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@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Troiani (popolo).\n### Descrizione: I Troiani erano gli abitanti di Ilio, città dell'Asia Minore facente parte dell'attuale Turchia moderna, situata in prossimità della costa occidentale sul mar Egeo. Sono chiamati anche 'Teucri'. È famosa la mitica guerra di Troia narrata nel poema omerico Iliade. Secondo la leggenda, un gruppo di Troiani, dopo la sconfitta subita dagli Achei nella guerra durata dieci anni e dopo la distruzione della città, fuggì guidato da Enea e raggiunse il Lazio dove si stabilì. Le gesta di Enea sono narrate da Virgilio nell'Eneide.\n\nI Troiani come possibile popolo storico.\nNella Troade vi sono diversi siti archeologici attribuibili alla media e tarda età del bronzo, tra cui spicca quello scoperto da Heinrich Schliemann, probabile fonte d'ispirazione per l'Iliade e i poemi greci relativi alla guerra di Troia. In particolare la città omerica sembra essere da riferirsi alla città storica Troia VI-VII, sorte sul tell di Troia dopo il 1900 a.C., quando l'intera regione fu attraversata da una grande fase di migrazioni di popoli.\nL'appartenenza etnica dei Troiani è, e resta, sconosciuta, molte sono state le ipotesi fatte nel corso dei secoli.\nIn quell'area, durante la tarda età del bronzo (e la prima età del ferro) sono noti popoli indoeuropei e non.\nPer esempio sono di lingua indoeuropea gli Anatolici, di ceppo antico (cui forse possono essere associati i Peoni nei Balcani), e in particolare i Cari, citati da Omero come alleati dei Troiani e associati sovente ai Lelegi, un'antica popolazione egea da cui proveniva Laotoe, una delle mogli di Priamo. Altre popolazioni indoeuropee giunsero nella regione nella tarda età del bronzo e soprattutto all'inizio dell'età del ferro, come ad esempio: gli Ellenici, i Macedoni, i Traci, i Daci, i Frigi (questi ultimi citati nell'Iliade e in altri poemi come alleati ai Troiani, ma ancora stanziati nei Balcani, mentre in epoca storica vivevano nell'odierna Turchia) e gli Illirici.\nTra le popolazioni della regione vi erano anche alcuni gruppi etnici di lingua non indoeuropea o preindoeuropea: probabilmente i Pelasgi, mitica popolazione cicladica, presumibilmente i Minoici ed altre popolazioni semi mitologiche come i Mini e i Lapiti. Uscendo dalla mitologia vi erano a Lemno dei parlanti la lingua lemnia, del gruppo delle lingue tirseniche affini all'etrusco. Inoltre, in Anatolia, ci sono buone probabilità di infiltrazioni semitiche, e di lingue ergative isolate o di difficile sistematizzazione come l'urrita e lingue sopravvissute all'arrivo, attorno al 2.000-1.900 a.C. degli indoeuropei di ceppo anatolico. Quest'area era quindi particolarmente frammentata da un punto di vista etnico-linguistico.\nIn Omero i Dardani sono i principali alleati dei Troiani, ma in molti poemi greci questi popoli sono fusi. Esisteva una tribù nota come Dardani anche in epoca storica, ma apparentemente non legata a quelli omerici. Appartenevano al gruppo illirico indoeuropeo ed abitavano i balcani meridionali, a nord di Peoni e Macedoni, in territori grossomodo corrispondenti con la regione di Skopje e la repubblica di Macedonia del Nord. Questa assonanza di nomi non è però definitiva.\nI Troiani potrebbero essere stato un popolo a sé stante, alleato con popoli di lingua simile o diversissima.\nLa principale fonte storica sui possibili troiani è rappresentata dagli archivi reali ittiti, se venisse dimostrata fuori d'ogni dubbio la corrispondenza tra Wilusa e/o Truwisa-Tarusia ed Ilios/Troia. Questa città era uno delle principali di una confederazione di regni (o una lega di città) nota nelle fonti ittite come Arzawa.\nLa lingua luvia, una lingua anatolica indoeuropea, è stata ipotizzata come possibile lingua parlata a Troia, in particolare a partire dagli studi di Calvert Watkins del 1986:.\nIl nome Priamo ha un'etimologia luvia (o meglio potrebbe essere l'ellenizzazione e la traslitterazione del nome luvio Pariya-muwa, che significa 'uomo eccezionalmente coraggioso'), così come quello di 9 dei suoi parenti più stretti su 16 nominati da Omero. Inoltre esisteva un sovrano Arzawa dell'età del bronzo con un nome simile e associato a Priamo, Piyamaradu, citato come sovrano in documenti ittiti scritti in luvio (il suo nome, in quella lingua, significa dono dei devoti). Alessandro (il secondo nome di Paride) nella forma di Alaksandu è noto come signore (ma forse non legittimo Re) di Wilusa nelle fonti ittite, nelle lingue anatoliche il suo nome è associabile, anche se con un'etimologia non del tutto chiara, al dio del sole e della guerra, Apaliunas, simile al dio Luvio Aplu, signore della peste, tutti attributi riconoscibili anche nell'Apollo greco classico (ma non nelle fonti micenee). Si tratterebbe dunque di un nome luvio o di origine anatolica affine ma distinta del luvio. Anchise (ed Ettore) potrebbero avere un'etimologia luvia, Achis in filisteo (lingua di cui si ignora l'origine, forse anatolica o indeoeuropea, ma presto assorbita dalle lingue semitiche circostanti) significava Re-Sovrano-Comandante. Va anche detto che i nomi sono cattivi indicatori della lingua parlata, semmai indicano rapporti culturali stretti; ad esempio molti nomi diffusi in Italia sono di origine semitico-ebraica (Davide, Mattia, Matteo, Gabriele, Daniele, Samuele, Giuseppe, Giovanni, Emanuele, Raffaele, Simone, Tobia, Maria, Rebecca, Ester, Elisa, Elisabetta, Eva, Maddalena, Marta, Sara, ecc.) per l'influenza fortissima che ha avuto la Bibbia, mentre la lingua italiana è indoeuropea e neolatina.\nNon disponiamo di archivi o di documenti scritti dell'età del bronzo troiana eccetto 1) un sigillo, di età indefinita, scritto in ittita, 2) un sigillo, in luvio geroglifico, associato a Troia VIIb, 3) due piccoli frammenti, forse in luvio cuneiforme, molto mal conservati e riferibili probabilmente a Troia VI o VII, rinvenuti nel XIX secolo, mal descritti ed in seguito perduti, 4) due tavolette d'argilla frammentarie coperte da segni poco leggibili che, secondo il linguista sovietico Nikolay Kazansky, vanno interpretati come una scrittura, forse lineare, distinguibili sia dal lineare A (minoico) che dal lineare B (miceneo), ma impossibili da interpretare per frammentarietà (pochissime sillabe) e cattivo stato di conservazione. Essi però potrebbero essere più antichi di Troia VI, ed anzi risalire al 2.000 a.C. (Troia V), ovvero all'età precedente alla comparsa del 'vero' lineare A. Tutti i documenti diplomatici ittiti che nominano Troia e Arzawa sono scritti in luvio.\nIl fatto che gli Ittiti associassero Troia-Wilusa-Ilio con la zona di Arzawa, corrispondente a tutta la costa mediterranea della Turchia nord-occidentale, rafforza l'ipotesi luvia (o altre similari come il cario, parente del luvio); Arzawa era però una confederazione di regni, che (forse) andava dalla Licia alla Troade, in cui potrebbero essere esistiti diversi popoli, ad esempio i Lici (la cui lingua, pur anatolica, fu molto contaminata da superstrati greco-frigi nell'età del ferro) chiamati Lukka in ittita, i Cari (Karkiya o Karkisia in ittita, Krk nei documenti di Ugarit) ed i Lelegi (Lulahi in ittita).\nQuesti popoli presumibilmente parlavano tutti lingue affini (ma distinte, e nel caso del Cario solo ora in via di decifrazione) al Luvio ed erano giunti in quelle zone attorno al 1.900 a.C., e sono anche sovente associati agli etruschi ed ai popoli del mare. Il Luvio (presumibilmente fortemente diviso in dialetti) potrebbe essere stata la lingua parlata in tutta l'Anatolia meridionale dell'età del bronzo, dalla costa prospiciente a Rodi fino ad Alessandretta, ma non si conoscono i confini settentrionali di questa parlata, difficili da identificare proprio per il suo essere anche una lingua franca del commercio e della diplomazia. Infatti era lingua ufficiale di molti stati anatolici (e lingua di cancelleria dell'impero ittita) anche quando la lingua vernacolare era un'altra.\nIn conclusione la possibilità che a Troia si parlasse una lingua anatolica, magari affine al luvio (o al cario-lelegio) esistono, così come è possibile, come afferma il linguista e filologo tedesco Joachim Latacz che il luvio fosse la lingua ufficiale, e di cancelleria, della troade e di Troia (essendo anche quella impiegata al riguardo della troade dalla cancelleria imperiale Ittita), quella impiegata per trattare con le altre realtà politiche anatoliche, mentre inconoscibile risulti ancora la lingua vernacolare della città.\nUn'altra teoria affermata, tra gli altri prima da Barry Strauss, poi, con maggior rigore metodologico da Louis Godart, immagina invece i Troiani come genti di lingua greca, affine o identica ai Micenei, anche se presumibilmente ibridata culturalmente e linguisticamente con le circumvicine civiltà anatoliche. Questa teoria si basa sulla conquista, cronologicamente sincronica, di Ilios e dei siti del Peneloponneso, che in quel caso è attribuita all'arrivo degli Achei/Micenei in Grecia. Soprattutto trae origine da Omero e dalle fonti classiche, in cui non vi è una forte differenziazione linguistica, culturale, etnica o di cultura materiale tra Greci e Troiani, come essenzialmente confermato dalle ricerche archeologiche, e dall'analisi dei nomi di persone comuni ritrovate nei documenti in Lineare B, dove accanto ad Achille e ad altri nomi 'tipici' degli eroi greci dell'Iliade, abbiamo anche Ettore e Priamo.Rimane però una teoria in buona parte speculativa e priva di prove inconfutabili al suo sostegno: allo stato attuale della ricerca l'origine etnica e le parentele linguistiche dei troiani non sono determinabili con certezza.\n\nI Troiani nel mito.\nLa mitica città di Troia riceve il nome dall'altrettanto mitico re 'Trōs' (in greco antico: Τρώς?, Trós). Quindi 'Troiano' deriva dalla parola 'Trōis' che significa, nipote del fondatore. La città e la guerra portata contro di essa da una coalizione di popoli greci nel XIII secolo a.C. sono state immortalate da Omero nell'Iliade. La Troia della saga omerica sarebbe stata fondata da Dardano, figlio di Zeus ed Elettra, il quale, giunto nella Troade, ebbe dal re Teucro in dono il territorio su cui fece innalzare l'acropoli che chiamò Dardania. I suoi successori ottennero che le mura di Troia fossero costruite da Apollo e Poseidone. Purtroppo Laomedonte non volle pagare la ricompensa pattuita alle divinità. Quindi Poseidone per punizione mandò nella città un mostro marino, che fu poi scacciato da Eracle. Ancora una volta Laomedonte rifiutò di pagare la giusta ricompensa ad Eracle. Quest'ultimo scatenò una guerra contro la città, che venne distrutta, la famiglia reale fu sterminata, tranne l'ultimogenito di Laomedonte, Priamo, che divenne re. Questi sposò prima Arisbe, da cui ebbe un figlio, poi Ecuba, con la quale generò diciannove figli tra maschi e femmine, e Laotoe, che gli dette due maschi; ebbe altri figli dalle varie concubine. Paride, figlio di Priamo e di Ecuba, rapì Elena, sposa di Menelao re di Sparta, provocando una nuova guerra contro Troia, terminata con la conquista e l'incendio della rocca dopo dieci anni di assedio. Dopo la caduta della città i superstiti fuggirono in Italia: parte con Enea, che giunse nel Lazio, parte con Antenore, destinato a fondare Padova.
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### Titolo: Troilo e Cressida.\n### Descrizione: Troilo e Cressida (The Tragedy of Troilus and Cressida) è una tragedia in cinque atti, databile al 1601, composta dal drammaturgo inglese William Shakespeare e pubblicata nel 1609.\nA volte quest'opera, che ha in sé elementi sia di commedia sia di tragedia, viene catalogata come parte dei problem plays ('drammi problematici').\n\nTrama.\nIl dramma è ambientata nel corso degli eventi della guerra di Troia e ha due intrecci distinti. In uno Troilo, un principe troiano, corteggia Cressida, fa l'amore con lei e le giura eterno amore poco prima che sia consegnata ai Greci in cambio di un prigioniero di guerra. Quando tenta di andare a trovarla nell'accampamento greco, la sorprende in intimità con Diomede e decide che è solo una prostituta.\nNonostante questo intreccio sia quello che dà il titolo all'opera, in realtà si risolve in poche scene: la maggior parte dell'opera ruota attorno ad un piano ordito da Nestore e Odisseo per spingere l'orgoglioso Achille a scendere nuovamente in battaglia tra le file greche.\nL'opera si chiude con una serie di scontri tra i due schieramenti e la morte dell'eroe troiano Ettore.\n\nTitolo e genere letterario.\nL'edizione in quarto del 1609 la dichiara come un dramma storico storica con il titolo The (Famous) Historie of Troylus and Cresseid(a), ma il First Folio del 1623 la elenca sotto il titolo The Tragedie of Troylus and Cressida. La confusione è aumentata dal fatto che nel First Folio il titolo non compare nell'indice iniziale e l'opera, le cui pagine non sono numerate (tranne due erroneamente), fu tipograficamente inserita in un momento successivo tra le Histories e le Tragedies.\nL'opera non si presenta come una tragedia nel senso tradizionale del termine, dal momento che il suo protagonista, Troilo, non muore, ma si conclude comunque in modo molto triste, con la morte del nobile principe troiano Ettore e la distruzione del legame sentimentale tra Troilo e Cressida. Il tono dell'opera oscilla continuamente tra quello di una commedia piccante e quello di un'oscura tragedia, e gli spettatori e i lettori trovano spesso difficile decidere che reazione avere di fronte alle vicende dei personaggi. Tuttavia, varie caratteristiche di questo dramma (la più evidente delle quali è il continuo interrogarsi su valori fondamentali, come il rispetto della gerarchia, l'onore, l'amore) sono state spesso interpretate come distintive di un'opera 'moderna' o addirittura 'post-moderna'.\n\nFonti.\nLa storia di Troilo e Cressida è un racconto di origine medievale, non presente nella mitologia greca; Shakespeare tracciò la trama attingendo da varie fonti, in particolare dalla versione che del racconto fece Chaucer (Troilo e Criseide), ma anche dal Troy Book di John Lydgate e dalla traduzione di William Caxton del Recuyell of the Historyes of Troye.\nLa storia di Achille convinto a scendere in battaglia è tratta dall'Iliade di Omero (forse nella traduzione di George Chapman) e da varie rielaborazioni di epoca medievale e rinascimentale.\nLa storia era piuttosto popolare tra i drammaturghi dei primi anni del XVII secolo e Shakespeare potrebbe anche essersi ispirato ad alcune opere di autori a lui contemporanei. Anche l'opera in due atti di Thomas Heywood The Iron Age tratta della guerra di Troia e della storia di Troilo e Cressida, ma non si sa con certezza se sia anteriore o successiva all'opera di Shakespeare. Inoltre Thomas Dekker e Henry Chettle scrissero una rappresentazione chiamata Troilus and Cressida all'incirca nello stesso periodo di Shakespeare, ma ne è sopravvissuto soltanto un frammentario abbozzo di trama.\n\nDatazione e testo.\nSi pensa che la tragedia sia stata scritta verso il 1602, poco dopo l'allestimento dell'Amleto. Fu pubblicata nel formato in quarto in due diverse edizioni, uscite entrambe nel 1609. Non si sa se l'opera sia mai andata in scena all'epoca della sua stesura, in quanto le due edizioni si contraddicono: una annuncia nel frontespizio che la tragedia era stata da poco rappresentata, mentre l'altra nella prefazione sostiene che non c'era mai stato alcun allestimento.\nL'opera fu iscritta nel registro delle opere possedute della Stationers Company il 7 febbraio 1603 dal libraio e tipografo James Roberts, con l'annotazione che era stata messa in scena dalla compagnia teatrale di Shakespeare, la Lord Chamberlain's Men. Tuttavia a quest'iscrizione fino al 1609 non fece seguito alcuna pubblicazione; fu nuovamente messa a registro il 28 gennaio 1609 dai due commercianti Richard Bonian e Henry Walley e nello stesso anno fu pubblicato il First Quarto in due diverse edizioni: la prima dice che la tragedia fu 'recitata dai servi di Sua Maestà Reale al Globe'; la seconda omette di citare il Globe Theatre e riporta come prefazione una lunga lettera che afferma che Troilus and Cressida è 'un nuovo spettacolo, mai portato sulle scene...'.\nAlcuni commentatori (come Georg Brandes, lo studioso danese di Shakespeare della fine del XIX secolo) hanno cercato di ricomporre queste affermazioni contraddittorie, ipotizzando che l'opera sia stata originariamente scritta attorno al 1600-1602, ma che sia stata profondamente modificata poco prima della sua pubblicazione del 1609. La tragedia si distingue per il suo carattere amaro e caustico, simile a quello delle opere che Shakespeare scriveva nel periodo tra il 1605 e il 1608, come Re Lear, Coriolano e Timone d'Atene. Secondo questa ipotesi, la stesura originaria sarebbe stata simile ad una commedia romantica, sul modello di quelle che il bardo scrisse verso il 1600, quali Come vi piace e La dodicesima notte, mentre la revisione successiva aggiunse le scene più cupe e buie con il risultato di lasciare una certa confusione di toni ed intenti.\n\nFortuna.\nIl suo carattere abbastanza sconcertante e confuso ha fatto sì che raramente Troilo e Cressida sia stata popolare sulle scene e non si ricordano allestimenti né durante il corso della vita di Shakespeare né nel periodo che va dal 1734 al 1898. All'epoca della Restaurazione inglese fu duramente condannata da John Dryden, che la definì 'un cumulo di spazzatura' e decise di riscriverla. Fu anche malvista in epoca vittoriana per i suoi espliciti riferimenti di natura sessuale.\nNon venne mai rappresentata nella sua forma originale fino all'inizio del XX secolo ma, a partire da allora, la sua fama è andata costantemente crescendo grazie alla cinica descrizione che fornisce dell'immoralità e della disillusione dell'uomo, specialmente dopo la prima guerra mondiale. La sua popolarità raggiunse un picco negli anni 1960, quando il pubblico malcontento per la guerra del Vietnam aumentò in maniera esponenziale. La sua ambientazione generale durante un lungo periodo di guerra, il cinico infrangere i giuramenti dei personaggi e la mancanza di moralità di Cressida e dei Greci colpirono molto il pubblico, favorendo la frequente messa in scena dell'opera, che evidenziava l'abisso che separa gli ideali dallo squallore della realtà.\n\nTraduzioni italiane.\nTroilo e Cressida, testo riveduto, con versione a fronte, introduzione e note a cura di Mario Praz, Firenze, G. C. Sansoni, 1939.\nTroilo e Cressida: dramma in 5 atti, traduzione di Cesare Vico Lodovici, Torino, G. Einaudi, 1950.\nTroilo e Cressida, introduzione, traduzione e note di Gabriele Baldini, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1988, ISBN 88-17-16680-4.\nTroilo e Cressida, a cura di Demetrio Vittorini, Milano, Mursia, 1990, ISBN 88-425-0660-5.\nTroilo e Cressida, introduzione di Nemi D'Agostino, prefazione, traduzione e note di Francesco Binni, Milano, Garzanti, 1994, ISBN 88-11-58508-2.\nTroilo e Cressida, traduzione di Luigi Squarzina, saggio introduttivo di Anna Luisa Zazo, Milano, A. Mondadori, 1996, ISBN 88-04-40756-5.\nTroilo e Cressida, introduzione di Nadia Fusini, a cura di Iolanda Plescia, Milano, Feltrinelli, 2015, ISBN 978-88-07-90214-7.
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### Titolo: Troilo.\n### Descrizione: Troilo (in greco antico: Τρωΐλος?, Trōìlos; in latino Troilus) è un personaggio leggendario associato alla storia della guerra di Troia. Il primo riferimento a lui si trova nell'Iliade, redatta in forma scritta nel VII o VIII secolo a.C..\nNella mitologia classica, Troilo è un giovane principe Troiano, uno dei figli del re Priamo (o talvolta di Apollo) e di Ecuba. Le profezie sulla sua vita erano strettamente connesse a quelle sul destino di Troia: una affermava che Troilo sarebbe stato ucciso da Achille, un'altra diceva che se egli fosse morto prima dei vent'anni la città sarebbe caduta. Sofocle è uno degli scrittori che si è interessato a questo mito, che era anche un tema molto diffuso tra gli artisti figurativi. Il personaggio viene raffigurato come prototipo della giovane bellezza maschile.\nNell'Europa occidentale del Medioevo e nelle versioni rinascimentali della leggenda, Troilo appare come il più giovane dei figli che Priamo ebbe da Ecuba, la seconda delle sue tre mogli. Benché non ancora ventenne, egli è uno dei più forti capitani militari. Troilo muore poi decapitato in battaglia per mano di Achille. In un'aggiunta popolare della vicenda, sviluppatasi dal XII secolo, Troilo s'innamora di Cressida, evoluzione medievale del personaggio di Criseide, il cui padre ha disertato i Greci. Cressida promette il suo amore a Troilo ma presto si concede all'eroe greco Diomede, per ottenere la libertà del padre, preso in ostaggio dai Greci. Chaucer e Shakespeare sono tra gli autori che scrissero opere incentrate sulla vicenda di Troilo e Cressida. Sin dalla tradizione medievale, Troilo era considerato un esempio di amante cortese e anche di virtuoso cavaliere pagano.\nPoca attenzione venne rivolta al personaggio durante il XVIII ed il XIX secolo. Troilo venne riconsiderato nel XX e XXI secolo da autori che scelsero elementi dalla versione classica e medievale della leggenda.\n\nLa vicenda di Troilo nelle fonti antiche e nei testi successivi.\nPer gli antichi Greci, la forma definitiva del racconto della guerra di Troia e le vicende di contorno comparivano nel Ciclo troiano di otto poemi epici dal periodo arcaico in Grecia (750 a.C. - 480 a.C.). La morte giovanile di Troilo in guerra, le profezie legate a lui, dimostrano che tutti gli sforzi del principe per difendere la sua casa si rivelano vani. Il carattere simbolico del personaggio è evidenziato dall'analisi linguistica del nome Greco 'Troilo'. Esso potrebbe essere interpretato come un'elisione dei nomi di Troo e Ilo, i leggendari fondatori di Troia, come un diminutivo o un ipocoristico 'piccolo Troilo' o come un'elisione di Troië (Troia) e Iyo (distruggere). Queste numerose possibilità enfatizzano il collegamento tra il destino di Troilo e quello della città in cui vive. Sotto un altro piano, il destino di Troilo può anche essere visto come un presagio delle conseguenti morti del suo uccisore Achille, di suo nipote Astianatte e della sorella Polissena, entrambi i quali, come Troilo, moriranno sull'altare almeno nelle più comuni versioni della leggenda.\n\nIl mito iniziale: il bel giovane ucciso.\nTroilo era un ragazzo adolescente o un efebo, figlio di Ecuba, regina di Troia. A causa della sua bellezza era creduto il figlio del dio Apollo. In ogni modo, il marito di Ecuba, il re Priamo, lo considerava come uno dei suoi figli prediletti.\nUn oracolo aveva predetto che Troia non sarebbe mai stata conquistata se Troilo avesse raggiunto l'età di vent'anni. Per questo la dea Atena incoraggiò il guerriero greco Achille a scovarlo il più presto possibile nella guerra di Troia. Il giovane era conosciuto per la delicatezza e la gentilezza con cui trattava i suoi cavalli. Achille tese un agguato a lui e a sua sorella Polissena mentre egli cavalcava con quest'ultima per attingere acqua alla fontana di Timbra - un'area all'esterno di Troia in cui sorgeva il tempio di Apollo.\nIl Greco rimase colpito dalla bellezza del giovane Troiano, riempiendosi di brama. Al vederlo, Troilo si mise in fuga, ma Achille lo sorprese e lo trascinò per i capelli dal suo cavallo. Il giovane principe rifiutò di cedere alle attenzioni sessuali di Achille e, in qualche modo, scappò, cercando rifugio nel vicino tempio di Apollo. Ma il greco lo seguì anche lì, riuscendo a metterlo con le spalle al muro. Achille dichiarò ancora una volta il suo amore per Troilo, ma al nuovo diniego del ragazzo fu preso da un attacco di ira e lo decapitò davanti all'altare, prima che i fratelli potessero soccorrerlo. L'uccisore mutilò anche il busto del giovinetto, amputandone tutti e quattro gli arti. Il compianto dei Troiani per la morte di Troilo fu immenso. Questo sacrilegio costò ad Achille stesso la morte, quando Apollo vendicò il giovane guidando la mano di Paride, il quale uccise Achille con una freccia diretta al tallone.\nL'episodio precede gli eventi narrati nell'Iliade, di dieci anni successivi, ma il nome di Troilo vi compare ugualmente sebbene in una rapida rassegna di Priamo. Quest'ultimo infatti, parlando con la moglie Ecuba, ricorda tristemente tutti i figli perduti fino a quel momento, prima di andare a chiedere ad Achille il riscatto del cadavere di Ettore (Il., XXIV, 257). In tale passo, tuttavia, non è specificato come sia morto Troilo e chi, eventualmente, lo abbia ucciso. Nonostante la giovanissima età, il ricordo che di Troilo ha suo padre è quello di un guerriero già esperto: lo definisce infatti 'furia di guerra'.\nSulle circostanze della morte di Troilo sono fiorite diverse varianti del mito, dall'antichità classica al Medioevo, spesso in contraddizione tra loro. Secondo una prima versione, sarebbe stato sorpreso da Achille mentre, di sera, portava i cavalli all'abbeveratoio non lontano dalle Porte Scee. In versioni più tarde, compare sulla scena anche la sorella Polissena, che avrebbe assistito impotente all'omicidio del fratello; di lei Achille si sarebbe innamorato vedendola fuggire. Polissena avrebbe poi approfittato di questa debolezza dell'eroe per convincerlo a rivelarle il suo unico punto debole (il «tallone di Achille»), così che il fratello Paride potesse colpirlo con una freccia vendicando la morte di Troilo. Tale episodio era già presente nel poema perduto Etiopide del Ciclo Troiano.\nIn altre varianti, Troilo viene decapitato da Achille in battaglia.\n\nRiprese del mito in età tardoantica, medievale e moderna.\nIn versioni più tarde, la figura di Achille risente di due caratterizzazioni soltanto accennate all'origine nel mito di Troilo: l'ira (tipica e argumentum dell'Iliade) e la pederastia. Achille, vedendo Troilo all'abbeveratoio, se ne sarebbe innamorato e, al rifiuto del giovane di ricambiare il suo amore, lo avrebbe inseguito. Troilo si sarebbe quindi rifugiato nel tempio di Apollo Timbreo. Le varianti, a questo punto, discordano. Secondo una prima, Achille - adirato per non poter possedere il giovane - lo uccise decapitandolo, oppure trafiggendolo con la sua lancia. In un'altra, Achille avrebbe violentato Troilo nel tempio, schiacciandogli poi senza volerlo il torace nella foga. Spesso sulla scena è nuovamente presente Polissena.\nLicofrone, nella Alessandra, descrive poeticamente e in modo criptico la sua morte. Invece Virgilio segue la versione che vuole Troilo perito in battaglia: nel primo libro dell'Eneide, lo scontro tra Achille e il principe troiano trova posto in una raffigurazione nel tempio di Cartagine e vede affrontarsi i due protagonisti a bordo dei rispettivi cocchi: il giovinetto inoltre non muore decapitato, ma colpito da una lancia del nemico, e il suo corpo, che nella caduta dal carro vi è rimasto in parte attaccato, finisce trascinato insieme ad esso per tutto il campo di battaglia dai cavalli imbizzarriti (una morte molto simile a quella del giovane paflagone Midone nell'Iliade). Ditti Cretese, infine, inserisce Troilo tra i dodici giovani troiani fatti prigionieri da Achille e da lui sgozzati sul rogo di Patroclo.\nNel XIII secolo, Alberto di Stade scrive un poema intitolato Troilus.\nNelle leggende medievali, il nome di Troilo si unisce indissolubilmente a quello della giovane Criseide/Cressida. I due vengono descritti come amanti, e Troilo sarebbe stato ucciso in un impari duello da Achille, nel tentativo di evitare la schiavitù alla fanciulla (nonostante le fonti antiche siano concordi nel dire che Criseide era schiava di Agamennone). A questa romantica variante si ispirò, tra gli altri, Shakespeare nella tragedia Troilo e Cressida e Boccaccio nel poema in ottave Filostrato.\n\nTroilo nell'arte antica.\nL'arte greca antica ha frequentemente privilegiato gli episodi legati alla tragica uccisione di Troilo, tralasciando la raffigurazione del giovinetto in contesti diversi da quelli sanguinosi. Inconsueto dunque risulta il soggetto dipinto su un vaso a figure rosse proveniente dalla Puglia, risalente all'incirca al 340 a.C., in cui egli, ancora fanciullo, vacilla intimorito tra le gambe dell'anziano padre Priamo.\nIn queste raffigurazioni, prevale la fisionomia di un giovinetto imberbe, spesso nudo, o ricoperto da un manto corto o una tunica. In un vaso etrusco risalente al VI secolo a.C., il pittore ha ritratto il possente Achille nell'atto di liberare uno stormo di colombe in direzione di Troilo, in piedi, occultato dalla colonna del tempio, in sintonia con l'aneddoto narrato da Servio.\nSu uno scudo prodotto tra la fine del VII secolo e la metà del VI secolo a.C. e rinvenuto a Olimpia, è inciso un guerriero armato che si accinge a immolare su un altare un fanciullo nudo. Un cratere contemporaneo a questo illustra Achille che trattiene sull'altare l'inerme vittima ignuda mentre Ettore, Enea e un troiano altrove ignoto, tale Deitino, accorrono invano nella speranza di impedire lo spargimento di sangue. In un'altra pittura vascolare, Achille e Ettore sono rappresentati in combattimento sui poveri resti del giovinetto, vigilati da Atena ed Ermes; Enea e Deitino, alle spalle di Ettore, chiudono la scena.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Troy - La caduta di Troia.\n### Descrizione: Troy - La caduta di Troia (Troy - Fall of a City) è una miniserie creata dalla BBC nel 2018. È basata sull'Iliade e la guerra di Troia in generale.\n\nProduzione.\nLa miniserie è stata girata a Città del Capo e comprende otto episodi. È stata scritta da David Farr, Nancy Harris, Mika Watkins, e Joe Barton, e diretta da Owen Harris e Mark Brozel.\n\nEpisodi.\nDistribuzione.\nAccoglienza.\nCritica.\nNonostante il basso numero di spettatori, Troy - La caduta di Troia è stato accolto positivamente dalla critica anglosassone. Sia The Guardian che The Daily Telegraph lo considerarono superiore al film del 2004 Troy, ritenendo più realista e dettagliata la psicologia dei personaggi e commentando favorevolmente sulla maggior fedeltà all'Iliade. La scenografia e i costumi ottennero l'apprezzamento della critica, che però si è espressa più tiepidamente sulla qualità dei dialoghi.La presenza di scene di guerra e di natura soprannaturale portarono alcuni giornalisti a paragonare la miniserie a Il Trono di Spade: mentre The Independent considerò Troy - La caduta di Troia inferiore alla serie dell'HBO per ritmo narrativo e azione, The Guardian lo considerò all'altezza della saga fantasy. La scelta di ricorrere ad attori di colore per i ruoli di Achille, Enea, Zeus e Patroclo portò ad alcune critiche da parte del pubblico e all'accusa di 'brown-washing', respinte dallo sceneggiatore David Farr.Sull'aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes, la miniserie ottiene il 71% delle recensioni professionali positive.
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### Titolo: Tunica di Nesso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, la Tunica di Nesso fu la tunica (chitone) avvelenata che portò alla morte di Ercole. Un tempo il termine veniva utilizzato come riferimento popolare nella letteratura. Mentre nel folclore tradizionale, è considerato un 'vestito avvelenato'.\n\nMito.\nSecondo la mitologia greca, la tunica, contaminata dal sangue avvelenato del centauro Nesso, venne consegnata ad Ercole dalla sua ignara moglie, Deianira. Avendo indossato la tunica ed essendosi avvicinato alla fiamma di una pira funeraria, Ercole subì un bruciante dolore, causato dal riscaldamento del veleno stesso. Incapace di resistere, l'eroe e semidio si scagliò nelle fiamme della pira, per poi morire tra mille sofferenze.Metaforicamente, la tunica di Nesso rappresenta 'una fonte di sventura senza via di fuga', ma anche 'una forza distruttiva ed espiatoria'.\n\nNella storia.\nRibellione di Münster.\nDurante la ribellione di Münster degli anabattisti nel 1534, una quindicenne di nome Hille Feyken tentò di ingannare il principe-vescovo di Münster, Francesco di Waldeck, che aveva comandato un lungo assedio alla città. Il suo piano consisteva nel fingere di disertare, fornendo informazioni al vescovo sulle difese della città mentre gli dava una bella tunica imbevuta di veleno. Ancor prima che il suo piano potesse essere attuato, venne tradita da un altro disertore, la quale avvertì il vescovo, la Feyken prima di morire venne torturata.\n\nAttentato a Hitler.\nHenning von Tresckow, Maggior generale dello Heer, fu uno dei cospiratori principali nell'attentato del 20 luglio per assassinare Adolf Hitler, questo avvenimento viene associato come 'Veste di Nesso', dopo che l'attentato fu un fallimento, ne conseguì la morte sua e dei suoi compagni il 21 luglio.\n\nNella letteratura.\nWilliam Shakespeare.\nAlexandre Dumas.\nIl conte di Montecristo.\n\nT. S. Eliot.\nJohn Barth.\nRobert Duncan.\nHyam Plutzik.\nIn altri media.
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### Titolo: Turno.\n### Descrizione: Turno (in latino Turnus) è l'antagonista di Enea nell'Eneide, il poema di Virgilio che narra delle avventure dell'eroe troiano dalla sua fuga da Troia, dopo che gli Achei l'avevano conquistata incendiandola, fino al suo approdo nel Lazio, presso l'antica città di Laurento, dove avrebbe dovuto sposare la figlia di Latino, Lavinia, già promessa al re dei Rutuli, che è appunto Turno.\n\nIl mito.\nLe origini.\nGiovane e bellissimo re dei Rutuli, Turno è anche semidio, essendo figlio di Dauno e della ninfa Venilia; ha due sorelle: la più giovane è sposata con un rutulo di nome Numano, mentre l'altra è Giuturna, che amata a suo tempo da Giove è stata da lui resa immortale. Il nome mitologico di Turno viene fatto derivare dal greco antico Touros, che ha significato di animo impetuoso; secondo talune fonti potrebbe invece intendersi come Turrenos; le versioni in lingua etrusca sono molteplici e vengono date come Tursnus, Turosnus, o ancora Turannus.Per un'altra versione, Turno, cugino di Amata moglie del re Latino, era un latino disertore, posto a capo dell'esercito dei Rutuli.\n\nLa morte in guerra.\nSecondo il racconto virgiliano, quando Enea giunge nel Lazio, il re Latino, volendo sancire con lui un'alleanza, gli dà in sposa la figlia Lavinia, peraltro già promessa a Turno. A ciò s'oppone decisamente Amata, madre di Lavinia e moglie di Latino, che aveva sempre prediletto il giovane italico come futuro sposo della fanciulla. A nulla servono le proteste della donna, aizzata follemente dalla furia Aletto per ordine di Giunone, che scatena orge bacchiche e canta le nozze di Lavinia e Turno.\nNel racconto di Tito Livio, Turno entra in guerra contemporaneamente contro Enea e Latino, perché Lavinia, che gli era stata promessa in sposa, è invece stata assegnata ad Enea, dopo lo sbarco dei troiani nel Lazio. Nel primo scontro, i Rutuli sono sconfitti, ma il re Latino cade morto in battaglia.\nNell'Eneide Turno, per rappresaglia, decide di dichiarare guerra ai troiani di Enea, con il quale si batte in duello mortale nell'ultimo libro, venendone sconfitto; nella drammatica scena finale, quando egli è già stato ferito, Enea si accorge che l'avversario indossa ancora il balteus del giovane amico Pallante, ed è per questo che l'eroe troiano, dopo l'iniziale intenzione di risparmiarlo per le suppliche del nemico (l'atteggiamento di Turno non è dettato dalla paura della morte, ma dal desiderio di evitare il più grande dei dolori al suo vecchio padre) spinto da un'ira vendicativa infligge dunque al Rutulo il colpo di grazia.\n\n(Virgilio, Eneide, XII, traduzione di Luca Canali).\nLivio invece non racconta della morte di Turno, ma solo della successiva battaglia combattuta dai Rutuli e dai loro alleati Etruschi, guidati dal re Mezenzio, contro i Latini, condotti da Enea, che rimarrà ucciso nello scontro.\n\nInterpretazione.\nNel poema virgiliano, Turno è presentato come l'alter ego di Enea, un eroe segnato dal fato. È un sovrano molto amato dai suoi guerrieri e anche dagli alleati, tra i quali ci sono i suoi due più grandi amici, il re italico Ramnete, che è anche l'augure dell'accampamento, e Murrano, un giovane di Laurento imparentato con la famiglia del re Latino. Il suo unico detrattore è il vecchio cortigiano latino Drance, sostenitore di un accordo di pace tra gli italici ed Enea.\nNella guerra Turno si batte con passione e ardore, cedendo occasionalmente alla ferocia (come nel noto episodio dell'uccisione di Pallante, al cui cadavere sottrae il balteo: per la qual cosa, come si è detto, Enea non avrà pietà di lui nella sfida finale).\n\nRealtà storica.\nIl personaggio virgiliano di Turno mostra forti analogie con la storiografia liviana di IV secolo a.C. Il suo duello mortale con Enea, e il luogo nel quale si svolge, mostra infatti perfette similitudini con i fatti occorsi tra Marco Valerio Corvo, nell'Eneide corrispondente ad Enea, e il Gallo, rappresentante del popolo celtico che invase l'Italia, identificabile proprio con Turno, figlio di Dauno della Daunia (parte dell'Apulia), terra influenzata dalla presenza siracusana in epoca dionigiana.\n\nVittime di Turno.\nTurno è il guerriero italico che più di ogni altro nell'Eneide fa scempio immane dei Troiani e dei loro alleati arrivando ad uccidere da solo quasi 50 nemici. Tra di loro ce ne sono due col nome 'Fegeo', e altri due col nome 'Amico'.\n\nElenore: giovanissimo guerriero, figlio illegittimo del re di Meonia, difensore del castrum troiano.\nLico: un difensore del castrum troiano.\nCeneo: un difensore del castrum troiano.\nIti: un difensore del castrum troiano.\nClonio: un difensore del castrum troiano.\nDioxippo: un difensore del castrum troiano.\nPromolo: un difensore del castrum troiano.\nSagari: un difensore del castrum troiano.\nIda: un difensore del castrum troiano.\nAntifate: figlio illegittimo del re licio Sarpedonte; difensore del castrum troiano.\nMerope: un difensore del castrum troiano.\nErimanto: un difensore del castrum troiano.\nAfidno: un difensore troiano del castrum.\nBizia: guerriero enorme, difensore del castrum; protetto da una corazza invulnerabile; Turno riesce a perforarla tramite una falarica, scagliata con estrema violenza.\nPandaro: fratello di Bizia, difensore del castrum; Turno gli si avventa contro e gli spacca letteralmente la testa, lasciando colare i brandelli di cervello sulla corazza e al suolo.\nFaleri: colpito da Turno all'interno del campo troiano.\nGige: ucciso insieme a Faleri; Turno lo colpisce a una gamba tagliandola di netto.\nAli: ucciso subito dopo Faleri e Gige; Turno lo trafigge alla schiena mentre fugge.\nFegeo: ucciso come Ali mentre fugge.\nAlcandro: ucciso di sorpresa mentre si trova sul muro di guardia.\nAlio: ucciso come il precedente.\nNoemone: ucciso come i precedenti.\nPritani: ucciso come i precedenti.\nLinceo: decapitato di netto dalla spada del re rutulo; la sua testa viene quindi lanciata lontano e fatta ricadere al suolo, dopo un lungo volo. Anche la sua uccisione avviene all'interno del campo troiano.\nAmico: guerriero e cacciatore. Ucciso nel campo troiano.\nClizio: ucciso nel campo troiano.\nCreteo: ucciso nel campo troiano.\nPallante: figlio del re Evandro, alleato principale di Enea, al quale strappa il balteo. In seguito Pallante sarà vendicato da Enea che farà scempio di italici, fino ad uccidere Turno.\nStenelo: prima vittima di Turno dopo la lunga assenza dal campo di battaglia.\nTamiro: guerriero troiano.\nFolo: guerriero troiano.\nGlauco: guerriero troiano.\nLade: guerriero troiano.\nEumede: figlio dell'antico Dolone (decapitato da Diomede).\nAsbite: guerriero troiano.\nCloreo: colui che aveva distratto la guerriera volsca Camilla, uccisa a bruciapelo da Arrunte.\nSibari: guerriero troiano.\nDarete: vecchio troiano, sacerdote e pugile.\nTersiloco: guerriero troiano.\nTimete: guerriero troiano.\nFegeo: decapitato mentre era trascinato dietro il suo carro ad opera di Turno, che, con un inganno l'aveva portato a ciò per poi lasciare il suo busto sulla sabbia e la sua testa ancora trainata dietro i cavalli.\nAmico: ucciso e poi decapitato; la sua testa viene conficcata in cima alla sua lancia, e quindi legata al carro che Turno porta via. Accade durante il confronto con Enea, alla fine del canto XII dell'Eneide.\nDiore: fratello di Amico, ne subisce la stessa identica sorte.\nClaro: fratellastro di Sarpedonte.\nTemone: altro fratellastro di Sarpedonte.\nMenete: giovane guerriero arcade, amante più della pace che della guerra.\nIllo: guerriero arcade.\nCreteo: guerriero arcade.\nEolo: guerriero troiano.\n\nNell'arte.\nIn campo artistico le fasi finali del duello tra Turno ed Enea sono state celebrate da Luca Giordano e Aureliano Milani; entrambi rappresentano il momento in cui il re rutulo, atterrato dal suo nemico, supplica di essere risparmiato.\n\nOmaggi.\nA Turno sono stati dedicati un cratere del satellite Dione, una via di Roma e una di Ardea.
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### Titolo: Ucalegonte.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ucalegonte appare come un vecchio compagno di Priamo, a Troia, insieme ai tre fratelli del re e ad altri anziani, quali l'amico caro Antenore, Antimaco, Pantoo e Timete.\n\nIl mito.\nNell'Iliade.\nIl ruolo di Ucalegonte è sommariamente descritto nell'Iliade; insieme ad altri troiani dalla veneranda età, faceva parte del consiglio degli anziani che si radunava periodicamente presso le Porte Scee per discutere di guerra o per fornire sagge informazioni al re.\nNell'Iliade, Ucalegonte e gli altri anziani appaiono radunati per discutere su una possibile trattativa tra Achei e Troiani, che si sarebbe conclusa con un leale duello tra Paride, il provocatore della guerra, e Menelao, il re di Sparta.\n\nLa morte.\nLa fine del vegliardo è raccontata brevemente da Virgilio nell'Eneide; la notte della caduta di Troia la casa di Ucalegonte, che si trova vicino a quella di Enea, viene incendiata dal fuoco delle fiaccole nemiche e rasa al suolo.\nVirgilio non allude esplicitamente anche alla morte dell'anziano troiano, ma sicuramente la nota frase 'Già arde lì accanto Ucalegonte' fa capire che Ucalegonte è perito nel rogo della sua abitazione (intossicato o divorato dal fuoco)..\n\nPareri secondari.\nIn una versione oscura, Ucalegonte appare come il nome di un certo Tebano, il quale era ritenuto padre della Sfinge.
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### Titolo: Uccelli del lago Stinfalo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca gli uccelli del lago Stinfalo (in greco antico Στυμφαλίδες ὄρνιθες / Stymphalídes órnithes) erano uccelli mostruosi, con penne, becco ed artigli di bronzo. Essi si nutrivano di carne umana e catturavano le loro vittime trafiggendole con le loro penne di bronzo che fungevano da dardi. Avevano inoltre un finissimo senso dell'udito, cosa che Eracle sfruttò per sconfiggerli.\nLa caccia agli uccelli del lago Stinfalo costituì la sesta delle dodici fatiche di Eracle. Secondo il mito, Eracle fece alzare in volo gli uccelli disturbandoli con un crotalo di bronzo, donatogli dalla dea Atena e uccidendone una buona parte con delle frecce avvelenate con il sangue dell'Idra di Lerna. Gli uccelli sopravvissuti volarono via per sempre.
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### Titolo: Ulisse e Diomede nella tenda di Reso.\n### Descrizione: Ulisse e Diomede nella tenda di Reso è un dipinto di Corrado Giaquinto, realizzato tra il 1753 e il 1762 e conservato nella Pinacoteca metropolitana di Bari.\nNel 2015 l'opera è stata esposta per alcuni mesi al Louvre di Parigi, nell'ambito della mostra 'L'épopée des rois thraces'.\n\nDescrizione.\nViene qui illustrato uno degli episodi più celebri della Guerra di Troia: Ulisse e Diomede, rappresentati al centro, sono appena entrati di notte nel sontuoso padiglione di Reso, il giovane semidio signore di Tracia, alleato dei troiani, che insieme ad alcuni dei suoi uomini sarà sgozzato nel sonno dai due eroi achei.\nLa fonte letteraria a cui Giaquinto attinge non è l’Iliade di Omero (dove si ha una disposizione diversa del contingente di Traci, col re che dorme al centro dell'accampamento, fra tre file di guerrieri) bensì il Reso pseudoeuripideo, in base a un elemento sicuro: a sinistra in basso, presso il letto a baldacchino in cui è coricato il semidio, presentato come un bellissimo giovane seminudo, si trova un uomo aitante e con folti capelli corvini, più o meno suo coetaneo, in tenuta militare, che dorme assiso su un seggio tenendo le briglie in mano; si tratta dell'auriga di Reso, personaggio che appunto appare soltanto nell'opera tragica. Nella tenda sono presenti anche altri due guerrieri traci, ugualmente dormienti: uno in basso a destra, armato di lancia e seduto a terra, l'altro più indietro, appoggiato alle cortine.\nAnziché immortalare l'eccidio vero e proprio, Giaquinto manda in scena il momento immediatamente precedente, ponendo al centro il significativo gioco di sguardi tra i due capi greci, incoraggiati dalla circostanza favorevole, ovvero l'imprudenza dei nemici destinati quindi a subire i loro colpi. Fra i Traci si rivela particolarmente riuscita la caratterizzazione dell'auriga - l'unico che resterà solo ferito - per la fedeltà al testo teatrale: la smorfia facciale di occhi e bocca non completamente chiusi, in tensione, riproduce magistralmente il sogno funesto che turba il giovane. Il letto del suo signore appare elevato e sfarzoso, trattandosi di cuscini e materassi ammucchiati accanto a un imponente drappo. Il guerriero in primo piano a destra, robusto come l'auriga, indossa un mantello militare piuttosto insolito, di colore verde. Sia la coppia achea che Reso vengono illuminati dal bagliore delle torce, diffondente un giallo intenso.
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### Titolo: Una favolosa tenebra informe.\n### Descrizione: Una favolosa tenebra informe o Einstein perduto (The Einstein Intersection) è un romanzo di fantascienza di Samuel R. Delany pubblicato nel 1967, vincitore del Premio Nebula e candidato al Premio Hugo.\nNeil Gaiman ne ha scritto una prefazione per l'edizione della Wesleyan University Press del 1998, nella quale lo riassume in poche parole come «la storia di un giovane che va in una grande città, impara alcune semplici verità sull'amore, sul diventare adulti, e decide di tornare a casa» e lo definisce «un bellissimo libro, scritto in modo perturbante, capace di prefigurare molta narrativa che è venuta dopo e troppo a lungo trascurato», non solo buona sf ma «grande letteratura, poiché è una raffinata trascrizione di sogni, di storie e di miti».\n\nStoria editoriale.\nIl romanzo è stato scritto tra il settembre 1965 e il novembre 1966, a New York, Parigi, Venezia, Atene, Istanbul e Londra.L'autore aveva scelto come titolo A Fabulous, Formless Darkness ma dovette accettare l'imposizione di un titolo diverso, più pulp. L'edizione italiana della Fanucci Editore del 2004 recupera l'intenzione originaria di Delany.\n\nTrama.\nTemi.\nSecondo Gaiman, Una favolosa tenebra informe è «un'analisi dei miti, del perché ne abbiamo bisogno, dell'esigenza di raccontarli e dell'influenza che essi esercitano su di noi, che li comprendiamo o meno. Ogni generazione rimpiazza quella che l'ha preceduta. Ogni generazione riscopre i racconti e le verità che l'hanno preceduta, li passa al setaccio, scopre da sola cosa è grano e cosa è pela, senza sapere o preoccuparsi o perfino comprendere che la generazione che le subentrerà, scoprirà a sua volta che alcune delle sue verità eterne erano poco più che mode passeggere».Il romanzo «contiene idee che potevano uscire allo scoperto come sf, mentre non potevano farlo esplicitamente nella narrativa del reale, in particolare le idee riguardo alla natura del sesso e della sessualità».\n\nEdizioni.\nSamuel R. Delany, The Einstein Intersection, Ace, 1967, pp. 142.\nSamuel R. Delany, Einstein perduto, traduzione di Maria Teresa Guasti, Galassia, n. 147, Casa Editrice La Tribuna, 1971.\nSamuel R. Delany, The Einstein Intersection, prefazione di Neil Gaiman, Wesleyan University Press, 1998, pp. 135.\nSamuel R. Delany, Una favolosa tenebra informe, traduzione di Paolo Prezzavento, prefazione di Neil Gaiman, Collezione Immaginario. Solaria, n. 11, Fanucci Editore, 2004, pp. 182, ISBN 88-347-0927-6.\nUrania Millemondi autunno - inverno 2017 , Editore: Mondadori.
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### Titolo: Valle di Tempe.\n### Descrizione: La valle di Tempe (in greco antico: Τέμπη?), celebrata dai poeti greci come uno dei luoghi preferiti da Apollo e dalle Muse, è l'antico nome di una gola nel nord della Tessaglia, in Grecia, localizzata tra il Monte Olimpo a nord, e il Monte Ossa a sud. La valle è lunga 10 chilometri, stretta circa 25 metri e con dirupi alti fino a 500 metri. Al centro scorre il fiume Peneo, nel suo corso che lo porta a sfociare nel vicino mare Egeo.\nSul lato destro del Peneo si trova un tempio di Apollo, vicino al quale veniva raccolto l'alloro usato per incoronare i vincitori dei Giochi pitici. La valle di Tempe fu anche il luogo di dimora di Aristeo, figlio di Apollo e di Cirene. Fu qui anche che fu morsa da un serpente la moglie di Orfeo, Euridice, la cui morte causò l'inizio delle peripezie e la discesa agli inferi del cantore greco. Nel XIII secolo nella valle fu eretta una chiesa in onore di Aghia Paraskevi.\n\nStoria.\nLa valle è un passo strategico nella Grecia, visto che è attraversata dalla strada principale che porta da Larissa alla costa. Per questo motivo è stata teatro di numerose battaglie attraverso gli anni. In ogni modo essa può essere aggirata attraverso il Passo Sarantoporo che però allunga la strada.\nNel 480 a.C. diecimila Ateniesi e Spartani vi si stanziarono per fermare l'invasione di Serse, ma i Persiani li evitarono proprio eseguendo una manovra di aggiramento attraverso il Sarantoporo. Questo causò il ripiegamento dei Greci più a sud e condizionò gli sviluppi successivi della seconda guerra persiana, determinando, fra le altre cose, lo svolgimento della battaglia delle Termopili.\nDurante la terza guerra macedonica nel 164 a.C. i Romani ruppero le difese di Perseo e più tardi lo sconfissero nella Battaglia di Pidna. Durante la rivolta di Andriskos nel 148 a.C. la valle fu il luogo di un altro scontro. Vi furono altre battaglie, combattute durante le invasioni barbariche, che segnarono la fine dell'influenza romana sulla Grecia, e all'epoca degli scontri tra l'Impero bizantino e l'impero ottomano. Ai giorni d'oggi la valle è conosciuta per le cattive condizioni delle strade che la attraversano e per il tremendo incidente che queste cattive condizioni causarono nel 2003 quando vi morì un'intera classe delle scuole superiori di Imathia.\nLe città di Tempe in Arizona e di Tempe nel Nuovo Galles del Sud prendono il nome da questo luogo.\nAntonio Vivaldi compose nel 1726 un'opera lirica dal titolo Dorilla in Tempe, ambientata, appunto, nella valle di Tempe.\n\nGalleria d'immagini.\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla valle di Tempe.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Vale of Tempe, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Vaso François.\n### Descrizione: Vaso François è il nome convenzionale attribuito, dal nome dell'archeologo che lo scoprì nel 1844-45 a Chiusi. Si tratta di un cratere a volute a figure nere di produzione attica, capolavoro della ceramografia arcaica, datato intorno al 570/565 a.C. Si tratta del più antico cratere a volute attico conosciuto (ma esistono precedenti vicini ad esso). Le sue dimensioni si sviluppano su un'altezza di 66 cm e un diametro massimo di 57 cm.\n\nRitrovamento e restauro.\nI numerosi frammenti del vaso furono rinvenuti nella necropoli etrusca di 'Fonte Rotella' a Chiusi nel 1844 e 1845, da parte di Alessandro François, lo scopritore della celebre Tomba François di Vulci, dispersi in due tumuli funerari saccheggiati già in antico. I cocci del vaso che, nonostante ripetute ricerche, non sono mai stati interamente ritrovati, furono inviati a Firenze dove un accurato restauro, per opera del restauratore Vincenzo Monni, permise un'ottima ricostruzione dell'oggetto che fu acquisito ed esposto presso il Museo archeologico nazionale di Firenze (inv. 4209).\nDopo la prima ricomposizione, il 9 settembre 1900 il vaso fu vittima della collera di un custode del museo che lo disintegrò proditoriamente in 638 pezzi; si rese necessario quindi un secondo restauro. L'opera non fu interessata dalla disastrosa alluvione dell'Arno del 1966.\n\nAttribuzione.\nUn'iscrizione dipinta sullo stesso vaso ne riporta gli autori: il ceramista Ergotimos e il ceramografo Clizia (Kleitías). L'iscrizione è riportata due volte: una prima con due frasi verticali inserite nella scena delle nozze di Peleo e Teti, e una seconda, non interamente conservata, sopra la nave di Teseo raffigurata sull'orlo.\n\nDescrizione.\nLa forma del vaso è nota come cratere a volute, cioè un cratere con anse a volute. Si tratta di uno dei primi crateri a volute attici. Più tardi i ceramisti amplieranno le volute, aggiungeranno un labbro all'apertura, cambieranno la forma del piede, la forma diverrà complessivamente più alta, ma il modello di Ergotimos rimase esempio insuperabile.\n\nScene dipinte.\nLa decorazione comprende la raffigurazione di scene mitologiche o decorative, i cui temi sono incentrati sul ciclo narrativo del personaggio di Achille (e di suo padre Peleo). Le scene si dispiegano su sette registri sovrapposti. Sono presenti 270 figure e 131 iscrizioni esplicative. La dimensione verticale dei registri decorativi è variabile per adattarsi con maestria alla tettonica del vaso e contribuendo così a conferire movimento alla decorazione. La narrazione si dipana linearmente su ciascuna banda, senza contrapposizioni antitetiche, fluida e narrativa, priva di ogni rigidità.\n\nCollo.\nTeseo fa da collegamento tra la scena con la danza degli ateniesi a Creta, nella fascia superiore, e la Centauromachia sotto di essa.Registro superiore:.\nSul lato posteriore troviamo i 14 giovani ateniesi che erano stati inviati a Creta come sacrificio per il Minotauro, i quali danzano al cospetto di Teseo che li ha salvati e che conduce la danza suonando la lira; di fronte a Teseo si trova Arianna. A sinistra la scena narra l'arrivo della nave che li riporterà in patria. Si tratta di un soggetto molto raro, gli unici altri esempi giunti sino a noi appartengono a Kleitias stesso. Piccoli frammenti di due vasi trovati sull'Acropoli di Atene provengono da immagini di danza più grandi di quelle del vaso François: parti dei ballerini su Acropolis 1.596, il volto di una donna e il retro di una testa con l'iscrizione [Eur]ysthenes, il nome del quinto danzatore a partire dalla sinistra del vaso François, su Acropolis 1.598.\nSul lato anteriore (quello che corrisponde alla sottostante processione degli dei verso la casa di Peleo e Teti) troviamo l'episodio della caccia al cinghiale calidonio, alla quale partecipano Meleagro e Peleo.\nRegistro inferiore:.\nSu un lato vi è la corsa dei carri, evento principale ai giochi funebri tenuti da Achille in onore di Patroclo, descritti nel XXIII libro dell'Iliade. In linea con una vecchia convenzione i premi, tripodi e lebeti di bronzo, vengono utilizzati nella composizione per riempire i vuoti sotto i cavalli. I cinque concorrenti indossano la lunga veste prescritta dal regolamento e tengono, oltre alle redini, il pungolo. In questo caso Kleitias si discosta molto dal racconto omerico, inoltre c'è poca varietà nella rappresentazione, come se fosse poco interessato alla narrazione e descrizione e maggiormente rivolto alla resa del movimento, in contrasto con la lenta processione della zona sottostante.\nSul lato opposto la scena della Centauromachia è una delle prime in cui il protagonista non è Eracle, ma sono i lapiti che combattono i centauri in Tessaglia. L'immagine di Kleitias è composta da sette gruppi (ora frammentari) con molte sovrapposizioni. Teseo, pur non essendo un lapita, partecipa alla battaglia come amico di Peirithoös, uno dei grandi guerrieri lapiti.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\nSpalla.\nLa processione degli dei alle nozze di Peleo e Teti.Sulla spalla del vaso, nel suo punto di massima espansione, si trova la fascia decorativa principale, con la processione degli dei alle nozze di Peleo e Teti, che scorre lungo l'intera circonferenza del vaso. Teti si affaccia da una porta semiaperta; Peleo è in piedi di fronte all'edificio mentre accoglie gli dei invitati alle nozze. In funzione di una migliore leggibilità della scena Kleitias pone frontalmente la casa di Teti e Peleo: è uno dei tre edifici rappresentati sul vaso, importanti per la storia dell'architettura greca. È un edificio a timpano, con un portico formato dalla prosecuzione delle pareti laterali e con due colonne tra le estremità decorate. La lunga processione è guidata da Chirone (che stringe la mano a Peleo) e Iride. Seguono tre figure femminili affiancate che sono seguite a loro volta da Dioniso. In nessun altro luogo Dioniso è rappresentato in questo modo: ha il passo allungato e un'anfora piena di vino sulla spalla, il viso è rappresentato frontalmente e nel periodo arcaico il volto frontale non è mai usato a caso. Gli altri volti frontali di questo fregio sono riservati a Calliope, una delle nove Muse figlie di Zeus, che suona il flauto di Pan, e a Efesto che come nel precedente di Sofilo chiude la processione. Efesto giunge dietro i carri (il carro di Atena e Artemide accompagnate dalle Moire, il carro di Apollo, di Afrodite, di Poseidone e Anfitrite) in sella a un asino, come Dioniso sembra assumere una posizione inferiore rispetto agli altri dei, ma entrambi saranno ricompensati in seguito, con il loro trionfo nella scena del ritorno di Efesto. Il mito vuole che la dea della discordia non fosse stata invitata alle nozze e che per questo la dea avesse lanciato il pomo d'oro da cui sarebbe scaturita la guerra di Troia a causa del giudizio di Paride, e quindi la morte di Achille. Nei pressi delle anse il fregio finge di proseguire come se queste vi fossero sovrapposte.VentreRegistro superiore:.\nSul lato principale, sotto il matrimonio, sono rappresentati l'agguato di Achille a Troilo sotto le mura di Troia, l'ira di Apollo per l'uccisione di Troilo presso il santuario a lui dedicato, Priamo spaventato per ciò che accade. I fratelli di Troilo, Ettore e Polites, escono dalle porte della città; sugli spalti, nelle feritoie, ci sono cumuli di pietre da scagliare contro gli aggressori.\nSull'altro lato vi è il ritorno del dio Efesto sull'Olimpo, dal quale era stato scacciato dalla madre Era e al quale viene ricondotto da Dioniso e dal suo tiaso. Nella metà sinistra della scena Era è seduta con Zeus e Afrodite) alla presenza di altri dei; sulla destra Dioniso conduce il mulo su cui si trova Efesto accompagnato da satiri e ninfe. Quella di Dioniso sul Vaso François è una rappresentazione precoce, non ce ne sono prima del VI secolo a.C.; anche i satiri compaiono solo nella prima parte del VI secolo a.C. e quelli di Kleitias sono i più inusuali; non solo perché hanno gambe equine, oltre a coda e orecchie come i satiri sui vasi contemporanei, ma il loro intero aspetto è magro ed equino e, diversamente dalla maggior parte dei satiri a Figure nere, per nulla suino. Le teste di satiri di Kleitias, con i loro nasi aquilini e i capelli sulla fronte, sono molto simili alle teste dei suoi centauri, pur con qualcosa di più selvaggio e spaventoso.\nRegistro inferiore:.\nVi si trova un fregio decorativo animalistico, con gruppi di animali e piante. Nell'arte arcaica gli animali sono simboli di terrore e potenza; qui presentano una nuova eleganza, e vi compaiono alcune novità, come i grifoni, che sono i primi rappresentati sui vasi attici, e la pantera che dimostra nell'atto di sferrare la zampata felina in modo tutt'altro che convenzionale l'attenta osservazione dal vero da parte di Kleitias. Segue una fascia decorata a raggi.AnseI soggetti sono gli stessi su entrambe, con minime variazioni. Sulla superficie si trovano all'esterno due riquadri sovrapposti: in quello superiore Artemide alata come signora degli animali e in quello inferiore Aiace che porta il corpo di Achille ucciso; all'interno compare un riquadro con il Gorgoneion apotropaico nello schema arcaico della 'corsa in ginocchio'. Artemide alata (o Potnia Theron) era un soggetto frequente nella Grecia del VII e VI secolo a.C., ma non in Attica; è presente sul Vaso François perché appartenente allo stesso regno che viene rappresentato nel fregio inferiore del ventre del vaso. Il gruppo di Aiace e Achille la più antica rappresentazione del soggetto in Attica; fa parte del ciclo di Peleo e Achille ed è il momento conclusivo della narrazione incominciata con il matrimonio di Peleo e Teti. Le Gorgoni si rispecchiavano nel liquido contenuto all'interno del cratere, come sorvolando il mare; Kleitias ci ha lasciato altre due teste di gorgone: una, danneggiata, sullo scudo di Ettore nella scena con Troilo su questo stesso vaso, l'altra è il principale ornamento di un supporto di uso incerto che si trova a New York e che porta, come il vaso François, la doppia firma di Ergotimos e Kleitias (New York, Metropolitan Museum 31.11.4).PiedeSul piede del vaso, tra due fasce decorative è raffigurata la scena comica della vivace lotta tra pigmei e gru (o 'geranomachia'), prima raffigurazione di questo tema iconografico ripreso da una citazione nell'Iliade.\n\nTecnica.\nLe parti bianche e le sovradipinture brune sono in gran parte scomparse. Il Vaso François si pone all'inizio del periodo maturo delle Figure Nere attiche, ma allo stesso tempo ha in sé qualcosa del periodo precedente: l'uso del porpora per i volti degli uomini e la stesura del bianco direttamente sull'argilla (quest'ultima causa della perdita del pigmento) ne sono alcuni aspetti. Importante in questo senso è anche la suddivisione delle scene in tante fasce sottili che verrà abbandonata in favore di scene principali evidenziate, come nel protoattico. I frammenti dell'Acropoli di Atene (Acropoli 1.594) attribuiti a Kleitias e meglio conservati mostrano come le figure femminili dovevano apparire sul Vaso François.
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### Titolo: Vaso di Pandora.\n### Descrizione: Il vaso di Pandora (chiamato anche scrigno di Pandora) è, nella mitologia greca, il leggendario contenitore di tutti i mali che si riversarono nel mondo dopo la sua apertura.\n\nIl mito.\nPer vendicarsi di Prometeo, il titano che aveva donato il fuoco agli uomini rubandolo a Zeus, il re degli dei decide di donare la prima donna mortale, Pandora, agli uomini. Si tratta di una sottile vendetta perché Pandora, resa bellissima da Afrodite, a cui Era aveva insegnato le arti manuali e Apollo la musica e che era stata resa viva da Atena, è destinata ad arrecare la perdizione al genere umano.\nSecondo il racconto tramandato dal poeta Esiodo ne Le opere e i giorni, il 'vaso' (pithos, πίθος in greco antico) era un dono fatto a Pandora da Zeus, il quale le aveva raccomandato di non aprirlo. Questo vaso, che dovrebbe contenere il grano, conteneva invece tutti i mali che affliggono l'uomo e che erano fino a quel momento separati da lui.\nPandora, che aveva ricevuto dal dio Ermes il 'dono' della curiosità, non tardò però a scoperchiarlo, liberando così tutti i mali del mondo, che erano gli spiriti maligni della 'vecchiaia', 'gelosia', 'malattia', 'pazzia' e il 'vizio'. Sul fondo del vaso rimase soltanto la speranza (Elpis), che non fece in tempo ad allontanarsi prima che il vaso venisse chiuso di nuovo. Aprendo il vaso, Pandora condanna l'umanità a una vita di sofferenze, realizzando così la punizione di Zeus.\nPrima di questo momento l'umanità aveva vissuto libera da mali, fatiche o preoccupazioni di sorta e gli uomini erano, così come gli dei, immortali. Dopo l'apertura del vaso il mondo divenne un luogo desolato ed inospitale, simile ad un deserto.\nCon il mito del vaso di Pandora la teodicea greca assegna alla curiosità femminile la responsabilità di aver reso dolorosa la vita dell'uomo.\n\nNella cultura di massa.\nAl giorno d'oggi l'espressione 'vaso di Pandora' viene usata metaforicamente per alludere all'improvvisa scoperta di un problema o una serie di problemi che per molto tempo erano rimasti nascosti e che una volta manifestatisi non è più possibile tornare a celare. Un'altra espressione dal significato simile è 'far uscire il genio dalla bottiglia'.\nIl vaso di Pandora, come molti altri elementi della mitologia greca, è stato più volte ripreso nella cultura moderna, sebbene a volte la leggenda venga modificata riadattandola al contesto in cui è inserita. Rielaborazioni del mito si trovano ad esempio in alcune serie di videogiochi.\nAnche il fumettista Masashi Kishimoto ha utilizzato il mito del Vaso di Pandora nella sua nuova opera 'Samurai 8: La leggenda di Hachimaru'.
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### Titolo: Vecchio del mare.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, il Vecchio del mare (in greco antico: ἅλιος γέρων?, hálios gérōn; o anche Γέροντας της Θάλασσας, trasl. Gérontas tēs Thálassas) è una figura che poteva essere identificata come una qualsiasi delle numerose creature acquatiche, generalmente Nereo o Proteo, ma anche Tritone, Ponto, Forco o Glauco. È il padre di Teti (la madre di Achille).\n\nMitologia.\nNel IV libro dell'Odissea di Omero, Menelao racconta a Telemaco il suo viaggio verso casa e come dovette chiedere consiglio al Vecchio del Mare. Il Vecchio può rispondere a qualsiasi domanda se catturato, ma catturarlo significa resistere mentre cambia da una forma all'altra. Menelao lo catturò e durante l'interrogatorio chiese se Ulisse, il padre di Telemaco, fosse ancora vivo.\n\nSinbad.\nSinbad il marinaio incontrò il mostruoso Vecchio del Mare (in arabo شيخ البحر‎?, Shaykh al-Bahr) durante il suo quinto viaggio. Si diceva che il Vecchio del Mare, com'è riportato nei racconti di Sinbad, ingannasse un viaggiatore facendolo cavalcare sulle sue spalle mentre il viaggiatore lo trasportava attraverso un ruscello. Tuttavia, il Vecchio non allentava la presa, costringendo la sua vittima a trasportarla dove preferiva e concedendole poco riposo. Tutte le vittime del Vecchio alla fine morirono a causa di questo trattamento miserabile, e il Vecchio le mangiò o le derubava. Sinbad, tuttavia, dopo aver fatto ubriacare il Vecchio con il vino, riuscì a scrollarlo di dosso e ad ucciderlo.\n\nPoesia e riferimenti lirici.\nIl Vecchio del Mare è menzionato nel poema narrativo King Jasper di Edwin Arlington Robinson. Nella terza parte della poesia, re Jasper sogna il suo defunto amico Hebron (che Jasper ha tradito) cavalcante sulla sua schiena. «Non puoi ancora cadere e sto guidando bene», dice Hebron a Jasper. «Se solo potessimo vedere l’acqua, / Diremmo che io sono il Vecchio del Mare, / E tu Sinbad il Marinaio». Hebron poi si trasforma in oro (un simbolo della motivazione di Jasper per averlo tradito) e convince Jasper a saltare attraverso un burrone con il pesante Hebron dorato sulla schiena.\n\nIl Vecchio del Mare figura anche in un'opera di Derek Walcott, poeta delle Indie Occidentali. In un articolo del 1965, The Figure of Crusoe, in cui scrive sulla poesia Crusoe’s Journal, Walcott osserva:.\nRiferendosi in successione alle figure di Adamo, Cristoforo (Colombo) e Venerdì, il narratore del poema osserva: «Tutte le forme, tutti gli oggetti si moltiplicavano dal suo,/il nostro Proteo dell'oceano;/nell'infanzia, la vecchiaia del suo derelitto/era come quella di un dio».\n\nNella cultura di massa.\nIl Vecchio del Mare viene brevemente menzionato in The Sorceress: The Secrets of the Immortal Nicholas Flamel di Michael Scott per impedire a Perenelle Flamel di fuggire da Alcatraz.\nChiamato Nereus, questo personaggio è presente in La maledizione del titano, il terzo capitolo della serie di romanzi Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo, in cui il protagonista lo combatte.\nIl Vecchio del Mare è menzionato in The Navigator di Morris West.\nIl Vecchio del Mare è menzionato in The Log from the Sea of Cortez (lett. 'Il tronco del mare di Cortez') di John Steinbeck.\nIl Vecchio del Mare è anche una carta del gioco di carte collezionabili Magic: The Gathering nell'espansione Arabian Nights basata sul personaggio di Sinbad Voyages, con l'artwork di Susan Van Camp, che dimostra chiaramente un carattere controllante e tortuoso.\nIl Vecchio del Mare è menzionato in Avengers, vol. 1, n. 1 (1963) di Loki.\nIl Vecchio appare anche nel quarto episodio della serie anime giapponese Shirab il ragazzo di Bagdad. Questa versione è in grado di parlare ed eseguire atti di forza sovrumana e può trasformarsi in una capra umanoide.\nIl Vecchio del Mare è menzionato in Piccole Donne (1868-9) di Louisa May Alcott, da Jo in riferimento a zia March.\nIl Vecchio del mare è menzionato nel racconto di George Moore Mildred Lawson (1895): «[...] era diventata una sorta di Vecchio del mare [...]».\nIl Vecchio del Mare è menzionato più volte in Beware of Pity ('Attenti alla pietà') di Stefan Zweig. Un esempio può essere trovato a pagina 294.\nIl Vecchio del Mare è una carta seguace nel gioco da tavolo Talisman the Magical Adventure, 4ª ed. La carta impone al giocatore a perdere 1 vita, 1 mestiere o un punto forza ogni turno finché non viene consegnato alla Taverna.\nIl vecchio uomo del mare è menzionato ne I figli di Matusalemme di Robert Heinlein.\nIl Vecchio del Mare è menzionato anche ne La Chiave d'Oro di George MacDonald.
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### Titolo: Vegoia.\n### Descrizione: Vegoia (in etrusco Vecu) è una lasa della mitologia etrusca, raffigurata come una giovane donna alata che tiene in mano una spiga di grano.\nIl sistema religioso etrusco rimane per lo più oscuro: essendoci pochi documenti bilingui paragonabili alla Stele di Rosetta che potrebbero facilitare la traduzione, la lingua etrusca è poco conosciuta. Pertanto, gli antichi documenti etruschi esistenti dell'VIII, VII e VI secolo a.C., che rivelerebbero le loro concezioni religiose, non danno grandi risultati. Inoltre, durante il periodo successivo, dal V al I secolo a.C., la civiltà etrusca assorbì pesantemente elementi della civiltà greca e alla fine si diluì nel mix culturale greco-romano con i potenti vicini romani. Infine, sebbene gli Etruschi abbiano formalizzato i loro concetti e le loro pratiche religiose in una serie di 'libri sacri', la maggior parte di essi non esiste più e sono conosciuti solo attraverso i commenti o le citazioni di autori romani della fine del I secolo, e quindi possono essere parziali.\nDue figure mitologiche sono state designate dagli Etruschi come autori dei loro libri sacri: Vegoia e Tagete, una figura infantile dotata della conoscenza e della preveggenza di un antico saggio. Questi libri sono conosciuti dagli autori latini in base a una classificazione del loro contenuto secondo il loro autore mitologico (se pronunciato attraverso discorsi o lezioni, come Tagete, o ispirazione).\n\nCitazione su Vegoia.\nA lei si attribuiscono i Libri Vegonici che vertevano sull'interpretazione dei fulmini; una copia di essi era conservata, secondo le testimonianze di Servio e di Ammiano Marcellino, a Roma all'interno del Tempio di Apollo Palatino, fatti lì collocare dall'imperatore Augusto. Anche due scritti relativi all'agrimensura sono presentati come ispirati dalla lasa: il primo sarebbe stato rivelato da Vegoia al punico Magone, l'altro a carattere profetico all'etrusco Arruns Veltumnus. Entrambi sono in parte conservati nei Gromatici veteres (V sec. d.C.), il secondo corrotto da lacune testuali e da errori tipici del latino tardo e con termini apparentemente impropri derivati verosimilmente da una non perfetta traduzione in latino di un testo originario in lingua etrusca:.\n\nGli attributi di Vegoia.\nLa figura di Vegoia è quasi del tutto offuscata nelle nebbie del passato. È conosciuta soprattutto grazie alle tradizioni della città etrusca di Chiusi (latino: Clusium; etrusco: Clevsin). Le rivelazioni della profetessa Vegoia sono designate come Libri Vegoici che comprendevano i Libri Fulgurales e parte dei Libri Rituales, soprattutto i Libri Fatales.\nViene appena designata come 'ninfa' e come autrice dei Libri Fulgurales, che forniscono le chiavi per interpretare il significato dei fulmini inviati dalle divinità utilizzando una cartografia del cielo che, come una sorta di divisione della proprietà e di assegnazione dell'uso, è attribuita a Vegoia. La sua assegnazione di settori dell'orizzonte a varie divinità è parallela al microcosmo che viene interpretato utilizzando il fegato di un animale sacrificato. Le divisioni sacre sembrano avere una corrispondenza anche nella misurazione e nella divisione della terra che, fin dagli albori della storia etrusca, obbediva a regole religiose. I suoi dettami insegnavano i corretti metodi di misurazione dello spazio.Vegoia è stata anche raffigurata come una sovrana dell'osservanza di queste regole, da rispettare sotto la minaccia di terribili sventure o maledizioni. Così, si è affermata come il potere che presiede alla proprietà della terra e ai diritti di proprietà della terra, alle leggi e ai contratti. Viene anche indicata come colei che ha stabilito le leggi relative alle opere idrauliche: avendo quindi un rapporto speciale con l'acqua 'domata'.\n\nInfluenza dei libri sacri etruschi.\nQuesto imponente sistema di 'rivelazione' e di 'testi sacri' lasciò un'impronta significativa sui vicini popoli italici. Ci sono ampie prove che la cultura etrusca abbia permeato profondamente le comunità meno avanzate dei vicini latini e sabini. Ad esempio, l'alfabeto etrusco, che derivava da quello greco, è stato solidamente riconosciuto come l'ispiratore dell'alfabeto latino. I principi e le regole strutturali del sistema numerico decimale etrusco, allo stesso modo, sono riconosciuti come l'origine dei numeri romani, che sono una versione semplificata del sistema etrusco. Derivano da questo sistema anche i simboli del potere supremo, la struttura del calendario romano così come tante parole (ad esempio dall'etrusco Kraeki sarebbe la fonte della parola latina Graeci).\n\nRelazione con i libri sibillini.\nSebbene la religione romana abbia poche basi scritte, aveva comunque un insieme di testi, noti come Libri Sibillini, che erano sotto il controllo esclusivo di speciali figure religiose, i duumviri (poi decemviri). A questi libri si ricorreva esclusivamente nei momenti di massima crisi. La trasmissione di questi 'libri sacri' ai Romani è stata attribuita a un etrusco, Tarquinio il Superbo, l'ultimo dei leggendari re di Roma: da qui la loro relazione con Vegoia.
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### Titolo: Vello d'oro.\n### Descrizione: Il Vello d'oro è un oggetto presente nella mitologia greca che si dice avesse il potere di curare ogni ferita o malattia. Si tratta del manto dorato di Crisomallo, un ariete alato capace di volare che Ermes donò a Nefele. Il Vello fu in seguito rubato da Giasone.\n\nL'origine del mito.\nAtamante ripudiò la moglie Nefele per sposare Ino; quest'ultima odiava Elle e Frisso, i figli che Atamante aveva avuto da Nefele, e cercò di ucciderli per permettere a suo figlio di salire al trono. Venuta a conoscenza dei piani di Ino, Nefele chiese aiuto ad Ermes che le inviò Crisomallo, il quale caricò in groppa i due fratelli e li trasportò, volando, nella Colchide. Elle cadde in mare durante il volo ed annegò, mentre Frisso arrivò a destinazione e venne ospitato da Eete. Frisso sacrificò quindi l'animale agli dei donando il vello a Eete, che lo nascose in un bosco ponendovi un drago di guardia.\n\nGiasone e gli Argonauti.\nIl Vello venne rubato da Giasone e dai suoi compagni, gli Argonauti, con l'aiuto di Medea, figlia di Eete. Il mito sembrerebbe rifarsi ai primi viaggi dei mercanti-marinai proto-greci alla ricerca di oro, di cui la penisola greca è assai scarsa; da notare è il fatto che tuttora, nelle zone montuose della Colchide e delle zone limitrofe, vivono pastori-cercatori d'oro seminomadi che utilizzano un setaccio ricavato principalmente dal vello di ariete, tra le cui fibre si incastrano le pagliuzze di oro. Altri studiosi ritengono che si tratti di una metafora dei campi di grano, scarso in Grecia, e che gli antichi Elleni si procuravano sulle coste meridionali del Mar Nero; altri ancora lo ritengono l'oro degli Sciti.\n\nAltri progetti.\nWikiquote contiene citazioni di o su vello d'oro.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su vello d'oro.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Golden Fleece, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Venere e Adone (arte).\n### Descrizione: Venere e Adone (in francese Vénus et Adonis; in olandese Venus en Adonis; in tedesco Venus und Adonis), è un soggetto classico della pittura, della scultura e, in misura minore, della musica.\n\nDescrizione.\nIl tema deriva dalla mitologia greca e romana e raffigura Venere (o Afrodite), la dea dell'amore e della bellezza, e il suo amante Adone. Nella mitologia la dea si innamora perdutamente del giovane e ciò causa la gelosia di suo marito Marte (o Ares); pertanto, durante una battuta di caccia, il dio invia un cinghiale ad uccidere il giovane. La dea, avendo saputo cosa era successo, corre in suo soccorso, ma trova Adone già morto. Il tema, che era già presente in epoca classica, raffigura per lo più gli amori tra Venere e Adone, la dea che scongiura Adone di non partire per la sua battuta di caccia (come nei dipinti di Tiziano) o il ritrovamento del cadavere del giovane. In alcuni dipinti è anche presente la figura di Cupido (o Eros), il figlio della dea Venere. Molto spesso i due amanti si trovano in un paesaggio bucolico, dando al tema un tocco pastorale.\n\nPittura.\nTiziano Vecellio:.\nVenere e Adone di Madrid, 1553.\nVenere e Adone di Londra, 1555.\nVenere e Adone di Los Angeles, 1555-1560.\nVenere e Adone di Washington, 1560.\nVenere e Adone, collezione privata temp. Oxford, 1560.\nVenere e Adone di Roma, 1560.\nVenere e Adone di New York, 1560Paris Bordone, Venere e Adone, 1560 circaLuca Cambiaso, Venere e Adone, 1560-1565Luca Cambiaso, Venere e Adone, 1565-1568Paolo Veronese, Venere e Adone, 1562Paolo Veronese, Venere e Adone, 1580Annibale Carracci, Venere, Adone e Cupido, 1595Bartholomäus Spranger, Venere e Adone (Venus und Adonis), 1597Abraham Janssens, Venere e Adone, prima del 1632Joachim Anthonisz Wtewael, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1607-1610Cornelis van Haarlem, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1614Pieter Paul Rubens, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1614Antoon van Dyck, Venere e Adone (Venus poogt Adonis van de jacht te weerhouden), 1620 circaFrancesco Albani, Venere ed Adone, 1621-1633Niccolò Pussino, Venere e Adone (Vénus et Adonis), 1624-1625Niccolò Pussino, Venere e Adone (Vénus et Adonis), 1626Abraham Bloemaert, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1632Pieter Paul Rubens, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1635Christiaen van Couwenbergh, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1645Ferdinand Bol, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1657-1660Theodoor van Thulden, Venere e Adone (Venus en Adonis), prima del 1669Sebastiano Ricci, Venere e Adone, 1706-1707Mattheus Terwesten, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1718François Lemoyne, Venere e Adone (Vénus et Adonis), 1729Jacopo Amigoni, Venere e Adone, 1740 circaJacques Ignatius de Roore, Venere e Adone (Vénus et Adonis), prima del 1747Jacopo Amigoni, Venere e Adone con le Nereidi, prima del 1752Christian Wilhelm Ernst Dietrich, Adone e Afrodite (Adonis und Aphrodite), 1770 circaJuan Bautista Peña, Venere e Adone (Venus y Adonis), prima del 1773Jonas Åkerström, Venere, Adone e Cupido (Venus, Adonis och Amor), prima del 1795Pierre Paul Prud'hon, Venere e Adone (Vénus et Adonis), 1800 circa.\n\nScultura.\nAdriaen de Vries, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1620-1621Salomone Gaetano, sculture dalla Fontana di Venere e Adone della Reggia di Caserta, 1784 - 1789Antonio Canova, Adone e Venere, 1795.\n\nMusica.\nJohn Blow, Venus and Adonis, 1683Henri Desmarets, Vénus et Adonis, 1697Hans Werner Henze, Venus und Adonis, 1997.
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### Titolo: Verme dell'Indo.\n### Descrizione: Il verme dell'Indo, conosciuto anche con il nome di skōlex (in greco, σκώληξ), è un leggendario verme carnivoro gigante che si credeva abitasse il fiume Indo, descritto nelle opere di alcuni scrittori dell'antica Grecia.\n\nEtimologia.\nNel XIX secolo l'indologo tedesco Gustav Solomon Oppert ipotizzo come il termine skōlex potesse essere derivato da un vocabolo in lingua indiana dal suono simile, che era convinto essere il termine sanscrito culukī, col significato di pesce o focena. Secondo Oppert, la parola potrebbe essere stata, per estensione, utilizzata per indicare il coccodrillo. In un suo articolo del 1998, lo studioso Erik Seldeslachts ha suggerito un parallelo con la parola sanscrita kṛmiḥ, che oltre a significare 'verme' è anche il nome di un nāgarāja.\n\nDescrizione.\nCtesia di Cnido nella sua Indica descriveva lo skōlex come l'unica creatura che viveva all'interno dell'Indo. Assomigliava ai vermi che si trovano nei fichi, ma era in media lungo 7 cubiti (poco più di 3 metri). Possedeva due grandi denti quadrati, uno sulla mascella superiore e uno su quella inferiore, che misuravano un pigone (quasi 40 centimetri) ciascuno. Di giorno scavava nel fondale fangoso del fiume, mentre di notte divorava prede come cavalli, mucche, asini e cammelli. Filostrato, riferendosi alla creatura, la descrive come simile a un verme bianco.\nSi credeva che il verme venisse cacciato con l'esca e che da esso si estraesse un olio infiammabile e volatile. Tale sostanza era impiegata a scopo bellico dai re indiani, i cui eserciti incendiavano le città scagliando su di esse con i vasi sigillati colmi di olio come se fossero granate. Il cosiddetto 'olio di skōlex' potrebbe essere stato costituito petrolio o nafta e non derivare affatto da un animale. Tuttavia, supponendo che con il termine skōlex ci si riferisse a qualche specie di coccodrillo, sarebbe stato possibile estrarre olio da questo rettile. È noto infatti come gli oli di pesce o l'olio di delfino del Gange siano stati impiegati in passato in India, sebbene non a scopo incendiario.\nLa leggenda del verme dell'Indo potrebbe infine avere dato origine a un'altra creatura leggendaria, l'odontotiranno, che si dice abbia attaccato le truppe di Alessandro Magno mentre queste guadavano il Gange.
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### Titolo: Via Lattea (mitologia greca).\n### Descrizione: Nella mitologia classica la Via Lattea nacque dalle gocce del latte fuoriuscito dal seno di Era, mentre allattava Eracle. Zeus, approfittando del sonno della dea, attaccò al seno suo figlio Eracle, avuto con la mortale Alcmena, perché solo succhiando dal petto della madre degli dei, il semidio avrebbe potuto ottenere l'immortalità. Il figlio di Zeus però, agguantò un seno della dea con troppa forza, svegliando Era e facendo schizzare parte del latte verso il cielo. Si creò così la Via Lattea. Questa da allora divenne la strada percorsa dagli dei per raggiungere il palazzo del re e della regina degli dei.\nSecondo Diodoro Siculo, quando Fetonte non fu più in grado di tenere le redini del carro solare, i cavalli di Helios cambiarono il percorso abituale ed attraversarono i cieli, incendiandoli e formando la Via Lattea.
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### Titolo: Video meliora proboque, deteriora sequor.\n### Descrizione: La locuzione latina Video meliora proboque, deteriora sequor è traducibile in italiano come: 'Vedo il meglio e l'approvo, ma seguo il peggio'. I versi sono contenuti nelle Metamorfosi di Ovidio, pronunciati da Medea, la quale, pur conoscendo i suoi obblighi nei confronti del padre e della patria, decide di trasgredirli per amore di Giasone.Queste parole indicano la debolezza dell'essere umano, il quale, pur conoscendo ciò che è giusto, non riesce a seguirlo.\n\nSuccesso e rielaborazioni.\nI versi di Ovidio sono stati successivamente ripresi e rielaborati dal Petrarca: Et veggio 'l meglio et al peggior m'appiglio; da Matteo Maria Boiardo: Ch'io vedo il meglio ed al peggior m'appiglio e dal Foscolo: Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio.Si trova una rielaborazione di questi versi anche fuori dall'ambito poetico, in Paolo di Tarso: Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.Anche Sant'Agostino, nel 'De natura et grazia' (67,81), scrive: 'vede quello che esige la rettitudine delle azioni e lo vuole e non riesce a farlo'.\nIl verso, inoltre, è anche citato nel Saggio sull'intelletto umano di John Locke, nel celebre capitolo XXI, Sul potere.Anche Spinoza cita il passo di Ovidio, nella parte IV dell'Ethica.\nIl verso è reperibile anche ne 'I nuovi saggi dell'intelletto umano' di Leibniz (libro II, cap 21, par. 35) nel contesto della spiegazione di cosa Leibniz intenda per 'pensieri sordi'; e nella 'Confessio Philosophi'.\nIl passo viene utilizzato anche da Thomas Hobbes, nel suo Libertà e Necessità.\n\nNella psicologia sociale.\nSecondo Elster la massima designa il concetto di akrasia, cioè un'irrazionale 'impazienza di godere' simboleggiata mitologicamente dal desiderio di Ulisse di ascoltare il canto delle sirene.\nIl verso ovidiano è stato utilizzato sia per descrivere delle pulsioni psicologiche individuali, anche in letteratura, sia per spiegare il fenomeno della ripulsa in ambiti sociali in cui la conoscenza dovrebbe spingere ad un comportamento razionale.
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### Titolo: Volpe di Teumesso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca la volpe di Teumesso (in greco antico: Τευμησ(σ)ία ἀλώπηξ?, Teumēs(s)íā alôpēx, o ἀλώπηξ τῆς Τευμησσοῦ, 'volpe di Teumesso'), 'volpe Teumessia' o volpe Cadmea, era una gigantesca volpe che era destinata a non essere mai catturata. Si diceva che fosse stata inviata dagli dei (forse Dioniso) per depredare i figli di Tebe come punizione per un crimine nazionale.\nCreonte, l'allora re di Tebe, impose ad Anfitrione l'impossibile compito di uccidere questa bestia. Anfitrione scoprì una soluzione apparentemente perfetta al problema recuperando il cane Lelapo, che era destinato a catturare tutto ciò che inseguiva, al fine di scovare la volpe. Zeus, di fronte a un'inevitabile contraddizione dovuta alla natura paradossale delle loro abilità che si escludevano a vicenda, trasformò le due bestie in pietra. Così entrambe divennero due costellazioni, il Canis Major (Lelapo) e il Canis Minor (la volpe di Teumesso).
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### Titolo: Vous n'avez encore rien vu.\n### Descrizione: Vous n'avez encore rien vu è un film del 2012 diretto da Alain Resnais.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su IMDb, IMDb.com.\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su AllMovie, All Media Network.\n(EN) You Ain't Seen Nothin' Yet, su Rotten Tomatoes, Fandango Media, LLC.\n(EN, ES) Vous n'avez encore rien vu, su FilmAffinity.\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su Metacritic, Red Ventures.\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su Box Office Mojo, IMDb.com.\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su BFI Film & TV Database, British Film Institute (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2018).\n(DE, EN) Vous n'avez encore rien vu, su filmportal.de.
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### Titolo: Warriors: Legends of Troy.\n### Descrizione: Warriors: Legends of Troy, in Giappone Troy musō (TROY 無双? lett. 'Troia senza rivali'), è un videogioco per PlayStation 3 e Xbox 360 del 2011. Il gioco è stato sviluppato da Koei Canada ed è stato pubblicato da Koei. Il titolo fa parte della serie Dynasty Warriors, ma è diverso dai precedenti capitoli della serie, in quanto contiene una maggior quantità di violenza grafica ed è il primo gioco della serie a ricevere un rating M da ESRB. È stato distribuito in Europa il 18 marzo 2011.\n\nTrama.\nIl gioco è ambientato durante la decennale guerra di Troia ed è caratterizzato da elementi sovrannaturali, come le apparizioni degli Dèi greci. Basato principalmente sull'Iliade, si articola attraverso ventuno capitoli che ripercorrono gli eventi del conflitto dall'arrivo della flotta greca sulle spiagge di Troia fino alla fuga di Enea a seguito della caduta della città.\n\nCapitoli.\nOgni capitolo vede protagonista uno degli otto eroi principali, e al termine di ciascuno di essi, salvo il capitolo 2, è presente un boss. Effettuando concatenamenti di colpi si guadagnano kleios, che tra una missione e l'altra permettono di acquistare oggetti con cui potenziare i propri eroi o sbloccare nuove combo. In ogni capitolo sono inoltre presenti delle missioni secondarie che, se completate, consentono di guadagnare punti aggiuntivi.\n\nApprodo: Achille raggiunge le spiagge di Troia alla testa dei suoi Mirmidoni, in modo da assicurare una testa di ponte al resto della flotta greca, oltre a neutralizzare alcune balliste che con i loro dardi infuocati minacciano di incenerire le altre navi. Boss: Guardiano.\nPerimetro: Guidati da Ulisse, Achille, Patroclo e Aiace devono mettere in sicurezza la spiaggia e la zona circostante per garantire l'allestimento dell'accampamento greco, oltre a respingere il primo tentativo di sortita degli assediati troiani. Boss: Nessuno.\nResistenza: Prima che i greci ottengano il controllo della regione antistante Troia, il principe Ettore organizza una sortita all'esterno delle mura per mettere in salvo quante più persone possibili all'interno della città, ma deve fare i conti con i Mirmidoni. Boss: Patroclo.\nOnore: Paride, consapevole di essere il principale responsabile della guerra che sta insanguinando Troia, decide di uscire dalla città e andare incontro a Menelao, cui intende proporre un duello faccia a faccia: chi vincerà avrà Elena, mentre il perdente sarà il prossimo passeggero della barca di Caronte. Boss: Menelao.\nConquista: Passano quasi dieci anni, ma Troia continua a resistere. Nel tentativo di favorirne la caduta, Achille guida i Mirmidoni alla conquista di tutte le altre città della regione, privando gli assediati di tutti i loro alleati. Alla fine, l'ultima rimasta è la potente città di Lirnesso, guidata da uno dei cugini del principe Ettore: Enea. Boss: Enea, Minete.\nSangue: Mentre tutti gli eserciti della Grecia sono impegnati a Troia, Pentesilea, principessa delle Amazzoni, guida le sue guerriere all'assalto di Atene per liberare la loro regina, Ippolita, catturata e ridotta in schiavitù dal re Teseo. Nell'infuriare dello scontro, però, un tragico errore segnerà per sempre la vita e l'onore di Pentesilea. Boss: Teseo.\nFama: Aiace Telamonio, bramoso di gloria e fama quanto suo cugino Achille, accompagna re Agamennone alla conquista di Tebe, ultima alleata dei troiani, la cui caduta metterebbe in seria difficoltà la resistenza di Troia dopo quasi nove anni di assedio. Boss: Eezione.\nPestilenza: Una pestilenza si abbatte sull'esercito greco, decimandone i soldati. Nel tentativo di capire l'origine del fenomeno, e di trovare una possibile soluzione, Achille e Patroclo vengono inviati al tempio di Apollo per consultare l'oracolo. Il tempio è però sorvegliato da Troilo, figlio di Priamo e favorito di Apollo, ma Achille, che ha disprezzo per tutti gli Dei, non ha timore a reclamare la sua vita, anche se questo significa sfidare la collera dei cieli. Boss: Troilo, Statua di Apollo.\nCampione: La notizia che Achille, furioso con Agamennone per avergli portato via la schiava Briseide, ha abbandonato l'esercito greco rinfranca gli assediati troiani, che con il favore degli Dei organizzano una controffensiva. Per Ettore, messosi alla guida della spedizione, è giunto il momento di ergersi a campione di Troia e guidare il suo popolo alla riscossa sui greci. Boss: Aiace.\nSortita: Nel tentativo di rinfrancare il morale di un esercito greco sull'orlo del collasso Ulisse, accompagnato da Menelao, organizza una spedizione notturna contro il campo dei Traci, alleati dei troiani, accampati lungo le rive del fiume Scamandro. Boss: Reso.\nBreccia: Nonostante la sconfitta dei Traci, il morale greco continua ad essere basso, e per i troiani sembra essere finalmente giunta l'ora della vittoria finale. Ettore, accompagnato dal fratello Deifobo, guida l'esercito troiano all'attacco dell'accampamento greco: ma Poseidone, alleato dei Greci, intenzionato ad impedire che i suoi protetti vengano sterminati, invia uno dei suoi figli ad occuparsi dell'eroe. Boss: Ciclope.\nDisperazione: L'assalto troiano sta per spazzare via l'esercito greco, e nel mezzo della battaglia re Agamennone rimane isolato dal resto delle sue truppe. Aiace, dopo essere riuscito a trarlo in salvo, deve portarlo al sicuro all'interno dell'accampamento greco, per poi occuparsi del grosso dell'esercito troiano al comando del semidio Sarpedonte, già affrontato tempo addietro da suo padre. Boss: Sarpedonte.\nRisolutezza: Mentre infuria la battaglia, Paride vuole poter concludere con le sue mani ciò che lui stesso ha provocato; così, accompagnato da Deifobo, si dirige all'accampamento greco per dare fuoco alle navi, tagliando al nemico ogni possibile via di fuga. Non ha però fatto i conti con la vendicativa dea Era, che non gli ha mai perdonato di aver favorito Afrodite in quel giudizio scellerato che è all'origine di tanta sventura. Boss: Idomeneo e Merione (in coppia con Deifobo), Grifone.\nGloria: Nel disperato tentativo di riportare Achille in battaglia, Agamennone gli restituisce Briseide, ma l'eroe rifiuta ancora di aiutare l'odiato nemico. Patroclo, per salvare l'onore di Achille e nel contempo correre in aiuto dei Greci, decide quindi di prendere il suo posto, ma durante la battaglia, preso dalla foga, infrange la promessa fatta al cugino di non spingersi oltre le rive dello Scamandro: quell'errore gli costerà caro. Boss: Sarpedonte, Ettore.\nPurificazione: Pentesilea, ora assorta a nuova regina delle Amazzoni, conduce il suo popolo sulla piana di Troia, dove la regina intende riscattare il proprio onore. Prima di poterlo fare, però, deve sottoporsi ad un rito di purificazione, e quindi, accompagnata da Deifobo e dal re Priamo, si dirige al tempio di Artemide, dove però, come ultima prova, dovrà confrontarsi con il peso del proprio peccato. Boss: Fantasma di Ippolita.\nIra: Achille, divorato dalla rabbia per la morte di Patroclo, riceve dalla madre Teti una nuova armatura e si lancia da solo contro l'intero esercito troiano, e neppure l'opposizione dello stesso Scamandro sarà in grado di placare la sua furia, né la sua insaziabile sete di vendetta. Boss: Ettore.\nGiustizia: Purificata da Artemide, Pentesilea è pronta a compiere il destino di tutte le regine delle amazzoni: morire sul campo di battaglia. Solo un guerriero, però, può darle quella morte gloriosa a cui aspira, scolpendo il suo nome nel mito e liberandola per sempre dal peso dei suoi peccati. Boss: Ulisse, Achille.\nRedenzione: Con la morte di Memnone, ultimo alleato dei troiani, Troia è ormai senza più difese, e i Greci, sotto la guida di Achille, sono pronti ad espugnare la città. Per Paride questa è l'ultima occasione per espiare al proprio peccato e salvare la sua città dall'inesorabile destino che l'attende. Boss: Achille.\nFollia: Nel tentativo di recuperare il corpo di Achille, Ulisse e Aiace riescono ad impossessarsi del Palladio, la sacra reliquia che proteggeva Troia da qualunque tentativo di invasione. Ma Atena, nonostante sia alleata dei Greci, considera tale atto un'offesa, e lancia una maledizione tramite la quale il seme della pazzia germoglia inesorabile nella mente di Aiace, già provata dall'essersi visto negare la gloria che ritiene sua di diritto. Boss: Lissa.\nCaduta: Dopo dieci anni di guerra, è giunto per i Greci il momento di espugnare finalmente le mura di Troia. Ulisse, illuminato da Atena, ha l'idea giusta, e a quel punto il destino della città è segnato. Boss: Paride.\nSopravvivenza: Mentre Troia brucia, Enea deve riuscire a portare in salvo, oltre la sua famiglia, quante più persone possibili, così da compiere l'ultima profezia di Cassandra: la profezia lo vede, un domani, fondatore di una nuova nazione, che oltre a garantire un futuro al popolo di Troia sarà destinata a governare il mondo per più di mille anni, diventando il più grande impero della storia. Boss: Agamennone.\n\nModalità di gioco.\nCaratterizzato da una quantità molto maggiore di sangue rispetto ai precedenti giochi di Dynasty Warriors, il gioco supporta il gioco online cooperativo e competitivo, per un massimo di quattro giocatori.. Il giocatore, che controlla i personaggi da una prospettiva in terza persona e affronta numerosi eserciti nemici, è in grado di utilizzare lo scudo come arma e utilizzare armi da lancio come giavellotti. Ogni personaggio controllato dal giocatore ha una propria personalità e stile di combattimento.\nOgni lato, sia greci che troiani, ha quattro personaggi principali, ovvero Achille, Aiace, Ulisse e Patroclo per i greci, ed Enea, Ettore, Pentesilea e Paride per i troiani.\n\nAccoglienza.\nLa rivista Play Generation diede alla versione per PlayStation 3 un punteggio di 68/100, apprezzando l'ambientazione interessante e insolita per un titolo del genere e come contro il fatto che fosse ripetitivo, graficamente povero e privo di opzioni multiplayer, finendo per trovarlo un titolo in cui l'ambientazione non riusciva a risolvere i difetti di una formula che aveva fatto il suo tempo, peggiorata dai problemi tecnici.
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### Titolo: Xuto.\n### Descrizione: Xuto (in greco antico: Ξοῦθος, -ου?, Xùthos, in latino Xūthus, -i) è un personaggio della mitologia greca, secondogenito di Elleno e della ninfa Orseide, nonché fratello di Eolo e di Doro.Xuto è il capostipite (tramite i suoi figli Acheo e Ione) dei popoli Achei e Ioni.\n\nMitologia.\nFu re di Iolco in Tessaglia, ma ne fu poi allontanato dai suoi fratelli e recatosi ad Atene prestò aiuto a Eretteo nel corso della guerra con l'Eubea sposando in seguito la figlia Creusa che lo rese padre di Ione e Acheo e Diomeda.Alla morte del suocero gli fu chiesto di indicare un successore per Eretteo e scegliendo Cecrope (il suo cognato più anziano), vide il popolo rivoltarsi e fu costretto all'esilio.Recatosi nel nord del Peloponneso morì nella terra di Egialeo, il re di Sicione.Secondo Euripide, Xuto era figlio di Eolo e regnò ad Atene alla morte di Eretteo e suo figlio Ione fu in realtà concepito da sua moglie con Apollo. Ione fu dapprima allontanato da lui e in seguito (poiché sempre secondo Euripide Xuto non ebbe eredi) fu riconosciuto come figlio proprio dallo stesso Xuto.
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### Titolo: Zagreo.\n### Descrizione: Zagreo (in greco antico: Ζαγρεύς?, Zagrèus) fu in origine una divinità agreste e ctonia, probabilmente di derivazione cretese. Il nome significa 'cacciatore di selvaggina' e, più precisamente, alluderebbe a un cacciatore che non uccide le sue prede, ma le tiene in vita, per poi dilaniarle nei culti dionisiaci.\nIl suo mito fu al centro della religione orfica. Utilizzato anche per soprannominare i cittadini di Nicosia.\n\nMito.\nSecondo il racconto narrato da Nonno di Panopoli nel libro VI delle Dionisiache, Zagreo era figlio di Persefone e Zeus Katakthonios (lett. 'Zeus del sottosuolo', che alcuni autori interpretano come epiteto di Ade, sebbene altri no in quanto nel mito sua moglie rimane Era), che si era unito a lei in forma di serpente.\nPer lui Zeus aveva una particolare predilezione e l'aveva destinato a regnare su tutto l'universo.\nI Titani vennero a sapere delle intenzioni di Zeus ed informarono Era, che, gelosa, ordinò loro di far sparire il bambino. I Titani lo attirarono con doni (una trottola, un rombo, una palla, uno specchio ed un astragalo), ma Zagreo cercò di fuggire trasformandosi in vari animali, fino a quando, diventato un toro, i Titani lo catturarono, lo fecero a pezzi e lo divorarono.\nAtena riuscì a strappare alla loro furia il cuore del ragazzo, lo portò a Zeus, che lo inghiottì e lo rese immortale, facendolo rivivere in Dioniso. Le sue ossa furono raccolte e sepolte a Delfi. I Titani, sconfitti, furono fulminati e dalle loro ceneri - o, più precisamente, dal fumo di esse - nacquero gli uomini.\n\nInterpretazione.\nIl mito di Zagreo, che possiede evidenti similitudini con quello di Osiride, può essere interpretato come il simbolo della morte della vegetazione in inverno e della sua rinascita in primavera.\nNei misteri Dioniso è, infatti, associato alle dee della fertilità, Demetra e Persefone, di cui sarebbe figlio Zagreo.\nIl mito orfico si basa sulla concezione arcaica della colpa ereditaria.\nSecondo l'orfismo, infatti, l'umanità parteciperebbe della natura malvagia dei Titani e di quella divina di Zagreo. L'elaborazione orfica in chiave escatologica e soteriologica trova nella purificazione e nelle pratiche rituali il mezzo attraverso cui l'anima può ricongiungersi con il divino.\n\nNella cultura di massa.\nZagreus è il protagonista di un videogioco, Hades, dove è il principe dell'Oltretomba che deve cercare di fuggire dal reame del padre Ade, grazie all'aiuto dei poteri degli dei dell'Olimpo.\nZagreus è il titolo di uno dei singoli pubblicati dal gruppo progressive metal Periphery in previsione dell'uscita del loro album Periphery V: Djent Is Not A Genre. Il titolo del brano è stato ispirato dal protagonista del videogioco sopracitato, a cui i membri del gruppo giocavano durante la scrittura dell'album.
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### Titolo: Zarex.\n### Descrizione: Zarex (in greco antico: Ζάρηξ?) è stato un eroe della mitologia greca; era figlio di Caristo, nipote di Chirone.\nSposò Reo e divenne il padre di Anio. In alcuni resoconti, Zarex adottò il figlio di sua moglie, Anio, allevato dal suo divino padre Apollo.\nA Zarex è stato attribuito il merito di aver appreso la musica di Apollo e di aver fondato la città di Zarex in Laconia; ha anche avuto un tempio ad Eleusi, accanto a quello di Ippotoo. C'era anche una montagna nell'isola di Eubea, che si pensava avesse preso il nome da lui.\n\nVoci correlate.\nReo (mitologia).\nApollo.
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### Titolo: Zefiro.\n### Descrizione: Zèfiro (in greco antico: Ζέφυρος?, Zéphyros) o Zèffiro è un personaggio della mitologia greca, la personificazione del vento che soffia da ponente (l'ovest), figlio del titano Astreo e di Eos.\nLe traduzioni latine riportano zephirum (cioè Zèfiro, personificazione del vento di ponente, che spirava leggero e quasi inavvertito) a indicare, per assonanza, il termine arabo ṣifr (صفر), che rappresenta il 'vuoto'. Grazie al matematico italiano Leonardo Fibonacci e alle traduzioni veneziane (zevero), il termine è stato poi usato per indicare il concetto di 'zero', attualmente in uso.\nNella lingua albanese “zë” indica la voce, mentre il verbo “fryj” rappresenta il soffio.\n\nGenealogia.\nSposò Clori e da lei ebbe Carpo.\nDall'arpia Celeno (che aveva preso le sembianze di una giumenta), ebbe Balio e Xanto, i cavalli immortali di Achille.\n\nMitologia.\nZefiro viene raffigurato come un giovane alato, che tiene in mano un mazzo di fiori primaverili, si diceva che vivesse in una caverna in Tracia.\nNell'Iliade Omero descrive Zefiro come un vento violento o piovoso, mentre più tardi sarà considerato leggero, simile alla brezza e messaggero della primavera.\nInnamoratosi del giovane principe spartano, Giacinto, lo contese ad Apollo. Un giorno, accecato dalla gelosia, Zefiro deviò un disco lanciato dal dio, che colpì Giacinto, uccidendolo.\nDai Romani Zefiro veniva chiamato Favonio (da cui il tedesco Föhn).\n\nZefiro nella cultura di massa.\nProprio nell'accezione di vento di ponente, Dante lo evoca in una perifrasi poetica per indicare la penisola Iberica [Par. XII, 46—48].
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### Titolo: Zeli.\n### Descrizione: Zeli è un personaggio della mitologia greca, presente nelle Argonautiche di Apollonio Rodio.\n\nMito.\nCizico, giovanissimo sovrano dell'omonima città asiatica nella Propontide, aveva accolto gli Argonauti durante il loro viaggio con destinazione la Colchide. Gli eroi quindi ripartirono, durante una notte di luna nuova: una violenta tempesta sospinse però la nave di nuovo sulla costa della città che essi avevano appena lasciato. Il re, affacciatosi dal suo palazzo, scambiò gli Argonauti per pirati, e con le sue guardie personali, tra i quali c'era anche Zeli, mosse in armi per assalirli; gli Argonauti da parte loro non riconobbero Cizico. Gli uni e gli altri erano stati ingannati dalle avverse condizioni del tempo, oltre che dalla mancata luminosità della luna: lo scontro fu dunque inevitabile, e terminò con l'uccisione di Cizico e delle sue guardie. Zeli cadde per mano di Peleo.\n\nOnomastica.\nIl nome del guerriero è forse da mettere in relazione con quello di una città non lontana da Cizico, Zelea, menzionata da Omero nell'Iliade, uno dei poemi incentrati sulla Guerra di Troia, di cui furono protagonisti molti eroi appartenenti alla generazione successiva a quella degli Argonauti, come Achille, figlio dell'uccisore di Zeli, Peleo: a Zelea in quel tempo regnava Licaone, padre di Pandaro, uno dei condottieri alleati dei Troiani, ma è possibile che essa fosse stata fondata subito dopo il tragico fatto narrato nelle Argonautiche, col proposito di onorare la morte di un uomo valoroso quale poteva essere appunto Zeli. Non pare invece aver collegamenti con questo personaggio la città di Zeli nella Locride.
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### Titolo: Zete.\n### Descrizione: Zete (in greco antico: Ζήτης?, Zḕtēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Borea e di Orizia.\n\nMitologia.\nZete fu uno degli Argonauti e partecipò con Giasone alla ricerca del vello d'oro. Insieme al fratello Calaide, Zete scacciò le Arpie dalla tavola di Fineo, figlio di Agenore, e le inseguì fino alle isole Etole. Lì Iride, messaggera di Zeus, li avvertì di fermarsi nel loro inseguimento. Entrambi avevano ali ai piedi e una lunga capigliatura.\nAnni dopo la spedizione i due giovani vennero sorpresi in un agguato da Eracle, che li bastonò a morte con la sua clava volendo vendicarsi per il loro rifiuto di proseguire le ricerche sulla scomparsa di Ila; il figlio di Zeus, però, si pentì subito di ciò che aveva fatto e seppellì personalmente i corpi dei due giovani, erigendo in loro onore una stele funeraria.
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### Titolo: Zeto.\n### Descrizione: Zeto (in greco antico: Ζῆθος?, Zḕthos) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus e Antiope, sposò Aedona (Apollodoro chiama sua moglie Tebe) e fu padre di Itilo e di Neis.\n\nMitologia.\nLa tradizione lo tramanda ruvido ed aspro nei modi, ma di lui si dice che fosse anche un cacciatore molto capace ed appassionato alla vita dura e faticosa.\nAntiope fu sedotta da Zeus; per la vergogna scappò di casa e si recò a Sicione, presso il re Epopeo. Durante la fuga nacquero due gemelli, Anfione e Zeto che vennero affidati ad un pastore che abitava sul monte Citerone, che li allevò come propri figli. Nitteo, padre di Antiope, per il dispiacere morì di crepacuore, pensando che la figlia fosse stata rapita ma prima di morire implorò il fratello Lico di riportare a Tebe la figlia. Lico conquistò Sicione, uccise Epopeo e riportò Antiope in Cadmea. Ma sua moglie, Dirce, la trattò crudelmente, e alla fine la condannò alla tortura del toro che volle fosse eseguita dai due gemelli che però poco prima dell'esecuzione seppero di essere i figli di Antiope dal pastore che li aveva allevati. Allori i figli vendicarono la madre, facendo trascinare Dirce da un toro, si impossessarono del regno tebano e costruirono una nuova città ai piedi della Cadmea. Zeto portava le pietre, mentre Anfione suonava la lira, il cui suono faceva disporre le pietre nel punto voluto magicamente.\nUna volta che la città fu costruita, i due fratelli la governarono in pieno accordo.\nCirca la morte di Zeto la tradizione tace, tuttavia era nota a Tebe la tomba comune dei due Dioscuri Tebani.
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### Titolo: Zeus.\n### Descrizione: Zeus (in greco antico: Ζεύς?, Zeús AFI: [zdeu̯s]) nella religione greca è il re degli dèi olimpi, dio del cielo e governatore dei fenomeni meteorologici, in particolare del tuono. I suoi simboli sono la folgore, il toro, l'aquila, la quercia e l'olivo.\nFiglio del titano Crono e di Rea, è il più giovane tra i suoi fratelli e le sue sorelle: Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone. Nel mito è sposato con Era (protettrice del matrimonio e dei figli), anche se nel santuario dell'oracolo di Dodona come sua consorte si venerava Dione (viene raccontato nell'Iliade che Zeus sia il padre di Afrodite, avuta con Dione).\nIl frutto dei suoi numerosi convegni amorosi furono i suoi molti celeberrimi figli, tra i quali Apollo e Artemide, Hermes, Persefone, Atena, Dioniso, Perseo, Eracle, Elena, Minosse e le Muse. Secondo la tradizione da Era, la moglie legittima, ebbe Ares, Ebe, Efesto, Ilizia ed Eris. Tali rapporti amorosi venivano consumati da Zeus anche sotto forma di animali (cigno, toro, ecc.), dato che tra i suoi enormi poteri egli aveva anche quello di tramutarsi in qualsiasi cosa volesse.\nLa figura equivalente a Zeus nella mitologia romana era Giove, mentre in quella etrusca era il dio Tinia.\n\nEtimologia ed elementi del culto.\nZeus, in passato anche italianizzato in Zeo, è l'evoluzione di Di̯ēus, il dio del cielo diurno della religione protoindoeuropea chiamato anche Dyeus ph2tēr (Padre Cielo). Il nome del dio deriva dalla radice Diovis (la di in greco) che significa luce, per questo Zeus è il dio della luce. Il dio era conosciuto con questo nome anche in sanscrito (Dyaus ove Dyaus Pita), in lingua messapica (Zis) e in latino (Jupiter, da Iuppiter, che deriva dal vocativo indoeuropeo *dyeu-ph2tēr) lingue che elaborano la radice *dyeu- ('splendere' e nelle sue forme derivate 'cielo, paradiso, dio'), nonché nella mitologia germanica e norrena (*Tīwaz, in alto tedesco antico Ziu, in norreno Týr) unito con il latino deus, dīvus e Dis (una variazione di dīves) che proviene dal simile sostantivo *deiwos.\nSi pensa che il radicale di grado zero di *Di̯ēus e l'epiteto 'padre' siano contenuti nel albanese Zot, che è considerato derivato dal Proto-albanese *dźie̅u ̊ a(t)t-, un antico composto per 'padre celeste', in lingua protoindoeuropea *dyew- ('cielo, cielo luminoso') + *átta ('padre'), quindi un affine nella religione protoindoeuropea con *Dyḗus ph₂tḗr e con i suoi discendenti: Illirico Dei-pátrous, Sanscrito द्यौष्पितृ (Dyáuṣ Pitṛ́), Proto-italico *djous patēr (da cui latino Iuppiter), Greco antico Ζεῦ πάτερ (Zeû páter).\nAlcuni linguisti hanno anche proposto l'etimologia proto-albanese *dzwâpt *w(i)tš-pati-, 'padrone di casa'; infine dal protoindoeuropeo *wiḱ-potis, 'capo del clan').Per i Greci e i Romani il dio del cielo era anche il più grande degli dei, mentre nelle culture nordiche questo ruolo era attribuito a Odino: di conseguenza questi popoli non identificavano, per il suo attributo primario di dio del tuono, Zeus/Giove né con Odino né con Tyr, quanto piuttosto con Thor (Þórr). Zeus è l'unica divinità dell'Olimpo il cui nome abbia un'origine indoeuropea così evidente.In aggiunta a questa origine indoeuropea, lo Zeus dell'epoca classica prendeva alcuni aspetti iconografici dalle culture del Vicino Oriente, come lo scettro. Gli artisti greci immaginavano Zeus soprattutto in due particolari posizioni: in piedi, mentre con il braccio destro alzato segue ad ampie falcate una folgore che ha appena scagliato, oppure seduto sul suo trono.\n\nIl ruolo di Zeus nella mitologia classica greca.\nZeus era il più importante degli dèi e comandava su tutto l'antico Pantheon Olimpico greco. Fu padre di molti eroi ed eroine e la sua figura è presente nella maggior parte delle leggende che li riguardano. Sebbene lo Zeus 'radunatore di nuvole' dei poemi omerici fosse un dio del cielo e del tuono al pari delle equivalenti divinità orientali, rappresentava anche il massimo riferimento culturale del popolo Greco: sotto certi aspetti egli era l'espressione più autentica della religiosità greca e incarnava l'archetipo del divino proprio di quella cultura.\n\nGli epiteti di Zeus.\nGli epiteti o i titoli attribuiti a Zeus enfatizzano i vari campi nei quali esercita la sua autorità. I più comuni sono:.\n\nZeus Aitnaîos – Zeus Etneo, relativo al monte-vulcano Etna, come l'Olimpo, sacro a Zeus.\nZeus Apómuios – Zeus scaccia-mosche, a cui, secondo Pausania, si facevano sacrifici per allontanare le mosche; comparato in Dictionary of Deities and Demons in the Bible alle teorie di Friedrich W. A. Baethgen e Karl Arvid Tångberg sul nome Ba' al Zebub (l'epiteto Àpómuios secondo il Dictionnaire étymologique de la langue grecque, di Pierre Chantraine, è attribuito anche a Eracle).\nZeus Nemeos – Zeus Nemeo, relativo a Nemea, città dell'Argolide, dove si disputavano i Giochi panellenici, dedicati a Zeus, che svolgevano a cadenza biennale.\nZeus Olympios – Zeus Olimpio, relativo al dominio di Zeus sia sugli altri dèi, sia sui Giochi panellenici che si tenevano a Olimpia.\nZeus Oratrios – dio del fulmine, il fuoco celeste, epiteto cretese della divinità.\nZeus Panhellenios – Zeus di tutti i Greci al quale era dedicato il famoso tempio di Eaco sull'isola di Egina.\nZeus Xenios – Zeus degli stranieri in quanto era il protettore degli ospiti e dell'accoglienza, sempre pronto a impedire che fosse fatto qualcosa di male ai forestieri.\nZeus Horkios, il dio che si occupava della veridicità dei giuramenti: i bugiardi che venivano scoperti dovevano dedicare una statuetta votiva a Zeus, spesso al santuario di Olimpia.\nZeus Agoraios, poiché vigilava sugli affari che si svolgevano nell'agorà e puniva i commercianti disonesti.\nZeus Meilichios – Facile da invocare: Zeus aveva assunto su di sé il culto dell'antico daimon Meilichio che in precedenza gli Ateniesi erano adusi propiziarsi.\nZeus Cronide – Figlio di Crono: patronimico di Zeus. Benché Crono (il Tempo) avesse avuto altri figli, il Cronide per antonomasia è Zeus.\nZeus Egioco – Zeus possessore dell'egida, lo scudo ricoperto con la pelle della capra Amaltea che secondo il mito aveva nutrito con il suo latte Zeus da bambino.\nZeus Soter – Zeus il salvatore, protettore, in quanto protettore e salvatore di tutta l'umanità.\nZeus Erceo – Zeus protettore della casa.\nZeus Eleutherios (Ἐλευθέριος): Zeus che dà la libertà', un culto venerato presso la Stoa di Zeus nell'agorà di AteneOltre alle forme presentate poco sopra, esistevano nel mondo greco anche epiteti tipicamente locali. Ne è un esempio l'epiteto Zeus Abretano, utilizzato nella regione della Misia e derivato dal nome della provincia Abretana. Inoltre esistevano anche alcuni culti locali dedicati a Zeus che mantenevano un loro proprio e singolare modo di concepire e adorare il re degli dèi. Seguono alcuni esempi.\n\nZeus a Creta.\nA Creta Zeus era adorato in alcune grotte che si trovano nei pressi di Cnosso, Ida e Paleocastro. Le leggende di Minosse ed Epimenide suggeriscono che queste grotte anticamente fossero usate da re e sacerdoti come luogo per fare divinazioni. La suggestiva ambientazione delle Leggi di Platone, che si svolge lungo la strada che conduce i pellegrini verso uno di questi siti, sottolinea la conoscenza del filosofo dell'antica cultura cretese. Nelle rappresentazioni artistiche tipiche dell'isola Zeus compare, invece che come un uomo adulto, con l'aspetto di un giovane dai lunghi capelli e gli inni a lui dedicati cantano del ho megas kouros, ovvero 'il grande giovane'. Insieme ai Cureti, un gruppo di danzatori armati dediti a rituali estatici, sovrintendeva al duro addestramento atletico e militare, nonché ai segreti riti iniziatici, previsti dalla Paideia cretese.\n\nIn Esopo.\nCreta è menzionata riguardo a Zeus anche nei racconti di Esopo: nella favola dell'Asino, Zeus esaudisce la preghiera di un asino, assegnandogli un fabbricante di vasi di Creta al posto dell'ortolano, che grava l'animale di pesi ancora maggiori. Il fabbricante viene infine sostituito con un conciatore di cuoio, che oltre a negare il perdono all'asino, lo priverà della vita.\nSecondo un'altra favola, Zeus plasmò l'uomo e la donna e poi ordinò ad Hermes di portarli sulla Terra e insegnare loro come procurarsi il cibo scavando, pur contro il volere di questa, che punì la loro ingiuria con pianti e dolore. Sia gli dei che gli uomini vennero puniti per avere mosso contro il volere di una divinità, Gea, madre dei Titani e dei Giganti che nel secondo racconto rivela al messaggero di Zeus una volontà espressamente discorde.\n\nZeus Lykaios in Arcadia.\nL'epiteto Lykaios è morfologicamente connesso alla parola lyke (luminosità), ma a prima vista si può facilmente associare anche a lykos (lupo). Quest'ambiguità semantica si riflette sul singolare culto di Zeus Lykaios, celebrato nelle zone boscose e più remote dell'Arcadia, nel quale il dio assume caratteristiche sia di divinità lucente sia lupina. Il primo aspetto si evidenzia nel fatto che è il signore del monte Licaone (la montagna splendente), che è la cima più alta dell'Arcadia e sulla quale, secondo una leggenda, si trova un recinto sacro sul quale non si sono mai posate ombre. Il secondo invece si rifà al mito di Licaone (l'uomo lupo), il re dell'Arcadia i cui leggendari antichi atti di cannibalismo venivano ricordati per mezzo di bizzarri riti. Secondo Platone una setta si sarebbe riunita sul monte ogni otto anni per celebrare sacrifici in onore di Zeus Lykaios durante i quali si mescolava un singolo pezzo di interiora umane a interiora animali e poi si distribuiva il tutto ai presenti: chi avesse mangiato il pezzo di carne umana si sarebbe trasformato in un lupo e avrebbe potuto recuperare la propria forma umana solo se non ne avesse più mangiata fino alla conclusione del successivo ciclo di otto anni.\n\nZeus Etneo in Sicilia.\nIl culto di Zeus Aitnàios (etneo) è riportato nelle odi di Pindaro ed è attestato dalla produzione numismatica locale. Il tempio del dio era ubicato nella città di Áitna (Etna), fondata da Gerone I di Siracusa. Alcuni scoli di Pindaro riportano che Gerone I donò al tempio una statua di Zeus, che potrebbe essere quella rappresentata nel tetradramma di Aitna.\n\nLo Zeus del sottosuolo.\nSebbene l'etimologia del nome indichi che Zeus originariamente era un dio del cielo, in diverse città greche si adorava una versione locale di Zeus che viveva nel mondo sotterraneo. Gli Ateniesi e i Sicelioti (Greci di Sicilia) veneravano Zeus Meilichios (dolce o mellifluo), mentre in altre città vigeva il culto di Zeus Chthonios (della terra), Katachthonios (del sottosuolo) e Plousios (portatore di ricchezza). Queste divinità nelle forme d'arte potevano essere visuale parimenti rappresentate sia come uomo sia come serpente. In loro onore si sacrificavano animali di colore nero che venivano affogati dentro a pozzi, come si faceva per divinità ctonie come Persefone e Demetra o sulla tomba degli eroi. Gli dèi olimpi, invece, ricevevano in olocausto animali di colore bianco che venivano uccisi sopra ad altari.\nIn alcuni casi gli abitanti di queste città non sapevano con certezza se il daimon in onore del quale effettuavano i sacrifici fosse un eroe oppure lo Zeus del sottosuolo. Così il santuario di Lebadea in Beozia potrebbe essere stato dedicato sia all'eroe Trofonio sia a Zeus Trephonius (colui che nutre), a seconda che si scelga di dare retta a Pausania oppure a Strabone. L'eroe Anfiarao era venerato come Zeus Amphiaraus a Oropo, nei pressi di Tebe, e pure a Sparta c'era un santuario di Zeus Agamennone.\n\nGli oracoli di Zeus.\nAnche se la maggior parte degli oracoli erano generalmente dedicati ad Apollo, a eroi oppure a dee come Temi, esistevano anche alcuni oracoli dedicati a Zeus.\n\nL'oracolo di Dodona.\nIl culto di Zeus a Dodona nell'Epiro, località per la quale vi sono prove dello svolgersi di attività cerimoniali a partire dal II millennio a.C., era bosco di querce sacre, memore del culto alla Titana Rea, madre di Zeus. All'epoca in cui fu composta l'Odissea (circa il 750 a.C.) l'attività divinatoria era condotta da sacerdoti scalzi chiamati Selloi, che si stendevano a terra e osservavano lo stormire delle foglie e dei rami dell'albero. All'epoca in cui Erodoto scrisse a sua volta di Dodona i sacerdoti erano stati sostituiti da sacerdotesse chiamate Peleiadi (colombe). L'oracolo di Dodona è considerato da Erodoto il più antico della Grecia, precedente anche al tempo in cui i Pelasgi avessero dato un nome agli dei.\n\nL'oracolo di Siwa.\nL'oracolo di Amon nell'Oasi di Siwa che si trovava nel lato occidentale del deserto egiziano non era situato entro i confini del mondo greco prima dell'epoca di Alessandro Magno, ma fin dall'età arcaica aveva esercitato una forte influenza sulla cultura greca: Erodoto nella sua descrizione della guerra greco-persiana dice che Zeus Amon fu consultato varie volte. Zeus Amon era tenuto in particolare considerazione a Sparta, dove fin dall'epoca della guerra del Peloponneso esisteva un tempio in suo onore.Quando Alessandro Magno si avventurò nel deserto per consultare l'oracolo di Siwa, scoprì l'esistenza di una Sibilla libica.\n\nAltri oracoli di Zeus.\nSi dice che entrambi gli oracoli figli di Zeus Trofonio e Anfiarao dessero responsi di tipo oracolare nei santuari a loro dedicati.\n\nZeus e le divinità straniere.\nZeus era l'equivalente del dio della mitologia romana Giove e nell'immaginario sincretico classico era associato con varie altre divinità, come l'egizio Amon, e l'etrusco Tinia. Insieme con Dioniso aveva assorbito su di sé il ruolo del principale dio frigio Sabazios dando vita alla divinità conosciuta nel sincretismo dell'antica Roma come Sabazio.\n\nZeus nella mitologia.\nLa nascita di Zeus.\nIl titano Crono ebbe molti figli dalla sorella e moglie Rea: Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone, ma li divorò tutti appena nati, dal momento che aveva saputo da Gea e Urano che il suo destino era di essere spodestato da uno dei suoi figli così come lui stesso aveva spodestato suo padre. Quando però Zeus stava per nascere, Rea escogitò un piano per salvarlo, in modo che Crono ricevesse la giusta punizione per ciò che aveva fatto a Urano e ai suoi stessi figli. Rea partorì Zeus a Creta, consegnando al suo posto a Crono una pietra fasciata con dei panni che egli divorò immediatamente. La madre nascose Zeus in una cesta sospesa ad un albero, sorvegliato dai Cureti, creature danzatrici del monte Ide, dalle ninfe dei fiumi e dalla capra Amaltea. Il mito sarebbe, secondo Cicerone, un'allegoria: Krònos, altro non è che una leggera variante di chrònos, tempo. Quanto poi al nome Saturno deriva dal fatto che questo dio è saturo di anni. La finzione che divorasse i suoi figli sta a simboleggiare che il tempo distrugge i giorni che passano e fa degli anni trascorsi il suo nutrimento senza mai saziarsi. Analogamente si immaginò che il figlio Giove lo incatenasse per evitare che si abbandonasse a movimenti disordinati e per conservarlo avvinto ai moti degli astri.\nRea nascose quindi Zeus in una grotta sul Monte Ida a Creta e, a seconda delle varie versioni della leggenda:.\n\nfu allevato ed educato da Gea.\nfu allevato da una capra di nome Amaltea, mentre un gruppo di Cureti gridavano, danzavano e battevano le loro lance contro gli scudi perché Crono non sentisse il pianto del bambino.\nfu allevato da una Ninfa di nome Adamantea. Dato che Crono dominava la Terra, i cieli e il mare, lo nascose appendendolo a una fune legata a un albero in modo che, sospeso fra i tre elementi, fosse invisibile al padre.\nfu allevato da delle Ninfe di nome Cinosura e Elice. In segno di gratitudine Zeus, una volta cresciuto, le trasformò in stelle.\nfu allevato da Melissa, che lo nutrì con latte di capra.\n\nL'ascesa al trono degli dei.\nRaggiunta l'età adulta, Zeus costrinse Crono a rigettare prima la pietra che l'aveva sostituito, poi i suoi fratelli e sorelle nell'ordine inverso rispetto a quello in cui erano stati ingeriti. Secondo alcune versioni della leggenda Metide diede un emetico a Crono per costringerlo a vomitare i figli, mentre secondo altre ancora Zeus squarciò lo stomaco del padre. A questo punto Zeus liberò dalla loro prigione nel Tartaro anche i fratelli di Crono: gli Ecatonchiri e i Ciclopi. Insieme, Zeus e i suoi fratelli e sorelle, gli Ecatonchiri e i Ciclopi rovesciarono dal trono Crono e gli altri Titani grazie alla terribile battaglia chiamata Titanomachia. I Titani sconfitti furono da allora confinati nell'oscuro regno sotterraneo del Tartaro. Atlante, in quanto capo dei Titani che avevano combattuto contro Zeus, fu condannato a reggere il cielo sulle sue spalle.\nDopo la battaglia contro i Titani Zeus si spartì il mondo con i suoi fratelli maggiori Poseidone e Ade sorteggiando i tre regni: Zeus ebbe in sorte i cieli e l'aria, Poseidone le acque e ad Ade toccò il mondo dei morti. L'antica terra, Gaia, non poté essere concessa ad alcuno, ma venne condivisa da tutti e tre a seconda delle loro capacità.\nFuribondi perché Zeus aveva confinato nel Tartaro i loro fratelli Titani, i Giganti si ribellarono agli dèi Olimpi e scatenarono a loro volta la Gigantomachia, cominciando a scagliare massi e tizzoni ardenti verso il cielo. Era profetizzò che « [...] i Giganti non sarebbero mai stati sconfitti da un dio, ma soltanto da un mortale che vestiva con pelli di leone, e solo con una certa erba che rendeva invulnerabili.». L'uomo fu identificato con Eracle, e Zeus, vagando in una regione indicatagli da Atena, trovò l'erba magica. Così furono sconfitti anche i Giganti.\nGaia si risentì per il modo in cui Zeus aveva trattato i Titani e i Giganti, dato che erano figli suoi. Così, poco dopo essersi impossessato del trono degli dèi, Zeus dovette affrontare anche il mostro Tifone, figlio di Gaia e del Tartaro. Zeus sconfisse Tifone e lo schiacciò sotto una montagna, secondo una versione sotto l'Etna.\n\nZeus ed Era.\nZeus era sia il fratello sia il marito di Era. Con lei ebbe Ares, Ebe ed Efesto, anche se alcune leggende narrano che Era diede vita ai suoi figli da sola. Altri miti includono tra la loro discendenza anche Ilizia. Le numerose conquiste che Zeus fece tra le ninfe e le mortali, che diedero inizio alle più importanti dinastie greche, sono proverbiali. La mitografia gli attribuisce relazioni tra le divinità con Demetra, Latona, Dione e Maia, mentre tra le mortali con Semele, Io, Europa e Leda. (Per maggiori dettagli si rimanda ai paragrafi successivi).\nMolte leggende dipingono un'Era gelosissima delle conquiste amorose del marito e fiera nemica delle sue amanti e dei figli da loro generati. Una volta a una ninfa di nome Eco venne affidato il compito di distrarre Era dalle attività di Zeus, parlandole in continuazione: quando la dea se ne accorse, con un incantesimo costrinse Eco a ripetere le parole che udiva dagli altri.\n\nLa legge divina di Zeus.\nSebbene la mitologia greca non presenti precetti e comandamenti che gli dèi consegnano agli uomini, come accade invece nella storia del popolo ebraico con il dio d'Israele, Zeus è re della giustizia e presta sempre attenzione a coloro che non onorano la legge dell'ospitalità, a chi non accoglie i forestieri, e benedice coloro che rispettano la natura e chi difende e onora gli stranieri. I greci credevano che uomini di alto valore avessero interagito con gli dèi tanto da ricevere istruzioni sacre su come comportarsi in vita. Tra questi abbiamo Platone, Esiodo, Omero e molti altri. Essi nei loro dialoghi e poemi affermano il carattere degli dèi e come l'uomo debba seguirli. Inoltre il mito parla di precetti esatti dati da Apollo alla Pizia, le cosiddette Massime Delfiche.\n\nAltri racconti su Zeus.\nSebbene Zeus si comportasse talvolta in modo severo e irascibile, era in lui presente anche un profondo senso di giustizia sacra, che probabilmente è esemplificato al meglio negli episodi in cui fulmina Capaneo per la sua arroganza e quando aiuta Atreo ingannato dal fratello. Inoltre proteggeva forestieri e viaggiatori da coloro che intendevano fare loro del male.\nZeus trasformò Pandareo in una statua per punirlo del furto del cane di bronzo che, quando era un bimbo, lo aveva custodito nella grotta sacra a Creta.\nZeus uccise Salmoneo con un fulmine per aver tentato di impersonarlo andando in giro con un carro di bronzo e gridando per imitare il rumore del tuono.\nZeus trasformò Perifa in un'aquila, dopo la sua morte, come ricompensa per essere stato un uomo onesto e giusto.\nUna ninfa di nome Chelona rifiutò di presenziare al matrimonio di Zeus ed Era: per punirla Zeus la trasformò in una tartaruga.\nZeus ed Era trasformarono il re Emo e la regina Rodope di Tracia in due montagne per punirli della loro vanità.\nZeus condannò Tantalo a essere torturato in eterno nel Tartaro per aver indotto con l'inganno gli dèi a mangiare le carni di suo figlio.\nZeus condannò Issione a essere legato in eterno a una ruota infuocata per aver tentato di fare sua Era.\nZeus fece sprofondare i Telchini in fondo al mare per aver inaridito la terra con le loro terribili magie.\nZeus accecò il veggente Fineo e mandò le Arpie a tormentarlo insozzando i suoi banchetti per punirlo di aver rivelato i segreti degli dèi.\nZeus ricompensò Tiresia con una vita tre volte più lunga del normale per aver giudicato in suo favore la disputa sorta con Era su quale dei due sessi provasse più piacere durante l'amplesso.\nZeus punì Era appendendola a testa in giù dal cielo quando aveva tentato di affogare Eracle mandandogli contro una tempesta.\nTra i numerosi figli che aveva avuto, Eracle è stato spesso descritto come il preferito da Zeus. Infatti Eracle fu spesso chiamato sia dalla gente sia da vari dèi il figlio prediletto di Zeus: una leggenda narra come, quando una stirpe di Giganti nati dalla terra minacciava l'Olimpo e l'Oracolo di Delfi aveva detto che solo le forze riunite di un singolo mortale e di un dio potevano fermarli, Zeus scelse Eracle per combattere al suo fianco e, insieme, sconfissero i mostri.\nZeus ebbe molti figli, la maggior parte da relazioni clandestine, ma si narra che la dea Atena, sua figlia, sia nata senza amplesso. Zeus mostrava gelosia nei confronti della moglie Era, che aveva generato da sola il dio Efesto, senza ricorrere ad atti sessuali, quindi Zeus, decise di generare a sua volta un figlio senza bisogno di un'altra donna. Così nacque Atena, uscendo dal cranio spaccato di Zeus.\n\nElenco delle amanti e dei figli di Zeus.\nOltre a questo stuolo di personaggi femminili, divini, semidivini e mortali amati e/o rapiti, il Signore dell'Olimpo ebbe anche un amante maschio, il bel principe adolescente del popolo dei troiani Ganimede.\n\nAlberi genealogici di Zeus.\nGenealogia (Esiodo).\nGenealogia degli Inachidi.\nuomo donna divinità.\n\nGenealogia dei Perseidi.\nNella cultura di massa.\nZeus è l'antagonista principale dei videogiochi God of War II e God of War III. In God of War II Zeus tradisce Kratos, uccidendolo. Questo, dopo essere stato salvato da Gaia, si dirige presso l'isola delle moire dove, dopo averle uccise, ritorna indietro nel tempo, nel momento in cui Zeus l'ha tradito. In God of War III, Zeus è l'ultima divinità olimpica a cadere per mano di Kratos. Infatti la sua morte riporta l'Antica Grecia al Caos Primordiale.\nZeus compare anche nel nuovo videogioco del SIE Santa Monica Studio, God of War sotto forma di visione quando Kratos raggiunge il regno di Helheim.\nZeus appare nel film Scontro di titani, nel suo remake Scontro tra titani e in La furia dei titani, sequel del secondo.\nCompare anche nel celebre Classico Disney Hercules.\nZeus appare nella serie televisiva C'era una volta, al ventunesimo episodio della quinta stagione, dove riporta in vita Capitan Uncino come ricompensa per aver sconfitto Ade.\nNel film Wonder Woman l'omonima protagonista è figlia di Zeus.\nNei libri di Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo di Rick Riordan, appare il padre divino della semidea greca Talia Grace; nei capitoli paralleli di Percy Jackson e gli eroi dell'Olimpo, Zeus è fondamentale, insieme al resto degli dei, per la sconfitta dei giganti figli di Gea. La forma romana di Zeus, Giove, si rivela anche essere il padre di Jason Grace, il fratello minore di Talia. Nel libro Le sfide di Apollo, sempre di Riordan, il divino Zeus punisce Apollo rendendolo mortale, dopo i fatti degli eroi dell'Olimpo.\nNel videogioco Apotheon è il principale antagonista insieme al resto degli dei.\nNel manga di Record of Ragnarok, Zeus è uno degli dei che combatte al torneo del Ragnarok.\nZeus compare nel film Thor: Love and Thunder (facente parte del MCU) ed è interpretato da Russell Crowe.\nZeus è una delle divinità giocabili in Smite.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Zeuso.\n### Descrizione: Zeuso o Zeuxo (Ζευξώ) era nella mitologia greca una delle Oceanine, figlia del titano Oceano e della titanide Teti.\nMenzionata da Esiodo in Teogonia 352.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Oceanine, su homepage.mac.com. URL consultato il 14 febbraio 2007 (archiviato dall'url originale il 19 gennaio 2007).\n(EN) 'Zeuxo versa il vino a Crisippo' (vaso E 65), su mlahanas.de, del pittore di Brygos, ritrovato a Capua, oggi al British Museum (archiviato dall'url originale il 23 agosto 2011).