito l''Oasi di Giove Ammone'.Durante la seconda guerra mondiale, nel 1942, per la sua posizione strategica, l'oasi fu teatro di aspre battaglie e venne occupata dal luglio 1942 fino alla seconda battaglia di El Alamein combattuta all'inizio di novembre dello stesso anno, dalla 136ª Divisione 'Giovani Fascisti' del Regio Esercito.\nOggi l'abitato di Siwa si stende ai piedi dell'antica cittadella (Shali), dall'architettura molto suggestiva, che però è costruita quasi tutta con materiali salini presi sul luogo, che con l'umidità tendono a sciogliersi, per cui ogni pioggia richiedeva lunghi restauri.\n\nSocietà.\nUna caratteristica della società tradizionale di Siwa era il divieto di sposarsi prima di una certa età imposto alla casta dei nullatenenti (zaggala), impiegati come braccianti nei lavori dei campi. Essi erano costretti a vivere segregati all'esterno dell'abitato, dove conducevano una vita promiscua, istituzionalizzando veri e propri 'matrimoni omosessuali'. Oggi queste pratiche sono quasi del tutto scomparse, e gli zaggala sono noti soprattutto per le loro canzoni, che allietano ogni festa e vengono anche registrate su cassetta e diffuse nell'oasi e altrove.\nDopo essere stata per tanti anni una località poco raggiungibile, anche per la vicinanza con la Libia, oggi Siwa si sta aprendo al turismo, con ottime prospettive, potendo offrire, oltre ai resti del tempio dell'oracolo e ad altri monumenti di epoca egizia, la sua vegetazione rigogliosa, numerose vasche di acqua dolce sorgiva a diverse temperature per i bagni, e anche sabbie particolarmente indicate per sabbiature curative.\n\nMedia.\nNel videogioco Assassin's Creed: Origins Siwa è il luogo di nascita del protagonista, Bayek di Siwa.\nNel videogioco Wolfenstein Enemy Territory la mappa di gioco 'Siwa Oasis' ricalca fedelmente l'oasi.\nNel videogioco Sniper Elite 3 la quinta missione è ambientata all'interno dell'oasi.
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### Titolo: Soface.\n### Descrizione: Soface (in Greco antico: Σόφαξ) è un semidio o eroe della mitologia greca figlio di Eracle e di Tinga o Tingis, la vedova del gigante Anteo.\nFondò la città da Tingis, l'odierna Tangeri, chiamandola così in onore della madre.\nFu re dei Numidi ed ebbe un figlio, di nome Diodoro, il quale governò saggiamente la Mauritania e la Numidia con l'aiuto degli dèi.\nSecondo lo storico greco antico Plutarco, molti dei miti furono creati per nobilitare ed esaltare le origini divine del re dei Numidi Giuba II, il quale si riteneva discendente di Soface.
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### Titolo: Soldati fra colonne.\n### Descrizione: Soldati fra colonne è un affresco realizzato nel 1757 da Giambattista Tiepolo per la Villa Valmarana 'Ai Nani', a Vicenza.\n\nDescrizione.\nSituato nel corpo principale della villa, il dipinto occupa una delle porzioni nella Sala di Ifigenia ed è pertanto direttamente collegato al Sacrificio d'Ifigenia, che si trova sulla parete al centro. Vi sono rappresentati un cane e alcuni soldati achei che assistono al sacrificio della figlia di Agamennone, voluto da Artemide, che però all'ultimo momento salverà la fanciulla.
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### Titolo: Sonetti a Orfeo.\n### Descrizione: I Sonetti a Orfeo (Die Sonette an Orpheus) sono un ciclo di 55 sonetti scritti da Rainer Maria Rilke a Muzot, in Svizzera, in meno di tre settimane nel febbraio 1922 e pubblicati l'anno successivo.\nIl poeta descrive questo periodo di ispirazione come 'un innominato turbine'. L'opera riprende le tematiche delle Elegie duinesi, concluse insieme ai Sonetti ma iniziate un decennio prima.\nRilke risponde alla caducità, alla morte come dato ineluttabile dell'esistenza con un'accettazione totale dell'esistenza che richiama Nietzsche.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Sonnets to Orpheus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Sortes Sanctorum.\n### Descrizione: Quella delle Sortes Sanctorum («lotti» o «sorte dei santi»), oppure Sortes Apostolorum («sorte degli apostoli»), era una pratica tardoantica e altomedievale con cui in ambito cristiano si effettuavano predizioni di carattere divinatorio estraendo a sorte dei numeri o delle lettere dai Salmi, oppure aprendo a caso una pagina di un testo sacro in cui si sperava di trovare la risposta ad un proprio interrogativo.\nSi trattava di una forma di bibliomanzia, o al limite di sticomanzia, dato che secondo studi recenti le Sortes Sanctorum sarebbero consistite in una tecnica leggermente diversa da quella dell'uso della Bibbia, per la quale invece valeva più appropriatamente la denominazione di Sortes Biblicae.\n\nStoria.\nLa pratica deriva da un adattamento delle Sortes degli antichi romani, termine che significa «lotti», con cui si indicavano piccole tavolette simili a gettoni, posti in un secchio e poi estratti a sorte, oppure lanciati come fossero dadi, per trarne auspicia («predizioni»). Tali lotti potevano portare iscritti dei versi di Omero o di Virgilio (sortes homericae, o sortes virgilianae), oppure erano gli stessi poemi di costoro ad essere consultati a caso.\nSuccessivamente i primi cristiani vi sostituirono la Bibbia come libro da consultare a scopi divinatori.\nTalora sorse anche l'abitudine di recarsi in chiesa ad ascoltare le prime parole delle Scritture che venivano cantate appena entrati, come mezzo casuale per predire il futuro o la volontà divina, sulla falsariga della tipologia di divinazione ebraica chiamata Bath Kol. In genere tuttavia le Sortes consistevano nell'aprire casualmente le Sacre Scritture e leggere le prime parole a portata di mano, interpretando le quali il ricercatore prediceva il destino.Questa pratica poteva essere un evento pubblico, a volte accompagnato da cerimonie: ad esempio l'imperatore Eraclio nel 625 ordinò tre giorni di digiuno pubblico prima di una consultazione biblica, circa l'opportunità di avanzare o ritirarsi contro i Persiani, e interpretando il testo estratto a sorte come un'istruzione divina decise che avrebbe fatto stazionare l'esercito in Albania per quell'inverno.Si trattava di una pratica mantica spesso condannata dalla Chiesa sin dal V secolo, in particolare nei concili di Vannes (461 d.C., canone 16), e di Agde (506 d.C., canone 42), sebbene capace di sopravvivere a lungo, e fosse talora utilizzata dagli stessi sacerdoti, tra gli altri da sant'Agostino d'Ippona.La conversione di quest'ultimo al cristianesimo, per giunta, sarebbe stata propiziata dalle parole casuali di un bambino («prendi e leggi») che lo invitavano ad aprire un testo della Bibbia, in cui la prima frase che gli capitò sott'occhio era un passo della Lettera ai Romani di San Paolo. Anche San Francesco d'Assisi utilizzò questa tecnica, ad esempio per sapere se avesse dovuto rinunciare ai libri per vivere in povertà.Studi più recenti sostengono che la denominazione di Sortes Sanctorum in origine si riferisse specificamente alla pratica di scrivere i nomi dei santi su lotti o tavolette, che poi venivano estratti a sorte al fine di prendere una decisione, come testimonierebbe una collezione canonica del X o XI secolo nota come Collezione in cinque libri.Un'altra ipotesi, più radicale, sostiene che l'espressione Sortes sanctorum non si riferisse «né alla divinazione del lotto biblico né a nessun genere di divinazione», ma fosse semplicemente il titolo di un testo specifico, ancora circolante in numerosi manoscritti medievali.
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### Titolo: Sortes.\n### Descrizione: Le sortes (sors al singolare latino ) erano un metodo frequente di divinazione utilizzato dagli antichi romani.\nIl metodo implica una specie di lotteria (sortes), con cui l'appunto si tira o si estrae a sorte, onde ottenere auspicia, ossia la conoscenza degli eventi futuri: in molti antichi templi italici la volontà degli Dei veniva consultata in questo modo, come a Preneste, Cere, eccetera.\n\nLa lotteria delle sortes.\nQueste sortes o «lotti» erano di solito piccole tavolette simili a gettoni (o fiche), fatti di legno o altro materiale, ed erano comunemente gettati in una situla (secchio), o dentro un'urna, riempita con acqua, da cui poi venivano estratte a sorte. Viceversa le sortes venivano talvolta lanciate come fossero dadi.Sulla base del risultato si effettuava una predizione detta «cleromanzia», ed il nome sortes venne così assegnato ad ogni sorteggio utilizzato per determinare gli avvenimenti. Lo stesso metodo fu anche applicato per ricevere le risposte verbali di un oracolo.Varie parole venivano scritte sopra i lotti, secondo le circostanze, come per esempio i nomi delle persone che li usavano: sembra fosse stata una pratica prediletta nei tempi successivi quella di scrivere versi di poeti illustri sopra piccole tavolette, ed estrarli poi dall'urna insieme agli altri lotti, supponendo che i versi così ottenuti fossero adatti a una data persona o situazione; perciò noi leggiamo di sortes homericae, o sortes virgilianae, che indicano rispettivamente i lotti o versi di Omero e Virgilio estratti a sorte.Allo stesso modo questa era anche la pratica per consultare i poeti, come i musulmani facevano con il Corano e con gli Ḥāfiẓ, e molti cristiani con la Bibbia, vale a dire aprendo il libro a caso e applicando il primo passaggio che colpisce l'occhio a circostanze immediate riguardanti la propria persona. Questa pratica era molto comune tra i primi cristiani, i quali sostituivano la Bibbia e il Libro dei Salmi ad Omero e Virgilio.\nMolti concili ripetutamente condannarono queste, così allora definite, Sortes Sanctorum («sacri lotti»). I libri sibillini erano probabilmente anche consultati in questo modo. Coloro che predicevano gli eventi futuri per mezzo delle sortes venivano chiamati sortilegi («indovini»).\n\nSortes Conviviales.\nIn maniera simile, le Sortes Conviviales erano tavolette sigillate, che venivano vendute agli intrattenimenti, e dopo essere state aperte, togliendo il sigillo, concedevano all'acquirente il diritto a merci di valore molto diverso; perciò erano anch'esse un tipo di lotteria.
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### Titolo: Sparta (mitologia).\n### Descrizione: Sparta (in greco antico: Σπάρτη?, Spártā) è un personaggio della mitologia greca ed eponimo della città di Sparta.\n\nMitologia.\nEra figlia di Eurota e di Clete e fu moglie di Lacedemone re e fondatore di Sparta e che diede il nome alla città proprio in suo onore.\nLacedemone e Sparta ebbero un figlio, Amicla (il secondo re di Sparta) ed una figlia, Euridice.\n\nGenealogia.\nuomo donna divinità.
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### Titolo: Sparti.\n### Descrizione: Gli Sparti (Σπαρτοί '[uomini] seminati', da σπείρω, speírō, 'seminare') sono personaggi della mitologia greca.\nLa leggenda narra che Cadmo abbia dovuto uccidere uno spaventoso drago per poter iniziare ad edificare la città di Tebe. Atena, per aiutarlo, gli suggerì di seminare i denti del drago ucciso e di attendere. Dalla terra uscirono all'improvviso uomini armati, gli Sparti, che si gettarono ferocemente gli uni contro gli altri, fino a che non ne sopravvissero cinque: Ctonio, Echione, Iperenore, Pelore e Udeo.\nCadmo chiese a questi di aiutarlo nella costruzione della cittadella di Tebe: la Cadmea. In seguito concesse in sposa sua figlia Agave a uno di loro, Echione.
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### Titolo: Stafilo.\n### Descrizione: Stafilo (in greco antico: Στάφυλος?, Stáphylos) è un personaggio della mitologia greca. Fu uno degli Argonauti.\n\nGenealogia.\nFiglio di Dioniso e Arianna, sposò Crisotemi che gli diede le figlie Parteno, Reo ed Emitea (conosciuta anche come Molpadia). Secondo una versione, Parteno era invece figlia del dio Apollo.\n\nMitologia.\nFu un Argonauta assieme al fratello Fano, la cui esistenza viene citata solo da Apollodoro nella lista degli Argonauti.\nStafilo fu un generale dell'esercito di Radamanto ed ebbe in dono l'isola di Scopelo dove fondò la città di Pepareto, poi visse a Nasso dove si sposò.\nQuando seppe che la figlia Reo aveva amato Apollo ed era rimasta incinta, lui, infuriato la rinchiuse in uno scrigno e la gettò alla furia del mare, questa però si salvò e diede alla luce Anio.\nSecondo Partenio, Stafilo visse a Bubasto ed un giorno ricevette Lirco (figlio di Foroneo) la cui moglie non poteva avere figli. Lirco, in precedenza aveva saputo da un oracolo di Apollo che avrebbe impregnato la prima donna con cui sarebbe giaciuto.\nStafilo, ignaro della cosa, gli fece bere dei vini e gli permise di adagiarsi con una figlia (Emiteia) che rimase incinta di Basileo.\nStafilo s'imbarcò sull'Argo quando Giasone mandò gli araldi in cerca di avventurieri ed un giorno che con gli Argonauti chiese aiuto al re di Delo, non si accorse che il re che aveva di fronte era suo nipote Anio.
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### Titolo: Statua di Medea.\n### Descrizione: La statua di Medea (in georgiano მედეას ქანდაკება?) è un monumento di Batumi, in Georgia.\nRaffigura Medea, personaggio della mitologia greca, figlia di Eete, re della Colchide. Nella mano destra tiene il vello d'oro, simbolo di prosperità. Fu realizzata nel 2007 da Davit Khmaladze, architetto georgiano attivo in Belgio, grazie ad uno stanziamento governativo di 1.230.000 lari. Secondo l'allora sindaco di Batumi, Irakli Tavartkiladze, la statua possiede un importante contenuto simbolico poiché: 'Medea è il simbolo dell'integrazione delle culture georgiana ed europea'. Fu inaugurata ufficialmente il 6 luglio 2007, alla presenza del presidente della Georgia Mikheil Saak'ashvili.
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### Titolo: Statua di Teucro.\n### Descrizione: Teucro, è una statua creata dallo scultore spagnolo Cándido Pazos, che si trova a Pontevedra (Spagna). È situata in Piazza San Giuseppe sopra l'orologio dell'edificio centrale della Cassa di Risparmio Provinciale di Pontevedra ed è stata inaugurata il 15 luglio 2006.\n\nStoria.\nTeucro è il mitico fondatore della città di Pontevedra. La leggenda narra che il mitico arciere Teucro, figlio del re Telamone (re di Salamina), seguì una sirena, Leucoiña, in esilio nella Ria di Pontevedra e poi fondò la città.\nPrima della fondazione della città, Teucro, insieme al fratello Aiace e al cugino Achille, era partito per la guerra di Troia. Ma quando questa lunga guerra finì e tornarono a casa, gli eroi non furono ben accolti, anche dalle loro stesse famiglie. Teucro, respinto dal padre, andò quindi alla ricerca di una nuova patria in Occidente e arrivò in Iberia, viaggiò lungo la costa della Hispania, attraversò lo stretto di Gibilterra e fondò una colonia greca chiamata Hellenes, che in seguito divenne Pontevedra.\n\nDescrizione.\nLa scultura è in bronzo ed è alta 6 metri.Pesa 2 tonnellate ed è ancorata con un picchetto d'acciaio al piccolo padiglione dell'orologio nella parte superiore dell'edificio della Cassa di Risparmio di Pontevedra. La scultura dà una sensazione di leggerezza che fa pensare di galleggiare nell'aria nel vuoto.Teucro è rappresentato come un giovane atleta nudo con un arco modernista e l'espressione di essere arrivato a destinazione.\n\nTeucro in città.\nLa città ha dato il nome di Teucro nel 1843 alla piazza più antica del centro storico, che fino ad allora si chiamava piazza della città o piazza del pane.Sulla facciata del municipio di Pontevedra (1880) c'è un'iscrizione sulla fondazione della città da parte dell'arciere greco Teucro.\n\nNella Basilica di Santa Maria Maggiore c'è una statua di Teucro che porta la clava in cima al contrafforte destro della sua facciata principale. Nel 1956, una statua in granito di Teucro che rompe le fauci del leone di Nemea con una croce dietro di essa è stata aggiunta all'arco della fontana che chiude il piazzale della chiesa della Madonna Pellegrina.\n\nGalleria d'immagini.
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### Titolo: Stenebea.\n### Descrizione: Stenebea (in greco antico: Σθενέβοια?, Sthenéboia), o Antea, è un personaggio della mitologia greca. Fu una regina di Tirinto.\n\nGenealogia.\nFiglia di Amfianasso o di Afeida, sposò Preto da cui ebbe le Pretidi (Lisippa, Ifinoe ed Ifianassa) e Megapente.\n\nMitologia.\nInnamoratasi di Bellerofonte, ospite del marito, fu da lui rifiutata. Per vendicarsi accusò l'eroe di aver cercato di sedurla e convinse Preto ad ucciderlo. Le leggi greche dell'ospitalità impedivano però l'uccisione di un commensale e quindi Preto inviò Bellerofonte da Iobate, con la scusa di consegnargli una lettera (che ne richiedeva, in realtà, l'uccisione).\nAnche Iobate però ospitò Bellerofonte e sempre per osservanza delle leggi, non se la sentì di assassinarlo direttamente così preferì chiedere al giovane di uccidere la Chimera, un mostro dalla testa di leone, il corpo di caprone e la coda di serpente che sputava fiamme.\nIn seguito gli venne chiesto di affrontare ulteriori prove mortali, come combattere contro il violento popolo dei Solimi, di uccidere le Amazzoni e di affrontare un attentato preparato dallo stesso Iobate.\nDopo averlo visto superare tutte le imprese, Iobate riconobbe la protezione divina di cui godeva Bellerofonte e gli diede in sposa una delle sue figlie.\n\nLa morte.\nSecondo una versione del mito, quando Antea scoprì che Bellerofonte era ancora vivo, in preda alla rabbia si uccise, mentre secondo un'altra versione fu Bellerofonte a vendicarsi di lei, tornando ad Argo e caricandola su Pegaso per poi farla precipitare.\nLe tre figlie di Preto e Antea divennero folli e condannate a vagare allo stato selvaggio sulle montagne, assalendo come belve gli sfortunati viandanti. Due di loro furono poi guarite da Melampo mentre Ifinoe morì.\n\nAltre vicende.\nAlla vicenda di Stenebea era dedicata una tragedia perduta di Euripide intitolata Stenebea.\nIl personaggio potrebbe comparire, o più probabilmente essere semplicemente citato, anche in un'altra tragedia perduta di Euripide, il Bellerofonte.\nLa relazione tra Stenebea e Bellerofonte ricalca quella biblica tra la moglie di Putifarre e Giuseppe.
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### Titolo: Stenelo (figlio di Capaneo).\n### Descrizione: Stenelo (in greco antico: Σθένελος?, Sthénelos) è un personaggio della mitologia greca. Fu Re di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Capaneo, ebbe i figli Comete e Cilarabe.\n\nMitologia.\nFu uno degli Epigoni che presero parte alla seconda spedizione contro Tebe.\nPartecipò anche alla guerra di Troia come auriga di Diomede. Secondo il V canto dell'Iliade, Diomede uccise Pandaro e ferì Enea, che cadde svenuto. Su ordine di Diomede, Stenelo rubò quindi i valenti cavalli di Enea, discendenti dei cavalli offerti da Zeus a Troo. Secondo l'Eneide, Stenelo fu tra i guerrieri che si nascosero nel cavallo di legno. Alla caduta di Troia, fece ritorno nella sua terra.
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### Titolo: Stentore.\n### Descrizione: Stentore (greco: Στέντωρ) era l'araldo dei guerrieri greci, descritti da Omero durante la guerra di Troia nell'Iliade.\nAveva la caratteristica di possedere una voce pari a quella di cinquanta uomini, tanto potente da sentirsi a miglia di distanza.\nLa dea Era prese le sue sembianze quando volle incoraggiare le truppe greche al combattimento. Morì in un duello vocale con Ermes.\nDal suo nome è scaturito l'aggettivo stentoreo, con riferimento a una voce potente: voce stentorea.\n\nFonti.\nOmero, Iliade, V, 783 ss.
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### Titolo: Sterope (ciclope).\n### Descrizione: Sterope (in greco antico: Στερόπης?, Sterópēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Urano (il cielo) e di Gea (la terra).\n\nMitologia.\nEra un ciclope, viveva nell'Etna ed era colui che anticipava il fragore del tuono con i lampi.\nEsiodo lo descrive (insieme ai suoi fratelli Bronte e Arge) come una creatura prodigiosa e conoscitore dell'arte della lavorazione del ferro. Come i due fratelli forgiava i fulmini di Zeus.
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### Titolo: Stige.\n### Descrizione: Lo Stige (in greco antico: Στύξ?, Stýx - dal verbo στυγέω, 'odiare'), noto anche come 'fiume dell'odio', è uno dei cinque fiumi presenti negli Inferi secondo la mitologia greca e romana.\n\nStoria.\nSecondo il mito lo Stige si estendeva in nove grandi meandri che formavano una palude, detta appunto 'palude Stigia', che ostacolava la strada per arrivare al vestibolo dell'oltretomba; gli altri fiumi infernali erano Cocito (fiume del pianto), Acheronte (fiume del dolore), Flegetonte (fiume del fuoco) e Lete (fiume dell'oblio).\nGli dei lo chiamavano a testimone nei loro giuramenti mettendo in palio la propria appartenenza ai principi informatori del cosmo, dato che la potenza del fiume era tale che anch'essi la temevano, e tale giuramento era una formula inviolabile: se un dio era sospettato di mentire Zeus gli faceva bere una brocca d'acqua di questo fiume e qualora Stige avesse scoperto che aveva mentito il dio passava un anno in coma e nove anni lontano dai simposi.\nLe sue acque avevano anche il potere di rendere invulnerabili: Teti infatti vi immerse il figlio neonato Achille tenendolo però per il tallone, che non essendo stato toccato dall'acqua divenne il suo proverbiale punto debole.\n\nInfluenza culturale.\nAstronomia.\nAd una delle lune di Plutone è stato dato il nome del fiume.\nAllo Stige è intitolato lo Styx Dorsum su Marte.\n\nLetteratura.\nCome molti altri luoghi della mitologia classica, anche lo Stige è stato ripreso da Dante Alighieri nella Divina Commedia: qui il fiume diventa il quinto cerchio dell'Inferno, nel quale sono immersi gli iracondi e sommersi gli accidiosi.\nAppare anche nella saga Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo. Il protagonista, Percy Jackson, si tuffa nel fiume infernale, incontrando anche il fantasma di Achille, per ricevere le capacità necessarie per battersi contro Crono in 'Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo lo scontro finale'.\nNella Saga della spada di ghiaccio lo Stige non è un fiume ma un lago sotterraneo.\nUna caduta in uno Stige melmoso viene descritta nel L' irrimediable di Baudelaire, tra incubi, funebri angosce e umidi baratri:Une Idée, une Forme, un Etre/parti de l'azur et tombé/dans un Styx bourbeux et plombé/... un Ange... au fond d'un cauchemar énorme/... un damné descendant sans lampe,/au bord d'un gouffre dont l'odeur/trahit l'humide profondeur,/d'éternels escaliers sans rampe...\n\nMusica.\nDal nome del fiume hanno preso il nome gli Styx, gruppo rock statunitense.\n\nVideogiochi.\nNel videogioco Super Paper Mario, il Mondodigiù è molto ispirato all'Erebo, il regno dei morti di Ade secondo la mitologia greca. Qui c'è il fiume Ztige, palesemente ispirato allo Stige. Esso è pieno di fantasmi che tentano di trascinare nei suoi fondali chi ci va a nuoto chiamati Manomorta (Underhand) e per evitare queste creature e oltrepassare il fiume velocemente si può pagare il traghettatore Garonte, ispirato al famoso Caronte (il traghettatore del fiume Acheronte).\nNella campagna 'La Caduta del Tridente' di Age of Mythology, l'Oltretomba greco appare molte volte. Vi è un livello dove il protagonista Arkantos ne rimane intrappolato e ad un certo punto deve prendere la barca di Caronte per attraversare un tratto del fiume Stige. Dentro vi nuotano varie creature marine come Kraken e Leviatani. Nelle versioni più recenti del gioco è stata aggiunta una mappa scontro chiamata proprio Fiume Stige, ambientata appunto in una zona dell'Oltretomba vicina al fiume, e in più il fiume Stige è un tipo di tileset d'acqua che può essere messo in una mappa sull'editor.\nNel videogioco Hades, Zagreus, figlio di Ade,si imbatte delle volte nel traghettatore Caronte, che in cambio di oboli fornisce al protagonista equipaggiamento per potenziare il suo arsenale, nel primo livello del gioco (il tartaro) si nota il fiume percorrere delle stanze. Una volta emerso dai Campi Elisi, il protagonista si ritroverà sul Tempio dello Stige nel quale dovrà afforntare i Satiri e nel quale dovrà corrompere Cerbero per raggiungere la Grecia dove lo attende suo padre Ade per sfidarlo in un duello all'ultimo sangue.\nNel videogioco ULTRAKILL, lo Stige ricopre tutto il cerchio dell'Ira, dove si possono trovare parti dei corpi degli iracondi nell'acqua. Il primo livello comincia con il giocatore che si ritrova sott'acqua, e dopo essere risaliti in superficie ci si ritrova sulla superficie del fiume, nel secondo livello. Viene successivamente chiamata una nave dove si può combattere il Traghettatore, il secondo boss del cerchio dell'Ira. Il terzo livello si svolge all'interno della nave, che viene misteriosamente capovolta vicino alla fine. Nel quarto e ultimo livello si risale in superficie per combattere il secondo boss del cerchio, il Leviatano.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Stinfalia.\n### Descrizione: Lo Stinfalia (in greco Λίμνη Στυμφαλία, Límnē Stymphalía) è un lago paludoso della Grecia. È situato su un altopiano a 600-800 metri d'altitudine alle falde meridionali del monte Cillene, fra le alture del Peloponneso nord-orientale, presso Nemea.\nAlimentato solo in parte da sorgenti, il lago è drenato da vari collettori d'acqua sotterranei e da un canale, per cui il terreno risulta in gran parte asciutto e, nelle annate secche, totalmente prosciugato. L'area, un misto di macchie umide selvatiche e di zone coltivabili, viene utilizzata per l'agricoltura, la pastorizia e la caccia. Il sito è popolato soprattutto da uccelli (è un'importante stazione per la riproduzione, il transito e lo svernamento degli uccelli acquatici, fra cui specie protette come l'aquila di mare dalla coda bianca, l'Haliaeetus albicilla), da anfibi (in particolare le rane, che talora si mimetizzano a migliaia nell'erba), da piante e altri animali (come le donnole).\nVicino alle rive del lago sorgeva l'antica città di Stinfalo, nota soprattutto per una delle dodici fatiche di Eracle. Nel IV secolo a.C. fece parte prima della Lega arcadica e poi di quella di Corinto (338-337 a.C.); coinvolta nelle guerre dei diadochi, la città sostenne Poliperconte contro Cassandro I che, nel 315 a.C., la fece occupare da Apollonide. Nel 235 a.C. aderì alla Lega achea che, contrapponendosi alla Lega etolica, da un lato favorì la conquista del Peloponneso da parte di Filippo V di Macedonia e, dall'altro, provocò l'intervento romano nella regione e la sua occupazione nel 146 a.C. Qui, oltre un secolo dopo, l'imperatore Adriano fece costruire un acquedotto di 132 km per rifornire Corinto con l'acqua del lago.\n\nMitologia.\nAnticamente si riteneva che presso il lago vivessero grandi e mostruosi uccelli con penne, becco e artigli di ferro che aggredivano i viandanti, li rapivano e li portavano con sé nella selva circostante per ucciderli e divorarli. La sesta fatica di Eracle consistette appunto nel disperdere e uccidere gli uccelli di Stinfalia; l'eroe vi riuscì con un abile stratagemma: dapprima li stanò dalla fitta vegetazione del lago (la 'palude stinfalide') battendo sonoramente dei potenti sonagli di bronzo donatigli da Atena e poi li uccise con le sue frecce infallibili.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Storie di Enea.\n### Descrizione: Le Storie di Enea sono il tema di un fregio affrescato da Ludovico, Agostino e Annibale Carracci in una sala di Palazzo Fava (poi Fava Ghisilieri) a Bologna. Incerta è la data di esecuzione dell'opera, che le acquisizioni più recenti collocano ai primi anni dell'ultimo decennio del Cinquecento. Gli affreschi versano in condizioni conservative piuttosto compromesse, solo in parte migliorate da recenti restauri.\n\nStoria.\nDopo i fregi con le Storie di Giasone e Medea e di Giove ed Europa, si tratta della terza impresa decorativa commissionata ai Carracci dal conte Filippo Fava per la sua dimora bolognese.\nStando al racconto di Carlo Cesare Malvasia (Felsina pittrice, 1678), questo terzo incarico sarebbe stato affidato al solo Ludovico. Lo storico bolognese narra infatti che il conte Fava sarebbe stato negativamente influenzato dalle critiche mosse - in particolare da Bartolomeo Cesi - al fregio di Giasone e Medea, giudizi negativi che avrebbero risparmiato le sole parti del ciclo argonautico dovute a Ludovico Carracci. Di qui la decisione del Fava di escludere da questa terza commessa Annibale ed Agostino. Sempre secondo l'aneddotica malvasiana, Ludovico però avrebbe egualmente coinvolto i suoi cugini - e in particolar modo Annibale, cui avrebbe affidato l'esecuzione di tre riquadri del fregio - praticamente di nascosto.\nMolto controversa è la data di realizzazione delle Storie di Enea. Sempre il Malvasia riporta che alla loro esecuzione si mise mano subito dopo la conclusione del fregio di Giasone, portato a termine orientativamente nel 1584. Alcuni storici moderni, accettando la versione del Malvasia, datano quindi il fregio virgiliano intorno al 1585. Altri studi, però, spostano di qualche anno in avanti le storie di Enea, sia sulla base di rilievi stilistici, sia considerando che in Palazzo Fava vi sono altri tre ambienti decorati egualmente con storie tratte dall'Eneide.\nQueste altre tre stanze - dovute una all'allievo dei Carracci, Francesco Albani, un'altra a non meglio individuati discepoli degli stessi Carracci e la terza a Bartolomeo Cesi - costituiscono un continuum con la stanza affrescata da Ludovico, Agostino ed Annibale. Si tratta in sostanza di un unico ciclo virgiliano, suddiviso in più “capitoli” quante sono le stanze di Palazzo Fava dedicate alle vicende narrate nell'Eneide. Dal momento che gli altri tre fregi virgiliani sono con certezza collocabili nell'ultimo decennio del XVI secolo, sembra plausibile che anche quello dei Carracci si collochi in questo stesso periodo di tempo (apparendo poco probabile che la decorazione delle quattro stanze di Palazzo Fava dedicate all'eroe troiano - frutto di un progetto unitario - possa aver richiesto dieci anni e più). Conseguentemente, la datazione ad oggi più seguita per il fregio con le storie di Enea è ai primi anni novanta del XVI secolo.\nResta in ogni caso molto incerto se il terzo ciclo di casa Fava segua o preceda le Storie della fondazione di Roma di Palazzo Magnani, capolavoro collettivo dei Carracci a Bologna, anch'esso risalente al 1590-91.\n\nLa datazione più tarda potrebbe peraltro spiegare in modo più convincente del racconto del Malvasia - sul punto forse poco credibile - il ruolo preminente di Ludovico nell'impresa, comunque riconosciuto anche dalla critica moderna. Nei primi anni novanta del Cinquecento, infatti, Annibale è ormai un pittore affermato - pienamente autonomo dal più anziano cugino - ed impegnato in importanti commissioni che spesso lo portano fuori Bologna. Così come Agostino in quel tempo è già un incisore di grido, attività che del pari lo tiene a lungo lontano dalla sua città di nascita (e segnatamente a Venezia, dove mette su anche famiglia). Ludovico invece dei tre fu il più stanziale e forse per questo ebbe un ruolo maggiore nel terzo fregio voluto dal conte Fava.\nDei dodici riquadri con le vicende di Enea, infatti, ben nove sarebbero opera di Ludovico, tre di Annibale, mentre il contributo di Agostino è più incerto ed è forse concentrato nella realizzazione dei (pregevoli) termini monocromi che intervallano gli episodi narrativi.\nIl tema affrontato vantava già notevoli precedenti nella pittura locale tra i quali gli affreschi di Nicolò dell'Abate realizzati prima per la Rocca dei Boiardo a Scandiano (poi staccati ed ora nella Galleria di Modena) - che sono una delle più antiche raffigurazioni pittoriche tratte dall'Eneide a noi note - e in seguito per Palazzo Leoni a Bologna (questi ultimi forse opera di scuola).\n\nIl fregio dei Carracci.\nIl fregio si articola in dodici riquadri narrativi tratti dai libri II e III dell'Eneide. Le pareti lunghe ospitano quattro episodi e quelle corte due.\nLa narrazione ha avvio sulla parete lunga esposta ad Ovest e procede in senso antiorario.\nSotto ogni scena vi è un cartiglio con un motto latino che ne compendia il significato (elemento che si ritrova identico anche nelle Storie della fondazione di Roma, altra opera collettiva dei Carracci). In genere questi aforismi sono parafrasi di versi dell'Eneide, ma in alcuni casi si tratta di vere e proprie citazioni letterali del poema.\nGli affreschi sono collocati immediatamente al di sotto del soffitto dell’ambiente e poggiano su una trabeazione illusionistica. Ogni scena è inquadrata da una finta cornice in marmo che nella parte alta è riccamente istoriata.\nI singoli episodi narrativi sono separati uno dall'altro da otto complessi gruppi terminali, collocati su finte mensole aggettanti, composti da un guerriero nudo che sottomette un’arpia.\nIl tema di questi gruppi è quindi connesso ad una delle scene narrative del fregio dove i Troiani lottano con le terribili creature alate.\nIl monocromo col quale sono raffigurati e il loro illusionistico aggetto creano l'effetto visivo di sculture poggiate al muro.\nAgli angoli delle pareti, dato il minor spazio disponibile, in luogo del complesso gruppo guerriero/arpia, vi sono più semplici putti che reggono degli scudi sui quali sono raffigurati simboli araldici.\nNell'ornato del lato alto della finta cornice marmorea, tra volute di motivi vegetali, si vedono delle maschere dalle fattezze grottesche: è un elemento che si ritrova, ancora più caratterizzato, nelle già menzionate Storie della fondazione di Roma e poi pienamente sviluppato nella volta della Galleria Farnese, capolavoro romano di Annibale Carracci.\nLo stato di conservazione degli affreschi, specie in alcune parti, è piuttosto precario. Tra le cause che hanno contribuito al danneggiamento delle pitture vi è anche il rifacimento della travatura del soffitto (avvenuto in data imprecisata) che ha colpito soprattutto i termini (sulle pareti lunghe, in particolare, l'apposizione delle travi ha comportato la distruzione dell'affresco in corrispondenza della testa dei guerrieri).\nIgnoto è l'ideatore del ciclo: la minuta conoscenza dell'Eneide che esso tradisce (anche tramite le iscrizioni dei cartigli) lascia pensare che si tratti di un letterato, mentre è meno probabile (ma non da escludere) che l'impaginazione iconografica del fregio sia stata autonomamente definita dai pittori.\n\nSinone imprigionato.\nIl primo episodio del fregio raffigura l'evento culminante dell'inganno mediante il quale i Greci espugneranno Troia, dopo tanti anni di inutile lotta.\nI Danai fingono di abbandonare il campo e lasciano sulla spiaggia un immenso cavallo di legno. Sopraggiungono i Troiani che si interrogano sulla natura di questo insolito oggetto e già Laocoonte mette sull'avviso i suoi del pericolo («Timeo Danaos et dona ferentes»).\n\nProprio in questo momento irrompe sulla scena - come si vede nell'affresco di Ludovico - un gruppo di soldati troiani che trascina in ceppi il greco Sinone. Questi, con abili parole ingannatrici, convince i Troiani a portare il cavallo all'interno della città. Ciò ne determinerà la rovina: non solo al suo interno sono nascosti dei guerrieri greci, tra i quali lo stesso Ulisse, che al momento convenuto si daranno all'assalto, ma per portare l'enorme cavallo sulla rocca di Priamo sarà altresì necessario aprire una breccia nella mura di Troia, indebolendone la difesa dall'esterno.\nDomina la scena il gruppo in primo piano dei soldati che conducono Sinone verso Priamo e il suo seguito, visibili, in secondo piano, sulla destra. Sempre sul piano arretrato, su un alto basamento, si scorge Laocoonte che sembra brandire un'asta. Potrebbe essere la lancia scagliata dal sacerdote verso il cavallo, gesto che gli costerà la terribile punizione di Minerva, partigiana dei Greci.\nNell'accentuata tensione muscolare e nella violenza dei gesti che caratterizza il gruppo di Sinone e dei Troiani che lo tengono prigioniero è stata colta un'assonanza con la flagellazione di Douai, uno dei capolavori riconosciuti di Ludovico Carracci.\nSul cartiglio sotto la scena dipinta si legge «ECCE TRHAVNT MANIBUS VINCTVM POST TERGA SINONEM» (Ecco, essi trascinano Sinone con le mani legate dietro la schiena).\n\nIl Cavallo di Troia.\nI Troiani, ingannati da Sinone, sono ulteriormente fuorviati dal prodigio della morte di Laocoonte e dei suoi figli, stritolati dai serpenti marini inviati da Minerva. I sudditi di Priamo, infatti, interpretano questo evento come una punizione divina per la diffidenza di Laocoonte e quindi decidono senza ulteriore indugio di portare il cavallo dentro la città.\nL'evento è raffigurato (ancora da Ludovico) con piena aderenza al testo virgiliano (II, 234-240). Il cavallo è collocato su un carro dotato di ruote ed imbragato con delle funi per trainarlo, mentre tutt'intorno giovanetti e fanciulle cantano in coro. Il corteo avanza verso la città tra le cui mura si vede un'ampia breccia.\n\nUna ragazza danza in primo piano (a destra) e scuote un tamburello. Malvasia ipotizza che questa figura, animata dal furore, possa essere Cassandra, la figlia di Priamo dotata di poteri divinatori, che al pari di Laocoonte ha intuito la grave insidia che rappresenta il cavallo lasciato dai Greci. Il fatto che la fanciulla sia intenta nella stessa azione delle altre ragazze forse non avalla questa interpretazione, anche se l'accentuato primo piano e l'isolamento della figura possono far pensare che non si tratti di una qualunque delle danzatrici del seguito.\nIn effetti, la raffigurazione di Cassandra mentre il cavallo è portato in città vanta una consolidata tradizione che parte dalle illustrazioni grafiche dell'opera virgiliana - la si vede ad esempio nelle xilografie che corredano il commento alle opere di Virgilio di Sebastian Brant (1502) - e che si riscontra anche nei già citati affreschi della cerchia di Nicolò dell'Abate in Palazzo Leoni a Bologna.\nProprio questo precedente - al di là della presenza o meno di Cassandra nel riquadro di Palazzo Fava - sembra mostrare una complessiva assonanza compositiva con l'affresco carraccesco, del quale potrebbe essere stato un modello.\nIl cartiglio recita: «[S]CANDIT EQVVS RVPTOS FATALIS MACHINA MVROS» (Il cavallo, fatidica macchina da guerra, sale verso le mura infrante).\n\nLotta intorno a Cassandra.\nTroia è ormai in balìa dell'assalto dei Greci e qui è raffigurato uno degli eventi più tragici della notte che segna la definitiva caduta della città dei Dardani (II, 402-403). Aiace ha raggiunto Cassandra nel tempio di Minerva e dopo averla violentata la trascina via a forza. Il troiano Corebo indignato per quel che osserva si lancia coraggiosamente all'attacco per salvare la sacerdotessa. Sopraggiungono altri guerrieri, sia troiani che greci, e ne nasce un furioso scontro durante il quale molti trovano la morte, come lo stesso Corebo. Alla fine Cassandra è tratta in salvo.\nIl cartiglio non è più visibile a causa di una caduta di intonaco. Esso ci è egualmente noto grazie alla trascrizione fattane dal Malvasia nella Felsina pittrice: «CRINIBVS E TEMPLO TRAHITVR PRIAMEIA VIRGO» (La vergine figlia di Priamo è trascinata fuori dal tempio per i capelli).\n\nVenere soccorre Enea.\nLa battaglia continua ad infuriare ed Enea prende parte alla difesa della reggia di Priamo. La resistenza è vana e i Greci portano la strage, uccidendo lo stesso vecchio re di Ilio. Enea è ormai solo ed è colto dall'angoscia per la sorte dei suoi familiari indifesi. Mentre tenta di lasciare il palazzo reale in fiamme scorge Elena, causa della sciagura troiana. Egli è colto dal desiderio di ucciderla ma proprio in quell'istante gli appare Venere, divina madre di Enea, che lo dissuade da quel proposito e gli rammenta la necessità di accorrere in difesa della sua famiglia. Venere così, con un incanto, sottrae Enea dal fuoco e dai nemici e lo conduce illeso a casa sua.\nNessun elemento identifica la natura divina di Venere: la soprannaturalità dell'evento è resa solo dalla vistosa vampata di fiamme dentro la quale, per volere della dea, anche il mortale Enea si muove illeso.\nIl commento sottostante è «AT VENVS ÆNEAM CERTANTEM EX IGNÆ RECEPIT» (Ma Venere tirò fuori il combattente Enea dal fuoco).\n\nEnea abbandona la reggia.\nTornato a casa, Enea vorrebbe immediatamente fuggire dalla città con tutti i suoi familiari. Suo padre Anchise - il vecchio seminudo seduto sullo sfondo - però, si oppone fermamente all'idea di seguirli: non vuole lasciare la sua terra e non gli importa di essere ucciso dai Greci. Anzi egli si definisce già sepolto (positum) e a questo forse allude la sua raffigurazione che pare richiamare un rito funerario (o forse il proposito di suicidarsi).\nA sua volta Enea rifiuta di lasciare lì l'anziano padre ed altro partito non vede se non quello di imbracciare di nuovo le armi, tornare per le strade di Troia e riprendere la lotta contro gli Achei che ormai incombono: dalla porta a sinistra già si vedono entrare il bagliore e il fumo dell'incendio scatenato dagli invasori.\nSua moglie Creusa allora lo implora in ginocchio di non lasciare lei e il piccolo Ascanio, il figlio di Enea, di nuovo soli ed indifesi. Il motto sottostante l'affresco è proprio l'implorazione che Creusa rivolge al suo sposo: «SI PERITVRVS ABIS ET NOS RAPE IN OMNIA TECVM» (Se ti rechi a morire porta anche noi con te ovunque andrai) ed è un verso vero e proprio dell'Eneide (II, 675).\nUna fiammella spunta dalla testa di Ascanio: dettaglio che allude al prodigioso evento che vincerà l'irremovibilità di Anchise.\n\nEnea fugge da Troia in fiamme.\nSubito dopo l'invocazione di Creusa si verifica il prodigio annunciato nel riquadro precedente: la testa di Ascanio è avvolta dalle fiamme - che però non gli causano alcun danno - quindi nella stanza appare una stella cometa che indica la via da seguire. L'evento miracoloso convince Anchise a seguire il resto della sua famiglia nell'esilio.\nEnea si carica in spalla l'anziano padre, che porta via con sé la statuetta dei Penati, e con Creusa ed Ascanio lascia la città data alle fiamme dai Greci. Insieme ad altri Troiani che si uniscono a loro si recano alla volta del tempio di Cerere posto fuori dalle mura della città.\nSullo sfondo a sinistra, in lontananza, vi è la veduta di Troia avvolta dai bagliori dell'incendio che la sta divorando, mentre il cielo è solcato dalla cometa che indica la via della salvezza.\nNel cartiglio si legge: «ERIPIT ÆNEAS HVMERIS EX HOSTE PARENTEM» (Enea sottrae suo padre ai nemici portandolo sulle sue spalle).\n\nEnea e l'ombra di Creusa.\nNella concitazione della fuga da Troia Creusa scompare. Enea se ne avvede solo una volta arrivati al tempio di Cerere ed è preso dalla disperazione per la perdita della moglie. Decide allora di tornare a Troia per cercarla.\nLa visione che lo accoglie varcata a ritroso la porta dalla quale era fuggito è spaventosa: Troia è stata devastata e razziata, donne e bambini sono stati fatti prigionieri. Mentre osserva con sgomento la triste fine della sua patria, appare ad Enea Creusa trasfigurata in sembianze sovrannaturali. La moglie lo rassicura: ella non è stata uccisa dai nemici, ma portata da Cibele nel mondo ultraterreno. Creusa prosegue incitando Enea a riprendere la fuga e gli predice l'approdo all'esperia terra (l'Italia) e il regno che lì egli fonderà.\nNell'affresco si vede Enea che, seguendo il segno indicante della sua consorte, abbandona per la seconda e definitiva volta la città, mentre tutt'intorno imperversa la strage.\n«ÆNEAM ALLOQVITVR SIMVLACRVM ET VMBRA CREVSAE» (Un fantasma, l'ombra di Creusa, indirizza Enea) è il motto che descrive quel che si vede nel dipinto.\n\nSacrificio di Enea.\nLasciata per sempre Troia iniziano le peregrinazioni di Enea e dei suoi seguaci. Qui (omettendo alcune delle tappe iniziali del viaggio dei Troiani verso una nuova patria) la scena si svolge a Delo, l'isola sacra ad Apollo.\nProprio presso il tempio del dio, Enea implora che gli sia indicata la meta verso cui dirigersi e ove poter fondare una nuova Troia. L'invocazione è accolta, ma le parole di Febo non sono molto chiare: egli gli dice che deve recarsi nella terra da dove, in un remoto passato, gli antenati dei Teucri mossero verso la Troade, ma non dice di quale luogo si tratti. Infatti, Anchise mal interpreterà l'oracolo e individuerà questa antica patria avita nell'isola di Creta (e non nell'Italia, cui in realtà alludeva il vaticinio).\nIn primo piano Enea in ginocchio e in posa solenne ascolta il viatico di Apollo, il cui simulacro - dotato di cetra, tipico attributo del dio - poggia su un alto podio. Più arretrato, al centro, Anio, re del luogo e sacerdote di Febo, officia il rito. Al suo fianco c'è un altro vecchio, probabilmente identificabile in Anchise, antico amico di Anio. Entrambi hanno il capo cinto di alloro, pianta sacra al dio del sole.\n\nIl cartiglio recita: «CÆLICOLVM REGI MACTANT IN LITTORE TAVRVM» (Sacrifica un toro sulla spiaggia all'alto re dei Numi). Il motto, in questo caso, però non corrisponde a quanto si osserva nell'affresco. Esso infatti riprende il verso virgiliano: «Sacra Dionaeae matri divisque ferebam auspicibus coeptorum operum, superoque nitentem caelicolum regi mactabam in litore taurum» (III, 19-21). Verso che non si riferisce al rito in onore di Apollo raffigurato nel riquadro, ma al precedente sacrificio che Enea aveva celebrato appena sbarcato nella terra dei Traci (e durante il quale aveva scoperto la triste fine di Polidoro, figlio di Priamo).\nLa discrasia tra immagine e testo è forse dovuta ad un errore. Tuttavia la notevole conoscenza dell’Eneide che in generale caratterizza i dipinti di Palazzo Fava (non solo nel fregio dei Carracci, ma anche nelle altre stanze virgiliane), potrebbe far pensare che il disallineamento sia stato voluto, con l’intento di riferire ad Apollo l’appellativo di caelicolum regi, sottolineando così il valore della profezia di Delo.\nUna ripresa di questo riquadro si trova nel Sacrificio di Ifigenia del Domenichino, uno degli scomparti della volta della Sala di Diana del Palazzo Giustiniani-Odescalchi di Bassano Romano, affrescata dallo Zampieri nel 1609.\n\nOfferta a Nettuno.\nOttenuto il responso di Apollo i Troiani decidono di prendere subito il mare alla volta di Creta (la meta che errando credono sia quella indicata dall'oracolo). Per propiziarsi un esito positivo del viaggio è celebrato il sacrificio di due tori – uno per Nettuno e uno per Apollo – di una pecora nera per la Tempesta e una di pecora bianca per il Sereno.\nLa scritta nel cartiglio «NEPTVNO MERITOS ARIS INDICIT HONORES» (Sull'altare indice i dovuti onori a Nettuno) sintetizza i versi dell'Eneide (III, 117-119) che descrivono il rito sacrificale puntualmente raffigurato nell'affresco.\nPiù autori ritengono questo riquadro frutto della collaborazione tra Ludovico, cui si pensa spetti la parte destra della scena, ed Annibale, responsabile della parte di sinistra.\nIn effetti, nella figura in primo piano a sinistra, impegnata a sgozzare uno dei tori, è stata colta una vicinanza col garzone di bottega che si vede nella Grande Macelleria del più giovane dei Carracci (al centro in basso) a sua volta intento nell'uccisione di un capretto.\n\nLa mensa dei Troiani insozzata dalle arpie.\nRaggiunta Creta, l'isola si rivela tutt'altro che una terra promessa. Colpiti da una pestilenza e da altre avversità i Troiani iniziano a dubitare di aver inteso correttamente l'oracolo di Delo. Proprio in questo frangente Enea è raggiunto in sogno dai suoi Penati che gli dicono in modo chiaro che la meta da raggiungere è l'Italia.\n\nSenza indugio il figlio di Venere e i suoi seguaci riprendono di nuovo il mare ma sono costretti da una tempesta a far tappa nelle isole Strofadi, la patria delle arpie.\nAppena sbarcati, affamati, razziano gli armenti delle stesse arpie e se ne cibano. Le temibili donne-uccello si vendicano assalendo il banchetto dei Troiani.\nIn occasione del secondo attacco delle arpie Enea ordina ai suoi di reagire con le armi, come si vede nell'affresco. Le terribili creature sono così messe in fuga, al che Celeno, la loro regina, lancia ai Troiani una maledizione: raggiungeranno sì l'Italia come vogliono gli dèi, ma il viaggio sarà ancora lungo e pieno di difficoltà.\nIl riquadro è attribuito dal Bellori ad Annibale Carracci, conclusione confermata in termini pressoché unanimi dalla critica moderna che tende ad assegnare allo stesso Annibale anche il gruppo terminale a destra del dipinto. Non è esclusa tuttavia una collaborazione di Ludovico, forse desumibile dal disegno di un'arpia dubitativamente ritenuto preparatorio di questa composizione ed ampiamente ascritto al più anziano dei Carracci.\nLa didascalia del cartiglio recita: «ARPIÆ CELERI LAPSV DE MONTIBVS ADSVNT» (Con volo veloce le arpie arrivano dai monti).\n\nApprodo di Enea in Italia.\nTralasciando vari accadimenti verificatisi dopo l'abbandono delle Strofadi, è qui raffigurato il primo avvistamento della costa italiana. Sull'imbarcazione vi è evidente soddisfazione: a prua due marinai salutano l'evento dando fiato alle trombe mentre a poppa Anchise versa in mare del vino da una patera in segno benaugurale.\nSi tratta di uno degli episodi (come quello con Polifemo che immediatamente lo segue sulla stessa parete corta) peggio conservati di tutto il fregio: la parte bassa del riquadro e in particolare la decorazione della nave è ormai ampiamente compromessa.\nNonostante lo stato conservativo quanto mai precario Donald Posner (studioso statunitense e tra i massimi conoscitori dell'arte di Annibale) ha dubitativamente proposto l'attribuzione anche della penultima scena del fregio al più giovane dei Carracci.\n«ITALIAM, ITALIAM PRIMVS CONCLAMAT ACHATES» (Italia!, Italia! gridò per primo Acate) si legge nel cartiglio, che anche in questo caso cita letteralmente un verso di Virgilio (III, 524).\n\nPolifemo aggredisce la flotta troiana.\nEnea e suoi fanno tappa in Sicilia nei pressi dell'Etna. Qui incontrano un compagno di Ulisse che era stato abbandonato in quella terra dai suoi, datisi alla fuga dopo aver accecato il ciclope Polifemo. Costui mette sull'avviso i Troiani del grave pericolo rappresentato dai ciclopi e li sprona a lasciare quei luoghi.\nProprio in questo mentre si affaccia sulla scena Polifemo che, ormai cieco, usa come bastone un albero di pino. Il gigante si immerge in acqua e i Troiani, terrorizzati, alzano le ancore per lasciare precipitosamente l'inospitale lido. Sentendo il rumore dei remi sulle onde, Polifemo si accorge di quel che sta accadendo ma la flotta di Enea è già a distanza di sicurezza. Il ciclope non può fa altro che emettere uno spaventoso urlo di rabbia mentre i Troiani si mettono in salvo.\n\nNell'affresco la minacciosità di Polifemo è accentuata dal gesto di brandire l'albero di pino che sembra quasi stia per essere scagliato verso le navi in fuga (dettaglio che non figura nel racconto virgiliano), come fa pensare la torsione del ciclope.\nAnche in questo caso, come per il riquadro raffigurante lo scontro con le arpie, è il Bellori che per primo ha assegnato l'affresco ad Annibale, attribuzione tuttora condivisa e confermata anche dal disegno preparatorio per la figura di Polifemo, conservato agli Uffizi, la cui spettanza al più giovane dei Carracci appare certa.\nQuesto disegno significativamente venne dapprima inteso quale studio preparatorio della scena della Galleria Farnese con Polifemo che uccide Aci. In effetti è percepibile la vicinanza tra le due raffigurazioni del gigante, in entrambi i casi caratterizzate da un'accentuata torsione del tronco. Ciò lascia pensare che per l'affresco di Palazzo Farnese il pittore abbia tratto spunto proprio da questa sua precedente prova bolognese.\nCome per gli altri riquadri del fregio di Enea spettanti al più giovane dei Carracci anche in questo caso si apprezza nella composizione un notevole brano di paesaggio sullo sfondo. La visione in lontananza di alberi e monti - tra i quali anche l’Etna - contribuisce a rendere l’enorme mole del ciclope.\nSul cartiglio sotto il dipinto c'è scritto «HIC POLYPHÆMVS ADEST HORRENS GRADITVRQ[VE] PER ÆQVOR» (Qui appare il mostruoso Polifemo che incede attraverso le acque).\n\nTermini.\nCome già si coglie nelle divinità che inframezzano le storie di Giasone e Medea – esordio dei Carracci nella grande decorazione parietale – anche nelle storie di Enea i termini che separano gli episodi narrativi non svolgono una mera funzione divisoria ma, ad un tempo, sono un elemento della storia raffigurata ed hanno una fondamentale funzione illusionistica, dovuta alla realistica resa scultorea che li caratterizza.\nNella sala di Enea di Palazzo Fava si evince una notevole inventiva nella variazione dello stesso tema, cioè il guerriero che sottomette la mostruosa arpia, riprodotto in tanti modi diversi ma sempre producendo una forte carica emozionale.\n\nL'efficacia di questi gruppi è testimoniata innanzitutto dalla letterale ripresa che ne fece il Guercino - utilizzandoli con la stessa funzione - nelle sue Storie di Provenco realizzate a Cento, all'incirca nel 1614, per la dimora della famiglia Provenzali.\nDei guerrieri ed arpie in lotta di Palazzo Fava si conservano poi vari disegni che ne sono stati tratti (in passato da alcuni ritenuti studi preparatori autografi, ma oggi in larga prevalenza considerati delle copie tratte dagli affreschi) fino a ritrovarli in un notevole azulejo settecentesco realizzato dai maestri portoghesi Antonio e Policarpo de Oliveira Bernardes per la chiesa della Misericordia di Viana do Castelo.\nIdeati probabilmente da Ludovico Carracci, come fa pensare lo studio di Windsor Castle, il Malvasia attribuisce anche l'esecuzione dei termini del fregio di Enea - al pari delle già menzionate divinità della sala di Giasone - ad Agostino Carracci. Il biografo bolognese si basa essenzialmente sulla circostanza che il monocromo di questi elementi sarebbe stato più congeniale ad Agostino, al tempo già esperto incisore, quindi più versato del cugino e del fratello nella resa tridimensionale basata solo sul chiaroscuro e senza colore.\nLa tesi del Malvasia è forse eccessiva dal momento che almeno uno dei gruppi terminali è con ampio consenso ritenuto opera di Annibale. Si tratta in particolare del termine a destra della lotta tra Troiani ed arpie (anche il riquadro narrativo è pressoché unanimemente attribuito al più giovane dei Carracci), del quale peraltro si conserva un raro documento fotografico che mostra il gruppo ancora integro (prima che i termini delle pareti lunghe fossero semidistrutti a causa del rifacimento delle travi del soffitto).\nI termini della sala di Enea suscitarono anche l'attenzione di Goethe che li descrisse nei suoi Scritti sull'arte e sulla letteratura (1772-1827), giudicandoli però in modo non propriamente elogiativo.\n\nLo stile.\nÈ proprio l'analisi dello stile che, prima di tutto, ha spinto larga parte della comunità scientifica a rigettare il resoconto del Malvasia che vorrebbe le storie di Enea realizzate in immediata successione alle precedenti imprese decorative di Palazzo Fava.\nIl confronto con tali altri cicli di affreschi, e in particolare con il più rilevante di essi, le storie di Giasone e Medea, evidenzia una maggior maturità artistica che colloca necessariamente l'ultima opera creata per il conte Fava qualche anno più avanti (sia pure con tutte le riferite incertezze su quanto sia il tempo che distanzia le due prove).\nNel ciclo argonautico infatti si riscontrano delle imperfezioni tipiche in una prova di esordio: le scene sono piuttosto piccole e in taluni casi sovraffollate al punto che talora, guardate dal basso, non risulta chiarissimo cosa sia raffigurato nel dipinto.\nLe storie di Enea invece hanno un impianto decisamente monumentale: le scene sono più grandi, i protagonisti che le abitano sono generalmente pochi e l’azione risulta sempre chiaramente comprensibile.\nAnche la costruzione delle figure è molto diversa, qui connotata da una solidità delle masse che non si coglie negli affreschi giovanili. I corpi dei protagonisti sono caratterizzati da una pronunciata resa muscolare spesso raffigurata nella tensione del moto, come nelle scene di lotta.\nQuesta svolta stilistica è stata ritenuta il frutto di una riflessione dei Carracci - e segnatamente di Ludovico, principale artefice delle storie di Enea - sull’esempio locale di Pellegrino Tibaldi e in particolare su quella che è una delle sue opere maggiori, cioè gli affreschi con storie di Ulisse dipinti a Palazzo Poggi a metà del Cinquecento.\nImpresa che a sua volta rimanda alla rivoluzione pittorica inaugurata da Michelangelo nella Cappella Sistina che il Tibaldi - attivo a Roma per alcuni anni - contribuì più di tutti a diffondere a Bologna.\n\nLe incisioni di Giuseppe Maria Mitelli.\nDei cicli carracceschi di Palazzo Fava quello con le storie di Enea è l’unico ad essere stato riprodotto in incisione. Ideatore dell'impresa grafica fu Flaminio Torri che realizzò i disegni da utilizzare per l’incisione delle matrici. Il Torri tuttavia morì prima di portare a termine questo compito. Gli subentrò Giuseppe Maria Mitelli che attese all'intaglio dei rami sulla base dei disegni del primo. La serie - composta dalle dodici scene narrative e dagli otto gruppi dei guerrieri che sconfiggono le arpie - fu data alle stampe nel 1663 con dedica a Leopoldo de' Medici.\nLe pregevoli stampe del Mitelli sono anche una preziosa fonte di lettura del ciclo pittorico in quanto consentono di intuirne lo stato originario quale esso era prima del grave deterioramento subito dalle pitture.\n\nGli altri fregi virgiliani di Palazzo Fava.\nIn Palazzo Fava, come rilevato, oltre a quello dei Carracci vi sono altri tre fregi dedicati alle vicende di Enea, rispettivamente spettanti a Francesco Albani, a non ancora identificati allievi dei Carracci (e più segnatamente del solo Ludovico, perché al tempo di realizzazione di questi dipinti Annibale ed Agostino avevano già lasciato Bologna) e, infine, a Bartolomeo Cesi.\nQuesti altri tre fregi sono, nell'ordine indicato, in rapporto di continuità narrativa con quello dei Carracci (e tra loro): le quattro stanze virgiliane, quindi, costituiscono lo svolgimento di un unico programma decorativo ed iconografico.\nLa connessione di questi quattro ambienti tuttavia è stata chiarita dagli studi solo in tempi relativamente recenti ed è dovuta allo storico dell’arte Sonia Cavicchioli. In passato il nesso non era stato colto, probabilmente a causa dell’apparente “disordine”, in rapporto al poema virgiliano, della sequenza delle quattro stanze.\nQuella dei Carracci, infatti, narra dei fatti esposti nel secondo e nel terzo libro dell’Eneide, quella dell’Albani è dedicata al primo libro, quella degli scolari di Ludovico si apre con un episodio del primo libro per poi raffigurare vicende del quarto e del quinto libro, mentre il Cesi, da ultimo, inscena episodi tratti dal quinto e dal sesto libro.\nCiò che ha consentito di individuare la precisa sequenzialità delle stanze di Palazzo Fava è stata la comprensione del fatto che esse non seguono l’ordine del racconto come lo si legge nell'Eneide, bensì della loro disposizione secondo la cronologia “storica” degli eventi raffigurati.\nLa prima stanza quindi, quella di Ludovico, Agostino ed Annibale, parte dai libri secondo e terzo (e non dal primo), perché qui si narra della caduta di Troia e delle prime peregrinazioni di Enea, cioè degli accadimenti in ordine di tempo più remoti, anche se nell'Eneide sono descritti dopo quel che è narrato nel primo libro (i cui accadimenti sono pertanto raffigurati dall’Albani nella seconda stanza perché - nel tempo - successivi).\nAnche il salto apparentemente più brusco dal primo al quarto libro, che si osserva nella stanza degli allievi, si spiega allo stesso modo. La scena di apertura di questa stanza, cioè il banchetto che Didone offre in onore di Enea (I, 706) è immediatamente seguita da una scena del quarto libro (Didone che offre sacrifici agli dèi; IV, 58) perché tutto quanto sta nel mezzo è relativo al racconto di Enea a Didone delle traversie che hanno preceduto l'arrivo dei Troiani a Cartagine. Cioè il contenuto dei libri secondo e terzo già descritti nella stanza dei Carracci, in quanto fatti cronologicamente antecedenti al tragico amore tra Enea e la regina fenicia (tema dei primi riquadri della sala degli scolari).\n\nIn questa chiave la stringente connessione tra tutte le stanze si coglie in modo chiaro ponendo mente al fatto che - come dimostrato dalla Cavicchioli - se ogni singolo fregio sembra chiudersi con una brusca interruzione della storia, in realtà l'ultimo riquadro di ogni stanza apre al primo di quella successiva. Così l'abbandono della Sicilia a seguito della fuga da Polifemo (ultima scena della sala dei Carracci) introduce la richiesta di Giunone ad Eolo di una tempesta che allontani Enea dalle coste italiane (cioè il primo episodio della seconda stanza dell’Albani).\nAncor più evidente la continuità, in questa chiave di lettura, tra la terza stanza e la quarta del Cesi. Il fregio degli allievi, infatti, si chiude con una regata di navi (V, 66) - cioè il primo dei giochi fatti in onore della morte di Anchise - mentre la sala del Cesi si apre con una gara di corsa campestre, cioè la seconda competizione fatta durante le celebrazioni funebri dedicate al padre di Enea (cui seguono le altre gare fatte nella stessa occasione).\nL'unitarietà di tutti e quattro i fregi sembra poi ulteriormente confermata anche da un'impaginazione pittorica sostanzialmente sovrapponibile in tutti gli ambienti, pur al netto delle rilevanti differenze stilistiche dei diversi pittori coinvolti nell'impresa.\nCi si è chiesti, infine, come mai la narrazione si arresti al sesto libro e non vada oltre. In merito, pur non potendosi escludere che potesse esservi la volontà di proseguire il ciclo in altre sale del palazzo (progetto poi, sempre in ipotesi, abbandonato) si è notato che Cristoforo Landino nelle sue Disputationes camaldulenses (1475 ca.), aveva attribuito un particolare significato allegorico, in chiave neoplatonica, proprio ai primi sei libri dell'Eneide nei quali, secondo il Landino, le vicende di Enea possono essere viste anche come un esemplare percorso umano verso il raggiungimento della virtù. Tra il testo dell'umanista fiorentino e i fregi di Palazzo Fava sono state colte anche altre tangenze, giungendosi così a formulare l'ipotesi che di esso si possa essere tenuto conto nell'ideazione iconografica del ciclo bolognese.\nDel resto le riflessioni sul poema virgiliano formulate nelle Disputationes già erano state poste alla base di altre opere d'arte tra le quali in particolare il ciclo di dieci tele con episodi dell'Eneide eseguito da Dosso Dossi intorno al 1520 su commissione di Alfonso d'Este.\nAnche in tempi pressoché contemporanei alla decorazione di Palazzo Fava il testo del Landino era ancora utilizzato per l’ideazione di un ciclo di affreschi dedicati ad Enea, eseguito da Carlo Urbino intorno al 1585 nel Palazzo del Giardino di Sabbioneta: anche in questo caso le scene dipinte derivano solo dai primi sei libri dell’Eneide.\n\nIl fregio di Francesco Albani.\nIl fregio degli allievi.\nIl fregio di Bartolemo Cesi.
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### Titolo: Sura (Licia).\n### Descrizione: Sura (in greco antico: Σούρα?, in Licio: Surezi) era un antico sito sulla costa della Licia, notevole per la presenza dell'oracolo di Apollo Surios. Oggi si trova alla periferia di Yuva Koyu, un sobborgo di Demre (l'antica Myra) nella provincia di Adalia in Turchia. Qui nell'evo antico c'era il famoso oracolo dei pesci di Apollo.\nLo scrittore greco Ateneo ha descritto nel suo 'Banchetto degli studiosi' (Deipnosophistai) il funzionamento dell'oracolo: sulle rive del mare si trovava un'area sacra ad Apollo e lì vicino, non lontano dalla spiaggia, un bacino con un gorgo.\nL'interrogante portava due spiedini di legno, ognuno con dieci pezzi di carne fritta, e li gettava nel bacino. Questo si riempiva di acqua salata e una grande quantità di pesci di vario genere vi si precipitava. Assistenti del sacerdote (προφήτης, prophetes) elencavano il numero e i tipi dei pesci che mangiavano i pezzi di carne e, secondo questo elenco, il sacerdote dell'oracolo dava all'interrogante la risposta dell'oracolo. Non solo il numero, ma anche la dimensione dei singoli esemplari e la varietà di specie rappresentate è abbastanza sorprendente.\nAteneo cita quindi il decimo libro del 'Geographoumena' di Artemidoro di Efeso, secondo il quale sulla spiaggia c'era una fonte d'acqua dolce, e sarebbe stata la miscela di sale e acqua dolce formatasi in questo vortice che avrebbe spiegato la straordinaria ricchezza di pesci in quel punto. La gente del posto avrebbe infilzato primizie di carne e di frutti dei campi su spiedini di legno e li avrebbero sacrificati lì. Infine, sia il porto locale che il sito dell'oracolo avrebbero preso il nome Dinos (vortice: 'δῖνος') da questo vortice.\nPlinio il Vecchio nella sua 'Naturalis Historia' descrive una procedura leggermente diversa: secondo lui, i pesci venivano attirati soffiando tre volte un flauto in direzione del bacino. Se i pesci avessero addentato avidamente la carne gettata loro, ciò sarebbe stato interpretato come un buon auspicio, ma se la avessero invece spinta via con la pinna caudale, si sarebbe trattato di un segno sfavorevole.\nI resti del sito dell'oracolo non si sono conservati: solo intagli nella roccia, presumibilmente provenienti dalle abitazioni dei sacerdoti o dagli alloggiamenti degli interroganti, sono ancora visibili. Nelle vicinanze si trovano i resti di due chiese bizantine.\n\nFonti.\nAteneo Deipnosophistai 8, 333.\nPlinio Naturalis historia 32, 8.\nWalther Ruge: Sura 3. In: Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft (RE). Vol. IV A,1, Stoccarda 1931, p. 960 f. (con altre fonti).\nTrevor Bryce: The Routledge Handbook of the People and Places of Ancient Western Asia. The Near East from the Early Bronze Age to the fall of the Persians Empire. Routledge, ISBN 9781134159086, p. 673.
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### Titolo: Tabula iliaca.\n### Descrizione: Una tabula iliaca era uno schema utilizzato per dividere tra le varie giornate gli episodi narrati nell'Iliade di Omero, inventato probabilmente da Zenodoto presso Alessandria d'Egitto.\n\nIl termine è convenzionalmente utilizzato per indicare una serie di piccoli rilievi in marmo con la raffigurazione in miniatura su più registri sovrapposti separati, degli episodi di opere letterarie epiche, con didascalie e corte iscrizioni esplicative in greco.\nSono noti 22 bassorilievi con queste caratteristiche: 15 si riferiscono ad episodi dell'Iliade, 3 dell'Odissea e le altre ai miti dei Sette contro Tebe, dell'apoteosi di Eracle o ad avvenimenti storici. Tutti, tranne due, attribuiti ad epoca antonina, sono datati ai regni di Augusto o di Tiberio.\nLa funzione dei rilievi è discussa: didattica (più probabile per i rilievi con scene di maggiori dimensioni), decorativa (per le biblioteche) o votiva (in particolare la 'Tabula iliaca capitolina').\nIl più celebre è la 'Tabula iliaca capitolina', un rilievo proveniente da Bovillae, conservato nei Musei Capitolini di Roma e databile in epoca augustea.\nIl rilievo venne rinvenuto nel 1683 e raffigura l'incendio di Troia e la fuga di Enea e altre scene della guerra di Troia, derivate dall'Iliade e da altri poemi del ciclo troiano (l'Etiopide e l'Iliou persis di Arctino di Mileto e la Piccola Iliade di Lesche).
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### Titolo: Tafi.\n### Descrizione: I Tafi (in greco antico: Τάφιοι) sono un popolo presente nella mitologia greca.\nSecondo il mito, vivevano sulle isole di Tafo e di Carno, ed avevano fama d'essere navigatori e pirati.\nSecondo Omero, i Tafi combatterono una guerra contro Anfitrione: quest'ultimo, infatti, decise di attaccarli per vendicare l'assassinio della famiglia della sposa Alcmena.\nNell'Odissea viene narrato che il capo dei Tafi fu Mente, di cui Atena prende le vesti per andare da Telemaco e rincuorarlo e far sì che vada a cercare suo padre.
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### Titolo: Tafo.\n### Descrizione: Tafo è un'isoletta appartenente alla mitologia greca, situata tra le coste dell'Acarnania e Leucade, abitata un tempo dai Tafi, popolo di trafficanti e predoni, insediatisi a Tafo e nelle isolette limitrofe.
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### Titolo: Tagete (divinità).\n### Descrizione: Tagete (in latino Tages) è una divinità etrusca figlio di Genio e della Terra e nipote di Giove. Secondo il mito, insegnò l'arte della divinazione al popolo etrusco. Insieme alla lasa Vegoia, sarebbe autore dei libri sacri degli Etruschi.\n\nIl mito.\nIl mito di Tagete ci viene narrato da Cicerone nel De divinatione (Cic. de Div. 2.23), e da alcuni poeti, tra i quali Ovidio (Ov. M. 15, 558).\nUn giorno un contadino che arava un campo nei pressi del fiume Marta, in quei di Tarquinia, vide una zolla sollevarsi dal solco e assumere le sembianze di un fanciullo. Lo chiamò Tagete. Il fanciullo era dotato di grande saggezza e di virtù profetiche (per cui talvolta viene raffigurato con i capelli bianchi). Visse soltanto il tempo necessario per insegnare agli Etruschi, accorsi sul luogo dove era nato, l'arte di predire il futuro, scomparendo poche ore dopo la sua miracolosa apparizione. Le norme da lui dettate furono trascritte e raggruppate su tre serie di libri sacri: gli Aruspicini, i Fulgurali e i Rituali. Questi ultimi comprendevano anche i Libri Acherontici che costituirono le fonti ufficiali e misero in luce i due punti essenziali della religione etrusca: l'importanza della divinazione che permetteva di interpretare la volontà degli dei e la necessità di istituire un preciso rituale per ogni circostanza della vita sia pubblica che privata. A ciò erano preposti i sacerdoti, una casta privilegiata che si trasmetteva la carica di padre in figlio, ed erano divisi in due categorie: Aruspici ed Auguri.\nI libri scritti da Tagete probabilmente furono letti dallo scrittore greco del V secolo, Giovanni Lido, il quale nel suo De Ostentis (I, 3) ci descrive brevemente l'argomento e le caratteristiche stilistiche dell'opera. Per esempio, ci dice che fu scritta a modo di dialogo tra Tarconte, un aruspice da non confondere col Tarconte dei tempi di Enea, e Tagete, domandando l'uno quale fosse l'idioma degli italici (τῇ τῶν Ἰταλῶν ταύτῃ τῇ συνήθει φωνῇ), e rispondendo l'altro con lettere antiche e a me (scil. Tarconte) poco famigliari (γράμμασιν ἀρχαίοις καὶ οὐ σφόδρα γνωρίμοις ἡμῖν).\n\nEtimologia.\nIn quanto all'etimologia del nome, secondo l'etruscologo Massimo Pallottino, che basa la sua ipotesi su uno specchio etrusco conservato al Museo archeologico di Firenze, dove viene rappresentato un giovane aruspice osservando un fegato assieme ad altri personaggi, con la scritta pavatarchies (da tradursi forse come 'il bimbo Tarchies'), il nome latinizzato di Tages corrisponderebbe ad un Tarχies etrusco.\nGiulio Mauro Facchetti ha proposto un'ipotesi alternativa collegando il nome alla ripetitiva radice etrusca thac- / thax-, che interpreta come 'voce'.\n\nRappresentazioni di Tagete.\nLe rappresentazioni etrusche classificate come rappresentanti Tagete sono molto rare, e quasi altrettanto rare sono le scene chiaramente legate al mito di Tagete. Figure appoggiate al lituo, il bastone ricurvo dell'augure, o che esaminano le viscere indossando il cappuccio conico dell'aruspice, sono comuni, ma non sono necessariamente Tagete. Anche le figure alate, che rappresentano la divinità, sono comuni, soprattutto sulle urne funerarie di Tarquinia, ma è discutibile se qualcuna raffiguri Tagete. Supponendo che una certa percentuale di queste rappresentazioni sia effettivamente Tagete, non sembra esserci un modo standard per raffigurarlo. Gli storici dell'arte hanno inserito Tagete liberamente tra di esse, ma in modo del tutto speculativo.\nUn tipo di scena incisa su gemme del IV secolo un tempo incastonate in anelli di sigillo, sembra descrivere il mito di Tagete. Una figura barbuta (Tarconte?) si china come se stesse ascoltando la testa o la testa e il busto di un'altra figura senza barba, incastrata o che emerge dal terreno. Su un tema simile è una statuetta votiva in bronzo del III secolo a.C., proveniente da Tarquinia, che raffigura un infante seduto che scruta verso l'alto con la testa e il volto di un adulto.\n\nNella botanica.\nTagete dona il suo nome ad un genere di piante della famiglia delle asteracee, originarie degli Stati Uniti d'America sud-occidentali, del Messico e del Sud America. Fu descritta come genere da Linneo nel 1753. Il nome anglofono di questa pianta è marigold.
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### Titolo: Talemene.\n### Descrizione: Talemene (in greco antico: Ταλαιμένης?, Talaiménēs) è un personaggio della mitologia greca.\n\nMito.\nTalemene era un re della Meonia, menzionato nell’Iliade, dove però non appare in carne e ossa. Era un semidio, in quanto figlio della ninfa Gigea. Ebbe tre figli, che presero parte alla guerra di Troia: i primi due, legittimi, si chiamavano Mestle e Antifo, mentre il terzo, Elenore, l'aveva generato con una schiava. Di Mestle e Antifo riferisce il poema omerico; Elenore invece appare solo nell’Eneide, venendo appunto presentato come figlio del re di Meonia al tempo della guerra di Troia, ovvero Talemene, seppure non nominato.
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### Titolo: Talia (grazia).\n### Descrizione: Talìa è una figura della mitologia greca. Era figlia di Zeus e di Eurinome.\nInsieme ad Aglaia ed Eufrosine costituiva le tre Cariti, divinità minori della bellezza della natura che facevano parte del corteggio di Afrodite. Talia nello specifico incarnava la prosperità, ed essendo le Cariti divinità collegate alla natura, Talia era anche la portatrice di fiori.
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### Titolo: Talisio.\n### Descrizione: Talisio è un personaggio della mitologia greca, citato nell'Iliade di Omero.\nTalisio era un troiano, suddito di Priamo. Ebbe un figlio, Echepolo, che combatté nella guerra di Troia dove venne ucciso da Antiloco.
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### Titolo: Talo (mitologia).\n### Descrizione: Talo (in greco antico: Τάλως?, Tálōs) è un personaggio della mitologia greca, un gigante di bronzo, guardiano di Creta.\nNel dialetto cretese τάλως era un sinonimo di ἥλιος hḕlios, il sole; Esichio di Alessandria notava che 'Talo è il sole'. A Creta, Zeus era chiamato Zeus Talleo (Ταλλαῖος), ovvero 'Zeus Solare'.\n\nMito.\nLa statua vivente fu creata da Efesto per Zeus, che ne fece dono ad Europa. Si tratterebbe di un gigantesco automa di bronzo invulnerabile.\nTalo era stato incaricato da Minosse di sorvegliare l'isola, mettendo in fuga i nemici che tentavano di sbarcarvi, o di fermare i cittadini senza il consenso del re. Ogni giorno faceva il giro dell'isola armato e pronto per scagliare enormi pietre e non esitava a buttarsi nel fuoco fino ad una elevatissima temperatura per poi schiantarsi sui suoi nemici stritolandoli e bruciandoli.\nIl gigante era invincibile, tranne in un punto della caviglia, dove era visibile l'unica vena che conteneva il suo sangue. La leggenda vuole che quando la spedizione degli Argonauti giunse sull'isola, sia stato reso pazzo da Medea ed ucciso dall'argonauta Peante che trafisse la sua vena con un colpo di freccia. Un'altra versione narra che il gigante sia morto per la fuoriuscita del sangue, causata però dall'urto della caviglia con una roccia.\n\nIconografia.\nIn una moneta da Festo, è rappresentato come figura alata; nel vasellame greco e nei bronzi etruschi invece non lo è. La rappresentazione di Talos è molto varia, con alcune ricorrenze: fuori di Creta, Talos è sempre rappresentato come sconfitto. In generale, sembra essere stato una figura enigmatica anche per gli stessi greci.\nUno splendido cratere attico che raffigura la morte del celebre Talos è conservato nel Museo archeologico nazionale di Palazzo Jatta, a Ruvo di Puglia: si tratta dell'opera eponima del cosiddetto 'Pittore di Talos'.\n\nTalos nella cultura di massa.\nLa figura di Talos è citata in numerose manifestazioni della cultura di massa e della letteratura di genere:.\n\nQuesto gigante è stato ripreso nel film mitologico Gli Argonauti (Jason and the Argonauts) del 1963, in cui veniva animato con la tecnica dello stop-motion.\nGli antagonisti di Kyashan - Il ragazzo androide, nell'episodio 29 della serie fanno tappa in Grecia e si fanno costruire per il loro esercito un robot da una scienziata, Melina: essa ne progetta uno gigantesco e capace di rendersi incandescente, che chiama Talo in omaggio all'automa mitico.\nNella serie Morphogenesis dei Gormiti (creature fantasy ideate da Leandro Consumi), uno dei Gormiti del popolo della Terra si chiama Thalos il Combattente e indossa un elmo e un'armatura da oplita, inoltre al suo braccio sinistro è fissato uno scudo rotondo, mentre nel destro ha una lama di roccia al posto della mano.\nTalos è anche il nome di un missile terra-aria della marina americana.\nNel libro Lo scudo di Talos di Valerio Massimo Manfredi, il gigante Talos è visto come simbolo di speranza ed eroismo.\nNel libro Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo: la maledizione del Titano una copia difettosa e più piccola di Talo si scontra con Percy, Talia e gli altri componenti del gruppo.\nNel videogioco Castlevania: Harmony of Dissonance, Talos appare nel preludio per inseguire il protagonista Juste Belmont. Appare poi come boss nel livello della caverna sotterranea nel castello B, anche qui il suo punto debole è la caviglia, scoperta per colpa della caduta nel preludio.\nNel videogioco d'azione-fantasy Spartan: Total Warrior, Talo è il 'boss' del primo livello, che il protagonista del gioco, lo Spartano, deve sconfiggere usando le catapulte prima che distrugga le mura di Sparta.\nNel videogioco The Elder Scrolls V: Skyrim, Talos è il nome che i sacerdoti diedero all'imperatore Tiber Septim dopo la sua morte, all'atto della sua canonizzazione a divinità. Il divieto di professare il suo culto è uno dei temi alla base della guerra descritta nel gioco.\nInoltre, nella serie di The Elder Scrolls, esiste un gigante meccanico di bronzo dal nome di Numidium, noto anche come Torre di Bronzo o Dio di Bronzo; tale gigante venne creato come manifestazione della divinità dalla defunta razza dei Nani, e fu donato a Tiber Septim/Talos durante il suo regno.\nNel cartone Mummies Alive! - Quattro mummie in metropolitana, Talos è un gigante di bronzo invocato da Scarab. Appare nella serie TV per la prima volta nell'episodio 17 'Scontro fra titani'.\nNel V Libro de 'The Faerie Queene' di Edmund Spenser, il cavaliere Sir Artegal - allegoria della Giustizia magnanima - è accompagnato da Talus, allegoria invece della Giustizia spietata e inumana, diretto riferimento al mito greco.\nIl Pokémon leggendario di terza generazione Registeel è ispirato a Talos, date le sue fattezze e il suo tipo Acciaio.\nNel videogioco 'Wizard101' è possibile evocare Talos per i maghi della scuola Mitologia sotto forma di un enorme colosso di pietra scura.\nil Talos Festival è da anni uno dei maggiori festival Jazz italiani. Si tiene a Ruvo di Puglia, città ove è conservato l'omonimo vaso.\nThe Talos Principle è un videogioco di stampo filosofico in prima persona, nel quale il protagonista è un robot umanoide, che aggirandosi tra ambientazioni tipiche delle più antiche civiltà umane, è via via sottoposto a enigmi di crescente difficoltà, mentre parallelamente viene chiamato a sondare e mettere in discussione il senso ultimo dell'esistenza.\nNel videogioco Signore dell'Olimpo - Zeus, Talo è il gigante che viene richiamato da Efesto per proteggere o attaccare la città che si sta gestendo, a seconda che Efesto stesso sia o non sia un Dio favorevole.\nNel fumetto I Cavalieri dello zodiaco - The Lost Canvas - Il mito di Ade, il personaggio di Cor Tauri, presente nel volume degli Aneddoti dedicato al Toro, è un automa posto da Zeus a guardia di Creta e della sua amata Europa, ed è stato realizzato sulla falsariga del metodo di costruzione di Talos.\nNegli episodi 937-938 della ventisettesima stagione della seriea cartoni animati Detective Conan è il fulcro della storia.\nNel gioco di ruolo Dungeons and Dragons, Talos è una delle divinità dei Forgotten Realms, una delle ambientazioni ufficiali del gioco.
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### Titolo: Tamiri.\n### Descrizione: Tamiri (in greco antico Θάμυρις, Thamyris), figlio di Filammone e della ninfa Argiope, è una figura della mitologia greca.\nFu poeta e musico e, poiché si vantava di cantar meglio delle Muse, suscitò l'ira delle figlie di Zeus che, per punirlo, lo accecarono, gli tolsero la memoria e lo privarono delle sue capacità canore.\n\nNell'Iliade.\nLa vicenda di Tamiri è brevemente narrata nell'Iliade:.\n«E quelli che Pilo abitavano e l'amabile Arene,.\ne Trio, guado dell'Afeo, ed Epi ben costruita,.\ne Ciparissento ed Anfigénia abitavano,.\ne Pteleo ed Elo e Dorio, là dove le Muse.\nfattesi avanti al tracio Támiri tolsero il canto,.\nmentre veniva da Ecalia, da Euríto Ecaleo.\ne si fidava orgoglioso di vincere, anche se esse,.\nle Muse cantassero, figlie di Zeus egíoco!.\nMa esse adirate lo resero cieco e il canto.\ndivino gli tolsero, fecero sì che scordasse la cetra...».\n(Iliade, libro II, vv. 591-600).\n\nAltri miti.\nIn un'altra leggenda, Tamiri è trasformato dalle Muse in un usignolo.\nEra anche annoverato come uno degli amanti di Giacinto: i due sarebbero stati addirittura i primi mortali maschi legati da un rapporto omoerotico e il poeta il creatore della pederastia come istituzione sociale.
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### Titolo: Tantalo.\n### Descrizione: Tàntalo (in greco antico: Τάνταλος?, Tàntalos) è un personaggio della mitologia greca.\nRe di Lidia (o della Frigia) che per i suoi numerosi peccati fu punito dagli dei e gettato nel Tartaro, la sua punizione è divenuta una figura retorica con cui si indica una persona che desidera qualcosa che non può raggiungere.\n\nEtimologia.\nSecondo Platone, accordandosi alla radice greca τλα-/τλη- del verbo greco τλάω (che significa 'soffrire'), il nome Tantalo deriverebbe da talànatos (infelicissimo).\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus o di Tmolo e della ninfa Pluto sposò la ninfa Dione (figlia di Atlante) o Eurinassa (figlia di Pattolo) o Euritemiste (figlia di Xanto) o Clizia (figlia di Anfidamante) e fu padre di Pelope, Brotea, Niobe e Dascilo.\n\nMitologia.\nI misfatti.\nTantalo visse presso il monte Sipylos in Anatolia, dove fondò la città di Tantalis.\n\nTantalo, che grazie alle sue origini era ben voluto dagli dei, si rese responsabile di diverse offese nei loro confronti e violò le regole della xenia cercando di rapire Ganimede, rubando dell'ambrosia che in seguito distribuì ai suoi sudditi ed organizzando il furto di un cane d'oro creato da Efesto e posto a guardia di un tempio di Zeus a Creta (di tale furto l'artefice materiale fu Pandareo ma Tantalo giurò il falso ad Hermes, inviato dagli dei proprio per recuperare l'animale; secondo un'altra versione il cane era in realtà Rea trasformata in quel modo da Efesto).\nIl re infine organizzò un banchetto a cui invitò gli dei stessi e, per mettere alla prova la loro onniscienza, uccise suo figlio Pelope e lo fece servire come pasto: Demetra, disperata per la perdita della figlia Persefone, non si accorse di nulla e consumò parte di una spalla del ragazzo, ma gli altri dei notarono immediatamente l'atrocità e gettarono i pezzi di Pelope in un calderone.\n\nIl supplizio.\nGli dei punirono Tantalo mandandolo nei campi della pena, una sezione degli inferi, e condannandolo ad avere per sempre una fame e una sete impossibili da placare schiacciato dal peso di un masso, legato ad un albero da frutto e immerso fino al collo in un lago d'acqua dolce: appena prova ad abbeverarsi il lago si prosciuga e non appena prova a prendere un frutto i rami si allontanano o un colpo di vento li fa volare lontano.\nIl sepolcro di Tantalo sorgeva sul monte Sipylos ma gli onori gli furono pagati ad Argo, la cui tradizione locale sosteneva anche di possedere le sue ossa.\n\nMiti successivi.\nI mitografi successivi cercarono in tutti i modi di discolpare gli dei da un possibile atto di cannibalismo stravolgendo in tutto la storia di Tantalo: secondo tale versione, infatti, egli era un sacerdote che rivelò ogni segreto ai non iniziati, al che colpirono suo figlio con una malattia orrenda. I chirurghi di allora, con varie operazioni, riuscirono a ricostruire il corpo originale anche se di lì in poi esso portò innumerevoli cicatrici.\n\nFilosofia.\nIl mito di Tantalo venne successivamente ripreso dal filosofo Arthur Schopenhauer nella sua opera più nota, Il mondo come volontà e rappresentazione, come esempio della eterna insoddisfazione dell'uomo per cui 'contro un desiderio che viene appagato ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; la brama dura a lungo, le esigenze vanno all'infinito mentre l'appagamento è breve e misurato con spilorceria'.\n\nCuriosità.\nIl furto dell'ambrosia a vantaggio degli esseri umani lo accomuna a Prometeo, ma in questa veste il suo mito si trasforma da peccatore a benefattore.\nTantalo, alla stregua di Licaone, era uno dei re originali a cui era concesso, con il favore degli dei, di condividerne la mensa: il suo gesto viene visto come un atto di separazione fra divinità e umanità, che verrà poi ripreso da molti altri miti come nel caso di Achille.\nÈ possibile che il furto dell'ambrosia, fosse un modo per Tantalo nel cercare di ottenere l'immortalità.\nIl supplizio di Tantalo viene citato anche da Primo Levi in Se questo è un uomo nella frase: 'Si sentono i dormienti respirare e russare, qualcuno geme e parla. Molti schioccano le labbra e dimenano le mascelle. Sognano di mangiare (...). È un sogno spietato, chi ha creato il mito di Tantalo doveva conoscerlo.'.\nOriana Fallaci, in Se il sole muore, cita il mito di Tantalo dal momento che nella missione Apollo 11 l'astronauta Michael Collins sarà costretto ad avvicinarsi alla Luna senza avere la risposta a: 'Com'è la Luna? Assomiglia alla Terra? È più bella? Più brutta? Che effetto fa camminarci?'.\nLa tortura di Tantalo viene ripresa anche da Thomas Mann in La montagna incantata. Un personaggio dell'opera, la signora Stohr, riferendosi al prolungarsi indefinito delle prescrizioni per le cure, afferma: «[omissis] Dio buono si è sempre allo stesso punto, lo sa anche lei. Si fanno due passi avanti e tre indietro... Quando uno ha fatto cinque mesi, arriva il vecchio e gliene rifila altri sei. Ah, è la tortura di Tantalo. Si spinge, si spinge e quando si crede d'essere in cima...». È evidente la confusione che la signora, avvezza alle gaffes, fa tra Tantalo e Sisifo. L'interlocutore, il sarcastico e dotto umanista Settembrini, risponde sul punto: «Oh, brava e generosa! Finalmente concede al povero Tantalo un diversivo. Per variare gli fa spingere il famoso pietrone! È un atto di vera bontà! [omissis]».\nNe La valle dell'Eden John Steinbeck fa dire a Kate: 'Chi era quello che non riusciva a bere da un setaccio? Tantalo?' (cap. 46).\nTantalo appare come sostituto di Chirone nel secondo libro della Saga di Percy Jackson Il mare dei mostri.\nIl mito del supplizio di Tantalo viene citato anche da Luigi Pirandello ne Il fu Mattia Pascal (cap. XV) quando il protagonista si rende conto che la sua libertà implica la solitudine, a causa di un'incapacità di vivere in società essendone effettivamente uscito in seguito alla sua 'morte'. La solitudine è conseguenza della paura di ricadere preda degli affannosi vincoli della vita: 'La paura di ricadere nei lacci della vita, mi avrebbe fatto tenere più lontano che mai dagli uomini, solo, solo, affatto solo, diffidente, ombroso; e il supplizio di Tantalo si sarebbe rinnovato per me.' In questo caso le tentazioni negate non sono la fame e la sete, ma il desiderio di vivere in società.\nIl tantalio, elemento chimico di numero atomico 73, prende il nome da Tantalo, e si trova sotto il niobio, il cui nome deriva proprio da sua figlia Niobe.\nIl mito del supplizio di Tantalo viene citato anche ne Il conte di Montecristo, quando Dantès si priva volontariamente del cibo durante la sua prigionia.
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### Titolo: Tarquito.\n### Descrizione: Tarquito (lat. Tarquitus) è un personaggio citato nel decimo libro dell'Eneide di Virgilio tra i nemici di Enea nella guerra combattuta nel Lazio che vede opposti i profughi Troiani alle popolazioni italiche.\n\nIl mito.\nLe origini.\n(Publio Virgilio Marone, Eneide, libro X, vv.550-52).\n\n(traduzione di Annibal Caro).\nTarquito è un semidio italico, essendo figlio della ninfa Driope. Il padre dell'eroe si chiama Fauno: non si tratta del dio dei boschi ma di un mortale suo omonimo (altrimenti Tarquito risulterebbe nato da due divinità e ciò è impossibile dato che non è immortale). Egli figura tra i nemici di Enea: non è dato sapere a quale popolo appartenga, anche se la forma del nome, molto vicina a Tarquinio, fa propendere per un'origine etrusca. In tal caso il guerriero sarebbe uno dei sostenitori di Mezenzio.\n\nLa morte.\nGiovane orgoglioso e pieno di coraggio, Tarquito, che è semidio come Enea, sfida a duello il capo troiano che sta facendo scempio di italici per tutto il campo di battaglia. Tarquito affronta Enea, ma viene subito atterrato, poi disarmato completamente per subire quindi la decapitazione nonostante le suppliche; Enea infine fa ruzzolare la testa e il busto del nemico nella foce del fiume Tevere, impedendo così alla sua anima l'accesso immediato all'Ade, essendo questa la sorte riservata ai morti insepolti secondo la credenza del tempo, come del resto è detto nelle parole di scherno che il capo troiano rivolge alla sua vittima dopo averne gettato i resti in acqua:.\n\n(Publio Virgilio Marone, Eneide, libro X, vv.552-60).\n\n(traduzione di Antonio Buccelleni).\n\nInterpretazione e realtà storica.
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### Titolo: Tartaro (mitologia).\n### Descrizione: Tartaro (in greco antico: Τάρταρος?, Tártaros) indica, nella Teogonia di Esiodo, il luogo inteso come la realtà tenebrosa e sotterranea (katachthònia), e quindi il dio che lo personifica, venuto a essere dopo Caos e Gea.\nZeus vi rinchiuse i Titani, stirpe divina e padri degli dei dell'Olimpo, dopo averli sconfitti a seguito della Titanomachia. Lì, inoltre, si trovavano altri mostri come, ad esempio, le Arai, ma anche mortali puniti per i loro gravi misfatti come Tantalo (re della Lidia, punito dagli dèi per le sue colpe con una fame e una sete insaziabili: sebbene avesse accanto a sé frutti e acqua, non appena tentava di afferrarli questi si allontanavano da lui). Sempre in Esiodo, Tartaro è considerato il procreatore, insieme con Gaia, di Tifone.\n\nStoria.\nSecondo Graziano Arrighetti, Esiodo rende la posizione spaziale del Tartaro incongruente, dacché mescola descrizioni 'orizzontali' e 'verticali', ossia dipinge il luogo come 'ai confini della terra' (v. 731) e contemporaneamente come al di sotto della terra (v. 720 sgg.). La questione è insormontabile. Nella visione verticale viene descritto come una voragine buia, talmente profonda che lasciandovi cadere un'incudine questa avrebbe impiegato nove giorni e nove notti per toccarne il fondo.In Apollodoro (Biblioteca I,1,2) Tartaro è il luogo tenebroso dell'Ade dove Urano rinchiuse i Ciclopi.\nCol tempo la parola Tartaro venne confusa e assimilata a una generica definizione di inferno: già con Virgilio (70 - 19 a.C.) che, nell'Eneide, divide gli inferi fra Tartaro e Campi Elisi.\n\nInfluenza culturale.\nAl Tartaro sono intitolati i Tartarus Montes su Marte.\nNel videogioco roguelike Hades il protagonista, il dio ctonio Zagreus, figlio secondo il mito di Ade e Persefone, deve oltrepassare il Tartaro per riuscire a emergere dall'oltretomba; per superare l'uscita del Tartaro dovrà affrontare le Furie (Megera, Aletto e Tisifone) le quali si alternano a difesa dell'uscita. Sconfiggendole riuscirà a uscire dal Tartaro e ad accedere ai Prati d'Asfodelo.
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### Titolo: Taso (figlio di Anio).\n### Descrizione: Taso (in greco antico Θάσος) è un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nTaso era uno dei sei figli di Anio e Dorippa.\nMorì dilaniato da un branco di cani sull'isola di Delo.
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### Titolo: Taso.\n### Descrizione: Taso o Tasso (in greco Θάσος?, o Thasos) è un'isola della Grecia, posta nella parte nord del mar Egeo, separata dalla costa tracia dallo stretto omonimo. È l'isola greca più settentrionale e costituisce un'unità periferica.\n\nTerritorio e popolazione.\nL'isola si trova dirimpetto al delta del Mesta. È montuosa e nel punto più alto raggiunge i 1 045 m sul livello del mare; il clima è mediterraneo.\n\nProduzione economica.\nTaso produce cereali, uva, olive, frutta, tabacco, miele e altro. L'isola ha miniere di zinco e cave di marmo (marmo tasio).\n\nStoria.\nLa presenza umana sull'isola è attestata già in epoca neolitica. Erodoto riferisce che le miniere d'oro del monte Phanos (oggi Koynira) furono sfruttate dai Fenici, che diedero all'isola il suo nome attuale.\nNel VII secolo a.C. fu occupata nella parte nord da coloni provenienti dall'isola di Paro, guidati da Telesicle, padre del poeta Archiloco, secondo le indicazioni di un responso oracolare ottenuto al santuario di Delfi. L'isola aveva allora il nome di Aeria. La città venne fondata sui margini di una pianura ai piedi del massiccio del Profitis Ilias (1 108 m s.l.m.), dove esisteva sulla costa un porto naturale e fu dotata ben presto di una cinta di mura.\nCadde in possesso dei Persiani nel 491 a.C. e se ne sottrasse dopo la vittoria greca nella seconda guerra persiana nel 478 a.C. ed entrò a far parte della lega delio-attica. Si ribellò ad Atene nel 465 a.C. e fu punita perdendo quasi del tutto la sua indipendenza. Si staccò dalla lega nel 411 a.C. durante il 'governo dei Quattrocento', ma subentrarono conflitti interni tra oligarchici favorevoli a Sparta e democratici favorevoli ad Atene.\nSolo agli inizi del IV secolo a.C. le fazioni interne si riconciliarono e si ebbe un nuovo periodo di sviluppo, con un nuovo tracciato urbanistico e la sistemazione dei più importanti luoghi pubblici. Rimase formalmente indipendente dal Regno di Macedonia nel 356 a.C., ma perse i suoi possedimenti sulla costa tracia.\nFu ancora città fiorente sotto i Romani, e subì in seguito le incursioni dei Vandali (467-468). Nell'829 una flotta bizantina venne sconfitta dagli Arabi nelle sue acque. Nel 904 Leone di Tripoli vi preparò i macchinari che utilizzò nel successivo assedio di Tessalonica. Nel 1204 cadde sotto il dominio franco e nel 1307 sotto i Genovesi. Nel 1414 fu donata dall'imperatore bizantino Manuele II Paleologo a Jacopo Gattilusi, di origini genovesi, che era già signore di Lesbo.\nContesa tra il 1449 e il 1479 dalla Repubblica di Venezia e l'impero ottomano, cadde quindi in dominio di quest'ultimo. Nel corso del XVIII secolo si spopolò passando da circa 70 000 a poco più di 2 500 abitanti, in seguito alle incursioni dei pirati. Tra il 1813 e il 1902 fu proprietà del visir dell'Egitto Mehmet Alì e dei suoi discendenti. Fu toccata dalla guerra per l'indipendenza della Grecia (1821) e dalla guerra di Crimea. Nel 1912 fu conquistata dall'ammiraglio greco Koundouriotis e da allora fece parte dello Stato greco.\n\nSito archeologico.\nL'antica città di Taso si trova nel sito oggi occupato dal villaggio di Limena.\n\nMura di cinta.\nLe mura cittadine a forma di ferro di cavallo, vennero costruite nel V secolo a.C. in opera quadrata isodoma, con torri quadrate. Racchiudevano anche parte delle pendici del monte, che tuttavia non furono mai abitate.\nLe porte erano decorate con rilievi che hanno dato loro i nomi convenzionali moderni: porta 'delle dee con il carro' (probabilmente Ermes che guida il carro di Artemide), 'di Ermes e le Grazie', 'di Sileno' (della fine del VI secolo a.C.), 'di Eracle e Dioniso' (inizi del V secolo a.C.) e 'di Zeus e di Hera'.\nNel punto di maggiore elevazione le mura formano due piccole acropoli con i santuari dell'Apollo pitico e di Atena, entrambi danneggiati dai successivi lavori di fortificazione dei Bizantini e dei Gattilusi.\n\nAgorà.\nI resti dell'antica agorà cittadina si trovano al centro della città antica, non lontani dal porto, al quale la piazza commerciale era collegata per mezzo di una larga via. La piazza ha forma rettangolare ed era circondata sui lati orientale, meridionale e occidentale da stoai, mentre sul lato nord si trovavano diversi edifici pubblici.\nNella piazza si trovava il piccolo santuario di Zeus 'agoraios', con tempietto in antis e altare antistante, la cui prima fase risale al IV secolo a.C.\nVi furono eretti inoltre numerosi monumenti onorari, tra i quali un cenotafio in onore di Glauco, figlio di Leptine, fondatore della città insieme a Telesicle.\nNel II secolo a.C. una battaglia navale fu celebrata con un monumento a forma di prua e fu eretto un piccolo santuario, con un elemento cilindrico in marmo dedicato alle offerte dei fedeli, in onore di Teogene, figlio di Timosseno, vincitore tasio dei giochi olimpici.\nAll'angolo nord-orientale dell'agorà fu eretto intorno al 470 a.C. un passaggio monumentale ('passaggio dei Theoroi) tra due muri paralleli ornati di rilievi marmorei in stile severo, ora al museo del Louvre a Parigi. I rilievi raffigurano Apollo, le ninfe ed Ermes.\n\nQuartiere del porto.\nLungo la strada che si diparte dal 'passaggio dei Theoroi' si trovano:.\n\nun santuario dedicato ad Artemide, con statue onorarie, ora al museo archeologico di Istanbul, del III-I secolo a.C.;.\nun santuario dedicato a Dioniso, descritto da Ippocrate alla fine del V secolo a.C. con pianta triangolare e due ingressi;.\ndue monumenti coragici ornati di statue, del III secolo a.C.;.\nun santuario dedicato a Poseidone, con recinto trapezoidale a cui si accedeva da un propileo e con stoà sui lati e altare al centro, del IV secolo a.C.Verso nord-est, il cosiddetto 'campo di Demetriade', mostra i resti di un quartiere di abitazioni i cui resti vanno dall'VIII secolo a.C. al V secolo d.C.\n\nMuseo archeologico.\nIl museo archeologico è collocato in un edificio del 1934, in attesa di ampliamento, e ospita i resti rinvenuti negli scavi della città.\n\nTeatro.\nIl teatro venne costruito su un pendio rivolto a ovest verso il mare, adiacente alle mura cittadine. L'edificio originario, degli inizi del III secolo a.C., con scena dorica, venne in seguito trasformato nel I-II secolo d.C. per ospitare anche i giochi gladiatorii.\n\nQuartiere romano.\nVerso sud-ovest sono conservati i maggiori resti della città romana. In occasione di una visita dell'imperatore Adriano venne eretto un cortile pavimentato in marmo e circondato da portici di ordine ionico e a est di questo un odeion. Nello stesso quartiere sorse già nel V secolo a.C. il tempio dedicato a Eracle, patrono della città, con propilei di accesso.\n\nAmbientazioni.\nNell'isola di Taso è ambientato il romanzo Enigma di Clive Cussler, il primo del ciclo delle avventure di Dirk Pitt.\n\nAmministrazione.\nL'isola è un'unità periferica costituita dall'unico comune omonimo nella periferia della Macedonia orientale e Tracia di 13 765 abitanti secondo i dati del censimento 2001 che non è stato interessato alla riforma amministrativa in vigore dal gennaio 2011.\n\nLocalità.\nI centri abitati con più di 100 abitanti al censimento 2001 sono i seguenti:.\n\nAgios Georgios (pop. 149).\nAstris (129).\nKallirachi (651).\nKinyra (104).\nLimenaria (2 441).\nMaries (182).\nOrmos Prinou (122).\nPanagia (820).\nPotamia (1 216).\nPotos (688).\nPrinos (1 185).\nRachoni (365).\nSkala Kallirachis (631).\nSkala Marion (377).\nSkala Rachoniou (206).\nSkala Sotirou (368).\nTaso (Limenas Thasou) (3 130).\nTheologos (731).
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### Titolo: Teano (figlia di Cisseo).\n### Descrizione: Teano (in greco Θεανώς Theanṑs, in latino Thĕăno, -ūs) è un personaggio femminile della mitologia greca.\n\nMitologia.\nEra figlia del re trace Cisseo e di Telecleia, sposò in prime nozze il re dei Berberici Amico, che la rese madre di Mimante, nato nella stessa notte in cui Ecuba partorì Paride. Ebbe anche una figlia, di nome Crino.\nRimasta vedova divenne moglie di un altro troiano, Antenore, dal quale ebbe numerosi figli, tutti maschi.Nella città di Troia era la sacerdotessa del culto di Atena.. Servio Mario Onorato scrisse che Teano navigò nel viaggio con Enea in Italia dove fondarono la città di Padova.
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### Titolo: Teatro antico di Epidauro.\n### Descrizione: L'Antico teatro di Epidauro è un teatro situato nella omonima città greca, all'estremità sud-est del santuario dedicato all'antico dio greco della medicina Asclepio. È considerato il miglior teatro greco antico per quanto riguarda l'acustica e l'estetica.\nÈ costruito sul lato ovest del monte Cinortion, vicino alla città di Lygourio, ma appartenente al comune di Epidauro.\n\nStoria.\nSecondo Pausania, che ne esalta la simmetria e la bellezza, fu costruito da Policleto il Giovane. Con una capacità massima tra i 13.000 e i 15.000 spettatori, il teatro ospitava musica, canti e giochi drammatici che erano inclusi nel culto di Asclepio; era anche usato come mezzo per guarire gli ammalati, poiché si credeva che osservare spettacoli drammatici avesse effetti positivi sulla salute mentale e fisica.\nOggi il teatro attira un grande numero di visitatori ed è utilizzato per l'esecuzione di drammi teatrali antichi: la prima esibizione moderna è stata la tragedia di Sofocle Elettra messa in scena nel 1938 sotto la direzione di Dimitris Rontiris con Katina Paxinou ed Eleni Papadaki. Gli spettacoli furono interrotti a seguito dello scoppio della seconda guerra mondiale e ricominciarono nel 1954; l'anno successivo fu istituito, come evento annuale per la presentazione del dramma antico, il Festival di Epidauro, che continua ancora oggi durante i mesi estivi.\nIl teatro è stato usato sporadicamente per ospitare importanti eventi musicali: nell'ambito del festival sono apparsi noti attori greci e stranieri tra cui il soprano Maria Callas, che eseguì Norma nel 1960 e Medea nel 1961.\n\nDescrizione.\nIl monumento conserva la caratteristica struttura tripartita di un teatro ellenistico con cavea (la parte riservata al pubblico), orchestra e palcoscenico; durante il periodo romano, a differenza di molti teatri, non subì alcuna modifica. L'edificio scenico è stato costruito in due fasi: il primo è collocato alla fine del IV secolo a.C. e il secondo a metà del II secolo a.C.\nLa cavea o kòilon è divisa verticalmente in due parti diseguali, separate da un corridoio orizzontale per il movimento degli spettatori (largo 182 cm), il diazoma. La parte inferiore della cavea è divisa in dodici sezioni mentre la parte superiore è divisa in ventidue; la mancanza di due tribune nella sezione superiore ha permesso di aggiungere due ulteriori ingressi per gli spettatori, che in questo modo possono accedere al teatro sia dal basso sia dall'alto.\nLa fila inferiori della cavea, subito a ridosso dell'orchestra, presenta posti d'onore riservati; il design dell'auditorium è unico e basato su tre centri di marcatura: grazie a questo gli architetti hanno ottenuto sia un'acustica ottimale che un'apertura per una visione migliore.\n\nL'orchestra circolare, con un diametro di 20 m, costituisce il centro del teatro. È circondata da una speciale condotta di drenaggio sotterranea di 1,99 m di larghezza chiamata èuripos, coperta in passato da una passerella circolare in pietra. Al centro dell'orchestra troviamo un piatto circolare di pietra, la base dell'altare dedicato a Dioniso o thymèle.\nDi fronte alla cavea e dietro l'orchestra si sviluppa l'edificio scenico del teatro. La forma della scena (che è in parte conservata oggi) è datata al periodo ellenistico e consisteva in un palcoscenico a due piani e un proscenio di fronte al palcoscenico; c'era un colonnato davanti al proscenio e, su entrambi i lati, i due retroscena leggermente sporgenti. A est e a ovest dei due retroscena c'erano due piccole sale rettangolari per le esigenze degli attori. Due rampe conducono al tetto del proscenio, il logeion, dove gli attori hanno recitato in un'epoca più tarda. Infine, il teatro aveva due porte, che ora sono state restaurate.\nI gradini del teatro sono raggruppati in due parti con pendenza diversa: allontanandosi dall'orchestra ci sono prima 34 gradini, poi una separazione, una diversa pendenza con gradinate doppie e poi una nuova serie di 21 gradini. Sommando le due serie si ottiene un totale di 55 gradini. Venne constatato che 34/21=1,619, mentre 55/34=1,617. Entrambi i valori, approssimati per eccesso e per difetto, danno il noto numero aureo: 1,618. Come viene detto nel Timeo: le due parti sono unite da 'il più bello dei legami'.\n\nScavi.\nIl primo scavo sistematico del teatro iniziò nel 1881 dalla Società Archeologica, sotto la direzione dell'archeologo Panayis Kavvadias e conservato in ottime condizioni grazie ai restauri di P. Kavvadias (1907), di A. Orlandos (1954-1963) e il Comitato di conservazione dei monumenti di Epidauro (Dal 1988 al 2016). Con il lavoro svolto, il teatro è stato recuperato - tranne la costruzione del palcoscenico - quasi interamente nella sua forma originale.
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### Titolo: Tebe (città greca antica).\n### Descrizione: Tebe (in greco antico: Θῆβαι?, Thḕbai) fu una polis beotica, situata a nord del monte Citerone, che divide la Beozia dall'Attica, ai limiti meridionali della pianura della Beozia. Svolse un ruolo importante nella mitologia greca, luogo delle storie di Cadmo, Edipo, Dioniso e altri personaggi mitici.\nNel periodo miceneo attirò l'attenzione degli invasori dorici. La sua posizione centrale nella piana beotica fece diventare Tebe la polis dominante della Beozia, e sin dall'età arcaica i suoi abitanti cercarono di stabilire la supremazia completa sulle altre città che circondavano o erano nei pressi di Tebe.\nFu quindi la più grande città della Beozia e fu a capo della Lega beotica. Fu una grande rivale di Atene, e si schierò con l'Impero persiano durante la seconda guerra persiana. Con la vittoria nella battaglia di Leuttra nel 371 a.C., Tebe, sotto il comando di Epaminonda, divenne la città egemone greca, riuscendo a sconfiggere Sparta e la Lega peloponnesiaca, ma l'età d'oro della polis beotica non durò più di un decennio. Il battaglione sacro di Tebe, un'unità militare d'élite, è noto per esser caduto a Cheronea nel 338 a.C. contro Filippo II e Alessandro di Macedonia.\nSette vie della città di Tebe sono illusionisticamente rappresentate nel Teatro Olimpico di Vicenza (1580).\n\nStoria.\nMito fondativo.\nSecondo il mito, che non ha conservato memoria delle età precedenti quella micenea, Tebe sarebbe stata fondata da Cadmo, giunto dalla Fenicia. La notizia della venuta di Cadmo fu suggerita forse dall'esistenza della 'Cadmea'. A Tebe regnarono in successione, dopo Cadmo e i suoi discendenti, re di dinastia beota: Penteo e Polidoro, Nitteo e Laddamo, Nitteo e Laio, Lico e Laio, Anfione, Laio II, Creonte, Edipo, Eteocle, Creonte tutore di Laodamante, Tersandro, forse Autesione, poi Tisamene, Damasittone, Tolomeo e Xanto.\n\nOrigini.\nSui più antichi abitanti della Beozia, e quindi anche di Tebe, non si hanno dati sicuri. I reperti archeologici mostrano che l'acropoli della Tebe antica, la cosiddetta 'Cadmea', era abitata già nell'età elladica (III-II millennio a.C.). Sono stati rinvenuti manufatti del XVI secolo a.C., perfino affreschi, che mostrano contatti di Tebe con la Creta minoica. In seguito Tebe fu un potente centro miceneo fino a quando il palazzo e le mura non furono distrutti poco tempo prima della guerra di Troia (ca. 1200 a.C.).\nPiù tardi in Beozia fu costituita, probabilmente per difesa dalle mire espansionistiche di Orcomeno, la Lega beotica, una confederazione che comprendeva inizialmente 13 o 14 città, nessuna delle quali predominava sulle altre. A Tebe la monetazione è documentata a partire dal VII secolo a.C. Attorno al VI secolo a.C. Tebe divenne, all'interno della Lega beotica, la città egemone, ossia la città a cui spettava il comando in caso di guerra. L'egemonia tebana minacciava l'uguaglianza effettiva dei membri della lega, suscitando i tentativi separatistici di alcune importanti città della Beozia, in particolar modo di Platea, che cercò fin dal 519 a.C. l'appoggio di Atene.\n\nV secolo a.C.\nAlla fine del VI secolo a.C., i Tebani ebbero il primo contatto con gli Ateniesi, che aiutarono il piccolo villaggio di Platea a mantenere la sua indipendenza contro Tebe, mentre sempre gli Ateniesi nel 506 a.C. respinsero un'incursione nell'Attica. L'avversione e la rivalità con Atene spiega l'atteggiamento antipatriottico che Tebe adottò durante la seconda guerra persiana (480-479 a.C.).\nAnche se un contingente di 300 uomini fu inviato alle Termopili, l'aristocrazia tebana, subito dopo, unì le forze con Serse I di Persia e con grande forza e zelo combatté al fianco dei persiani nella battaglia di Platea nel 479 a.C. I Greci vittoriosi in seguito punirono Tebe privandola dell'egemonia sulla Lega beotica. Gli Spartani volevano addirittura espellere Tebe dall'anfizionia delfica ma questa proposta non fu attuata per intercessione di Atene; Pausania, dopo un assedio, la conquistò instaurandovi un governo democratico. Ma i tentativi di instaurare la democrazia a Tebe fallirono in quanto l'ordinamento democratico presupponeva una base sociale che non esisteva in Beozia: l'economia in questa regione era essenzialmente agricola e il potere era nelle mani di aristocratici latifondisti; l'artigianato e il commercio non erano sviluppati, le più grandi città in realtà non erano altro che grossi borghi privi di plebi urbane.\n\nNel 457 a.C. Sparta, nel cercare una polis che ostacolasse Atene nella sua avanzata nella Grecia centrale, cambiò la sua politica e Tebe divenne nuovamente la potenza dominante in Beozia. Gli Ateniesi occuparono la rocca Cadmea tra il 457 e il 447 a.C. Anche quando Atene tentò invano di occupare l'intera Beozia nel 431 a.C., incontrando una fiera resistenza tebana.\nTebe non riconobbe mai l'egemonia ateniese in Beozia e, dopo le sconfitte di Atene a Coronea (447 a.C.) e soprattutto a Delio (424 a.C.), la classe aristocratica riprese il potere a Tebe, che riconquistò il ruolo egemonico in seno alla Lega beotica.\nNella guerra del Peloponneso i Tebani, poiché Atene frustrava ogni loro tentativo di espansione in Beozia, furono fermi alleati di Sparta, che a sua volta li aiutò ad assediare Platea, città alleata di Atene, e permise loro di distruggere la città dopo la sua cattura nel 427 a.C. Nel 424 a.C., i Tebani inflissero una severa sconfitta su una forza d'invasione ateniese nella battaglia di Delio, e per la prima volta mostrò la sua forza militare, dovuta alla tattica della falange obliqua, che l'avrebbe elevata a potenza predominante in Grecia.\n\nAlleanza con Atene.\nDopo la caduta di Atene e la fine della guerra del Peloponneso, i Tebani, avendo saputo che gli Spartani non avevano intenzione di proteggere le città loro alleate, ruppero l'alleanza. Tebe, che aveva sollecitato Sparta a radere al suolo Atene, nel 403 a.C. aveva segretamente sostenuto il restauro della democrazia nella città dell'Attica, al fine di trovare in essa una buona alleata contro Sparta. Il mutamento nella politica estera può essere attribuito a un governo democratico moderato subentrato a Tebe a quello aristocratico.\nNel 395 a.C., forse influenzati in parte dall'oro inviato dai Persiani, formarono una lega contro Sparta: la città partecipò al fianco di Atene, Argo e Corinto alla guerra di Corinto e vinse la battaglia di Aliarto (395 a.C.). La successiva pace comune di Antalcida (386 a.C.), espressione dell'egemonia spartana, negava però a Tebe l'egemonia sulla Beozia e ordinava lo scioglimento della Lega beotica.\nNel 382 a.C. lo spartano Febida occupò la rocca Cadmea con un colpo di mano, sostituì i governanti democratici con aristocratici filo-spartani e pose quindi Tebe sotto il diretto controllo spartano; il re di Sparta Agesilao II avallò queste gesta permettendo che Ismenia, il principale democratico popolare tebano, fosse messo a morte. L'opposizione democratica in esilio ad Atene, guidata da Pelopida, si alleò con i moderati rimasti a Tebe, guidati da Epaminonda, e con una impresa audace riuscì a ripristinare lo Stato tebano (379 a.C.). L'episodio segnò l'inizio di una serie di eventi che culminarono addirittura con l'egemonia di Tebe, sia pure di breve durata, sul resto della Grecia.\n\nEgemonia tebana.\nNelle guerre seguenti con Sparta, l'esercito tebano, addestrato e guidato da Epaminonda e Pelopida, si dimostrò il migliore della Grecia. Tebe stabilì il suo potere su tutta la Beozia, e nel 371 a.C. riportò una notevole vittoria sugli Spartani a Leuttra e i vincitori furono salutati in tutta la Grecia come liberatori. Alla testa di una grande coalizione e della Lega beotica, Tebe paralizzò l'economia spartana liberando da Sparta molti Iloti, la base dell'economia di Sparta.\nNel 362 a.C. i Tebani sconfissero nuovamente gli Spartani nella battaglia di Mantinea, dove però Epaminonda morì. Poiché anche Pelopida era morto due anni prima, Tebe rimase senza i due personaggi artefici del successo militare e in poco tempo il dominio tebano si sgretolò (tra l'altro la Beozia era una delle regioni più povere della Grecia), anche sotto la pressione del Regno di Macedonia.\n\nDistruzione di Tebe.\nNella terza guerra sacra (356-346 a.C.) Tebe, non riuscendo nemmeno a mantenere il suo predominio sulla Grecia centrale, chiese l'aiuto di Filippo II di Macedonia, che sconfisse i Focesi ma nello stesso tempo s'intromise negli affari del mondo greco. Il pericolo macedone spinse Tebe ad allearsi con Atene, ma le forze greche furono sconfitte nella battaglia di Cheronea: la Lega beotica venne sciolta, e Tebe dovette versare alla Macedonia enormi riparazioni di guerra e accettare un presidio macedone nella città.\nNel 335 a.C. i Tebani e gli Ateniesi si ribellarono ancora una volta contro i Macedoni, ma il successore di Filippo, Alessandro Magno, creduto dall'ateniese Demostene (il principale fautore della politica antimacedone) un ragazzino sciocco (tra l'altro si era diffusa in Grecia la notizia della morte di Alessandro in una sua spedizione) reagì immediatamente; mentre le altre città si arresero, Tebe decise di resistere energicamente. Tuttavia questa resistenza fu inutile: la città fu rasa al suolo, con l'eccezione, secondo la tradizione, della casa del poeta Pindaro e dei templi dell'acropoli e il suo territorio fu diviso tra le altre città della Beozia. Inoltre, gli stessi Tebani furono venduti come schiavi. Alessandro risparmiò solo i sacerdoti, i generali favorevoli al dominio macedone e i discendenti di Pindaro. La distruzione di Tebe intimorì Atene, che si sottomise ad Alessandro.\n\nPeriodo ellenistico e romano.\nCassandro I permise ai Tebani di ricostruire la loro città nel 316 a.C. Tebe fu assediata e presa da Demetrio Poliorcete nel 293 a.C. La città riprese la sua autonomia nel 287 a.C. e divenne alleata di Lisimaco e della Lega etolica.\nNel 146 a.C. Tebe fu conquistata da Roma. Fece parte della provincia di Acaia. Tentò di ribellarsi ai Romani all'epoca delle guerre mitridatiche, per cui nell'87 a.C. venne occupata da Silla, che le tolse metà del territorio. Da allora la decadenza fu irreversibile.\nNel II secolo d.C., Pausania il Periegeta riferisce che Tebe e il territorio circostante erano ormai disabitati e che solo poche persone abitavano nella rocca Cadmea. La città fu rifondata nel 315, ma da quel momento non fu più parte importante della scena politica della Grecia.\n\nNel Medioevo.\nNell'XI secolo vi fiorì l'industria della seta e delle tintorie di porpora: il centro riacquistò l'aspetto di una città e attrasse mercanti stranieri (la vivacità economica che ne derivò favorì l'insediamento di una notevole comunità ebraica romaniota). Nel 1147 fu saccheggiata dai Normanni di Sicilia. Divenne poi capitale del Ducato di Atene, costituito nel 1205 sotto la signoria dei de la Roche, conoscendo un periodo di prosperità. A partire dal 1311 fu sotto il dominio catalano-aragonese. Nel 1388 il ducato passò alla famiglia fiorentina degli Acciaiuoli e per Tebe fu una nuova fase di floridezza. Nel 1460 fu conquistata dai Turchi, vi cessò il commercio e tornò a decadere.\n\nLa città moderna.
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### Titolo: Tebeo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Tebeo era uno dei vecchi guerrieri di Troia, al tempo della famosa guerra, era il padre di Eniopeo.\n\nIl mito.\nTebeo, forte ed esperto guerriero, quando Paride, figlio di Priamo re di Troia, decise di rapire Elena moglie di Menelao, e di conseguenza scoppiò la guerra fra la Grecia e il popolo troiano, era troppo vecchio per partecipare alle battaglie. Al suo posto combatté il figlio che trovò morte per mano di Diomede, abile nemico.
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### Titolo: Tecmessa.\n### Descrizione: Tecmessa (in greco antico: Τέκμησσα?, Tékmēssa) è una figura della mitologia greca.\nViene citata nell'Iliade dove è descritta come la figlia di Teleutao, re di Frigia e alleato dei troiani. Gli Achei la fecero prigioniera durante un'incursione e la assegnarono, come schiava, ad Aiace Telamonio da cui ebbe un figlio, Eurisace. Quando Aiace si suicidò per lo smacco dovuto all'equivoca uccisione di una mandria di buoi, al posto dei capi greci, voluta dalla dea Atena, ella cercò inutilmente di farlo ragionare ma fu inutile.\nCompare anche nell'Aiace di Sofocle.
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### Titolo: Tegira.\n### Descrizione: Tegira (Τέγυρα) è una località che si trova nei pressi del lago di Copaide, non lontano da Orcomeno in Beozia orientale.\nÈ celebre nella storia dell'antica Grecia perché ivi si svolse, nel 375, una battaglia tra l'esercito di Sparta e quello di Tebe comandato da Pelopida, con quest'ultimo che s'impose nel combattimento.
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### Titolo: Tela di Penelope.\n### Descrizione: La tela di Penelope fu un celebre stratagemma, narrato nell'Odissea, ideato da Penelope, la moglie di Ulisse che, per non addivenire a nuove nozze, stante la prolungata assenza da Itaca del marito Ulisse, aveva subordinato la scelta del pretendente all'ultimazione di quello che avrebbe dovuto essere il lenzuolo funebre del suocero Laerte. Per impedire che ciò accadesse, la notte disfaceva la tela che aveva tessuto durante il giorno.\n\nOggigiorno si cita la tela di Penelope per riferirsi a un lavoro intrapreso e adottato a mo' di alibi o che non avrà mai termine.
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### Titolo: Telamone (personaggio mitologico).\n### Descrizione: Telamone (in greco antico: Τελαμών?, Telamṑn) è un personaggio della mitologia greca. Fu un argonauta (così come il fratello Peleo), uno dei partecipanti alla caccia al cinghiale calidonio e divenne re di Salamina.\nAssieme a Peleo accompagnò Eracle nelle spedizioni contro le Amazzoni e contro Troia.\nTelamone fu accolto dal re di Salamina e ne divenne il successore dopo la morte di costui.\n\nGenealogia.\nFiglio di Eaco e di Endeide, sposò prima Peribea che lo rese padre di Aiace Telamonio ed in seguito sposò Esione da cui ebbe Teucro.\nAlcune fonti fanno riferimento ad un terzo figlio chiamato Trambelo e che, rifiutato da una fanciulla di Lesbo di nome Apriate, si vendicò di lei gettandola in fondo al mare.\n\nVita.\nDopo aver ucciso il fratellastro Foco, Telamone e Peleo dovettero lasciare Egina. Il re Cicreo di Salamina accolse Telamone e diventò suo amico. Telamone sposò la figlia di Cicreo, Peribea, da cui generò Aiace. In seguito Cicreo diede il suo regno a Telamone. In altre versioni del mito, la figlia di Cicreo si chiama Glauce, mentre Peribea è la seconda moglie di Telamone e figlia di Alcatoo.\nTelamone compare anche nelle due versioni del sacco di Troia da parte di Ercole, quando re della città era Laomedonte (o Troo). Prima che scoppiasse la guerra di Troia, Poseidone inviò un mostro marino per distruggere la città.\nNella versione del re Troo, Ercole, insieme a Telamone e Oicle, accettò di uccidere il mostro in cambio dei cavalli che Troo aveva ricevuto da Zeus come compenso per il rapimento di Ganimede (che era figlio di Troo) da parte di Zeus. Troo accettò, Ercole uccise il mostro e Telamone sposò Esione, figlia di Troo, generando da lei il figlio Teucro.\nNella versione del re Laomedonte, Laomedonte progettò di sacrificare Esione al dio Poseidone nella speranza di placarlo. Ercole salvò Esione all'ultimo minuto e uccise sia il mostro, così come Laomedonte e i figli di questi, tranne Ganimede, che era sul Monte Olimpo, e Priamo, che ebbe salva la vita donando a Ercole un velo d'oro tessuto da Esione. Telamone ebbe Esione in premio e la sposò, e da lei generò Teucro. Poiché Aiace si era suicidato a Troia, Telamone bandì Teucro da Salamina per non aver riportato suo fratello a casa.\nNella 'Biblioteca di Apollodoro' si legge che Telamone fu quasi ucciso durante l'assedio di Troia. Telamone fu il primo a entrare nelle mura di Troia e ciò fece infuriare Ercole, il quale avrebbe voluto quell'onore per sé. Ercole stava per uccidere Telamone, quando questi cominciò a costruire rapidamente un altare di pietre in onore di Ercole. Ercole fu così lusingato che dopo il sacco di Troia gli diede in moglie Esione. Esione chiese di poter portare con sé il fratello Podarce. Ercole acconsentì ma volle che Esione lo comprasse come schiavo. Esione riscattò il fratello pagando con un velo intessuto d'oro. Il nome di Podarce fu cambiato in Priamo - che, secondo l'autore greco Apollodoro, deriva dal verbo greco 'comprare'.\n\nArchitettura.\nIn architettura il telamone è una figura maschile colossale usata come colonna. È chiamato anche atlante ed è la versione maschile della cariatide.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Telchini.\n### Descrizione: I Telchini (in greco antico: Τελχῖνες?, Telkhînes) sono dei personaggi della mitologia greca. Furono i primi abitanti dell'isola di Rodi ed erano conosciuti anche a Creta e Cipro.\n\nGenealogia.\nFigli di Ponto e Gea o di Tartaro e Nemesi o del sangue di Urano. Oppure di Ponto e Thalassa od ancora figli di Poseidone e Alia.\nSecondo una fonte i Telchini erano in origine i cani di Atteone che furono trasformati in uomini.\n\nNomi e numero.\nPoiché più di un autore si è espresso sui nomi e sul numero dei Telchini, l'elenco che segue rappresenta la somma dei loro nomi con le varianti dello stesso nome messe tra parentesi.\nDemonax (Damon), Mylas, Atabyrius (Ataburon), Anteo (Aktaios), Megalesius, Ormeno, Lico (Liktos), Nicon, Mimon, Chryson, Argyron e Calcone, Skelmis e Damnameneus.\nCi sono inoltre le femmine Alia, Lysagora Macelo e Dessitea.\nDemonax e Macelo ebbero la figlia Dessitea.\n\nAttitudini ed aspetto.\nA seconda degli autori, i Telchini svolgevano una svariata varietà di ruoli, che partiva dai coltivatori del suolo ai ministri degli dei e, sotto alcuni aspetti, erano in grado di fare le stesse cose degli Ecatonchiri (come giganti delle tempeste) ed i Ciclopi (come lanciatori di tuoni e fulmini) ma erano anche abili nella metallurgia (costruttori del tridente di Poseidone e della falce di Crono) come i Cureti ed i Dattili.\nCon i Ciclopi inoltre aiutarono Efesto a costruire la collana di Armonia e fu per l'invidia delle loro capacità che gli uomini cominciarono a parlar male di loro.\nInfatti, erano anche definiti stregoni o demoni invidiosi e con un aspetto distruttivo così come lo era lo sguardo o che avessero pinne al posto delle mani e le teste di cani o che fossero figli dei pesci od anche dotati del potere di portare grandine, pioggia e neve nonché di assumere qualsiasi forma desiderassero.\nNella loro malvagità potevano produrre una sostanza velenosa ed erano paragonati ad Alastore per aver condizionato le incessanti peregrinazioni della gente o chiamati Palamnaioi per aver versato l'acqua avvelenata del fiume Stige sui campi coltivati rendendoli infertili, od ancora che fossero ricoperti di aculei velenosi come il riccio di mare.\n\nProvenienza e tracce.\nLa loro terra d'origine varia a seconda degli autori poiché alcuni scrivono che vennero da Creta per spostarsi prima a Cipro e poi a Rodi ed altri che una volta giunti a Cipro si spostarono in Beozia dove edificarono un santuario ad Atena.\nProbabilmente ogni autore diede un destino particolare ad ogni personaggio di cui raccontava (o solo ad alcuni). Di Lico ad esempio, Diodoro Siculo scrive che si recò in Licia, dove tra la città di Xanthos e l'omonimo fiume edificò un tempio dedicato ad Apollo.\n\nMitologia.\nAi Telchini Rea affidò Poseidone infante e loro lo accudirono con l'aiuto di Cafira ed un'altra versione dice invece che Rea li accompagnò nel viaggio da Rodi a Creta dove nove di loro (chiamati Cureti) furono scelti per educare il giovane Zeus (che era stato nascosto sull'isola per salvarlo).\nNella varietà dei miti a loro dedicati, gli stessi dei (Rea, Zeus ed Apollo) furono anche ostili verso i Telchini e sempre gli dei (Zeus, Poseidone ed Apollo), li avrebbero anche uccisi poiché avevano utilizzato più volte la magia per scopi malvagi tra cui l'esempio di avvelenare l'acqua del fiume Stige per poter distruggere campi, animali e raccolti, cosa questa che, secondo Nonno di Panopoli fu una loro vendetta per essere stati cacciati da Rodi per mano degli Eliadi.\nGli autori concordano sul fatto che i Telchini furono infine distrutti dagli dei ma ognuno ne da una versione diversa. Ovidio scrive con il Diluvio Universale, Pindaro con un fulmine di Zeus, Nonno di Panopoli con il tridente di Poseidone ed infine da Apollo nelle sembianze di un lupo.\nOvidio aggiunge che Macelo fu uccisa da un fulmine di Zeus, mentre Callimaco e Nonno di Panopoli che fu l'unica ad essere uccisa in quel modo mentre la figlia Dessitea sopravvisse ed ebbe il figlio Eussantio da Minosse.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Telefo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Telefo (in greco antico: Τήλεφος?, Tḕlephos) è figlio di Eracle e di Auge, figlia del re di Tegea, Aleo. Le vicende della sua vita, pur non essendo mai menzionate da Omero, sono narrate da vari autori classici, soprattutto dallo Pseudo-Apollodoro, da Ditti Cretese e da Igino (talvolta con differenze significative), e numerosi sono i riferimenti ad episodi della sua vita riscontrabili in opere antiche.\nL'episodio per cui divenne famoso è la battaglia contro l'esercito greco diretto a Troia, ma sbarcato per sbaglio sulle coste della Misia, della quale Telefo era diventato sovrano: lo scontro provocò numerose perdite in entrambi gli schieramenti ed il re misio fu ferito a una coscia da Achille. Il ferimento e la successiva guarigione per mano dello stesso Achille divennero un argomento usato da molti autori antichi, nonché base per alcune tragedie greche.\nTelefo divenne oggetto di culto eroico nella città di Pergamo, in Misia, e le sue gesta sono raffigurate sul fregio dell'Altare di Pergamo, oggi conservato a Berlino.\n\nIl mito.\nNascita e infanzia.\nSecondo la versione più diffusa del mito, Eracle, giunto a Tegea in Arcadia, ebbe un rapporto sessuale con Auge, figlia del re della città Aleo, senza conoscerne però la reale identità. Da questa unione nacque un bambino, che fu nascosto segretamente da Auge nel recinto di Atena. Ma Aleo scoprì la maternità della figlia quando, in seguito a una pestilenza che stava devastando il regno, si recò al tempio per pregare la dea Atena.\nAlcidamante racconta nell'Odisseo una versione più particolareggiata del concepimento, che in alcuni aspetti ricalca la storia di Danae e Perseo. Aleo, durante un viaggio a Delfi, era stato avvertito dall'oracolo che i suoi figli maschi sarebbero stati uccisi da suo nipote, il figlio di Auge. Per evitare che l'oracolo si avverasse, Aleo fece chiudere la figlia nel tempio di Atena, del quale la nominò sacerdotessa; dichiarò inoltre che sarebbe stata messa a morte se non si fosse mantenuta casta. Proprio in questo tempio Aleo organizzò un banchetto per Eracle, di passaggio mentre si dirigeva a portar guerra ad Augia in Elide: sotto l'influsso del vino, Eracle violentò Auge, che rimase incinta.Il bambino fu dunque preso ed esposto sul monte Partenio, lungo la strada tra Tegea ed Argo, dove, per volere divino, fu allattato da una cerva. Auge invece fu affidata al re Nauplio per essere venduta come schiava in terre lontane. Quest'ultimo, giunto in Misia, ricevette un riscatto dal re Teutrante, che la prese con sé. Secondo un'altra versione, riportata da Diodoro Siculo, Aleo ordinò a Nauplio di affogare la fanciulla, ancora incinta, che però riuscì a fuggire e partorì il piccolo in un boschetto, nascondendolo poi in mezzo ai cespugli. La giovane però, ricatturata, venne venduta a un ammiraglio di Misia che la donò al re Teutrante. Il piccolo, allattato, come detto prima, da una cerva, fu ritrovato da alcuni pastori che lo consegnarono al proprio re, Corito; questi chiamò il piccolo Telefo, in onore della prima nutrice (il suo nome infatti sembra derivare da θηλή thēlḕ, 'mammella' e ἔλαφος èlaphos, 'cervo' o 'cerva').A quest'ultima versione fa riferimento anche Pausania quando ricorda che gli abitanti di Tegea chiamano Ilizia Auge sulle ginocchia: nel punto in cui è il tempio di Ilizia, infatti, Auge avrebbe dato alla luce il figlio.\n\nIl passaggio in Asia.\nDiventato adulto, Telefo volle avere notizie sulla madre e si recò a Delfi per chiederne informazioni. L'oracolo gli consigliò di recarsi in Misia dal re Teutrante. Giunto dunque in Misia con l'amico Partenopeo (figlio di Atalanta e anch'egli esposto sul monte Partenio), vide come quella terra era minacciata dall'esercito di Ida, figlio di Afareo. Teutrante aveva promesso la mano di Auge a chi avesse sconfitto le schiere del rivale. Telefo affrontò dunque in duello Ida e lo uccise, ricevendo in premio Auge, senza sapere però chi fosse realmente. Ma la donna, riconoscendolo, non volle unirsi a lui e tentò di ucciderlo con una spada; il suo tentativo, però, fu vanificato grazie all'intervento di un grande serpente inviato dagli dèi che protesse Telefo; Auge, chiedendo allora pietà, invocò Eracle e fu così svelata al figlio la sua vera identità. Teutrante felice decise di adottarlo come suo erede e gli diede in moglie Astioche, sorella del re troiano Priamo, da cui nacque Euripilo. Alla morte del re, Telefo divenne sovrano di Misia.Strabone fornisce un'altra versione del passaggio di Telefo in Asia, che dipende da una tragedia perduta di Euripide. Quando Aleo scoprì che Auge era stata violata da Eracle, mise lei ed il figlio in una cesta e la abbandonò in mare; la cesta arrivò fino alla foce del fiume Caico, in Misia, dove madre e figlio furono salvati dal re Teutrante, che li trattò come se fossero la propria moglie ed il proprio figlio, futuro re. Un racconto simile è in Pausania, che dipende da Ecateo di Abdera e che ricorda che a Pergamo è la tomba di Auge, nei pressi del fiume Caico.Un frammento della già ricordata tragedia euripidea propone un'altra derivazione del nome Telefo, legata proprio alla lontananza dal luogo di nascita. In questo brano egli racconta che, divenuto sovrano di Misia, il suo popolo lo chiama Telefo per via della sua origine, poiché viveva lontano (in greco antico: τηλοῦ?, tēlù) da dove era nato.\n\nLo scontro con i Greci.\nDurante il suo regno, alcune navi greche salparono da Aulide verso Troia con l'obiettivo di assalirla a seguito del rapimento di Elena da parte di Paride; i Greci, però, giunsero per sbaglio in Misia e, credendo di essere giunti a Troia, la invasero. Secondo il racconto fornito da Ditti Cretese nella Storia della guerra di Troia, Telefo, avvisato dello sbarco dalle sentinelle poste a guardia delle coste, radunò tutti gli uomini che aveva a disposizione: ci fu una grande battaglia tra Greci e Misi, durante la quale Telefo uccise Tersandro, figlio di Polinice e nipote di Edipo, mentre Aiace Telamonio, che comandava una delle due parti in cui l'esercito greco era stato diviso, colpì a morte Teutranio, che, secondo Ditti Cretese, era figlio di Teutrante e di Auge (e dunque fratellastro del re di Misia). Telefo affrontò in duello Achille ma, non riuscendo a resistergli, indietreggiò e, rimasto avvinghiato in un tralcio di vite, fu ferito con un colpo di lancia alla coscia dal Pelide; rialzatosi rapidamente, riuscì ad estrarre la lancia ed a mettersi in salvo. Secondo lo scoliasta dell'Iliade, il tralcio fu fatto spuntare da Dioniso per punire il re, che aveva privato la divinità di alcuni onori.\nLa resistenza dei Misi costò ai Greci numerose vite, provocò molti feriti e li costrinse a tornare sulle navi; tuttavia una delegazione achea composta da Tlepolemo, Fidippo e Antifo riuscì a concordare una pace con Telefo: poiché nell'esercito greco vi erano vari discendenti di Pelope, tra cui Agamennone e Menelao, i Greci si presentavano come imparentati con il re di Misia, anch'egli discendente di Pelope (essendo Alcmena, la madre di Ercole, figlia di Pelope secondo alcune versioni del mito); chiarito il vero scopo del loro viaggio, poterono fare ritorno in Grecia.\nIl ferimento del re misio è raccontato con alcune varianti anche da Filostrato nel dialogo Eroico. Secondo il racconto del vignaiolo (il personaggio che nel dialogo riferisce le storie degli eroi), durante la battaglia Protesilao combatté contro Telefo e, nello scontro, riuscì a strappargli lo scudo; rimasto senza protezione, fu ferito da Achille, che non lo uccise solo a causa all'intervento dei compagni di Telefo, che lo portarono in salvo. Filostrato, a differenza di Ditti Cretese, riporta molte più perdite per i Misi che non per i Greci, e ricorda un tale spargimento di sangue al punto che le acque del fiume Caico si tinsero di rosso. Racconta inoltre che a fianco dei soldati misi combatté una schiera di donne misie a cavallo, paragonabili alle Amazzoni: a capo di queste donne era Iera, moglie di Telefo e donna di grande bellezza, che fu uccisa in battaglia da Nireo. Secondo questa versione fu proprio la bellezza di Iera, maggiore di quella di Elena, che sospinse Omero a non descrivere questa battaglia, giacché il suo intento era di cantare la bellezza di Elena ed il coraggio di Achille, argomenti che, sempre secondo il vignaiolo, nella battaglia di Misia non avrebbe potuto celebrare.\n\nLa guarigione della ferita.\nLa ferita di Telefo sembrava inguaribile e costrinse il re a recarsi di nuovo a Delfi per sapere se c'era qualche speranza di guarigione. L'oracolo rispose che solo chi l'aveva ferito avrebbe potuto risanarlo. Telefo, vestito da mendicante, partì per Argo, dove intanto si erano ritirati gli Achei tornando dalla Misia, e, secondo alcuni autori, prese in ostaggio il piccolo Oreste, figlio d'Agamennone, minacciando di ucciderlo se Achille non l'avesse guarito dalla ferita. Nessuno osò toccarlo perché Calcante, l'indovino, aveva profetizzato che solo l'Eraclide sarebbe riuscito a guidarli verso Troia. Fu guarito grazie alla ruggine della lancia di Achille, (al quale Telefo donò, come ringraziamento, alcuni cavalli) o, secondo la notizia di Plinio il Vecchio, grazie a una pianta scoperta da Achille in grado di curare le ferite e che da lui prese il nome achillea; Telefo guidò quindi i Greci verso la spiaggia troiana, tornando in seguito in terra di Misia.\n\nLa spedizione a Troia di Euripilo, la morte di Telefo e la fondazione di Pergamo.\nQuando i Greci posero l'assedio a Troia, Telefo, pur imparentato con Priamo, proclamò lo stato di non belligeranza. Priamo decise allora di inviare alla sorella il tralcio di vite dorata che Troo (o Laomedonte) aveva ricevuto da Zeus in seguito al ratto di Ganimede, per convincerla a lasciar partire il figlio Euripilo: Astioche cedette ed Euripilo partì per Troia alla testa di un folto contingente di soldati misi. Durante la guerra il principe ammazzò molti nemici, tra cui Macaone, Peneleo e Nireo, ma fu poi ucciso da Neottolemo.Alla morte di Telefo, gli succedette il nipote Grino. Questi dovette fronteggiare le invasioni dai regni vicini e chiese aiuto a Pergamo, figlio di Neottolemo, divenuto suo alleato: respinti i nemici, i due fondarono in Misia una nuova città, che fu chiamata Pergamo e legata alla memoria di Telefo. I resti dell'eroe vennero infatti qui trasferiti e posti in un grandioso complesso funerario.\n\nVersioni secondarie.\nSecondo Esiodo, Telefo nacque direttamente in Asia. In un frammento del Catalogo delle donne, racconta infatti che Teutrante ricevette Auge nella sua casa e la trattò come una figlia; rimasta incinta da Eracle, che si trovava in Asia per conquistare i cavalli di Laomedonte, qui diede alla luce un bambino, Telefo. L'autore ne sottolinea però l'origine greca designandolo con il patronimico Arcaside, cioè discendente di Arcade.Darete Frigio racconta nella Distruzione di Troia che, dopo il rapimento di Elena, i Greci mandarono due delegazioni in Asia: la prima, guidata da Diomede e Ulisse, diretta a Troia per riavere Elena da Paride; la seconda, guidata da Achille e Telefo, diretta in Misia per saccheggiare il regno di Teutrante. I Greci di Achille si scontrarono con l'esercito dei Misi ed il re non rimase ucciso solo grazie all'intervento di Telefo, che lo salvò sotto il proprio scudo in segno di gratitudine per il favore che in precedenza gli aveva riservato; Teutrante aveva infatti ospitato Telefo quando questi ereditò il regno dal precedente re Diomede, spodestato ed ucciso da Eracle. Dopo essere stato protetto in battaglia, Teutrante, ormai in età avanzata, decise di lasciare il regno a Telefo ed egli, come re di Misia, aiutò i Greci nella guerra di Troia.\nSecondo Igino, la sposa dell'eroe era Laodice, figlia di Priamo mentre Apollodoro la chiama Astioche ed aggunge che Telefo si unì a lei in seconde nozze in quanto la prima moglie era stata invece Argiope, una figlia di Teutrante, dal quale ricevette la Misia come dote matrimoniale.\nAlcune versioni affermano che Telefo ebbe altri due figli da Iera, Tarconte e Tirreno (o Tirseno), che migrarono in Italia e fondarono numerose città etrusche. Un'altra versione mette tra i figli di Telefo anche Ciparisso, senza fare il nome della madre; Plutarco infine riferisce che, secondo alcune fonti, tra i figli di Telefo ci sarebbe stata Roma, sposa di Enea.\n\nLetteratura.\nAutori classici.\nMolti autori classici hanno preso ispirazione dalle vicende di Telefo per le loro opere o hanno fatto riferimento ad alcuni episodi della sua vita.\nTelefo è stato protagonista di almeno due tragedie di Euripide, entrambe perdute: Auge e Telefo. La prima, di cui rimangono una ventina di frammenti, racconta del concepimento e della nascita di Telefo e del primo periodo della sua vita: separato dalla madre e allattato da una cerva, fu poi riconosciuto da Eracle come proprio figlio grazie ad un anello, che probabilmente Auge gli aveva strappato durante la violenza e che poi aveva lasciato al figlio. La seconda, di cui rimangono circa trenta frammenti, racconta dell'attacco dei Greci, diretti verso Troia, alla Midia; Telefo, ferito da Achille durante un combattimento, si veste da mendicante e si dirige verso il campo dei Greci ad Argo, poiché un oracolo gli aveva annunciato che solo la lancia che lo aveva colpito avrebbe potuto guarirlo. A quest'ultima tragedia fa riferimento, parodiandola, Aristofane in varie occasioni, soprattutto negli Acarnesi (in cui il protagonista Diceopoli si traveste da mendicante per catturare la benevolenza del coro) e nelle Tesmoforiazuse (in cui Mnesiloco minaccia il coro di donne di uccidere una bambina - che poi si rivelerà un otre di vino - sottratta alla madre, analogamente a quanto fatto da Telefo nella tragedia con il piccolo Oreste per ottenere aiuto dagli Argivi e convincere Achille a guarirlo). Altri riferimenti alla tragedia euripidea sono nelle Nuvole e nelle Rane.\nSecondo alcuni studiosi, queste commedie seguirebbero molto da vicino la tragedia euripidea, riprendendone, seppur in via parodica, sia il linguaggio che le azioni.Telefo era protagonista anche di omonime tragedie greche di Eschilo, Sofocle,, Agatone,, Iofone (figlio di Sofocle), Cleofone e Moschione, delle quali rimangono pochissimi frammenti che non permettono di ricostruirne la trama. Di due commedie di Dinoloco e Rintone rimane solo il titolo, mentre sempre grazie a testimonianze frammentarie, si sa che Telefo compariva come personaggio di spicco anche nelle tragedie I Misi e Gli Aleadi ('i figli di Aleo') di Sofocle che, in base a un'iscrizione, sembra appartenessero alla trilogia o tetralogia Telepheia sulla vicenda di Telefo, che potrebbe includere anche l'Euripilo.\nSi conoscono inoltre frammenti di tragedie latine aventi per protagonista Telefo scritte da Quinto Ennio e da Lucio Accio.Le vicende legate alla battaglia con i Greci hanno ispirato vari autori, oltre ai tragici ed a quelli già ricordati come fonti principali del mito. Un frammento di circa 25 versi scoperto ad Ossirinco ed attribuito ad Archiloco racconta dello scontro tra Greci e Misi, mettendo in risalto la sconfitta degli Achei e la loro ritirata a seguito dell'attacco di Telefo.Il ferimento da parte di Achille è ricordato da vari autori, ad esempio Pindaro nelle Istmiche e Ovidio nelle Metamorfosi, nei Tristia e nei Remedia amoris.\nAnche la guarigione è variamente ricordata: ad esempio, l'Antologia palatina riporta due epigrammi, scritti da Macedonio di Tessalonica e Paolo Silenziario, in cui gli innamorati chiedono alle loro donne di essere guariti come Telefo da Achille, e un rimedio analogo propone Luciano nel Nigrino. Un riferimento al re che si traveste da mendicante per chiedere aiuto è anche in Orazio, che nell'Ars poetica lo paragona a Peleo esiliato.\n\nAutori italiani e stranieri.\nAlcuni riferimenti a Telefo sono presenti anche in opere di Dante e di Shakespeare. Paragonando il ferimento e la successiva cura da parte di Achille alla parola di Virgilio che prima ammonisce ma poi riconforta, Dante scriveva nel trentunesimo canto dell'Inferno:.\n\nLo stesso episodio è ricordato da Shakespeare nell'Enrico VI, parte II:.\n\nUn passo simile è anche nel Racconto dello scudiero, di Geoffrey Chaucer:.\n\nMolto probabilmente allo stesso episodio si riferisce anche Goethe nel Torquato Tasso:.\n\nParemiografia.\nDalla vita di Telefo hanno avuto origine anche alcune frasi proverbiali. A proposito del viaggio verso l'Asia, Erasmo da Rotterdam ricorda il proverbio ᾿Έσχατος Μυσῶν πλεῖν Èschatos Mysṑn plèin, 'l'ultimo di Misi naviga', spiegando che veniva usato con riferimento a compiti duri e difficili da svolgere. Secondo il lessico Suida si tratta dell'oracolo che spinse Telefo a partire per l'Asia in cerca della madre.Paolo di Egina informa nel suo trattato medico che le ferite difficili o impossibili a cicatrizzarsi erano chiamate Τηλέφεια θραύματα Tēlèpheia thràumata, in ricordo della ferita inferta da Achille a Telefo che non si rimarginò se non con l'intervento dello stesso Achille.Aristotele, ricordando nella Poetica che ciò che è convincente ma impossibile è da preferirsi a ciò che è possibile ma non convince, cita il caso di Telefo, che giunse in Misia senza parlare. La silenziosità di Telefo è anche menzionata anche da un frammento del comico Alessi, a proposito di un parassita che cena senza parlare, e dal comico Anfide, a proposito dei pescivendoli boriosi.Telefo è all'origine anche di un altro proverbio, Μυσῶν λεία (Mysṑn lèiā), 'preda dei Misi': come spiega Erasmo nella sua raccolta di adagi, era usato per coloro che erano danneggiati impunemente da altri e prende origine dalle incursioni che i Misi dovettero subire durante il periodo in cui Telefo aveva dovuto lasciare il suo regno diretto in Grecia. Tra gli esempi di uso di questo proverbio, si veda l'orazione XVIII (Sulla Corona) di Demostene.\n\nLa figura di Telefo nell'arte.\nUna delle più grandi case scoperte nel sito archeologico di Ercolano è stata chiamata Casa del Rilievo di Telefo: prende il nome da un altorilievo che è stato trovato in questa casa e che ritrae Achille mentre cura la ferita di Telefo.\nLa battaglia tra Greci e Misi era invece il tema rappresentato su uno dei frontoni del tempio di Atena Alea a Tegea: realizzati da Skopas tra il 345 ed il 335 a.C., i resti sono ora conservati al Museo archeologico nazionale di Atene.\n\nMa la più famosa rappresentazione artistica del mito di Telefo è immortalata nell'altare di Zeus a Pergamo, ora conservato al Pergamonmuseum di Berlino. L'eroe era considerato dagli abitanti di Pergamo come il fondatore della loro città; Pausania riferisce che si «ritenevano Arcadi, discendendo da quelli che approdarono in Asia con Telefo», mentre Elio Aristide afferma che Pergamo era una colonia di Telefo e dei suoi compagni. Un fregio rappresenta i momenti principali della storia di Telefo, dall'incontro tra Eracle e Auge all'istituzione di Pergamo. Curiosamente, una delle scene rappresenta il fanciullo mentre è allattato da una leonessa, anziché da una cerva secondo la leggenda comunemente accettata; questo episodio, che non è attestato altrove, potrebbe essere stato scelto con la volontà da parte degli Attalidi di mostrare la superiorità di Pergamo rispetto a Roma, attraverso un confronto dei rispettivi fondatori.Tra le altre rappresentazioni della storia di Telefo conservate, ci sono alcuni vasi, come quello che rappresenta Telefo ferito conservato al British Museum di Londra ed il cratere Telephus travestitus conservato all'Università di Würzburg, e alcune statue che rappresentano Eracle che tiene in braccio il figlio (conservate al Museo del Louvre di Parigi e al Museo Chiaramonti nella Città del Vaticano).
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### Titolo: Telemo.\n### Descrizione: Telemo (in greco antico: Τήλεμος?, Telemos) è un personaggio della mitologia greca, un ciclope dotato di veggenza, figlio di Eurimo. Telemo avvertì Polifemo che avrebbe perso la vista a causa di un uomo chiamato Ulisse.\n\nInfluenza culturale.\nA Telemo è intitolato il cratere Telemo sul satellite di Saturno Teti.
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### Titolo: Telesforo (divinità).\n### Descrizione: Telesforo (in greco antico: Τελεσφόρος?, Telesphóros) è un personaggio della mitologia greca, era figlio di Asclepio e dio della convalescenza. Spesso accompagnato da sua sorella, Igea.\n\nMitologia.\nEra rappresentato con il capo coperto da un cappuccio o berretto frigio ed un lungo mantello. Era un il dio della giovinezza e della guarigione. Probabilmente il culto è nato intorno all'anno 100 nell'area di Pergamo (a lui è infatti dedicato un tempio nell'Asklepieion di Pergamo), come parte del grande culto di Asclepio presente nella zona. La sua popolarità è aumentata nel secondo secolo dopo Epidauro.\nLe sue rappresentazioni si trovano principalmente in Anatolia e nelle regioni nei pressi del Danubio.
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### Titolo: Telesterion.\n### Descrizione: Il telestèrion (in greco τεληστήριον, luogo delle iniziazioni, da τελέω, esser portato a compimento, a perfezione, iniziato) è un edificio monumentale greco antico del santuario di Eleusi, in Attica, destinato alla celebrazione del complesso rituale dei misteri eleusini. Le evidenze archeologiche sono in accordo con le fonti letterarie, dimostrano cioè come le origini dell'edificio (insieme al culto che all'interno si celebrava) affondino le loro radici almeno nella piena età micenea. L'edificio è stato rimaneggiato più volte sino a raggiungere architettura stabile solo in età classica, quando il telesterion fu riedificato probabilmente da Ictino intorno al 445 a.C. e successivamente ultimato in età ellenistica con l'edificazione del portico da parte dell'architetto Filone.\nNel telesterion di Eleusi fu iniziato Eschilo, originario di Eleusi.\n\nStoria.\nDurante l'epoca micenea esisteva già un piccolo luogo di culto. Al tempo di Pisistrato (525 a.C.) l'edificio aveva raggiunto una forma quadrangolare e circondato da gradinate per accogliere i fedeli. Nel 480 a.C. fu distrutto dai Persiani dopo la battaglia delle Termopili.\nAl tempo di Cimone (465 a.C.) furono iniziati i lavori per l'ampliamento. Interrotti, furono in seguito ripresi da Pericle (447-438 a.C.) che li affidò all'architetto Ictino, autore della sistemazione monumentale dell'Acropoli di Atene. Nel 330 a.C. Filone aggiunse un portico con colonne doriche.\nIn epoca romana fu distrutto durante l'invasione dei Costoboci e ricostruito da Marco Aurelio nel 170.\nNel 396 i Visigoti di Alarico invasero l'Attica distruggendo il telesterion definitivamente.\n\nGli edifici di età arcaica e classica.\nVerso il 520 a.C. l'edificio di precedente edificazione e risalente al VII a.C. venne ampliato per accogliere un numero maggiore di fedeli. Esso acquisì una struttura quadrangolare, con l'anaktoron (un ambiente destinato a contenere l'immagine sacra di Demetra) situato in uno degli angoli e una serie di gradini addossati a tre pareti per permettere ai fedeli di assistere ai misteri. Uno dei lati si apriva all'esterno su un portico retto da colonne doriche; le colonne interne erano di ordine ionico.\nL'edificio dei Pisistratidi fu distrutto dai Persiani nel 480 a.C. e venne riedificato sotto Cimone già nel 465 a.C. Il progetto prevedeva un edificio ancora più grande del precedente, che riportava l'anaktoron al centro dello spazio ora rettangolare, ma non venne terminato e fu ripreso sotto Pericle dall'architetto Ictino. Ictino aveva previsto uno spazio quadrangolare, con l'interno articolato su due ordini per i fedeli, un deambulatorio mediano per le processioni e uno spazio centrale per il culto. La copertura doveva essere sostenuta da sole venti colonne, disposte in cinque file da quattro, in modo da liberare la vista verso il centro. Anche il progetto di Ictino non fu portato a termine.\n\nL'edificio di Filone.\nL'edificio completo, alla data dell'ultima modifica apportata nel 330 a.C., aveva una pianta quadrangolare di cinquantadue metri per lato ed era dotato di sette gradini che correvano lungo tutto il perimetro del quadrato. Al centro era posto l'anaktoron accanto al trono dello Ierofante, sede vera e propria dei rituali misterici. Le colonne di sostegno erano divenute quarantadue. A Filone spetta il completamento del portico costruito solo sul lato principale dotato di quattordici colonne in ordine dorico e sormontato da un frontone. L'accesso all'edificio era consentito da coppie di porte aperte sui lati nord, est e sud.\n\nFonti antiche.\nSembra che siano da ammettere due differenti luoghi di culto: un originario tempio realizzato da Ictino, pressappoco sul luogo in cui poi venne costruito il tempio 'L' di età romana, e il telesterion. Strabone e Vitruvio parlano di Ictino come realizzatore di una struttura con cella per Kore e Demetra, priva di colonne esterne (per guadagnare spazio e accogliere un maggior numero di fedeli): quindi un tempio vero e proprio (senza peristasi). Mentre sappiamo che il telesterion era un edificio, in nulla simile ad un tempio. Plutarco parla invece di Corebo come iniziatore del telesterion, completato poi da Metagene e Xenocle, autore quest'ultimo dell'opaion. Vi sono poi anche fonti iconografiche a conferma di questa ipotesi che menzionano Filegoro e Atenodoro come autori del portico del Telesterion e non Filone, (come vorrebbe invece Vitruvio): quest'ultimo sarebbe invece autore di un vestibolo, forse su committenza di Demetrio Falereo (fine IV a.C.), nel tempio di Ictino.
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### Titolo: Temeno (figlio di Aristomaco).\n### Descrizione: Temeno (in greco antico: Τήμενος?, Tḗmenos), è un personaggio della mitologia greca. Fu il primo re di Argo della dinastia degli Eraclidi.\n\nGenealogia.\nFiglio di Aristomaco, fu padre della femmina Irneto e dei maschi Archelao, Euripilo, Ciso, Agrao, Falche e Cerine.\n\nMitologia.\nPronipote di Eracle, partecipò e vinse (assieme ai fratelli Aristodemo e Cresfonte) nel quinto ed ultimo attacco degli Eraclidi contro Micene per la conquista del Peloponneso.\n\nLa guerra al fianco dei suoi fratelli.\nIn precedenza, e con i suoi fratelli, si era lamentato con l'oracolo per l'insattezza delle istruzioni date ad Illo (l'oracolo gli aveva suggerito di attaccare attraverso lo 'stretto passaggio' quando il 'terzo frutto' era maturo ma questo suggerimento si rivelò fatale) e dall'oracolo ricevettero la risposta che il 'terzo frutto' corrispondeva alla 'terza generazione' e che lo 'stretto passaggio' non era l'istmo di Corinto bensì lo stretto di Patrasso.\nDopo aver costruito una flotta a Lepanto ed appena prima di salpare, suo fratello Aristodemo fu colpito da un fulmine (od ucciso da Apollo) e l'intera flotta distrutta, perché uno di loro (Ippote, figlio di Filante) aveva ucciso l'indovino Carno e l'oracolo, nuovamente consultato da Temeno, gli ordinò di offrire un sacrificio espiatorio e di bandire l'assassino per dieci anni.\nIn seguito Temeno cercò un uomo con tre occhi che facesse da guida e facendo ritorno a Lepanto s'imbatté in Ossilo, un etoliano, che cavalcava un cavallo che aveva perso un occhio (o un mulo) e lo prese con sé, poi riarmarono la flotta e presero il mare verso il Peloponneso.\n\nVittoria e suddivisione.\nUna delle battaglie decisive fu combattuta contro Tisameno (il sovrano principale della penisola) e dopo la vittoria gli Eraclidi divennero i padroni del Peloponneso suddividendosi le terre a sorte.\nA Temeno spettò la città di Argo, Sparta (che in quei tempi si chiamava Lacedomone) spettò ad Euristene e Procle (figli gemelli del fratello Aristodemo), Messene spettò a Cresfonte (l'altro dei suoi fratelli) ed infine ad Ossilo fu data Elis.\n\nMorte e successione.\nDivenuto re di Argo, concesse i suoi affetti alla figlia Irneto ed al genero Deifonte e fu assassinato dai suoi figli.\nDopo la sua morte l'esercito dichiarò Deifonte (il comandante dell'esercito) come suo legittimo successore.\n\nTra leggenda e realtà.\nLa conquista del Peloponneso da parte dei dorici, comunemente noto come 'Ritorno degli Eraclidi', è una rappresentazione del potere ritrovato dai discendenti di Eracle, il loro antenato ed eroe greco. Questa mitica invasione sarebbe una versione leggendaria dell'invasione congiunta di Dori ed Etoli, in fuga dai Tessali, i loro ex oppressori nel nord.\nPer riassumere, di queste vicende Omero ed Esiodo ne parlano molto poco mentre Erodoto indica che alcuni poeti hanno sì celebrato queste imprese, ma anche che le storie a loro riguardanti erano limitate se confrontate a quelle della morte di Eracle.\nMolto probabilmente quindi questa leggenda è stata glorificata dai tragediografi greci, a loro volta ispirati alle leggende locali.\n\nCollegamenti con il Regno di Macedonia.\nTemeno è considerato un antenato dei re del Regno di Macedonia, attraverso i suoi discendenti Gauane, Etropo e Perdicca I di Macedonia, che sarebbero emigrati da Argo verso quella regione. Perdicca, il più giovane, sarebbe diventato re di Macedonia ed era un antenato di Alessandro Magno.
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### Titolo: Temi LGBT nella mitologia classica.\n### Descrizione: I temi LGBT nella mitologia classica (mitologia greca e mitologia romana) presentano l'omosessualità, soprattutto maschile, in molti dei loro miti fondativi. Vi si possono inoltre rinvenire anche dei casi di crossdressing e androginia che - seguendo la terminologia di genere post-1990 - sono stati raggruppati sotto l'unico acronimo comprensivo 'LGBT'.\nQueste narrazioni sono state variamente descritte come cruciali per la storia dei temi LGBT nella letteratura occidentale, con i miti originali costantemente riprodotti e riscritti, con le relazioni e i personaggi coinvolti come autentiche rappresentazioni di icona gay. In confronto il lesbismo può venire scorto assai raramente nei miti classici.\n\nOmosessualità e bisessualità.\nDioniso, il dio che visse la propria gestazione all'interno della coscia di suo padre Zeus, dopo che la madre Semele morì per essere stata incendiata dalla vera forma del 'Signore dell'Olimpo, è stato soprannominato 'un dio protettore dell'ermafroditismo e del travestitismo' da Roberto C. Ferrari nell''Encyclopedia of Gay, Lesbian, Bisexual, Transgender, and Queer Culture' nel 2002.\nAltre divinità sono a volte considerate patroni dell'amore omosessuale tra maschi, come la stessa Dea dell'amore Afrodite e le figure divine presenti nel suo seguito, come gli Eroti: Eros, Imero e Pothos più Anteros. Il primo di questi fa anche parte di una trinità religiosa che recitava dei ruoli fondativi nelle relazioni omoerotiche, insieme a Eracle ed Ermes, che conferivano qualità di bellezza (e lealtà), forza ed eloquenza - rispettivamente - agli amanti maschi.\nNella poesia di Saffo la Dea dell'Amore viene quindi identificata anche come la patrona e protettrice delle lesbiche.\n\nCoppie omosessuali mitologiche.\nAchille e Patroclo.\nAgamennone e Argenno.\nAgataida e FalantoApollo e Branco di Mileto.\nApollo e Carno.\nApollo e CiparissoApollo e Giacinto.\nApollo e Imene.\nApollo e Iapige.\nAti e Licabas.\nCicno e Fetonte.\nCidone e Clizio.\nCrisippo e Laio.\nDafni e Pan.\nDioniso e Ampelo.\nDioniso e Prosimno.\nEracle e Abdero.\nEracle e Ila.\nEracle e Iolao.\nErmes e Croco.\nErmes e Perseo.\nEurialo e Niso.\nEuribaro e Alcioneo.\nIante e Ifi.\nOrfeo e i Traci.\nOrfeo e Calaide.\nPolido e Glauco.\nPoseidone e Nerito.\nPoseidone e Pelope.\nSilvano e Ciparisso.\nTamiri e Giacinto.\nZefiro e Giacinto.\nZeus (in forma di Artemide) e Callisto.\nZeus e Ganimede.\n\nTransgender e transessuali.\nNelle narrazioni della mitologia classica si è verificato anche il tema del cambio di sesso. La ragione della trasformazione varia, come nel caso di Sypretes (Συπρετεσ) o Siproite (Σιπροιτεσ), un cacciatore di Creta, che fu trasformato in una donna da Artemide dopo averne violato l'intimità avendola vista mentre si stava facendo il bagno.\nVi era anche un motivo per cui una donna che doveva camuffarsi da maschio e in seguito essere trasformata essa stessa in un maschio biologico da forze misteriose (principalmente gli Dei). Nei casi di Ifis e Leucippo (figlio di Pandione e Galatea), la madre della donna è stata costretta (da suo marito) a sopportare un figlio maschio cosicché il protagonista si è ritrovato costretto ad impersonare un maschio fin dalla nascita. Più tardi la virilità fu concessa attraverso la benedizione di una divinità (Giunone/Era nel caso di Ifis e Latona in quello di Leucippo).\nA Cenis e Mestra, ognuna delle quali era la compagna di un dio (Cenis era stata vittima di una violenza sessuale perpetrata da Poseidone/Nettuno; mentre Mestra era una delle amanti di Apollo), fu loro concessa la virilità dal dio suddetto. Mestra, tuttavia, aveva la capacità di cambiare la sua forma volontariamente, invece di rimanere esclusivamente in forma maschile come Cenis e le altre figure esemplari di cui sopra.\nTiresia, d'altra parte, divenne femmina perché colpì un paio di serpenti copulanti, dispiacendo con ciò Era, che lo punì trasformandolo in una donna. Più tardi la condanna venne rimessa, o colpendo nuovamente gli stessi serpenti durante l'accoppiamento o evitandoli; poté in tal modo ritornare ad essere nuovamente un maschio.\nIn un'altra versione il cambio di sesso è stato invece causato da una discussione svoltasi tra Zeus e Hera, in cui di chiedevano se avesse più piacere nel corso del rapporto sessuale il maschio o la femmina, tanto che lo trasformarono in una femmina per poterne sperimentare gli effetti.\n\nAndrogini e intersessuali.\n\nAfrodite possedeva anche una sua forma androgina a Cipro (la cosiddetta 'Afrodite barbuta').\nNella mitologia successiva divenne noto come Ermafrodito il figlio di Ermes e Afrodite dopo il suo congiungimento con una delle naiadi di nome Salmace.\n\nAgdistis e Attis.\nIl culto del Gallo (sacerdote) di Cibele.\nAfrodito.\nGli Enarei (lo sciamanesimo degli Sciti).\nI Machlyès libici.\nPhanes.
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### Titolo: Tempio di Apollo (Delfi).\n### Descrizione: Il Tempio di Apollo a Delfi era un complesso religioso risalente al IV secolo a.C. noto per il suo oracolo e per la sua lucentezza.\nIl tempio, di ordine dorico e periptero, venne edificato sui resti di un tempio anteriore, eretto nel V secolo a.C., che a sua volta venne eretto nella stessa posizione di un altro del VII secolo a.C. La sua costruzione è attribuita agli architetti Trofonio e Agamede.Nel secolo VI a.C. era conosciuto come il 'Tempio degli Alcmeonidi' in tributo alla famiglia ateniense che aveva finanziato la sua ricostruzione dopo che un incendio aveva distrutto la sua struttura originale. Il nuovo edificio era un tempio di stile dorico esastilo di 6 x 15 colonne che venne poi distrutto nell'anno 373 a.C. Le sculture del frontone sono attribuite a Praxias e Androstene, ateniensi. Di una proporzione simile, il secondo tempio mantenne il modello 6 x 15 colonne nello stilobate. Dentro vi stava l'adyton, il centro dell'oracolo e il sedile della Pizia. Il monumento è stato restaurato in parte nel 1938.\nSopravvisse fino al 390 d.C., anno in cui l'imperatore cristiano Teodosio I, fece tacere l'oracolo con la distruzione del tempio e la maggior parte delle statue e opere d'arte in nome del cristianesimo. Il santuario fu completamente distrutto dai cristiani zelanti della loro fede, nel loro tentativo di cancellare ogni traccia di paganesimo.\n\nGeografia.\nSul lato orientale del massiccio del Parnaso, a nord del Golfo di Corinto, sorge il Tempio di Apollo. Il Parnaso, la montagna scavata da profonde gole inaccessibili, era considerato dai tempi più remoti la sede delle Muse.\nDa un lato del Parnaso, ai piedi delle vette del Fedriade ('i Brillanti'), che dominavano Delfi, scorreva il torrente che alimentava la fonte di Castalia. Nelle acque di questa fonte i pellegrini dovevano fare il bagno in un rituale di purificazione, prima di entrare nel tempio per consultare l'oracolo di Apollo. Secondo l'Inno omerico di Apollo Pizio, il dio arrivò:.\n\nLa gola attraverso cui scorreva il fiume Pleistos, lasciò il posto al vasto complesso archeologico dell'antica Delfi.\n\nMito.\nPrima che il culto di Apollo fosse fondato a Delfi, una divinità femminile, Gea (la Terra), regnava come dea-serpente.\nSecondo il mito narrato nell'Inno omerico di Apollo, un drago (secondo alcune fonti Gea, secondo altri sua figlia Themis) viveva a Delfi accanto alla fonte Castalia.\n\nTifone, nella mitologia greca, personificava i terremoti e le eruzioni vulcaniche. Apollo lo uccise e lasciò che il brillante Iperione (il Sole) lo mutasse in pitone. Da qui il nome di Pythium con il quale è stato anche designato il dio.Ucciso il mostro, Apollo fermò i tentativi di Gea di conservare la supremazia del luogo sacro, diventandone padrone assoluto, non senza aver lasciato la regione per un certo tempo onde purificare il delitto.\nUna versione del mito racconta che giunse un gruppo di persone di Cnosso, arrivati per nominare i chierici del loro oracolo nei pressi di Crisa, la città che per un certo periodo aveva prevalso su Delfi.\n\nStoria del tempio.\nEpoca neolitica.\nL'occupazione del luogo di Delfi risale al Neolitico, tra il VI e il V millennio a.C. Nelle vicinanze del santuario di Atena Pronaicos, del santuario di Hermes e ad ovest del tempio di Apollo sono stati trovati dei resti di utensili in pietra. Intorno a questo santuario, che appare dalle origini come il cuore di Delfi, sono stati anche scoperti dei frammenti di ceramica risalenti al periodo dell'Antico Elladico (3000-2000 a.C.) e del medio elladico (2000 a.C.-1600 a.C.) a sud e ad est del tempio.\n\nPeriodo miceneo.\nFino al recente periodo elladico (o periodo miceneo), sembra che non ci siano stati nel sito più che capanne di pastori fatte con legno e rami. Non ci sono prove che ci fosse allora un luogo di culto o un santuario oracolare. Sembra che le leggende della fondazione sorgano in questa epoca, narrando Diodoro Siculo della presenza di pastori.\nPausania riprende una vecchia credenza secondo la quale ci sono stati quattro templi prima dell'epoca classica, nello stesso luogo in cui è stato costruito quello di Apollo del IV secolo a.C.:.\n\nIl primo, costruito con rami di alloro portati dalla valle di Tempe, nella Tessaglia settentrionale, simulando una collina. Tra il medio o l'antico periodo elladico.\nIl secondo, allevato dalle api con cera e piume. Sarebbe un edificio a nido d'ape, simile alle tombe a tholos di Micene.\nIl terzo, di bronzo, eretto dal dio Efesto. Potrebbe essere collegato a un santuario ornato in bronzo del XIII secolo a.C..\nIl quarto, in pietra, costruito dai leggendari architetti già menzionati, originari di Orcomeno, in Beozia, contemporanei della guerra di Troia. Dovrebbe essere collocato nell'ultima parte del periodo miceneo o nel cosiddetto periodo geometrico, vale a dire dal XII al X secolo a.C.Gli scavi hanno permesso di scoprire attorno agli edifici a forma di abside rettangolare del tempio Apollo risalenti al XIII e XII secolo a.C. Si suppone che al posto del tempio vi fosse un mégaron, o residenza del capo della città, ma non vi è alcuna documentazione archeologica. Altre tombe sono state trovate ad ovest del santuario, verso Marmaria. Ed è qui che sono state trovate le tracce più concrete della presenza di un luogo di culto. Sembra che vi fosse un santuario dedicato all'Atena pre-ellenica, perché Gea doveva avere il suo culto nel luogo in cui si trova il tempio di Apollo. Le costruzioni erano in pietra e mattoni.\n\nSono state ritrovate molte statuette di sacerdotesse o di divinità. Una delle più importanti è di una donna nuda, seduta su un treppiede con le gambe divaricate. È la prima testimonianza della presenza di una profetessa nell'abisso oracolare. Il numero di idoli e in particolare di figure di tori che si trovano nelle fondamenta del Tempio di Apollo, ci permette di supporre che fosse già un luogo di culto, piuttosto che il quartier generale di un capo. Nello stesso luogo è stato un frammento di rhyton, contenitore che termina a testa di leone, di origine cretense. La costruzione è quella del preistorico Pitone.\nLa ceramica prova che ci sia stata continuità di occupazione durante il cosiddetto medioevo ellenico, corrispondente in termini archeologici a quella submicenea (1100-1025 a.C.), la protogeometrica (1025 - 900 a.C.) e l'inizio di quella geometrica, che va dal 900 al 700 a.C. Si pensa che il culto di Apollo arrivò nel santuario in questi secoli, ma senza sostituire un dio antico, chiamato Peana. Inoltre, è sconcertante notare che le restanti tracce del culto di Apollo delfico in tempi storici si trovano solo a Creta, e quindi sarebbe da dove Apollo si mosse secondo il mito per giungere a Delfi in epoca micenea.\nAi tempi di Omero, nell'VIII secolo a.C. al più tardi, Apollo regnò a Delfi e nell'Odissea vediamo che Agamennone consulta l'oracolo di 'Febo Apollo della buona Pizia', che ci conduce alla fine del periodo miceneo, sebbene possa benissimo essere un anacronismo. Indubbiamente, è quando Delfi entra nella anfizionia di Antela, vicino alle Termopili, il cui centro era il santuario di Demetra Pilaia. L'afizionia era una confederazione di città greche, di carattere religioso, attorno a un santuario.\nIl santuario si caratterizzò nel VII secolo a.C. per un sostegno d'un cratere argenteo che Aliatte II re di Lidia aveva donato al santuario di Delfi, realizzato da Glauco di Chio e ricordato da Erodoto (I, 25) che lo descrive costituito da pezzi saldati in modo da formare una specie di piramide tronca e collegati con traverse sbalzate e cesellate disposte su ciascun lato come i gradini di una scala.\n\nEpoca storica.\nGuerre sacre.\nNell'anno 600 a.C. scoppiò la prima guerra sacra durata dieci anni. Il popolo di Cirra, il porto con cui molti pellegrini andarono a Delfi, impose loro tariffe così onerose da danneggiare i delfi, a tal punto che l'anfizionia dichiarò guerra a Cirra. Dopo lunghe e incerte lotte, Cirra fu distrutta e il suo territorio fu confiscato a beneficio del santuario. I delfi rimasero come proprietari dell'oracolo, l'anfizionia assunse l'amministrazione del santuario.\nNel 548 a.C. l'antico tempio di Trofonio e Agamede venne bruciato. Un altro fu costruito con grandi mezzi, che fu completato nel 510 a.C.\nAl tempo delle Guerre persiane, l'oracolo fu così pessimista da essere stato accusato di essere filo-persiano. Nel 480 a.C., i persiani inviarono truppe cercando di arrivare a Delfi con l'intento di distruggerla per punire i Greci e gli Ateniesi, ma furono messi in fuga da una violenta tempesta.\nI focesi occuparono il santuario nel 448 a.C. con l'aiuto degli Ateniesi, e questa fu la causa della seconda guerra sacra. L'intervento spartano dell'anno successivo non ha impedito ai focesi di mantenere la supremazia politica di Delfi, grazie all'aiuto di Pericle. Fino al 421 a.C., dopo la pace di Nicia, nel mezzo della guerra del Peloponneso, Delfi non recuperò la sua indipendenza.\nLa valanga di rocce dei monti Fedriades, a seguito di un terremoto, distrusse in parte il tempio, la cui ricostruzione non ebbe inizio fino all'anno 369 a.C. I focesi scatenarono la terza guerra sacra nel 346 a.C., occupando Delfi e trincerandosi lì. Rimasero come proprietari dell'oracolo per 10 anni. Nel 352 a.C. circa, riprendono le opere di ricostruzione del tempio. Espulsi da Filippo II di Macedonia, i focesi furono costretti a pagare un gravoso risarcimento e persero i loro voti nell'anfizionia, dove entrò Filippo, che aveva incluso la Macedonia nell'anfizionia.\nLa quarta guerra sacra ebbe inizio nel 339 a.C. I locresi di Anfipoli, che avevano coltivato la piana di Cirra, pretendevano di far pagare una tassa ai pellegrini. Nel 328 a.C., Filippo II intervenne e pose fine a quest'ultima guerra sacra con la sconfitta dei locresi. Tutti questi incidenti hanno impedito il restauro del tempio che non è stato concluso fino al 330 a.C.\n\nTentativo di saccheggio da parte dei Celti.\nL'espansione dei Celti, che si stabilirono a nord dei Balcani nel IV secolo a.C., costituendo una minaccia per la Grecia. La Macedonia li ha tenuti a bada, ma nel 280 a.C. le lotte interne dell'antico regno di Macedonia di Filippo e Alessandro hanno indebolito questo scudo ellenico. I Celti, che nei testi greci sono denominati gálata, nell'anno 279 a.C. sconfissero i macedoni uccidendo Tolomeo Cerauno. La strada per la Grecia era diretta. I Celti calarono in Tessaglia sotto Brenno, raggiunsero le Termopili; dove inizialmente furono contenuti e quindi ritirati. Questa campagna si svolse in inverno, con il nevoso Parnaso. Queste condizioni climatiche, insieme al supporto degli Etoli e dei focesi, hanno salvato il tempio. Brenno, ferito, si ritirò dal combattimento. La leggenda narra che Atena e Artemide intervennero nella battaglia, e che le pietre cadute dal Parnaso, gettate senza dubbio dai greci stanziati sulle alture, seminarono il panico tra i Galati. Prima di andare ritirarsi, saccheggiarono i templi della Marmaria.\n\nDominio romano.\nPer tutto il III secolo a.C. e fino al 168 a.C., il santuario era controllato dalla Lega Etolica. Un'epoca ancora importante per il santuario di Apollo, grazie soprattutto ai doni dei re di Pergamo, che costruirono anche un portico, come per gli Etoli. Nel 167 a.C., i Romani, dopo la vittoria su Perseo, il loro ultimo re, fecero della Macedonia una provincia e controllarono Delfi.\nNel 86 a.C., mentre Silla guerreggiava contro Mitridate, re del Ponto in Asia Minore, i delfici erano costretti a consegnare le offerte in oro per finanziare le loro campagne. Nel 83 a.C., un popolo della Tracia, i Maedi, saccheggia il santuario e brucia il tetto.\nSotto la protezione di Augusto, il tempio ha recuperato un po' di importanza, nonostante i saccheggi subiti nel primo secolo, c'erano ancora nel santuario 3.000 statue. Nerone, nel 67, ritirò quasi 500 statue e divise la piana di Cirra tra i suoi legionari. Il tempio fu restaurato nell'87 sotto l'imperatore Domiziano.\nNel II secolo, gli Antonini, specialmente Adriano, furono i veri benefattori del santuario. Il suo contemporaneo, Erode Attico, un ricco nativo greco di Maratona e amico di Adriano, fece costruire a sue spese i gradini di pietra dello stadio. D'altra parte, l'oracolo era in pieno declino. In precedenza, erano le città che venivano a consultarlo, ora erano i privati a sollevare i loro problemi personali.\nSebbene i delfici eressero due statue in onore di Costantino I (306–337), quest'ultimo spogliò il santuario e prese il tripode di Platea (consacrato dopo la battaglia nel 479 a.C.) per decorare la sua nuova capitale, Costantinopoli. L'imperatore romano Giuliano (361–363) tentò invano di dare una certa vita al tempio, che fu chiuso nel 394 dopo l'editto di Teodosio, che vietava le sette considerate pagane. Poi a Delfi, fu istituito un vescovo e nel secolo successivo fu costruita una basilica a ovest del santuario abbandonato.\n\nIl tempio.\nI tre templi storici.\nIl tempio più antico, distrutto da un incendio nel 548 a.C., fu opera dei leggendari architetti: Trofonio e Agamede. Fu sostituito da quello ordinato dalla famiglia ateniese degli Alcmeonidi, alla fine del VI secolo a.C. Ma crollò dopo un violento terremoto nel 373 a.C. Tra il 373 a.C. e 340 a.C., venne costruito l'edificio, di cui si possono vedere i resti.\n\nL'ultimo tempio (IV secolo a.C.).\nCostruito in stile dorico, aveva sei colonne di tufo sul davanti e quindici sui lati. Vi si accedeva da tre gradini. La parte meridionale era sostenuta da un muro, che a sua volta poggiava su una terrazza inferiore sostenuta da un muro poligonale. Su questa terrazza, tra gli altri edifici, vi era probabilmente la sede della Pizia. Nella stanza sotterranea del tempio (l'adyton), dove si trovava l'onfalo e sgorgava l'acqua della fonte Castalia, la sacerdotessa di Apollo pronunciava i suoi oracoli sibillini, che i sacerdoti interpretarono e trascrissero.\n\nDescrizione del tempio.\nIl tempio di Apollo poggia a nord nella roccia e a sud e a ovest su sostruzioni grandiose a filari regolari. Lo stilobate presenta 3 gradini di calcare bluastro di Haghios Ilias. Il tempio è di ordine dorico, periptero esastilo (m 60,32 × 23,82) , con 15 colonne sui lati lunghi con pronao e opistodomo in antis. Nel pronao vi erano i motti dei Sette Savi e vi era anche una statua di Omero; nella cella si conservavano inoltre l'altare di Poseidone, le statue delle Moire, di Apollo Moiragètes, il focolare con il fuoco perpetuo, la sedia di Pindaro, in ferro (su cui il poeta aveva recitato le sue poesie).Nel pronào del santuario erano riportate delle massime di sapienza: 'nulla di troppo' (Meden Agan, μnδὲv ἄγav), 'La certezza porta rovina', ed il celebre motto ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ (gnōthi seautón) che significa 'conosci te stesso' e che sarà poi fatto proprio da Socrate. All'interno del recinto erano presenti delle statue, tra le quali due scolpite da Patrocle di Crotone.\nL'adyton rispetto alla solita collocazione dei templi greci era posto in posizione ipogea. Si accedeva da un tunnel laterale al tempo e si giungeva in una sorta di cripta che conteneva l'omphalòs, le due aquile di Zeus, un Apollo dorato, il sarcofago di Dioniso e il tripode della Pizia; accanto all'àdyton vi era l'οἴκος (oikos) dove sostavano quelli che interrogavano l'oracolo. Sull'architrave erano infissi a est gli scudi presi a Platea ai Persiani, a ovest e a sud quelli presi ai Galli. All'interno vi era anche una fonte di acqua, la Kassotis, con cui la Pizia, i sacerdoti e chi richiedeva gli oracoli si dissetavano.\n\nLa via sacra.\nLa Via Sacra era la strada principale del gruppo di edifici che formavano il Santuario di Delfi. Cominciava nell'angolo sud-est del recinto sacro, per arrivare, per mezzo di un sentiero a serpentina di circa 400 m, all'ingresso del Tempio di Apollo.\nEra largo circa 4 o 5 metri ed era fiancheggiata su entrambi i lati da monumenti votivi e tesori, ordinati per essere costruiti dalle città greche e per proteggere le offerte dei loro abitanti.\nI donatori, con queste manifestazioni di ricchezza e potere, intendevano dimostrare la loro venerazione e il riconoscimento del dio, e costituivano la testimonianza più eloquente dell'individualità, della rivalità e della divisione del mondo greco antico. Un esempio: gli Spartani, per celebrare la vittoria sugli Ateniesi alla fine della Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), costruirono un ex voto dedicato ai loro ammiragli che sconfissero il nemico nella decisiva battaglia di Egospotami, proprio di fronte al monumento che aveva commemorato il trionfo degli Ateniesi sui Persiani a Maratona.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Tempio di Apollo Epicurio.\n### Descrizione: Il tempio di Apollo Epicurio è un antico tempio greco che si trova nella municipalità di Ichalia, unità periferica della Messenia, in Grecia. L'edificio è inserito fra i Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Tradizionalmente viene attribuita la sua progettazione a Ictino, l'architetto cui si deve la costruzione del Partenone e del Tempio di Efesto, nei pressi dell'Acropoli di Atene. Secondo Pausania l'edificio fu costruito fra il 450 e il 425 a.C. per esprimere riconoscenza nei confronti di Apollo, dio del sole e della salute, per aver risparmiato la città dalla pestilenza che infuriava in Grecia sul finire del V secolo a.C. Recenti ricerche hanno mostrato delle maestranze peloponnesiache e ciò è dato dalle numerose particolarità quali la planimetria e gli ordini interni.\n\nStoria.\nIl sito fu occupato inizialmente nel periodo arcaico. Il primo tempio del santuario fu costruito alla fine del VII secolo a.C. e intorno ad esso si sviluppò un piccolo insediamento. Sebbene la storia preistorica del tempio sia incerta, è probabile che il tempio arcaico sia stato ricostruito almeno una volta o due tra il 600 e il 500 a.C. Il tempio classico fu costruito nel 420 a.C. circa.La parte superiore del santuario è situata sul Monte Kotilion. I templi furono abbandonati nel III secolo a.C., mentre il santuario di Apollo, rimase in uso nei periodi ellenistico e romano, come dimostrano le piastrelle utilizzate per riparare il tetto del tempio. Pausania visitò il santuario nel II secolo d.C. e descrisse i monumenti e la loro storia. Nei secoli successivi il santuario fu abbandonato e gravemente danneggiato dai una serie di terremoti che apportarono dei danni agli edifici.\n\nIl racconto di Pausania.\nIl poco che conosciamo di questo tempio viene da Pausania, un geografo greco del II secolo, che lo visitò. Questo autore ha attraversato la Grecia continentale e ha lasciato delle note raccolte in modo confuso, per quanto infinitamente prezioso per sua loro unicità. Le informazioni che ci fornisce sul Tempio di Apollo Epicurio portano più domande che risposte.\nPausania afferma che questo tempio fu consacrato dagli abitanti di Figalia ad Apollo Epicurio, un dio guaritore che venne in loro aiuto durante un'epidemia di peste, 'come fece durante le guerre del Peloponneso'. Questa spiegazione lascia scettici molti moderni archeologi.\nDichiara inoltre che l'architetto era Ictino, senza fornire alcuna prova a supporto di questa affermazione. Ora Ictino è l'architetto più famoso della Grecia classica: è stato autore del Partenone di Atene e del Telesterion di Eleusi. Pausania trascura di dire come e perché Figalia, una piccola città dell'Arcadia, abbia potuto assumere un architetto così prestigioso. Questo è il motivo per cui gli archeologi moderni sono riluttanti a confermare questa ipotesi. Ma se questa tesi fosse vera, la costruzione di questo tempio potrebbe essere datata precisamente al tempo di Pericle.\nPausania, inoltre, non spiega perché il tempio fosse separato tra le montagne, a 8 chilometri dalla città, in un luogo di accesso così difficile dato che ci vogliono diverse ore di cammino per raggiungerlo.\nInoltre, rende omaggio al tetto eccezionale del tempio, 'fatto esclusivamente di pietre', quando in realtà venivano utilizzate travi di legno per sostenere il soffitto. E infine, loda la bellezza delle pietre e l'armonia delle proporzioni, rimanendo silenzioso sul contrasto dei materiali, sull'innovativa combinazione delle colonne e soprattutto, isolata nell'asse dell'edificio, su questa primissima colonna corinzia nota dell'area greca, che costituisce un progresso storico, e che ha avuto un impatto globale sull'architettura dei secoli successivi.\n\nGli scavi archeologici.\nLe rovine del tempio vennero notate da viaggiatori francesi e tedeschi nella seconda metà del XVIII secolo, l'architetto francese Joachim Bocher nel novembre del 1765, viaggiando nel Peloponneso e attraversando questa regione montuosa, scoprì queste rovine per caso. Ma durante un secondo viaggio in questa regione, fu assassinato da banditi.L'architetto britannico Charles Robert Cockerell, accompagnato da numerosi amici, esplorò il tempio nell'agosto del 1811, durante il suo Grand Tour e scoprì il fregio, episodio che racconta nel suo diario. Si legge tutto l'entusiasmo romantico del tempo e la possibilità che sembra guidare qualsiasi scoperta di un tesoro archeologico:.\n\nFu durante l'esplorazione della tana che Cockerell scoprì un frammento del fregio (frammento n. 530 del catalogo di Marigold di Figalia al British Museum). Cockerell e i suoi amici hanno negoziato con il Pascià di Tripoli il diritto di cercare nel tempio. L'autorizzazione fu concessa nel 1812, in cambio della metà di ciò che la vendita dei tesori scoperti avrebbe riportato. Il tempio fu esplorato tra il giugno e l'agosto del 1812.Il fregio, trasportato a Zante, fu messo all'asta nel maggio 1814 e acquistato per 60.000 dollari dal governo britannico per il British Museum.\nGli scavi archeologici regolari non iniziarono prima del 1836, da parte di un gruppo russo diretto da Carlo Brullo. Parte dei ritrovamenti è oggi conservato al Museo Puškin di Mosca e al British Museum. Gli elementi lasciati sul posto (in particolare il capitello corinzio, l'esempio più antico di questo ordine) furono purtroppo distrutti durante gli anni seguenti (tra il 1814 e il 1819), e probabilmente trasformati in calce. Dei frammenti furono trovati durante gli scavi sul sito nel 1902-1908.\n\nA partire dal 1902 vennero condotti scavi sistematici da parte della prima società archeologica di Atene, sotto la direzione di K. Kourouniotis, K. Romaios e P. Kavvadias. Ulteriori scavi vennero condotti nel 1959, nel 1970 e fra il 1975 e il 1979.\nLa distanza del tempio dalle principali vie di comunicazione ha giocato a suo vantaggio nel corso dei secoli: infatti, mentre altri templi vennero nel tempo adattati ai nuovi culti o distrutti dalle guerre, il tempio di Apollo non seguì questo destino. Inoltre, grazie alla sua distanza dalle maggiori aree metropolitane della Grecia, esso non è soggetto alle piogge acide, che sciolgono il calcare e danneggiano irrimediabilmente il marmo.\nÈ attualmente in corso un'importante opera di restauro.\n\nArchitettura.\nIl tempio sorge sul fianco di una montagna, a 1.131 m s.l.m. Ha un allineamento nord-sud, in contrasto con la maggior parte delle costruzioni simili che sono allineate nel senso est-ovest. Ciò non fu dovuto al limitato spazio disponibile, come si era pensato in passato, ma alla scelta di mantenere legami con la tradizione dei templi edificati sul luogo in epoca arcaica, tutti caratterizzati da un orientamento nord-sud e da un doppio ambiente dotato di accesso a est, forse per permettere ai devoti del dio Apollo di volgersi dove sorge il sole, o forse per lasciar entrare la luce del mattino a illuminare la statua del dio.\nIl tempio è di dimensioni relativamente modeste, con lo stilobate che misura 38,3 per 14,5 metri e con un peristilio di sei colonne per quindici, di ordine dorico. L'esterno è in gran parte costruito in pietra calcarea dell'Arcadia; il marmo venne impiegato per il fregio, i capitelli, i cassettoni dei vestiboli, le metope e per il tetto. Come tutti i templi maggiori è dotato di 3 'stanze': un pronao, un nao (che probabilmente ospitava una statua di Apollo) ed un opistodomo. Sul fondo la cella continua in un ampio vano (adyton) che conduce all'esterno tramite una porta laterale. Il tempio presenta alcune correzioni ottiche analoghe a quelle messe in atto nel Partenone, come ad esempio il pavimento incurvato.\nL'elemento più insolito di questo tempio è rappresentato dal fatto che in esso si ritrovano tutti e tre gli ordini dell'architettura classica greca: il dorico, lo ionico ed il corinzio. Le colonne doriche formano il peristilio; cinque semicolonne ioniche, del tutto prive di funzioni statiche, accompagnano i lati lunghi all'interno della cella, unite alle pareti di quest'ultima da brevi muretti (gli ultimi due sul fondo inclinati a 45°), con una soluzione già adottata e poi abbandonata nell'arcaico Tempio di Hera a Olimpia; hanno ampie basi a campana e le ultime due forse reggevano capitelli corinzi, come quella isolata e centrale sul fondo della cella. Si tratta del più antico esempio di capitello corinzio giunto fino a noi.Tutta l'attenzione dell'architetto era rivolta all'articolazione spaziale e luministica dell'interno mentre l'esterno era relativamente poco decorato. Dodici metope scolpite decoravano la trabeazione interna sopra il pronao e l'opistodomo. All'interno della cella, sopra le semicolonne, correva un fregio continuo (425-420 a.C.) costituito da 23 lastre, che mostrava i Greci in lotta con le Amazzoni e i Lapiti in battaglia con i Centauri, movimentato nel tema e nella forma espressiva. Lo stile mostra l'assimilazione della scultura e della pittura attica da parte delle maestranze locali. Tuttora in buone condizioni, il fregio è stato ricostruito ed è conservato al British Museum insieme ai frammenti degli acroteri e delle metope.Le domande ancora aperte su questo monumento riguardano il costruttore o i costruttori:.\n\nNon ci sarebbero stati in questo sito due distinti architetti in momenti diversi: un primo per la parte più antica e più rustica, vale a dire la parte dorica esterna, e una seconda per la parte interna più nuova e più elaborata?.\nOppure, se fosse stato davvero Ictino l'unico capomastro di questo lavoro, avrebbe poi iniziato la sua carriera dal Partenone, tra 447 e il 438, e sarebbe finito in Arcadia in questo tempio di Apollo tra il 429 e il 400, il che sarebbe stato un modo di procedere strano per una carriera come architetto.\n\nCinema.\nBassae (1964) de Jean-Daniel Pollet.\nBassae, Bassae (2014) de Fabien Giraud e Raphaël Siboni.
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### Titolo: Tempio di Asclepio (Epidauro).\n### Descrizione: Il tempio di Asclepio è un tempio del IV secolo a.C. dedicato ad Asclepio presso il sito di Epidauro in Grecia.\n\nIl tempio.\nFu costruito nelle vicinanze dell'abaton tra il 380 e il 375 a.C.. Era uno dei più piccoli peripteri dorici della Grecia, in marmo e tufo di Corinto, con undici colonne sui lati lunghi, sei sui lati minori e due colonne in antis. Si conservano le fondamenta e, nella cella a navata unica, resta visibile la base sulla quale doveva ergersi la statua di culto. Una fossa lungo la parete meridionale della cella ospitava probabilmente il tesoro di Asclepio. Una lastra in calcare, recante le iscrizioni relative alle spese di costruzione (I.G., IV², 102), riporta il nome di Teodoto quale architetto. La ricca decorazione interna del tempio era opera di Trasimede di Paro che fu forse anche autore della statua di culto crisoelefantina con l'immagine di Asclepio.Quest'ultima, descritta da Pausania (Paus. II.27.2) come una figura seduta, affiancata da un cane e da un serpente, è stata riprodotta sulle monete di Epidauro del IV secolo a.C. e su alcuni rilievi votivi, uno dei più fedeli conservato a Copenaghen (Ny Carlsberg Glyptotek 1425).Il tempio aveva sculture frontali e posteriori e acroteri figurali. Questi, opera di maestri scultori dell'epoca, occupano una sala di rilievo nel Museo Archeologico Nazionale di Atene.\n\nFunzione.\nIl tempio era la parte superiore in cui si svolgevano i riti principali aperti a tutti, mentre esisteva una parte più nascosta detta abaton divisa nella sezione accessibile solo ai sacerdoti e in quella accessibile ai malati. In questa seconda parte si eseguiva il rito dell'incubazione per cui Asclepio o altre entirà parlavano in sogno all'ammalato dando indicazioni per la cura.\n\nGalleria d'immagini.
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### Titolo: Tempio di Atena Nike.\n### Descrizione: Il tempio di Atena Nike o tempio della Nike Aptera è uno dei principali monumenti dell'Acropoli di Atene.\nSi trova sul lato ovest dell'acropoli, presso i Propilei, a pochi metri dall'orlo delle rocce a strapiombo che caratterizzano l'Acropoli. Costruito probabilmente intorno al 425 a.C. in ordine ionico, è un tempietto anfiprostilo tetrastilo (con quattro colonne libere sulla fronte e sul retro) ornato nei fregi di preziosi bassorilievi che narrano vicende di una battaglia fra Greci e Persiani (probabilmente Maratona).\n\nStoria.\nQuesto esempio di architettura dell'epoca classica, probabile opera dell'architetto Callicrate, coautore del Partenone, è stato il primo edificio in stile completamente ionico dell'Acropoli; tutti gli altri edifici presentano originali fusioni di stile ionico e dorico.\nIntorno al 410 a.C. fu circondato da una balaustra scolpita con motivi di Nike colte in varie attività (celebre quella che si riallaccia un sandalo) che assolveva inoltre allo scopo di evitare che i visitatori del tempio cadessero nel precipizio; i rilievi, ora al museo dell'Acropoli, eseguiti in un momento storico gravido di cattivi presagi per Atene, costituiscono un passo indietro sul versante dell'attenzione alla resa naturalistica del corpo umano e delle vesti, e sembrano indicare che l'artista ricercava effetti diversi, di carattere pittorico, che ha spinto alcuni critici a parlare di protoellenismo.\nIl fatto che potessero venire osservati dalla ripida salita ai Propilei, unica via d'accesso all'acropoli, consentì la ricerca di particolari effetti prospettici. La statua di culto, come ci viene descritta da Pausania, era di legno e portava in mano una melagrana. La statua era aptera, cioè senz'ali, il che si spiegava col fatto che la dea non avrebbe dovuto mai più lasciare la città.\nSul sito dell'attuale tempio scavi archeologici hanno individuato nell'area una fossa per offerte dell'età del Bronzo; in epoca arcaica vi sorse un tempio che come il resto dell'Acropoli fu distrutto dai Persiani nel 480 a.C. La ricostruzione del tempio viene da alcuni collegata alla pace di Nicia, che avrebbe potuto inaugurare un periodo di grande gloria per la città infatti, alla firma del trattato di pace di quest'ultimo, la città finì di combattere temporaneamente con Sparta.\nMa la crisi creativa di Atene, che era come un presagio della sconfitta totale della città nella seconda parte della Guerra del Peloponneso pare echeggiata nella monotona ripetizione di Vittorie nella balaustra costruita solo pochi anni prima dell'Egospotami. Sotto la dominazione turca il tempio fu smantellato e le pietre riutilizzate nel 1687 per costruire un bastione difensivo; quest'ultimo rimase sul sito dell'antico tempio fino all'indipendenza della Grecia, quando nel 1831 fu decisa la (altamente simbolica) ricostruzione del sacello; il tempio è stato smontato ancora due volte (1930 e 1998) per permettere il restauro delle pietre e l'integrazione di altri pezzi ritrovati in successivi scavi.\n\nL'ultimo restauro del tempio.\nTra gli anni 2000 e 2010 il monumento ha avuto importanti lavori di restauro per fissare diversi problemi strutturali causati dagli interventi del 1835-1845 e del 1935-1940. Oltre ad essi sono state reintegrate parti della pietra, asportate le decorazioni e poste presso il Museo dell'Acropoli e inserite delle copie. Il lavoro definitivo si è compiuto nel 2011-2013.\n\nGalleria d'immagini.
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### Titolo: Tempio di Giunone (Agrigento).\n### Descrizione: Il tempio di Atena (ex tempio di Era), noto anche come tempio di Giunone (dal nome romano della dea) o tempio D, è un tempio greco dell'antica città di Akragas sito nella Valle dei Templi di Agrigento.\nAl nome della divinità viene spesso associato l'epiteto Lacinia, nome tradizionale ma probabilmente errato perché specifico invece del tempio dedicato a Era presso il promontorium Lacinium a Capo Colonna non lontano da Crotone. In realtà per anni si è dubitato della dedica del tempio a Era, fino a che non si è scoperto che fosse dedicato alla dea Atena.\n\nIl tempio.\nFu edificato nella seconda metà del V secolo a.C., intorno al 450 a.C. e appartiene come epoca e come stile al periodo del dorico classico. Sono stati rilevati segni dell'incendio del 406 a.C. dopo il quale è stato restaurato in età romana, con la sostituzione delle originarie tegole fittili con altre marmoree e con l'aggiunta del piano inclinato alla fronte orientale.\n\nL'edificio è un tempio dorico periptero con 6 colonne sui lati corti (esastilo) e 13 sui fianchi, secondo un canone derivato dai modelli della madrepatria ed utilizzato anche per il tempio 'gemello' della Concordia con il quale è accomunato anche dalle dimensioni generali e dalle misure, quasi standardizzate di alcuni elementi costruttivi. Le dimensioni complessive sono di circa m 38,15x16,90.\nIl fronte presenta interassi leggermente diversi con la contrazione di quelli terminali e l'enfatizzazione di quello centrale.\nIl peristilio di 34 colonne alte 6 metri e 44 centimetri e costituite da 4 rocchi sovrapposti, poggia su un crepidoma di quattro gradini.\nEdificato su di uno sperone con un rialzo risulta in gran parte costruito artificialmente.\nL'interno è costituito da un naos senza colonnato interno, del tipo doppio in antis, dotato di pronao e opistodomo simmetrici, entrambi incorniciati da gruppi di due colonne (distili). Due scale per l'ispezione alla copertura o per motivi di culto, erano presenti nella muratura di separazione tra naos e pronaos (diaframma).\nAll'inizio del XXI secolo, si conserva il colonnato settentrionale con l'epistilio e parte del fregio, mentre i colonnati sugli altri tre lati sono conservati solo parzialmente (mancano 4 colonne e 9 sono smozzate), e senza architrave. Pochi sono gli elementi rimasti della cella di cui rimane la parte bassa della muratura che la delimitata. L'edificio è stato così ricostruito mediante anastilosi fin dal Settecento ad oggi.\nDavanti al fronte principale (orientale) ci sono notevoli resti dell'altare.\n\nGalleria d'immagini.
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### Titolo: Tenete.\n### Descrizione: Tenete è un personaggio della mitologia greca, figlio di Cicno, il re di Colone, nella Troade, e di Procleia, e fratello di Emitea.\nLa matrigna Filonome, che si era invaghita di lui, fu dal giovane respinta. Allora Filonome lo calunniò presso il padre e portò come testimone il flautista Eumolpo. Cicno le credette e ordinò di gettare in mare Tenete e sua sorella. Salvati da Poseidone, del quale erano nipoti, approdarono nell'isola di Leucofri, di cui divenne re e che da lui prese il nome di Tenedo. Quando Cicno si accorse della calunnia fece seppellire viva Filonome e lapidare il flautista, riconciliandosi poi col figlio.\nAllo scoppio della guerra di Troia, Tenete, ostile ai Greci, cercò di impedire il loro sbarco, ma venne ucciso da Achille.
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### Titolo: Teoclimeno (figlio di Polifide).\n### Descrizione: Teoclimeno (in greco antico: Θεοκλύμενος), figlio di Polifide, è un personaggio dell'Odissea. Indovino che vive alla corte di Penelope, annuncia ai Proci la loro prossima morte.\n\nIl mito.\nDalla mitologia viene ritenuto discendente di Melampo: viene spesso confuso con il più famoso Teoclimeno, figlio di Proteo, protagonista dell'Elena di Euripide.\nCompagno di Telemaco nell'Odissea, si accoda a lui perché inseguito dai parenti di un uomo che egli avrebbe in precedenza ucciso. Importante la sua comparsa nel XX canto dell'Odissea dove, in seguito al riso inestinguibile dei Proci suscitato da Atena, profetizza la loro morte all'interno della reggia. Preso in giro e quasi malmenato da uno di essi, Eurimaco, esce quindi dal palazzo.\nSecondo alcuni studi del filone della questione omerica che tenta di restituire luoghi e circostanze reali ai due poemi di Omero, una frase detta in questa circostanza da Teoclimeno (Il Sole è stato tolto dal cielo e un'oscurità sinistra invade la terra) sarebbe la testimonianza di una eclissi di sole, verificatasi nel 1178 a.C.
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### Titolo: Teofane (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Teofane era una principessa della Tracia, figlia di Bisalte. Rapita da Poseidone e portata nell'isola di Crumissa, venne trasformata dal dio del mare in pecora, mentre egli stesso si trasformò in ariete; da questa unione fu concepito il Crisomallo (l'Ariete alato dal vello d'oro).
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### Titolo: Teogonia (mitologia).\n### Descrizione: Una teogonia (greco θεογονία, 'theogonía') è un racconto mitico che descrive l'origine e la natura della discendenza divina. Questi racconti nascono perché nelle mitologie antiche le divinità, pur essendo immortali, hanno però una nascita (a differenza del dio ebraico-cristiano-islamico) e di conseguenza una genealogia.\nLa prima e anche la più conosciuta di queste narrazioni è la Teogonia di Esiodo, ma nell'antichità ve ne erano anche altre, attribuite a Orfeo, Museo e Omero.\n\nLe altre Teogonie.\nAcusilao di Argo visse prima delle guerre persiane, compose la sua opera Γενεαλογίαι in cui riportò, modificandola, la Teogonia di Esiodo.La teogonia di Epimenide (Χρησμοί) possiede delle analogie sia con quella esiodea che con quella orfica, individuando le potenze prime nell'Aria e nella Notte, genitrici del Tartaro e quindi del restante cosmo. Taumaturgo, fu anche estatico vivendo al pari di Aristea esperienze di viaggio fuori dal corpo. Il dio principale di Epimenide era tuttavia lo Zeus cretese; Plutarco sostiene che lo stesso Epimenide veniva indicato come Κούρης νεός (nuovo Curete).\nFerecide, autore del poema cosmogonico Επτάμυχος (Le sette caverne, indicato anche come Θεοκρασία o Πεντάμυχος), individua invece come divinità primordiali ed eterne: Zas (Ζὰς, analogo a Zeus), Chthonie (Χθονίη, poi dopo aver avuto in dono la Terra diviene Gaia) e Chronos (Χρόνος). Dal seme di Chronos, defluirono gli elementi di terra, acqua e fuoco che allocati in sette (o cinque) antri dell'universo furono all'origine della restante generazione degli dèi e quindi del cosmo. La teogonia di Ferecide influì, o fu influenzata, sulle teogonie orfiche e quindi su quelle pitagoriche.
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### Titolo: Tereo.\n### Descrizione: Tereo (in greco antico Τηρεύς, pron. Teréus) è una figura della mitologia greca, re di Tracia, figlio di Ares e fratello di Driante.\n\nIl mito e le sue varianti.\nEsistono varie versioni del mito di Tereo, a seconda della fonte cui si attinge.\n\nApollodoro.\nQuesta è la versione del mito riportata da Pseudo-Apollodoro nella sua Biblioteca (III, 14, 8):.\n\nIgino.\nOvidio.\nOvidio, nelle sue Metamorfosi (VI, 420-675), fornisce una versione splendidamente narrata di questo mito. Qui se ne riporta un riassunto.\nAtene, assediata da non meglio specificati barbari, è stata liberata con l'aiuto di Tereo; in segno di riconoscenza, Pandione gli concede in sposa Procne, in un matrimonio in cui però a officiare non sono Giunone o Imeneo, ma le Eumenidi. Tereo e la moglie tornano dunque in Tracia, dove nasce il loro figlio Iti.\nPassano cinque anni felici, finché Procne prega Tereo di andare a Atene, a chiedere al vecchio Pandione di lasciare venire in Tracia Filomela, sua sorella, di cui sente grande mancanza. Tereo fa come chiede la moglie, ma appena vede Filomela ad Atene viene preso da una sconfinata passione per lei. Pandione non si accorge di nulla e permette a Filomela di lasciare Atene, sotto la promessa di un rapido ritorno, sebbene abbia dei presagi.\n\nI presagi sono ben motivati: appena sbarcati, Tereo porta in una stalla Filomela e la violenta. In preda alla disperazione, Filomela lamenta la sua condizione di anima ferita e colpevole contro la propria volontà, assicurando che rivelerà quanto è avvenuto agli uomini, ai monti, agli dèi. Tereo, preso da rabbia e paura, le mozza dunque la lingua con spada e tenaglia. Dopodiché si reca nuovamente da Procne, con la falsa notizia della morte di Filomela. Passa un anno e Filomela finalmente riesce ad ingegnarsi di scrivere su una tela la denuncia di quanto ha subito e a farla portare da una serva a Procne.\nProcne, scoperto il tutto, sfrutta la notte seguente, quella in cui la Tracia celebra i baccanali, per liberare la sorella. Quindi, in cerca di vendetta, uccide Iti, cucinandolo per Tereo. Dopo che questi ha mangiato, ignaro di tutto, la carne di suo figlio, Filomela salta fuori sozza di sangue e gli tira in faccia la testa recisa di Iti. Tereo si getta dunque dietro di loro, ma tutti e tre si trovano mutati in uccelli: Tereo in upupa, Filomela in usignolo, Procne in rondine.\n\nIl mito raccolto da Graves.\nNella grande raccolta ed elaborazione di miti di Robert Graves, I miti greci, è compresa anche una ricostruzione del mito di Tereo, come esso risulti riprendendo numerose fonti: Pseudo-Apollodoro, Tucidide, Nonno di Panopoli, Strabone, Pausania, Igino, i frammenti del Tereo sofocleo, il Commento di Eustazio a Omero, Ovidio.\nTereo, in questa versione, è il re dei Traci stanziatisi a Daulide. A causa dell'aiuto che Tereo ha prestato ad Atene nel ruolo di arbitro in una disputa territoriale, Pandione gli dà in sposa Procne, da cui ha il figlio Iti. Tereo però si innamora di Filomela a causa della sua voce e, nel giro di un anno, nasconde la moglie rinchiudendola e torna ad Atene con la falsa notizia della sua morte. Pandione allora gli offre pietosamente Filomela come sposa e la fa accompagnare a Daulide da guardie del corpo. Tereo però le uccide prima di essere giunto e costringe la ragazza ad unirsi a lui prima del matrimonio.\nProcne, pur essendo a conoscenza di tutto, non dovrebbe poter fare nulla, poiché Tereo le strappa la lingua e la rinchiude fra gli schiavi; ma si mette in contatto con sua sorella attraverso il peplo nuziale, su cui scrive: «Procne è fra gli schiavi».\nNel frattempo, Tereo, avvisato da un oracolo che un suo congiunto ucciderà Iti, crede di porre fine alla minaccia uccidendo il fratello Driante. Nello stesso tempo, Filomela legge il messaggio sul peplo e libera Procne, che consuma la sua vendetta uccidendo Iti e cucinandolo, per poi servirlo a Tereo. Tereo, dopo aver mangiato e scoperto cosa è avvenuto, sta per uccidere le due donne con l'ascia, ma gli dèi tramutano tutti e tre in uccelli: Filomela diviene usignolo, Procne rondine, Tereo upupa.\nSi aggiunge una spiegazione alla scelta degli uccelli: la rondine non ha lingua e vola in tondo, come Procne camminava in tondo, prigioniera; l'usignolo canta tristemente «Ἵτυ, Ἴτυ!», che vuol dire: «Iti, Iti!», lamentando la morte che ha involontariamente procurato al bambino; l'upupa grida: «Ποῦ, pou?», che significa «Dove, dove?», mentre dà la caccia alla rondine.\nGraves ricorda anche la versione di Igino, che vuole Tereo mutato in sparviero.\n\nInterpretazioni del mito.\nNel commento all'episodio contenuto nell'edizione della Biblioteca di Apollodoro edita dalla Fondazione Lorenzo Valla, l'attenzione è posta soprattutto sull'opposizione fra le nozze endogamiche di Pandione, che si unisce, secondo un costume attico, alla sorella di propria madre, e quelle iper-esogamiche di Procne e Filomela, che sposano un personaggio non solo totalmente estraneo alla propria comunità, ma anche alieno alla civiltà greca: Tereo è un Trace, quindi barbaro e del popolo più feroce fra quelli barbari ed è, per di più, un figlio di Ares. Il matrimonio «trasgressivo» con Tereo porta dunque in realtà ad una distruzione delle consuetudini greche e di tutti i legami familiari, in un crescendo di orrori che ha conclusione nel banchetto tecnofago e nell'ornitificazione (mutamento in uccelli) simbolo della definitiva caduta nella bestialità di tutti e tre i protagonisti della vicenda. A questo riguardo, Sofocle dichiara con molta chiarezza:.\n\nLa possibile bigamia di Tereo (in base alla lezione del testo di Apollodoro che si sceglie) rafforzerebbe ulteriormente la distinzione fra costumi barbari e greci; in Sofocle, la sposa lamenta la perdita del nome di greca. Dal canto loro, Procne e Filomela, offrendo in pasto a Tereo suo figlio, non si limitano a punirlo ferocemente, ma sanciscono la sua esclusione definitiva non tanto dal mondo civile, quanto dalla stessa comunità umana; si può notare come questa punizione presente anche nel mito di Atreo e Tieste sia legata a colpe di carattere sessuale (Tieste seduce Erope, la moglie del fratello).\nRobert Graves commenta la vicenda guardandola da una luce del tutto diversa. In essa, infatti, vede la spiegazione data dai Focesi a una serie di affreschi tracio-pelasgici che avrebbero ritrovato in Daulide e che in realtà avrebbero rappresentato diversi metodi oracolari. Dunque, secondo Graves, la mutilazione di Procne deriva da una scena in cui dalla bocca di una profetessa, il cui volto è stravolto dall'estasi, cade una foglia di alloro; il messaggio scritto sul peplo dalla rappresentazione di una sacerdotessa che, gettati dei bastoncini su un tessuto, cerca di trovare in essi delle lettere da leggere; la tecnofagia di Tereo, da quella di un sacrificio di un fanciullo; l'oracolo, da quella di un re che dorme in attesa di un sogno rivelatore; la morte di Driante, da quella in cui un sacerdote traeva auspici davanti ad una quercia sulla base della posizione del corpo dell'uomo sacrificato. Infine, la scena di metamorfosi deriva dall'immagine di una sacerdotessa vestita di piume che trae auspici dal volo di una rondine.\nInoltre, Graves avanza un'ipotesi legata al fatto che, fra tutti gli antichi mitografi, solo Igino faccia di Procne una rondine e di Filomela un usignolo. Ritiene la versione di Igino quella corretta e interpreta quelle di altri autori come maldestro tentativo di correggere un errore fatto da qualche antico poeta.\n\nIl mito nella letteratura.\nIl mito di Tereo, Procne e Filomela ha avuto, in letteratura, varie interpretazioni, sia attraverso opere specificamente dedicate ad esso che mediante numerosi riferimenti. Di seguito alcune delle opere in cui è citato.\n\nSofocle, Tereo.\nEschilo, Agamennone, 458 a.C.\nAristofane, Gli uccelli.\nFrancisco de Rojas Zorrilla, Progne y Filomela.\nT. S. Eliot, La terra desolata, 1922.\nWilliam Shakespeare, Tito Andronico, 1594.
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### Titolo: Tero.\n### Descrizione: Tero (in greco antico Θηρώ Thērṑ) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Filante, il figlio di Antioco e di Leipefilene.\n\nMitologia.\nAveva un fratello chiamato Ippote.\nParticolarità della ragazza era la importante discendenza che aveva grazie alle due famiglie: Ificle da parte della madre, Eracle da parte del padre.\nViene sedotta da Apollo e dall'unione nasce un figlio, Cherone, che diventerà un famoso domatore di cavalli.
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### Titolo: Teseo e Piritoo.\n### Descrizione: La storia di Teseo e Piritoo è un particolare momento della vita e delle imprese di questi due eroi.\n\nTeseo e Piritoo si conoscono - Prime avventure.\nLa fama delle imprese di Teseo giunse all'orecchio del re Lapita Piritoo, che decise un giorno di rubargli una mandria che stava pascolando presso Maratona e metterlo così alla prova. Teseo reagì e stavano quasi per scontrarsi, quando entrambi rimasero così colpiti dal rispettivo nobile aspetto, da pacificarsi subito e giurarsi eterna amicizia.\n\nLe nozze di Piritoo e Ippodamia.\nQualche tempo dopo Piritoo sposò Ippodamia, figlia di Bute, o secondo altri di Adrasto, e invitò molti eroi greci alle nozze, tra cui naturalmente Teseo.\nC'erano anche i Centauri, cugini di Piritoo; alle nozze non erano stati invitati gli dei Ares ed Eris, per evitare che gettassero discordia e sventure sul matrimonio: essi si vendicarono per l'affronto subito facendo uscire di senno i Centauri e scatenando una furibonda rissa.\nNestore, Ceneo, i Centauri e altri invitati, si trovavano in una grotta al di fuori del palazzo durante il banchetto nuziale, perché il palazzo di Piritoo non poteva contenere tutti i commensali; i Centauri, non avvezzi al vino, appena ne sentirono l'aroma furono a tal punto inebriati da esso da gettarsi a capofitto sugli otri e ne bevvero a tal punto da ubriacarsi. Quando la sposa Ippodamia comparve nella grotta per salutare i commensali il centauro Euritione si scagliò su di lei e cercò di violentarla, e così fecero anche gli altri Centauri con altre donne e ragazzini.\nI Lapiti e Teseo intervennero prontamente e ne nacque una lotta sanguinosa; alla fine i Centauri ebbero la peggio e furono cacciati dal monte Pelio.\n\nTeseo e Piritoo rapiscono Elena.\nDiversi anni dopo, in seguito alla morte di Ippodamia, Piritoo convinse Teseo, rimasto da poco vedovo in seguito al suicidio della moglie Fedra, a rapire Elena, la figlia di Zeus e Leda e sorella dei Dioscuri. Entrambi miravano infatti a unirsi a lei in matrimonio, e convennero di estrarre a sorte colui tra loro due che l'avrebbe effettivamente sposata, e di rapire poi un'altra figlia di Zeus da assegnare all'altro. Essi dunque riuscirono a catturarla mentre compiva sacrifici fuori da Sparta, e la sorte arrise a Teseo. Questi resosi però conto della sua giovanissima età la portò in Attica e la affidò alle cure dell'amico Afidno.\n\nTeseo e Piritoo nel Tartaro.\nIn seguito, i due si recarono a Delfi a chiedere indicazioni all'oracolo. L'ironica risposta fu 'Perché non scendete nel Tartaro e chiedete che Persefone, la moglie di Ade, diventi la moglie di Piritoo? Lei è la più nobile delle figlie di Zeus'. Piritoo prese sul serio il responso, e per quanto Teseo fosse incredulo, lo indusse a seguirlo nel Tartaro e tenere fede al giuramento. Essi dunque andarono e una volta penetrati nell'Oltretomba chiesero udienza al palazzo di Ade. Il dio degli inferi li accolse e stette a sentire la sfrontata motivazione della loro venuta; simulando quindi cordiale ospitalità li fece accomodare su due sedie, ma aveva preparato per loro una trappola. Quelle erano infatti le 'sedie dell'oblio': appena qualcuno si fosse seduto su una di esse sarebbe divenuta carne della carne del malcapitato, il quale quindi non avrebbe mai più potuto liberarsi.\nPassarono quattro anni in cui i due rimasero così imprigionati, finché Eracle, sceso nel Tartaro per catturare il cane Cerbero nell'ambito delle sue fatiche, espresso il desiderio di liberare Teseo, ebbe concessa la possibilità di tentare per volontà di Persefone, che lo accolse in qualità di fratello.\nEracle dunque si avvicinò alla sedia e iniziò a tirare, finché, con uno strappo lacerante riuscì a liberare Teseo.\nPoi tentò di liberare Piritoo, ma la terra cominciò a tremare: dopotutto era stato proprio Piritoo l'ispiratore di quella sciagurata idea; Eracle dunque desistette e Piritoo restò nel Tartaro per sempre.\nSecondo Virgilio, quando Teseo morì gli dèi inferi lo condannarono nuovamente a restare ancorato alla 'sedia dell'oblio', e questa volta definitivamente.\n\nAltre versioni.\nSecondo un'altra fonte Eracle Teseo e Piritoo si erano recati non nel Tartaro bensì nella città della Tesprozia chiamata Kichyro, dove avevano cercato di rapire la moglie del re Aidoneo, il quale scoperta la trama gettò Piritoo in pasto ai cani e rinchiuse Teseo in una torre, dalla quale venne liberato da Eracle.\n\nAltre imprese.\nAlcuni mitografi, ad esempio Apollodoro, citano Teseo e Piritoo anche tra i partecipanti alla caccia al cinghiale calidonio e alla spedizione degli Argonauti, tuttavia non c'è esplicita concordanza nelle fonti riguardo a questa presenza congiunta dei due eroi in queste imprese.\n\nInterpretazioni.\nI rapporti tra Teseo e Piritoo.\nEsistono diverse interpretazioni relative sia ai rapporti tra Teseo e Piritoo, sia ai significati sottesi ai singoli episodi mitici.\nSecondo alcuni (ad esempio Robert Graves) i due eroi erano in realtà rivali e sarebbero stati gli Ateniesi a riuscire a camuffare ciò presentando invece i due come legati tra loro da profonda amicizia; la rivalità sarebbe stata suscitata dal fatto che, nella visione esegetica propria di Graves, che pone l'accento sull'origine rituale dei miti, Piritoo sarebbe stato un 're sacro' destinato a essere ucciso al termine del suo regno, nell'usanza tipica che avrebbe caratterizzato la società matrilineare pre-indoeuropea in Grecia. Il suo successore-rivale sarebbe stato appunto Teseo.\nQuesta visione appare oggi in ribasso, in quanto spesso si tende piuttosto, in generale, a considerare molte figure di eroi greci come antiche divinità perlopiù locali, 'declassate' nel tempo a semplici figure umane o al massimo semidei, ma con caratteristiche particolari, 'eroiche'; dopo la morte spesso però si diceva nel mito che questi personaggi erano assunti al cielo o erano stati portati nelle isole Fortunate, e storicamente venivano venerati con un culto eroico. Nella fattispecie, riguardo a Teseo, si pensa che potesse essere stato in origine una divinità di tipo solare.\n\nLa lotta tra Lapiti e Centauri e la natura 'selvaggia' di Piritoo.\nPer quanto riguarda la lotta tra Lapiti e Centauri l'interpretazione più accreditata vi vede la trasfigurazione in forma di 'saga' di un reale scontro tra tribù preelleniche stanziate nelle regioni più remote della Grecia; a tal proposito forse è in parte vero che la mitografia ateniese abbia successivamente 'edulcorato' la storia, presentando l'amicizia tra un re 'selvaggio' quale Piritoo e il re di Atene, il ben più 'civile' Teseo. Tra l'altro con ciò si poteva sottintendere l''addomesticamento' delle tribù più arcaiche mediante la fusione anche e soprattutto culturale e mentale con le frange più progredite della grecità.\nForse quindi una certa 'tensione' tra i due poteva maggiormente emergere, nelle versioni più antiche del mito.\n\nLa discesa nel Tartaro.\nInfine, la storia della discesa al Tartaro di Teseo e Piritoo potrebbe essere stata inizialmente un tentativo di accreditare il loro eroe nazionale come semidio panellenico, in quanto disceso agli inferi ma sfuggito alla morte, nel tentativo di equipararlo al ben più famoso Eracle.\n\nVoci correlate.\nTeseo.\nPiritoo.\nLapiti.\nAtene.\nIppodamia (moglie di Piritoo).\nDori.\nEracle.
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### Titolo: Teseo.\n### Descrizione: Teseo (in greco antico: Θησεύς?, Thēseus; in latino Thèseus) è un personaggio della mitologia greca e decimo mitologico re di Atene, figlio di Etra, Egeo e di Poseidone, con cui Etra aveva giaciuto la stessa notte in cui era andata a letto con il re di Atene. Il suo nome ha la stessa radice di thesis e tithenai, come Teti (in greco antico: Τηθύς?, Tēthýs), la Dea Creatrice, la quale, racconta Omero, si unì con Oceano per generare tutti gli Dei.\n\nMitologia.\nTeseo fu un eroe civilizzatore, come Perseo, Cadmo ed Eracle: come quest'ultimo fu l'eroe dei Dori, Teseo fu l'eroe degli Ioni e venne considerato dagli Ateniesi come il loro grande riformatore, padre della patria e garante della democrazia cittadina.\nIl suo nome condivide la radice con la parola 'thesmos' (θεσμός), il termine greco che sta per istituzione. Fu l'artefice del sinecismo (synoikismos, abitare insieme) – l'unificazione politica dell'Attica rappresentata dai suoi viaggi e dalle sue fatiche – sotto la guida di Atene. Una volta riconosciuto come Re unificatore, Teseo fece costruire sull'Acropoli un palazzo simile a quello di Micene. Pausania narra che, in seguito al sinecismo, Teseo istituì il culto di Afrodite Pandemos (Afrodite di tutto il popolo) e di Peito, che si celebrava sul lato meridionale dell'Acropoli. Diverse feste ateniesi erano legate a Teseo: le Panatenee, le Oscoforie, le Tesee, le Ecalesie, le Metagitnie, le Sinecie.\nNella sua opera Le rane, Aristofane lo indica come l'inventore di molte delle più note tradizioni ateniesi. Se la teoria che sostiene l'antica presenza di un dominio minoico sull'area Egea è corretta, allora la figura di Teseo potrebbe essere stata ispirata dalle vicende dovute alla liberazione da questa presenza straniera, piuttosto che da un singolo condottiero realmente esistito.\n\nLa nascita e il viaggio verso Atene di Teseo.\nEgeo, uno degli antichi re di Atene, scelse come moglie Etra, figlia di Pitteo, re di Trezene, una piccola cittadina che si trova a sud-ovest di Atene, e lì furono celebrate le nozze. Nella loro prima notte di nozze, Etra giacque col marito, camminò poi sulle acque del mare e raggiunse l'isola Sferia, dove giacque con Poseidone, il dio del mare e dei terremoti. Teseo aveva quindi due padri e una madre. Secondo un'altra versione della leggenda, Teseo è figlio di Egeo ed Etra soltanto. Il re, poiché ubriacato dal padre di Etra, si unì con la donna sull'isola di Samo, in Asia Minore. Questa versione del mito sembra testimoniare l'origine orientale dell'eroe e dei riti a lui dedicati (le Tesee).\nDopo che Etra rimase incinta, Egeo decise di tornare ad Atene ma, prima di partire, seppellì un suo sandalo e la sua spada sotto un'enorme roccia dicendole che, quando loro figlio fosse cresciuto, avrebbe dovuto spostare la roccia con le sue forze e prendersi le armi per dimostrare la sua discendenza reale. Ad Atene, Egeo si unì a Medea, che era fuggita da Corinto dopo aver ucciso i figli che aveva avuto da Giasone: lì dunque la sacerdotessa e il re rappresentavano lo strapotere e il vecchio ordinamento sociale.\nTeseo crebbe così nel paese materno. Una volta cresciuto e diventato un giovane forte e coraggioso, spostò la roccia e recuperò le armi del padre. Etra allora gli disse la verità sull'identità di suo padre, e gli spiegò che avrebbe dovuto riportare le armi a corte e reclamare i suoi diritti di nascita. Per recarsi ad Atene, Teseo poteva scegliere tra due opzioni: via mare (il modo più sicuro) o via terra lungo un pericoloso sentiero che costeggiava il golfo Saronico. Su questa strada si apriva una serie di sei entrate al mondo dei morti, ciascuna delle quali era sorvegliata da un demone ctonio che aveva assunto la forma di un ladro o di un bandito. Teseo, giovane coraggioso e ambizioso, decise di seguire questa via.\nPresso la città di Epidauro, sacra ad Apollo ed Esculapio, Teseo affrontò il bandito Perifete che era solito uccidere i viandanti con una grossa clava ricoperta di bronzo. Teseo riuscì a strappare la clava dalle mani di Perifete e la usò per colpirlo a morte. Decise poi di tenersi la clava, arma che lo caratterizza quando viene ritratto nelle decorazioni su vaso.. Teseo ripercorre passo passo i rituali compiuti da Eracle, il quale si ricavò la clava da un oleastro, pianta che in Grecia rappresentava l'inizio dell'anno nuovo. Perifete era zoppo come Dedalo, Talo ed Efesto, che erano fabbri, e la sua clava era di bronzo.\nAll'imboccatura dell'istmo di Corinto viveva un ladrone di nome Sini che legava i piedi delle sue vittime alle cime di due alberi di pino che aveva piegato fino a terra e fissato. Lasciava quindi tornare gli alberi alla loro posizione originale e i poveretti finivano squartati. Teseo lo sconfisse e sottopose lui stesso al suo trattamento prediletto. Quindi giacque con la figlia del brigante, che si chiamava Perigune generando così Melanippo.\nAppena a nord dell'istmo, in un paese chiamato Crommione, uccise un enorme e feroce maiale, la scrofa di Crommione, che secondo altre versioni della leggenda si chiamava Fea. Un'altra versione ancora dice che non si trattava di un animale, ma di una brigantessa chiamata scrofa a causa delle sue deplorevoli abitudini.\nVicino a Megara un vecchio brigante di nome Scirone costringeva i viaggiatori a lavargli i piedi su una scogliera. Mentre erano chinati, con un calcio li buttava giù dalla scogliera, dove venivano immediatamente divorati da un mostro marino (secondo alcune versioni da una testuggine gigante). Teseo gli rese pan per focaccia gettando il brigante giù dalla scogliera.\nIncontrò poi Cercione, il re di Eleusi, che aveva l'abitudine di sfidare i passanti a un incontro di lotta con lui e, dopo averli battuti, di ucciderli. Teseo sconfisse Cercione nella lotta e lo uccise.L'ultimo bandito che l'eroe affrontò fu Procuste il quale, ai viaggiatori incrociati sulla piana di Eleusi, offriva per riposare il suo letto. Quando si stendevano, li legava e provvedeva ad 'adattarli' al letto o stirando loro le membra con delle carrucole o mozzando loro i piedi e le gambe. Naturalmente Teseo riservò al furfante la stessa procedura che quest'ultimo applicava alle sue vittime.\nQueste prove che Teseo incontra richiamano la cerimonia dell'espulsione del sacro pharmakos dalla Roccia Bianca, ritualizzata nel lancio dei pharmakoi, bamboline bianche, chiamate argivi, che venivano gettate in acqua in primavera per i riti di purificazione dei tempi.\n\nMedea e il Toro di Maratona.\nQuando arrivò ad Atene, Teseo non rivelò subito la propria identità. Medea però lo riconobbe subito come figlio di Egeo e temette che potesse sostituire suo figlio Medo nella successione al trono: tentò così di provocare la morte di Teseo chiedendogli di catturare il Toro di Maratona, uno dei simboli del dominio cretese.\nLungo la strada che portava a Maratona Teseo si riparò da una tempesta nella capanna di una vecchia di nome Ecale che giurò di fare un sacrificio in onore di Zeus se l'eroe fosse riuscito nella sua impresa. Teseo catturò infine il toro ma, tornato alla capanna di Ecale, la trovò morta. In suo onore allora decise di dare il suo nome a una delle zone dell'Attica, rendendo i suoi abitanti in un certo senso figli adottivi dell'anziana.\nQuando tornò trionfante ad Atene ed ebbe sacrificato il toro agli dei, Medea tentò di avvelenarlo, ma all'ultimo momento Egeo lo riconobbe dai sandali e dalla spada e strappò la coppa di vino avvelenato dalle sue mani. Padre e figlio furono così finalmente riuniti.\n\nIl Minotauro.\nIl Re di Creta Minosse aveva vinto la guerra contro Atene. Ordinò allora che ogni nove anni (secondo alcune versioni ogni anno) sette fanciulli e sette fanciulle ateniesi venissero inviati a Creta per essere divorati dal Minotauro. Quando venne il momento di effettuare la terza spedizione sacrificale, Teseo si offrì subito volontario per andare a uccidere il mostro. Promise al padre Egeo che, in caso di successo, al suo ritorno avrebbe issato sulla nave delle vele bianche. Quando arrivò a Creta Arianna, la figlia di Minosse, si innamorò di lui e lo aiutò a ritrovare la via d'uscita dal labirinto dandogli una matassa di filo che, srotolata, gli avrebbe permesso di seguire a ritroso le proprie tracce e una spada avvelenata. Trovato il Minotauro, Teseo lo uccise e guidò gli altri ragazzi ateniesi fuori dal labirinto. Teseo portò Arianna via da Creta con sé, ma poi l'abbandonò sull'isola di Nasso e la ragazza, quando si accorse di ciò che era successo, lo maledisse e pianse talmente tanto che Dioniso per confortarla le donò una corona d'oro, che venne poi mutata dal dio in una costellazione splendente alla sua morte: è la moderna costellazione della Corona Boreale.\nAl suo ritorno Teseo e il nocchiero della nave si dimenticarono di cambiare le vele nere con quelle bianche come promesso al padre Egeo; egli allora, credendo il figlio morto, si uccise lanciandosi dal promontorio di Capo Sunio nel mare che da allora porta il suo nome. Morto il padre, Teseo viene proclamato re di Atene.\n\nPiritoo.\nIl migliore amico di Teseo era Piritoo, principe dei Lapiti. In principio Piritoo aveva sentito raccontare del suo coraggio e del suo valore in combattimento, ma volle verificarlo di persona, così rubò le mandrie di bestiame dell'eroe, portandole via da Maratona: Teseo si mise allora a cercarle. Piritoo lo affrontò armi alla mano pronto a combattere, ma i due rimasero così ben impressionati l'uno dell'altro che anziché combattere si giurarono eterna amicizia e, insieme, parteciparono alla caccia al Cinghiale calidonio.\nNel primo libro dell'Iliade Nestore cita Teseo e Piritoo tra gli eroi più illustri della generazione di eroi che aveva conosciuto in gioventù «gli uomini più forti che la terra abbia mai nutrito, gli uomini più forti che andarono contro i più forti dei nemici, una tribù di selvaggi abitatori delle montagne che essi distrussero completamente». Di questa tradizione leggendaria orale citata da Omero, nell'epica letteraria non è sopravvissuto nulla.\n\nFedra e Ippolito.\nFedra, la prima moglie di Teseo, gli diede due figli, Demofonte e Acamante. Mentre questi erano ancora bambini, Fedra si innamorò di Ippolito, il figlio che Teseo aveva avuto in precedenza da Antiope. Secondo alcune versioni della leggenda, Ippolito aveva preferito diventare devoto ad Artemide piuttosto che ad Afrodite, così la dea della bellezza aveva deciso di punirlo suscitando l'amore di Fedra verso di lui. Ippolito però respinse la donna per mantenere il voto di castità fatto ad Artemide. Secondo la versione della leggenda fornita da Euripide è la nutrice di Fedra a rivelargli la passione per lui della sua padrona, e Ippolito le giura che non dirà a nessuno che è stata lei a farglielo sapere. Fedra allora decide di impiccarsi, ma prima manda un messaggio a Teseo sostenendo di averlo fatto perché Ippolito l'ha stuprata.\nTeseo le crede e rivolge contro il figlio una maledizione che Poseidone (il suo vero padre) aveva consentito di realizzare contro tutti i suoi nemici. A causa della sua maledizione un mostro marino terrorizza i cavalli che trainano il carro di Ippolito e questi, imbizzarriti, travolgono il giovane uccidendolo. Artemide rivela a Teseo la verità e promette di vendicare il suo leale e devoto Ippolito comportandosi allo stesso modo nei confronti di un fedele di Afrodite. Secondo un'altra versione della leggenda Fedra dice a Teseo che Ippolito l'ha stuprata e l'eroe uccide il figlio con le sue mani: la donna poi si toglie la vita vinta dal rimorso.\nGrazie a questa leggenda si sviluppò anche un culto di Ippolito, associato a quello di Afrodite: le ragazze in procinto di sposarsi gli offrivano ciocche dei loro capelli. I seguaci del culto credevano che Asclepio avesse fatto risorgere Ippolito, che dopo aver assunto il nome di Virbio era andato a vivere in una foresta sacra nei pressi di Ariccia nel Lazio.\n\nLa morte di Teseo e altre leggende.\nSecondo alcune fonti, Teseo partecipò alla spedizione degli Argonauti, anche se Apollonio Rodio nelle Argonautiche sostiene invece che all'epoca della spedizione Teseo si trovava ancora nel mondo dei morti. Insieme a Fedra, Teseo generò Acamante, che fu uno dei guerrieri greci che durante la guerra di Troia si nascosero all'interno del cavallo di legno.\nSi dice che Teseo venne ucciso dal re di Sciro, Licomede, che lo gettò con un tranello da una scogliera della sua isola, accordatosi con Menesteo che aveva usurpato il trono di Atene durante l'assenza dell'eroe.\nSecondo Virgilio, a Teseo dopo la morte fu imposta nuovamente la punizione, e questa volta per sempre, che già aveva dovuto subire quando con Piritoo era sceso da vivo nell'Ade per rapire Persefone.\n\nNella cultura di massa.\nPur non apparendo direttamente, Teseo è tra i personaggi menzionati più volte nella Divina Commedia di Dante. I passi in questione sono tre: nel nono canto dell'Inferno le Erinni ricordano il suo tentativo di rapire Proserpina e affermano che, se lo avessero ucciso, avrebbero scoraggiato altri viventi ad avventurarsi nel regno dei morti; nel dodicesimo si allude alla sua vittoria contro il Minotauro (il mostro infatti attacca Dante e Virgilio in quanto crede che uno di loro sia Teseo); infine nel XXIV Canto del Purgatorio viene ricordato come l'eroe che combatté contro i Centauri.
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### Titolo: Tesoro di Priamo.\n### Descrizione: Il tesoro di Priamo è un insieme di oggetti in metalli preziosi che Heinrich Schliemann scoprì nel sito dell'antica Troia e che egli attribuì al re Priamo. Gli oggetti, ritrovati nel livello denominato Troia II, appartengono in realtà alla prima metà del III millennio a.C. e sono dunque molto più antichi degli avvenimenti narrati nell'Iliade che, secondo la tradizione, sono collocabili all'inizio del XII secolo a.C.\n\nDescrizione.\nDopo tre anni di scavi il ritrovamento avvenne alla vigilia della chiusura della campagna archeologica, il 14 luglio 1873, e portò alla luce:.\n\nuno scudo di rame;.\nun calderone di rame con manici;.\nun oggetto di rame non identificato, forse la chiusura di una cassetta;.\nun vaso d'argento contenente due diademi d'oro, tre braccialetti, 8.750 anelli, due piccoli bicchieri, bottoni e altri piccoli oggetti d'oro, i cosiddetti gioielli di Elena;.\nun vaso di rame;.\nuna bottiglia d'oro battuto;.\ndue coppe d'oro, una battuta e una fusa;.\ndiversi bicchieri in terracotta rossastra;.\nuna coppa di elettro;.\nsei lame di coltello in argento battuto, che Schliemann ritenne fossero state monete;.\ntre vasi d'argento con parti fuse in rame;.\ndiversi bicchieri e vasi in argento;.\ntredici punte di lancia in rame;.\nquattordici asce in rame;.\nsette daghe in rame;.\naltri manufatti in rame tra i quali la chiave di una cassetta.L'autenticità degli oggetti è stata a più riprese messa in dubbio. In particolare Schliemann avrebbe raccolto e messo insieme nel cosiddetto tesoro di Priamo oggetti provenienti da luoghi diversi, confezionando un falso resoconto del ritrovamento. In particolare alcuni degli oggetti attribuiti al tesoro compaiono anche in foto di scavo scattate nell'anno precedente al ritrovamento.\n\nLa storia degli oggetti dopo la loro scoperta.\nSchliemann esportò gli oggetti rinvenuti senza permesso. Come conseguenza l'ufficiale ottomano incaricato di sorvegliare gli scavi fu imprigionato e il governo gli revocò la concessione di scavo da lui già ottenuta e gli richiese una parte del ritrovamento.\nIn seguito Schliemann inviò alcuni degli oggetti al governo ottomano, in cambio del permesso di scavare nuovamente a Troia. Questa parte del tesoro fu conservata nei musei archeologici di Istanbul.\nLa parte rimasta in possesso di Schliemann fu invece acquistata nel 1880 dagli allora 'Musei Imperiali di Berlino', e fu esposta al Pergamon Museum.\nNel 1945, tuttavia, gli oggetti scomparvero dal bunker nel quale erano stati sistemati a causa delle vicende belliche, sottratti dall'Armata Rossa sovietica. In tale occasione è probabile che alcuni degli oggetti fossero stati sottratti dai militari e immessi nel mercato nero dell'arte. Durante la guerra fredda i sovietici negarono di conoscere la sorte degli oggetti, ma nel 1993 questi riapparvero nel Museo Puskin di Mosca. Oggi sono conservati in parte in questo museo e in parte nell'Ermitage di San Pietroburgo. Nel 1996 si svolsero senza esito trattative per la loro restituzione alla Germania, ma i direttori dei musei russi dichiararono che dovevano essere trattenuti quali compenso per i danni di guerra nazisti alle città russe.
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### Titolo: Tesproto.\n### Descrizione: Tesproto (in greco Θεσπρωτός) è una figura della mitologia greca, figlio di Licaone e re eponimo dei Tesproti.\nFondò l'antica capitale della Tesprozia Kichyro chiamata più tardi Efira.
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### Titolo: Tessalo (figlio di Eracle).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Tessalo (in greco antico: Θεσσαλός) fu uno dei figli di Eracle, concepito con Calciope, figlia del re di Coo, Euripilo.\n\nMitologia.\nQuando Eracle sbarcò a Coo per sfuggire a una tempesta inviatagli da Era, gli abitanti dell'isola lo scambiarono per un pirata e lo attaccarono; in una battaglia che ne seguì, Eracle uccise il re dell'isola, Euripilo. In un'altra versione, Eracle pianificò l'attacco a Coo perché invaghitosi della figlia di Euripilo, Calciope. In entrambe le versioni, Calciope divenne poi la madre di Tessalo.Tessalo fu il successore di Euripilo come re di Coo. I suoi figli Fidippo e Antifo guidarono il contingente di Coo alla guerra di Troia.
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### Titolo: Testore.\n### Descrizione: Testore (in greco antico: Θέστωρ?, Théstor) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Idmone e di Laotoe sposò Polimela e divenne padre di Teonoe, Leucippe Teoclimeno e Calcante.\n\nMitologia.\nTestore partì alla ricerca di Teonoe che, rapita dai pirati cari, fu venduta ad Icaro il re di Caria ma naufragò durante il viaggio e fu a sua volta imprigionato dai pirati. Questi lo vendettero allo stesso re e lui non riconobbe la figlia che intanto si era guadagnata i favori del monarca.\nLeucippe in seguito, seguendo la predizione di un oracolo e nascosta in un abito religioso si recò alla corte di Icaro. Teonoe la vide, ma la scambiò per un uomo, se ne innamorò e ne fu respinta, così per vendetta ordinò al suo schiavo (Testore) di ucciderla.\nIntrodottosi nella camera di Leucippe e prima di alzare la spada, Testore si presentò a lei raccontandole la sua storia. In tal modo i due si riconobbero e decisero quindi di uccidere la concubina di Icaro ma, una volta giunto nella sua camera Teonoe riconobbe il padre.\nIn tre quindi si recarono da Icaro che, ricolmandoli di doni li rimandò in patria.
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### Titolo: Teti (Nereide).\n### Descrizione: Teti o Tetide (in greco antico: Θέτις?, Thétis), è un personaggio della mitologia greca.\nEra la più bella delle Nereidi, le ninfe dei mari figlie di Nereo e Doride, discendenti da Oceano.\n\nNella mitologia.\nLa titanide Temi predisse in una profezia che Teti era destinata a dare alla luce un figlio che sarebbe divenuto più potente, intelligente e ambizioso del padre. Climene confidò il segreto al figlio Prometeo. Quando Zeus e Poseidone si innamorarono di lei, Prometeo capì che sarebbe stata una disgrazia per l'Olimpo, chiunque fosse stato a darle quel figlio che avrebbe superato il padre; conoscendo questa preziosa informazione e temendo che le sorti di Urano e Crono si potessero ripetere con Zeus, Prometeo allora rivelò a Zeus il segreto in cambio della propria liberazione dal castigo a cui il dio lo aveva condannato.\nPoseidone ne fu informato a sua volta ed entrambi rinunciarono a possederla, destinandola a un matrimonio con i mortali, lasciando così al mondo degli uomini il destino ineluttabile di essere superati dal proprio figlio. Peleo, re di Ftia, dopo molte fatiche, poiché la divina Teti per sfuggirgli si mutava in bestie feroci e mostri spaventosi, riuscì ad averla in sposa. Il forzato matrimonio fu celebrato sull'Olimpo alla presenza di tutti gli dei. La dea della discordia Eris, unica degli dei a non essere stata invitata, in quella occasione lanciò il pomo d'oro che sarebbe poi stato oggetto del giudizio di Paride, causa della guerra di Troia.\nDall'unione di Teti e Peleo nacque Achille, il quale, nell'Iliade, si sfoga più volte con la madre trovando conforto nelle sue parole. Teti intervenne in aiuto del figlio principalmente in due occasioni: la prima, quando immerse il neonato nel fiume Stige, rendendolo invulnerabile tranne che nel tallone (per immergere Achille, la madre dovette tenerlo per il tallone, che rimase così l'unica parte vulnerabile: da qui la definizione di tallone di Achille); la seconda, quando chiese a Efesto di forgiare le armi per il suo combattimento contro Ettore. Inoltre, secondo alcune tradizioni, vendicò la morte del figlio uccidendo Elena, allorché la donna ritornava a Sparta col marito Menelao. In seguito, in Tessaglia, Teti uscì vincitrice da una gara di bellezza che la vide opposta a Medea e a cui prese parte, come arbitro, Idomeneo, re di Creta.Teti rimase coinvolta anche in alcune altre vicende divine: con sua sorella Eurinome accolse amorevolmente nelle acque del mare il piccolo Efesto, quando questo dio venne respinto da sua madre Era e scagliato giù dall'Olimpo. Una volta cresciuto, per ringraziarla, il fabbro divino creò dei magnifici gioielli per Teti e sua sorella. Quando in una occasione Era li vide addosso alla nereide, glieli invidiò e chiese quale bravissimo artigiano orafo li avesse creati. Di fronte alla regina degli dei, Teti fu costretta a rivelare che l'artefice di tali opere non era altri che Efesto, il figlio da Era stessa respinto. Perciò Era chiese a Teti di informare Efesto che lo voleva rivedere.\nIn greco il suo nome (Thètis) si differenzia chiaramente da quello di Teti la Titanide (Tēthỳs), ma probabilmente entrambe derivano da una stessa divinità delle acque di un culto più antico.\n\nNell'arte.\nTramonto del sole di François Boucher (1752).
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### Titolo: Teti consola Achille.\n### Descrizione: Teti consola Achille è un affresco eseguito da Giambattista Tiepolo, nella Sala dell'Iliade di Villa Valmarana 'Ai Nani' a Vicenza.\n\nDescrizione.\nLe pitture che arredano le sale della villa furono realizzate nel 1757 su commissione di Leonardo Valmarana ed eseguite dal Tiepolo con il figlio Giandomenico e con la collaborazione del quadraturista Gerolamo Mengozzi-Colonna. Non si conosce quali parti fossero state eseguite da ciascun artista; fu Goethe a indicare quali fossero quelle dipinte da colui che definì ' il sublime ' e quali da quello definito ' il naturale ' cogliendone le differenti caratteristiche pittoriche.\nTutto il ciclo pittorico della villa si propone di presentare il concetto di sacrificio quale rinuncia al fine del raggiungimento di un bene più grande.Questa pittura a fresco fa parte di una serie di tre dipinti presenti nella Sala dell'Iliade che rappresentano episodi relativi al primo libro del poema omerico sulla Guerra di Troia. Il dipinto racconta l'incontro tra Achille e la madre. L'eroe acheo, rattristato per il rapimento della sua schiava Briseide da parte di Agamennone, è raffigurato posto su una terrazza nei pressi del mare, dove tra i flutti marini appare la ninfa Teti, sua madre, che cerca di consolarlo. Accanto a lei la ninfa Nereide.La raffigurazione di Minerva sul soffitto della sala sarebbe da attribuire a Mengozzi-Colonna, mentre i paesaggi furono probabilmente dipinti da Giandomenico.
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### Titolo: Tettamo.\n### Descrizione: Tettamo (in greco antico: Τέκταμος?, Tèktamos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Doro e nipote di Elleno.\nSposò una figlia di Creteo, che gli diede il figlio Asterio.\n\nMitologia.\nSecondo Diodoro Siculo, Tettamo invase Creta a capo di un'orda di coloni Eoli e Pelasgi e divenne il re dell'isola. Era la terza delle invasioni di Creta.\nSecondo un'altra versione, Tettamo era un capo delle tribù dei Dori ed Achei che si stabilirono nella Grecia continentale.
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### Titolo: Teutrania.\n### Descrizione: Teutrania, nella mitologia greca, è stata la capitale dell'omonima regione, parte della Misia in Asia minore.\n\nGeografia.\nLa città sarebbe stata collocata nella zona meridionale della Misia. Questa regione, entità storicamente più geografica che politica, si trovava all'estremo nord-ovest della Penisola anatolica ed era delimitata a nord dal Mar di Marmara e a ovest del Mar Egeo, dove si affaccia sullo Stretto dei Dardanelli. Per quanto riguarda la terraferma, la Misia confinava con Lidia, Frigia e Bitinia. La città di Teutrania, in particolare, si trovava presso il fiume Caico (l'odierno Bakirçay), davanti alle coste del fiume Lesbo. In questa zona sarebbe poi sorto l'importante centro di Pergamo.
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### Titolo: The Battle of Olympus.\n### Descrizione: The Battle of Olympus (オリュンポスの戦い, Olympus no Tatakai) è un videogioco di tipo avventura dinamica prodotto in Giappone per NES dalle software house Imagineer e Infinity nel 1988 e distribuito in Europa dalla Brøderbund nel 1991. Come il titolo lascia intuire, l'ambientazione è basata sulla mitologia greca.\nIl gioco è molto simile a Zelda II: The Adventure of Link per quanto riguarda l'impostazione di gioco (visuale laterale, possibilità di entrare nelle abitazioni per ricavare informazioni dagli occupanti, una mappa del mondo...), e ha anche qualche similitudine, anche se meno marcata, con il primo Castlevania per Nintendo Entertainment System.\n\nTrama.\nLa trama è vagamente basata sul mito di Orfeo ed Euridice: il giovane Orfeo ama la bella Elena (all'inizio di una partita però i nomi possono essere cambiati), ma questa in seguito al morso di un serpente velenoso viene trasformata in una statua di pietra. La dea Afrodite, mossa a compassione, rivela al giovane che Elena non è morta, ma è stata rapita dal dio degli inferi Ade. Orfeo si imbarca quindi in un'avventura che gli farà visitare tutta la Grecia, incontrare gli dei dell'Olimpo e lo porterà a scontrarsi con numerose creature mitologiche.\n\nModalità di gioco.\nIl protagonista del gioco è in grado di saltare, accovacciarsi e colpire i nemici con la propria arma come in un qualunque platform game, ma può anche parlare con le varie persone che incontrerà sul suo cammino, le quali daranno indicazioni oppure vorranno essere pagate per fornire qualcosa: la moneta corrente del gioco, curiosamente, sono le 'olive', che vengono rilasciate dai nemici eliminati; essi rilasciano anche dei frammenti di ambrosia, utile per rimpinguare la barra dell'energia vitale.\nOrfeo, per completare la sua avventura, ha bisogno di incontrare gli dei, primo fra tutti Zeus: visitando i santuari delle divinità sparse per le varie regioni della Grecia otterrà preziosi consigli per procedere oppure degli oggetti, per ottenere i quali dovrà compiere a sua volta svariate sotto-missioni; gli dei forniscono anche le password per riprendere dal punto in cui ci si era fermati (il gioco non consente di salvare la partita in corso).\nTra i vari oggetti vi sono nuove armi (che sostituiscono la clava di partenza), strumenti indispensabili per spostarsi da una zona all'altra (ad esempio la cetra di Apollo, che se suonata nei pressi dei monumenti consacrati al dio richiama il Pegaso, che funge da mezzo di trasporto), e i 'frammenti d'amore' che servono ad aprire la strada verso il Tartaro, non raffigurato sulla mappa e luogo dove è rinchiusa Elena.\n\nRiferimenti mitologici.\nOltre alla presenza degli dei dell'Olimpo, vi sono molti cenni alla mitologia greca nel corso del gioco:.\n\nl'Idra di Lerna: nel gioco è uno dei boss, si trova nella palude del Peloponneso e anziché avere più teste su un solo corpo è provvista di una sola testa che ricresce 8 volte.\nil Leone di Nemea: una delle dodici fatiche di Ercole, il leone nel gioco fa la guardia a Prometeo prigioniero (nel mito invece un'aquila rodeva il fegato a Prometeo ogni giorno).\nPrometeo: una volta liberato, insegnerà a Orfeo come lanciare fuoco dal bastone magico (in riferimento al mito secondo cui Prometeo aveva rubato il fuoco agli dei per darlo agli uomini).\nTalos: il gigante meccanico è qui rappresentato come una sorta di armatura semovente che fa la guardia al labirinto di Creta. Come nel mito che lo riguarda, deve essere colpito alla caviglia per poter essere sconfitto.\nil Minotauro: uno dei boss, lo si può trovare al centro del labirinto.\nLadone: il drago che fa la guardia al giardino delle Esperidi serve qui come una sorta di mini-boss che fa la guardia a una mela d'oro, la quale serve a portare l'energia al massimo e dimezzare il danno causato dai nemici.\nPegaso: ce ne sono due, uno bianco che serve da cavalcatura e uno nero che invece è un nemico.\nle Graie: un boss, le tre vecchie sono rappresentate come una specie di maghe che appaiono e spariscono lanciando strali di energia (in maniera del tutto analoga ai 'Wizzrobes' della serie di Zelda).\nCerbero: lo si trova nel Tartaro, nel gioco ha due teste anziché tre e bisogna distruggergliele entrambe per eliminarlo.\nAde è in possesso di un elmo che lo rende invisibile, come nei miti che lo riguardano: per colpirlo nella prima fase della battaglia contro di lui ci si deve servire di una sfera magica che permette di individuarne la posizione grazie alla proiezione della sua ombra.Tra le varie creature mitologiche appaiono dei satiri, un centauro, una sirena (correttamente rappresentata come incrocio tra donna e uccello rapace come nella mitologia greca, piuttosto che donna e pesce), due ciclopi, una lamia (il primo boss), e altre ancora.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) The Battle of Olympus (Game Boy) / The Battle of Olympus (Nintendo Entertainment System), su GameFAQs, Red Ventures.\n(EN) The Battle of Olympus, su MobyGames, Blue Flame Labs.
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### Titolo: Theoi Project.\n### Descrizione: Il Theoi Project (noto anche come Theoi Greek Mythology) è una biblioteca digitale riguardante la mitologia greca e la sua rappresentazione nella letteratura classica e nell'arte greca. Questo sito web è stato creato dal neozelandese Aaron J. Atsma nel 2000 e contiene oltre 1500 pagine e 1200 immagini relative a divinità, demoni, creature mitologiche ed eroi della mitologia e della religione greca; inoltre, questo progetto raccoglie testi relativi alla mitologia greca tratti da varie opere della letteratura antica.
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### Titolo: Thrasos.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Thrasos (in greco antico: Θράσος?) è lo spirito dell'audacia o, quando in eccesso, dell'insolenza.\nAnche se la parola θράσος di per sé potrebbe essere utilizzata sia in positivo (audacia) che in negativo (insolenza), solo nel contesto in cui Thrasos appare come una personificazione di un demone è stato citato da Hybris e da Ate al contrario di Dike.
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### Titolo: Tia (figlia di Deucalione).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Tia (in greco antico Θυία Thýia) era una delle figlie di Deucalione e Pirra. Fu amata da Zeus e divenne con lui madre di Magnete e di Macedone, eponimi rispettivamente delle regioni della Magnesia e della Macedonia.\nIl suo mito è raccontato nel Catalogo delle donne di Esiodo, e ripreso da Stefano di Bisanzio.\nTia non va confusa con la titanide Teia, a volte identificata come Tia.
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### Titolo: Tifide.\n### Descrizione: Tifide di Sife o Tifi (in greco antico: Τῖφυς?, Tîphys) fu nella mitologia greca uno degli argonauti e il timoniere della nave.\n\nGenealogia.\nNelle fonti più antiche, Tifide proviene dalla città di Tespie, in Beozia, ed è figlio di un altrimenti sconosciuto Agnias. Successivamente è stato indicato invece come un eleo figlio di Forbante, e quindi fratello di Attore e Augia.\n\nMitologia.\nNelle Argonautiche di Apollonio Rodio, viene descritto come abilissimo pilota della Beozia, cui Atena insegnò l'arte della navigazione.\nQuando Giasone mandò gli araldi alla ricerca di avventurieri per recuperare il vello d'oro, cercava anche chi potesse diventare timoniere della nave Argo. Tifide si propose e diventò la guida degli Argonauti.\nDa esperto conoscitore del mare, era lui che decideva quale direzione prendere, come avvenne quando, in partenza dalla terra di re Cizico, la nave si scontrò con un forte vento contrario che impedì a Tifi di avanzare. Quindi egli decise di cambiare rotta cercando di tornare alla penisola. Una volta arrivati, a causa della nebbia, Cizico li scambiò per pirati e, nello scontro che seguì, gli Argonauti uccisero il Re (loro alleato) e molti suoi soldati.\nPrima di tornare, Giasone decise di abbandonare Eracle sulla terraferma. Molti Argonauti cercarono di far cambiare idea a Tifi, ma senza risultato.\nIl destino non gli permise di giungere nella Colchide con gli altri Argonauti, perché morì a causa di una misteriosa malattia nella terra del re Lico. Gli furono resi solenni onori funebri e gli altri Argonauti, dopo avergli alzato un tumulo, scelsero chi doveva prendere il suo posto al comando del timone. La scelta cadde su Anceo, che si dimostrò molto abile.
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### Titolo: Timne.\n### Descrizione: Timne (in greco antico: Τύμνης?, Tymnes; III-II secolo a.C. – ...) è stato un poeta greco antico.\n\nVita e opere.\nNessuna fonte antica menziona Timne e non si hanno pertanto informazioni sulla sua vita. Anche la patria del poeta è dubbia: secondo Reiske l'autore sarebbe originario di Creta (o avrebbe ivi trascorso parte della sua vita) poiché in uno dei suoi componimenti (AP VII, 477) viene ricordata la città di Eleftherna, mentre altri commentatori considerano Timne di origine caria sulla base del suo nome.Dell'autore sono conservati 7 epigrammi all'interno dell'Antologia Palatina. Meleagro di Gadara ricorda nell'incipit della sua raccolta antologica il nome di Timne associandolo a un pioppo bianco.\n\nEpigrammi.\nI componimenti superstiti di Timne sono votivi, epidittici e sepolcrali. Timne è un autore alessandrino nei temi e nello stile: alcuni dei suoi componimenti riproducono gli argomenti di celebri epigrammisti ellenistici. Nei suoi epigrammi mostra di tenere presente la lezione di Anite, riprendendo dalla produzione epigrammatica della poetessa la composizione di epitaffi dedicati ad animali, e propone, coi toni ironici appartenenti al sottogenere letterario, il racconto della morte di un uccello e di un cucciolo maltese:.\n\nUn altro dei sette componimenti superstiti di Timne riguarda una statua di Priapo: sulla base di questo epigramma Reiske considerò l'autore successivo al 164 a.C., ma il carme è in realtà un'imitazione da modelli di Leonida di Taranto, che fu il primo autore a comporre carmi su questo tema.
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### Titolo: Timoteo (scultore).\n### Descrizione: Timoteo (... – ...; fl. IV secolo a.C.) è stato uno scultore greco antico.\nNato forse a Epidauro, ma di formazione ateniese, fu attivo tra il 380 e il 350 a.C.\n\nBiografia.\nLa nostra conoscenza della sua biografia è legata alla partecipazione a due dei più importanti cantieri del IV secolo a.C.: il tempio di Asclepio a Epidauro e il mausoleo di Alicarnasso ai quali collaborò con fregi e sculture. Le scarse opere sicuramente attribuibili a Timoteo lo collocano nella corrente manieristica postfidiaca della quale mostra di aver ben assimilato il calligrafismo ed il gusto per il chiaroscuro; in particolare egli appare vicino a Callimaco presso il quale può aver svolto il proprio apprendistato a seguito di una comune origine peloponnesiaca. Tra le altre opere attribuite dalle fonti troviamo una immagine di Asclepio (o un Ippolito seguendo la tradizione locale) a Trezene (Pausania, II, 32, 4) e una Artemide che si conservava a Roma nel tempio di Apollo Palatino (Plinio, Nat. hist., XXXVI, 32), portatavi da Augusto e forse riprodotta sulla base di Augusto al Museo Correale di Terranova. Vitruvio riferisce di un Ares eseguito forse in collaborazione con Leocare per l'acropoli di Alicarnasso (De architectura, II, 8, 11).\n\nIl tempio di Asclepio a Epidauro.\nNessuna fonte letteraria menziona questa attività giovanile di Timoteo, la sua partecipazione alla decorazione del tempio di Asclepio è testimoniata soltanto dall'iscrizione con il resoconto delle spese, rinvenuta negli scavi del tempio da Panagiotes Cavvadias nel 1885 (I.G. IV2 102), dove risulta il pagamento a Timoteo come esecutore di non meglio specificati rilievi (typoi) e come scultore degli acroteri per uno dei frontoni del tempio, che si ritiene più frequentemente essere quello occidentale, benché permangano pareri non concordi. La lastra con l'iscrizione ricorda la presenza di altri tre scultori, inoltre la scarsa omogeneità stilistica che si riconosce tra i resti della decorazione del tempio ha condotto ad ipotizzare una collaborazione tra pari e l'assenza di una direzione stilistica unitaria. Nicholas Yalouris (e altri prima di lui) interpretando la parola typos come 'modello' o 'bozzetto' e considerando alcuni elementi che accomunerebbero i due frontoni, ha ritenuto possibile ipotizzare una partecipazione più ampia di Timoteo nella progettazione della decorazione scultorea, lasciandone tuttavia l'esecuzione alle differenti mani degli scultori nominati dall'iscrizione e alle rispettive botteghe.\nGli acroteri del frontone occidentale, in marmo pentelico, sono quasi interamente conservati al Museo archeologico nazionale di Atene (nn. inv. 155-157, rispettivamente acroterio centrale, destro e sinistro). Alla mano di Timoteo viene attribuita la figura centrale, una Nike, mentre le due laterali, due fanciulle con cavallo (probabilmente due Aure), sono ritenute opere di bottega.\n\nIl mausoleo di Alicarnasso.\nAncor più congetturali sono i tentativi di riconoscere la figura di Timoteo tra gli scultori del mausoleo di Alicarnasso (Plinio, Nat. hist., XXXVI, 30-31; Vitruvio, De architect., VII) dove doveva comparire come uno dei collaboratori più anziani.\n\nLeda con il cigno.\nTra le attribuzioni effettuate su base esclusivamente stilistica a partire dagli acroteri di Epidauro vi è la Leda con il cigno la cui tipologia è conosciuta attraverso una dozzina di copie ellenistiche e romane, e che non si allontana dal generico indirizzo attico al quale Timoteo si attiene. Alcuni studiosi (Adolf Furtwängler, ad esempio) pur mantenendo l'attribuzione a Timoteo ritengono quest'opera una rielaborazione di una tipologia appartenente già al V secolo a.C.\nIn base ai confronti stilistici con la Leda, per la complementarità nel trattamento del nudo e del panneggio, viene attribuito a Timoteo un originale in marmo proveniente da Epidauro e conservato al Museo archeologico nazionale di Atene, che si ritiene rappresenti Igea.
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### Titolo: Tindaro.\n### Descrizione: Tindaro (in greco antico: Τυνδάρεος?, Tyndáreos) (o Tindareo) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re di Sparta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Periere e di Gorgofone o di Ebalo e della ninfa Batea, sposò Leda e divenne padre di Castore, Clitennestra, Timandra, Filonoe e Febe.\nTindaro crebbe anche Elena e Polluce (avuti da Leda con Zeus).\nCastore e Polluce sono più noti come i Dioscuri.\n\nMitologia.\nL'offesa ad Afrodite.\nDurante un sacrificio, dimenticò di onorare Afrodite attirando su di sé le ire della dea che condannò le sue figlie a dover giacere o doversi sposare con più di un uomo.\n\nIl matrimonio di Elena.\nTindaro re di Sparta, fu destituito (insieme al fratello Icario) dal fratellastro Ippocoonte e fece ritorno in patria solo dopo che Ippocoonte fu ucciso da Eracle. Tieste intanto, preso il controllo di Micene, costrinse Agamennone e Menelao all'esilio nella città di Sicione dove vissero come ospiti di Tindaro per un certo numero di anni.\nIntanto la bellezza di sua figlia Elena (in età di matrimonio) attirò principi, re e pretendenti e lui, spaventato da quel numeroso interesse, ascoltò un suggerimento di Ulisse e pretese il giuramento di tutti i candidati di farsi l'obbligo d'intervenire in soccorso del prescelto al matrimonio in caso di sua necessità.\nTutti accettarono e fu scelto Menelao, che Elena sposò.\nQuando Alessandro (Paride) rapì Elena e la portò a Troia, Menelao fece appello a quel giuramento e gli ex pretendenti si schierarono con lui.\nCosì fu l'inizio della guerra di Troia.\nLa tomba di Tindaro era ancora visitabile durante la vita di Pausania.\nSecondo Tzetzes, Tindaro fu resuscitato da Asclepio.
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### Titolo: Tiresia.\n### Descrizione: Tiresia (in greco antico: Τειρεσίας?, Teiresíās) è un veggente della mitologia greca, figlio di Evereo, della stirpe degli Sparti, e della ninfa Cariclo. Tiresia ebbe una figlia, Manto, anche lei indovina.\n\nIl mito.\nTiresia è cieco, e sull'origine di questa sua condizione esistono tre tradizioni riportate dallo Pseudo-Apollodoro:.\nsecondo la prima fu reso così dagli dèi perché non volevano che profetizzasse argomenti 'privati';.\nnella seconda lui, figlio di una ninfa, viene reso tale da Atena per punizione in quanto lui la vide nuda farsi il bagno, ma poi, su supplica della madre, fu reso indovino dalla stessa dea;.\nnella terza tradizione Tiresia passeggiando sul monte Cillene (o secondo un'altra versione Citerone), incontrò due serpenti che si stavano accoppiando e ne uccise la femmina perché quella scena lo infastidì (secondo una variante egli si limitò solamente a dividerli percuotendo prima la femmina e successivamente il maschio). Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo a donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta uccise il serpente maschio e nello stesso istante ritornò uomo. Un giorno Zeus ed Era si trovarono divisi da una controversia: se in amore provasse più piacere l'uomo o la donna. Non riuscendo a giungere a una conclusione, poiché Zeus sosteneva che fosse la donna mentre Era sosteneva che fosse l'uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l'unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo sia donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere si compone di dieci parti: l'uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché Tiresia aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus, per compensare il danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni: gli dei greci, infatti, non possono cancellare ciò che hanno fatto o deciso altri dei.\nNel corso dell'attacco degli Epigoni contro Tebe, Tiresia fuggì dalla città insieme ai tebani; sfiancato si riposò nei pressi della fonte Telfusa dalla quale bevve dell'acqua gelata e morì. In un'altra versione l'indovino, rimasto a Tebe con la figlia Manto, venne fatto prigioniero e mandato a Delfi con la figlia, dove sarebbero stati consacrati al dio Apollo. Tiresia morì per la fatica durante il cammino.\n\nNell'Odissea il suo spettro è consultato da Odisseo affinché gli indichi la strada del ritorno. Benché morto e residente nell'Ade, Tiresia conserva, a differenza degli altri spettri, una propria identità e le proprie capacità mentali (φρήν).\n\nLa storia di Tiresia è narrata tra gli altri da Ovidio nelle Metamorfosi e da Stazio nella Tebaide.\nDante Alighieri lo cita vicino al suo rivale in divinazione nella guerra di Tebe, Anfiarao, tra gli indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno (XX, 40-45). Il poeta fiorentino tuttavia non fa accenno alle sue arti divinatorie ma al solo prodigio del cambio di sesso dovuto all'aver colpito i due serpentelli, azione che rese necessario colpirli di nuovo sette anni dopo. Probabilmente l'intento di Dante è limitato a deprecare le attività dei maghi, i quali talvolta adulterano le cose naturali con il loro intervento. Tiresia è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro in contrappasso con il suo potere 'preveggente' avuto in vita. Anche sua figlia Manto si trova nello stesso girone.\n\nLetteratura classica.\nLa figura di Tiresia appare in molti miti classici;.\n\nEsiodo (fr. 276 M. - W.) racconta che egli visse per la lunghezza di sette generazioni.\nSofocle utilizza il suo personaggio drammatico in Edipo re e nell'Antigone. Appare anche in due opere di Euripide: Le Baccanti e Le Fenicie.\nNell'Odissea di Omero, appare nel libro X, quando Circe consiglia a Ulisse di consultare l'ombra di Tiresia, e nel libro XI, quando l'eroe lo incontra nel regno dei morti.\nNe Le metamorfosi, Ovidio racconta come Tiresia acquisì il dono della divinazione.\nNell'Anfitrione, appare nell'atto V quando Anfitrione è intento a consultarlo sul da farsi.\n\nInterpretazioni moderne.\nIl poeta Guillaume Apollinaire fu autore di un'opera teatrale surrealista intitolata Les Mamelles de Tirésias (1917).\nThomas Stearns Eliot riprende la figura di Tiresia nel suo The Waste Land (1922): lo si incontra nella sezione intitolata Il sermone del fuoco.\nTiresia è protagonista, insieme a Edipo, del terzo racconto, dal titolo I ciechi, dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese (1947).\nTiresia è il titolo di un capitolo del libro La chiave a stella di Primo Levi, dove si spiega la storia del mito, capitolo fondamentale per la comprensione del libro stesso.\nIl filosofo Mario Perniola è autore del romanzo Tiresia, Milano, Silva, 1968.\nConversazione su Tiresia è uno spettacolo teatrale scritto e interpretato da Andrea Camilleri, andato in scena unicamente al Teatro greco di Siracusa l'11 giugno 2018 e in seguito trasmesso al cinema il 5, 6, 7 e 22 novembre 2018 e in televisione su Rai 1 il 5 marzo 2019 e il 17 luglio 2019, giorno della morte dell'autore.\nThe Cinema Show, brano dei Genesis del 1973 incluso nel loro album Selling England by the Pound, riprende il mito di Tiresia.\nDimmi Tiresia è un brano di Vinicio Capossela, contenuto nell'album Marinai, profeti e balene. Il brano narra dell'incontro fra Ulisse e Tiresia, in cui l'eroe omerico interroga l'indovino circa il destino del suo vagare.\nNel film Edipo re il regista e autore Pier Paolo Pasolini, basandosi sull'opera di Sofocle, mostra Tiresia svelare ad Edipo di essere l'assassino del padre.\nLe parole di Tiresia de La terra desolata sono declamate dallo spirito dell'indovino di Kattegat nell'episodio Il profeta della serie televisiva Vikings.\nTiresia appare come personaggio nel film del 1995 La dea dell'amore di Woody Allen.
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### Titolo: Tirseno.\n### Descrizione: Tirseno (in greco antico: Τυρσηνός?, Tyrsēnós) è un personaggio della mitologia greca. Fu l'inventore della tromba.\n\nGenealogia.\nFiglio di Eracle e di una 'donna della Lidia' (presumibilmente Onfale) e padre di Egeleo.\n\nMitologia.\nDi lui ci racconta solo Pausania che lo cita come inventore della tromba e di cui il figlio Egeleo ne insegnò l'uso ai Dori assieme a Temeno.\nIl nome Tirseno viene a volte associato al personaggio di Tirreno il quale viene anch'esso citato come figlio di Eracle ed Onfale ed originario della Lidia nonché colui che, secondo quanto riporta Erodoto, portò gli Etruschi in Etruria.
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### Titolo: Tirso (bastone).\n### Descrizione: Il sacro tirso era un bastone rituale attribuito al dio greco Dioniso e ai seguaci del suo culto, satiri e menadi. Di legno vario, ma più spesso di corniolo o formato da una grossa asta di ferula, era sormontato da una pigna ed attorno ad esso erano avviluppati edera e pampini di vite. A volte vi erano annodate anche bende di lana, simbolo di consacrazione. Il simbolismo legato a questo strumento è chiaramente fallico, tanto più che ad esempio ne Le Baccanti di Euripide viene affermato che da esso scaturiva miele; esso quindi rappresenta la forza vitale del dio che viene instillata nella vegetazione, negli animali e negli uomini.
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### Titolo: Tisadia.\n### Descrizione: Tisadia (o Fisadia) era sorella del re Piritoo, figlia di Issione e cugina di Menelao; divenne schiava di Elena, che la portò con sé a Troia.\nNe parla Igino, insieme a un'altra damigella di Elena, Etra, ma delle due i nomi variano secondo gli autori.
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### Titolo: Titanomachia (poema).\n### Descrizione: La Titanomachia (in greco antico: Τιτανομαχία?; etimologicamente: guerra dei Titani) è un poema epico perduto in lingua greca, che fa parte del 'Ciclo delle origini' ed è quindi incluso nel Ciclo epico. Narrava la lotta di Zeus e gli altri dei dell'Olimpo per spodestare i Titani guidati da Crono.\nLa tradizione lo attribuisce a Eumelo di Corinto, un poeta greco antico, autore anche di un poema del 'Ciclo argonautico', i 'Canti corinzi', ma molti poeti hanno cantato questa storia, e l'attribuzione è molto incerta.\nLa Titanomachia era composta da almeno 2 libri, e il racconto della guerra era preceduto da una teogonia, ovvero dalla genealogia divina originata da Urano e Gea.\n\nVoci correlate.\nTitanomachia.\nEumelo di Corinto.\nTeogonia (Esiodo).\nCiclo epico.\nMitologia greca.
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### Titolo: Titanomachia.\n### Descrizione: La Titanomachia (in greco antico: Τιτανομαχία?, Titanomakhia, 'Battaglia dei titani') è una guerra della mitologia greca, combattuta da Zeus e gli altri dei dell'Olimpo (cui si erano uniti i ciclopi e gli ecatonchiri) contro la generazione delle divinità precedenti, quella di Crono e dei titani. Tale guerra durò dieci grandi anni e si concluse con la vittoria degli dei dell'Olimpo.\nLa vicenda è narrata dalla Teogonia di Esiodo e da altri autori, tra cui Igino e Apollodoro. In tempi antichi esisteva anche un poema intitolato Titanomachia, attribuito a Eumelo di Corinto, oggi perduto.Viene qui riportato un riassunto delle vicende raccontate dal mito. Va tuttavia tenuto presente che il mito stesso si presenta in varie versioni differenti ed è dunque inevitabile una cernita, a volte arbitraria, nell'impossibilità di dare conto di ognuna delle varianti. Si è comunque in generale cercato di riportare la versione più nota.\n\nLa vicenda.\nAntefatto.\nAl principio dell'universo c'era solo il Caos, poi apparve Gea, Madre Terra, la quale generò Urano, il Cielo, e si unì a lui, dando alla luce la stirpe dei titani, sei maschi e sei femmine (dette titanidi). Oltre a questi, Gea diede vita anche ad alcune creature mostruose: tre ciclopi e tre ecatonchiri. Urano tuttavia odiava quelle creature e, per liberarsi di loro, le incatenava nel Tartaro non appena nascevano, provandone grande piacere. Per vendicarsi di tutto ciò, Gea allora invitò i titani a ribellarsi, ma essi erano tutti intimoriti dal potente padre: solo il più giovane di essi, Crono, accolse la richiesta. Armatosi di un falcetto creato dalla madre, Crono sorprese il padre mentre desiderava unirsi con Gea e gli tagliò i genitali, gettandoli poi in mare.In questo modo i titani ottennero il dominio sull'universo, sotto il comando di Crono, ma egli non si comportò bene con i ciclopi e gli ecatonchiri: li ricacciò nuovamente nel Tartaro, dove già li aveva confinati Urano. Crono sposò sua sorella Rea, tuttavia era stato profetizzato da Urano morente e da Gea che proprio uno dei figli di Crono sarebbe stato colui che lo avrebbe spodestato. Per questo motivo, ogni volta che la moglie Rea dava alla luce un figlio, Crono lo divorava. Fecero questa fine Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone. Quando fu la volta di Zeus, per evitargli la stessa sorte degli altri, Rea lo partorì di notte e lo affidò a Gea, che lo portò a Creta. Per ingannare Crono, inoltre, Rea avvolse una pietra nelle fasce e la consegnò al marito, che la divorò nella convinzione che si trattasse del piccolo Zeus.Zeus crebbe quindi a Creta e quando raggiunse un'età adeguata decise di vendicarsi di Crono. Con l'aiuto della madre Rea chiese e ottenne di diventare coppiere del padre (il quale evidentemente non lo riconobbe), ma approfittando di tale posizione, versò un emetico nelle bevande di Crono. Questi cominciò a vomitare e in questo modo tirò fuori prima la pietra e poi tutti e cinque gli dei olimpici che aveva divorato. Questi uscirono illesi e già adulti, e visto il trattamento subito, non potevano che provare un odio profondo per Crono e gli altri titani, tanto che fu subito chiaro che tra gli dei olimpici e i titani sarebbe scoppiata una guerra. Gli dei per gratitudine offrirono a Zeus di guidarli, mentre i titani scelsero come capo Atlante.\n\nLa battaglia.\nIl conflitto vedeva gli dei situati sul monte Olimpo e i titani sul monte Otri (con l'eccezione di Prometeo e Stige, che appoggiavano gli dei pur essendo figli di titani). La guerra infuriò per dieci grandi anni, ma a un certo punto Gea emanò una profezia: affermò che gli dei avrebbero vinto soltanto se avessero ottenuto l'appoggio dei ciclopi e degli ecatonchiri, che erano ancora nel Tartaro, dove li aveva confinati Crono. Zeus allora uccise Campe, l'anziana carceriera, e li liberò, rifocillandoli con nettare e ambrosia. I ciclopi per riconoscenza donarono a Zeus il fulmine, arma molto potente, ad Ade un elmo che rende invisibili e a Poseidone un tridente.I tre dei si introdussero poi nella dimora di Crono e mentre Poseidone lo teneva a bada col tridente, Zeus lo colpì col fulmine e Ade gli rubò le armi. Intanto gli altri titani furono bersagliati di pietre dagli ecatonchiri, che avendo cento braccia e cento mani potevano lanciarne un numero enorme. Intervenne infine un lacerante urlo del dio Pan che mise definitivamente in fuga i titani. La battaglia si concluse dunque con la vittoria degli dei olimpici, che confinarono gli sconfitti nel Tartaro, sotto la sorveglianza degli ecatonchiri. Atlante, capo della fazione perdente, fu condannato a reggere la volta del cielo, mentre le titanidi non subirono punizioni, per l'intervento di Rea e Meti. Cominciò così il dominio degli dei olimpici: Zeus divenne padrone del cielo, Poseidone del mare e Ade dell'oltretomba. I titani non ebbero mai più modo di prendersi una rivincita, portando così a una stabilizzazione definitiva delle divinità dominanti.\n\nEsegesi.\nSecondo il mitografo Robert Graves, Ade, Poseidone e Zeus, i fratelli che congiurarono contro il padre Crono e sconfissero i titani, potrebbero simboleggiare, in un'esegesi di stampo storico, le tre successive invasioni elleniche, comunemente note come ionica, eolica e achea. Le stirpi ioniche ed eoliche furono assorbite dalle culture pre-elleniche, ma ciò non avvenne con gli Achei, che le sopraffecero. Gli Eoli, attorno al II millennio a.C., erano probabilmente diventati sudditi degli Achei e avevano quindi dovuto accettarne gli dei olimpici. Pare inoltre che 'Zeus' fosse in tempi antichi un appellativo regale, e che solo in seguito sia stato riservato al padre degli dei.Secondo Tallo, storico del primo secolo, la vittoria di Zeus contro i titani avvenne 'trecentoventidue anni prima della guerra di Troia'. Questo porterebbe a un periodo attorno al 1500 a.C., una data verosimile per l'espansione ellenica in Tessaglia.
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### Titolo: Tizio.\n### Descrizione: Tizio (in greco antico: Τιτυός?, Tityós) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Gigante.\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus e di Elara, fu partorito da Gaia e fu il padre di Europa (madre di Eufemo).\n\nMitologia.\nNascita.\nConcepito da Zeus e Elara, questa gravidanza fu celata da Era (moglie gelosa di Zeus) nascondendo la madre incinta nelle profondità della terra, ma Tizio nel suo grembo crebbe così tanto che le ruppe l'utero ed Elara morì, e la gestazione finì nella terra (Gea) da cui infine Tizio nacque.\nLa grotta nella quale si credeva che Tizio fosse giunto in superficie era situata in Eubea ed era chiamata Elarion.\n\nMorte.\nEra, per vendicarsi di Latona, che aveva dato alla luce i figli di Zeus Apollo e Artemide, ispirò un violento desiderio al gigante. Tizio andò alla ricerca di Latona e la trovò nel bosco di Panopeo. Ella si trovava lì per adempiere a un rito, quando il gigante Tizio irruppe, cercando di violentarla.\nLe sue grida furono udite da Artemide e Apollo, che uccisero il gigante con una moltitudine di frecce. Secondo Pindaro e Callimaco, fu la sola Artemide ad ammazzarlo; secondo Apollonio Rodio e Quinto Smirneo invece fu il solo Apollo.\nZeus considerò quest'uccisione un atto di giustizia dovuta, nonostante Tizio fosse suo figlio. Secondo un'altra versione, fu lo stesso Zeus a ucciderlo.\n\nSupplizio nel Tartaro.\nGiunto nel Tartaro, Tizio fu condannato a un'orribile tortura: il suo gigantesco corpo, che copriva due acri (o piuttosto nove, secondo Properzio e Claudiano), venne immobilizzato a terra costringendone braccia e gambe, mentre due avvoltoi, due aquile o un serpente avrebbero per l'eternità divorato il suo fegato.\n\nProgenie.\nSecondo una versione del mito, Tizio ebbe per figlio Taso, mentre dalla figlia Europa nacque Eufemo, uno degli Argonauti.\n\nAlcune interpretazioni del mito.\nIl nome del gigante (che in greco è Τιτύος, Tityos) potrebbe derivare dalla parola 'tisis' oppure essere legata ai 'Tityroi', una parola beotica per indicare i satiri che suonano il flauto. Ciò spiegherebbe come mai egli assomigli tanto a un altro dei rivali di Apollo, Marsia. In effetti, alcuni elementi della storia, in particolare il supplizio cui Tizio è condannato nel Tartaro, ricordano da vicino la vicenda del gigante beotico Orione o quella del titano Prometeo.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Tlepolemo.\n### Descrizione: Tlepolemo (in greco antico: Τληπόλεμος?, Tlēpólemos; in latino Tlepolemus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Eracle e di Astioche (oppure di Astidamia).\n\nGenealogia.\nSecondo Omero, Tlepolemo era figlio di Eracle e di Astioche, a sua volta figlia di Filante re di Efira che, per sfuggire a una vendetta familiare per aver ucciso lo zio Licimnio, si sarebbe rifugiato nell'isola di Rodi ed avrebbe fondato le città di Lindo, Ialiso e Camiro.\nSecondo Pindaro invece, Tlepolemo era figlio di Astidamia a sua volta figlia di Amintore re di Dolopia e sarebbe partito per l'isola di Rodi in seguito al responso di un oracolo.\n\nMitologia.\nTlepolemo uccise Licinio, anziano zio materno del padre e per sfuggire alla vendetta dei parenti si trasferì da Argo, città di cui era re, in una zona disabitata dell'isola di Rodi dove fondò le tre città di cui divenne automaticamente il sovrano.\nTlepolemo compare nel secondo canto dell'Iliade come comandante delle truppe di Rodi e la sua morte è narrata nel quinto canto dell'Iliade dove Tlepolemo sfida il capo dei Lici Sarpedonte. Nel duello, Sarpedonte gli trafigge il collo con la lancia, ma Tlepolemo, prima di morire, ferisce gravemente l'avversario.\nIgino cita Tlepolemo anche fra i pretendenti di Elena e in quanto tale avrebbe partecipato alla guerra di Troia.\nDopo la sua morte ed in suo onore, la moglie e regina Polisso allestì splendidi giochi funebri a Rodi a cui ammise anche i bambini e dove il vincitore sarebbe stato coronato con foglie di pioppo bianco ed infine lo vendicò uccidendo Elena.
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### Titolo: Toante (re di Corinto).\n### Descrizione: Toante (in greco antico: Θόας?, Thóas) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ornizione ed a sua volta figlio di Sisifo.\n\nMitologia.\nFu re di Corinto succedendo al padre quando suo fratello Foco colonizzò Tithorea. Fu anche il padre di Damophon, che fu padre di Propodas e Propodas lo fu di Doridas e Hyantidas ma durante il regno di questi ultimi due, Corinto fu conquistato dai Dori capeggiati da Alete trent'anni dopo l'avvento degli Eraclidi. Doridas e Hyantidas consegnarono il controllo della città e gli fu concesso di rimanervi, mentre il resto degli abitanti fu espulso.
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### Titolo: Toosa.\n### Descrizione: Toosa (in greco antico: Θόωσα?, Thóōsa) è un personaggio della mitologia greca. È una bellissima ninfa dei mari, figlia di Forco e Ceto, e madre del ciclope Polifemo, avuto dal dio dei mari Poseidone.
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### Titolo: Toro androprosopo.\n### Descrizione: Il toro androprosopo (cioè il toro con il volto di uomo) è una delle figure mitologiche variamente rappresentate nell'antichità. Oltre al toro con volto umano è rappresentata anche la figura umana con la testa taurina.\nIl toro con volto umano è legato al mito di Acheloo, il dio dell'omonimo fiume greco.\n\nNumismatica.\nLa figura con il corpo umano e la testa taurina è presente nella monetazione di Metapontum, in uno statere datato 440-430 a.C.; la moneta presenta al dritto una spiga di grano, tipica della monetazione di questa comunità, e al rovescio una figura umana nuda, con testa di toro, che tiene una patera nella destra e una canna con la sinistra. La legenda è ΑΨΕΛΟΙΟ ΑΕΘΛΟΝ (Acheloio aethlon), in alfabeto greco arcaico.\nPiù frequente è la figura con il volto umano e il corpo di toro. Questo tipo si trova, nella monetazione degli italioti, nell'area campana e nella monetazione di Laos. In Sicilia è usato da molte città in particolare da Gelas.
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### Titolo: Toro di Creta.\n### Descrizione: Il Toro di Creta (o Toro di Maratona dopo gli sviluppi della storia, in greco antico: Κρὴς ταῦρος?, Krḕs taûros) era un mostro taurino della mitologia greca. Aveva l'aspetto di un toro di grandi dimensioni e possedeva la capacità di soffiare fuoco dalle narici. Il Minotauro nacque da questo e da Pasifae.\nLa cattura del Toro di Creta fu la settima delle dodici fatiche di Eracle.\nIl mitico re di Creta, Minosse, concesse senza problemi all'eroe di portar via il feroce animale, dato che aveva creato problemi a Creta.\nEracle riuscì a catturarlo vivo soffocandolo con le mani, e lo portò con sé ad Atene. Qui Euristeo avrebbe voluto sacrificare l'animale ad Era, che odiava Eracle. Costei rifiutò perciò il sacrificio, per non riconoscere la gloria di Eracle. Il toro fu quindi lasciato libero di vagare, finché si fermò a Maratona, diventando noto come 'toro di Maratona'.\nQui fu rintracciato e sottomesso da Teseo, che lo condusse ad Atene per poi sacrificarlo ad Apollo.\n\nVoci correlate.\nDodici fatiche di Eracle.\nMinotauro.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Toro di Creta.\n\nCollegamenti esterni.\nShāhrazād - Le narrazioni del Progetto Bifröst - Eracle. 3. Le dodici fatiche (seconda parte), su narrazioni.bifrost.it. URL consultato il 1º febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
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### Titolo: Total War Saga: Troy.\n### Descrizione: Total War Saga: Troy è un videogioco di tipo strategico con elementi di tattica in tempo reale e arcade, sviluppato dalla Creative Assembly Sofia e pubblicato dalla SEGA. Il gioco, disponibile per Windows il 13 agosto 2020, è il quattordicesimo titolo in totale della serie Total War (e il secondo di Total War Saga, dopo Thrones of Britannia).\n\nModalità di gioco.\nIn maniera simile a tutti gli altri predecessori, il gioco, ambientato nell'Età del bronzo, durante la guerra di Troia, e che si estende fino alla civiltà egea, possiede anche diverse caratteristiche virtualmente inedite nella saga:.\n\nPer poter combattere non è più sufficiente muovere gli eserciti e basta: vanno riforniti anche di legno, bronzo e cibo.\nOra esistono i favori divini, necessari per appagare gli dei Era, Zeus, Ares, Apollo, Atena, Poseidone e Afrodite, in quanto è possibile stabilire dei rapporti con loro nel corso del gioco; nel caso gli dei siano abbastanza soddisfatti, il giocatore riceverà dei bonus nelle battaglie.\nIl gioco presenta il sistema degli Eroi già presente in Three Kingdoms, ognuno dei quali è equipaggiato con armi, abilità, unità e posizioni strategiche speciali sulla mappa.\nPer la prima volta si utilizzeranno unità mitiche come guerrieri ispirati a ciclopi, minotauri e centauri.\nOltre alle spie, il giocatore può usare anche i sacerdoti per infiltrarsi nelle città ostili.La modalità multigiocatore, in grado di supportare fino a 8 giocatori, è stata introdotta il 26 novembre 2020.\n\nFazioni ed eroi.\nLe fazioni giocabili nel gioco standard sono otto:.\nA queste si aggiungono altre due fazioni, le Amazzoni di Ippolita e quelle di Pentesilea, pubblicate come DLC a settembre 2020, disponibile gratuitamente per i giocatori che hanno connesso i loro account Epic Games e Total War Access. Il 17 settembre 2020, sul canale YouTube di Total War, è stata annunciata l'uscita del DLC, pubblicato una settimana dopo. Il 28 gennaio 2021 è stato pubblicato un DLC che consente di giocare con Salamina (Aiace Telamonio) e Argo (Diomede). Il 1º dicembre dello stesso anno è uscito il trailer sul nuovo DLC, uscito il 14 dicembre, che include due nuovi fazioni e relativi eroi: Reso di Tracia e Memnone d'Etiopia.\n\nSviluppo e pubblicazione.\nTroy come per il suo predecessore, è stato ideato per essere un gioco breve ma più focalizzato, la sua portata è stata ridotta ad un'epoca storica invece di un'era. La casa di sviluppo del gioco è Creative Assembly Sofia in Bulgaria, sussidiaria di The Creative Assembly, lo sviluppo del gioco ha richiesto circa due anni e nove mesi per essere ultimato. Secondo la game director del gioco Maya Georgieva, l'Età del bronzo era un ambiente molto difficile su cui lavorare a causa della mancanza di documenti storici dettagliati e fonti attendibili. Di conseguenza, il team di sviluppo ha dovuto ricorrere alla mitologia greca, in particolare all'antico poema epico dell'Iliade per riempire i dettagli storici mancanti. Nonostante gli elementi mitici, il team ha cercato di mantenere il gioco il più storicamente accurato. Georgieva disse: 'la verità dietro il mito', gli sviluppatori assecondarono questa frase verso 'spiegazioni probabili per i miti e le leggende per completare la storia'. Ad esempio, il cavallo di Troia avrebbe assunto più significati: un terremoto, un'arma d'assedio, oppure un'enorme struttura di legno invece del classico cavallo.Total War Saga: Troy è stato annunciato dall'editore SEGA il 19 settembre 2019. È stato pubblicato il 13 agosto 2020 per Microsoft Windows tramite l'Epic Games Store, come esclusiva per un anno, successivamente nel 2021 verrà pubblicato anche su Steam. The Creative Assembly in seguito ha confermato del suo accordo con Epic Games e ha aggiunto che non aveva alcuna intenzione di rendere i futuri giochi della serie Total War esclusive per una singola piattaforma di distribuzione digitale. Con questa mossa infatti Creative Assembly sperava di far approcciare al franchise un pubblico più ampio, il gioco nel suo giorno di lancio poteva essere riscattato gratuitamente per le prime 24 ore. Nella prima ora di lancio, su Twitter è stato comunicato dalla pagina ufficiale del gioco che più di un milione di persone avevano riscattato il gioco. mentre a fine giornata il gioco è stato riscattato complessivamente da 7.5 milioni di persone circa. The Creative Assembly e Epic Games stanno lavorando insieme per integrare il supporto delle mods ai giocatori.Il 2 settembre 2021 il videogioco è stato pubblicato anche sulla piattaforma Steam. In tale occasione, è stato reso disponibile anche Mythos, un DLC che aggiunge una modalità di gioco comprendente creature mitologiche quali l'Idra, il Grifone e Cerbero, oltre a centauri, arpie e ciclopi.\n\nAccoglienza.\nSul sito web aggregatore di recensioni Metacritic, il gioco ha ottenuto un punteggio medio di 75 su 100, basandosi su 50 recensioni.
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### Titolo: Trace (mitologia).\n### Descrizione: Trace era un figlio di Ares da una madre sconosciuta.\nProbabilmente il mitico capostipite dei Traci, guidò il suo esercito Edone in una campagna marittima contro le isole dell'Egeo, saccheggiò Lemno e altre isole circostanti.\nMa quando attaccò il santuario di Apollo a Delo, il dio inflisse a lui e ai suoi uomini una 'orribile malattia' (probabilmente lebbra).\nQuando tornarono in Tracia non erano i benvenuti e fondarono una colonia nella piccola isola di Icaria.
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### Titolo: Trattato di Poti.\n### Descrizione: Il trattato di Poti fu un accordo provvisorio fra l'Impero tedesco e la Repubblica Democratica di Georgia, con il quale i georgiani accettavano il riconoscimento e la protezione da parte della Germania. L'accordo fu firmato presso la città portuale di Poti il 28 maggio 1918 dal generale Otto von Lossow per la Germania e, per la Georgia, dal primo ministro Noe Ramishvili e dal ministro degli esteri Akaki Chkhenkeli.
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### Titolo: Tricca (ninfa).\n### Descrizione: Tricca è una ninfa epònima dell'omonima città della Tessaglia occidentale.\nSi ritiene sia figlia del dio fluviale Peneo. Fu moglie d'Ipseo, re dei Lapiti e madre di Cirene e di Caneo.
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### Titolo: Trie (ninfe).\n### Descrizione: Le Trie (/ˈθraɪ.iː/; in greco antico: Θριαί?, Thriaí ) erano una delle numerose triadi di ninfe della mitologia greca. I loro nomi erano Melaina ('La Nera'), Cleodora ('Famosa per il suo dono') e Dafni ('Alloro') o Coricia.\n\nMitologia.\nErano le tre Naiadi delle sorgenti sacre dell'antro coricio del Parnaso a Focide, divinità protettrici delle api. Le ninfe avevano la testa e il torso di donna e la parte inferiore del corpo e le ali d'ape.Le tre sorelle erano romanticamente legate agli dei Apollo e Poseidone; Coricia, la sorella da cui prese il nome l'antro coricio, fu madre di Licoreo, generandolo con Apollo, Cleodora fu amata da Poseidone, e fu madre da lui (o da Cleopompo) di Parnasso, mentre Melaina era anche ella amata da Apollo, con il quale generò Delfo (sebbene secondo un'altra tradizione la madre dell'eroe fosse Tia. Il suo nome, che significa 'la nera', suggerisce che fosse a capo delle ninfe sotterranee.\nDelle 'fanciulle delle api' con il potere della divinazione e quindi in grado di conoscere e dire la verità sono descritte nell'Inno omerico a Ermes, nel quale il cibo degli dei è identificato con il miele; tali fanciulle erano in origine associate ad Apollo e probabilmente non sono identificate correttamente con le Trie. Sia le Trie che le fanciulle delle api hanno il merito di aver assistito Apollo nello sviluppo dei suoi poteri, ma la divinazione che Apollo ha appreso dalle prime è diversa da quella delle seconde. Il tipo di divinazione insegnato dalle Trie ad Apollo era infatti quello relativo al lancio delle pietre, mentre quella delle fanciulle delle api, associato anche a Ermes, era la cosiddetta cleromanzia, che faceva uso di dadi e simili.
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### Titolo: Trifiodoro.\n### Descrizione: Trifiodoro (in greco antico: Τριφιόδωρος?, Triphiódōros; Egitto, ... – ...; fl. III secolo) è stato uno scrittore e poeta greco antico.\n\nBiografia.\nNato in Egitto, vissuto alla metà del III secolo, autore di svariate opere perdute (Marathoniaca, una storia di Ippodamia e una rielaborazione dell'Odissea, secondo una tradizione risalente a Timolao in età ellenistica e Nestore di Laranda nella prima età imperiale).\nIn effetti, quel poco che si conosce della vita di Trifiodoro proviene dal lessico bizantino Suda che indica che egli era di Panopoli (oggi Akhmim, Egitto) e che era un grammatico e poeta epico, ma non aiuta con la sua datazione.\nTradizionalmente era datato al V secolo, poiché da un lato si riteneva imitasse le Dionisiache di Nonno di Panopoli (a sua volta datato al IV-V secolo), dall'altro, appariva imitato da Colluto, vissuto sotto l'imperatore Anastasio, 491-518. Tuttavia, la pubblicazione nel 1970 di un frammento di papiro da Ossirinco, che contiene i versi 301-402 del Sacco di Troia e datato al III secolo o agli inizi del IV, ha fatto anticipare la sua datazione al III secolo.\n\nLa Presa di Troia.\nDi Trifiodoro rimane un epillio, dal titolo La presa di Troia (Ἰλίου Ἅλωσις, in latino Ilii excidium), in 691 esametri dattilici, stilisticamente vicino, come detto, a Nonno di Panopoli e a Quinto Smirneo, edito per la prima volta da Aldo Manuzio nel 1521 insieme a opere di Quinto Smirneo e di Colluto.\nIl poeta, dopo una brevissima invocazione a Calliope, parla della situazione disastrosa delle truppe dei Greci e Troiani (vv. 6-39): entrambi sono minati dalla stanchezza di anni di combattimenti e di pesanti perdite.\nPoi i greci catturano Eleno, veggente di Troia e, seguendo il suo consiglio, chiamano Neottolemo (figlio di Achille) per rinfrancare l'esercito e rubare il Palladio da Troia (vv. 40-56). La costruzione del cavallo di legno è ispirata da Atena e il poeta ne dà una lunga descrizione (vv. 57-107), dopodiché i greci tengono un'assemblea in cui Odisseo convince i combattenti più coraggiosi a nascondersi con lui nel cavallo e il resto delle truppe a fingere di fuggire da Troia, mentre si prepareranno a tornare nella notte seguente (108-234).\nIl mattino seguente i Troiani scoprono la scomparsa dell'esercito acheo, ispezionano il loro accampamento e ammirano il cavallo di legno (235-257). Sinone appare davanti a loro coperto di sangue e convince Priamo a prendere il cavallo nella loro cittadella per conquistare l'attenzione di Atena ed evitare che aiuti i greci a tornare (258-303). I Troiani decidono di trasportare il cavallo e rompono le mura, altrimenti indistruttibili, di Troia per portarlo nella loro cittadella (304-357), al che Cassandra cerca di farli rinsavire, ma, su ordine di Priamo, viene allontanata (358-443).\nMentre si festeggia la fine della guerra, Afrodite dice ad Elena di riunirsi a Menelao (che si nasconde nel cavallo): sicché Elena va al tempio di Atena, dove il cavallo è tenuto e chiama per nome gli eroi nascosti, fingendo di imitare le voci delle loro mogli, in modo da tentarli ad uscire. Uno di loro, Anticlo, sta per cedere e Odisseo deve strangolarlo, mentre per ordine di Atena Elena si reca nella sua stanza e accende una torcia per chiamare la flotta greca a Troia per la battaglia finale (454-498a).\nMentre i Troiani sono sopraffatti da un sonno profondo, gli dei abbandonano Troia ed Elena e Sinone accendono le torce per guidare il ritorno della flotta greca (498b-521). La flotta arriva e i guerrieri nascosti lasciano il cavallo, dando inizio ad una lunga notte di combattimenti, ricca di episodi drammatici (506-663).\nIl poeta poi decide di porre fine alla narrazione e concludere (664-667) con la una breve descrizione di come, all'inizio del nuovo giorno, i vincitori controllino i sopravvissuti e bottino, mettano Troia a fuoco, sacrifichino Polissena per placare lo spirito di Achille, distribuiscano il bottino e lascino la città per sempre (668-691).
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### Titolo: Trionfo di Dioniso.\n### Descrizione: Il Trionfo di Dioniso è un affresco proveniente da Villa Carmiano, rinvenuto durante gli scavi archeologici dell'antica città di Stabiae, l'odierna Castellammare di Stabia e conservato all'Antiquarium stabiano.\n\nStoria e descrizione.\nRealizzato durante la prima metà del I secolo, durante l'età flavia, l'affresco ricopriva la parete sud e l'angolo sud-ovest del triclinio di Villa Carmiano: ritrovato ancora intatto durante l'esplorazione degli anni sessanta del XX secolo da Libero D'Orsi, fu staccato dalla sua collocazione originale e conservato all'interno dell'Antiquarium stabiano per preservarne l'integrità.\nL'affresco, il principale della stanza e che ispira anche gli altri due presenti, ossia Nettuno e Amimone e Bacco e Cerere, si divide in tre parti: nella zona centrale è posta la raffigurazione principale, purtroppo gravemente rovinata e di cui è visibile il mantello viola di Dioniso e parte del chitone azzurro di Arianna; la scena si completa con un carro trainato da due tori preceduti da un satiro che suona un doppio flauto e da un piccolo cavallo nero e diverse figure umane. Il pannello di sinistra e quello angolare di destra sono in rosso pompeiano, colorazione uguala quello centrale e presentano, nel mezzo, due figure femminili volanti, che sono racchiuse in un'ampia cornice floreale. La zoccolatura è in giallo e si divide anch'essa, come la parte superiore, in tre zone: in quella centrale è raffigurato un paesaggio lacustre, molto rovinato, mentre in quelle laterali, due mostri marini inseriti in una cornice marrone.
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### Titolo: Tritone (divinità).\n### Descrizione: Tritone è, nella mitologia greca, il figlio del dio del mare Poseidone e della nereide Anfitrite, e il progenitore dei Tritoni.\n\nCaratteristiche.\nTritone aveva un corno di conchiglia, il cui suono calmava le tempeste e annunciava l'arrivo del dio del mare. Notissimo per l'aiuto che diede a Giasone e agli Argonauti nel trovare la rotta da seguire, Tritone veniva raffigurato con la metà superiore umana e quella inferiore a forma di pesce, mentre tutta la pelle era verde. La sua origine è pregreca, probabilmente fenicia (vedi Dagon).\nNell'iconografia, con il nome di Tritoni si designa un ampio numero di divinità marine minori che accompagnano Poseidone, considerate la progenie di Tritone stesso.\n\nNella cultura di massa.\nIl personaggio di Re Tritone del film Disney La sirenetta è basato su Tritone.
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### Titolo: Troade.\n### Descrizione: La Troade è il nome storico della penisola di Biga (turco: Biga Yarımadası, greco: Τρῳάς) situata nella parte nord-occidentale dell'Anatolia, Turchia.\nLa regione fa parte della provincia turca di Çanakkale. Delimitata a nord-ovest dai Dardanelli, a ovest dal mar Egeo ed è separata dal resto dell'Anatolia dal Monte Ida. Nella regione, bagnata da due fiumi principali, lo Scamandro (Karamenderes) e il Simoenta, si trovano le rovine dell'antica città di Troia. Grenikos, Kebren, Simoeis, Rhesos, Rhodios, Heptaporos e Aisepos erano sette fiumi della Troade e anche i nomi delle corrispondenti divinità fluviali.\n\nStoria.\nLa regione, nota in seguito con il nome di Troade, veniva chiamata Wilusa (la wilusa omerica) dagli ittiti. Questa identificazione venne per prima avanzata da Emil Forrer, ma ampiamente contestata dalla maggior parte degli esperti sugli ittiti fino al 1983, quando Houwink ten Cate mostrò due frammenti della stessa originale tavoletta cuneiforme e la sua analisi della lettera restaurata rivelava che Wilusa fosse correttamente posta nell'Anatolia nord-occidentale. Secondo Trevor Bryce, i testi ittiti indicano un numero di incursioni degli Ahhiyawa su Wilusa durante il XIII secolo a.C., che potrebbero avere causato la disfatta del re Walmu. Anche Bryce riferisce che le ricerche archeologiche condotte da John Bintliff negli anni settanta mostrano che un potente regno dominante l'Anatolia nord-occidentale fosse incentrato su Troia.\nI re di Pergamo (adesso Bergama) più tardi cedettero il territorio della Troade alla repubblica romana. Sotto l'impero, il territorio della Troade divenne parte della provincia d'Asia e poi con l'impero bizantino inclusa nel thema delle Isole Egee. In seguito alla conquista da parte dell'impero ottomano, la Troade venne a formare parte del sangiaccato di Biga.\n\nLa Troade secondo la mitologia greca.\nDopo la morte di Dardano (figlio di Zeus e di Elettra), fondatore della città di Dardania, il regno passò al nipote Troo, che chiamò la regione 'Troade' e gli abitanti 'troi' (o 'troiani' secondo alcuni autori latini).\nIlo, figlio di Troo, fondò la città di Ilio o, altrimenti detta, Troia. La città fu retta poi da Laomedonte e quindi da Priamo, durante il cui regno venne assediata dagli Achei; cadde dopo dieci anni di guerra, e gran parte della popolazione fu uccisa o fatta schiava. Le vicende legate alla città sono cantate nei poemi greci del Ciclo Troiano e nell'Eneide.\nIlion non fu l'unico insediamento della Troade a darsi uno statuto; nello stesso periodo sorsero altri regni, i cui sovrani intervennero poi in difesa di Priamo durante il decennale assedio. Il regno più grande era quello della città di Arisbe, governato da Asio, figlio della moglie ripudiata di Priamo (Arisbe, donde il nome della capitale) e di Irtaco; il giovane controllava anche le città di Sesto, Abido e Percote. Adrasto e Anfio, suoi zii materni, erano invece sovrani rispettivamente di Adrastea e Pitiea. A Colone regnava Cicno, mentre suo figlio Tenete aveva preso il potere a Tenedo, l'isola di fronte a Troia. Nella città di Zelea, infine, comandava Licaone: questi fu l'unico che non prese personalmente parte alla guerra di Troia, essendo già avanti negli anni, e vi inviò suo figlio Pandaro.\n\nLa Troade nel Nuovo Testamento.\nPaolo visitò la Troade e ad essa si riferisce quando chiede al suo amico Timoteo, fuori da Efeso, di portargli il suo mantello che aveva lasciato là a casa di Carpo. Questo era stato un viaggio di circa 500 km; Paolo venne accompagnato da Luca.\n\nCittà.\nAdrastea.\nArisbe.\nAstira.\nAzia.\nBerito (Troade).\nColone.\nPercote.\nPitiea.\nTroia.\nZelea.
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### Titolo: Trofonio.\n### Descrizione: Trofonio (Τροφώνιος) è stato un eroe greco divenuto poi un demone o un dio - non si sa esattamente quale dei due - con una ricca tradizione mitologica e un culto oracolare a Livadeia in Beozia.\n\nIl mito.\nIl nome etimologicamente deriva da trepho, 'nutrire'. Strabone e diverse iscrizioni si riferiscono a lui come Zeus Trephonios. Molti altri Zeus Ctoni sono noti nel mondo greco, tra cui Zeus Meilikhios (Zeus 'dolce come il miele') e Zeus Ctonio ( 'Zeus sotterraneo') .\nNella mitologia greca, Trofonio era figlio di Ergino. Secondo l'Inno omerico ad Apollo, Trofonio iniziò a costruire il tempio a Delfi con suo fratello, Agamede per dedicarlo ad Apollo. Una volta terminato, l'oracolo vaticinò ai fratelli di fare ciò che volevano per sei giorni e, il settimo, il loro più grande desiderio sarebbe stato concesso. Obbedendo all'oracolo, furono trovati morti il settimo giorno. Il detto 'coloro che gli dèi amano muoiono giovani' viene da questa storia.\nSecondo Pausania, invece, i due gemelli costruirono una camera del tesoro (con un unico ingresso segreto di cui solo loro conoscevano l'esistenza) per il re Iprieo della Beozia. Utilizzando l'entrata segreta, rubarono la fortuna di Iprieo poco alla volta. Egli era consapevole dei furti, ma non sapeva chi fosse il ladro e così escogitò una trappola. Agamede rimase intrappolato in questa; Trofonio gli tagliò la testa e se la portò via, in modo che Iprieo non avrebbe saputo di chi fosse il corpo caduto nel tranello. Poi si rifugiò nella caverna di Lebadaea: qui la terra lo inghiottì, ed egli scomparve per sempre.\n\nStoria e culto.\nSecondo Pausania, la grotta di Trofonio non era ancora conosciuta quando la Beozia venne colpita dalla siccità e furono inviati cittadini di varie città a consultare l'oracolo di Delfi. La Pizia rivelò loro che avrebbero dovuto trovare la tomba di Trofonio, presso Lebadea, e farsi dire il rimedio. Dopo diverse ricerche risultate infruttuose, proprio quando la siccità sembrava destinata a perdurare, un anziano inviato seguì una scia di api in un buco nel terreno. Invece di miele, trovò la divinità, e la regione fu libera dalla piaga.\nLa descrizione che Pausania fornisce dell'oracolo è la seguente. Dopo un periodo di ritiro e digiuno il consultante è ammesso a compiere sacrifici a Trofonio, successivamente viene portato a bere a due sorgenti, la prima di Lethe, per dimenticare la vita umana, la seconda di Mnemosyne, per conservare in memoria ciò che apprenderà nell'altro mondo. A questo punto penetra nella 'bocca oracolare' introducendovi prima i piedi e poi le ginocchia; il resto del corpo è 'tirato a forza'. Dopo qualche tempo in stato di semi-incoscienza il paziente viene tratto fuori dai preposti all'oracolo e fatto sedere sul trono della Memoria. Infine esce dallo stato comatoso, riprende la facoltà di ridere e può uscire con il suo responso.\nNel De genio Socratis Plutarco ci riferisce di un sogno-visione riguardante il cosmo e l'aldilà che è stato presumibilmente ricevuto dall'oracolo di Trofonio.
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### Titolo: Troia.\n### Descrizione: Troia o Ilio (in greco antico: Τροία? o Ἴλιον, Īlĭŏn, o Ἴλιος, Īlĭŏs, e in latino Trōia o Īlium) è stata un'antica città dell'Asia Minore posta all'entrata dell'Ellesponto, su una collina di Hissarlik, nella moderna Turchia. Attualmente è un sito storico, chiamato Truva e popolato da un centinaio di abitanti.\nWilusa, termine presente in più parti negli archivi reali Ittiti, secondo una ricerca condotta da Frank Starke nel 1996, ormai universalmente accettata dal mondo accademico, da J. David Hawkins nel 1998 e da WD Niemeier nel 1999 era il nome, nella lingua luvia/ittita propria degli abitanti dell'area, della città poi passata alla storia come Troia.\nFu teatro della guerra di Troia narrata nell'Iliade, che descrive una breve parte dell'assedio (prevalentemente due mesi del nono anno di assedio, secondo la cronologia proposta dal poeta epico Omero, a cui viene attribuito il poema), mentre alcune scene della sua distruzione sono raccontate nell'Odissea. Dello stesso conflitto si canta in molti poemi epici greci, romani e anche medievali.\nAltri poemi ellenici arcaici notevoli sulla guerra di Troia sono i Canti Cipri, le Etiopide, la Piccola Iliade, la Distruzione di Troia e i Ritorni. Il poema latino Eneide inizia descrivendo l'incendio finale della città. Un inserto poetico, la Troiae Alosis (Presa di Troia), è contenuto nella Pharsalia del poeta latino Marco Anneo Lucano.\nFu abitata fin dal principio del III millennio a.C.. Si trova ora nella provincia di Çanakkale in Turchia, presso lo stretto dei Dardanelli, tra il fiume Scamandro (o Xanthos) e il Simoenta e occupa una posizione strategica per l'accesso al Mar Nero. Nei suoi dintorni vi è la catena del monte Ida e di fronte alle sue coste si può vedere l'isola di Tenedo. Le condizioni particolari dei Dardanelli, dove c'è un flusso costante di correnti che passano dal Mar di Marmara al Mar Egeo e dove è solito soffiare un forte vento da nord-est durante tutta la stagione che va da maggio a ottobre, suggerisce che le navi, le quali durante le epoche più antiche abbiano cercato di attraversare lo stretto, spesso abbiano dovuto attendere condizioni più favorevoli attraccate per lunghi periodi nel porto di Troia.\nDopo secoli di abbandono, le rovine di Troia sono state riscoperte sulla collina di Hissarlik durante gli scavi svolti nel 1871 dallo studioso tedesco di archeologia Heinrich Schliemann, a seguito di alcune indagini iniziali condotte a partire dal 1863 da Frank Calvert. Il sito archeologico di Troia è stato proclamato patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO nel 1998.\n\nTroia mitica.\nFondazione.\nSecondo la mitologia greca, la famiglia reale troiana trova i suoi capostipiti in Elettra, una delle Pleiadi, e in Zeus, i genitori divini di Dardano. Questi, nato in Arcadia, secondo la tradizione riportata dal mito, giunse in quella terra dell'Asia Minore proveniente dall'isola di Samotracia. Qui conobbe Teucro, che lo trattò con rispetto e instaurò con lui un rapporto di salda amicizia, tanto da donargli in sposa la propria figlia Batea.\nDardano fondò nelle vicinanze un primo insediamento urbano, che volle chiamare Dardania. Dopo la sua morte il regno passò al nipote Troo. Uno dei figli di quest'ultimo, il bel principe Ganimede, mentre si trovava a pascolare il gregge sul monte Ida, venne rapito da Zeus. Il re dell'Olimpo, rimasto ammaliato dalla sublime bellezza del giovinetto, lo volle perennemente al suo fianco sull'Olimpo per fargli da coppiere.\n\nIlo, un altro dei figli di Troo, diede le basi per la fondazione di quella che sarebbe stata conosciuta come Troia/Ilion, chiedendo al contempo al Signore degli dèi un segno della sua benevolenza e del suo favore riguardo all'impresa: ed ecco che del tutto casualmente venne rinvenuta nelle profondità della terra una grande statua lignea nota come Palladio (in quanto raffigurante Pallade, una cara amica, nonché compagna di giochi della dea Atena: si racconta che ancora fanciulla, Atena uccise incidentalmente la sua compagna di giochi Pallade, mentre si era impegnata con lei in uno scherzoso combattimento, armate di lancia e di scudo. In segno di lutto, Atena aggiunse il nome di Pallade al proprio), apparentemente caduta dal cielo. Un oracolo poi vaticinò che fino a quando la statua fosse rimasta all'interno del perimetro cittadino, Troia si sarebbe mantenuta invincibile, con delle mura inattaccabili. Ilo fece subito costruire un tempio dedicato ad Atena nel luogo esatto del ritrovamento.\nGli abitanti di Troia vennero chiamati collettivamente 'il popolo dei troiani', mentre Teucro, assieme ai discendenti di Dardano, Troo e Ilo, furono considerati i fondatori eponimi del sito. Gli antichi romani, a loro volta, successivamente associarono il nome del luogo con quello di Ascanio (in lingua latina Iulo), il figlio del principe troiano Enea e mitico antenato della Gens Giulia, a cui appartenne tra gli altri anche Giulio Cesare.\n\nLa costruzione delle mura e la prima conquista da parte di Eracle.\nFurono gli dèi Poseidone e Apollo a fornire la città di grandi mura e fortificazioni attorno al perimetro abitato, cosicché potesse divenire inespugnabile. Lo fecero per Laomedonte, figlio di Ilo e suo successore al trono. Eseguito quanto pattuito, al termine dei lavori Laomedonte si rifiutò però di pagare il salario concordato: Poseidone allora, per vendicarsi, inondò la campagna, distruggendone i raccolti, e scatenò un mostro marino che divorò gli abitanti. L'ira del dio, secondo l'oracolo che venne consultato, si sarebbe placata solo se Laomedonte avesse fornito come sacrificio umano al mostro la propria figlia Esione.\nLa vergine doveva essere divorata dal mostro e venne quindi incatenata a una roccia prospiciente la costa: ma giunse proprio allora al palazzo reale Eracle, che chiese al re cosa stesse succedendo. Questi gli spiegò la situazione e l'eroe si offrì di uccidere il mostro, ricevendo la promessa di ottenere in cambio i due velocissimi cavalli divini che Troo aveva ricevuto a suo tempo, in regalo dallo stesso Zeus a titolo di risarcimento per il rapimento del figlio Ganimede.\nEracle, giunto alla spiaggia, ruppe le catene che tenevano avvinta l'inerme fanciulla e la riconsegnò sana e salva tra le braccia del padre; poi si apprestò ad affrontare la terrifica creatura. Sostenuto dalla dea Atena riuscì dopo tre giorni di accesa battaglia ad aver la meglio sul mostro, uccidendolo. A questo punto, liberata la città e tutta la campagna circostante dall'essere sovrumano, si recò a reclamare la ricompensa: ma anche questa volta Laomedonte si rifiutò di saldare il debito contratto e cercò anzi d'ingannare l'eroe facendo sostituire i cavalli divini con degli animali ordinari.\nIn alcune versioni del mito questo episodio si situa all'interno della spedizione degli Argonauti: Eracle se ne andò irato e s'imbarcò alla volta della Grecia, minacciando però ritorsioni e promettendo che sarebbe ritornato. Alcuni anni dopo, l'eroe, dopo aver reclutato a Tirinto un esercito di volontari, tra cui vi erano Iolao, Telamone, Peleo e Oicle, guidò una spedizione punitiva composta da 18 navi. Dopo un aspro assedio, le mura furono violate ed Eracle conquistò Troia, facendo prigionieri gli abitanti e uccidendo il fedifrago Laomedonte con tutti i suoi figli, ad eccezione del giovane Podarce, l'unico tra i figli maschi di Laomedonte ad essersi a suo tempo opposto al padre, consigliandogli di rispettare i patti e consegnando le cavalle ad Eracle.\nEracle risparmiò anche la bella Esione, che diede in sposa al suo caro amico Telamone. Ella chiese che il fratello Podarce venisse fatto liberare dallo stato di schiavitù in cui era stato costretto assieme agli altri superstiti: da quel momento egli si volle chiamare Priamo (il salvato), perché fu liberato dalla schiavitù.\nInfine, dopo aver devastato tutta la campagna circostante, Eracle, finalmente pago di vendetta, se ne andò assieme a Glaucia, figlia del dio fluviale Scamandro, lasciando come effettivo re di Troia Priamo, in virtù del suo senso di giustizia.\n\nLa guerra di Troia: assedio e distruzione.\nSecondo Omero, come narrato nel suo poema epico Iliade, lo scontro che vide affrontarsi gli Achei provenienti dalla penisola greca e il popolo dei troiani avvenne proprio sotto il tardo regno del re Priamo; Eratostene ha datato la guerra di Troia tra il 1194 e 1184 a.C., il Marmor Parium tra il 1219 e il 1209 a.C., infine Erodoto attorno al 1250 a.C.\nLa città fu assediata per dieci lunghi anni dalla spedizione dei micenei al comando di Agamennone re di Micene, che voleva in tal modo vendicare l'onta subita dal fratello Menelao re di Sparta, ossia il rapimento di sua moglie Elena (definita la donna più bella del mondo) da parte del principe troiano Paride, il più giovane tra i figli di Priamo. La guerra fu vinta e la città cadde grazie allo stratagemma del cavallo di legno ideato da Ulisse, l'astuto signore di Itaca.\nSecondo la tradizione letteraria, la maggior parte degli eroi di Troia e dei suoi alleati morirono nel corso della guerra; solo alcuni riuscirono a porsi in salvo, dando origine secondo diversi autori ad alcuni popoli del Mediterraneo. Tucidide ed Ellanico di Lesbo riportano la narrazione per cui dei sopravvissuti si stabilirono in Sicilia, nelle città di Erice e Segesta, ricevendo il nome di Elimi.\nInoltre Erodoto dice che anche i Mashuash, una tribù della costa libica occidentale, rivendicavano il fatto di essere discendenti diretti di uomini arrivati da Troia. Alcune di queste storie mitiche, talvolta con contraddizioni tra loro, compaiono sia nell'Iliade che nell'Odissea, oltre che in altre opere e frammenti successivi.\n\nSecondo la leggenda romana narrata da Virgilio e Tito Livio un gruppo guidato da Enea e un altro da Antenore sopravvissero e navigarono prima fino a Cartagine e poi in direzione della penisola italiana. Enea raggiunse il Lazio dove è considerato il diretto antenato dei fondatori di Roma; il gruppo di Antenore proseguì invece lungo la costa settentrionale del Mar Adriatico ove gli viene anche attribuita la fondazione della città di Padova. Ai primi insediamenti di questi sopravvissuti in Sicilia e in Italia sono stati altresì dati il nome di 'Troia'. Le navi troiane su cui viaggiavano i marinai fuggiaschi vennero trasformate da Cibele in naiadi, quando stavano per essere affrontati da Turno, l'avversario di Enea in Italia.\n\nDatazione 'letteraria' della guerra di Troia.\nFonti letterarie greche parlano di una distruzione di Troia ad opera greca da collocarsi piuttosto nella fine del XII secolo a.C.\nTucidide parla di Agamennone e della guerra di Troia nel II libro della sua opera storica intitolata Guerra del Peloponneso (par. 9), ma la datazione è ricavabile piuttosto dal passo del libro V legato al cosiddetto 'discorso dei Meli'. Nel dialogo con gli Ateniesi, i Meli sottolineano di essere di tradizione dorica e di essere stati colonizzati dagli Spartani da settecento anni. Siccome l'avvenimento è del 416 a.C. e passano ottant'anni tra la guerra di Troia e la colonizzazione dei Dori ('ritorno degli Eraclidi'), la data attribuita da Tucidide alla caduta di Troia è il 1196 a.C.\n\nErodoto ricostruisce una datazione più antica, ma attraverso una ricerca meno storiografica: nel II libro delle Storie (lògos egizio, cap.145) egli sostiene di essere nato quattrocento anni dopo Omero ed Esiodo. La distruzione di Troia è così spostata più indietro: tra il 1350 e il 1250 a.C.\nEratostene di Cirene è autore della datazione che, dal III secolo a.C., riscuote maggiore successo. Non essendoci giunte opere complete di questo autore, la sua datazione viene riportata da Dionigi di Alicarnasso nelle Antichità romane, in un passato collegato all'arrivo di Enea in Italia e alla fondazione di Lavinio.\nDionigi riporta la data esatta, in termini antichi, della caduta di Troia, che corrisponderebbe all'11 giugno 1184-1182 a.C.. Ultima conferma sembra venire dalla Piccola Cosmologia di Democrito di Abdera, filosofo del V secolo a.C. e contemporaneo di Erodoto; egli dice di aver composto quest'opera 730 anni dopo la distruzione di Troia: essendo vissuto intorno al 450 a.C., la data in questione risulta essere il 1180 a.C..\n\nDiscendenti dei Troiani.\nIn passato non era raro che genti, popoli, nazioni, famiglie e uomini importanti cercassero di darsi un'origine nobile; normalmente era la letteratura antica che forniva gli 'agganci' giusti; così moltissimi sono i popoli, le genti, le nazioni, i re e le dinastie che hanno fatto derivare la propria origine genealogica ed 'etnica' da Troia:.\n\nantichi Romani – Romolo e Remo, i mitici fondatori della città di Roma, discendevano in linea diretta dal troiano Enea;.\nElimi, un popolo della Sicilia occidentale, come asserito da Tucidide e Dionigi d'Alicarnasso;.\nFranchi – antenati di parte dei francesi e tedeschi;.\nIliensi – popolo appartenente alla Civiltà nuragica della Sardegna centro-meridionale. Il loro nome deriverebbe proprio da Ilion, altro nome di Troia;.\nScandinavi e Islandesi, che riconducevano, con autori come Snorri Sturlusson, la genealogia di re e dinastie al mitico Re di Turchia, intendendo con questa denominazione il Re di Troia);.\nTurchi – ancora Ataturk amava sottolineare questa derivazione;.\nVeneti – il nobile principe Antenore avrebbe guidato un gruppo di troiani superstiti nella ricerca di una nuova patria nelle terre dell'alto Adriatico e qui fondato Padova;.\nBritanni – Bruto di Troia, figlio di Ascanio e nipote di Enea, secondo l'Historia Brittonum, dopo aver ucciso per errore il padre ed essere stato bandito per questo, avrebbe vagato in Etruria e per tutta la Gallia, fino a giungere nell'isola di Britannia divenendone il primo re attorno al 1100 a.C.\n\nStoricità della guerra di Troia.\nIl problema della storicità della guerra di Troia ha scatenato nel corso dei secoli speculazioni di ogni tipo. Lo stesso Heinrich Schliemann ammise che Omero era un autore di poesia epica e non uno storico, ma era anche fermamente convinto che non si fosse inventato tutto e che potrebbe aver esagerato per licenza poetica le dimensioni di un conflitto storicamente avvenuto. Poco dopo, l'esperto di archeologia Wilhelm Dörpfeld ebbe a sostenere che 'Troia VI' fosse stata vittima dell'espansionismo miceneo. A questa ipotesi si rifece Sperling ancora nel 1991.\n\nGli studi approfonditi di Carl Blegen e del suo team hanno concluso che una spedizione achea deve essere stata la causa della distruzione di 'Troia VII-A', avvenuta all'incirca attorno al 1250 a.C. – poi corretto in una data più vicina al 1200 a.C. –, ma non si è ancora in grado di dimostrare chi effettivamente siano stati gli aggressori di 'Troia VII-A'. Nel 1991 Hiller ha ipotizzato due diverse guerre, avvenute in differenti epoche, ad aver segnato la fine di 'Troia VI' e di 'Troia VII-A'. Nel 1996 Demetriou ha insistito sulla data del 1250 a.C. per una storica guerra di Troia, tramite uno studio che si basa su siti archeologici ciprioti.Al contrario Moses Finley ha più volte negato la presenza di elementi espressamente micenei nei poemi omerici e rileva l'assenza di prove archeologiche inconfutabili per dare piena storicità al mito. Altri studiosi di spicco appartenenti a questa corrente scettica sono lo storico Frank Kolb e l'archeologo tedesco Dieter Hertel.\nIl filologo classico e grecista Joachim Latacz, in uno studio che collega fonti archeologiche, fonti storiche ittite e passi omerici, come il lungo catalogo delle navi del Libro II dell'Iliade, ha testato l'origine micenea della leggenda, ma per quanto riguarda la storicità della guerra si è mantenuto cauto, ammettendo solo la probabile esistenza di un substrato storico nella generalità del racconto.\nAlcuni hanno cercato di sostenere la storicità del mito con lo studio di testi storici coevi dell'età del bronzo. Carlos Moreu ha interpretato un'iscrizione egizia proveniente da Medinet Habu, in cui si narra dell'attacco contro l'Egitto da parte dei cosiddetti popoli del Mare, in modo diverso dall'ermeneutica tradizionale. Secondo la sua interpretazione, gli Achei avrebbero attaccato diverse regioni dell'Anatolia comprese tra la città di Troia e l'isola di Cipro; i popoli attaccati si sarebbero poi accampati tra gli Amorrei e successivamente avrebbero formato una coalizione, che avrebbe affrontato il faraone Ramses III nel 1186 a.C..\n\nTroia storica.\nNelle fonti Ittite.\nLa città di Troia fu abitata con certezza fin dalla prima metà del III millennio a.C., ma il suo massimo splendore coincise con l'ascesa dell'impero ittita. Nel 1924, poco dopo la decifrazione della scrittura in lingua ittita, il linguista Paul Kretschmer aveva paragonato un toponimo che compare nelle fonti ittite, Wilusa, con il toponimo greco Ilios utilizzato come nome di Troia. Gli studiosi, sulla base di prove linguistiche, hanno stabilito che il nome di Ilios aveva perso un digamma iniziale e in precedenza era stato Wilios. A questo si unisce anche una comparazione col nome di un re troiano così come è scritto nei documenti ittiti (datati all'incirca al 1280 a.C.), denominato Alaksandu: Alessandro è utilizzato nell'Iliade come nome alternativo per indicare Paride, il principe troiano rapitore della regina Elena.Le proposte per l'identificazione di Wilusa con W-Ilios e Alaksandu con Alexander-Paride furono inizialmente motivo di accese controversie: era dubbia difatti la posizione geografica di Wilusa e nelle fonti ittite compare anche il nome di Kukunni come re di Wilusa e possibile padre di Alaksandu, personaggio che sembrerebbe non intrattener alcuna relazione apparente con la leggenda di Paride. Alcuni hanno suggerito che questo nome possa avere il suo equivalente in greco nel nome Κύκνος (Cicno, figlio di Poseidone), un altro personaggio presente nell'epica del Ciclo troiano.\nTuttavia, nel 1996, l'orientalista tedesco Frank Starke ha dimostrato che in effetti la posizione di Wilusa deve essere pressappoco situata nello stesso luogo di Troia, nella regione della Troade, cosicché oggi l'identificazione tra Troia e Wilusa sembra generalmente accettata. Una minoranza (tra cui l'archeologo Dieter Hertel) rifiuta però di accettare questa identificazione. I principali documenti ittiti che citano Wilusa sono:.\n\nil cosiddetto Trattato di Alaksandu, un patto stipulato tra il re ittita Muwatalli II e Alaksandu re di Wilusa, risalente al 1280 a.C. Dal testo decifrato di questo trattato è stato dedotto che Wilusa aveva un rapporto di subordinazione, ma anche di alleanza, nei confronti dell'Impero ittita.Tra gli dei i cui nomi vengono menzionati nel trattato come testimoni dell'alleanza figurano 'Apaliunas', da alcuni ricercatori identificato con Apollo, e Kaskalkur, cioè 'strada conducente agli inferi', una Dea dei flussi sotterranei. Su chi rappresentasse effettivamente Kaskalkur, l'archeologo Manfred Korfmann indica che in quella maniera vengono designati i corsi d'acqua che, scomparendo nel terreno di certe regioni, vengono poi a riemergere verso l'esterno (il fenomeno del carsismo), ma gli Ittiti hanno usato questo concetto anche per le gallerie d'acqua sotterranee costruite artificialmente. Questa divinità è stata quindi associata direttamente a Troia con la scoperta di una grotta con una sorgente d'acqua potabile sotterranea posta 200 metri a sud della parete dell'Acropoli cittadina.\nDopo aver analizzato le pareti di calcare, Korfmann ha stabilito che la grotta esisteva già fin all'inizio del III millennio a.C. e che potrebbe essere stata la fonte di alcuni miti. Ha inoltre preso atto della coincidenza che dovrebbe supporre l'allusione fatta dall'autore Stefano di Bisanzio a proposito di un tale 'Motylos', che potrebbe benissimo essere un'ellenizzazione del nome Muwatalli, colui che ospitò Alessandro e Elena.Una lettera scritta dal re della Terra del fiume Seha (uno stato vassallo degli ittiti) Manhapa-Tarhunta al sovrano Muwatalli II, anch'essa quindi datata intorno al 1285 a.C., che fornisce le informazioni che un certo Piyama-Radu (qui l'assonanza col nome di Priamo è notevole) aveva guidato una spedizione militare del regno acheo di Ahhiyawa contro Wilusa e l'isola Lazba, identificata dai ricercatori con Lesbo, conquistandole temporaneamente.\nNella Lettera di Tawagalawa (ca. 1250 a.C.), generalmente attribuita a Hattušili III, il re ittita si riferisce a precedenti ostilità tra gli Ittiti e gli Ahhiyawa (identificati con un non meglio precisato regno Miceneo) proprio a riguardo di Wilusa: «Ora abbiamo raggiunto un accordo sulla questione di Wilusa, rispetto a cui ci trovavamo in inimicizia.».L'ultima menzione di Wilusa conservata nelle fonti ittite appare in un frammento chiamato Lettera di Millawata, inviata dal re Tudhaliya IV (1237-1209 a.C.) a un destinatario ignoto, che gli studiosi ritengono essere il sovrano dello stato vassallo di Mira, Tarkasnawa. In essa il re degli Ittiti invita il destinatario, una sorta di supervisore regionale per conto ittita dell'area Arzawa, a reinstallare sul trono di Wilusa un certo Walmu, successore diretto o meno di Alaksandu, che era stato deposto ed esiliato. Tuttavia l'ittitologo australiano Trevor Bryce osserva che questo fatto è menzionato anteriormente, proponendo quindi una sua reinterpretazione anche della lettera Tawagalawa.\nInoltre, in un rapporto di re Tudhaliya I/II (ca. 1420-1400 a.C.) si afferma che, dopo una spedizione di conquista, un certo numero di paesi ha dichiarato guerra, la cui lista elenca di seguito: «... il paese Wilusiya, il paese Taruisa ...». Alcuni ricercatori, come Garstang e Gurney, hanno dedotto che Taruisa potrebbe identificarsi col sito di Troia: tuttavia tale corrispondenza non ha ancora il sostegno della maggioranza degli ittitologi.\n\nNelle fonti egizie.\nNon vi sono menzioni sicure di Troia nelle fonti egizie dell'età del bronzo. Tuttavia alcuni studiosi hanno indagato il rapporto che si potrebbe trovare con le iscrizioni di Medinet Habu, le quali raccontano della battaglia intrapresa dagli Egizi dei tempi di Ramses III contro i misteriosi popoli del Mare, che avevano tentato l'invasione del suo territorio nel 1186 a.C.. Secondo le iscrizioni, gli Egizi risultarono vincitori sia in una battaglia di terra che in una navale avvenuta presso il delta del Nilo contro una coalizione di popoli di identificazione dubbia. Tra i nomi dei gruppi che componevano la coalizione sono compresi anche i Weshesh – che potrebbero essere connessi a Wilusa – e i Tjeker che sono stati connessi ai troiani.\n\nNelle fonti greche.\nTroia fu conquistata anche da Ciro il Grande, Imperatore dei persiani. Come in tutte le altre città-Stato greche dell'Asia Minore, i suoi cittadini subirono innalzamenti delle tasse e l'obbligo alla partecipazione come soldati nell'esercito persiano (una città che, stanca della dominazione persiana, decise di ribellarsi nel 499 a.C. fu Mileto, e venne rasa al suolo). Dopo la fine delle Guerre Persiane intorno al 480 a.C. Troia entrò nell'egemonia ateniese e fece parte della Lega di Delo o Delio-Attica. Dopo la sconfitta di Atene nella Guerra del Peloponneso contro Sparta e alleati, le colonie greche dell'Asia Minore, tra cui anche Ilio (Troia), che facevano parte della Lega di Delo, passarono sotto il dominio persiano con il consenso di Sparta.\nDopo la morte di Filippo II di Macedonia, che aveva riunito tutte le poleis greche nella Lega Panellenica ad eccezione di Sparta, sale al trono il figlio Alessandro Magno che, appassionato dell'epica micenea, conquista l'Ellesponto e la Troade, dove si trovava Troia, che all'epoca esisteva ancora come piccola polis, e dove onorò le spoglie di Achille, assieme al carissimo amico Efestione.\n\nNelle fonti romane.\nLa città fu distrutta nel corso della prima guerra mitridatica da un certo Flavio Fimbria, comandante di due legioni romane, il quale secondo Appiano di Alessandria, dopo aver saputo che la città aveva richiesto la protezione di Lucio Cornelio Silla:.\n\nLa Novum Ilium (Nuova Ilio in latino) fu poi visitata da Giulio Cesare nel 48 a.C. A Troia si possono trovare vari resti archeologici risalenti all'epoca romana come l'Odeon, un piccolo teatro, terme e altri edifici.\n\nLa fine di Troia.\nDopo che l'imperatore Costantino I rese il cristianesimo religione lecita dell'Impero romano, l'imperatore Flavio Claudio Giuliano, sostenitore del paganesimo, visitò la città nel 354-355 e poté verificare che la tomba di Achille si trovava ancora lì e che vi si offrivano ancora sacrifici rivolti ad Atena. Tuttavia, nel 391 furono vietati per sempre i riti pagani.\nIntorno all'anno 500 si verificò un vasto terremoto, che causò il crollo definitivo degli edifici più emblematici di Troia. Sembra che l'antica città sia rimasta viva come un semplice villaggio durante tutto il periodo dell'impero bizantino fino al XIII secolo, ma pochissime sono le notizie di eventi successivi e a poco a poco l'esistenza stessa della città cadde nell'oblio.\nA seguito di varie sconfitte subite dai bizantini nel 1354, la Troade passò all'Impero ottomano. Dopo la definitiva caduta di Costantinopoli nel 1453, la collina su cui sorgeva Troia fu chiamata Hissarlik, che significa in turco 'dotata di forza'. Dal 1923 è parte della Turchia.\n\nGli scavi.\nIl dilemma Hissarlik-Bunarbaschi.\nFin dai primi anni del XIX secolo la scoperta di una varietà di iscrizioni aveva convinto Edward Daniel Clarke e John Martin Cripps che Troia fosse sulla collina di Hissarlik, circa 4,5 km dall'ingresso ai Dardanelli, nel sito dell'antica città di Troia. Nella sua dissertazione sulla topografia della pianura circostante pubblicato a Edimburgo nel 1822, il geologo scozzese Charles MacLaren aveva avanzato l'ipotesi che la posizione della Nuova Ilio greco-romana coincidesse con la rocca cantata da Omero.\nTuttavia non tutti i ricercatori sembravano essere d'accordo. Nel 1776 il giovane diplomatico francese Marie-Gabriel-Florent-Auguste de Choiseul-Gouffier credeva che Troia fosse invece situata sulla collina di Bunarbaschi a 13 km dai Dardanelli: questa seconda ipotesi fu resa popolare anni dopo da Jean Baptiste Le Chevalier. In quel momento entrambe le possibilità non erano prese in seria considerazione dalla maggior parte degli studiosi.\n\nSchliemann.\nNel 1871 l'archeologo dilettante tedesco Heinrich Schliemann (1822-1890), seguendo le indicazioni e le descrizioni dei testi omerici, organizzò una spedizione archeologica in Anatolia, sulla sponda asiatica dello stretto dei Dardanelli. I suoi scavi si concentrarono sulla collina di Hissarlik, dove era avvenuto un precedente scavo archeologico della scuola francese guidata da Calvert, poi interrotto per mancanza di fondi. Qui si trovò di fronte a più strati, che corrispondevano a differenti periodi della storia di Troia.\nArrivato al secondo strato (a partire dal basso), riportò alla luce un immenso tesoro e pensò di aver scoperto il leggendario tesoro di Priamo narrato nell'Iliade. I suoi ritrovamenti, però, risalivano a un periodo precedente a quello della Troia omerica, collocata intorno al XIII secolo a.C.. La città narrata nei poemi omerici, si scoprì in seguito, era collocata al settimo strato.\n\nMissioni archeologiche successive.\nLe successive campagne di scavo furono condotte da Wilhelm Dörpfeld (1893-1894) e Carl Blegen (1932-1938). Le ricerche portarono alla scoperta di nove livelli sovrapposti, con varie suddivisioni, datati con l'ausilio dell'analisi degli oggetti rinvenuti e l'esame delle tecniche costruttive utilizzate, e dei quali è stato possibile delineare le piante delle ricostruzioni.\n\nLe dieci città.\nDopo i vari scavi si è riusciti finalmente a ricostruire la storia di Troia, stabilendone dieci fasi di occupazione nel tempo. I primi quattro insediamenti, da Troia I a Troia IV, si sono sviluppati nel corso del III millennio a.C. e hanno una chiara continuità culturale anche con Troia V. Troia VI attesta una seconda fioritura della città, mentre Troia VII è la principale candidata a venir identificata con la città omerica.\nTroia VIII e IX coprono rispettivamente la Grecia arcaica, il periodo della Grecia classica rappresentato dalla cosiddetta 'età di Pericle', l'epoca dell'ellenismo e infine quello della civiltà romana. Troia X è il centro urbano al tempo dell'impero bizantino. Dal primo insediamento e fino a Troia VII non ci sono resti di documentazione scritta che possano aiutare la valutazione dello sviluppo storico e sociale della città.\n\nTroia I.\nLa cittadella originaria di Troia presenta differenti fasi di costruzione (almeno una decina), sviluppatesi, secondo Carl Blegen e altri, nel corso di cinque secoli tra il 2920 e il 2500/2450 a.C. circa. La sua stratigrafia misura più di quattro metri di profondità e occupa solo la metà della collina nord-occidentale.\nPortata alla luce da Heinrich Schliemann, è costituita da un recinto di mura in pietra fortificata dello spessore di 2 metri e 50 cm, probabilmente fatto di bastioni quadrangolari; le tracce trovate sul lato orientale misurano un'altezza di 3,5 metri e controllano l'ingresso. Si trattava di pietre irregolari e ridotte dal lato posto più in alto; altre parti rinvenute comprendono una pianta rettangolare con resti di un mégaron interno. Appaiono per la prima volta anche ceramiche decorate con facce umane schematiche. Ospitava una popolazione la cui cultura, chiamata Kum Tepe, si considera appartenente alla prima età del bronzo. È stata distrutta da un incendio e quindi ricostruita ha dato luogo a Troia II.\n\nTroia II.\nAnche se Troia I è stata bruscamente distrutta, non vi è alcuna interruzione né cronologica né culturale con l'immediatamente seguente Troia II, sviluppatasi tra il 2500/2450 e 2350/2300 a C. e comprendente almeno otto fasi costruttive, in cui è via via cresciuta fino a occupare un'area di novemila metri quadrati.\nQuesta fase di occupazione è stata scoperta inizialmente da Schliemann e recensita da Dörpfeld. Si tratta già di una vera e propria piccola città con case in mattoni crudi che recano segni di distruzione da incendio. Schliemann suppose immediatamente che potessero identificarsi con i resti della reggia di Priamo rasa al suolo dagli Achei.\nSecondo Dörpfeld era una città molto prospera, in quanto sono stati rinvenuti i resti anche della grande cinta muraria, oltre al palazzetto imperiale e ai suoi 600 pozzi e più, dove venivano abitualmente conservate le forniture: questi generalmente contenevano frammenti di grandi giare per la conservazione dei beni.\nIl muro poligonale è stato costruito con mattoni eretti su una base di pietra. Aveva due grandi porte d'accesso, che si potevano raggiungere attraverso rampe di pietra e torri quadrate agli angoli. La porta maggiore è posizionata sul lato sud-ovest, che attraverso un piccolo Propileo conduceva direttamente al palazzo reale, il megaron, l'edificio più importante. Originariamente di 35–40 m d'ampiezza, Dörpfeld vi ha trovato i resti di una piattaforma, che avrebbe potuto ospitare un'abitazione. L'altra struttura che lo affianca, sempre scoperta da Dörpfeld, dovrebbe essere l'insieme delle residenze private della famiglia reale e il magazzino centrale ove venivano portate le scorte in surplus.\nLa grande semplicità degli edifici di tutto il complesso di Troia II è comunque in netto contrasto con l'architettura ufficiale contemporanea dei re di Akkad (2300-2200 a.C.) della Mesopotamia, con il loro ricchissimo apparato scenico come residenze e templi che volevano celebrare i dominatori di Lagash, con la III dinastia di Ur e gli edifici monumentali dell'antico Egitto di epoca faraonica durante l'Antico Regno (2950-2220 a.C.). Questa semplicità degli edifici di Troia è ancor più sorprendente, se confrontata con l'abbondanza e la ricchezza della gioielleria e argenteria del tempo, attestata dal rinvenimento del celebre tesoro di Priamo, il patrimonio artistico più massiccio e di significativa importanza del III millennio a.C..\n\nQuesto tesoro rimane uno dei più importanti ritrovamenti della storia dell'archeologia. Composto da oggetti di valore in metalli pregiati e pietre preziose, Schliemann lo donò al suo paese natale, la Germania, che lo custodì in un museo di Berlino fino alla seconda guerra mondiale. Nel 1945, nonostante Hitler avesse ordinato di nascondere i reperti affinché non cadessero nelle mani dei russi, il tesoro fu segretamente trafugato dai sovietici come bottino di guerra e portato a Mosca.\nNessuno ne seppe più niente fino al 1993, quando Boris Eltsin – ospite del Presidente greco – rivelò inaspettatamente l'ubicazione del tesoro nel museo Puškin. La circostanza sarebbe stata confermata dallo stesso Eltsin alla Literaturnaja Gazeta, nonché dal ministro della cultura russo Sidorov. Dei nove lotti in totale, i più importanti comprendono le collezioni di coltelli, utensili e ornamenti per abiti oltre a molti vasi d'oro e d'argento.\nTra gli oggetti preziosi si trova anche un grande disco fornito di un omphalos – letteralmente 'ombelico': una sorta di rigonfiamento nel centro dell'oggetto – e di un largo manico piatto terminante con una serie di dischi più piccoli. Con grande probabilità fu utilizzato per setacciare l'oro ed è somigliante agli utensili simili trovati anche a Ur e a Babilonia, con una datazione che va tra la fine del III e l'inizio del II millennio a.C.\nTra le gemme vi sono due diademi atti ad adornare la fronte uniti con una frangia sottile, catene d'oro spesse ognuna delle quali termina con un ciondolo di lamine dorata a forma di foglia o di fiore: sono stati tutti recuperati assieme con una serie di collane e pendenti posti in una grande brocca d'argento.\n\nTroia III – IV – V.\nVerso la fine del III millennio a.C. una prima ondata di invasioni di popoli indoeuropei nel bacino del Mediterraneo segna notevoli cambiamenti, che vengono puntualmente registrati anche a Troia nelle fasi da III a V dell'esistenza della città. La sua vita culturale non sembra essere interrotta, ma si ritrova rallentata in modo drammatico. I resti degli edifici sono scarsi e notevolmente inferiori per qualità a quelli dell'epoca immediatamente precedente.\nL'immagine generale del sito risponde bene a quella di un centro commerciale di medie dimensioni piuttosto che alla prospera città del III millennio a.C..\n\nTroia III.\nSulle rovine di Troia II si cercò d'innalzare Troia III (2350/2300-2200 a.C.), sito più piccolo di quello che l'aveva preceduto, ma con un muro di pietra tagliata. Da quel poco che si sa si può dedurre che sia stata anch'essa costruita quasi interamente in pietra e non più in mattoni d'argilla. Caratteristici di questo breve periodo sono i vasi di forma antropomorfa, come quello trovato da Schliemann nel 1872 e che secondo lui avrebbe rappresentato un'arcaica 'Atena Iliade'.\n\nTroia IV.\nCon una superficie di 17.000 metri quadrati, Troia IV (2200-1900 a.C.) mostra la stessa tecnica di innalzamento delle mura peculiare dei siti II e III. Invece sono di uno stile del tutto nuovo i forni a cupola e un tipo di abitazione con quattro stanze.\n\nTroia V.\nTroia V (1900 - 1700 a.C. circa) è una ricostruzione totale e completa di Troia IV, sulla base di un piano urbano più regolare e con case più spaziose, ma rappresenta una rottura culturale rispetto agli insediamenti precedenti. Con esso si conclude la fase micenea della storia di Troia.\n\nTroia VI.\nTroia VI (1700-1300 a.C. o 1250 a.C.) è una grande città a pianta ellittica disposta su terrazze ascendenti, fortificata da alte e spesse mura costituite da enormi blocchi di pietra squadrati e levigati, con torri e porte, riemersa a nuova vita dopo la lunga fase precedente della cosiddetta 'città-mercato'. Corrisponde a un periodo cruciale della storia dell'Anatolia tra la fine delle colonie commerciali assire di Kültepe-Kanish (seconda metà del XVIII secolo a.C.) e la formazione e l'espansione dell'impero ittita fino alla prima metà del XIII secolo a.C., quando probabilmente un forte terremoto distrusse la città.\nFu un luogo prospero, sede di una corte reale, un principe o governatore e centro amministrativo, che si è gradualmente ampliato per raggiungere nel corso del XIV secolo a.C. la sua forma definitiva. Era abitata da una popolazione di immigrati proto-indoeuropei che s'impegnarono in nuove attività come l'allevamento e l'addestramento di cavalli, segnando ed imprimendo un notevole sviluppo nella tecnologia del bronzo e praticando il rito funebre della cremazione. La maggior parte dei frammenti di ceramica rinvenuti sono chiamati 'ceramica grigia dell'Anatolia'. Altri tipi di ceramiche appartenenti alla civiltà micenea sono state anche rinvenute e costituiscono prove dell'esistenza di relazioni commerciali tra Troia e i micenei.\nTra la strutture fondamentali di Troia VI sono evidenti le fortificazioni, con il monumentale bastione o baluardo di 9 m con angoli alti e molto affilati, in una posizione del tutto simile a quella di Troia II, in età del bronzo antico, che domina il corso dello Scamandro. In caso di assedio possedeva un enorme serbatoio di 8 m. di profondità all'interno del bastione centrale. La disposizione delle pareti con un diametro di circa 200 m. - il doppio del recinto più antico - si snoda in un secondo cerchio concentrico al precedente con un'altezza media di 6 m e uno spessore di 5.\nVi si accede da un portone, controllato da una torre fortificata e da altre tre secondarie, dalle quali partivano in senso radiale ampie strade convergenti verso il centro nord della città, oramai scomparsa. Passando attraverso le porte si incontravano pietre rettangolari in forma di pilastri, ciascuno incorporato in un altro blocco di pietra e delle dimensioni di una persona. Questo tipo di elementi architettonici è abbastanza comune nella zona ittita; l'archeologo Peter Neve crede che ciò potrebbe essere correlato al culto di divinità protettrici delle porte, mentre Manfred Korfmann suggerisce che potrebbero essere correlati al culto di Apollo.\nLa tecnica di costruzione è variamente complessa, con la struttura di base di pietra e la sovrastruttura di adobe ad un'altezza di 4-5 m. All'interno delle mura vi sono ancora poche case di piana rettangolare e comprendenti un portico, ma solamente il piano terra è rimasto conservato; tra le rovine più impressionanti di Troia VI va segnalata la cosiddetta 'casa delle colonne' di forma trapezoidale (di 26 m. di lunghezza e 12 di larghezza): si compone di un ingresso ad est e d'una grande sala centrale, terminante in tre stanze sul resto di dimensioni minori. Si trattava con tutta probabilità di un edificio pubblico per le cerimonie ufficiali reali.\nLa disposizione degli edifici e delle vie erano adattate alla forma circolare delle mura, il cui centro doveva essere costituito dal vasto palazzo reale col suo tempio. In un'altra collina chiamata Yassitepe, più vicina al mare, è stata rinvenuta una necropoli dello stesso periodo delle sepolture dell'età del bronzo con uomini, donne e bambini, così come corredi funerari costituiti dallo stesso tipo di ceramiche rinvenute a Troia VI. Qui sono stati trovati anche alcuni resti di cremazioni.\nLa vasta città inferiore, posta alla base dell'acropoli è stata scoperta dalla spedizione Korfmann a partire dal 1988, aiutata da una nuova tecnica chiama prospezione magnetica (vedi ricognizione archeologica). A seguito di questo rinvenimento si viene ora ad attribuire alla città nel suo complesso una superficie di 350.000 metri quadrati, cioè ben tredici volte superiore alla cittadella fino ad allora conosciuta. Dotata di dimensioni così considerevoli, la superficie di Troia ha superato un'altra grande città del tempo, Ugarit (di 200.000 metri quadrati) ed è attualmente una delle più vaste città dell'epoca del bronzo.\nLa sua popolazione sarebbe stata compresa tra le 5.000 e le 10.000 unità; durante un assedio si stima che potesse ospitare fino a 50.000 abitanti dell'intera regione. Prospiciente ad essa, nel 1993 e 1995, sono stati scoperti due pozzi paralleli di 1-2 metri di profondità, che avrebbero potuto servire come difesa contro un attacco perpetrato con carri da guerra; sono stati anche trovati una porta fortificata che parte dalle mura della città bassa ed una strada asfaltata che dalla piana del fiume Scamandro si dirige verso la porta posta ad ovest dell'acropoli.\nIl complesso di Troia VI fu probabilmente distrutto da un terremoto intorno al 1300 a.C., anche se alcuni ricercatori sono inclini ad indicare la sua fine verso il 1250.\n\nTroia VII.\nTroia VII a.\nLa città fu immediatamente ricostruita, ma ebbe vita breve (1300-1170 a.C.). I segni di distruzione da incendio hanno indotto Blegen a identificare questo strato come quello corrispondente alla Troia omerica. Dörpfeld si pose a favore della tesi che vuole l'insediamento di Troia VII A, in cui vi è uno spesso strato di cenere e resti carbonizzati, scoppiato improvvisamente ed in maniera violenta il quale può essere datato attorno al 1200 a.C.. Tra i resti trovati in questo strato erano compresi scheletri, armi, depositi di ghiaia che potrebbero essere le munizioni per il tiro con l'imbracatura - e, interpretato da alcuni come molto significativo, la tomba di una giovane ragazza coperta con una serie di teli da rifornimento, indicando una sepoltura urgente a causa di un assedio.\nInoltre, la data della sua fine non si discosta poi molto dalle datazioni che, in base alla durata delle generazioni, un insieme di studiosi greci quali Erodoto, Eratostene menzionano, mentre lo storico Duride di Samo e il filosofo Timeo suggeriscono il 1334 a. C. Pertanto, alcuni studiosi dicono che la città di Priamo corrisponde a Troia VII-A, nonostante l'inferiorità artistica ed architettonica indubbia che la distingue dal suo strato precedente.\n\nTroia VII b1.\nAl livello successivo, databile al XII secolo a.C. approssimativamente, sono stati trovati resti di una ceramica di tipo barbaro la quale non è stata fatta con l'utilizzo del tornio bensì a mano con argilla di grossolana fattura. Risultati simili sono stati ritrovati anche in altre zone e si presume pertanto che in questo momento un popolo straniero proveniente dai Balcani avesse preso il controllo del territorio.\nInoltre la città mostra un grande accumulo di terra bruciata fino ad un metro di profondità, con grandi e repentini sbalzi, che però non interrompono la continuità della vita nel sito, dove sono stati conservati i muri e le case; è stato dedotto che durante questo periodo vi siano stati almeno due incendi e che l'ultimo dei quali abbia prodotto la fine di questo cento urbano.\n\nTroia VII b2.\nLa più alta evidenza di una nuova componente di segno sociale e culturale è rappresentata dal livello di Troia VII-B-2, databile all'XI secolo a.C.. Vi sono state rinvenute ceramiche chiamate 'knobbed ware' (sebbene siano apparsi anche resti in ceramica simile a quello della fase precedente e anche un paio di resti di ceramica micenea) con le corna a forma di sporgenze decorative, diffuse principalmente nel territorio balcanico e probabilmente patrimonio delle nazioni dei nuovi arrivati, infiltrati pacificamente nella regione o a seguito del prodotto di scambi culturali tra Troia e altre regioni straniere. La tecnica di costruzione varia significativamente con pareti rinforzate nei corsi inferiori con monumentali megaliti.\nNel 1995 è stato trovato in questo strato un documento scritto costituito da un sigillo/timbro di bronzo, riportante segni di scrittura della lingua luvia. È stato decifrato nel suo senso generale, trovando che un lato contiene il termine 'scriba', mentre nella parte posteriore la parola 'donna' e, su entrambi i lati, un segno beneagurante. Si presume, pertanto, che il proprietario del sigillo debba essere stato un pubblico ufficiale. Troia VII-B-2 è caduta a causa di un incendio, probabilmente per cause naturali.\n\nTroia VII b3.\nDatabile fino a circa il 950 a.C.. La differenziazione di questo strato con il precedente indusse l'archeologo Manfred Korfmann a sostenere che dopo la fine della città urbana subito o poco dopo un'altra colonia doveva essersi distinta dalla precedente, caratterizzata dall'uso della ceramica geometrica e che scomparve a sua volta intorno al 950 a.C.. Successivamente il luogo dev'essere rimasto quasi disabitato fino a 750-700 a.C.. In contrasto con tale ipotesi, Dieter Hertel crede che alcune tribù di greci si possano esser stabilite nel sito immediatamente dopo la fine di Troia VII-B-2.\n\nTroia VIII.\nDatabile all'VIII secolo a.C., è una colonia greca priva di fortificazioni.\nUna fiorente attività architettonica, soprattutto di stampo religioso, appare in Troia VIII: il primo edificio di culto importante scoperto di quel tempo, chiamato temenos (il sacro recinto) di cui sopra, si trova ancora conservato nel centro solenne della zona in cui era posizionato l'altare ed un altro, a partire dall'epoca di Augusto, vi fu aggiunto sul lato occidentale. A seguire vi si intravede il témenos inferiore, con due altari, forse dedicati a sacrifici a due divinità rimaste sconosciute. Il santuario dedicato alla dea Atena, le cui origini potrebbero risalire al IX secolo a.C., è stato trasformato in un grande tempio in rigoroso stile di ordine dorico nel III secolo a.C.. Per questo, e per la costruzione della Stoà, alcuni edifici dell'Acropoli di epoche precedenti sono stati demoliti.\n\nTroia IX.\nLa città ricostruita dopo la distruzione di Fimbria, dal I secolo a.C. al IV d.C., presenta costruzioni romane edificate sulla sommità spianata della collina e rifacimento.\n\nTroia X.\nFu Korfmann a denominare lo strato caratterizzato dai pochi resti che appartengono e corrispondono al periodo dell'impero bizantino, tra il XIII e il XIV secolo, in cui Troia era una piccola sede vescovile. Questi erano già stati scoperti da Schliemann e Dörpfeld.