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@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Orfeo 9.\n### Descrizione: Orfeo 9 è un'opera rock scritta e composta da Tito Schipa Jr. e messa in scena per la prima volta al Teatro Sistina di Roma, il 23 gennaio 1970.\nÈ una versione moderna del mito di Orfeo ed Euridice.\nNel 1973 l'opera divenne prima un doppio album e poi un film. Fra gli interpreti Penny Brown, Edoardo Nevola e gli ancora sconosciuti Loredana Bertè e Renato Zero.\nLa direzione musicale fu curata da Bill Conti. Fra i musicisti dell'album Tullio De Piscopo alla batteria.\nNel 2015 è uscito per la prima volta in dvd, autoprodotto dall'Associazione Culturale Tito Schipa. Nel cofanetto, composto di tre dvd, è compresa una ricostruzione integrale dello spettacolo originale del 1970.\nNel 2005 Editrice Zona ha pubblicato il libro Orfeo 9, Il making che racconta storia, personaggi e aneddoti dell'opera.\n\nTrama.\nAtto I.\nIn una regione indefinita, tra le rovine di una vecchia chiesa sconsacrata che domina una collina, un gruppo di ragazzi ha eletto il proprio rifugio, lontano dalla città industriale e da ogni impurità della civilizzazione massificante (Tre Note – Overture).\nTre voci narranti invitano l’ascoltatore/spettatore a passare oltre la porta e visitare quel mondo (Invito).\nL’inizio della vicenda trova i ragazzi ancora immersi nel sonno, negli attimi magici immediatamente precedenti il nascere del sole. Poi le prime voci, i primi movimenti del risveglio, i primi pensieri. E, uguale per tutti, il desiderio del sole e della sua luce vivificatrice (L’Alba).\nQuando il primo raggio fende la penombra delle rovine, mettendo fine all’incertezza dell’aurora, il canto sommesso di ognuno si tramuta in un’ovazione scatenata di saluto e di festa (Primo Raggio Di Sole).\nE il violento, improvviso acquazzone che si scatena inaspettato sul gruppo nulla può contro la luce che ormai risplende in una dimensione interiore, acquisita saldamente e a prova di ogni tipo di perturbazione, meteorologica o psichica che si voglia (Vieni Sole).\nL’unico a restarsene in disparte, indifferente a tanta gioia collettiva, è Orfeo, uno dei tanti, ma con tutti i suoi problemi ancora sulle spalle, chiuso in una scorza di solitudine ed egotismo che gli impediscono ogni possibilità di evasione dalla tristezza (Il Risveglio Di Orfeo).\nL’unico momento diverso per lui, l’unico incontro della giornata, sembra essere il dialogo con il ragazzo del pane, colui che ha l’incarico di provvedere ai rifornimenti del gruppo facendo la spola tra la chiesa e la grande città che sorge in lontananza (Pane Pane).\nÈ con questo instancabile camminatore che Orfeo si abbandona ad un attimo di contatto umano, ascoltandone il racconto di una città fantastica, libera e deserta, dove la vita sembra essere di nuovo possibile e piacevole (La Città Sognata).\nMa è solo un sogno, precisa l’altro, e la vera metropoli è quella di sempre, ossessiva ed abbrutente (La Ragazza Che Non Volta Il Viso).\nLa comparsa di Euridice è per Orfeo la folgorazione. Per chiunque altro è soltanto l’arrivo di una ragazza nuova che si aggiunge alla tribù, ma negli occhi indescrivibilmente azzurri di lei Orfeo si scontra con la sintesi di ogni possibile, travolgente, assoluta liberazione dalle prigioni dell’individuale (Conflitti - Si Rinnovi Il Vetusto Concetto).\nLei è La Realtà, pura e autentica, che non ha bisogno di parole. Per un attimo solo, ma infinito, ama. E decide di unirsi per sempre alla creatura che gli ha donato la sola certezza della sua esistenza (Eccotela Qui).\nIl rito nuziale è subito celebrato (Dio), officiante lo stesso ragazzo del pane, con una cerimonia insieme semplicissima e profonda, cui tutti partecipano con auspici di felicità e amore per la nuova coppia (Senti Orfeo).\nMa attirato dai canti di gioia, giunge sul luogo dell’azione un bizzarro personaggio, venditore ambulante di felicità in gocce, che con l’ipnotica esposizione della sua filosofia basata sul “Bisogna essere PIÙ felici”, irretisce Orfeo in un magma di nuove incertezze, e dopo averlo portato sull’orlo della disperazione, gli vende Euridice stessa, gabellandogli per grosso affare quello che Orfeo possedeva già. Poi abbandona soddisfatto la zona, ma ormai l’irreparabile è compiuto. Euridice è per Orfeo un qualcosa che non nasce né si giustifica più in lui. E questo equivale ad averla perduta (Venditore Di Felicità).\nL’atto si chiude sulla disperazione di Orfeo, che non ritrovando più l’oggetto del suo amore e la Realtà vaga fra le sue allucinazioni (Senti Orfeo (ripresa)).\n\nAtto II.\nOrfeo decide di abbandonare la chiesa sulla collina per ritrovare il bene perduto (Ciao).\nSi trova per strada, da solo, incamminato verso un luogo che non conosce, sostenuto soltanto dalla sua ferma fede in ciò che vuole, “deve” ritrovare. E la strada gli porta una serie di nuovi incontri, esseri come lui in cammino, come lui tesi verso qualcosa che sia l’alternativa al vuoto della solitudine. Ognuno di loro offrirà ad Orfeo la propria soluzione, proponendogli di spartirla fraternamente per il bene comune. Ma Euridice è troppo impressa nella mente, e nessun paragone regge ogni volta che Orfeo si volta a confrontarne l’immagine con ciò che di volta in volta gli viene offerto (Per La Strada).\nRifiuta così l’amore di una coppia di autostoppisti, che di amore dicono di averne tanto da poterlo dividere anche in tre (Seguici).\nE se talvolta barcolla e sta per cedere alle proposte liberatorie dei suoi nuovi amici, è il Venditore che interviene ricomparendo dal nulla e riaccendendo in lui l’ossessione della fanciulla perduta. (Venditore Di Felicità, (ripresa)).\nRifiuta poi l’alternativa esoterica di una chiromante illuminata, che cerca di metterlo in guardia sui pericoli della strada che sta percorrendo (La Chiromante).\nRifiuta anche il soggiorno nella città favolosa immaginata dal Vivandiere (Tema Delle Stelle) in favore di un ricordo sfuggente di Euridice (Eccotela Qui-Ripresa), nonostante quella città ora sia divenuta reale, un luogo “liberato” tramite il superamento dell’angoscia nucleare, una dimensione mentale attraverso la quale Orfeo si trova a passare durante il suo viaggio interiore. Così, con ogni rifiuto che oppone a chi gli offre una nuova verità, Orfeo distrugge in sé l’immagine di chi gli parla, e tira avanti (La Bomba A).\nL’alba seguente lo coglie alla periferia della città infernale, nei primi fumi delle ciminiere assassine (Da Te Per Te).\nIn un girone di ombre senza volto, incapaci di esprimersi e di comprendere, la sua ricerca assume i caratteri di una domanda vuota, vana, ossessiva. Nessuno ha visto questa ragazza. Per l’ultima volta il Venditore cerca di irretirlo, facendo leva sulla sua debolezza, ma Orfeo riesce ad opporsi. L’unica parola che riecheggia nel suono sordo della metropoli, però, è il NO. Distrutto, Orfeo si accascia all’angolo di una via (La Città Fatta A Inferno).\nIl risuonare di un vecchio blues, gli accordi semplici di una chitarra e il calore di una voce umana, paiono un miracolo sublime nell’inferno dei suoni metallici. Un nero canta la vecchia favola del tale che perse la sua bella per essersi voltato indietro invece di fidarsi di lei. Con lui, un chitarrista semi addormentato e una ragazza vestita con una giacca da uomo troppo grande per lei. Nel ritorno della musica, della sua musica, è l’ultima occasione che Orfeo avrebbe per riconoscere Euridice, mai veramente trovata, mai veramente perduta (Una Vecchia Favola).\nMa i due si sfiorano ancora una volta senza che i loro occhi si incontrino. Forse la musica del blues era troppo povera, forse il venditore è ricomparso in lontananza, forse lo smog ha velato gli occhi chiari di lei (Ritorno Ad Un Sogno).\nOrfeo riprende il cammino e scompare tra i vapori oscuri della “città fatta a inferno” (Eccoti Alla Fine).\n\nNumeri musicali.\nAtto primo.\n\nTre Note (Ouverture) [solo nella versione cinematografica].\nInvito.\nL'Alba.\nPrimo Raggio Di Sole [solo nella versione teatrale].\nVieni Sole.\nIl Risveglio Di Orfeo.\nPane Pane.\nLa Città Sognata.\nLa Ragazza Che Non Volta Il Viso.\nConflitti [solo nella versione teatrale].\nSi Rinnovi Il Vetusto Concetto [solo nella versione teatrale].\nEccotela Qui.\nDio [solo nella versione teatrale].\nSenti Orfeo [solo nella versione cinematografica].\nVenditore Di Felicità.\nInvocazione Del Santone [solo nella versione teatrale].\nSenti Orfeo (Ripresa) [solo nella versione cinematografica].\nFinale Atto IAtto secondo.\n\nCiao.\nPer La Strada.\nLa Coppia [solo nella versione teatrale].\nSeguici [solo nella versione cinematografica].\nVenditore Di Felicità (Ripresa).\nLa Chiromante.\nTema Delle Stelle.\nMa Perché, La Cerchi Ancora? [solo nella versione teatrale].\nEccotela Qui (Ripresa) [solo nella versione cinematografica].\nLa Bomba A.\nVoci Dalla Città [solo nella versione teatrale].\nDa Te Per Te.\nLa Città Fatta A Inferno.\nUna Vecchia Favola.\nRitorno Ad Un Sogno [solo nella versione cinematografica].\nEccoti Alla Fine.\n\nMusicisti.\nVersione teatrale del 1970:.\n\nBill Elliott - pianoforte, organo, direzione musicale.\nMarco Piacente - chitarra acustica.\nRomeo Piccinno - chitarra elettrica.\nBob O'Toole - chitarra elettrica.\nMario Piccinno - batteria.\nClaudio Barbera - basso.\nPatrick Goldsztejn - flautoVersione album del 1972:.\n\nTito Schipa Jr. - voce, pianoforte, sintetizzatore, percussioni.\nGiovanni Ullu - voce in L'alba.\nSantino Rocchetti - voce in Vieni sole.\nDino Comolli - voce del Cittadino in La città fatta a inferno.\nRonnie Jones - voce del blues-singer in Una vecchia favola.\nAnn Collin - voce vocalizzante in Eccotela qui (ripresa).\nJoel Van Droogenbroek - organo Hammond, sitar, flauto traverso.\nAndrea Sacchi - chitarra acustica, chitarra elettrica.\nErnesto Massimo Verardi - chitarra acustica, chitarra a 12 corde.\nSergio Farina - chitarra elettrica.\nMario Fales - chitarra acustica in Una vecchia favola.\nBruno Crovetto - basso.\nTullio De Piscopo - batteria, timpani.\nPasquale Liguori - percussioni.\nBill Conti - tastiera, sintetizzatore.\nAngelo Faglia - tromba.\n\nDiscografia.\n33 giri.\n1972 - Orfeo 9 (Fonit Cetra, LPX 16/17).\n\n45 giri.\n1972 - Per La Strada/Da Te Per Te (Fonit Cetra, SP 1514).\n1979 - Venditore Di Felicità/La Città Fatta A Inferno (Fonit Cetra, JB 722).
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### Titolo: Orfeo all'inferno (Offenbach).\n### Descrizione: Orfeo all'inferno (titolo originale francese Orphée aux Enfers) è un'operetta in due atti composta da Jacques Offenbach nel 1858. La trama riprende, in chiave comico-satirica, la vicenda mitologica della discesa di Orfeo agli inferi per riportare alla vita l'amata Euridice. Nel presentare gli dei dell'Olimpo come meschini e ridicoli personaggi, Offenbach diede all'opera un sapore che a parte del pubblico borghese dell'epoca poté apparire addirittura scandaloso e dissacrante; ma la maggior parte avvertì anche che, sotto la farsa, si celava una satira corrosiva del Secondo Impero e della nuova 'nobiltà' borghese di Napoleone III.\nQuesta operetta è famosa soprattutto per il can-can (in realtà, un galop), uno scatenato ballo che divenne molto popolare, caratterizzato dal movimento delle ballerine che alzavano le gambe (che così si scoprivano parzialmente alla vista degli spettatori entusiasti) seguendo il tempo di una musica molto veloce e ritmata.\n\nTrama.\nAtto I.\nScena I: Tebe, in un'epoca indefinita.La prima scena dell'atto I, detta scena del consiglio municipale, si apre con un coro di pastori che invita tutti a rientrare nelle loro dimore e a fare spazio al passaggio del consiglio comunale. Udiamo un'introduzione orchestrale che introduce i primi elementi umoristici al ritmo di una marcia baroccheggiante.\nFa il suo ingresso in scena Euridice intonando la sua malinconica canzone, da molto tempo, infatti, Orfeo e Euridice sono stanchi l'uno dell'altra e la loro convivenza è molto cambiata: Euridice si sente abbandonata ed è molto arrabbiata con il marito per la sua ossessione per la musica. Orfeo, invece, è offeso perché la moglie si rifiuta di riconoscere le sue doti musicali.\nLa relazione della coppia è a tal punto deteriorata che ciascun coniuge cerca fuori di casa una soluzione al proprio abbattimento interiore e alla noia. Tanto Euridice quanto Orfeo non nascondono la loro attrazione per altri uomini e donne. Si chiacchiera che Orfeo abbia un affaire con la ninfa Chloè ed Euridice abbia una relazione amorosa con l'affabile pastore e produttore di miele Aristèe, da poco divenuto vicino di casa della coppia.\nAristèe intona allora la sua canzone pastorale, un brano che con il suo gradevole profumo bucolico serve a Offenbach per rivelarci l'erronea visione che ha di lui Euridice: erronea poiché dietro alla mite personalità di Aristèe si nasconde il dio Plutone, che intende portare la donna con sé negli inferi. Allorché la graziosa Euridice decide di andarsene con Aristèe, Orfeo non pare eccessivamente afflitto.\nAppare allora l'opinione pubblica, che minaccia Orfeo di rovinare la sua reputazione come personaggio pubblico, in quanto artista e professore di violino se non parte subito alla ricerca di Euridice per esigere il suo ritorno. L'opinione pubblica consiglia a Orfeo di rivolgersi, qualora fosse necessario, anche alla massima autorità, ossia Jupiter (Giove) in persona. Infine l'opinione pubblica decide di accompagnarlo nella sua avventura per mostrargli il cammino che conduce all'Olimpo.\n\nScena II: Sul Monte Olimpo.Udiamo un breve intermezzo che si altalena tra il lirismo dolce e sonnolento e l'arcano tenebroso. Gli dei si svegliano dal loro torpore e si ribellano, sulle note del La Marsigliese, al regime imposto da Jupiter; sono perfino contrari alla ridicola e noiosa dieta a base di nettare e ambrosia imposta dal dio supremo.\nLungi dal comportarsi con la dignità propria di un dio, Jupiter non può trattenersi dal fare numerose scappatelle nel mondo esterno e persino sua moglie, Junon (Giunone), lo riprende per il suo comportamento, convinta che il marito abbia una relazione con Euridice.\nQuando Junon accusa Jupiter, costui si mostra nello stesso tempo adulato e infuriato. In quel momento sopraggiunge Orfeo accompagnato dall'opinione pubblica e chiede, senza troppa convinzione, che gli venga restituita la moglie (cita allora il tema principale 'Che farò senza Euridice' da Orfeo ed Euridice di Gluck). Jupiter convoca gli dei in tutta urgenza, proponendo loro una gita negli inferi. Il dio supremo intende ritrovare Euridice ma non per consegnarla al marito, bensì per tenersela per sé.\n\nAtto II.\nScena I: Nell'Ade, la dimora di Plutone.Qui il dio tiene rinchiusa Euridice, sorvegliata da un eunuco chiamato John Styx, che rimpiange i tempi passati, allegri e felici. Euridice si mostra completamente indifferente nei confronti di Styx, senza prestare la benché minima attenzione alle sue lagnanze. Anzi, la giovane è più indispettita che mai poiché la noia è ancor più grande di quando viveva con Orfeo: indossati gli abiti di Plutone, Aristèe, ha smesso di mostrare interesse per la donna una volta che costei ha accettato le sue condizioni.\nMentre tutti gli abitanti dell'Olimpo cercano disperatamente Euridice, quest'ultima è attratta da un insetto che si è posato su buco della serratura che le nega la libertà. Si tratta di una mosca dalle ali dorate che si fa prendere facilmente fra le mani della ragazza. In realtà è Jupiter che, così come in altre occasioni, ha mutato le proprie sembianze per raggiungere il suo scopo. Il dio promette ad Euridice che le rallegrerà la vita.\n\nScena II: Nell'Ade, oltre il fiume Stige.Plutone ha organizzato un banchetto infernale per i suoi invitati dell'Olimpo. Incoraggiato dal suo recente successo come seduttore, Jupiter viene acclamato dagli astanti allorché si esibisce in un vivace minuetto che ben presto degenera in un selvaggio can-can. Ma il mondo umano interrompe il divertimento degli dei: l'opinione pubblica è riuscita a spingersi fino agli inferi con sommo disappunto di Orfeo, che si sente immensamente felice per la sua separazione da Euridice.\nAdesso Orfeo, contro la propria volontà dato che agisce sotto l'ingiusta imposizione dell'opinione pubblica, si vede costretto a chiedere a Jupiter che gli venga restituita la moglie. Sotto lo sguardo attento degli dei, Jupiter concede il proprio assenso ma ad una condizione: Orfeo non deve guardare indietro durante il suo viaggio di ritorno a Tebe.\nQuando la coppia, guidata dalla trionfale opinione pubblica, sta per raggiungere il fiume Stige, Jupiter scaglia un fulmine: Orfeo si volta impaurito e, così facendo, perde Euridice. Jupiter non può prenderla con sé, dato che deve mantenere la propria reputazione di seduttore, e così dispone che la donna passi al servizio di Bacchus (Bacco) il dio del vino.\nAffascinata dal futuro che la attende, Euridice, intona la melodia del celeberrimo galop (conosciuto come can-can), sulle cui note si conclude il finale festante dell'operetta. La nuova baccante viene quindi accolta dalla comitiva ubriaca e giubilante che accompagna il dio Bacchus.\n\nRappresentazioni.\nQuest'operetta avrebbe dovuto essere rappresentata solo poche volte al Théâtre des Bouffes-Parisiens di Parigi con il soprano Lise Tautin, il baritono Désiré, il mezzosoprano Marguerite Macé-Montrouge, Marie Cico, il tenore Jean-François Berthelier e Léonce diretta dal compositore, venne tuttavia stroncata da un critico dell'epoca, con l'accusa di aver infangato la più aulica delle opere liriche (Orfeo - nella versione di Claudio Monteverdi - , infatti, è la prima Opera nella storia del melodramma, autogiustificato per il fatto di rappresentare il 'dio' della poesia in persona); in seguito a queste critiche si scatenò una bagarre nella società francese pari forse solo alla Querelle des bouffons. Questo suscitò immenso interesse nei confronti dell'operetta che quindi venne replicata per 228 volte, prima che gli attori dessero forfait per la troppa fatica.Altro elemento di aspra critica nei confronti dell'autore nasce dai richiami musicali all'Orfeo ed Euridice di Gluck; richiami al minuetto dei Campi Elisi, che diventa il celebre galop (normalmente indicato come can-can), e all'aria 'Che farò senza Euridice', nel momento in cui Orfeo entra negli Inferi, seguito dall'Opinione Pubblica.\n\nDiscografia parziale.\n1973 - Orchestre de l'Association des Concerts Lamoureux e Choeur Raymond Saint-Paul Orphée aux Enfers (Pathé, 2C 051-12108).\n1979 - Orchestre National du Capitole de Toulouse e Les Petits Chanteurs à La Croix Potencée Orphée aux Enfers (La Voix de son Maître, 2C 167-16341/3).\n1995 - Charpentier, Les Arts Florissants La Descente d'Orphée aux Enfers (Erato, 0630-11913-2).\n1998 - Orphée aux Enfers - Choeur & Orchestre de L'Opéra National de Lyon/Natalie Dessay/Véronique Gens/Ewa Podleś/Laurent Naouri/Marc Minkowski/Orchestre de Chambre de Grenoble, (EMI Classics, 5 56725 2).\nOrphée aux Enfers - Mady Mesplé/Jane Rhodes/Jane Berbié/Michel Sénéchal/Charles Burles/Michel Trempont/Campidoglio (Tolosa)/Michel Plasson.\n2002 - Günter Schlienz Orphée aux Enfers (Moon Glyph, MG109).\n2020 - Orchestre Philharmonique de Paris Orphée aux Enfers (Preiser Records, 20021).\n2020 - Charpentier, Vox Luminis, A Nocte Temporis, Reinoud Van Mechelen, Lionel Meunier Orphée aux Enfers (Alpha Classics, ALPHA 566).\n\nDVD parziale.\nOrpheus in der Unterwelt (Deutsche Oper Berlin, 1984) - Jesús López-Cobos/Donald Grobe/Julia Migenes-Johnson/Hans Beirer/Astrid Varnay/George Shirley, Arthaus/Naxos.\nOrpheus in the Underworld - Davin/Badea/Vidal, Theatre de La Monnaie/De Munt, 1997 Image/Arthaus/Naxos.\nOrphee aux enfers - Marc Minkowski/Natalie Dessay/Yann Beuron/Jean-Paul Fouchécourt, Opéra National de Lyon, 1997 Arthaus/Naxos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Orfeo all'inferno.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Betsy Schwarm, Orpheus in the Underworld, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.\n(EN) Spartiti o libretti di Orfeo all'inferno, su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC.\n(EN) Orfeo all'inferno / Orfeo all'inferno (altra versione), su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation.\nTeatro Verdi Trieste, su teatroverdi-trieste.com. URL consultato il 7 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 15 aprile 2014).
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### Titolo: Orfeo ed Euridice (Canova).\n### Descrizione: Orfeo ed Euridice, un gruppo scultoreo in pietra di Vicenza (altezza m 2,04) di Antonio Canova, realizzato nel 1775 - 1776 e custodito nel Salone da ballo del Museo Correr a Venezia. Rappresenta la principale opera giovanile dell'artista, nato a Possagno nel 1757.\nLe sculture sono ispirate al mito di Orfeo, contenuto ne Le metamorfosi di Ovidio e nelle Georgiche di Virgilio; lungo il basamento, un'iscrizione riporta alcuni versi dei due poeti latini.Le due figure sono complementari e raffigurano l'attimo in cui Orfeo, tornando in superficie dall'Ade è preso dal dubbio che l'ombra della moglie Euridice lo segua veramente e si volta. In quell'istante disperato vede per l'ultima volta la moglie Euridice, che con un gesto di sgomento e rimprovero, comincia a svanire, perché è costretta a tornare indietro nell'Ade.\nL'opera prese forma a Venezia, dove Canova compì i primi studi, alternandosi tra la città dei dogi e Asolo.\nIl gruppo era destinato a decorare il giardino della casa di campagna della famiglia veneziana dei Falier. L'opera procurò un'iniziale notorietà all'artista, a seguito dell'esposizione presso la fiera della Sensa del 1776.
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### Titolo: Orfeo ed Euridice (Tiziano).\n### Descrizione: Orfeo ed Euridice è un dipinto a olio su tavola (39x53 cm) attribuito a Tiziano, databile al 1508 circa e conservato nell'Accademia Carrara di Bergamo.\n\nStoria.\nL'opera proviene dalle collezioni Lochis. Venne a lungo attribuita a Giorgione o a un suo seguace, finché Roberto Longhi, nel 1927, la riferì al giovane Tiziano, seguito da Suida, Morassi e Pallucchini. Fa eccezione Coletti, che nel 1955 la attribuì a Palma il Vecchio.\n\nDescrizione e stile.\nIn un dolce paesaggio pastorale è raccontato in due fasi il mito di Orfeo: in primo piano a sinistra la morte di Euridice, morsa da un drago bipede e privo di ali (Lindworm), che sostituisce il serpente del mito, mentre a destra Orfeo esce dagli Inferi con la moglie al seguito, ma volgendosi a guardarla la perde per sempre.\nIl sentimento per la natura, vera protagonista della scena, deriva da Giorgione: essa si adatta ai sentimenti dei personaggi, infatti a sinistra è tranquilla e pacifica, mentre a destra balugina per il furore delle fiamme degli inferi.\nL'attribuzione a Tiziano si basa sulle affinità, nella disposizione delle figure, con altre opere giovanili, quali soprattutto gli affreschi del Fondaco dei Tedeschi e quelli della Scuola del Santo a Padova.\nIl verde della vegetazione si è ossidato nel tempo fino a diventare bruno.
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### Titolo: Orfeo negro.\n### Descrizione: Orfeo Negro (in francese Orphée noir; in portoghese Orfeu negro) è un film del 1959 diretto da Marcel Camus.\nIspirato a Orfeu da Conceição, pièce teatrale di Vinícius de Moraes, il film traspone in epoca moderna il mito di Orfeo ed Euridice.\nVincitore della Palma d'Oro 1959, si aggiudicò anche l'Oscar 1960 come miglior film in lingua non inglese in rappresentanza della Francia benché girato in portoghese, lingua che al 2020 vanta il suo unico Academy Award proprio grazie a tale film.\n\nTrama.\nOrfeo è un giovane tranviere di Rio de Janeiro che ama cantare e suonare la chitarra, e tra i ragazzini della favela dove abita circola la voce che sia lui, con l'armonia della sua musica, a far sorgere il sole. Alla vigilia del Carnevale arriva a Rio una graziosa ragazza, Euridice, venuta ufficialmente a trovare la cugina, ma in realtà lì per sfuggire a un uomo misterioso che la perseguita. Orfeo, pur essendo fidanzato con Mira, se ne innamora e la invita a danzare con lui nel Carnevale.\nDurante le danze riappare l'uomo misterioso e, col suo costume raffigurante la Morte, terrorizza Euridice, che fugge e si nasconde nel deposito dei tram. Orfeo sopraggiunge e vorrebbe accendere le luci ma per errore innesta l'alta tensione ed Euridice muore folgorata. Orfeo cerca disperatamente il suo corpo e si fa aiutare da un anziano che lo conduce in una casa, consigliandogli di non voltarsi ma, sentendo la voce di Euridice, non resiste alla tentazione e guarda dietro le sue spalle: c'è solo una vecchia fattucchiera che, in un rito di macumba, emette la voce della donna morta. Finalmente Orfeo ritrova Euridice in un obitorio, la porta tra le braccia fino alla sua capanna sulla collina, ma Mira e le sue amiche lo aggrediscono facendolo precipitare nel burrone. Orfeo ed Euridice sono uniti nella morte, e un ragazzino amico di Orfeo prende la sua chitarra e, prima dell'alba, prende il posto di Orfeo sulla collina e con dita incerte inizia a suonare. La magia si compie ed ecco spuntare il sole, dando inizio a un nuovo giorno.\n\nColonna sonora.\nUn elemento importante del film sono le canzoni di Antônio Carlos Jobim e Vinícius de Moraes e di Luiz Bonfá e Antônio Maria. Il film diede notorietà ai ritmi del samba e della bossa nova, decretando il successo di brani come Samba de Orfeo, Manhã de carnaval e A Felicidade cantati da Agostinho dos Santos. La musica del Brasile arrivò così ad attirare l'attenzione su di sé e nel 1962 due noti jazzisti, Stan Getz e Charlie Byrd, incisero il disco Jazz Samba, grazie al quale la bossa nova si diffuse negli Stati Uniti e nel mondo.\n\nRiconoscimenti.\nCannes 1959: Palma d'oro.\nOscar 1960: Miglior film straniero.\nGolden Globe 1960: Miglior film straniero.
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### Titolo: Orfeo.\n### Descrizione: Orfeo (in greco antico: Ὀρφεύς Orphéus, pronuncia: [or.pʰeú̯s]; in latino: Orpheus, pronuncia: ['or.pʰeus]; ) è un personaggio della mitologia greca, fondatore e figura chiave dell'orfismo. Si tratta dell'artista per eccellenza, che dell'arte incarna i valori eterni, ma anche di uno «sciamano, capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell'anima lungo gli oscuri sentieri della morte». I molteplici temi chiamati in causa dal suo mito - l'amore, l'arte, l'elemento misterico - sono alla base di una fortuna senza pari nella tradizione letteraria, filosofica, musicale, culturale e scultorea dei secoli successivi.\n\nOrfeo e l'Orfismo.\nIl primo riferimento a noi pervenuto sulla figura di Orfeo è nel frammento 25 del lirico di Rhegion (Reggio Calabria) Ibico vissuto nel VI secolo a.C. nella Magna Grecia, nel quale appare già 'famoso'. Attorno alla sua figura mitica, capace di incantare persino gli animali, si assesta una tradizione che non gli attribuisce un normale modo di fare musica, bensì la psychagogia, che si estende alle anime dei morti. Il papiro di Derveni, rinvenuto negli anni 1960 vicino a Salonicco, offre un'interpretazione allegorica di un poema orfico non a caso in concomitanza con un rituale per placare i morti.\nAssociato alla figura di Dioniso, divorato dai Titani con i quali rappresenta da un lato la componente dionisiaca della vita – ossia l'elemento divino o 'anima'– e dall'altro il corpo mortale, Orfeo è la figura centrale dell'Orfismo, una tradizione religiosa che, per prima nel mondo occidentale, introduce la nozione di dualità fra corpo mortale e anima immortale.\n\nIl mito.\nLe origini.\nIl nome di Orfeo è attestato a partire dal VI secolo a.C., ma secondo Mircea Eliade «non è difficile immaginare che sia vissuto 'prima di Omero'».\nSecondo le più antiche fonti Orfeo è nativo della città di Lebetra in Tracia, situata sotto la Pieria, terra nella quale fino ai tempi di Erodoto era testimoniata l'esistenza di sciamani che fungevano da tramite fra il mondo dei vivi e dei morti, dotati di poteri magici operanti sul mondo della natura, capaci tra l'altro di provocare uno stato di trance tramite la musica.\nFiglio della Musa Calliope e del sovrano tracio Eagro (o, secondo altre versioni meno accreditate, del dio Apollo), appartiene alla generazione precedente degli eroi che parteciparono alla guerra di Troia, tra i quali ci sarebbe stato il cugino Reso. Secondo un'altra versione Orfeo fu il sesto discendente di Atlante e nacque undici generazioni prima della guerra di Troia. Egli, con la potenza incantatrice della sua lira e del suo canto, placava le bestie feroci e animava le rocce e gli elementi della natura.\nGli è spesso associato, come figlio o allievo, Museo.\nOrfeo fonde in sé gli elementi apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale, benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso; in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli Inferi di una fanciulla (Euridice nel caso di Orfeo e la madre Semele in quello di Dioniso). Orfeo domina la natura selvaggia e può addirittura sconfiggere la morte temporaneamente (anche se alla fine viene sconfitto perdendo la persona che doveva salvare, a differenza di Dioniso).\nLa letteratura, d'altra parte, mostra la figura di Orfeo anche in contrasto con le due divinità: la perdita dell'amata Euridice sarebbe da rintracciarsi nella colpa di Orfeo di aver assunto prerogative del dio Apollo di controllo della natura attraverso il canto; tornato dagli Inferi, Orfeo abbandona il culto del dio Dioniso rinunciando all'amore eterosessuale. In tale contesto si innamora profondamente di Calaide, figlio di Borea, e insegna l'amore omosessuale ai Traci. Per questo motivo, le Baccanti della Tracia, seguaci del dio, furenti per non essere più considerate dai loro mariti, lo assalgono e lo fanno a pezzi. Nella versione del mito contenuta nelle Georgiche di Virgilio la causa della sua morte è invece da ricercarsi nell'ira delle Baccanti per la sua decisione di non amare più nessuno dopo la morte di Euridice.\n\nLe imprese di Orfeo e la sua morte.\nSecondo la mitologia classica, Orfeo prese parte alla spedizione degli Argonauti: durante la spedizione Orfeo diede innumerevoli prove della forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte occasioni; con la lira e con il canto fece salpare la nave rimasta inchiodata nel porto di Jolco, diede coraggio ai naviganti esausti a Lemno, placò a Cizico l'ira di Rea, fermò le rocce semoventi alle Simplegadi, addormentò il drago e superò la potenza ammaliante delle sirene.\nLa sua fama è legata però soprattutto alla tragica vicenda d'amore che lo vide separato dalla driade Euridice, che era sua moglie. Come Virgilio narra nelle Georgiche, Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, amava perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non fosse corrisposto, continuava a rivolgerle le sue attenzioni fino a che un giorno ella, per sfuggirgli, mise il piede su un serpente, che la uccise col suo morso. Orfeo, lacerato dal dolore, scese allora negli inferi per riportarla nel mondo dei vivi. Raggiunto lo Stige, fu dapprima fermato da Caronte: Orfeo, per oltrepassare il fiume, incantò il traghettatore con la sua musica. Sempre con la musica placò anche Cerbero, il guardiano dell'Ade. Raggiunse poi la prigione di Issione, che, per aver desiderato Era, era stato condannato da Zeus a essere legato a una ruota che avrebbe girato all'infinito: Orfeo, cedendo alle suppliche dell'uomo, decise di usare la lira per fermare momentaneamente la ruota, che, una volta che il musico smise di suonare, cominciò di nuovo a girare.\nL'ultimo ostacolo che si presentò fu la prigione del crudele semidio Tantalo, che aveva ucciso il figlio Pelope (antenato di Agamennone) per dare la sua carne agli dei e aveva rubato l'Ambrosia per darla agli uomini. Qui, Tantalo è condannato a rimanere legato a un albero carico di frutta ed immerso fino al mento nell'acqua: ogni volta che prova a bere, l'acqua si abbassa, mentre ogni volta che cerca di prendere i frutti con la bocca, i rami si alzano. Tantalo chiede quindi a Orfeo di suonare la lira per far fermare l'acqua e i frutti. Suonando però, anche il suppliziato rimane immobilizzato e quindi, non potendo sfamarsi, continua il suo tormento. A questo punto l'eroe scese una scalinata di 1000 gradini: si trovò così al centro del mondo oscuro, e i demoni si sorpresero nel vederlo. Una volta raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontrò Ade (Plutone) e Persefone (Proserpina).\nOvidio racconta nel decimo libro delle Metamorfosi come Orfeo, per addolcirli, diede voce alla lira e al canto. Il discorso di Orfeo fece leva sulla commozione, richiamando alla gioventù perduta di Euridice e l'enfasi sulla forza di un amore impossibile da dimenticare e sullo straziante dolore che la morte dell'amata ha provocato. Orfeo assicurò anche che, quando fosse venuta la sua ora, Euridice sarebbe tornata nell'Ade come tutti. A questo punto Orfeo rimase immobile, pronto a non muoversi finché non fosse stato accontentato.\n\nMossi dalla commozione, che colse persino le Erinni stesse, Ade e Persefone acconsentirono al desiderio.\n\nEssi posero però la condizione che Orfeo avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino fino all'uscita dell'Ade senza voltarsi mai all'indietro. Esattamente sulla soglia degli Inferi, temendo che lei non lo stesse più seguendo, Orfeo non riuscì più a resistere al dubbio e si voltò per assicurarsi che la moglie lo stesse seguendo. Avendo rotto la promessa, Euridice viene riportata all'istante nell'Oltretomba.\nOrfeo vide scomparire Euridice e si disperò, sapendo che non l'avrebbe mai più rivista. Decise allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Tornato sulla terra, espresse il dolore fino ai limiti delle possibilità artistiche, incantando nuovamente le fiere e animando gli alberi. Pianse per sette mesi ininterrottamente, secondo Virgilio, mentre Ovidio riduce il numero a sette giorni. Sa che non potrà amare più nessun'altra, e malgrado ciò molte ambiscono a unirsi a lui. Secondo la versione virgiliana le donne dei Ciconi videro che la fedeltà del Trace nei confronti della moglie morta non si piegava; allora, in preda all'ira e ai culti bacchici cui erano devote, lo fecero a pezzi (il famoso sparagmòs) e ne sparsero i resti per la campagna. La sua testa, insieme alla sua lira, vengono gettate nel fiume Evros.\nLa testa di Orfeo cadde proprio sulla lira galleggiante, continuando a cantare soavemente. Zeus, toccato da questo evento commovente, prende lo strumento e lo pone in cielo, formando una costellazione (la quale in alternativa, secondo le Fabulae di Igino, sarebbe non la lira di Orfeo ma quella di Arione). Secondo quanto afferma Virgilio nel sesto libro dell'Eneide, l'anima di Orfeo venne accolta nei Campi Elisi.\nUn po' diversa è la rivisitazione del poeta sulmonese, che aggiunge un tassello alla reazione anti-femminile di Orfeo, coinvolgendo il cantore nella fondazione dell'amore omoerotico (questo elemento non è di invenzione ovidiana visto che ne abbiamo attestazione già nel poeta alessandrino Fanocle). Orfeo avrebbe quindi ripiegato sull'amore per i fanciulli, facendo innamorare anche i mariti delle donne di Tracia, che venivano così trascurate. Le Menadi si infuriarono dilaniando il poeta, nutrendosi anche di parte del suo corpo, in una scena ben più cruda di quella virgiliana.\nIn entrambi i poeti si narra che la testa di Orfeo finì nel fiume Ebro, dove continuò prodigiosamente a cantare, simbolo dell'immortalità dell'arte, scendendo (qui solo Ovidio) fino al mare e da qui alle rive di Metimna, presso l'isola di Lesbo, dove Febo Apollo la protesse da un serpente che le si era avventato contro. Il sofista del III secolo Filostrato nell'Eroico (28,8) racconta che la testa di Orfeo, giunta a Lesbo dopo il delitto commesso dalle donne, stava in una grotta dell'isola e aveva il potere di dare oracoli. Secondo altre versioni, i resti del cantore sarebbero stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Tornando a Ovidio, eccoci al punto culminante dell'avventura, forse inaspettato; Orfeo ritrova Euridice fra le anime pie, e qui potrà guardarla senza più temere.\n\nEvoluzione del mito.\nIl mito di Orfeo nasce forse come mito di fertilità, come è possibile desumere dagli elementi del riscatto della Kore e dello σπαραγμος (sparagmòs) al greco antico 'corpo fatto a pezzi') che subisce il corpo di Orfeo, elementi che indicano il riportare la vita sulla terra dopo l'inverno.\nLa prima attestazione di Orfeo è nel poeta Ibico di Reggio (VI sec a.C.), che parla di Orfeo dal nome famoso.\nIn seguito Eschilo, nella tragedia perduta Le bassaridi, fornisce le prime informazioni attinenti alla catabasi di Orfeo. Importanti anche i riferimenti di Euripide, che in Ifigenia in Aulide e ne Le baccanti rende manifesta la potenza suasoria dell'arte di Orfeo, mentre nell'Alcesti spuntano indizi che portano in direzione di un Orfeo trionfatore. La linea del lieto fine, sconosciuta ai più, non si limita a Euripide, dato che è possibile intuirla anche in Isocrate (Busiride) e in Ermesianatte (Leonzio).\nAltri due autori greci che si sono occupati del mito di Orfeo proponendo due diverse versioni di esso sono il filosofo Platone e il poeta Apollonio Rodio.\nNel discorso di Fedro, contenuto nell'opera Simposio, Platone inserisce Orfeo nella schiera dei sofisti, poiché utilizza la parola per persuadere, non per esprimere verità; egli agisce nel campo della doxa, non dell'episteme. Per questa ragione gli viene consegnato dagli dèi degli inferi un phasma di Euridice; inoltre, non può essere annoverato tra la schiera dei veri amanti poiché il suo eros è falso come il suo logos.\nLa sua stessa morte ha carattere antieroico poiché ha voluto sovvertire le leggi divine penetrando vivo nell'Ade, non osando morire per amore. Il phasma di Euridice simboleggia l'inadeguatezza della poesia a rappresentare e conoscere la realtà, conoscenza che può essere conseguita solo tramite le forme superiori dell'eros.Apollonio Rodio inserisce il personaggio di Orfeo nelle Argonautiche, presentato anche qui come un eroe culturale, fondatore di una setta religiosa. Il ruolo attribuito a Orfeo esprime la visione che del poeta hanno gli alessandrini: attraverso la propria arte, intesa come abile manipolazione della parola, il poeta è in grado di dare ordine alla materia e alla realtà; a tal proposito è emblematico l'episodio nel quale Orfeo riesce a sedare una lite scoppiata tra gli argonauti cantando una personale cosmogonia.\nNell'Alto Medioevo Boezio, nel De consolatione philosophiae, pone Orfeo a emblema dell'uomo che si chiude al trascendente, mentre il suo sguardo, come quello della moglie di Lot, rappresenta l'attaccamento ai beni terreni.\nNei secoli successivi, tuttavia, il Medioevo vedrà in Orfeo un'autentica figura Christi, considerando la sua discesa agli Inferi come un'anticipazione di quella del Signore, e il cantore come un trionfante lottatore contro il male e il demonio (così anche più tardi, con El divino Orfeo di Pedro Calderón de la Barca, 1634). Dante lo colloca nel Limbo, nel castello degli 'spiriti magni' (Inf. IV. 139).\nNel 1864 compare la prima rivoluzionaria avvisaglia di un tema che sarà caro soprattutto al secolo successivo: il respicere di Orfeo non è più frutto di un destino avverso o di un errore, ma matura da una precisa volontà, ora sua, ora d'Euridice. Nel componimento Euridice a Orfeo del poeta inglese Robert Browning, lei gli urla di voltarsi per abbracciare in quello sguardo l'immensità del tutto, in una empatia tale da rendere superfluo qualsiasi futuro.\nIl XX secolo si è appropriato della tesi secondo cui il gesto di Orfeo sarebbe stato volontario. Come è d'uopo, i primi casi non sono italiani. Jean Cocteau, ossessionato da questo mito lungo tutta la propria parabola artistica, nel 1925, diede alle stampe il proprio singolare Orfeo, opera teatrale che è alla base di tutte le rivisitazioni successive. Qui Orfeo capovolge il mito; decide di congiungersi con Euridice tra i morti, perché l'al di qua ha ormai reso impossibile l'amore e la pace. Laggiù non ci sono più rischi.\nGli fa eco il connazionale Jean Anouilh, in un'opera pur molto diversa, ma concorde nel vedere la morte come unica via di fuga e di realizzazione del proprio sogno d'amore: si tratta di Eurydice (1941).\nNel dialogo pavesiano L'inconsolabile (Dialoghi con Leucò, 1947), Orfeo si confida con Bacca: trova sé stesso nel Nulla che intravede nel regno dei morti e che lo sgancia da ogni esigenza terrena. Totalmente estraneo alla vita, egli ha compiuto il proprio destino. Euridice, al pari di tutto il resto, non conta più nulla per lui, e non potrebbe che traviarlo da siffatta realizzazione di sé: ha nelle fattezze ormai il gelo della morte che ha conosciuto, e non rappresenta più l'infanzia innocente con cui il poeta l'identificava. Voltarsi diviene un'esigenza ineludibile.\n\nPiù cinico, l'Orfeo delineato da Gesualdo Bufalino nel 1986 intona, al momento del 'respicere', la famosa aria dell'opera di Gluck (Che farò senza Euridice?). La donna così capisce: il gesto era stato premeditato, nell'intenzione di acquisire gloria personale attraverso una (finta) espressione del dolore, in un'esaltazione delle proprie capacità artistiche.\n\nOpere in cui appare o è trattata la sua figura.\nLetteratura.\nSimposio (discorso di Fedro) - opera filosofica di Platone.\nArgonautiche - poema epico di Apollonio Rodio.\nElegia n.1 Powell - Orfeo e Calais - elegia contenuta ne Gli amori o i belli di Fanocle.\nGeorgiche (libro IV) - poema di Virgilio.\nEneide (libro VI) - poema di Virgilio (Orfeo è tra gli spiriti dei Campi Elisi; Virgilio lo chiama sacerdote di Tracia, senza dunque nominarlo).\nMetamorfosi (libri X e XI) - poema di Ovidio.\nFabula di Orfeo - Opera teatrale di Angiolo Poliziano.\nOrfeo - idillio di Giovan Battista Marino.\nEuridice ad Orfeo - epistola lirica di Antonio Bruni.\nSonetti a Orfeo - raccolta poetica di Rainer Maria Rilke.\nOrfeo, Euridice ed Hermes - poesia di Rainer Maria Rilke.\nLa persuasione e la rettorica - saggio di Carlo Michelstaedter (il rimando al mito di Orfeo è centrale anche nel ciclo di poesie A Senia, del medesimo Michelstaedter).\nCanti orfici - raccolta poetica di Dino Campana.\nOrfeo Vedovo - opera teatrale di Alberto Savinio.\nTutte le cosmicomiche di Italo Calvino (racconti Senza Colori, Il cielo di pietra, L'altra Euridice).\nIl ritorno di Euridice (da L'uomo invaso) - racconto di Gesualdo Bufalino.\nEurydice to Orpheus - poesia di Robert Browning.\nEurydice (da Collected Poems) - poesia di Hilda Doolittle.\nOrphée - opera teatrale di Jean Cocteau.\nEurydice - opera teatrale di Jean Anouilh.\nOrfeo - poema di Juan Martínez de Jáuregui.\nRacconto di Orfeo - poema di Robert Henryson (o Henderson).\nBestiaire ou Le cortège d'Orphée - raccolta poetica di Guillaume Apollinaire.\nLa presenza di Orfeo - prima raccolta poetica di Alda Merini.\nOrfeo emerso - romanzo di Jack Kerouac.\nLa terra sotto i suoi piedi - romanzo di Salman Rushdie.\nIl lamento d'Orfeo - opera teatrale di Valentino Bompiani.\nDialoghi con Leucò - raccolta di racconti di Cesare Pavese (Orfeo appare nel dialogo L'inconsolabile).\nLa discesa di Orfeo (Orpheus Descending), opera teatrale di Tennessee Williams.\nLa Saga dei Mitago - Il Tempio Verde - di Robert Holdstock.\nOrfeo africano - romanzo breve di Werewere Liking.\nLei dunque capirà - monologo di Claudio Magris.\n'Schatten' Euridyke sagt - opera teatrale di Elfriede Jelinek.\nPoema a fumetti, (racconto per immagini del mito di Orfeo in chiave moderna) di Dino Buzzati, Mondadori.\nOrfeo - Sogno e Morte (Vol. 1) di Luca Tarenzi, Giunti Editore, 2024.\n\nMusica.\nEuridice (opera) - opere teatrali su libretto di Ottavio Rinuccini musicate da Iacopo Peri e da Giulio Caccini (1600).\nL'Orfeo - Melodramma di Claudio Monteverdi (1607).\nOrfeo dolente - Opera musicale di Domenico Belli (1616).\nLa morte di Orfeo - Tragicommedia pastorale di Stefano Landi (1619).\nOrfeus und Euridice - Opera-ballo di Heinrich Schütz (1638).\nOrfeo - Opera musicale di Luigi Rossi (1647).\nOrfeo (Sartorio) - Opera musicale di Antonio Sartorio, su libretto di Aurelio Aureli (1673).\nOrfeo - Opera musicale di Jean-Baptiste Lully e Louis Lully (1690).\nOrfeo ed Euridice - Opera musicale di Christoph Willibald Gluck (1762).\nOrfeo ed Euridice - Ballo di Florian Johann Deller (1763).\nOrfeo ed Euridice - Opera lirica di Johann Gottlieb Naumann (1786).\nL'anima del filosofo ossia Orfeo ed Euridice - Opera musicale di Franz Joseph Haydn (1791).\nOrpheus - Poema sinfonico di Franz Liszt (1853-54).\nOrfeo all'inferno - Operetta di Jacques Offenbach (1858).\nOrfeo - Mimodramma di Roger Ducasse (1913).\nOrpheus und Eurydike - Opera lirica di Ernst Křenek (1926).\nLa favola di Orfeo - Opera in un atto di Alfredo Casella (1934).\nOrpheus - Balletto di Igor' Fëdorovič Stravinskij (1947).\nOrfeu da Conceiçāo - Dramma musicale di Vinícius de Moraes (1947).\nOrfeo 9 - Opera rock di Tito Schipa Jr. (1970).\nOrpheus - Canzone di David Sylvian (1987) contenuta nell'album Secrets of the Beehive.\nEuridice - Canzone di Roberto Vecchioni dall'album Blumùn (1993).\nOrfeo - Singolo di Carmen Consoli (2000) contenuta nell'album Stato di necessità.\nOrfeo a Fumetti - Opera da camera di Filippo del Corno (2001).\nAbattoir Blues/The Lyre of Orpheus - album del 2004 di Nick Cave and The Bad Seeds, che contiene la traccia The Lyre Of Orpheus.\nMetamorpheus - Concept album dedicato al mito di Orfeo di Steve Hackett (2005).\nEurydice - singolo d'esordio del progetto Sleepthief (2006).\nOrfeo Coatto - Mp3dramma di Francesco Redig de Campos 2009.\nCaliti junku, canzone dell'album Apriti sesamo di Franco Battiato, 2012.\nAwful Sound (Oh Eurydice) e It's Never Over (Hey Orpheus), canzoni dell'album Reflektor degli Arcade Fire, 2013.\nKing of Shadows - track 1 dell'album R-Evolution 2014 - Martiria featuring ex Black Sabbath Vinny Appice.\nOpheus - Singolo di Fabio Mengozzi (2022).\n\nPittura.\nOrfeo morto - Dipinto di Jean Delville.\nLe ninfe ritrovano la testa di Orfeo - Dipinto di John William Waterhouse.\nOrfeo - Dipinto di Tintoretto.\nOrfeo solitario - Dipinto di Giorgio de Chirico.\nOrfeo all'inferno - Dipinto di Rubens.\nLa leggenda di Orfeo - Trittico di Luigi Bonazza.\nRagazza tracia con la testa di Orfeo - Dipinto di Gustave Moreau.\nOrfeo - Dipinto di Pierre Marcel-Béronneau.\n\nScultura.\nOrfeo, Euridice ed Hermes - Rilievo fidiaco.\nOrfeo, formella di Luca della Robbia per il Campanile di Giotto.\nOrfeo ed Euridice, scultura di Auguste Rodin, New York, Metropolitan Museum of Art, 1893.\nLa morte di Orfeo scultura di Michele Tripisciano, Caltanissetta, Museo Tripisciano di Palazzo Moncada, 1898.\n\nCinema.\nLe sang d'un poète, di Jean Cocteau.\nOrfeo (Orphée, 1949), di Jean Cocteau.\nIl testamento di Orfeo (Le Testament d'Orphée, ou ne me demandez pas pourquoi!, 1959), di Jean Cocteau.\nPelle di serpente (The fugitive kind) di Sidney Lumet, dal dramma di Tennessee Williams Orpheus Descending.\nOrfeo negro (Orfeu Negro, 1959), di Marcel Camus; dal dramma di Vinícius de Moraes.\nHarry a pezzi di Woody Allen.\nTre colori - Film blu (Film bleu, 1992) di Krzysztof Kieslowski.\nAl di là dei sogni (Where dreams may come, 1997) di Vincent Ward.\nSolaris di Steven Soderbergh.\nRitratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma.\nFrammenti dal passato - Reminiscence di Lisa Joy.\n\nFumetti e animazione.\nOrfeo della Lira è un personaggio del manga e anime Saint Seiya (I cavalieri dello zodiaco).\nOrfeo è figlio di Sogno nei fumetti Sandman scritti da Neil Gaiman.\n\nVideogiochi.\nOrfeo (Orpheus) è il Persona iniziale del protagonista del videogioco Shin Megami Tensei: Persona 3, mentre una sua versione al femminile compare nell'edizione Portable in caso di scelta di una protagonista.\nOrfeo (Orpheus) compare anche nel videogioco Hades come personaggio secondario, legato ad una questline che, riprendendo il mito greco, coinvolge anche il personaggio di Euridice.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Orfeu da Conceição.\n### Descrizione: Orfeu da Conceição (in portoghese: Orfeo dell'Immacolata Concezione) è un dramma musicale in tre atti, presentato per la prima volta nel 1956 a Rio de Janeiro.\nL'opera, scritta da Vinícius de Moraes nel 1954 e musicata da Antônio Carlos Jobim nel 1956 e con la partecipazione del chitarrista di Luiz Bonfá, è basata sul dramma della mitologia greca di Orfeo ed Euridice.\n\nStoria e significato.\nVinícius de Moraes scrisse il suo Orfeo in un arco di tempo di oltre dieci anni a cominciare dal 1942. Verso la metà degli anni '50 Lucio Rangel e Haroldo Barbosa presentarono al poeta il giovane compositore Antônio Carlos Jobim, insieme diedero vita alla prima rappresentazione dell'opera.\n\nPrima edizione.\nLa prima edizione del Orfeu da Conceição risale al 25 settembre 1956 e fu rappresentato al Teatro Municipal di Rio de Janeiro, con la scenografia di Oscar Niemeyer.\nIl cast della prima edizione era formato dal Teatro Experimental do Negro di Abdias Nascimento, fu la seconda volta che un cast di attori neri aveva occupato il più famoso teatro brasiliano.\nIl cast della prima edizione era composto da:.\nAttore/PersonaggioHaroldo Costa (Orfeu da Conceição).\nDaisy Paiva (Eurídice).\nPérola Negra (Proserpina).\nAbdias do Nascimento (Aristeu).\nAdalberto Silva (Plutão).\nCiro Monteiro (Apolo).\nZeny Pereira (Clio).\nFrancisca de Queiroz (A Dama Negra).\nLéa Garcia (Mira De Tal).\nMaiorais do Inferno (Principi dell'inferno) - 7 attori.\nMaiorais do Inferno, Fúrias (Principi dell'inferno, Le Furie) - 5 attrici.\nMulher do morro (Donne della collina) - 4 attrici.\nHomem da Tendinha - 2 attori.\nCoro - 6 attori.\nGaroto Engraxate (Lustrascarpe) - 3 attoriDirezione.\nLéo JusiScenografiaOscar NiemeyerCostumistaLila de MoraesColonna sonoraTom Jobim.\nVinícius de MoraesAccompagnamento con la chitarraLuiz BonfáCoreografiaLina de LucaProduzioneTeatro Experimental do Negro.\nVinicius de Moraes.\n\nIl film.\nDa quest'opera furono tratti i film Orfeo negro (1959), premiato con la Palma d'oro, l'Oscar e il Golden Globe, e Orfeu (1999), oltre ai musical Orfeu (Brasile, 2010) e Black Orpheus (Broadway, 2014).\nOrfe negro deve grandissima parte del suo successo all'opera del poeta e alle musiche di Jobim e di Luiz Bonfá, già presenti nell'edizione teatrale del 1956.\nAnche se è inevitabile il confronto con i due film-opera degli anni Cinquanta dedicati al mito di Orfeo scritti e diretti da Jean Cocteau, Orphée (1950) e il suo seguito Le testament d'Orphée (1960).
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Orfeu.\n### Descrizione: Orfeu è film drammatico del 1999 di Carlos Diegues.\nLa sceneggiatura si basa sul dramma Orfeu da Conceição, scritto nel 1954 dal poeta Vinícius de Moraes, adattato da João Emanuel Carneiro, Cacá Diegues, Paulo Lins, Hamílton Vaz Pereira e Hermano Vianna. Le musiche del film si devono a Caetano Veloso.\n\nTrama.\nCast.\nToni Garrido: Orfeu.\nPatrícia França: Eurídice.\nMurilo Benício: Lucinho.\nZezé Motta: Conceição.\nMilton Gonçalves: Inácio.\nIsabel Fillardis: Mira.\nMaria Ceiça: Carmen.\nStepan Nercessian: Pacheco.\nMaurício Gonçalves: Pecê.\nLúcio Andrey: Piaba.\nEliezer Motta: Stallone.\nSérgio Loroza: Coice.\nCastrinho: Oswaldo.\nNelson Sargento: ele próprio.\nCássio Gabus Mendes: Pedro.\nEd Oliveira: Paraíba.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Orfismo.\n### Descrizione: L'orfismo è un movimento religioso misterico, sorto in Grecia, presumibilmente verso il VI secolo a.C., intorno alla figura di Orfeo, considerato il fondatore.\nLa figura di Orfeo – collegata a quella di un antico 'missionario' greco in terra tracia, che vi perse la vita nel tentativo di trasferire il culto di Apollo, potrebbe essere precedente alla sua adozione da parte dei maestri religiosi orfici del VI secolo a.C.\nIl suo inserimento nelle correnti che si fanno eredi del suo nome «era dovuta a qualcosa di più che non ad un vago sentimento di venerazione per un grande nome dell'antichità»; frutto, piuttosto, da una parte della necessità di ereditare le credenze sulla 'possessione' divina, propria dell'esperienza dionisiaca, dall'altra della convinzione di dover prolungare quelle pratiche di 'purezza', che erano proprie dei Misteri eleusini; tutto ciò corrisponde ai due elementi fondanti delle dottrine orfiche:.\n\nla credenza nella divinità e quindi nell'immortalità dell'anima, la quale è 'caduta' a causa della colpa originaria dei Titani (dalla cui combustione da parte di Zeus nascono gli uomini) che hanno divorato Dioniso nella sua prima incarnazione;.\nda cui consegue, al fine di evitare la perdita di tale immortalità o finire nella continua rinascita in stati di sofferenza, la necessità di condurre un'intera vita di purezza per ottenere l'accesso ad una vita ultraterrena felice; Nel mito, Orfeo, istruito dalle muse e da Apollo, è maestro nel suonare la lira; dopo aver preso parte alla spedizione degli argonauti e aver tentato di riportare in vita la moglie Euridice, persuadendo Ade e Persefone con la sua musica, fallisce e viene poi ucciso da un gruppo di donne seguaci di Dioniso (il culto del quale viene dalla Tracia). La religione orfica è appunto un addolcimento dei misteri dionisiaci: Dioniso è figura centrale ma a differenza del dionisismo dove si pratica il sacrificio animale cruento ('sparagmòs'), le danze orgiastiche e si beve il vino nei riti, nell'orfismo la dieta carnea è vietata, in quanto sgradita a Persefone per il ricordo dell'omicidio di Dioniso, divorato dai Titani e poi risuscitato, e quindi comportante l'impossibilità di entrare nei campi elisi nonché per la credenza nella metempsicosi in maniera simile al pitagorismo.Famosi orfici o vicini all'orfismo nel mondo greco-romano furono Platone, Socrate, Ovidio, Eraclito, Empedocle e Virgilio. Influenzò la filosofia platonica, finendo per influenzare poi il neopitagorismo e il neoplatonismo e forse anche il cristianesimo, per poi essere riscoperto nella sua interezza dottrinale in ambienti esoterici e filosofici del Rinascimento.\n\nOrigine storica.\nPer quanto le tradizioni più recenti lo indichino come 'Tracio' è opinione di alcuni studiosi, come William Keith Chambers Guthrie, che la figura di Orfeo vada piuttosto collegata a quella, non si sa quanto 'storica', di un antico 'missionario' greco in terra tracia che, nel tentativo di trasferire il culto di Apollo, perse la vita.\n\nOrigini dell'orfismo secondo Eric R. Dodds.\nNell'Orfismo si riscontra per la prima volta un inequivocabile riferimento a un''anima' (ψυχή, psyché), contrapposta al corpo (σῶμα sōma) e di natura divina, resta però non chiara l'origine di questa nuova nozione. Eric R. Dodds ritiene di individuare questa origine nella colonizzazione greca del Mar Nero avvenuta intorno al VII secolo a.C. che consentì alla cultura greca di venire a contatto con le culture sciamaniche proprie dell'Asia centrale, in particolar modo con quella scita. Tale sciamanesimo fondava le proprie credenza sulle pratiche estatiche laddove però non era il dio a 'possedere' lo sciamano quanto piuttosto era l''anima' dello sciamano che aveva esperienze straordinarie separate dal suo corpo. Alla base di queste conclusioni, Dodds pone l'analisi di alcuni personaggi, degli ἰατρόμαντες ('iatromanti'), veggenti e guide religiose, che, come Abari, giunsero dal Nord in Grecia trasferendo il culto di Apollo Iperboreo; o anche di alcuni Greci come Aristea, il quale, originario dell'Ellesponto, si trasferì, almeno idealmente, nel Nord, sede delle sue percezioni sciamaniche, così come un altro Greco d'Asia, Ermotimo di Clazomene. Questi personaggi erano talmente diffusi nell'Atene del VI-V secolo a.C. che Sofocle nell'Elettra vi allude senza la necessità di nominarli.\n\nInfluenza dell'orfismo nella storia religiosa europea.\nL'importanza dell'orfismo nella storia della cultura religiosa, e più in generale nella storia del pensiero occidentale è enorme. Da Pindaro in poi, appare la concezione – sconosciuta ai Greci – della natura divina dell'uomo, il quale alberga in sé una parte mortale, umana, e una parte immortale e divina.\nIl testo di Pindaro che per primo riporta l'idea della natura divina della vita umana è un frammento, il 131 b, che così recita:.\n\nAnche se il concetto di psyché, nella Grecia antica, rappresentava il soffio vitale che animava il corpo e quindi aveva una vaga connotazione supernaturale, il nuovo concetto di un'anima divina contrapposta al corpo mortale ed umano portava un'interpretazione puritana della vita e della religione.\n\nOrfeo.\nOrfeo è considerato il fondatore dell'orfismo. Egli fonde in sé l'elemento apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale, benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso; in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli Inferi della Kore ('fanciulla', attributo di Persefone ma in questo caso riferito ad Euridice per Orfeo e alla madre Semele per Dioniso). Orfeo domina la natura selvaggia, i mostri, può addirittura sconfiggere la morte temporaneamente (anche se nelle versioni più celebri alla fine viene sconfitto perdendo la persona che doveva salvare, a differenza di Eracle, Demetra e Dioniso).\nIstruito dalle muse (tra cui sua madre Calliope) e dallo zio (o padre) Apollo, è il più grande musicista, tramite la sua lira; dopo aver preso parte alla spedizione degli argonauti, cerca di riportare in vita la moglie Euridice, persuadendo Ade e Persefone con la sua musica, ma fallisce per essersi voltato a guardarla prima dell'uscita (rompendo la condizione imposta); decide di abbandonare quindi l'amore e il culto dionisiaco, per dedicarsi alla musica e alla predicazione religiosa (per altri anche all'omoerotismo): per questo viene poi ucciso da un gruppo di menadi, donne seguaci di Dioniso. La sua lira viene posta fra le stelle, il corpo, smembrato come fu quello di Dioniso dai Titani, la testa (che continua a cantare) trasportata dal fiume e custodita e poi sepolta da Apollo, dalle muse o dalle ninfe, mentre la sua anima si ricongiunge ad Euridice, non nell'ade ma in un aldilà beato.\n\nDivinità venerate.\nLe principali figure religiose orfiche, venerate attraverso la vita etica, sono tre divinità figlie di Zeus: Apollo, Dioniso e sua madre Persefone (anch'essa figlia di Zeus); e difatti come detto l'apollineo e il dionisiaco, vengono combinati nell'orfismo.\n\nL'orfismo si diffuse nel mondo romano dopo la proibizione dei baccanali; Ovidio e Virgilio parlano di Orfeo e delle dottrine orfiche (le divinità greche diventano quelle romane di Giove, Apollo, Bacco (Liber) e Proserpina) nelle Metamorfosi, nelle Georgiche e nell'Eneide.\n\nLe cosmogonie, le teogonie e le antropogonie orfiche.\nLa tradizione orfica, come quella mitologica greca, si dispone non secondo un modello unificato frutto di un sistema teologico, quanto piuttosto come un insieme di varianti. Così nella Storia della teologia, testo andato perduto opera di Eudemo da Rodi, allievo di Aristotele, sarebbero state raccolte le varie teogonie come quelle di Omero, Esiodo, Orfeo, Acusilao, Epimenide, Ferecide, ma anche quelle non greche come le babilonesi, persiane e fenicie, a dimostrazione della presenza delle diverse tradizioni teogoniche e cosmogoniche che attraversavano il mondo greco.\n\nUna cosmogonia e teogonia di tipo 'parodistico', ma di derivazione orfica la si riscontra in Aristofane (V-IV secolo a.C.) negli Uccelli (vv. 693-702). Tale brano è ritenuto il testo più antico attribuibile all'Orfismo, «esso riproduce sinteticamente la forma scritta più antica delle Teogonie orfiche, evocata anche da Platone, da Aristotele e trasmessa da Eudemo».\n\nNel 1962 viene rinvenuto un rotolo di papiro all'interno di una tomba macedone collocata a Derveni (nei pressi di Salonicco) datata al IV secolo a.C. Per quanto semicarbonizzato parte del contenuto del papiro è stato recuperato: conterrebbe un commento a una teogonia orfica e forse all'opera di Eraclito.\nIl testo di Derveni coincide per molti contenuti con un altro, presente nel trattato titolato Sul mondo (Peri kosmou) datato alla prima metà del I a.C. e attribuito allo [pseudo]-Aristotele. Un frammento, che richiama Eudemo da Rodi (IV secolo a.C.) riprende la Notte come origine di tutte le cose. Un'altra teogonia di stampo orfico è quella attribuita a Ieronimo e a Ellanico, di datazione incerta e che viene riportata nel modo più esauriente da Damascio nel VI secolo d.C. dove il Tempo (Chronos) (da non confondere con Kronos) genera l'uovo e da esso nasce un essere dall'aspetto sia femminile che maschile, con le ali d'oro, le teste del toro sui fianchi, un enorme serpente sul capo, questo essere conteneva in sé tutti i semi delle creature future, il nome di questo essere nato dall'Uovo era Phanes (Protogono), anche chiamato Zeus o Pan (Πάν). Un'ulteriore teogonia orfica emerge dai Discorsi sacri (hieroi logoi, in ventiquattro rapsodie detta anche Teogonia rapsodica), di cui diversi autori neoplatonici riportano alcuni passi attribuiti a Orfeo, ma probabilmente frutto di una rielaborazione di materiale arcaico avvenuta tra il I e il II secolo d.C..\n\nNel complesso queste teogonie presentano un inizio caratterizzato da una sfera perfetta nella Notte cosmica, quindi, successivamente, ancora una totalità rappresentata da Phanes (Luce, 'vengo alla Luce') androgino e con le ali dorate, completo in sé stesso, tuttavia dai lineamenti irregolari, e, infine, da questa unità ancora perfetta un insieme di accadimenti conducono a dei processi di differenziazione. Quindi emerge Zeus in cui tutto viene riassorbito e rigenerato nuovamente per una seconda processione, dalla quale emerge Dioniso il quale, tuttavia, per una macchinazione di Era, sposa di Zeus, verrà divorato dai Titani. Zeus irato scaglia contro costoro il fulmine: dalla fuliggine provocata dalla combustione dei Titani sorgono gli uomini composti dalla materia di questa, mischiata con la parte dionisiaca frutto del loro banchetto.\nNell'Orfismo, l'origine delle cose prende radice nella Notte e nell'Uovo primordiale che rappresenta l'unità, il microcosmo. La dischiusura dell'uovo degrada l'unità dell'essere ed impone che al suo smembramento in più elementi venga affiancata una ricerca di ricomposizione dell'unità. Questo ritorno allo stato originario di purezza, presente unicamente alla nascita, è rispecchiata dall'avvento del Dioniso orfico che riconquista lo stato di purezza perduto solamente alla sesta generazione.\n\nDioniso Zagreo.\nIn antropologia Dioniso rappresenta il mito della 'resurrezione del Dio ucciso'. La versione religiosa orfica della venuta al mondo di Dioniso ribattezza il dio col nome di Zagreo. Secondo Ovidio, Zagreo (Zαγρεύς) è il figlio che Ade, sotto forma di serpente, ebbe dalla moglie Persefone (o, secondo altre versioni, nato da Persefone e il padre Zeus) Tale nome appare per la prima volta nel poema dal VI secolo Alcmenoide, nel quale si dice: Potnia veneranda e Zagreo, tu che sei sopra tutti gli dei. Secondo Diodoro Siculo, i Cretesi consideravano Dioniso figlio di Ade, o Zeus, e Persefone e loro conterraneo. Di fatto gli epiteti di Dioniso a Creta erano Cretogeno, Ctonio, in quanto figlio della regina del mondo sotterraneo, e appunto Zagreo.\nSecondo questo mito, Zeus aveva deciso di fare di Zagreo il suo successore nel dominio del mondo, provocando così l'ira di sua moglie Era. Zeus aveva affidato Zagreo ai Cureti affinché lo allevassero. Allora Era si rivolse ai Titani, i quali attirarono il piccolo Zagreo offrendogli giochi, lo rapirono, lo fecero a pezzi e divorarono le sue carni. Le parti rimanenti del corpo di Zagreo furono raccolte da Apollo, che le seppellì sul monte Parnaso; Atena invece trovò il cuore ancora palpitante del piccolo e lo portò a Zeus.\nIn base alle diverse versioni:.\n\nZeus avrebbe mangiato il cuore di Zagreo, poi si sarebbe unito a Semele e questa avrebbe partorito Dioniso.\nZeus avrebbe fatto mangiare il cuore di Zagreo a Semele che avrebbe dato al dio divorato una seconda vita, generando appunto Dioniso.Zeus punì i Titani fulminandoli, e dal fumo uscito dai loro corpi in fiamme sarebbero nati gli uomini. Questa versione è narrata anche da Nonno di Panopoli nelle Dionisiache.\nNegli Inni orfici gli dei non emergono dal Caos o dalla Notte ma da Chronos come in altre teogonie orfiche; nell'elenco dei sovrani degli dei riportate negli Inni, Dioniso è il sesto, dopo Fanes, Notte, Urano, Kronos e Zeus); «l'ultimo re degli dei, investito da Zeus; il padre lo pone sul trono regale, gli dà lo scettro e lo fa re di tutti gli dei». Sempre negli Inni Orfici, che differiscono sia dalle Dionisiache che dalla teogonia esiodea dalle Metamorfosi di Ovidio, per l'ordine cronologico, Dioniso viene fatto a pezzi dai Titani e ricomposto da Apollo. E, parlando della nascita di Dioniso: «La prima è dalla madre [Persefone o Semele], un'altra è dalla coscia [di Zeus, dopo la fine di Semele], la terza avviene quando, dopo che è stato straziato dai Titani, e dopo che Rea ha rimesso insieme le sue membra, egli ritorna in vita». Nelle altre versioni, nasce da Persefone come Zagreo, viene ucciso dai Titani, rinasce da Semele e poi cresce nella coscia del padre per poter completare la gravidanza dopo che Semele, ingannata da Era, è stata fulminata e bruciata dallo splendore di Zeus. Dioniso viene perciò chiamato 'il fanciullo dalla doppia porta' o il nato due volte (digènes).\nUn'antica etimologia popolare, farebbe risalire invece da di-agreus (perfetto cacciatore), il nome Zagreo.\n\nLa 'salvezza' orfica e il bios orphikos.\nSecondo l'antropogonia orfica, l'umanità prende origine nei resti dai Titani fulminati da Zeus, colpevoli di aver sbranato il dio Dioniso.\nQuesto mito è al fondamento della dualità fra corpo e anima introdotta dall'Orfismo: Dioniso è l'anima (tendenzialmente legata al bene), mentre i Titani sono il corpo (tendenzialmente legato al male) che va purificato.\n\nIl valore dell'anima immortale rispetto al valore del corpo che la imprigiona fa conseguire un nuovo paradigma rispetto ai valori dell'esistenza umana. Ma la morte di per sé non porta la liberazione dell'anima immortale. Essa, per le dottrine orfiche, è destinata a rinascere periodicamente (dottrina della reincarnazione o metempsicosi).\nTale liberazione poteva essere conseguita, secondo gli orfici, seguendo una 'vita pura', la 'vita orfica' (bios orphikos Ὀρφικὸς βίος) dettata da una serie di regole non derogabili, la principale delle quali consiste nell'astinenza dalle uccisioni da cui consegue il rifiuto del culto sacrificale, implicando un'alimentazione a base di vegetali.\nConsiderando il rifiuto del sacrificio animale e la conseguente alimentazione vegetariana, l'unico atto di servizio divino per gli orfici, come per i pitagorici, resta l'offerta di incenso, preghiere e talvolta ascetismo; vi è anche il rifiuto di mangiare fave (anche qui come nel pitagorismo) e uova, e di bere vino, o meglio, di ubriacarsi.
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### Titolo: Oricalco.\n### Descrizione: In metallurgia, l'oricalco (dal greco antico: ὀρείχαλκος?, oréichalkos, 'rame della montagna') è un particolare tipo di ottone, molto utilizzato in numismatica. Si tratta di una lega col 90% di rame e il 10% di zinco.Il nome indicava inizialmente un metallo leggendario in Grecia, menzionato ad esempio dall'inno omerico ad Afrodite e poi ripreso da Platone nel racconto del mito di Atlantide; il termine in seguito è stato ripreso per altri usi.\n\nOrigine leggendaria.\nNel dialogo Crizia di Platone l'oricalco è un metallo rossastro, che veniva estratto ad Atlantide ma che era conosciuto soltanto per nome dopo la scomparsa dell'isola. Il minerale era presente in molte parti di Atlantide ed era considerato secondo per valore soltanto all'oro.Le due mura esterne del tempio di Poseidone e Clito erano placcate rispettivamente con ottone e stagno, mentre le mura della terza cinta, che comprendevano l'intera cittadella, «risplendevano con la rossa luce dell'oricalco».Lo scoliaste di Esiodo lo definisce un «metallo candido». Plinio il Vecchio afferma addirittura, che il bronzo e il rame di Cipro perdettero molto del loro valore, quando fu scoperto l'oricalco.Secondo la leggenda le varie armi, come spade, frecce e lance, non riuscivano neppure a scalfire gli scudi fatti di oricalco, che risultavano infrangibili per qualunque arma: era inoltre un materiale ignifugo.Con la trascrizione in latino del nome, il prefisso óros venne adattato ad āurum, 'oro', cosicché aurichalcum significava letteralmente 'rame d'oro' o 'rame dorato'.\n\nArcheologia.\nNel dicembre 2014 sono stati rinvenuti, sulla costa sud della Sicilia a Gela, diversi lingotti di oricalco in una nave di circa 2.600 anni fa. Il metallo è composto da una lega di 75-80% di rame, 15-20% di zinco, con piccole percentuali di nichel, piombo e ferro.\n\nUso contemporaneo del nome.\nCon il termine oricalco è stato denominato nel 2001 il primo tessuto a memoria di forma a trama ortogonale mai realizzato, basandosi su un filato in lega metallica di nichel e titanio. Il tessuto è stato studiato in vista dell'applicazione nel settore medico, in particolare per gli stent cardiovascolari. La prima realizzazione con questo tessuto è stata citata anche sul TIME del 2001, come una delle migliori invenzioni di quell'anno.\nNel 2010 due copie della camicia a memoria di forma, realizzate in tessuto Oricalco, sono entrate a far parte della collezione permanente del Museo della Scienza e dell'Industria di Chicago nell'area 'Science, Storms, Atoms'.\n\nNumismatica.\nIn numismatica l'oricalco è una lega di rame e zinco, simile all'ottone (anch'esso lega di rame e zinco, ma con percentuali molto superiori di zinco e altri elementi chimici), di color oro e usata per coniare il sesterzio e il dupondio.\nEra considerato di valore superiore al rame, di cui era invece fatta la moneta da un asse.\n\nMusicologia.\nL'oricalco è stato usato nel Medioevo per la fabbricazione di strumenti musicali, come, ad esempio, trombe, chiarine ed altri simili; per tale motivo è stato dato il nome di 'Oricalchi' agli strumenti metallici a bocchino, che può essere considerato un sinonimo di ottoni.\n\nRiferimenti culturali.\nMusica.\nArrigo Boito cita l'oricalco nell'opera Otello di Giuseppe Verdi (1887):.\nFranco Battiato cita l'oricalco nella sua canzone 'Atlantide' (album Caffè de la Paix, 1993):.\n\nLetteratura.\nNel sonetto Orvieto,I di Gabriele D'Annunzio: «Gli angeli formidabili di Luca/ domani soffieran nell'oricalco/ l'ardente spiro del torace aperto.».\nNel sonetto Lassar vo' lo trovare de Becchina, Cecco Angiolieri, parlando del mariscalco, scrive: «ch'e' par fiorin d'or, ed è di ricalco», per indicare l'apparenza sontuosa e pregevole e la sostanza di ben poco valore del personaggio in questione.\nIl rimbombo de' bellici Oricalchi (A. Manzoni: I promessi sposi - Introduzione).\nIn Occidente, di Mario Farneti, le ambite insegne imperiali dell'Impero Romano d'Occidente sono forgiate nell'oricalco. Nel libro tale metallo è descritto come avente proprietà straordinarie e soprannaturali e ne è spesso sottolineata la curiosa luminescenza verdastra.\nNel romanzo L'Atlantide di Pierre Benoît la regina Antinea ricopre di oricalco i corpi dei suoi amanti morti.\n\nFilm.\nNel film Gamera - Daikaijū kuchu kessen, il mostro omonimo viene raffigurato con la capacità di formare un legame psichico con gli esseri umani, attraverso un talismano di oricalco. Lo stesso vale per il mostro Iris nel sequel Gamera 3 - Iris kakusei.\nNel film Aquaman e il regno perduto, è un materiale pericoloso un tempo usato come fonte di energia e combustiible.\n\nRiferimenti nella cultura di massa.\nOricalco è anche il titolo di una canzone di Slego del 2022.\n\nFumetti e cartoni animati.\nNella sesta stagione dell'anime Yu-Gi-Oh!, l'Orichalcos è una pietra verde capace di svelare la cattiveria degli esseri umani, che diecimila anni prima dell'inizio della storia fu la causa della distruzione del regno di Atlantide. Il suo potere verrà in seguito infuso dall'antagonista Dartz ne 'Il Sigillo di Orichalcos' (una carta raffigurante un esagramma unicursale verde inscritto in un cerchio runico), capace di concedere molteplici poteri al suo utilizzatore e di privare il duellante sconfitto dell'anima come tributo alla bestia leggendaria, Leviathan;.\nNel manga e anime I Cavalieri dello zodiaco, l'oricalco è il materiale con cui sono state forgiate le armature dei Generali degli abissi e dei Cavalieri di Athena;.\nNell'anime Nadia - Il mistero della pietra azzurra, la giovane protagonista Nadia porta sempre al collo un gioiello azzurro di forma romboidale fatto di oricalco, chiamato anche Trismegistos, pietra filosofale o pietra azzurra (Blue Water nella versione originale);.\nIn Black Cat, l'oricalco è traslitterato in orihalcon e indica il materiale di cui sono composte le armi indistruttibili dei Kronos;.\nIn StarDriver, i Cybody (enormi robot che i protagonisti possono comandare in uno luogo chiamato 'Spazio Zero') sono fatti di oricalco, che pare avere qualità quasi autorigeneranti;.\nIn Slayers (o Un incantesimo dischiuso fra i petali del tempo per Rina), i protagonisti all'inizio trovavano una statuetta del suddetto metallo;.\nIn Toriton, il protagonista possiede un pugnale magico fatto di orihalcon;.\nIn Spriggan, il materiale viene 'ribattezzato' (anche causa traslitterazione dal giapponese) omihalcon ed anche li è un metallo resistentissimo che viene dai tempi di Atlantide. Viene utilizzato per fare armi, armature e altri oggetti resistentissimi;.\nNella storia Topolino e le miniere di fantametallo di Casty l'oricalco è al centro della vicenda;.\nNella storia in quattro parti (luglio – ottobre 2011) di Mauro Boselli sulla serie Zagor, nel numero intitolato Il dio della polvere, lo scrigno che trattiene il dio al suo interno ha la serratura forgiata in oricalco;.\nNella storia di Tex 'Il ritorno del Morisco', l'ankh trovato da El Morisco nella tomba del grande sacerdote è fatto di oricalco;.\nNel film Metal Fight Beyblade VS Taiyō Shakunetsu no Shinryakusha, Ryo Hagane nomina l'oricalco riferendosi al materiale di cui è fatto il beyblade Sol Blaze.\n\nGiochi di ruolo.\nL'oricalco è citato anche in Exalted in cui questo materiale è usato dai Solari, personaggi semidivini con poteri soprannaturali, per creare armi o artefatti; l'arma più potente costruita con l'oricalco è il Daiklave, tipica arma dei solari.\n\nVideogiochi.\nIn vari videogiochi, specialmente nei giochi di ruolo, l'oricalco può essere lavorato in monili; esempi di giochi che impiegano questo dispositivo includono:.\n\nStar Ocean: The Second Story per PlayStation;.\nHarvest Moon: Friends of Mineral Town per Game Boy Advance.Inoltre:.\n\nIn Assassin's Creed: Odyssey, l'oricalco è una pietra color turchese piuttosto rara, rinvenibile in specifiche località od ottenibile in apposite missioni a tempo. Inoltre è l'unica pietra valuta accettata nella Casa olimpica;.\nIn Age of Mythology, l'oricalco viene usato nel potenziamento delle mura difensive della civiltà atlantidea;.\nIn Indiana Jones e il destino di Atlantide, i nazisti sperano di usare l'oricalco per generare un'arma potente quanto la bomba atomica, ma senza la radiazione. Ciò è suggerito in una scena iniziale, dove un singolo pezzetto di oricalco dà ad una piccola macchina abbastanza potenza da scavare una galleria attraverso una spessa parete in pochi secondi;.\nIn Sacrifice, il monte Oricalco (Mt. Orichalchis) è il più alto sotto l'egemonia del dio Stratos;.\nNel videogioco per PlayStation 2 Kingdom Hearts II, l'oricalco è uno dei materiali più rari per la creazione di armi e amuleti. Con l'oricalco è possibile forgiare la spada più potente di Sora, la Ultima Weapon (lo stesso nome delle armi di Tidus in Final Fantasy X e di Gidan di Final Fantasy IX, che sono sempre della Squaresoft);.\nNel videogioco Soulcalibur II per PlayStation 2, Nintendo Gamecube e Xbox, la spada Orichalcum (Oricalco) è l'arma finale della guerriera greca Sophitia Alexandra. Nella descrizione dell'arma che ne fa il gioco, si accenna alle sue origini Atlantidee;.\nNell'espansione di Signore dell'Olimpo - Zeus, ovvero Signore di Atlantide - Poseidon, fra i nuovi minerali c'è anche l'oricalco, adoperabile per decorare le piramidi che per costruire lanciafiamme;.\nIn Titan Quest, l'oricalco fa la sua comparsa, dopo aver finito la prima volta il gioco con difficoltà normale e ricominciando con difficoltà epica. Si inizieranno a trovare armi e armature costituite da tale metallo con un potere di offesa o difesa maggiore rispetto a quelle normali;.\nNel RPG Dragon Quest, esiste un oggetto chiamato orichalcum, descritto come un metallo resistentissimo (ma di colore azzurro, non rosso), utile come ingrediente alchemico;.\nNel videogioco The Elder Scrolls V: Skyrim, l'oricalco è un minerale esistente raccolto e lavorato dagli Orchi e dal giocatore per produrre armi, armature, lingotti. Tuttavia qui è rappresentato con un colore verde scuro tendente al nero;.\nIn Pandora's Tower, l'oricalco è probabilmente il materiale da cui è stata forgiata la misteriosa catena di Aeron, il cui nome originale è appunto 'Orichalcum Chain';.\nIn Guild Wars 2, l'oricalco è il metallo usato per migliorare le armi;.\nNel videogioco per Wii Sonic e il Cavaliere Nero, l'oricalco è ottenibile come oggetto da collezione dopo ripetuti match perfetti (quindi minor tempo, assenza di danni e colpi perfetti) contro il boss finale, ovvero la Regina Oscura. Dopo averlo ottenuto, è visualizzabile nel Tesoro;.\nNel videogioco Terraria, l'oricalco è un minerale color magenta presente solo in modalità difficile.\nNel videogioco per mobile Frostborn, l'oricalco è un minerale difficile da reperire con cui si possono creare vari oggetti.
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### Titolo: Origine della Via Lattea (Rubens).\n### Descrizione: L'origine della Via Lattea è un dipinto a olio su tela (181x244 cm) realizzato tra il 1635 ed il 1638 dal pittore Pieter Paul Rubens.\nÈ conservato nel Museo del Prado.\nIl Filippo IV, re di Spagna, commissionò al pittore la decorazione del nuovo padiglione del palazzo, la Torre de la Parada, con una serie di quadri. I soggetti erano tratti per lo più dalle Metamorfosi di Ovidio e dai miti classici: Apollo e Marsia, Cefalo e Procri, Orfeo ed Euridice.\nRubens iniziò solo i bozzetti, e ne dipinse soltanto una quindicina lasciando ai discepoli l'ultimazione degli altri.\nIl dipinto raffigura la scena mitologica della creazione della Via Lattea.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Origine della Via Lattea.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN, ES) Museo del Prado – Sito ufficiale.
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### Titolo: Origine della Via Lattea (Tintoretto).\n### Descrizione: L'origine della Via Lattea è un dipinto a olio su tela (148x165 cm) realizzato tra il 1575 ed il 1580 dal pittore italiano Tintoretto. È conservato nella National Gallery di Londra.\n\nStoria e descrizione.\nIl dipinto, commissionato dall'imperatore Rodolfo II, ritrae la nascita della Via Lattea secondo la mitologia greca.\nIl mito narra che Zeus, approfittando del sonno della moglie Era, attaccò al seno il figlio Eracle, avuto con la mortale Alcmena, perché solo succhiando dal petto della madre degli dei, il semidio avrebbe potuto ottenere l'immortalità.\nIl piccolo agguantò un seno della dea con troppa forza e la svegliò, facendo schizzare parte del latte verso il cielo, creando così la Via Lattea, mentre le gocce cadute a terra diedero origine a gigli. Il dipinto è infatti incompleto, dato che la parte inferiore della tela fu asportata in data imprecisata.\nOltre ai protagonisti si nota la presenza di alcuni amorini e dei due simboli animali dei coniugi divini, l'aquila con il fulmine, simbolo di Zeus, e due pavoni, l'uccello sacro ad Era.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Origine della Via Lattea.\n\nCollegamenti esterni.\nImmagine ad alta risoluzione su Google art, su googleartproject.com.\nNational Gallery, su nationalgallery.org.uk.\nVia Lattea, su iconos.it. URL consultato il 31 ottobre 2019.
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### Titolo: Ornizione.\n### Descrizione: Ornizione (in greco antico: Ὀρνυτίων?, Ornütíōn) o Ornito (in greco antico: (Ὄρνυτος?, Órnütos) è un personaggio della mitologia greca. Fu re di Corinto.\n\nGenealogia.\nFiglio di Sisifo e di Merope, divenne padre di Foco e di Toante.\nNon sono noti nomi di mogli o concubine.\n\nMitologia.\nIl suo nome significa 'uccello della luna' o 'uccellino'. La derivazione del nome dai volatili si deve al fatto che nella vecchia Daulide (in seguito chiamata Focide) esisteva un credo diffuso riguardante gli uccelli.\nPartendo dall'Aonia, si alleò con la città di Iampoli nella battaglia contro gli abitanti di Locride Opunzia per il regno di Daphnus.\nOrnizione vinse e consegnò il nuovo regno al figlio Foco, prima di fare ritorno a Corinto con Toante che in seguito fu il suo successore.\nFu il capostipite dei successivi re di Corinto attraverso il figlio Toante, e dei re di Focide attraverso Foco. Il suo orgoglio era una mandria di bestiame che pascolava sull'istmo di Corinto.
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### Titolo: Orpheus (Liszt).\n### Descrizione: Franz Liszt compose il poema sinfonico Orpheus nel 1853-54, ed esso porta il n. 4 del ciclo di dodici poemi sinfonici composti nel cosiddetto periodo di Weimar. La sua prima esecuzione avvenne il 16 febbraio 1854, sotto la direzione dello stesso compositore, come anteprima alla prima esecuzione a Weimar dell'opera Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck. La rappresentazione avvenne per festeggiare il compleanno della granduchessa Marija Pavlovna di Russia, che era una musicista dilettante e strenua sostenitrice di Liszt a Weimar.\n\nDescrizione.\nOrpheus è uno dei quattro poemi sinfonici di Liszt composti su uomini del passato dal genio creativo, eroici o leggendari. (Gli altri tre poemi sono Tasso. Lamento e trionfo, Prometheus e Mazeppa). Nella prefazione Liszt descrive un vaso etrusco riproducente Orpheus, ed esalta l'azione di civilizzazione sull'umanità. Questo riferimento per l'effetto nobilitante di Orfeo e della sua arte può essere derivato dall'Orfeo descritto dal filosofo di Lione Pierre-Simon Ballanche in Orphée nel 1829. Con l'introduzione di leggi civilizzatrici, l'Orfeo di questo lavoro in nove volumi conduce l'umanità nell'era moderna; questo è stato inteso da Ballanche come l'enunciazione di una nuova filosofia per tutta l'Europa. Liszt era un conoscente e sostenitore di Ballanche, e l'entusiasmo di Liszt fu condiviso dai membri dei salotti francesi durante gli anni 1830, in particolare da George Sand.\n\nStrumentazione.\nParticolarmente degna di nota è la strumentazione dell'Orpheus, che comprende due arpe; esse stanno a rappresentare la lira di Orfeo in un'apertura di 14 battute che concentra immediatamente l'attenzione dell'ascoltatore su questo strumento. Arpista Jeanne Pohl, uno degli strumentisti virtuosi portati a Weimar da Liszt per incrementare l'orchestra di corte, ispirò al compositore alcuni effetti particolarmente difficili.\n\nOrganico.\nOttavino, due flauti, due oboi, corno inglese, due clarinetti, due fagotti, quattro corni, due trombe, tre tromboni, basso tuba, timpani, due arpe, archi.\n\nStruttura.\nOrpheus non è un pezzo molto lungo e prende la struttura di un crescendo seguito da un calmo finale che torna poi sulla struttura iniziale della composizione. Diversamente da altri poemi sinfonici di Liszt, la musica rimane molto contemplativa. Per questa ragione, esso divenne il pezzo favorito del genero di Liszt, il compositore Richard Wagner.Formalmente, Orpheus è una forma sonata modificata con una chiave secondaria che contiene due temi. Il secondo tema meno energico del primo, rimane uno statico leitmotiv oscillante fra maggiore e minore. Tuttavia, esso contiene una qualità particolarmente toccante. Questo tema è presentato da vari strumenti solisti con l'accompagnamento dell'arpa. L'orchestrazione, insieme allo stile, propone una interpretazione di questo tema come la voce di Orfeo.L'etereo cromatismo ascendente nelle battute finali attenua l'eventuale chiusura attesa da un'armonia più convenzionale. Combinato con il tema di chiusura del secondo gruppo, questo fa concludere il lavoro come una visione enigmatica che ricorda gli ultimi momenti della storia di Ballanche. Lì, il narratore della storia, Tamiri, testimonia la scomparsa di Orfeo tra le nuvole, lasciando agli uomini il compito di sviluppare i suoi insegnamenti di civiltà.
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### Titolo: Orpheus (balletto).\n### Descrizione: Orpheus è un balletto neoclassico in tre quadri su musica di Igor' Fëdorovič Stravinskij e coreografia di George Balanchine del 1947. Per il compositore questo lavoro fu una riconquista ideale dell'antichità classica in cui trovò una rinnovata ispirazione.\n\nStoria.\nStravinskij scrisse Orpheus su richiesta del Ballet Society, associazione fondata da Balanchine e Lincoln Kirstein; l'opera fu iniziata a Hollywood nell'ottobre del 1946 e terminata il 26 settembre 1947. La coreografia, realizzata da Balanchine in pieno accordo con il compositore, si attenne a elementi molto semplici, attenta soprattutto alla partitura e al soggetto drammatico del lavoro.\nLa prima rappresentazione del balletto avvenne a New York il 28 aprile 1948 al New York City Center of Music and Drama con scene e costumi di Isamu Noguchi, le luci di Jean Rosenthal. Interpreti principali furono Nicholas Magallanes nella parte di Orfeo, Maria Tallchief in quella di Euridice, Francisco Moncion rappresentò l'Angelo nero e Herbert Bliss, Apollo. La direzione orchestrale fu dello stesso Stravinskij.\n\nTrama.\nOrfeo, davanti alla tomba di Euridice, implora gli dei per ritrovare l'amata. Gli appare un Angelo Nero che lo conduce attraverso lo Stige imponendogli però una maschera d'oro che non dovrà mai togliere. Nell'Ade le Furie gli sbarrano la strada; l'Angelo incita Orfeo a suonare la lira ed alla sua musica celestiale le Furie si quietano; Plutone conduce quindi Euridice ad Orfeo. I due si incamminano tenendosi per mano tra mille difficoltà, ma Euridice cade; non avendo più contatto con lei Orfeo toglie la maschera per poter vedere e l'amata cade a terra senza vita. Orfeo disperato perde la lira e viene attaccato dalle Baccanti che lo fanno a pezzi. Apollo ritrova le spoglie di Orfeo, alza verso l'alto la maschera d'oro e dalla tomba del cantore la sua lira risale verso il cielo.\n\nStruttura del balletto.\nQuadro primo1. Lento sostenuto. Orfeo piange Euridice; è immobile, con la schiena rivolta al pubblico. Gli amici portano dei doni e lo confortano.\n2. Andante con moto. Air de danse.\n3. Lo stesso tempo. Danza dell'Angelo Nero. L'Angelo conduce Orfeo dell'Ade.\n4. Lo stesso tempo. Interludio. L'Angelo e Orfeo riappaiono nell'oscurità del Tartaro.\n\nQuadro secondo5. Agitato in piano. Sempre alla breve ma meno mosso. Pas des Furies. Movimenti e minacce delle Furie.\n6. Grave. Un poco meno mosso. Air de danse (Orfeo).\n7. Lo stesso tempo. Interludio. Le anime incatenate nel Tartaro tendono le braccia verso Orfeo e lo implorano di cantare ancora.\n8. Lo stesso tempo. Air de danse (Orfeo, conclusione).\n9. Andatino leggiadro. Pas d'action. Le anime si placano al canto di Orfeo. Le Furie lo bendano e gli conducono Euridice. Il sipario si abbassa.\n10. Andante sostenuto. Pas de deux. Davanti al sipario abbassato Orfeo si toglie la maschera. Euridice cade morta.\n11. Moderato assai. Interludio.\n12. Vivace. Pas d'action. Le baccanti assaltano Orfeo, lo afferrano e lo fanno a pezzi.\n\nQuadro terzo13. Lento sostenuto. Apoteosi di Orfeo. Apparizione di Apollo che prende la lira di Orfeo, quindi innalza la maschera e il suo canto al cielo.\n\nOrchestrazione.\nIl compositore inizialmente avrebbe voluto un'orchestra sinfonica di sessanta elementi, ma poiché a New York soltanto il Metropolitan Opera House avrebbe potuto ospitare una rappresentazione con un tale organico e i costi erano molto elevati, Kirstein chese a Stravinskij di realizzare qualcosa di simile all'Apollon musagète con un organico ridotto. Il musicista optò così solo per 43 musicisti. Sebbene l'organico sia quindi simile a quello di una normale orchestra, la partitura è scritta secondo gli schemi di una musica da camera.\nOltre agli archi, sono presenti l'arpa e i timpani; i legni comprendono tre flauti, due clarinetti, due oboi, due fagotti;.\ngli ottoni quattro corni, due trombe, due tromboni. L'arpa ha un ruolo simbolico in quest'opera poiché viene utilizzata per dare sonorità alla lira di Orfeo.\n\nAnalisi.\nIl carattere classicheggiante del soggetto portò Stravinskij ad avvalersi di modalità che vanno dal modo dorico all'eolio; la polifonia sfugge in tal modo alle strette regole della tonalità.Nei primi due quadri la musica è calma, quasi tenera ma distaccata; anche nel Passo delle Furie la minaccia è sottolineata da una musica inquieta, ma senza accenni di violenza, il tempo infatti è indicato Agitato in piano. Solo nel Passo d'azione delle Baccanti l'accentuazione ritmica e le caratteristiche aspre sonorità di Stravinskij prendono il sopravvento e ci riportano in parte al clima de La sagra della primavera e della sua Danse sacrale; solo in questo momento la dinamica della partitura arriva a un fortissimo che si quieta comunque subito dopo la morte di Orfeo. Nel terzo quadro infatti si ritorna al tema iniziale e la musica ritrova la calma e una delicatezza apollinea.Gli estremi opposti della natura dell'uomo, il 'dionisiaco', rappresentato da Le sacre du printemps, e l''apollineo' che ha riscontro in Apollon musagète, sono presenti e contrastanti tutti e due nell'Orpheus, impersonati nelle figure delle Baccanti e in quella di Apollo.\n\nAltre versioni coreografiche.\nPer la prima europea Stravinskij affidò la coreografia a Aurel Milloss che debuttò con il balletto al Festival di musica contemporanea della Biennale di Venezia al Teatro La Fenice nel 1948, grazie all'interessamento di Ferdinando Ballo, allora direttore artistico della Biennale.\nErich Walter realizzò una nuova versione con il Balletto di Wuppertal nel 1954John Cranko nel giugno 1970 creò una nuova coreografia con il Balletto di Stoccarda.
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### Titolo: Orpheus - La finestra di Orfeo.\n### Descrizione: Orpheus - La finestra di Orfeo (オルフェウスの窓?, Orufeusu no mado) è un manga di Riyoko Ikeda serializzato tra il 1975 e il 1981 sulla rivista Margaret di Shūeisha e in seguito raccolto in 18 volumi tankōbon.\nGrazie alla realizzazione de La finestra di Orfeo, il più lungo dell'autrice, ambientato in Germania, Austria e Russia, che Tezuka definì come la sua 'opera della vita', l'autrice vinse il 9º Premio d'Eccellenza da parte dell'Associazione dei fumetti giapponesi nel 1980.\n\nTrama.\nLa storia narra le vicende legate alle vite di alcuni studenti di conservatorio nella città di Ratisbona, in Germania, negli ultimi anni dell'Ottocento e nei primi del Novecento. Nel corso dell'opera, da uno scenario caratterizzato dall'ambiente borghese della Germania post-Bismarck, si passa al palcoscenico delle due rivoluzioni russe, alla prima guerra mondiale e alla fine del casato dei Romanov.\nLa protagonista di questa storia è Julius: una ragazza che è costretta dalla madre a fingersi maschio sin dalla nascita, per poter così ereditare l'intero cospicuo patrimonio del padre ormai prossimo alla morte, a discapito delle due sorellastre, figlie di primo letto.\nJulius è iscritta a un conservatorio maschile dove da generazioni si tramanda una leggenda: chiunque si affacci alla cosiddetta 'finestra di Orfeo' sarà vincolato in un amore con la prima fanciulla che vedrà al di sotto. Un amore che però finirà in tragedia, come il mito di Orfeo ed Euridice.\nLa prima parte della storia, ambientata in Germania, è incentrata sul rapporto fra tre ragazzi protagonisti e sulla questione dell'eredità del padre di Julius. Vi sono poi come contorno altre storie d'amore minori che s'intrecciano con le principali, oltre a rivalità e ipocrisie.\nLa storia si sposta poi dalla Germania in Austria seguendo le vicende di Isaak, uno studente povero che studiò alla stessa scuola di Julius grazie a una borsa di studio a favore del suo talento. Klaus è il terzo protagonista, compagno di scuola di Julius e Isaak. Nella terza parte del manga, quasi interamente ambientata in Russia: le vicende personali dei protagonisti, Julius e Klaus, a questo punto s'intersecano con quelle dei bolscevichi e della rivoluzione russa.\nMolti sono i personaggi realmente esistiti che vengono appaiono in queste pagine: la famiglia imperiale dei Romanov, il monaco Rasputin, il capo dei rivoluzionari Lenin, o il musicista Wilhelm Backhaus.\n\nPersonaggi.\nJulius Leonherd von Ahlensmeyer (ユリウス・レオンハルト・フォン・アーレンスマイヤ?, Yuriusu Reonharuto fon Ārensumaiya) è la protagonista della serie.Isaak Gotthilf Weisheit (イザーク・ゴットヒルフ・ヴァイスハイト?, Izāku Gottohirufu Vaisuhaito) è il co-protagonista della serie.Alekseij Mihailov (アレクセイ・ミハイロフ?, Arekusei Mihairofu), conosciuto anche come Klaus Friedrich Sommerschmitt) (クラウス・フリードリヒ・ゾンマーシュミット?, Kurausu Furīdorihi Zonmāshumitto).\n\nStorie fuori serie.\nDi questo manga negli anni successivi la Ikeda, così come accadde anche per Le rose di Versailles, creò delle storie fuori serie, che si inserivano a posteriori negli interstizi della continuità principale. In Orpheus no mado gaiden (オルフェウスの窓外伝?), l'autrice cerca di svelare alcuni punti che nella serie principale non avevano avuto una conclusione compiuta. In questi episodi la Ikeda si è limitata a rivestire il ruolo di sceneggiare affidando i disegni a Erika Miyamoto, una sua ex assistente.\n\nVolumi.\nEdizione giapponese.\nIn Giappone la prima pubblicazione è avvenuta nel corso di cinque anni sulla rivista settimanale Shukan Margaret, edita dalla Shūeisha, per poi essere ospitata dalla rivista Seventeen, rivolta a un pubblico più maturo. Successivamente l'opera è stata raccolta in diciotto tankōbon di duecento pagine l'uno, i quali da allora hanno conosciuto numerose ristampe.\n\nEdizioni italiane.\nIn Italia è stato pubblicato da Panini Comics sotto l'etichetta Planet Manga dall'8 aprile 2004 al 5 maggio 2005 a cadenza mensile, per un totale di 14 volumi da 256 pagine l'uno. Questa versione si basa sulla ristampa giapponese in 4 volumi. La lettura proposta è all'occidentale, con le tavole ribaltate simmetricamente rispetto all'originale nipponico.\n\nUna nuova edizione viene annunciata da J-Pop nel 2020 ed è composta da nove volumi (ciascuno dei quali comprendente due tankōbon originali) pubblicati dal 24 marzo 2021 al 6 luglio 2022.\n\nTematiche.\nOscar e Julius sono donne cui la famiglia hanno imposto di vestire i panni di uomini, ma mentre l'identità femminile di Oscar è però conosciuta, Julius vivrà drammaticamente il suo segreto di essere una ragazza. Inoltre, Oscar accetta di essere stata cresciuta come un maschio mentre la più costretta Julius si dedica completamente al suo lato femminile che si manifesta nel suo esasperato amore per Klaus.\nNella parte iniziale è notevole il ritratto dettagliatissimo dell'alta società della Baviera post-bismarckiana, caratterizzata da una borghesia imprenditoriale; l'amore per la musica, di cui la Ikeda è capace di dare descrizioni davvero toccanti; la derelizione e la dignità delle classi più povere, ai margini dello splendore luccicante della ricchezza e dell'arte.\nAi tempi dell'università, l'autrice aveva studiato Marx e Lenin, ed era nel ramo giovanile del Partito Comunista Giapponese.
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### Titolo: Ortro.\n### Descrizione: Ortro (in greco antico: Ὄρθρος?, Òrthros) (oppure Otro od Orto) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Tifone ed Echidna, fratello di Cerbero, della Chimera e dell'Idra di Lerna.\nSecondo Esiodo è anche il padre della Sfinge e del Leone di Nemea, creature che probabilmente generò accoppiandosi con sua madre Echidna.\n\nAspetto.\nGli si attribuiscono talvolta diverse teste, altre volte un corpo di serpente, ma la descrizione che si usa più spesso è quella di un grosso cane bicefalo con un serpente come coda.\n\nMitologia.\nOrtro (figlio di Echidna e di conseguenza fratello della Chimera, dell’Idra e di Cerbero e di tutti gli altri mostri generati da Echidna) era il cane del pastore Euritione, posto a guardia della mandria di Gerione, Fu ucciso da Eracle nella sua decima fatica.\nSecondo Apollodoro Eracle uccise Ortro con la sua clava, ma in molti dipinti che raffigurano l'episodio il cane viene trafitto da una o più frecce.
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### Titolo: Oscar Wilde Memorial Sculpture.\n### Descrizione: L'Oscar Wilde Memorial Sculpture è una collezione di tre statue in Merrion Square a Dublino, in Irlanda, che commemora il poeta e drammaturgo irlandese Oscar Wilde. Le sculture sono state progettate e realizzate da Danny Osborne e sono state presentate nel 1997.\n\nStoria.\nLo scultore inglese Danny Osborne venne incaricato dal Guinness Ireland Group di creare una statua commemorativa di Oscar Wilde, che è stata inaugurata nel 1997 dal nipote di Wilde, Merlin Holland. Il budget iniziale era di £ 20.000 ma è stato successivamente aumentato a £ 45.000. Poiché il solo marmo era ritenuto inadeguato, la statua è stata creata con diverse pietre provenienti da tre continenti. Il torso è di giada nefrite verde proveniente dalla British Columbia, Canada, mentre il thulite rosa proveniva dalla Norvegia. Le gambe sono in granito norvegese di colore perla blu con le scarpe nere fatte di charnockite dell'India e rifinite con punte in bronzo. La statua indossa anche una cravatta in porcellana smaltata arrivata dal Trinity College e tre anelli: l'anello nuziale di Wilde e due con degli scarabei, uno per rappresentare la fortuna, l'altro la sfortuna.\nLa statua è montata con Wilde sdraiato su un grande masso di quarzo ottenuto dallo stesso Osborne dalle Montagne di Wicklow. La scultura comprende anche due pilastri con statue che fiancheggiano il masso. Una delle due che rappresenta la moglie incinta di Wilde e nuda, Constance Lloyd mentre l'altra è un torso maschile che rappresenta Dioniso, il Dio greco del dramma e del vino. Entrambe le sculture sono in bronzo e granito, ed entrambi i pilastri hanno delle iscrizioni basate su delle poesie di Wilde scolpite su di esse.Tre persone, che vivevano in quel momento vicino allo studio dell'artista, hanno posato come modelli per le tre sculture.\nQuando la statua fu inaugurata, nel 1997, fu la prima statua a commemorare Wilde, morto 97 anni prima. Ha ricevuto quasi unanime apprezzamento per i materiali usati e per la sua posizione vicino alla sua casa d'infanzia all'1° di Merrion Square. Nel 2010 la testa di porcellana di Wilde ha dovuto essere sostituita perché su di essa si erano sono formate diverse crepe. La testa di porcellana fu sostituita da una nuova in giadeite bianca.\n\nImpatto e significato.\nIn un articolo del maggio 2001 nell'edizione irlandese del Sunday Times, Mark Keenan ha commentato la sorprendentemente lunga attesa per una commemorazione di Wilde nella sua città natale e ha suggerito una spiegazione per il ritardo, '... un decennio fa gli elementi più conservatori tra il pubblico di Dublino non avrebbero potuto permettere alla città di commemorare il suo nome.'.\nParlando del lavoro nel suo articolo del 2012 'Scolpire l'irlandese: una discussione sulle statue commemorative di Dublino di Oscar Wilde e Phil Lynott' per il Sculpture Journal, Sarah Smith scrive:Un'altra distinzione è l'espressione facciale della figura, che, interrompendo il realismo della figura, potrebbe essere descritta come un ghigno piuttosto contorto. Destinato dall'artista a rappresentare due lati antitetici di Wilde, una metà della sua faccia sta sorridendo ampiamente ... mentre l'altra reca un'espressione cupa ... e questa divisione è risuonata nella sua postura su entrambi i lati. A causa del suo posizionamento all'angolo del parco alla svolta del percorso esterno, il visitatore del monumento vede un lato di Wilde quando si avvicina e un altro quando si allontana. Uno è lo Wilde spiritoso che è più spesso ricordato nella cultura popolare, l'altro 'l'uomo distrutto' dopo la sua incarcerazione di due anni per aver commesso la propria omosessualità.Smith sostiene che 'non possiamo fare a meno di leggere questo lavoro secondo le convenzioni odierne sull'abito e sul gesto', dicendo:La scelta della posa per Wilde, che richiama immagini familiari e storiche conosciute della 'mascolinità femminizzata', l'uso del colore per questo 'personaggio colorato' e il suo sguardo diretto sul torso nudo maschile si fondono con la nostra conoscenza della sua omosessualità. Di conseguenza vediamo un'enfasi eccessiva sulla sua sessualità in questo lavoro, aumentata dai soprannomi che gli vengono dati dai dublinesi.La statua di Wilde, in armonia con altre statue di Dublino, è stata soprannominata dai dublinesi 'The Queer with the Leer', 'The Fag on the Crag' e 'The Quare in the Square'.
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### Titolo: Ossilo (figlio di Ares).\n### Descrizione: Ossilo (in greco antico: Ὄξυλος?, Oxilos) è un personaggio della mitologia greca.\nDi Ossilo parla Apollodoro, che lo definisce figlio di Ares, dio della guerra, e di Protogenia (figlia di Calidone). Nient'altro viene detto su questo personaggio, che potrebbe però essere identificato con un altro Ossilo, di cui narrano Pausania e lo stesso Apollodoro.
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### Titolo: Ossilo (figlio di Oreio).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ossilo (greco antico: Ὄξυλος Òxylos) era una divinità rustica delle foreste e delle montagne.\nÈ indicato come figlio di Oreio, che in greco significa 'montagna'. Sposò la propria sorella Amadriade, e dalla loro unione nacquero otto figlie, ognuna delle quali aveva il nome che ricordava un dato albero, le Amadriadi.\nAntonino Liberale ambienta la storia sul Monte Eta, nella Grecia centrale, e aggiunge il figlio Andremone, che secondo il mito sposò Driope, la figlia del re dei Driopi, e divenne re di tale popolo. Andremone adottò inoltre Anfisso, figlio di Driope e del dio Apollo.
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### Titolo: Otreo.\n### Descrizione: Otreo (in greco antico: ?) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Dascilo e di Antemisia.\n\nMitologia.\nFu un personaggio secondario all'interno della vicenda degli Argonauti e fu ucciso da un brigante locale, Amico, figlio del dio Poseidone. Deciso a vendicarlo, il fratello aizzò contro Amico gli Argonauti, i quali erano giunti al suo cospetto durante il loro viaggio alla ricerca del Vello d'oro. Grazie alla forza di Polluce, uno dei viaggiatori, Amico venne sconfitto e la morte di Otreo vendicata.
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### Titolo: Otri.\n### Descrizione: Il Monte Otri (in greco Όθρυς?, Óthrys) è una montagna della Grecia centrale, alta 1726 m.s.l.m.. Si trova tra le unità periferiche della Ftiotide e della Magnesia.\n\nMitologia.\nIl Monte Otri era, nella mitologia greca, la base dei Titani nella Titanomachia, la guerra dei Titani contro gli dei del Monte Olimpo.\nSi dice che nel Monte Otri si trovasse il trono di Crono, Signore del Tempo e dei Titani, sorvegliato da Crio, Titano Signore del Sud.\n\nInfluenza culturale.\nIl Monte Otri è presente nella saga Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo. Percy Jackson combatte nell'Otri contro il Titano Atlante nel libro Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo: la maledizione del Titano.
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### Titolo: Pafo (mitologia).\n### Descrizione: Pafo, nella mitologia greca, è la figlia di Pigmalione, re di Cipro, e di Galatea, una statua della dea Afrodite. Galatea fu resa viva da Afrodite per esaudire la preghiera di Pigmalione che si era innamorato della statua che aveva scolpito lui stesso.\nLa storia è narrata da Ovidio (Le metamorfosi, X, 243) e, poi, con qualche variante dallo scrittore cristiano Arnobio (Adversus nationes, VI, 22).\n\nVoci correlate.\nPigmalione.\nAfrodite.
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### Titolo: Palatino.\n### Descrizione: Il Palatino è uno dei sette colli di Roma, situato tra il Velabro e il Foro Romano, ed è una delle parti più antiche della città. Il sito è ora un grande museo all'aperto e può essere visitato durante il giorno. L'ingresso si trova in via di San Gregorio (ingresso a pagamento), oppure si può salire sul Palatino entrando nel Foro Romano (ingresso a pagamento) e poi salendo per il Clivo Palatino, a destra dell'Arco di Tito.\n\nGeografia.\nIl Palatino è uno dei colli centrali di Roma, ma a differenza del Campidoglio e dell'Aventino è vicino al fiume ma non adiacente ad esso. L'altezza massima è di 51 metri s.l.m.. Il colle guarda da un lato sul Foro Romano e dall'altro sul Circo Massimo.\nIl Colle presentava due sommità separate da un avvallamento; la sommità centrale, la più elevata, era detta Palatium, mentre l'altra, situata verso il pendio che digrada verso il Foro Boario e il Tevere, era chiamata Germalus (o Cermalus).\nUn tempo era collegato al retrostante Esquilino, tramite il colle della Velia, sbancato quando fu costruita la via dei Fori Imperiali.\n\nStoria.\nLeggende e periodo arcaico.\nLa leggenda vuole che Roma ebbe le sue origini sul Palatino. In effetti, scavi recenti hanno mostrato che delle popolazioni vi abitavano già nel 1000 a.C. circa. Si trattava di un villaggio di pochi ettari, circondato da paludi, dal quale era possibile controllare il corso del Tevere. Da questo primo agglomerato urbano si formò la cosiddetta 'Roma quadrata', così chiamata dalla forma approssimativamente romboidale della sommità del colle su cui si trovava.\nIl Palatino, ed il suo abitato (probabilmente abitato dai Siculi nelle sue fasi iniziali), rimasero centrali nel successivo sviluppo della città, tanto che le sue due cime, il Palatium ed il Cermalus, rientravano negli originari sette monti del Septimontium.\nNell'Eneide e in altre fonti si narra di come sul Palatino vivessero Greci immigrati dall'Arcadia, comandati da Evandro e suo figlio Pallante: vennero in contatto con questi 'Arcadi' Ercole e poi Enea. Non si sa come queste leggende siano nate, però è un dato effettivo che nel pantheon arcaico esistano le divinità minorenni di Evandro e Pallante. Può darsi che questa zona fosse frequentata in tempi remoti da mercanti e marinai greci, o prima della colonizzazione della Magna Grecia, come confermano anche alcune scoperte archeologiche del XX secolo.\nSecondo la mitologia romana, il Palatino (più precisamente il pendio paludoso che collegava il Palatino al Campidoglio, chiamato Velabro) fu il luogo dove Romolo e Remo vennero trovati dalla Lupa che li tenne in vita allattandoli nella 'Grotta del Lupercale', forse recentemente localizzata. Secondo questa leggenda, il pastore Faustolo trovò gli infanti e, assieme a sua moglie Acca Larentia, allevò i bambini. Quando Romolo, ormai adulto, decise di fondare una nuova città, scelse questo luogo (si veda Fondazione di Roma per un resoconto più dettagliato del mito). La casa Romuli effettivamente era una capanna ricostruita e restaurata più volte, situata nell'angolo nord-ovest della collina, dove poi sorse la casa di Augusto. Scavi del 1946 hanno effettivamente trovato in questo sito resti di capanne dell'età del Ferro, confermando appieno la tradizione leggendaria.\n\nIl nome del colle aveva la stessa radice di quello della dea Pales, alla quale era dedicata l'antichissima tradizione della festa delle Palilia o Parilia, che si tenevano il 21 aprile e che coincidevano col giorno della fondazione della città. Per altri studiosi la derivazione del nome Palatino si ricava da Palus, poiché molte costruzioni di quegli antichi popoli erano fatte su palafitte, ma la derivazione più logica è quella dalla radice Pala, ossia altura.Aveva sede qui anche la festa dei Lupercalia, legata alla mitica Lupa: partendo dalla grotta del Lupercale, ai piedi del Palatino, una processione di sacerdoti-lupi vestiti di pelli caprine si dirigeva verso il Tevere e poi faceva il giro del colle frustando chiunque venisse a loro tiro soprattutto le donne: era un rito di fecondità. La leggenda dei mitici gemelli allattati dalla lupa ci è pervenuta in redazioni ben più tarde di queste tradizioni, a partire da Tacito.\nGli imperatori romani costruirono i loro palazzi sul Palatino. Le rovine dei palazzi di Augusto, Tiberio e Domiziano sono ancora visibili. Lo stesso termine palazzo deriva dal Palatium latino, a sua volta derivante da Palatino.\nAugusto acquistò la casa dell'oratore Ortensio, situata accanto alla cosiddetta 'casa di Romolo' ancora esistente, secondo la tradizione, nel 31 a.C., la ampliò con l'acquisto di case vicine e vi dimorò senza tuttavia farne un palazzo vero e proprio. Una parte della residenza era riservata alla moglie Livia, la cosiddetta 'Casa di Livia'. Nell'ambito della residenza, Augusto edificò il tempio di Apollo Palatino, con un ampio portico e biblioteche.\n\nEpoca repubblicana.\nIn epoca repubblicana il Palatino fu sede di vari culti. In particolare era importante quello della Magna Mater (Cibele), introdotto dall'Asia Minore al tempo della seconda guerra punica, e quelli di Apollo e Vesta, i cui santuari vennero fondati da Augusto nella propria casa (tempio della Magna Mater, tempio di Apollo Palatino, tempio di Vesta).\nIn epoca repubblicana il colle divenne la sede delle abitazioni della classe dirigente romana. Vi abitarono infatti:.\n\nMarco Valerio Massimo, console nel 505 a.C.\nGneo Ottavio, console nel 165 a.C.\nTiberio Sempronio Gracco, padre dei due famosi tribuni della plebe.\nMarco Fulvio Flacco, console nel 125 a.C.\nMarco Livio Druso, tribuno della plebe nel 91 a.C.\nCicerone e suo fratello Quinto.\nTito Annio Milone, amico di Cicerone e uccisore di Publio Clodio Pulcro, che pure viveva sul colle.\nQuinto Ortensio Ortalo, oratore, la cui casa fu poi acquistata da Augusto.\nMarco Antonio, il triumviro.\nTiberio Claudio Nerone, padre di TiberioTra le tante case repubblicane sono stati trovati resti sotto la Domus Flavia, tra i quali spiccano la Casa dei Grifi e l'Aula Isiaca, decorate da importanti affreschi.\n\nPeriodo imperiale.\nL'avvenimento fondamentale per la storia del colle fu il fatto che Augusto, che qui era nato, lo scelse come residenza, acquistando prima la casa di Ortensio e poi ampliando la proprietà con altre abitazioni vicine: la Casa di Augusto si trovava sull'angolo sud-occidentale della collina.\nDa allora divenne naturale per gli altri imperatori risiedere sul Palatino. Sorsero da allora, uno dopo l'altro, i palazzi imperiali di Tiberio (Domus Tiberiana, ampliata da Caligola), di Nerone (la Domus Transitoria e una parte della Domus Aurea), dei Flavi (Domus Flavia e Domus Augustana) e di Settimio Severo (Domus Severiana e Settizonio).\nAlla fine dell'età imperiale la collina era ormai un unico susseguirsi di edifici imperiali e giardini, che formava un unico grande complesso ad uso degli imperatori. Da allora la parola Palatium iniziò a indicare il 'palazzo' per eccellenza, prima inteso come residenza imperiale e poi come nome comune, presente in tutte le lingue europee.\nTra l'anno 375 e il 379 d.C. le spoglie mortali di san Cesario di Terracina furono traslate, con l'assistenza di papa Damaso intro Romanum Palatium, in optimo loco, imperiali cubicolo, ossia nella Domus Augustana di Roma sul colle Palatino - nel sito di Villa Mills, distrutta. All'interno di questo palazzo imperiale venne eretto un oratorio in onore del martire chiamato “San Cesareo in Palatio”. Esso fu il primo luogo di culto cristiano, regolarmente ed ufficialmente costituito sul Palatino: fu il segno palese della consacrazione cristiana del palazzo imperiale perché sostituì il larario domestico degli imperatori pagani ed ebbe vero e proprio carattere di cappella palatina. In esso si esponevano le immagini che i nuovi imperatori eletti a Bisanzio mandavano a Roma, come ad altre città principali dell'impero.\n\nEpoca medievale e moderna.\nDal XVI secolo il colle, acquistato da Alessandro Farnese, fu proprietà della famiglia Farnese, a cui si deve la realizzazione deagli Horti Palatini Farnesiorum, o Giardini, tuttora in parte conservati al di sopra dei resti della Domus Tiberiana. Gli Horti Farnesiani furono commissionati a Jacopo Barozzi da Vignola.Elisabetta Farnese, ultima erede dei Farnese, nel 1714 si sposò con Filippo V di Spagna, cui portò in dote gli Horti Farnesiani, che poi entrarono del patrimonio dei Borbone di Napoli. Nel 1861 il deposto re delle Due Sicilie Francesco II si trovò costretto a vendere gli Horti a Napoleone III, cultore dell'antica Roma.Napoleone affidò gli scavi archeologici sul Palatino a Pietro Rosa, noto anche in Francia per i suoi studi topografici sull'antica Roma. Al Rosa, futuro Soprintendente agli scavi e monumenti della provincia di Roma e Senatore del Regno, si devono, tra gli altri, gli scavi al Tempio della Magna Mater, alla Domus Tiberiana e alla Domus Flavia.Sconfitto nel 1870 nella battaglia di Sedan ed esilitato in Inghilterrà, Napoleone III il 2 settembre dello stesso anno vendette gli Horti allo Stato italiano per 650.000 lire; artefici dell'operazione, che mirava a creare un grande parco archeologico che illustrasse il Regno, furono il Rosa e Quintino Sella, l'illustre politico italiano.Gli scavi archeologici intensivi della zona, iniziati nel XVIII secolo, culminarono alla fine del XIX secolo, dopo la proclamazione di Roma capitale del Regno d'Italia. Le scoperte sono continuate per tutto il XX secolo, come la Casa di Augusto e XXI, come il recentissimo rinvenimento di un ambiente sotterraneo, forse il Lupercale. Resta completamente da scavare il palazzo di Tiberio, sotto i giardini farnesiani.\nAlla sommità del colle, tra la Domus Flavia e la Domus Augustana, fin dal Cinquecento si era installata una villa Stati Mattei, acquistata poi, attorno al 1830, dallo scozzese Charles Mills che ne aveva fatto un incredibile villino neogotico; a fine Ottocento sulla villa fu costruito un convento, che fu però demolito a partire dal 1928, per far luogo agli scavi. Nella parte superstite della costruzione è stato allocato l'Antiquarium del Palatino, che espone materiali relativi al Palatino dalle origini all'età repubblicana (piano terreno) e al Palatino in età imperiale (primo piano).\n\nEdifici antichi.\nCapanne del Palatino.\nLupercale.\nScalae Caci.\nTempio di Apollo Palatino.\nTempio di Cibele o Tempio della Magna Mater.\nElagabalium.\nTempio di Giunone Sospita.\nTempio di Vesta.\nTempio della Vittoria.\nCasa di Livia.\nCasa di Augusto.\nCasa dei Grifi.\nAula Isiaca.\nDomus Tiberiana.\nPalazzo di Domiziano.\nDomus Flavia.\nAula Regia.\nDomus Augustana.\nStadio palatino.\nDomus Severiana.\nSettizonio.\n\nVisitatori.\nNel 2016 il circuito archeologico del Colosseo, Foro Romano e Palatino ha ottenuto 6 408 852 visitatori, risultando il secondo sito museale statale italiano più visitato, alle spalle del Pantheon. Qui di seguito è riportato un andamento complessivo del 'Circuito archeologico Colosseo, Foro romano e Palatino' degli ultimi quindici anni, sulla base dei dati dell'ufficio statistico dei beni culturali italiani:.
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### Titolo: Palemone (argonauta).\n### Descrizione: Palemone è un personaggio della mitologia greca. Fu uno degli Argonauti di Giasone.\nProveniente dall'Etolia, era, a seconda delle versioni, figlio del dio Efesto, figlio di Etolo, o ancora figlio di Lerno.
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### Titolo: Palemone (divinità).\n### Descrizione: Palemone era una divinità minore della mitologia greca, protettore dei porti.\nÈ da identificare con Melicerte, figlio di Atamante e di Ino, divinizzato da Poseidone sotto il nome di dio Palemone. In quanto dio dei porti, i Romani lo assimilarono a Portuno.\n\nGenealogia.
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### Titolo: Palestino (mitologia).\n### Descrizione: Palestino (in greco antico: Παλαιστῖνος) nella mitologia greca era figlio di Poseidone e padre di Aliacmone. Dal dolore per la morte di suo figlio, Palestino si buttò nel fiume, che da lui prese il nome: Palestino, chiamato successivamente Strimone.
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### Titolo: Palioxis.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Palioxis (In greco: Παλίωξις) era il simbolo della ritirata in battaglia (al contrario di Proioxis). Viene citata insieme ad altre personificazioni che hanno a che fare con la guerra.
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### Titolo: Pallade (figlia di Tritone).\n### Descrizione: Pallade (in greco antico: Παλλας?, Pallas) è un personaggio della mitologia greca. È una ninfa del Lago Tritonide in Libia.\n\nGenealogia.\nFiglia di Tritone o di Poseidone e Tritonide.\nNon risulta sia stata sposa o madre.\n\nMitologia.\nTritone allevò sia lei che Atena ed entrambe le ragazze coltivarono la vita militare, che una volta le portò ad una disputa controversa. Così mentre Pallade stava per colpire Atena, Zeus lanciò freneticamente l'egida e Pallade alzò lo sguardo per proteggersi ma dimenticò di proteggersi anche da Atena che la colpì mortalmente. Estremamente rattristata dal fatto, Atena modellò un'immagine di Pallade di legno e attorno al petto legò l'egida che l'aveva spaventata. Poi posò la statua accanto a Zeus e la onorò. Più tardi Elettra, dopo la sua seduzione da parte di Zeus cercò rifugio in questa statua e Zeus gettò sia lei che il palladio nella terra di Ilio, che costruì un tempio per questa statua e la onorò. Questa è la leggenda del Palladium.\nPlatone identificò Atena patrona di Atene con la dea libica Neith ed Erodoto scrive che le sacerdotesse vergini di questa, annualmente si impegnavano in un combattimento per disputarsi il titolo di 'Gran Sacerdotessa' della Dea. Tritonide potrebbe così significare 'terza regina', cioè il membro più anziano della Triade sacra: Kore, Persefone, Demetra.
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### Titolo: Pallade Atena (Rembrandt).\n### Descrizione: Pallade Atena è un dipinto an olio su tela (118x91 cm) realizzato nel 1657 circa dal pittore Rembrandt Harmenszoon Van Rijn.\nÈ conservato nel Museu Calouste Gulbenkian di Lisbona.\n\nAttribuzione.\nIl soggetto della rappresentazione è la dea Atena della mitologia greca. Tuttavia, come ogni grande e famosa opera d'arte, le sono già state attribuite le più diverse teorie: dalla dea romana Minerva all'imperatore del mondo Alessandro Magno.\nSi sa che è appartenuto allo zar russo Caterina II, prima di giungere nelle mani del magnate armeno Calouste Gulbenkian nel XX secolo, entrando a far parte della sua personale collezione d'arte, oggi esposta nel museo che porta il suo nome, che conserva tuttora opere di altri grandi nomi come Rubens, Monet, Renoir, Manet, Turner e Rodin.\nLa prova della raffigurazione di Atena include lei che indossa un elmo decorato con una corona e tiene uno scudo alla volta del pesce Medusa. L'incisione di Pallade Atena nel corteo nuziale di Henriette Katarina van Nassau e Johann Georg II, principe di Anhalt-Dessau nel 1659 è simile per posa e costumi a quest'opera. La dea è stata interpretata dal figlio di Rembrandt, il che ha portato all'ipotesi che Rembrandt abbia basato un dipinto sull'aspetto di Titus quando è apparsa alla parata. Titus può essere posizionato come modello.\nUn'ipotesi recente è che un dipinto possa rappresentare una Venere innamorata del Louvre (1660), Giunone (inizio 1660) e questa Atena, alcuni dicono fosse una trilogia. Le tre opere furono probabilmente commissionate a Rembrandt dal mercante d'arte Herman Becker (c. 1617–1678).\nPer la similitudine con l'Alessandro Magno di Glasgow, datato 1655, si stima che l'esecuzione sia stata contemporanea.
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### Titolo: Palladio (mitologia).\n### Descrizione: Il Palladio (in greco antico: Παλλάδιον?, Palládion) è un simulacro ligneo che, secondo le credenze dell'antichità, aveva il potere di difendere un'intera città.\nIl più famoso era custodito nella città di Troia, a cui garantiva l'immunità: la città fu distrutta infatti solo dopo che Ulisse e Diomede riuscirono a rubarlo. Un'altra versione del mito dice che il Palladio era custodito nell'antica città di Roma, dove giunse portato da Enea.\n\nIl primo Palladio.\nEra una statua di legno (più precisamente uno xoanon), alta tre cubiti, che ritraeva Pallade Atena, reggente una lancia nella mano destra e una rocca e un fuso nella sinistra; il suo petto era coperto dall'egida.\nSecondo il mito, Atena, uccidendo per sbaglio la compagna di giochi Pallade, come segno di lutto assunse ella stessa il nome di Pallade e fece costruire questa immagine, ponendola sull'Olimpo a fianco del trono di Zeus.\n\nIl Palladio a Troia.\nElettra, la nonna di Ilo (il fondatore di Troia), venne violentata da Zeus e sporcò del suo sangue verginale il simulacro della vergine Pallade ed Atena, infuriatasi, scaraventò Elettra e il Palladio sulla Terra.\n\nIlo aveva chiesto un segno a Zeus, mentre marcava i confini della città e lo ottenne. Apollo Sminteo consigliò a Ilo: Alcuni dicono che fu Elettra stessa a donare il Palladio a Dardano.\nNell'occorrenza di un incendio, Ilo si tuffò tra le fiamme per recuperare il Palladio ma Atena, infuriata che un mortale si avvicinasse incauto al suo simulacro, accecò Ilo. Questi, tuttavia, riuscì a placare la dea ed a riottenere la vista.\nSecondo la leggenda, durante la guerra di Troia, gli achei seppero da Eleno, figlio di Priamo, che la città non sarebbe stata conquistata fin tanto che il Palladio si trovasse in città. Ulisse e Diomede si travestirono allora da mendicanti ed entrarono nella città, presero l'immagine della dea e, scavalcando le mura, la portarono nel loro accampamento: questa avventura viene menzionata come una delle cause della sconfitta troiana.\n\nIl Palladio ad Atene.\nPallade Atena era anche patrona della città di Atene. Gli ateniesi raccontavano che Pallante, un eroe che volle ambire al trono di Atene, ebbe una figlia, Crise, che sposò Dardano, considerato il capostipite dei troiani. Ma era solo una propaganda politica: in tal modo si faceva di Troia e dello stretto dei Dardanelli proprietà achea.\nSi racconta inoltre che Crise portò con sé, nel viaggio dalla Grecia a Troia, i suoi idoli e numi tutelari, tra i quali il Palladio. Ma i miti principali non fanno di Crise la sposa di Dardano. Questo comunque descrive come le due città avessero un culto comune: ad Atene i figli di Pallante eran detti Pallantidi ed erano cinquanta, così come cinquanta erano i figli di Priamo. Ciò potrebbe significare che in entrambe le città esistevano dei collegi di cinquanta sacerdoti che officiavano il culto alla dea Atena.\nIl Palladio rubato da Diomede venne dato a Demofonte e infine a Buzige, l'eroe ateniese che per primo soggiogò i buoi all'aratro, affinché lo portasse ad Atene.\n\nIl Palladio di Roma.\nVirgilio attribuisce il furto del Palladio a Diomede e Ulisse.Secondo la tradizione di Arctino di Mileto, citato da Dionigi di Alicarnasso, invece, Ulisse e Diomede non rubarono il vero Palladio poiché Enea portò con sé la statua in Italia, che venne più tardi trasferita nel tempio di Vesta nel foro romano.La tradizione latina voleva invece che Diomede riconsegnasse il simulacro a Enea, in Calabria (Apulia) o in agro Laurenti.\nSu alcune monete dell'epoca di Cesare, Enea viene rappresentato con il padre Anchise sulle spalle e il Palladio nella mano destra.\nDurante il regno dell'imperatore Eliogabalo (218-222), che era il gran sacerdote della divinità solare siriana El-Gabal, il Palladio venne portato coi più importanti oggetti sacri della Religione romana nel tempio di questa divinità a Roma, l'Elagabalium, in modo che solo questo dio venisse adorato.Durante il tardo impero una tradizione bizantina affermava che il Palladio venne trasferito da Roma a Costantinopoli da Costantino I e seppellito sotto la Colonna di Costantino.Altri sostengono che il Palladio fosse invece distrutto dalle ultime Vestali nel 394 per evitarne la profanazione.\n\nPalladio nelle altre città.\nSecondo alcune versioni della leggenda, esistevano due Palladio, uno troiano e uno ateniese, ricavato dalle ossa di Pelope. Altri dicono vi fossero tanti palladi: una volta capite le potenzialità del talismano, è molto probabile che questo oggetto (o questi oggetti) venisse rubato e mutilato.\nOppure erano dei palta, ossia 'cosa caduta dal cielo'. Infatti i palta dovevano essere sempre esposti alla volta celeste: così la sacra pietra di termine a Roma stava sotto un'apertura del tetto nel tempio di Giove, e un'identica apertura era stata praticata nel tempio di Zeus a Troia.\nComunque, per estensione con il termine Palladio si iniziò a indicare statue o altri oggetti o edifici, la cui presenza faceva da 'talismano' nella protezione della città.\nUno dei palladi più famosi, oltre quello romano, era quello di Napoli, che nel medioevo si credeva costruito da Virgilio-mago e nascosto sottoterra. Esso era una riproduzione in miniatura della città contenuta in una bottiglia vitrea dal collo finissimo, che la protesse da sciagure e invasioni, finché non fu trovato e distrutto da Corrado di Querfurt, cancelliere dell'imperatore Arrigo VI e mandato a conquistare il Regno di Sicilia.\nUn altro 'palladio' conosciuto è la Statua di Marte di Firenze, presunta vestigia della Florentia romana citata da Dante Alighieri, che venne travolta da un'inondazione dell'Arno nel 1333; da alcuni ciò fu interpretato come un oscuro presagio della peste nera (1348).\n\nNella Divina Commedia.\nIl palladio di Troia è citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia nel XXVI canto dell'Inferno a proposito di Diomede, che sconta la sua pena insieme ad Ulisse nell'ottava bolgia in cui sono puniti i consiglieri fraudolenti; sempre nella Commedia la seconda zona del Cocito si chiama Antenora, dal nome di colui che in una leggenda avrebbe permesso ai due greci di rubare il palladio, e in essa sono puniti i traditori della patria.
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### Titolo: Pallante (eroe).\n### Descrizione: Pallante (in greco antico: Πάλλας?, Pállas) o Pallade è un personaggio della mitologia greca. Fu l'eponimo di Pallene, nell'Arcadia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Pandione II e di Pylia figlia del re di Megara Phylas.\nFu padre dei Pallantidi.\n\nMitologia.\nNato a Megara, dove suo padre si recò in esilio dopo che i figli di Metione presero il trono di Atene, alla morte del proprio padre e con i suoi tre fratelli (Egeo, Niso e Lico), scacciò i figli di Metione e riprese il controllo dell'Attica.\nNella successiva suddivisione del regno tra i quattro fratelli, ad Egeo spettò il trono di Atene ed a Pallante spettò Paralia (o Diacria, oppure condivise il potere su diversi Demo dell'Attica meridionale con il fratello Egeo).\nPiù tardi e dopo la morte di Egeo, tentò di prendere il trono dall'erede legittimo (suo nipote Teseo, figlio del defunto Egeo) ma fallì e dallo stesso Teseo fu ucciso così come furono uccisi tutti i suoi cinquanta figli.\n\nConfusioni ed altre versioni.\nVi è una certa confusione tra questo Pallante e gli altri suoi omonimi e spesso questo problema già affliggeva gli stessi autori greci.\nMa a questo va aggiunto che oltre ai 'Pallante' (dal greco 'Παλλας' = Pállas, che diventa il latino 'Pallas' e quindi l'italiano 'Pallante'), vanno considerati anche i 'Pallade' che altro non sono che una diversa trascrizione dell'originale 'Παλλας'.\nE non è finita, perché alcuni miti sono stati ripresi da autori latini e questo ha generato delle errate associazioni del nome di ogni personaggio e della sua genealogia e così sono a noi pervenute delle versioni dello stesso personaggio che ne deviano il destino, la genealogia e la collocazione geografica e temporale:.\nServio Mario Onorato scrive che Pallante non fosse fratello di Egeo bensì il figlio (quindi fratello di Teseo) e che da lui fu cacciato dall'Attica. Così si recò in Arcadia, dove divenne re e fondò una dinastia alla quale appartenevano Evandro ed un altro Pallante.
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### Titolo: Pallantidi.\n### Descrizione: I Pallantidi (in greco antico: Παλλαντίδαι?, Pallantídai) sono dei personaggi della mitologia greca e furono i cinquanta figli di Pallante.\n\nGenealogia.\nFigli di Pallante, di tutti loro sono noti solo due nomi, Clito e Bute.\nNon ci sono notizie su spose o progenie.\n\nMitologia.\nNobili dell'Attica, furono rivali del loro zio Egeo e di suo figlio Teseo per trono di Atene.\nAmici di Androgeo (figlio di Minosse), che conobbero durante i Giochi panatenaici, suscitarono i timori di Egeo che potessero utilizzare questa amicizia per poterlo sostituire nella guida del suo regno, così Egeo fece assassinare Androgeo.\nPersa questa possibilità, si divisero in due gruppi e marciarono contro Egeo per prendere il trono di Atene. Metà di loro e con Pallante alla guida, sfilò apertamente passando per Sfetto mentre l'altro gruppo preparò un'imboscata vicino a Gargetto ma il piano fallì poiché il loro araldo (Leos, che viveva ad Agnunte), avvertì Teseo di ciò che avevano preparato per sconfiggerlo e così, il gruppo appostato a Gargetto fu assalito e sconfitto da Teseo, mentre il gruppo capitanato da Pallante si ritirò.\nDa allora i cittadini di Pallene non permisero più che gli araldi dessero inizio ad un proclama con le parole Akouete leoi (ascoltate cittadini), per via dell'assonanza tra leoi e 'Leos' ed inoltre tra gli abitanti delle due Demo venne posto il divieto di matrimonio come simbolo dell'inimicizia tra queste due città.\nAltre versioni del mito dicono che Teseo uccise tutti i Pallantidi compreso il padre.\nI due Pallantidi che hanno un nome (Bute e Clito) furono compagni di viaggio di Cefalo.
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### Titolo: Pan (astronomia).\n### Descrizione: Pan è il satellite naturale più interno del pianeta Saturno; scoperto nel 1990 da Mark Showalter grazie all'analisi di immagini scattate nel precedente decennio nel corso del programma Voyager, deve il suo nome alla divinità Pan, presente nella mitologia greca. Il satellite era precedentemente noto con la designazione provvisoria S/1981 S 13.\n\nStoria.\nL'esistenza di un satellite all'interno della divisione di Encke era stata suggerita per la prima volta da Jeffrey Cuzzi e Jeffrey Scargle nel 1985, osservando la presenza di strutture dall'aspetto ondulatorio nell'anello A del pianeta chiaramente riconducibili alla presenza di un corpo perturbante; la sua orbita e la sua massa sono state calcolate in seguito da Showalter e da altri colleghi astronomi. I dati teorici indicavano un semiasse maggiore pari a 133603±10 km ed una massa pari a 5×10−12 volte quella di Saturno. Pan presenta effettivamente un semiasse maggiore pari a 133583 km ed una massa equivalente a 4,7×10−12 volte quella di Saturno.\nPan fu individuato entro un margine di 1° dalla posizione prevista, grazie all'analisi di tutte le immagini catturate in precedenza dalla Voyager 2 e all'utilizzo di simulazioni al computer per verificare se in ciascuna di esse sarebbe stato effettivamente possibile individuare la presenza di un satellite naturale. Pan è risultato chiaramente visibile in tutte le immagini dalla risoluzione superiore a ~50 km/pixel, ed appare complessivamente in undici fotografie.\n\nParametri orbitali.\nPan orbita all'interno della divisione di Encke, nell'anello A di Saturno; funge da satellite pastore per l'anello, e la sua presenza mantiene la divisione libera dalle particelle ghiacciate che compongono gli anelli. La sua attrazione gravitazionale forma inoltre strutture dall'aspetto ondulatorio all'interno dell'anello.
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### Titolo: Pan.\n### Descrizione: Il dio Pan (in greco antico: Πάν?, Pán) era, nelle religioni dell'antica Grecia, una divinità non olimpica dall'aspetto di un satiro, legata alle selve, alla pastorizia e alla natura. Era solitamente riconosciuto come figlio del dio Ermes e della ninfa Penelope.\nNella religione romana esiste una divinità che ha molte similitudini con la raffigurazione di Pan, è il dio Silvano. Anche i fauni venivano identificati con Pan o con i satiri.\n\nEtimologia ed elementi del culto.\nIl nome Πάν deriva dal greco paein, cioè 'pascolare', e infatti Pan era il dio pastore, il dio della campagna, delle selve e dei pascoli. Il nome è però simile a πᾶν, che significa 'tutto'. La figura mitologica ricalca l'eroe solare vedico Pushan, il cui nome, dal verbo sanscrito pūṣyati, significherebbe 'colui che fa prosperare'. Inoltre è assimilato a Phanes (Φάνης, da φαίνω phainō, 'che porta la luce'), altro nome di Protogonos (Πρωτογόνος, 'primo nato'). In alcuni miti infatti è descritto come il più antico degli Olimpi, se è vero che aveva bevuto con Zeus il latte da Amaltea, allevato i cani di Artemide e insegnato l'arte divinatoria ad Apollo. Venne inoltre notoriamente associato a Fauno, versione maschile (poi figlio, fratello o marito, a seconda del mito) di Fauna, e come tale era lo spirito di tutte le creature naturali, più tardi legato anche alla foresta, all'abisso, al profondo.\nDal suo nome deriva il sostantivo panico, originariamente timor panico o terror panico, poiché il dio si adirava con chi lo disturbasse emettendo urla terrificanti, provocando così una incontrollata paura. Pausania scrive che i Galli, saccheggiando la Grecia, videro nel tempio di Delfi la statua del dio Pan e ne furono così tanto spaventati che fuggirono; alcuni racconti ci dicono che lo stesso Pan venne visto fuggire per la paura da lui stesso provocata. Ma il mito più famoso legato a questa caratteristica è la titanomachia, durante la quale Pan salva gli Olimpi emettendo un urlo e facendo fuggire Delfine.\nDio dalle forti connotazioni sessuali - anche Pan infatti come Dioniso e Priapo era generalmente rappresentato con un grande fallo - recentemente Pan è stato indicato come il dio della masturbazione, da James Hillman, noto psicologo americano, che sostiene essere Pan l'inventore della sessualità non procreativa.\nInfatti Pan, trovando difficoltà di accoppiamento a causa del suo aspetto, era solito esercitare la sua forza generatrice mediante la masturbazione, oltre che con la violenza sessuale. Era un dio potente e selvaggio, raffigurato con gambe e corna caprine, zampe irsute e zoccoli ungulati, mentre il busto è umano, il volto barbuto e dall'espressione terribile. Vaga per i boschi, spesso per inseguire le ninfe, mentre suona e danza. È molto agile, rapido nella corsa, imbattibile nel salto.\nÈ principalmente indicato come dio Signore dei campi e delle selve nell'ora meridiana, protegge le greggi e gli armenti, gli sono sacre le cime dei monti. Tradizionalmente, indossa una nebris, una pelle di cerbiatto.\nCome dio legato alla terra e alla fertilità dei campi è legato alla Luna e alle forze della grande Madre. Fra i miti che lo accompagnano uno che lo vede seduttore di Selene, cui si presentò nascondendo il pelo caprino sotto un vello bianco. La Dea non lo riconobbe e acconsentì all'unione.\nPan è un dio generoso e bonario, sempre pronto ad aiutare quanti chiedono il suo aiuto.\nQuesto dio pagano sarebbe stato ripreso in seguito dalla Chiesa Cristiana per utilizzare la sua immagine come iconografica di Satana.\nNarra una leggenda che nell'età dell'Oro Pan giunse nel Lazio, dove venne ospitato dal dio Saturno.\nIn Grecia la presenza del dio viene collocata in Arcadia.\n\nGenealogia.\nLa genealogia di Pan è controversa. La più comune è probabilmente quella di Erodoto, in cui vengono indicati quali genitori il dio Ermes e la ninfa Penelope.\n\nNell'Inno omerico A Pan, la madre di Pan non viene nominata, ma viene definita semplicemente 'figlia di Driope', nome che significa 'uomo-quercia'. Il mito vuole che la ninfa sia fuggita terrorizzata dall'aspetto deforme del figlio, mentre Ermes lo raccolse e, avvoltolo amorevolmente in una pelle di lepre, lo portò sull'Olimpo, dove fu accolto con gioia da tutti gli dei, e in particolare da Dioniso.\nAltri autori apparentemente confondono la ninfa Penelope con la più nota Penelope, moglie di Ulisse, e attribuiscono a lei la maternità di Pan. Altri mitografi come Duride di Samo e Servio affermano che Penelope ebbe Pan dai suoi pretendenti, i Proci, con cui avrebbe avuto rapporti in attesa del marito Ulisse.\nUn'altra versione, sostenuta da Igino, afferma che Zeus, dopo essersi unito ad una capra di nome Beroe, ebbe per figlio il dio Egipan, ovvero la forma caprina di Pan.\n\nMitologia.\nPan e Eco.\nUn suo mito narra del suo amore per la ninfa Eco dal quale nacquero due figlie, Iambe e Iunce.\nPan non viveva sull'Olimpo: era un dio terrestre amante delle selve, dei prati e delle montagne. Preferiva vagare per i monti d'Arcadia, dove pascolava le greggi e allevava le api. Pan era un dio perennemente allegro, venerato ma anche temuto. Legato in modo viscerale alla natura e ai piaceri della carne, Pan è l'unico dio con un mito sulla sua morte. Plutarco, nel suo De defectu oraculorum, racconta infatti che, durante il regno dell'imperatore romano Tiberio (14–37), la notizia della morte di Pan venne rivelata a tale Tamo (Thamus), un mercante fenicio che sulla sua nave diretta in Italia sentì gridare, dalle rive di Paxos: 'Tamo, quando arrivi a Palodes annuncia a tutti che il grande dio Pan è morto!'. Gli studiosi si dividono tra il significato storico e quello allegorico. Secondo Robert Graves per esempio, il grido non fu Thamous, Pan ho megas tethneke, 'Tamo, il grande dio Pan è morto', ma Tammuz Panmegas tethneke, 'L'onnipresente Tammuz è morto', cioè il dio babilonese della natura. Graves nella nota 5 riporta anche che Plutarco (de defectu oraculorum 17) credette a questa storia e la riportò, invece Pausania nel suo Viaggio in Grecia circa un secolo dopo citando Plutarco testimonia che i santuari dedicati a Pan erano ancora molto frequentati.\nGli autori cristiani riportando tale episodio lo misero in relazione alla fine di un'oscura era politeista, della quale aver 'timor panico' (non a caso le sembianze e gli attributi del diavolo, piede caprino, coda e corna sono gli stessi di Pan), e all'inizio di un nuovo mondo sotto la luce di Cristo, morto appunto sotto l'impero di Tiberio (così Eusebio di Cesarea nel suo Praeparatio Evangelica).\n\nPan nella Titanomachia: le origini del Capricorno.\nPan partecipò alla Titanomachia, avendo un ruolo fondamentale doveva scappare più veloce di tutti nella vittoria di Zeus su Tifone.\nTifone era un mostro che era nato da Gea e Tartaro, che volle vendicarsi della morte dei figli, i Giganti.\nQuando tentò di conquistare il monte Olimpo, gli Dei fuggirono terrorizzati da questo mostro. Si recarono in Egitto, dove assunsero forme di animali per nascondersi meglio:.\n\nZeus si fece ariete,.\nAfrodite si fece pesce,.\nApollo si fece corvo,.\nDioniso si fece capra,.\nEra si fece vacca bianca,.\nArtemide si fece gatto,.\nAres si fece cinghiale,.\nErmes si fece ibis,.\nPan trasformò solo la sua parte inferiore in un pesce e si nascose in un fiume.Solo Atena non si nascose e, denigrando gli altri dei, convinse il padre Zeus a scendere in battaglia contro il mostro. Nonostante il dio fosse armato, il mostro riuscì ad avere la meglio su di lui, e lo rinchiuse nella grotta dove Gea lo aveva generato. Con le sue Spire Tifone gli aveva reciso i tendini di mani e piedi, che aveva poi affidato a sua sorella Delfine, il cui corpo terminava con la coda di un serpente.\nIl dio Pan spaventò questa creatura con un tremendo urlo, ed Ermes le sottrasse i tendini di Zeus.\nZeus, recuperate le forze e i tendini, si lanciò su un carro trainato da cavalli alati contro Tifone, bersagliandolo di fulmini.\nZeus riuscì a uccidere il mostro e lo seppellì sotto il monte Etna, che da allora emette il fuoco causato da tutti i fulmini usati in battaglia, così come racconta lo Pseudo-Apollodoro.\nPer ringraziare Pan, Zeus fece in modo che il suo aspetto fosse visibile in cielo: creò così il Capricorno.\n\nPan e le Ninfe.\nPan è un dio con una forte connotazione sessuale, amava sia donne che uomini, e se non riusciva a possedere l'oggetto della sua passione si abbandonava all'onanismo.\nMoltissimi racconti mitologici ci parlano di questo dio e del suo rapporto con le Ninfe che cercava di possedere. Tanto che queste si salvavano solo trasformandosi, anche se spesso non disdegnavano le attenzioni del dio.\n\nEco generò con lui Iunge e Iambe, per poi innamorarsi di Narciso e struggersi per lui fino a diventare solo una voce.\nEufeme, nutrice delle muse, ebbe Croto, inventore degli applausi.Il mito ci riporta il nome di altre di queste Ninfe: Pitis, Selene. La più importante resta forse Siringa.\n\nPan e la ninfa Siringa.\nUno dei miti più famosi di Pan riguarda le origini del suo caratteristico strumento musicale. Siringa era una bellissima ninfa dell'acqua di Arcadia, figlia del dio dei fiumi Ladone. Un giorno, di ritorno dalla caccia, incontrò Pan. Per sfuggire ai suoi disturbi, la ninfa scappò senza ascoltare i complimenti del dio. Corse attraverso il bosco fino a trovare un canneto e pregando si trasformò in una canna. Quando il vento soffiò attraverso le canne, si udì una melodia lamentosa. Il dio, ancora infatuato, non riuscendo a identificare in quale canna si era trasformata Siringa, ne prese alcune e ne tagliò sette pezzi di lunghezza decrescente (alcune versioni sostengono nove) e li unì uno di fianco all'altro. Creò così lo strumento musicale che portò il nome della sua amata Siringa. Da allora Pan fu visto raramente senza di esso; lo strumento è anche noto come flauto di Pan.\n\nPan nella letteratura.\nGabriele D'Annunzio, nell’Alcyone, traccia uno stretto parallelismo tra il dio Pan e sé stesso, individuando nel dio la simbiosi perfetta tra uomo e natura, denominata perciò «panismo».\nLa figura di Pan ha avuto anche un notevole successo in campo letterario, innumerevoli sono le opere che parlano di questo dio.\nNel libro Saggio su Pan di James Hillman, l'autore traccia una netta contrapposizione tra la figura di Pan e quella di Cristo.\nPan compare anche nella saga di Percy Jackson.\n\nDio Pan nella cultura di massa.\nNel Medioevo Pan e i suoi aspetti vennero demonizzati dal Cristianesimo, tanto che nei secoli successivi il diavolo nella cultura occidentale assunse progressivamente i tratti iconografici di questa antica divinità: corna, zampe caprine, barba a punta.\nCome spiega il professor Ronald Hutton nel suo fondamentale studio sulla Wicca, a partire dall'epoca romantica, soprattutto in Inghilterra, la figura di Pan venne però enormemente rivalutata. In un mondo avviato verso l'industrializzazione e la distruzione progressiva dell'ambiente naturale, come reazione vi fu una ricerca della purezza delle origini e così il Pan romantico divenne quasi il dio della natura per antonomasia.\nIl successivo passaggio di rivalutazione viene spiegato da Hutton con i lavori dell'antropologa Margaret Murray. Il dio divenne il fulcro degli studi dell'autrice, in particolare di una sua tesi molto controversa:Pan sarebbe stato al centro di un culto pagano, sopravvissuto all'avvento del Cristianesimo, un culto poi catalogato e perseguitato dall'inquisizione come stregonesco. In seguito a queste premesse, la figura di Pan venne quindi sincretizzata con quella di altre divinità cornute come Dioniso e Cernunnos, divenendo la divinità principale dell'odierna religione Wicca.
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### Titolo: Panacea.\n### Descrizione: Panacea (in greco antico: Πανάκεια?, Panákeia) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Asclepio e di Epione (o Lampezia), è la dea e personificazione della 'guarigione universale e onnipotente', ottenuta per mezzo delle piante.\n\nMitologia.\nSi diceva che Panacea avesse una pozione con cui poteva curare tutti i malati, ed è da ciò che in medicina arriva il concetto di panacea universale intesa come una sostanza in grado di curare tutte le malattie.\nLa parola viene anche usata in senso figurato per indicare un presunto rimedio universale, capace di risolvere qualsiasi problema.
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### Titolo: Pandaro e Bizia.\n### Descrizione: Pandaro e Bizia sono due personaggi dell'Eneide di Virgilio, menzionati nel nono libro.\n\nIl mito.\nLe origini.\nPandaro e Bizia erano due semidei figli di Alcanore e della ninfa oreade Iera, giovani troiani dalla statura gigantesca, che alla caduta della loro città seguirono Enea nel Lazio.\n\nLa morte.\nScoppiato il conflitto contro i Rutuli di Turno, i due fratelli si distinguono nella difesa della cittadella troiana, ma vengono uccisi proprio da Turno. Bizia muore trafitto da una falarica, mentre Pandaro perisce in seguito a un violentissimo colpo di spada calatogli sul cranio nel corso di un intenso duello.\nDopo aver ucciso Pandaro, Turno irrompe nel campo troiano, facendo quindi strage dei fuggitivi per poi decapitare Linceo, l'unico che tenta di affrontarlo.\n\nOmonimie.\nPandaro e Bizia sono talora confusi, rispettivamente, col principe di Zelea nell'Iliade e con un notabile cartaginese citato nel primo libro del poema virgiliano.
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### Titolo: Pandaro.\n### Descrizione: Pandaro (in greco antico: Πάνδαρος?; in latino Pandarus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Licaone e di Licia.\n\nIl mito.\nLe origini.\nPrincipe di Zelea, ai piedi del monte Ida, era un abile arciere, premiato dal dio Apollo con il dono di un bellissimo arco, derivato dalle corna di uno stambecco, ornato da borchie d'oro.\n\nLa morte.\nIl IV e V canto dell'Iliade tracciano di questo personaggio un ritratto non molto edificante.\nDopo il duello tra Menelao e Paride, venne stabilita la pace fra i due schieramenti. Pandaro però, sotto inganno di Atena, violò i patti colpendo con una freccia al fianco Menelao. Durante la battaglia che ne seguì ferì Diomede a una spalla. L'eroe acheo pregò allora la dea Atena, sua protettrice, di potersi vendicare uccidendo il suo feritore. Assistito da Enea, che gli prestò il suo carro, Pandaro funse per lui da auriga. Pandaro ed Enea mossero insieme contro Diomede. Pandaro, scoraggiato dal fatto di non avere ucciso il re di Argo col suo arco, scagliò invano il suo giavellotto contro il figlio di Tideo: questi invece riuscì a colpire il nemico in pieno volto, uccidendolo. Dopo la sua morte vi fu un combattimento presso il suo cadavere, combattimento nel quale Enea venne quasi ucciso da Diomede, ma fu salvato dalla madre Afrodite e da Apollo.\n\nPandaro nella cultura moderna.\nPandaro è uno dei personaggi nella tragedia shakesperiana Troilo e Cressida: vi appare come zio della protagonista.\n\nCuriosità.\nA Pandaro è intitolato l'asteroide troiano 2674 Pandarus.\n\nOmonimi.\nNon va confuso con un guerriero troiano menzionato nell'Eneide, che muore in guerra per mano di Turno.\n\nVoci correlate.\nPandaro e Bizia.\n\nCollegamenti esterni.\n\nPàndaro, su sapere.it, De Agostini.\n(EN) Pandarus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Pandia.\n### Descrizione: Pandia (in greco antico: Πανδία?, Pandía) o Pandeia (in greco antico: Πανδεία?, Pandeía) è un personaggio della mitologia greca. È la personificazione del plenilunio.\n\nGenealogia.\nFiglia di Zeus e Selene, e secondo la maggior parte delle versioni, sorella di Ersa.\nUna tradizione ateniese fa di Pandia la sposa di Antioco, figlio di Eracle e eroe eponimo della tribù ateniese Antiochide.\n\nCulto.\nVeniva celebrata con il padre Zeus in una festa ateniese nel mese di Elafebolione.
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### Titolo: Pandione II.\n### Descrizione: Pandione (in greco antico: Πανδίων?, Pandìōn) è un personaggio della mitologia greca. Fu l'ottavo re mitologico di Atene.\n\nGenealogia.\nFiglio di Cecrope II e di Metiadusa, sposò Pilia, figlia del re di Megara Pila, e fu padre di quattro figli Lico, Egeo (il futuro padre di Teseo), Niso e Pallante.\n\nMitologia.\nSuccesse a suo padre ma fu esiliato da Atene dai figli di suo zio Metione (che prese il suo posto sul trono) e dovette fuggire a Megara dove sposò Pilia, figlia del re Pila e gli succedette quando questi andò in esilio in Messenia.\nDopo la sua morte, a Megara fu succeduto da Niso mentre gli altri figli tornarono ad Atene e cacciarono i figli di Metione ed il figlio Egeo divenne il nono re di Atene.\nLa tomba di Pandione fu eretta nel territorio di Megara, vicino alla roccia di Atena Aἴθυια, sulla costa vicino al mare. Una sua statua faceva parte dell'Acropoli come le altre degli eroi eponimici.\nAlcuni studiosi ritengono che Pandione II più di altri re mitologici fu una figura inventata allo scopo di colmare un'importante lacuna cronologica.
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### Titolo: Pandora (figlia di Deucalione).\n### Descrizione: Pandora (in greco antico: Πανδώρα?, Pandốra) è un personaggio della mitologia greca. Fu la nipote della più nota Pandora della leggenda del Vaso di Pandora.\n\nGenealogia.\nFiglia di Deucalione e Pirra e sorella di Tia, Elleno, Protogenia e Anfizione.Diede a Zeus i figli Greco, Latino, Melera e Pandoro.\n\nMitologia.\nGreco e Latino erano fratelli, (figli di Zeus e Pandora), e da loro derivano i nomi di Greci e Latini.
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### Titolo: Pandora.\n### Descrizione: Pandora (dal greco antico Πανδώρα?, Pandṓra, a sua volta da πᾶv, pân, 'tutto' e δῶρον, dôron, 'dono', ovvero «tutti i doni») è un personaggio della mitologia greca.\nIl suo mito è legato a quello del celebre quanto nefasto vaso (spesso rappresentato anche come scrigno o forziere) che le fu affidato da Zeus con la raccomandazione di non aprirlo mai, poiché la sua apertura avrebbe liberato tra gli uomini tutti i mali in esso racchiusi; ma Pandora lo aprì.\n\nGenealogia.\nCreata da Efesto su ordine di Zeus, sposò Epimeteo e divenne madre di Pirra.\n\nIl mito di Pandora.\nIl poema di Esiodo Le opere e i giorni narra che Zeus si infuriò contro Prometeo per il furto del fuoco. Il Titano aveva forgiato il primo uomo impastandolo con la terra e la pioggia, gli aveva infuso astuzia e timidezza, forza, fierezza e ambizione e l'aveva poi animato col fuoco divino. Ma il fuoco divino sarebbe dovuto restare privilegio degli dei e non essere offerto a creature terrene. Per questo Zeus era in collera. Riservò a Prometeo un castigo atroce: incatenato sul Caucaso, avrebbe visto un'aquila divorargli il fegato, che sarebbe ricresciuto ogni notte per perpetuare il dolore; agli uomini inviò un dono infido e alla donna fu affidato il compito di portare con sé, nel mondo, infinite sofferenze. Ordinò ad Efesto di forgiare la fanciulla, Pandora. A lei ogni dio offrì un dono divino: bellezza, virtù, abilità, grazia, astuzia, ingegno.\nErmes, che aveva dotato la giovane di astuzia e curiosità, venne incaricato di condurre Pandora dal fratello di Prometeo (che nel frattempo era stato liberato da Eracle), Epimeteo. Questi, nonostante l'avvertimento del fratello di non accettare doni dagli dei, la accolse, si innamorò, la sposò ed ebbe da lei una figlia, Pirra, destinata a diventare la sposa di Deucalione e madre della nuova umanità dopo il diluvio che aveva sommerso l'Ellade.\nPandora recava con sé un vaso regalatole da Zeus, il quale però le aveva ordinato di lasciarlo sempre chiuso. Tuttavia, spinta dalla curiosità, Pandora disobbedì: aprì il vaso e da esso uscirono tutti i mali, che si avventarono furiosi sul mondo: la vecchiaia, la gelosia, la malattia, il dolore, la pazzia ed il vizio si abbatterono sull'umanità. Sul fondo del vaso rimase solo la speranza, che non fece in tempo ad allontanarsi perché il vaso fu chiuso nuovamente.\nPrima di questo momento l'umanità aveva vissuto libera da mali, fatiche o preoccupazioni di sorta, e gli uomini erano, così come gli dei, immortali. Dopo l'apertura del vaso il mondo divenne un luogo desolato, cupo ed inospitale.
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### Titolo: Panfila di Epidauro.\n### Descrizione: Panfila (in greco antico: Παμφίλη?, Pamphílē, in latino Pamphĭla; Epidauro, ... – ...; fl. I secolo) è stata una storica greca antica.\n\nBiografia.\nBenché la Suda la descriva come nativa di Epidauro, secondo Fozio Panfila era di origine egiziana; probabilmente la famiglia di Panfila, proveniente dall'Egitto, si era trasferita ad Epidauro.\nFiglia del filosofo Soteride di Epidauro, sarebbe vissuta durante il regno di Nerone; sempre Fozio scrive che Panfila, che visse tredici anni col marito, fu sempre e costantemente al lavoro sul suo libro.\n\nOpere.\nPanfila scrisse alcune opere, elencate da Suda di cui non restano che 10 frammenti.\nIn primo luogo, i Commentari storici (ὑπομνήματα), che trattavano di storia greca in 33 libri. Nonostante l'opera sia andata perduta, alcuni scrittori citano alcuni passiː ad esempio Aulo Gellio cita l'undicesimo e il ventinovesimo libro, Diogene Laerzio il venticinquesimo e il trentaduesimo.\nFozio scrive di leiː.\n\nSecondo la Suda scrisse anche una Epitome di Ctesia in 3 libri; Epitomi di storie ed altri libri (ἐπιτομαὶ ἱστοριῶν τε καὶ ἑτερῶν βιβλίων); un'opera intitolata Sulle dispute (Περὶ ἀμφισβητήσεων); e un'altra Sulle cose d'amore (Περὶ ἀφροδισίων).
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### Titolo: Panopea.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Panopea (anche Panope, Pinope o Panopeia) era una delle Nereidi, figlia di Nereo.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Panopea.
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### Titolo: Panozio.\n### Descrizione: Il panozio (dal greco pan e othi, significa tutto orecchi) è un mostro antropomorfo del folklore medioevale, chiamato anche panozo (al plurale panozi, dal latino panotii). In tempi antichi si riteneva vivessero nelle isole all'estremo nord del continente europeo, come scrive Plinio (libro IV, capitolo 95). Avrebbero orecchie talmente grandi da toccare terra, e le userebbero come giaciglio e coperta, al momento di dormire. Essendo molto timidi, alcune fonti dicono che all'avvicinarsi di qualcuno le spiegano come ali e volano lontano dal pericolo.\nIl termine viene utilizzato per la prima volta da Pomponio Mela, ma già Scilace di Carianda e Megastene riferivano di popolazioni con le medesime caratteristiche. Non sono però inseriti da Sant'Agostino nel suo De civitate dei, catalogo fondamentale dei mostri medievali, fatto questo che limita la loro diffusione: come pure la mancanza di auctoritas e la mancanza di una vera e reale mostruosità nei loro caratteri e nelle loro personalità, sia fisiche che spirituali.\nAnche in Malaysia si trova una figura che si distingue per le dimensioni dei padiglioni auricolari: uno dei guardiani degli inferi li avrebbe talmente grandi da permettere alle anime dei morti di trovarvi rifugio. In Giappone, invece, possiamo incontrare i choji e in Melanesia degli esseri pelosi e con orecchie talmente spropositate da poterle usare come arpioni da pesca.\nAnche Pigafetta, cronista a seguito di Magellano nel suo viaggio, scrive di aver sentito dire che.\n\nLa caratteristica principale di questo essere sono le enormi orecchie, usate dalle femmine dei panozi per coprire i propri seni. Per il resto i panozi sono molto simili agli umani. Come molte altre creature mostruose, vedono la loro nascita da altre razze con caratteri insoliti o mostruosi, che, per la sovrabbondanza di tali caratteri atti già da soli a renderli sufficientemente alieni, vengono suddivisi dando origine ad altri miti. In questo caso, Ctesia parla di pandae o macrobi, le cui donne hanno un solo figlio nella vita, neonato che presenta i capelli già bianchi, otto dita per ogni arto, e orecchie gigantesche, fino ai gomiti. Essendo l'insieme abbastanza spaventoso, il tratto delle orecchie ipersviluppate viene separato, dando origine a una nuova specie, i panotii, appunto.\nUna rappresentazione di questa razza mitologica si ha in Francia, sul timpano del portale centrale della chiesa di Sainte-Madeleine a Vézelay (dell'XI secolo), sul percorso del pellegrinaggio verso Gerusalemme. Centro del portale sono gli apostoli, separati per mezzo dell'oceano dal mondo del caos, esemplificato per mezzo dei panotii e dei pigmei: a lato del Cristo, troviamo invece una coppia di uomini senza naso e una di cinocefali. Il tutto li fa rientrare in una prospettiva cristiana e li rende parte del piano della creazione divina, in un contesto familiare e intimo; vi si vede infatti un'intera famiglia di questi cosiddetti mostri.\nLe Gesta romanorum, invece, (una specie di antologia di storie anonime morali e pseudo antiche, scritte in Inghilterra in ambiente francescano prima del 1342) cercano di moralizzare, appunto, i panotii e le altre 15 razze di Plinio: nel capitolo 175, le enormi orecchie sono un mezzo per meglio ascoltare la parola di Dio e preservare corpi e anime dal peccato.\nSono citati anche in tempi moderni, nel romanzo Baudolino di Umberto Eco, dove addirittura grazie ad un lungo addestramento riescono ad usare i loro apparati uditivi per planare, con effetti disastrosi.
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### Titolo: Pantoo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Pantoo o Panto, figlio di Otriade, era il nome di uno dei personaggi presenti nella guerra di Troia, nata per colpa del rapimento di Elena effettuato da Paride (figlio del re troiano Priamo) ai danni di Menelao, il marito e sovrano acheo. Si fa riferimento a Pantoo quando si parla di Euforbo, probabilmente suo figlio. La guerra fra i due regni viene raccontata da Omero.\nnell'Iliade.\n\nMitologia.\nPantoo era il sacerdote troiano di Apollo ai tempi di re Priamo, ma sembra che fosse greco di nascita. Servio Mario Onorato racconta che quando Priamo era da poco divenuto re della città dopo la sua distruzione da parte di Eracle, credendo che la conquista della città fosse dovuta alla sua infausta ubicazione e non alla collera degli dèi mandò Antenore a Delfi per chiedere alla Pizia se avrebbe dovuto costruire la cittadella sulle fondamenta della città distrutta. Si dice però che Pantoo, che era sacerdote di Apollo a Delfi, fosse di una tale avvenenza che l’amico di Priamo, scordatosi della sua missione, si innamorò di lui e lo portò con sé a Troia. Per rimediare all'offesa fatta all'oracolo di Delfi, il re elesse Pantoo sacerdote del tempio di Apollo a Troia. Stando ad alcune fonti postomeriche, Pantoo sarebbe stato tra i fautori della restituzione di Elena a Menelao.\n\nNell'Iliade.\nSecondo Omero, egli non prese parte alla guerra di Troia, essendo già avanti negli anni, ma vi combatterono diversi suoi figli fra cui Polidamante (il primogenito), Iperenore, Euforbo. Si presuppone che sua moglie fosse Frontide. Il suo nome viene pronunciato più volte nel discorso fra Euforbo e Menelao prima del loro combattimento nel libro XVII dell'Iliade. Per discendenza spesso ai nomi dei figli viene affiancato il patronimico “Pantoide'.\n\nNell'Eneide.\nPantoo compare in carne e ossa nell'Eneide, unico testo pervenutoci in cui è narrata la sua morte. Nella notte della caduta di Troia è tra i concittadini che Enea cerca di mettere in salvo. Imbattutisi in un gruppo di soldati achei, molti di loro soccombono, Pantoo compreso.
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### Titolo: Papiro di Derveni.\n### Descrizione: Il papiro di Derveni è un papiro macedone antico contenente un trattato di natura religiosa, filosofica e rituale, principalmente sotto forma di un commento a un inno orfico. Datato tra il 340 e il 320 a.C., è il manoscritto più antico rinvenuto in Europa.\n\nStoria.\nI resti del papiro furono rinvenuti semicombusti il 15 gennaio 1962 nella necropoli probabilmente dell'antica località di Lete, scavata nei pressi della località di Derveni, in Macedonia, a circa 10 km da Salonicco. Il papiro è oggi conservato presso il Museo archeologico di Salonicco. Il luogo di ritrovamento del papiro è anche vicino a Pella, il centro dove intorno al 400 a.C. Archelao aveva trasferito la capitale macedone, precedentemente collocata ad Aigai (oggi Verghina).\nIl papiro è stato rinvenuto in una tomba appartenente ad un gruppo di due tombe di notevole rilevanza, affrescate e con corredo sontuoso, probabilmente appartenenti all'alta aristocrazia. Le tombe accoglievano i vasi dove erano state raccolte le ceneri dei defunti dopo la loro cremazione, in accordo con la credenza orfica del corpo inteso come 'tomba' dell'anima. Il papiro, rinvenuto nella tomba A quella tra le due relativamente meno sontuosa, non faceva parte del corredo, anzi risulta semicombusto, rinvenuto insieme ad altri oggetti semicombusti prima dell'apertura della cassa: esso faceva quindi parte dei residui del rogo funerario.\nIn origine, il Papiro doveva essere lungo più di tre metri, scritto su numerose colonne disposte verticalmente, ogni colonna conteneva tra le undici e le sedici righe, composte a loro volta da una decina di parole. Ciò che è stato rinvenuto è probabilmente solo un decimo dello scritto originale. La lingua del testo è in dialetto ionico con elementi in attico. La sua datazione è confermata dalla presenza di una moneta di Filippo II rinvenuta nella tomba B. L'origine orfica del testo è confermata dalla presenza del nome di Orfeo (nella colonna 14 citato per ben due volte).\n\nIl testo.\nIl papiro contiene un inno indirizzato solo agli iniziati (τὴν ἀκοὴν ἁγνεύοντας, lett. i 'puri di udito'), escludendo dalla lettura i profani. L'oggetto del componimento, la cui redazione originale può essere fatta risalire alla fine del V secolo a.C., sono le opere di Zeus, che il dio compì su consiglio della nera Nyx (Notte); gli dèi nacquero da Zeus che udì da Nyx le 'segrete profezie' e quindi inghiotti il 'demone glorioso'. Questo 'demone glorioso', Prōtógonos (Πρωτογόνος ― il 'primogenito'), che primo balzò nell'Etere, aveva generato Gaia e Urano che fu il primo a regnare. Zeus, che deteneva il ruolo di re tra gli dèi, quindi inghiottì Protogono stesso, suo antenato.Da questo momento si assiste a una nuova Cosmogonia generata da Zeus stesso, la prima che precede è quella che ha Nyx come origine:.
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### Titolo: Paride ed Elena.\n### Descrizione: Paride ed Elena è un'opera lirica di Christoph Willibald Gluck su libretto di Ranieri de' Calzabigi rappresentata per la prima volta come Parid und Helena al Burgtheater di Vienna, il 3 novembre 1770. L'opera era dedicata al duca portoghese Giovanni di Braganza. È la terza opera della riforma gluckiana dopo Orfeo ed Euridice e Alceste.\n\nPersonaggi ed interpreti.\nGenesi e temi dell'opera.\nÈ il terzo ed ultimo frutto della collaborazione di Gluck e Ranieri de' Calzabigi e presenta caratteristiche del tutto dissimili dai due precedenti lavori. In Orfeo ed Euridice ed Alceste i caratteri sia dei personaggi che dei valori proposti sono spiccatamente marcati, forti; qui invece questa caratterizzazione forte manca. In tutte e tre le opere si parla di unioni amorose, ma nelle prime due è la fedeltà coniugale il fulcro della vicenda, mentre nell'ultima è l'amore inteso come Eros nella sua massima esaltazione, contrapposto all’Agape, quest'ultimo descritto, in parole povere, come 'amore disinteressato'. Avviene dunque uno spostamento dal tema simbolico al tema umano, forse anche qui con un germe del romanticismo, ma prematuro e appena abbozzato.\nCalzabigi aveva una particolare predilezione per il poeta Ovidio e da questo, e dalla famosa Ars amatoria, aveva ricevuto molta influenza per quest'opera. Nel dettaglio vi era una serie di elegie che egli era convinto fossero opera autentica del poeta, ma sono quasi certamente frutto di altre mani, magari ad esso vicine: si trattava di composizioni che narravano degli scambi epistolari tra Paride ed Elena (infatti uno scambio epistolare avviene anche nel dramma). Inoltre è il personaggio di Paride a risentire più di tutto il resto di questa influenza latina: egli è gaudente e languido, mentre Elena si mostra in termini del tutto opposti, molto più robustamente fiera e portatrice di una stretta moralità dell'epoca romana. Ad un confronto con i caratteri descritti da Omero, questa contrapposizione non si riscontra affatto.\n\nLa prefazione di Gluck.\nCiò viene espresso chiaramente nella prefazione dell'opera, firmata da Gluck (anche se sappiamo che è in realtà Calzabigi a parlare, come per Alceste).\n\nCommento.\nDalle parole dell'autore scopriamo indizi interessanti sulla realizzazione dell'opera. In questa prefazione vi è un riscontro immediato di quella ricerca del “bello” e del “vero” che propugnavano i due autori, espressa a chiare parole:.\nViene poi sottolineata la funzione della musica, che dev'essere controllata dal compositore con grande abilità, a rischio di far continuare la pessima pratica musicale che si cercava di superare. D'altra parte, l'attenzione del musicista per gli arrangiamenti e le sottolineature del testo potevano potenziare davvero la percezione del dramma:.\nInfine troviamo una vera e propria ammissione per quanto riguarda la collocazione, in relazione alle precedenti, di quest'opera, la quale.\nAddirittura vi è una presa di coscienza quasi premonitrice sugli scarsi risultati e sviluppi di quest'ultimo lavoro:.\nNon si riscontrano, quasi per nulla, particolari colorature, ma piuttosto una certa rigorosità benché vi sia una novità, rispetto al passato, che è da notare: l'abolizione dei forme chiuse, il che denota invece una maggiore flessibilità di struttura. L'ouverture anticipa l'atmosfera del dramma, com'è auspicato nella prefazione dell'Alceste, ma impiega anche musica che verrà sentita nel corso dell'opera. Per quanto riguarda i contenuti vi è implicitamente la rappresentazione della bipolarità tra Europa e Asia: la rude barbarie spartana, descritta dalla fermezza del canto di Elena, si contrappone alla bellezza e dolcezza asiatiche, rappresentata dal canto armonioso di Paride.\n\nTrama dell'opera.\nIl taglio è in cinque atti – il che può sicuramente già indicare parte dell'indirizzamento al periodo francese di Gluck – e la vicenda si mostra esile e priva di avvenimenti di rilievo: Paride giunge nel Peloponneso per ottenere, come promesso dalla dea Venere, i favori amorosi della bella Elena, regina di Sparta.\nDa notare che nel dramma Elena è promessa sposa di Menelao e non già moglie: questo accorgimento venne adottato prudentemente dagli autori per non incorrere nella censura dell'imperatrice Maria Teresa che non avrebbe tollerato un'offesa al pubblico pudore tramite l'esaltazione di una storia adulterina.\nAccompagna il racconto, quasi da narratore esterno, il dio Amore, sotto lo pseudonimo di Erasto, che fa da intermediario e accende la scintilla tra i due giovani.\nIn sostanza il dramma narra del corteggiamento di Paride verso Elena, il primo rifiuto di questa e il successivo abbandono alla passione, grazie all'azione di Amore, e l'intervento finale di Pallade – la dea Atena – che preannuncia la guerra e l'incendio di Troia. Oltre a questo l'opera è condita da alcuni balli e interventi del coro: fra questi il balletto nel primo atto che mostra lo sbarco dei troiani e una danza, nel terzo atto, definita nella partitura “Aria per i atleti”, nella quale Elena organizza a palazzo una dimostrazione degli esercizi ginnici degli atleti greci e prega Paride di premiare i migliori. Nella parte che tratta del corteggiamento vi si riscontrano evidenti elementi comici, segno che quel genere stava insinuandosi sempre di più nelle voluttà artistiche degli autori drammatici di quegli anni.\nOccorre rilevare che i personaggi sono tutti interpretati da voci bianche, soprani: nella prima rappresentazione, in particolare, troviamo Katharine Schindler nella parte di Elena, il castrato Giuseppe Millico in quella di Paride e, per i ruoli minori vi erano Teresa Kurz, moglie del comico viennese Kurz-Bernardon, nella parte di Amore-Erasto e Gabriella Tagliaferri in quella di Pallade. Jean-Georges Noverre era il coreografo e Alessio Contini lo scenografo.\n\nDiscografia.\n2005 - Paul McCreesh, Gabrieli Consort and Players - Magdalena Kožená (Paride), Susan Gritton (Elena), Carolyn Sampson (Amore), Gillian Webster (Pallade/Un Trojano) - Deutsche Grammophon Archiv.
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### Titolo: Paride presenta Elena alla corte di re Priamo.\n### Descrizione: Paride presenta Elena alla corte di re Priamo è un dipinto (53x66 cm) firmato I.B.G. in basso a destra, realizzato dal pittore olandese Gerard Hoet.\nIn questo dipinto l'autore rappresenta un momento ben preciso nello svilupparsi della Guerra di Troia: dopo il rapimento, Paride, ritornato in patria, presenta Elena al padre Priamo, re di Troia, ed alla madre Ecuba, in presenza della corte.\nLa scena si svolge all'esterno del palazzo reale, che fa da sfondo ad essa, mentre sulla destra si intravede il mare con alcune navi all'ancora: nel punto focale del quadro si trovano Paride ed Elena in attesa della reazione del re. Paride con il braccio destro spinge gentilmente la donna verso Priamo e con il sinistro conduce lo sguardo dell'osservatore verso le sue navi ferme in porto, presagendo l'imminente arrivo delle navi achee.\nPriamo si precipita fuori, impaziente d'incontrare il figlio, seguito da Ecuba e da tutta la corte.\nOltre ai personaggi principali, Gerard Hoet ha rappresentato un'ampia varietà di figure, con le loro differenti reazioni all'arrivo di Paride. Uomini, donne e bambini di varie età sono ritratti in più posizioni della scena. Tra la ressa dei cortigiani, le emozioni espresse spaziano dalla contentezza ad un sentimento più contenuto o interessato.\nComunque, il dipinto è costruito in modo da guidare lo spettatore verso le due coppie protagoniste, da una parte Paride ed Elena che appaiono nervosi ed in attesa della reazione del re, dall'altra Priamo ed Ecuba, felici ed incuriositi. Anche in questo quadro è espresso il contrasto tra vecchiaia e giovinezza, un contrasto ricorrente nelle opere di Hoet, come ad esempio in Vertumno e Pomona.
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### Titolo: Parnaso.\n### Descrizione: Il Monte Parnàso, o – raramente – Parnasso (dal greco Παρνασσός / Parnassós), è una montagna del centro della Grecia, che domina la città di Delfi.\nParticolarmente venerato durante l'antichità, il Parnaso era consacrato al culto del dio Apollo e alle nove Muse, delle quali era una delle due residenze. Secondo la mitologia greca, su questo monte era situata una fonte sacra alle Muse, la fonte Castalia.\nL'origine del nome è probabilmente pre-ellenica. Da reperti ittiti si è rivelata l'esistenza di un toponimo anatolico comparabile: Parnašša, che pare derivare dall'ittita e dal luvico parna che significa 'casa', 'dimora'. Parrebbe che, in origine, la vetta del Parnaso, come quella dell'Olimpo, sia stata considerata il sacro luogo della ierogamia del cielo (Urano) e della terra (Gaia), essendo noto che il santuario di Delfi era consacrato a Gaia, prima di esserlo ad Apollo.\nNella tradizione classica, i due gioghi in cui il monte si biforca sono chiamati Cirra ed Elicona (o anche Nisa, spesso erroneamente confuso con Pieria, altro monte dove era in uso un simile culto alle Muse), rispettivamente sacri ad Apollo il primo e a Bacco il secondo. Parnaso è caratterizzato tutt'oggi dal suo colorito giallognolo.
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### Titolo: Paro (Grecia).\n### Descrizione: Paro o Paros (in greco Πάρος?, Páros) è una delle più grandi isole dell'arcipelago delle Cicladi, situata nel Mar Egeo, famosa per una particolare varietà di marmo bianco (detta marmo pario) e per essere patria del poeta Archiloco. Dal punto di vista amministrativo costituisce un comune della periferia dell'Egeo Meridionale (unità periferica di Paro). La principale città è Paroikia.\n\nStoria.\nDopo la battaglia di Maratona, conclusasi con la vittoria da parte degli Ateniesi sui Persiani, il comandante greco Milziade ricevette l'incarico di guidare una spedizione per la conquista di Paro. L'assalto però fallì, e lo stesso comandante ne rimase ferito. Per questo, Milziade venne accusato di inganno contro gli Ateniesi, e sottoposto a processo. Il verdetto fu a sfavore del comandante, che venne condannato al pagamento di un'ingente somma. Poco tempo dopo egli morì di gangrena, in seguito alle ferite riportate nello scontro.\nNel XV-XVI secolo rimase sotto la signoria della potente famiglia veneziana dei Venier.\nÈ oggi separata da Nasso, ma unita ad essa nel linguaggio comune sotto il nome di Paronaxia.\n\nAmministrazione.\nIl comune omonimo è formato da Paro e da numerosi isolotti disabitati nei dintorni con una popolazione, al censimento 2001, di 12.853 abitanti.
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### Titolo: Parteno (figlia di Crisotemi).\n### Descrizione: Parteno (in greco antico: Παρθένος?, Parthénos, 'Vergine') è un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nParteno era figlia di Stafilo e Crisotemi e sorella di Emitea (conosciuta anche come Molpadia) e Reo.\nDopo un tentativo di suicidio, lei e Molpadia furono portate da Apollo a Cherson, città dove Parteno divenne una dea locale.Anche Strabone e Stefano di Bisanzio citano una dea oscura di nome Parteno come divinità venerata nelle zone di Cherson nei tempi successivi.Secondo la versione di Igino, il padre era invece Apollo, e dopo la sua morte, fu portata dal dio in cielo, dove divenne la costellazione della Vergine.
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### Titolo: Partenope (sirena).\n### Descrizione: Partenope (in greco antico: Παρθενόπη?; in latino Parthenŏpe) era, nell'antica mitologia greca, una sirena.\n\nIl mito classico.\nSecondo Esiodo, era figlia di Forco, mentre altre fonti indicano che fu generata da Acheloo e la Terra oppure dalla musa Melpomene.\nSecondo la tradizione raccolta nelle Argonautiche orfiche (V secolo d.C.), le tre sirene, Partenope, Ligea e Leucosia, vengono battute nel canto da Orfeo e per la disperazione si buttano in mare, dove vengono trasformate in scogli. Nelle più note Argonautiche di Apollonio Rodio (III secolo a.C.), la loro morte viene attribuita all'insensibilità di Ulisse alla malia del loro canto.\nIn origine le tre sirene erano tre fanciulle, ancelle della dea Persefone e vivevano nell’antica Hipponion (odierna Vibo Valentia). Dopo il rapimento della dea da parte di Ade che la portò nel suo regno per sposarla, le tre fanciulle vennero trasformate in sirene dalla dea Demetra per non aver impedito il rapimento della figlia Persefone. Le tre sirene persa la loro umanità iniziarono ad ammaliare i marinai che passavano lungo la costa vibonese per poi divorarli, fino all’incontro con Ulisse. In tale occasione le sirene non riuscirono nel loro intento e si suicidarono gettandosi in mare per la frustrazione. I loro corpi vengono trasportati dal mare, sicché Ligea finisce a Terina, Leucosia a Posidonia e Partenope alle foci del fiume Sebeto, dove poi i Cumani, con l'espulsione degli oligarchi nell'ambito del clima di stasis presente sotto il tiranno Aristodemo, avrebbero fondato Neapolis.\n\nPartenope e Napoli.\nIl corpo esanime della sirena sarebbe giunto nel luogo in cui oggi sorge Castel dell'Ovo e proprio lì le sarebbe stata dedicata una corsa con le fiaccole, che ogni anno si compiva in suo onore (le cosiddette Lampadedromie). Il Suida, lessicografo bizantino del decimo secolo, ci fa sapere che a Napoli fu eretta una statua della sirena («Νeapolis, urbs Ιtalie celebris, in qua Parthenopes Sirenis statua collocata est»), ma non spiega se ai suoi tempi detto monumento era ancora esistente.\nA Napoli Partenope era venerata come dea protettrice; per esempio, Virgilio utilizzava il suo nome in senso metonimico e, da qui a partire dalla prima età moderna, con storici e cronisti aragonesi e barocchi, la sirena veniva utilizzata come esempio antonomastico della doppiezza della natura dei meridionali o della loro lascivia.\nIl cantante Liberato ha intitolato Partenope una delle sette canzoni che ha pubblicato il 9 maggio 2022. La protagonista del video musicale è una sirena.
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### Titolo: Pasifae.\n### Descrizione: Pasìfae (in greco antico: Πασιφάη?, Pasipháē) è un personaggio della mitologia greca. È la moglie del re di Creta Minosse e la madre del Minotauro.\n\nGenealogia.\nFiglia di Elio e della ninfa oceanina Perseide.\nDal marito Minosse ebbe otto figli: Androgeo, Arianna, Acacallide, Catreo, Deucalione, Fedra, Glauco e Senodice. Fu inoltre anche la madre del Minotauro.\n\nMitologia.\nSecondo la versione più comune del mito, Poseidone inviò a Minosse un bianchissimo toro affinché venisse sacrificato in suo onore. Il re di Creta però non obbedì al dio, ritenendo il dono troppo bello e ne sacrificò un altro al suo posto. La vendetta divina non tardò ad arrivare: nella moglie di Minosse, Pasifae, si sviluppò ben presto una passione così folle per l'animale da spingerla a desiderare ardentemente di unirsi a esso.\nDecisa a soddisfare il proprio impulso mostruoso, la regina chiese aiuto a Dèdalo, rifugiatosi a Creta per sfuggire a una condanna per omicidio, che le costruì una vacca di legno cava, rivestita della pelle dell'esemplare di femmina da lui più amato, nella quale entrare per consumare il rapporto. Il toro, montando la finta vacca, fecondò Pasìfae che diede alla luce il Minotauro.\n\nCulto.\nA Pasìfae era dedicato un culto oracolare in Laconia. Secondo Pausania si trattava non della moglie di Minosse ma di un epiclesi della dea lunare Selene, e da identificarsi anche con Leucotea, mentre Plutarco nel suo Vite parallele sostiene si tratti di una figlia di Atlante, dalla cui unione con Zeus sarebbe nato Ammone.\n\nNelle arti e nella cultura di massa.\nOvidio la cita nel suo Ars amatoria.\nDante la ricorda nella Divina Commedia (Inferno XII, 13; Purgatorio XXVI, 41-42 e 86-87).\nPasifae è anche il soggetto di un dipinto di Jackson Pollock, Pasiphaë (1943 circa).\nPasifae compare nel quarto libro della saga degli Eroi dell'Olimpo.
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### Titolo: Patroclo e Menelao.\n### Descrizione: La scultura Patroclo e Menelao nota anche come Aiace che sorregge il corpo di Achille si trova a Firenze, al centro della Loggia dei Lanzi, in Piazza della Signoria.\nPer lungo tempo si è pensato che il personaggio sorreggente il cadavere di Patroclo fosse Menelao, ma ultimamente è stato ipotizzato che si tratti di Aiace Telamonio. L'opera è comunque basata sull' Iliade di Omero, dove sono descritte l'uccisione di Patroclo ad opera di Ettore e la lotta accesasi fra Achei e Troiani per il possesso del suo cadavere, recuperato poi dai primi.\n\nStoria.\nL'opera, copia romana di un originale greco, fu ritrovata nel Foro di Traiano (ma c'è anche chi dice che venne rinvenuta nei pressi di Porta Portese), molto danneggiata. Pio V ne fece dono a Cosimo I de' Medici, che ne ordinò il trasporto a Firenze nel 1579. Il restauro fu commissionato a Pietro Tacca e a Ludovico Salvetti, i quali lo terminarono, basandosi su una scultura simile che si trovava a Palazzo Pitti e ad una Testa di Menelao, conservata nel Musei Vaticani, risalente al IV secolo a.C.\nLa statua fu completata soprattutto nel dorso del guerriero e nel braccio cadente del morto, oltre ad altre parti minori. Il gruppo fu nuovamente restaurato da Stefano Ricci e, dal 1841, è stato collocato nella Loggia della Signoria.\nQualcuno afferma che la celebre statua di Pasquino a Roma facesse parte di un'altra copia di questo gruppo.\n\nDescrizione.
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### Titolo: Patroclo.\n### Descrizione: Patroclo (in greco antico: Πάτροκλος?, Pátroklos o Πατροκλῆς, Patroklễs, lett. 'la gloria [κλέϝος] del padre [πατήρ]'; in latino Patroclus o Patrocles) è una figura della mitologia greca, tra le più importanti nella guerra di Troia. Figlio di Menezio e di Stenele, indossò le armi del suo amico fraterno Achille quando questi, offeso dal re di Micene Agamennone, che gli aveva sottratto la sua schiava Ippodamia (chiamata anche con il patronimico Briseide), simbolo del valore dimostrato, rifiutò di continuare a combattere contro i Troiani. Presentatosi in battaglia al posto di Achille per dare coraggio agli Achei, Patroclo provocò scompiglio nelle file nemiche, che respinse vittoriosamente, ma venne indebolito dal dio Apollo, ferito da Euforbo e infine ucciso da Ettore. Il desiderio di vendicare Patroclo indusse Achille a riprendere la guerra e a uccidere lo stesso Ettore.\n\nIl mito.\nLe origini.\nLa tradizione più autorevole, sostenuta da Omero, afferma che Patroclo era figlio di Menezio, re di Opunte, nella Locride. Una tradizione erronea, talvolta posta in alternativa a questa prima, attribuisce la paternità dell'eroe ad Eaco. Sua madre pare fosse Stenele, figlia d'Acasto, oppure Piope, figlia di Ferete, oppure Polimela (o Periapide), figlia di Peleo, oppure Filomela, figlia di Attore. Patroclo fu maggiore di Achille per età, ma, al pari di quasi tutte le figure della guerra di Troia, non ne eguagliava le virtù fisiche e belliche.\n\nLa guerra di Troia e la morte.\nCostretto ad abbandonare la sua città, si rifugiò presso Peleo dove conobbe Achille. Patroclo si recò nel palazzo di Tindaro per chiedere la mano di Elena. Secondo una versione al suo ritorno dal palazzo di Tindaro un giorno mentre si divertiva con un 'giocattolo' regalatogli da una guardia di Tindaro, un ragazzo, della presunta medesima età di Patroclo lo avrebbe aggredito per rubarglielo, ma facendo ciò il ragazzo andò a sbattere contro un macigno incontrando la morte. La famiglia del morto incolpò Patroclo richiedendo come riscatto o l'esilio del principe o la sua morte. Menezio, il padre di Patroclo, allora per sprecare meno soldi possibili decise di rinnegarlo come figlio e lo esiliò dal regno, così Patroclo fu 'adottato'/accolto dal piccolo regno del grande sovrano Peleo.\nInsieme all'amante, Achille, si recò alla guerra di Troia, dove si conquistò gloria e rispetto, e quando Achille si ritirò dalla battaglia, Patroclo, indossate le sue armi, si spacciò per il compagno, portando terrore e scompiglio nelle schiere avversarie e ribaltando le sorti della battaglia. Ma non tenne conto del consiglio di Achille, ossia limitarsi a respingere i troiani dall'accampamento acheo, e questo ne causò la fine. In un primo momento Apollo lo stordì, colpendolo due volte e respingendolo alle mura di Troia, che altrimenti avrebbe conquistato, poi Euforbo lo ferì con un colpo di lancia e infine Ettore gli diede il colpo di grazia, trapassandolo con la lancia dalla propria biga.\nSpogliato delle armi, il cadavere di Patroclo fu conteso dai due schieramenti nel corso di una lotta furiosa che si concluse solo con l'arrivo di Achille: al suo grido, i troiani fuggirono in preda al terrore all'interno delle mura della città. Sconvolto dal dolore, Achille decise di tenere il corpo di Patroclo con sè nella sua tenda per poi scatenare la sua ira contro i troiani umiliando Ettore trascinando il suo corpo morto davanti le mura della città di Troia.\nQuando la morte giunse anche per Achille essi vennero bruciati insieme e le loro ceneri furono mischiate insieme.\n\nCarattere di Patroclo.\nNell'Iliade Patroclo è una figura abbastanza particolare: infatti le sue caratteristiche dominanti sono la bontà e la dolcezza, un fatto abbastanza inusuale se si pensa agli altri eroi del poema, come Agamennone, Odisseo, Diomede, Achille, Aiace Oileo, Ettore e Deifobo, tutti piuttosto rudi. Molti personaggi lo lodano, come Briseide, che lo definisce 'sempre dolce', e persino i cavalli di Achille lo piangono, poiché era stato un buon auriga per loro. Un episodio che evidenzia la gentilezza di Patroclo è quello descritto nel libro XVI (versi 1-100), in cui egli corre in lacrime da Achille, dicendo che molti Achei stanno morendo in battaglia e altri sono feriti; si preoccupa, quindi della sorte dei suoi compagni. Inoltre il poeta lo apostrofa spesso, tradendo una certa simpatia per il suo personaggio, come quando gli si rivolge direttamente, citandogli Melanippo e altri troiani da lui uccisi (libro XV, verso 695), prima del suo scontro con Apollo. Tuttavia durante la guerra non mancano momenti di ferocia da parte di Patroclo, come le efferate uccisioni dei troiani Testore e Stenelao.\n\nL'amore tra Patroclo e Achille.\nIl rapporto tra Achille e Patroclo è uno degli elementi chiave dei miti associati alla guerra di Troia: quale sia stata la sua effettiva natura e fino a che punto si sia spinta questa stretta amicizia tra i due eroi è stata oggetto di controversie sia nel periodo antico sia nei tempi moderni.\n\nNella cultura di massa.\nNel film Troy Patroclo appare come cugino di Achille(quando nessuna fonte trovata narra di una loro pura parentela se non per l' 'adozione' di Patroclo da parte di Peleo ma ciò li renderebbe solo fratellastri), che ha per lui una predilezione ma nessun tipo di implicazione amorosa.\nNel film Alexander la storia di Patroclo e Achille è presentata come esempio di relazione omosessuale.\nNel libro La canzone di Achille di Madeline Miller, Patroclo è narratore e protagonista: egli racconta la sua vita trascorsa insieme ad Achille, dal primo incontro fino alla fine, mostrando una relazione d'amore.
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### Titolo: Peana.\n### Descrizione: Il peàna è un canto corale in onore di Apollo, il cui termine è oggi usato per indicare un discorso di esaltazione.\n\nSignificato storico.\nCanto corale in onore di Apollo, il peana veniva intonato con funzione di propiziazione in occasione di sacrifici o di invocazione del dio per ottenerne la protezione o di ringraziamento per la vittoria conseguita.\nVeniva intonato dagli spartani quando muovevano all'attacco del nemico: il ritmo del canto aveva lo scopo di mantenere l'ordine della formazione e di infondere terrore nell'avversario, che sentiva il loro avvicinarsi dal canto che si faceva via via più forte. Vedi, ad esempio, il movimento in battaglia degli Spartani guidati da Brasida, ne 'La guerra del Peloponneso' di Tucidide (scrittore e stratego ateniese). Con il tempo si estese ad altre divinità, tra cui Artemide.\n\nSignificato odierno.\nIl termine è oggi usato per indicare un discorso o uno scritto di vittoria o di esaltazione. Viene spesso usato inoltre per indicare un discorso in cui non sono presenti critiche, ma solo lodi.\n\nEtimologia.\nIl termine deriva dal latino paeāna, che a sua volta viene dal greco παιάν (paián) - in dialetto ionico παιήων (paiéon)- che significa 'colui che guarisce', epiteto di Apollo. In origine, però, tale sarebbe stato il nome di un antico dio guaritore di età micenea, identificato in seguito con Apollo.\n\nAltri progetti.\nWikizionario contiene il lemma di dizionario «peana».\n\nCollegamenti esterni.\n\npeana, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\nEttore Bignone, PEANA, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1935.\n(EN) paean, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Peante.\n### Descrizione: Peante è una figura della mitologia greca, padre di Filottete e figlio di Taumaco il Magnesio. Fece parte degli Argonauti e fu un grandissimo arciere. Noto per aver salvato i compagni uccidendo il gigante di bronzo Talo lanciandogli una freccia nel suo tallone.
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### Titolo: Pederastia tebana.\n### Descrizione: La pederastia tebana era un costume sociale-educativo volto a educare gli adolescenti di classe elevata nell'antica polis di Tebe, capitale regionale della Beozia, alle responsabilità della vita adulta attraverso un rapporto di tipo sentimentale-amoroso con un uomo aristocratico adulto. Si ritiene che questa pratica sia stata introdotta per la prima volta al tempo dell'invasione del Dori da Nord nel 1200-1100 a.C., o in alternativa durante il periodo arcaico (VIII-VII sec a.C.) come derivazione della pederastia cretese.\nQuesta tradizione si riflette in tutte le pieghe della religione greca, come indicato dai molteplici miti greci a sfondo pederastico che la costellano. Infine, venne integrata nella vita militare delle città, sia nella formazione dei soldati che sul campo di battaglia.\n\nMitologia.\nLa pratica, non solo pederastica ma anche pedofila, è presente già in uno dei miti di Tebe, che racconta la vicenda di Laio, futuro padre di Edipo. Questi, innamoratosi del giovane principe Crisippo mentre si trovava ospite del re Pelope, lo rapì con la forza e abusò sessualmente di lui.\nGli dèi, per punire il doppio crimine di tradimento nei confronti del padre di Crisippo e di violenza verso il ragazzino, mandarono una maledizione sull'intera discendenza di Laio; maledizione che arriverà a colpire, in tutta la sua virulenza, anche Edipo e i suoi figli.\nIn quello che sembra un tentativo di sottolineare il reato compiuto da Laio, Euripide, a quanto risulta dai frammenti pervenutici della sua tragedia Crisippo, sceglie di rappresentare la giovane vittima non come un adolescente, così come usava apparire l'eromenos (l'amato) nella ceramica greca, bensì come un bambino. Il racconto tebano di Laio e Crisippo si guadagna così il primato di mito fondativo della pedofilia nell'Antica Grecia continentale.Un altro mito a tema pederastia, sempre proveniente dalla Beozia, è quello riguardante Narciso e Aminia, che doveva avvertire gli adolescenti di non essere eccessivamente crudeli nei loro rifiuti.\nUn eroe pederasta molto onorato a Tebe era infine Iolao, riconosciuto niente meno che come l'eromenos di Eracle. In sua memoria venne eretto un mausoleo, il quale divenne meta di pellegrinaggio da parte degli erastès (gli amanti) che venivano qui a giurare eterna fedeltà ai propri giovani compagni; sempre in questo luogo, gli amanti donavano un'armatura completa ai loro amati quando questi raggiungevano la maggiore età. La tomba esisteva ancora nel II sec. d.C. ed è descritta dettagliatamente da Pausania nella sua opera. Inoltre, in nome dei due eroi amanti venne costruito un doppio gymnasium, in cui si svolgeva un festival annuale di atletica chiamato yolea.\n\nStoria e pratica.\nI legislatori tebani istituirono la pederastia come strumento in certo qual modo educativo per i cittadini: l'obiettivo era quello 'd'ammorbidire, mentre erano ancora giovani, la loro naturale ferocia e temprarne così i costumi'. Senofonte dice che 'è usanza tra i beoti che uomini e ragazzi vivano assieme come fossero persone sposate'. Quando il giovane giungeva all'età richiesta per svolgere il servizio militare (20 anni) il suo amante gli consegnava, come 'regalo d'addio', un'armatura completa.Un legislatore noto per il suo rapporto omoerotico fu un certo Filolao, corinzio di nascita ma che venne a stabilirsi a Tebe mantenendo la relazione omosessuale col proprio amante per la vita intera.Verso la fine del periodo classico della storia tebana, Gorgida, un famoso statista del suo tempo, formò un battaglione militare composto da 150 coppie di uomini con i loro giovani amanti, conosciuto col nome di battaglione sacro degli immortali. Questi guerrieri mantennero la loro fama di invincibilità fino a quando non caddero nella battaglia di Cheronea contro Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno, nel 338 a.C. Costui rimase talmente impressionato dal valore dimostrato dagli amanti guerrieri da voler innalzare loro un tumulo ad imperitura memoria sul luogo del combattimento.\nFonti contemporanee, per lo più ateniesi, suggeriscono che la pederastia fosse più libera a Tebe rispetto alle altre polis greche e per lo più consideravano i tebani come 'bastardi beoti' per i loro modi alquanto 'ruvidi e contadineschi', da bifolchi.Nel Simposio di Platone, il personaggio di Pausania spiega che le regole vigenti a Tebe incoraggiano sempre i ragazzi a soddisfare sessualmente i propri amanti adulti. Moderni studi comparativi suggeriscono però che una tale visione estrema della pederastia tebana possa essere alquanto imprecisa, in quanto frutto di atteggiamenti xenofobi da parte degli scrittori ateniesi.Il poeta Pindaro risulta essere una delle poche fonti primarie riguardanti la pederastia tebana, in quanto lui stesso originario di Tebe. Questi la viene difatti a presentare in un modo un po' più convenzionale, in cui la ginnastica, l'atletica e l'espressione sessuale sono strettamente correlati. Allo stesso modo, i dipinti su ceramica sembrano mostrare una serie di pratiche del tutto simili a quelle che si possono osservare sui vasi ateniesi e corinzi.\n\nPersonaggi famosi.\nIl generale Epaminonda era, secondo Cornelio Nepote, in intimi rapporti con un ragazzo di nome Micitos. Plutarco cita i nomi di due altri suoi eromenos: Asopico, che combatte al suo fianco nella battaglia di Leuttra, e Capisdoros, che cadde assieme al comandante durante la battaglia di Mantinea e col quale venne sepolto.
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### Titolo: Pegaso (mitologia).\n### Descrizione: Pegaso (pronuncia /ˈpɛɡazo/; in greco antico: Πήγασος?, Pḗgasos) è una figura della mitologia greca. È il più famoso dei cavalli alati. Secondo il mito, nacque dal terreno bagnato dal sangue versato quando Perseo tagliò il collo di Medusa. Secondo un'altra versione, Pegaso sarebbe balzato direttamente fuori dal collo tagliato del mostro, insieme a Crisaore.\n\nMitologia.\nAnimale selvaggio e libero, Pegaso viene inizialmente utilizzato da Zeus per trasportare le folgori fino all'Olimpo. Grazie alle briglie avute in dono da Atena, viene successivamente addomesticato da Bellerofonte, che se ne serve come cavalcatura per uccidere la Chimera. Dopo la morte dell'eroe, avvenuta per essere caduto da Pegaso, il cavallo alato ritorna tra gli dei.\nNella famosa gara di canto tra le Muse e le Pieridi, Pegaso aveva colpito con uno zoccolo il monte Elicona, che si era ingigantito fino a minacciare il cielo dopo aver udito il celestiale canto delle dee. Dal punto colpito dallo zoccolo di Pegaso nacque una sorgente, chiamata Ippocrene, o 'sorgente del cavallo' Nello stesso modo, Pegaso fece scaturire una sorgente a Trezene.\nTerminate le sue imprese, Pegaso prende il volo verso la parte più alta del cielo e si trasforma in una nube di stelle scintillanti che hanno formato una costellazione, tuttora chiamata Pegaso.\nCon il nome di Pegaso sono definite numerose figure mitologiche minori, tutte deformazioni del Pegaso greco. Nella letteratura latina, Plinio descrive come Pegasi degli uccelli dell'Etiopia con teste di cavallo. Sempre Plinio descrive sotto lo stesso nome un cavallo dotato di ali e corna. Per Gaio Giulio Solino e Pomponio Mela sarebbe invece un uccello con orecchie di cavallo.\n\nLa cattura di Pegaso.\nPolido disse a Bellerofonte che avrebbe avuto bisogno di Pegaso. Per ottenere i servizi del cavallo alato selvatico, Polido suggerì a Bellerofonte di dormire presso il tempio di Atena. Mentre Bellerofonte dormiva, sognò che Atena metteva una briglia d'oro accanto a lui, dicendo: «Dormi, principe della casa di Aiolo? Vieni, prendi questo incantesimo per il destriero e mostralo al Domatore tuo padre e come sacrificio ponigli un toro bianco». Quando si svegliò trovò effettivamente la briglia d'oro. Per catturarlo Bellerofonte avrebbe dovuto avvicinarsi a Pegaso mentre beveva da una fonte; Polido gli disse quale fonte, ossia quella di Pirene nella cittadella di Corinto, la città di nascita di Bellerofonte.\nAltri racconti dicono che Atena portò Pegaso già domato e imbrigliato, o che fu Poseidone come domatore di cavalli, segretamente il padre di Bellerofonte che gli portò Pegaso, come affermava Pausania.\n\nAlbero genealogico.\nSimbologia.\nL'idea di un cavallo alato è molto antica e proviene dall'Asia Minore. La vitalità e la forza del cavallo, unite alla capacità di volare e quindi di svincolarsi dal peso della gravità fanno di Pegaso un simbolo della vita spirituale del poeta e della sua ispirazione che si eleva indomabile, incurante di qualsiasi ostacolo terreno.\n\nPersonificazione dell'acqua.\nIl legame tra Pegaso e l'acqua è noto da molto tempo poiché alla fine del XII secolo, un mitografo del Vaticano assicura che il nome di Pegaso si applicava a tutti i fiumi perché evoca la velocità della corsa dei cavalli. Nel 1857, Louis-Ferdinand-Alfred Maury accostò Pegaso a 'una personificazione di acqua sorgiva che precipita e muore', come tutti i cavalli dell'antica Grecia. Gli antichi greci simboleggiano l'acqua e le fontane sotto l'emblema del cavallo, motivo per cui questo animale è dedicato a Poseidone che lo ha creato con il suo tridente. Il fulmine, cioè 'l'arma d'oro di Zeus', nasce, come Pegaso, dalle acque fluenti, rappresentate dal sangue di Medusa, e si precipita in cielo.Nel XX secolo, il Dizionario dei Simboli evidenzia questo legame tra Pegaso e l'acqua: il lampo e il tuono che trasporta per Zeus creano le tempeste, quindi la pioggia. È il figlio del dio del mare Poseidone, il suo nome è preso dalla parola 'fonte', è nato alle 'fonti dell'oceano', può creare fonti con uno zoccolo e viene catturato da Bellerofonte mentre beve alla fontana di Pirene (questo episodio presenta una relazione tra la fertilità e l'elevazione). Il libro conclude che è una 'fonte alata' e una 'nuvola che trasporta acqua fertile'.Carl Gustav Jung vede nello zoccolo del cavallo Pegaso 'il dispensatore del fluido fertile', che Jean-Paul Clébert interpreta come il sesso maschile, mentre il ferro di cavallo rappresenta a suo parere la vagina femminile. Il piede di Pegaso, creatore di fonti, avrebbe potuto essere un simbolo dell'atto riproduttivo, fonte di ogni vita.\nIn Le bestiaire divin, Jacques Duchaussoy vede nelle fonti create da Pegaso e dal cavallo Bayard un calcio alle 'fonti di conoscenza spirituale' che finiscono per diventare l'acqua pura destinata a dissetare il pellegrino o il viaggiatore lungo il cammino.\n\nAnalisi del mito di Bellerofonte.\nBellerofonte e Pegaso condividono un'origine comune poiché secondo Pindaro, Poseidone era il padre divino di Bellerofonte. Sono quindi fratellastri. Jacques Desautels aggiunge che l'associazione di Bellerofonte e Pegaso inizia con la storia delle Odi di Pindaro, vicino alla fonte di Pirene a Corinto, mentre l'eroe fa più tentativi per catturare il cavallo alato. Succede solo grazie alle briglie d'oro fornite da Atena.Nella versione della storia di Bellerofonte fornita dall'Iliade, Pegaso non è menzionato. Robert Graves presume tuttavia che l'eroe abbia adempiuto agli altri compiti imposti dopo la morte della Chimera con l'aiuto del cavallo alato. Quindi, secondo lui, Bellerofonte sconfigge le Amazzoni e i Solimi volando lontano sopra di loro, fuori dalla portata delle loro frecce e superando i molti proiettili. Per sconfiggere i pirati di Caria e la guardia reale licia, Bellerofonte non fa appello all'aiuto di Pegaso.\n\nPoseidone e Atena.\nUn altro punto che rileva Jacques Desautels sta nel rapporto tra le divinità Atena e Poseidone con il cavallo nella mitologia greca. Poseidone è associato all'epiteto hippio, 'equestre' o 'equestre', e condivide la sua imprevedibilità con il suo animale preferito che ha creato con un colpo di tridente (questo primo cavallo, apparso alla fondazione di Atene che viene facilmente confuso con Pegaso). È lui che rimane l'unico dio in grado di controllare e dominare i corrieri prima dell'invenzione del morso da parte della sua rivale, Atena, che porta l'epiteto 'al morso' e forse, quindi, sovrapposto a Pegaso. Pertanto, dopo aver donato il morso a Bellerofonte, la dea gli avrebbe chiesto di sacrificare il dio del mare per placarlo, prima di insegnargli l'arte di condurre un cavallo in guerra. La città di Corinto, dove si svolse l'addomesticamento di Pegaso da parte di Bellerofonte, era famosa per il culto di queste due divinità.\n\nAntiche fonti archeologiche.\nI più antichi cavalli alati rappresentati sembrano essere di origine orientale. Appaiono sui sigilli assiri nel XIII secolo a.C., ma in assenza di altri elementi, è impossibile sapere se hanno una qualche relazione con Pegaso. La prima rappresentazione attestata di Pegaso risale al VII secolo a.C.: è una lotta a terra contro la Chimera. Dalla metà del VII secolo a.C., Pegaso è rappresentato in volo, che rimane la regola fino al periodo arcaico, dove è spesso solo a combattere contro la Chimera. Nelle vecchie rappresentazioni può apparire senza ali, il che rende difficile l'identificazione. La sua iconografia potrebbe essere stata influenzata da quella di Ippogallo, creatura ibrida mezzo gallo e mezzo cavallo.Pegaso è rappresentato principalmente da solo, o accompagnato da Bellerofonte che combatte la Chimera, nel qual caso la più classica illustrazione mostra l'eroe in sella, brandendo una lancia di fronte al mostro. Una tradizione dell'era arcaica vuole che l'eroe scenda da cavallo prima di combattere. Troviamo rappresentazioni nell'antica arte greca mettendo in scena la lotta contro la Chimera. Pegaso è rappresentato anche accanto alle Muse, quando è nato da Medusa, catturato vicino alla fontana di Pirene o ancora abbeveratosi da quest'ultima. La Periegesi della Grecia di Pausania attesta che Pegaso era una figura ornamentale nell'antica arte: a Corinto, dove ne avevano reso un culto eroico di Bellerofonte, una statua dell'eroe e il cavallo Pegaso che decorava il tempio di Poseidone. 'La fontana più importante di Corinto' era un Bellerofonte posto vicino ad Artemide, montato su Pegaso, con l'acqua che usciva da uno zoccolo del cavallo.\nIl mito fu ripreso dai Romani che ne fecero delle aggiunte prima dell'ascesa del Cristianesimo, specialmente nel simbolismo psicopompico e nella sua associazione con l'imperatore Augusto. Il cavallo alato è anche l'emblema di diverse legioni romane come Legio II Adiutrix o Legio II Augusta.\n\nNell'arte.\nPerseo uccide Medusa sotto gli occhi di Atena, metopa da Selinunte, 540 a.C., Museo Archeologico di Palermo.\nLe statue gemelle di Pegaso sulla facciata della Stazione di Milano Centrale.\nIl Pegaso è stato spesso usato nel conio delle monete della Locri Epizephirii in Magna Grecia (300 a.C.).
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### Titolo: Pegee.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Pegee sono ninfe che vivono nelle sorgenti e le proteggono. Sono spesso considerati grandi zie degli dei fluviali (Potamoi), stabilendo così una relazione mitologica tra un fiume stesso e le sue sorgenti.\nIl nome sembra derivare dalla cascata di Pegea; le ninfe Pegee furono responsabili del rapimento di Ila nel bel mezzo della spedizione degli Argonauti: una delle ninfe lo prese e lo tirò verso l'acqua per baciarlo, trascinandolo poi nel fiume.
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### Titolo: Pelasgo.\n### Descrizione: Pelasgo (in greco antico: Πελασγός?, Pelasgós) è un personaggio della mitologia greca. È considerato il primo abitante dell'Arcadia ed uno dei primi re.\n\nGenealogia.\nÈ considerato un autoctono dell'Arcadia (oppure un figlio di Zeus e Niobe) ed è il padre di Licaone e di Temeno, avuti da Melibea o da Cillene o Deianira.\n\nMitologia.\nConsiderato il capostipite dei Pelasgi ed uno dei primi abitanti dell'Arcadia, fu anche la prima figura culturale ad introdurre l'utilizzo delle capanne, del vestiario fatto di pellicce di pecora e della nutrizione con foglie e radici, anziché mangiare le ghiande, come era consuetudine nei tempi antichi.\nPer questi motivi gli abitanti del luogo lo elessero re.
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### Titolo: Peleiadi.\n### Descrizione: Nell'antica Grecia, le Peleiadi (colombe), erano le donne consacratesi a Zeus ed alla Dea Madre Dione presso l'Oracolo di Dodona.\nPindaro cantò delle Pleiadi chiamandole 'pelaiades', ovvero paragonando anch'esse ad uno stormo di colombe, ma la connessione sembra dovuta più all'uso di un arguto linguaggio poetico che all'esistenza di un'effettiva relazione sul piano mitologico. Anche il carro di Afrodite era tradizionalmente trainato da uno stormo di colombe.\nNel V secolo a.C. Erodoto sentì parlare di una leggenda relativa ad una colomba nera che avrebbe avuto a che fare con la fondazione dell'Oracolo di Dodona, ma potrebbe semplicemente trattarsi di un tentativo a posteriori di trovare una giustificazione etimologica per il nome di queste sacerdotesse, il cui significato originale era in effetti andato ormai perduto. È tuttavia possibile che la sillaba pel- presente nel nome fosse originariamente collegata con la radice che significa 'nero' od 'oscuro' in nomi come quelli di Peleo o Pelope.
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### Titolo: Peleo.\n### Descrizione: Peleo (in greco antico: Πηλεύς?, Pēléus) è una figura della mitologia greca. Figlio di Eaco, re dell'isola di Egina, il quale era figlio di Zeus, e di Endeide, fu re di Ftia, in Tessaglia, e sposò una Antigone, poi Teti, che gli diede il famoso figlio Achille.\n\nMito.\nGiovinezza.\nPeleo e Telamone erano i fratellastri di Foco, a cui andavano le simpatie del padre Eaco, a causa della sua bellezza e della sua bravura nelle gare atletiche.\nEndeide, temendo che il re scegliesse Foco come erede al trono, convinse i figli ad ucciderlo. Costoro sfidarono quindi Foco a una gara di pentathlon, e il giovane fu colpito a morte da un disco lanciato da Telamone. I due nascosero il corpo di Foco in un bosco, ma Eaco lo trovò e cacciò i fratricidi da Egina. Peleo e Telamone dovettero subire lunghe persecuzioni a causa del loro delitto.\nSecondo Diodoro Siculo e Pausania, invece, il disco che uccide Foco fu lanciato da Peleo, ma per il primo il colpo è accidentale, per il secondo intenzionale.\n\nEsilio.\nTelamone si rifugiò a Salamina e Peleo riparò presso Attore, re di Ftia, il cui figlio, Euritione, lo purificò dall'empio fratricidio (Secondo altre fonti, fu lo stesso Attore a purificare Peleo e gli diede in matrimonio sua figlia Polimela). In seguito sposò Antigone, figlia del re.\nDurante la caccia al cinghiale calidonio, Peleo colpì accidentalmente Euritione uccidendolo. Costretto nuovamente a fuggire arrivò a Iolco e si rifugiò presso il re Acasto. Qui la regina Astidamia si innamorò di Peleo, che però la respinse. Per vendicarsi la donna lo accusò di averla sedotta. Acasto allora lo invitò a caccia presso il monte Pelio, frequentato dai centauri, e, mentre Peleo dormiva, gli sottrasse la spada. Una volta svegliatosi, Peleo si ritrovò disarmato di fronte ai mostri, ma grazie all'intervento di Ermes inviato da Zeus (o di Chirone secondo altre versioni), il quale gli consegnò una spada con poteri divini, riuscì a fuggire. Tornato in città, si vendicò assassinando Acasto e la moglie.\n\nNozze con Teti.\nDopo aver sposato Antigone, figlia di Attore, ed aver partecipato alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, conobbe una nereide di nome Teti (o Tetide). Il loro matrimonio fu celebrato con solennità alla presenza di tutti gli dei, tranne Eris. La dea della discordia, infuriata per essere stata esclusa, intervenne alle nozze lasciando il pomo d'oro, oggetto del giudizio di Paride e origine della guerra di Troia.\n\nDa Teti ebbe sette figli, tra cui Achille. Teti ustionò le parti mortali dei suoi sei figli, li rese immortali e li fece ascendere all'Olimpo uno dopo l'altro. Peleo si intromise quando Teti operò il rito magico sul settimo, rendendo il suo corpo immortale, salvo il tallone, ponendolo sul fuoco e ricoprendolo di ambrosia. L'osso del tallone, leggermente ustionato, non subì la parte finale del rituale. Sdegnata, Teti respinse Peleo e fece ritorno alla sua dimora marina, dando al figlio il nome 'Achille', perché non aveva posato le labbra sul suo seno. Peleo, (secondo altre versioni il centauro Chirone), s'accinse a sostituire l'osso del bambino con quello tratto dallo scheletro del velocissimo gigante Damiso, ma il tallone si rivelò in seguito l'unico punto vulnerabile attraverso cui sarà privato all'affetto del padre.\nLe nozze di Peleo con Tetide sono state un tema figurativo interessante e frequente della iconografia greca. Crateri, coppe e vasi in ceramica sparsi nei vari musei del mondo celebrano questo evento. Un cratere a calice proveniente da Spina, ora al Museo archeologico di Ferrara, e in cui viene raffigurata una scena di questo matrimonio, ha dato il nome a un pittore vascolare della II metà del V secolo a.C., conosciuto appunto come Pittore di Peleo.
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### Titolo: Pelia.\n### Descrizione: Pelia (in greco antico: Πελίας?, Pelíās) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Poseidone e di Tiro e fratello gemello di Neleo.\nSposò Anassibia e da lei ebbe i figli Acasto, Alcesti, Anfinome, Antinoe, Evadne, Hippothoe, Pisidice, Pelopia e Sterope.\n\nMitologia.\nAncora neonato, venne abbandonato con suo fratello su una montagna dalla madre Tiro spaventata dalle angherie della matrigna Sidero. Allevato da un pastore e divenuto adulto, volle vendicarsi della crudeltà subita e uccise Sidero presso l'altare del tempio di Era dove si era rifugiata.\nNeleo lo scacciò a causa del sacrilegio e Pelia si stabilì in Tessaglia, dove divenne re di Iolco.\nUn giorno indisse dei giochi in onore di Poseidone ai quali invitò anche Giasone. Questi arrivò in città senza un calzare, perso attraversando un fiume. Pelia, ricordandosi d'una profezia in cui si dice di diffidare dell'uomo dal piede scalzo, lo inviò alla ricerca del vello d'oro, con l'intento di sbarazzarsi di lui.\nNel frattempo Pelia uccise il proprio fratellastro Esone (padre di Giasone), per consolidare il proprio potere nel regno.\n\nL'assassinio di Pelia.\nGiasone riuscì nell'impresa di tornare in patria con il vello d'oro e con l'aiuto della moglie Medea, trovò il modo di uccidere Pelia. Entrata a Iolco mentre gli Argonauti erano ancora al largo del porto, Medea si presentò a palazzo sotto mentite spoglie, come vecchia mendicante, dopodiché, una volta accolta, cambiò magicamente aspetto e si mostrò qual era in realtà, una giovane e bellissima donna. Poi, rivelatasi come se fosse una maga, mostrò a Pelia un metodo per ringiovanire magicamente e prese un ariete, lo fece a pezzi e lo mise in un pentolone bollente da cui uscì un agnello.\nPelia entusiasta volle sottoporsi allo stesso trattamento. Medea lo fece addormentare e convinse quindi le figlie presenti al palazzo, Evadne e Anfinome, a farlo a pezzi e metterlo a bollire nel calderone. Queste convinte eseguirono risolutamente la procedura; una volta fatto a pezzi Pelia, Medea disse loro di andare in cima al palazzo a invocare la divinità agitando delle fiaccole, per propiziare il buon esito dell'incantesimo. Questo gesto servì in realtà come segnale per Giasone, che aspettava ancora al largo, che la nave potesse entrare in porto, perché Pelia era morto. Medea infatti fece in modo che Pelia non resuscitasse.\nAcasto sostituì il padre Pelia sul trono, organizzò in suo onore dei giochi ginnici e bandì Giasone e Medea, nonché le sorelle parricide da Iolco.\nLa vicenda di Neleo, Pelia e Tiro è alla base di un'opera letteraria latina di cui non ci restano che pochi frammenti, il Carmen Nelei.
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### Titolo: Pelope.\n### Descrizione: Pelope (in greco antico: Πέλοψ?, Pèlops) è una figura della mitologia greca. Egli era figlio di Tantalo e Dione. Il suo dominio si estese a tutta la penisola greca, che da lui prese il nome di Peloponneso (Πέλοπος Pélopos + νῆσος nḕsos, l'isola di Pelope); egli fu, inoltre, fondatore dei giochi olimpici e signore della città greca di Pisa.\n\nIl mito.\nLe origini.\nTantalo, figlio di Zeus, per provare l'onniscienza degli dei li invitò a un banchetto in cui offrì loro le carni del giovane figlio Pelope. Essendosi accorti del macabro inganno, tutti i celesti allontanarono i piatti, eccetto Demetra che, sconvolta dalla perdita della figlia Persefone, non vi badò e si cibò di una spalla. Dopo aver punito Tantalo – condannandolo ad avere per sempre nel Tartaro una fame e una sete impossibili da placare – gli dei resuscitarono Pelope, fornendogli una spalla d'avorio, creata da Efesto. Secondo altri autori Pelope era nato con quella malformazione e dopo essere stato assassinato, Rea, la divinità della terra gli diede con un soffio nuovamente la vita. Secondo un'altra versione, al banchetto indetto dal padre Tantalo, al quale partecipavano anche gli dei, Poseidone vedendo Pelope se ne innamorò, portandolo con sé sull'Olimpo. A causa della colpa del padre venne però rispedito sulla terra.\n\nLa gara.\nPelope, inizialmente viveva nella terra lasciata dal padre, la Paflagonia, dove governava con giustizia sia la Frigia sia la Lidia. Costretto da un'invasione di barbari, intraprese un viaggio attraverso la Grecia alla ricerca di un regno da governare. Giunse quindi alla corte del re Enomao. Questi, re di Pisa (in Elide) e figlio del dio Ares, non aveva mai acconsentito a concedere la mano della figlia Ippodamia ai giovani che la corteggiavano perché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto per mano del proprio genero. Enomao possedeva dei cavalli divini, Psilla (pulce) e Arpinna (razziatrice), perciò, sapendo di non poter essere mai battuto, proponeva ai pretendenti della figlia di gareggiare con lui in una corsa di carri: se avessero vinto, avrebbero sposato Ippodamia; in caso contrario sarebbero stati uccisi. Già tredici giovani avevano perso la vita (Pausania elenca diciotto nomi). Quando Pelope arrivò a Pisa con un carro leggerissimo munito di cavalli alati datigli da Poseidone, vide Ippodamia e se ne innamorò.\nTerrorizzato però dalla vista delle teste inchiodate alle porte del palazzo d'Enomao e mozzate agli sfortunati pretendenti, decise di vincere la gara slealmente: corruppe Mirtilo (figlio di Hermes, auriga del sovrano e anch'egli infatuato di Ippodamia), promettendogli che non appena avesse vinto la corsa, gli avrebbe permesso di passare una notte con la principessa.\nMirtilo, accettando l'offerta di Pelope, tolse i perni degli assali del carro di Enomao e li sostituì con dei pezzi di cera; durante la corsa le ruote si staccarono, il carro si rovesciò e Enomao morì. Successivamente Pelope, certamente geloso dell'amore d'Ippodamia, annegò l'auriga che, in punto di morte e invocando Ermes, maledisse l'usurpatore e tutta la sua discendenza. Pelope, diventato re, accumulò sì ricchezze e onori ma fu causa della rovina dei suoi figli (Atreo e Tieste) e della sua intera stirpe; e questo nonostante avesse tentato di procurarsi i favori di Zeus istituendo le Olimpiadi. L'auriga di Pelope era Cilla.\n\nI figli di Pelope.\nPer placare l'ira di Hermes, Pelope eresse subito un tempio per onorarlo e, tentando di soffocare il rimorso della propria coscienza tributò onori eroici a Mirtilo, dando onori anche ai tanti morti che avevano sfidato Enomao e avevano perso.\nDalla moglie Ippodamia ebbe venti figli, tra cui Pitteo, Alcatoo, Atreo, Tieste, Ippalco, Copreo, Scirone, Trezene, Ippalcimo, Cleonte e Lisidice.\nDalla ninfa Astioche ebbe invece Crisippo.\n\nIl culto di Pelope.\nLe sue ossa sono conservate in un santuario del Peloponneso; il suo culto fu praticato a lungo, venendogli ogni anno sacrificato un ariete nero; inoltre i giovani partecipanti al rito si flagellavano offrendo a Pelope il proprio sangue.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nIl mito di Pelope riassume in sé diversi leit-motiv della mitologia classica. Per evidenziarne solo alcuni: il mondo dei semidei (cui suo padre appartenne) che vive in maniera congiunta tra uomini e immortali, l'amore pederastico tra una divinità e un fanciullo (per la variante che include l'infatuazione di Poseidone: cf. Ganimede), la colpa da espiare, e infine, che è poi il nodo centrale della storia e il motivo per il quale l'eroe era ricordato nella Grecia antica, la fondazione delle corse equestri e, per antonomasia, dei giochi stessi di Olimpia.\nNella iconografia classica Pelope è raffigurato sempre in relazione alla gara sul carro, qualche volta in compagnia di Ippodamia. Una sua statua a Olimpia, nel tempio di Zeus, lo presentava nudo mentre si accingeva a gareggiare. Una sua effigie era posta anche sul frontone del suddetto tempio.\nLa spalla d'avorio era in realtà il simbolo della sua regalità, tanto che successivamente venne identificata con uno scettro usato dai discendenti di Pelope, sino a Agamennone.Pelope viene chiamato nei miti anche Cromio e si presuppone che sia il progenitore di tutti gli Achei.
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### Titolo: Peneleo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Peneleo o Penelo (in greco antico: Πηνελέως?, Pēneléōs), figlio di Ippalcimo, era uno degli Argonauti, che in seguito prese parte alla guerra di Troia, come comandante dei Beoti. Compare sia nell'Iliade sia nell'Eneide.\n\nIl mito.\nGli Argonauti.\nQuando Giasone, incaricato del recupero del vello d'oro, inviò gli araldi a chiedere aiuto a tutti gli eroi dell'epoca, per salpare con lui con la nave Argo per la Colchide, uno degli eroi che risposero all'appello fu il prode Peneleo. Egli non si distinse nelle varie avventure, ma riuscì a finirle in vita, ritornando vittorioso.\n\nLa reggenza di Tebe e la guerra di Troia.\nAlla morte del re Tebe Tersandro, ucciso da Telefo, il comando di tutte le truppe beote passò nelle mani di Peneleo, in quanto reggente del giovane Tisameno, figlio di Tersandro. Essendo stato tra i pretendenti alla mano di Elena, Peneleo partecipò all'assedio di Troia dopo che la donna venne rapita dal principe troiano Paride. Nei combattimenti egli si distinse uccidendo barbaramente Ilioneo e Licone; venne poi gravemente ferito da Polidamante. Durante la presa di Troia, Peneleo colpì a morte il giovane principe frigio Corebo, e il figlio di Telefo, Euripilo; secondo altre tradizioni, fu ucciso da quest'ultimo.\n\nDiscendenza.\nPeneleo ebbe per figlio Ofelte, e il figlio di quest'ultimo, Damasittone, divenne re di Tebe.\n\nOpere antiche.\nIgino, Fabulae.\nOmero, Iliade.\nVirgilio, Eneide.\nOvidio, Metamorfosi.\nPseudo-Apollodoro, Libro III.\nDiodoro Siculo, Libro IV.\nPausania, Libro IX.
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### Titolo: Penelope.\n### Descrizione: Penelope (in greco antico: Πηνελόπεια, -ας?, Pēnelópeia, -as, poi Πηνελόπη, -ης; in latino Pēnĕlŏpe, -es) è una figura della mitologia greca, figlia di Icario e di Policaste (o di Peribea), moglie di Ulisse (Odisseo), regina di Itaca, madre di Telemaco, Poliporte e Arcesilao. Discendeva da parte di padre dal grande eroe Perseo (Icario era suo nipote) ed era cugina di Elena. Prende il nome da un mito riguardante la sua infanzia: quando nacque fu gettata in mare per ordine del padre e venne salvata da alcune anatre che, tenendola a galla, la portarono verso la spiaggia più vicina. Dopo questo evento, i genitori la ripresero con loro e le diedero il nome di Penelope (che significa appunto 'anatra'). Tuttavia per alcuni il nome è connesso all'evento della tela che la vide protagonista nell'Odissea (dal gr. pēné, tela).\nAttese per vent'anni il ritorno di Ulisse, partito per la guerra di Troia e disperso nel ritorno, crescendo da sola il piccolo Telemaco e evitando di scegliere uno tra i proci, nobili pretendenti alla sua mano, anche grazie al famoso stratagemma della tela: di giorno tesseva il sudario per Laerte, padre di Ulisse, mentre di notte lo disfaceva. Avendo promesso ai Proci che avrebbe scelto il futuro marito al termine del lavoro, rimandava all'infinito il momento della scelta. L'astuzia di Penelope, tuttavia, durò meno di quattro anni a causa di un'ancella traditrice che riferì ai proci l'inganno della regina. Alla fine, Ulisse tornò, uccise i proci e si ricongiunse con la moglie. Tornato nuovamente a casa dopo l'estremo viaggio, Ulisse poté nuovamente godere della moglie e secondo una versione la rese incinta di altri due figli: Poliporte e Arcesilao.\nNella Telegonia, opera che concludeva il ciclo troiano di cui sono rimasti pochissimi versi ed il riassunto in Proclo, Penelope, dopo la morte di Odisseo per mano di Telegono (figlio di Odisseo e Circe, che non lo aveva riconosciuto), sposa Telegono, mentre Telemaco sposa Circe.\n\nLa simbologia di Penelope.\nPenelope è il simbolo per antonomasia della fedeltà coniugale femminile, contrapposta ad Elena di Troia. La sua astuzia con i Proci e la sua prudenza, che si spinge fino a tentare di ingannare Ulisse su una particolare caratteristica del letto nuziale, ne fa una degna compagna dell'eroe prediletto da Atena. La posizione anomala di potere di Penelope, che governa da regina l'isola di Itaca in assenza del marito e ha il potere di scegliersi il nuovo sposo tra i giovani e nobili pretendenti, è l'eco di un antico matriarcato, di cui restano tracce anche nella civiltà minoica.\n\nLa tela di Penelope.\nLa tela di Penelope fu un celebre stratagemma, narrato nell'Odissea, creato da Penelope, che per non addivenire a nuove nozze, stante la prolungata assenza da Itaca del marito Ulisse, aveva subordinato la scelta del pretendente all'ultimazione di quello che avrebbe dovuto essere il sudario di Laerte, padre di Ulisse. Per impedire che ciò accadesse la notte disfaceva ciò che tesseva durante il giorno. Tutt'oggi si cita la tela di Penelope per riferirsi ad un lavoro buono nelle intenzioni ma 'impossibile', che non potrà mai avere termine perché ogni volta ricomincia dall'inizio.\n\nPareri secondari.\nNon tutte le versioni sostengono la castità e la fedeltà di Penelope verso il marito; secondo alcune leggende la donna amò il dio Ermes, con il quale condivise il suo letto e dal quale fu addirittura resa incinta, concependo il dio Pan; un'altra versione sostiene invece che cedette al proco Anfinomo.\nNella stessa Odissea, infatti, Penelope ha un comportamento ambiguo nei confronti dei proci: secondo un'interpretazione, desiderosa di risposarsi non prende questa decisione perché teme il giudizio del popolo. Nell'epitome della Biblioteca di Apollodoro è riportato che Ulisse, tornato in possesso di Itaca, rispedisce la moglie dal padre Icario perché si era fatta sedurre da Antinoo, uno dei proci.\n\nInfluenza culturale.\nPer Dante Alighieri neppure l'amore di Penelope trattenne Ulisse dal folle viaggio oltre le colonne d'Ercole, descritto nel famoso canto dell'Inferno nella Divina Commedia. Boccaccio non crede alle sue infedeltà e la inserisce tra le donne famose nel suo De mulieribus claris.\nA Penelope è intitolato il cratere Penelope su Teti.
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### Titolo: Peone (divinità).\n### Descrizione: Peone. Antica divinità greca, il cui nome compare già nei testi micenei in lineare B; nella mitologia greca divenne il medico degli dei dell'Olimpo e fu identificato con Apollo o Asclepio. Nel canto V dell’Iliade curò Ade, attaccato da Eracle, e le ferite di Ares procurategli da Diomede. Secondo Plinio, è il creatore del fiore di Peonia, una pianta in grado di curare gravi ferite e malattie.
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### Titolo: Periclimeno (argonauta).\n### Descrizione: Periclimeno (in greco Περικλύμενος?) è un personaggio della letteratura greca antica.\nCompare nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, come partecipe della spedizione argonautica alla ricerca del vello d'oro.\n\nNella mitologia.\nPericlimeno, figlio di Neleo e di Clori, aveva ricevuto da Poseidone la capacità di assumere la forma di qualsiasi animale.\nQuando Eracle devastò Pilo, Periclimeno si trasformò in un'ape, in una formica, in una mosca, in un montone, in un serpente ed infine in un'aquila per sfuggire alla sua ira, ma lui lo colpì con una freccia e lo uccise.Secondo Pausania tra i suoi discendenti ci sono Ergino e Pentilo.
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### Titolo: Periclimeno (tebano).\n### Descrizione: Periclimeno (in greco Περικλύμενος, Periklimenos) era un personaggio della mitologia greca che partecipò alla guerra dei Sette contro Tebe.\nFu lui, secondo alcune fonti, ad uccidere Partenopeo. Inseguì inoltre Anfiarao che però, per volere di Zeus, fu inghiottito dalla terra.
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### Titolo: Perifante (re dell'Attica).\n### Descrizione: Perifante (in greco antico: Περίφᾱς?, Períphās) è un personaggio della mitologia greca, un leggendario re dell'Attica che Zeus trasformò in un'aquila.\n\nMitologia.\nOltre a un riferimento di passaggio nelle Metamorfosi di Ovidio, l'unica fonte conosciuta per questa storia è del II secolo d.C. oppure nelle successive Metamorfosi di Antonino Liberale.\nUn tempo prima di Cecrope, che per la tradizione fu il primo re di Atene, dalla terra nacque autoctono Perifante che regnò sull'Attica.\nEra un sacerdote devoto ad Apollo ed al quale faceva molti sacrifici. Era un re giusto ed al di sopra di ogni rimprovero, il suo governo era accettato di buon grado da tutti ed i suoi giudizi onesti erano sempre numerosi.\nEra così amato dal suo popolo che cominciarono a tributargli gli onori che di solito appartenevano solo a Zeus, e costruirono templi dedicati a lui ed a chiamarlo 'Zeus Salvatore' o 'Sovrintendente di Tutti' ed anche 'Grazioso', ma tutto questo fece arrabbiare il dio Zeus.\nZeus era determinato a colpire Perifante con un fulmine ed a divorarlo nel fuoco con tutta la sua casa, ma poiché Perifante era stato così fedele, Apollo intervenne in sua difesa e Zeus fu d'accordo.\nCosì Zeus non lo uccise ma scese nella sua casa e trovandolo assieme alla moglie Fene lo trasformò in un'aquila mentre a lei, che lo supplicò di potergli stare ancora vicino, la tramutò in un avvoltoio.\nE Zeus fece di Perifante il re di tutti gli uccelli e lo mise a guardia del suo sacro scettro, mentre a Fene, l'avvoltoio, concesse di diventare un buon auspicio per gli uomini.
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### Titolo: Perifete (figlio di Anticlea).\n### Descrizione: Perifete è un personaggio della mitologia greca, figlio di Efesto o di Poseidone e di Anticlea. Era anche detto Corunete per la sua grossa clava di bronzo che utilizzava per uccidere le sue vittime, che il più delle volte aggrediva alle spalle.\nNei dintorni di Epidauro incontra Teseo, che lo uccide con la sua stessa clava che poi conserverà e diventerà anche una delle sue armi preferite.
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### Titolo: Perifete (guerriero troiano).\n### Descrizione: Perifete, (in greco Περιφήτης), personaggio dell'Iliade (XIV, v. 515), fu un guerriero troiano.\nPerifete fu ucciso da Teucro nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus.
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### Titolo: Perito (leggenda).\n### Descrizione: I pèriti sono creature immaginarie descritte da Jorge Luis Borges come abitanti di Atlantide dall'aspetto di grandi uccelli dal piumaggio verde scuro (o azzurro) con la testa di cervo.\nQuando si mettono alla luce del sole, però, non proiettano quella che dovrebbe essere la loro ombra, ma quella di un essere umano. Per questo motivo si pensava che i pèriti fossero le anime di uomini morti senza la protezione degli dei. Per riacquistare il favore divino uccidono un uomo ciascuno, riacquistando la propria vera ombra, e si rotolano nel sangue della vittima per poi fuggire in alto. A volte si nutrono di terra secca e sono soliti volare a stormi.\nSecondo Borges, che dedica loro una voce del suo Manuale di zoologia fantastica, avrebbero un giorno distrutto i Romani stando a un perduto oracolo della Sibilla Eritrea (non riportato nei Libri sibillini); inoltre, sempre secondo Borges, sarebbero stati descritti da un autore arabo la cui opera bruciò nell'incendio della Biblioteca di Alessandria e da 'un rabbino di Fez (indubbiamente Aaron ben Chaim)', che avrebbe citato il primo in un documento conservato all'università di Monaco e poi distrutto 'in un bombardamento o per via dei nazisti'.\nIl termine è del tutto sconosciuto nelle fonti dell'antichità classica e, sulla base delle sue caratteristiche morfologiche e tematiche, si dovrebbe concludere che, se non si tratta di un'invenzione totalmente moderna, non ha comunque un'origine più antica del periodo medievale.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Perito.
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### Titolo: Persefone.\n### Descrizione: Persefone (in greco antico: Περσεφόνη?, Persephónē), detta anche Kore (Κόρη, giovinetta), Kora, o Core, è una figura della mitologia greca, fondamentale nei Misteri eleusini, entrata in quella romana come Proserpina. Essendo la sposa di Ade, era la dea minore degli Inferi e regina dell'oltretomba.\nSecondo il mito principale, nei sei mesi dell'anno (Autunno e Inverno) che passava nel regno dei morti, Persefone svolgeva la stessa funzione del suo consorte Ade, cioè governare su tutto l'oltretomba; negli altri sei mesi (Primavera ed Estate) ella andava sulla Terra da sua madre Demetra, facendo rifiorire la terra al suo passaggio.\n\nIl mito di Persefone.\nPersefone era figlia di Demetra e Zeus, o, secondo un'altra leggenda, di Zeus e della dea omonima del fiume infernale Stige. Venne rapita da Ade, dio dell'oltretomba (la tradizione associa diverse località al rapimento: Eleusi, Ermione, Feneo, Cnosso, Hipponion (Vibo Valentia), Enna e Siracusa). Mentre raccoglieva dei fiori nella piana di Nysa insieme alle sue compagne, figlie di Oceano, dal prato fiorito spuntò un narciso di straordinaria bellezza. Persefone, immersa in un sacro stupore (θαμβήσας), protese le mani per raccogliere il meraviglioso fiore. Dalla base del narciso si aprì una voragine da cui emerse il re dei morti, Ade, che la portò via negli inferi per sposarla, ancora fanciulla, contro la sua volontà. Una volta negli inferi le venne offerta della frutta: ella mangiò senza appetito solo sei arili di melagrana. Ignorava però che chi mangia i frutti degli inferi è costretto a rimanervi per l'eternità.\nIl significato del melograno può certamente rimandare al matrimonio e alla fertilità. Secondo altre interpretazioni, il frutto che nel mito stabilisce il contatto con il regno dell'oltretomba non è il melograno ma, a causa delle sue virtù narcotiche e psicotrope, l'oppio, la cui capsula, a parte le minori dimensioni, è straordinariamente simile proprio al frutto del melograno.\n\nLa ricerca di Demetra e il ritorno (periodico) di Persefone.\nLa madre Demetra, dea della fertilità e dell'agricoltura, che prima di questo episodio procurava agli uomini interi anni di bel tempo e di raccolti, reagì disperata al rapimento, impedendo la crescita delle messi, scatenando un inverno duro che sembrava non avere mai fine. Furente nei confronti di Zeus, Demetra rifiutò quindi di tornare sull'Olimpo e, trasformatasi in una vecchia, si recò a Eleusi in Attica, dove venne accolta dal re Celeo.\nCon l'intervento di Zeus si arrivò a un accordo, per cui, visto che Persefone non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe rimasta nell'oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell'anno. Così Persefone avrebbe trascorso sei mesi con il marito negli inferi e sei mesi con la madre sulla terra. Demetra allora accoglieva con gioia il periodico ritorno di Persefone sulla Terra, facendo rifiorire la natura in primavera e in estate.\nSe si suppone che Persefone sia rimasta con Ade per quattro mesi e con Demetra per otto mesi, corrispondenti agli otto mesi di crescita e abbondanza per essere seguiti da quattro mesi di assenza di produttività, si può vedere il parallelo con il clima mediterraneo dell'antica Grecia. I quattro mesi durante i quali Persefone è con Ade corrispondono alla secca estate greca, un periodo durante il quale le piante sono minacciate di siccità. All'inizio dell'autunno, quando i semi sono piantati, Persefone ritorna dagli inferi e si riunisce con sua madre, e il ciclo di crescita ricomincia.\n\nQuesta lettura del rituale, tuttavia, non quadra con il documento centrale di fondazione del mistero, l'Inno omerico a Demetra, verso 415, in cui si dice esplicitamente che Persefone ritorna nella primavera dell'anno, non nella caduta: «Questo fu il giorno [del ritorno di Persefone], proprio all'inizio della generosa primavera.».\nLa rappresentazione del suo ritorno in terra era locata presso i prati di Enna (in Sicilia), celebri per i fiori dai colori sgargianti e per la loro bellezza. Un elemento supplementare della vicenda consiste nel fatto che Demetra non seppe che la figlia aveva mangiato il melograno, finché non fu un giardiniere dell'Oltretomba, Ascalafo, a rivelarlo: vuoi che Persefone avesse mangiato di sua volontà, vuoi che fosse stata persuasa da Ade, in questo modo Demetra perse la possibilità di avere la figlia con sé tutto il tempo, e castigò Ascalafo trasformandolo in un barbagianni.\nPersefone contese ad Afrodite il bell'Adone, riuscendo a trascinare la questione fin davanti a Zeus che preferì, per non scontentare nessuno, affidarlo separatamente a entrambe, in modo simile alla permanenza di Persefone stessa che era divisa fra gli dei dell'Olimpo e l'Ade.\nUna tradizione diversa faceva di Persefone una figlia di Zeus e di Stige. Fu generata dal dio dopo la sconfitta dei Titani, avvenuta durante la Titanomachia.\nNella mitologia romana a Persefone corrispondeva Proserpina e a sua madre Demetra la dea Cerere, al cui culto era preposto un flamine minore.\nVi sono comunque altre versioni della leggenda. Secondo una di queste è Ecate a salvare Persefone. Una delle più diffuse dice che Persefone non fu indotta a mangiare i sei semi con l'inganno, ma lo fece volontariamente perché si era affezionata ad Ade.\nIl mito di Persefone trae alcuni suoi elementi dalla mitologia mesopotamica, riassunti ne la Discesa di Inanna negli Inferi. In tale opera Inanna, recatasi nel Kurnugea (gli inferi sumeri) per recare le condoglianze alla sorella Ereshkigal, vi rimane intrappolata. Grazie a un sotterfugio riesce a tornare in superficie ma, in un momento d'ira nel trovare Dumuzi, il suo compagno, intento a oziare e non a preoccuparsi per la sua assenza, lo condanna a prendere il suo posto. Dumuzi riesce a fuggire dalla sorella Geshtinanna la quale si offre per passare sei mesi dell'anno negli inferi al posto suo. Dato che Dumizil e Geshtinanna erano considerati le divinità del malto e della vite, il mito spiega l'alternanza delle stagioni e fa riferimento ai diversi periodi di raccolta e produzione rispettivamente della birra e del vino.\n\nFigli di Persefone.\nNella tradizione orfica e in quella dei misteri eleusini, Persefone è madre di alcuni figli, in genere avuti da Zeus, ma in qualche caso anche dal marito Ade (da notare che le due divinità nella tradizione orfica venivano assimilate); in tali tradizioni i figli di Persefone sono Dioniso, Iacco, Melinoe, Zagreo, e in alcune versioni Pluto e le Erinni.\n\nCulto in Italia.\nIl maggiore culto nel mondo greco fuori dalla Grecia continentale era localizzato a Catania, come testimoniato da Cicerone nelle Verrine, e in Calabria.Nel centro storico di Catania è venuto alla luce il più esteso deposito votivo greco esistente. Nel quartiere di Cibali, a nord della città, era presente una grotta da cui si diceva che fosse fuoriuscito il dio Ade per rapire la fanciulla Persefone. Tale cavità, talora identificata con la Grotta di San Giovanni nel quartiere di Galermo, è andata perduta.\nIl mito di Demetra e Kore è strettamente legato al territorio di Enna e in particolare alla sua frazione del lago Pergusa. Diversi santuari di notevole importanza sono stati ritrovati all'interno dell'area archeologica di Morgantina, sita in Aidone, mentre a Enna si può ammirare la 'Rocca di Cerere'.Testimonianze magno-greche del culto dedicato a Persefone sono, senza dubbio, i molti reperti rinvenuti nell'area di Reggio Calabria, soprattutto presso gli scavi di Locri Epizefiri, dei quali uno smisurato numero di pinakes (tavolette votive in terracotta) è custodito al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria e nel Museo nazionale di Locri.\nI pinakes calabresi di Locri Epizefiri rappresentano una delle produzioni artistiche numericamente più consistenti dell'arte magnogreca, nonché una testimonianza unica di un complesso di devozione popolare. La produzione di un numero così cospicuo di esemplari in un torno di tempo piuttosto limitato lascia supporre che i pinakes costituissero il dono prediletto dei fedeli alla divinità.\nIl soggetto più ricorrente tra i frammenti conservati è proprio il ratto di Kore. Kore, “la fanciulla”, è l'epiteto che i poeti greci riservano a Persefone quando costei è ancora la giovane e innocente figlia di Demetra, prima che Ade la rapisca facendone la propria sposa. Le tavolette di Locri riproducono uno schema grossomodo fisso a cui ricorrono centinaia di rappresentazioni figurative greche: Ade, rappresentato come un uomo adulto dalla lunga barba, afferra per la vita la fanciulla riluttante caricandola di peso sul suo carro trainato da cavalli alati.\nBen altra atmosfera domina un altro consistente gruppo di pinakes, in cui la coppia divina siede in trono pacificata e celebra la propria hierogamia, le proprie nozze sacre. Talvolta la dea è raffigurata da sola, seduta in trono in atteggiamento maestoso, segno della sua preminenza nella devozione dei locresi.\nPiù discussa è invece la natura delle scene raffigurate negli altri gruppi. Un nucleo consistente di tavolette ha per soggetto delle giovani donne impegnate nella preparazione di un complesso cerimoniale; mentre un gruppo apparentemente a sé stante è poi quello costituito dai pinakes in cui una figura femminile seduta solleva il coperchio di una cesta nella quale giace un bambino. L'archeologa Paola Zancani Montuoro identifica la protagonista di questa scena con la stessa Persefone e colloca i pinakes di questo gruppo all'ideale punto di arrivo di un racconto mitico di cui le singole scene riprodurrebbero le diverse sequenze. Secondo la studiosa, infatti, i pinakes locresi costituiscono un ciclo unitario che narra la leggenda di Kore-Persefone, “che si compendia nel trasformarsi della fanciulla per antonomasia nella donna e dea sovrana del mondo sconosciuto ai sensi”. La violenza del ratto sarebbe dunque preliminare, attraverso il passaggio per le cerimonie di preparazione alle nozze, al compimento della theogamia e all'insediamento di Persefone sul trono degli inferi.Secondo lo storico Diodoro Siculo, uno dei più famosi santuari d'Italia dedicato alla dea Persefone, il Persephoneion, si trovava proprio in Calabria, a Locri Epizefiri. La sua scoperta e la conseguente collocazione ai piedi del colle della Mannella si devono all'archeologo Paolo Orsi che portò a compimento nella zona, tra il 1908 ed il 1911, una minuziosa serie di scavi ed esplorazioni che gli permisero di fugare ogni possibile dubbio sulla reale origine delle strutture e degli straordinari reperti riportati alla luce. Si tratta propriamente di un temenos, ovvero di un recinto sacro senza un vero e proprio edificio templare, frequentato almeno dal VII secolo a.C. e con particolare intensità nel VI secolo a.C. e nella prima metà del V secolo a.C. A questo lasso di tempo appartiene infatti la maggior parte dei materiali votivi restituiti dagli scavi.\nLa magnifica Statua di Persefone esposta oggi all'Altes Museum di Berlino, fu rinvenuta a Taranto, in Via Duca degli Abruzzi (n. 73), e dalla città trafugata nel 1912. Secondo alcuni studiosi, tra cui l'archeologo Paolo Orsi, il professore Vincenzo Casagrandi e gli scrittori Gaudio Incorpora, Adriano Scarmozzino e Giuseppe Macrì, sarebbe stata invece ritrovata, per la prima volta, nei primi del '900 da un contadino in una vigna del territorio di Locri, in Calabria, e in seguito fu segretamente trasportata a Taranto. A Taranto, dopo varie vicissitudini, fu acquistata dal Governo tedesco per un milione di marchi.\nUn'ulteriore testimonianza del culto di Persefone ci viene da Oria, dove fu presente e attivo dal VI secolo a.C. fino all'età romana, un importante santuario (oggi sito presso Monte Papalucio), dedicato alle divinità Demetra e Persefone. Qui vi si svolgevano culti in grotta legati alla fertilità. Gli scavi archeologici svolti negli anni ottanta, infatti, hanno evidenziato numerosi resti composti di maialini (legati alle due divinità) e di melograno. Inoltre, a sottolineare l'importanza del santuario, sono state rinvenute monete di gran parte della Magna Grecia, e migliaia di vasi accumulatisi nel corso dei secoli come deposito votivo lungo il fianco della collina. Di particolare interesse sono alcuni vasetti miniaturistici e alcune statuette raffiguranti colombe e maialini sacri alle due divinità cui era dedicato il luogo di culto.\nAltri esempi di ritrovamenti della Kore si hanno a Gela, una delle colonie greche di Sicilia. Diversi reperti sono custoditi presso il Museo archeologico regionale.\n\nNell'arte, letteratura e musica.\nIl pittore preraffaellita Dante Gabriel Rossetti dipinse Persefone in diversi quadri, uno dei quali è assai celebre, mentre il suo amico Algernon Swinburne dedicò alla dea due liriche: l'Inno a Proserpina e Il giardino di Proserpina.\nIgor' Stravinskij dedicò al mito di Persefone una composizione musicale, scritta fra 1933 e il 1934, dal titolo Perséphone.\nIl cantante belga di origini egiziane Tamino ha dedicato al mito una canzone, intitolata Persephone presente nell'album di esordio.\n\nNella cultura di massa.\nPersefone è la principale antagonista del videogioco God of War: Chains of Olympus, in cui vuole far crollare i pilastri che sostengono il mondo, causando la distruzione di tutto e di tutti, incluso degli dei e degli inferi, così da liberarsi per sempre del marito Ade.\nPersefone fa una breve apparizione nella saga Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo.\nPersefone compare come antagonista nel videogioco Assassin's Creed: Odyssey nel primo episodio 'Campi Elisi' del DLC 'Il destino di Atlantide'.\nPersefone è un personaggio chiave nel videogioco Hades, in questo titolo viene presentata come la madre del protagonista Zagreus.\nPersefone compare anche come personaggio nel musical Hadestown.\nPersefone è la protagonista femminile del webcomic Lore Olympus di Rachel Smythe.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Perseo con la testa della Medusa.\n### Descrizione: Perseo con la testa della Medusa (noto anche come Perseo che tiene in mano la testa della Medusa) è un tema ricorrente dell'iconografia artistica, che rappresenta un evento tratto dalla mitologia greca, in cui l'eroe Perseo solleva la testa mozzata della gorgone Medusa. Il tema è presente fin dall'antichità, come dimostra un affresco ritrovato in una villa di Stabia, ma ha avuto uno sviluppo fortunato in ambito scultoreo dopo la creazione della statua di Benvenuto Cellini. Esiste inoltre una statua contemporanea di Luciano Garbati nella quale i ruoli dei personaggi si invertono, ed è Medusa a reggere il capo decollato di Perseo.\n\nPittura.\nIl Volterrano, Perseo con la testa di Medusa, XVIII secolo.\nEugène Romain Thirion, Perseo vincitore di Medusa (Persée vainqueur de Méduse), 1867.\nEdward Burne-Jones, La morte di Medusa I (The Death of Medusa I), 1876-1885.\nEdward Burne-Jones, La morte di Medusa I (The Death of Medusa II), 1881-1882.\n\nScultura.\nBenvenuto Cellini, Perseo con la testa di Medusa, 1553.\nAntonio Canova, Perseo trionfante, 1797-1801.\nFeodosij Fëdorovič Ščedrin, Perseo (Persej), 1801.\nAuguste Rodin, Perseo e Medusa (Persée et Méduse), prima del 1889.\nCamille Claudel, Perseo e la Gorgone (Persée et la Gorgone), 1902.\nSalvador Dalí, Perseo, XX secolo.\n\nGalleria d'immagini.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Perseo e Andromeda.\n### Descrizione: L'episodio della mitologia greca di Perseo e Andromeda è stato fonte di ispirazione per molti pittori, scultori e musicisti a partire dall'epoca tardo-medievale. In realtà il tema è presente fin dall'antichità, come testimoniato da alcune anfore greche (la più nota delle quali proviene da Cerveteri ed è attualmente conservata nell'Altes Museum di Berlino) e da un affresco pompeiano.\n\nDescrizione.\nQuesto tema artistico raffigura il salvataggio di Andromeda, figlia di Cefeo e Cassiopea e principessa d'Etiopia, da parte dell'eroe Perseo in groppa a Pegaso, il cavallo alato. Secondo il mito, raccontato anche da Publio Ovidio Nasone nelle sue Metamorfosi, Andromeda venne incatenata ad uno scoglio per essere offerta in pasto ad un mostro marino chiamato Ceto: questo mostro devastava le coste del regno d'Etiopia perché la regina Cassiopea aveva sostenuto di essere più bella delle Nereidi, provocando così l'ira di Poseidone, che inviò il mostro come punizione. L'eroe Perseo, di ritorno dalla sua impresa precedente, ovvero l'uccisione di Medusa, notò la donna incatenata ad uno scoglio e il mostro pronto a divorarla, perciò decise di intervenire. Alla fine, Perseo uccise il mostro e salvò Andromeda, da lui sposata in seguito. Il tema raffigura proprio il salvataggio di Andromeda, incatenata allo scoglio.\nNelle raffigurazioni di epoca classica e medioevale Andromeda appare perlopiù vestita mentre è incatenata allo scoglio. È a partire dall'epoca rinascimentale che la donna viene mostrata nuda, secondo quando raccontato nel quarto libro delle Metamorfosi di Ovidio.Nonostante Andromeda sia etiope, la donna viene quasi sempre raffigurata con la carnagione chiara. Una delle poche raffigurazioni del personaggio con la pelle scura è una stampa, conservata al Rijksmuseum, tratta da un'illustrazione del fiammingo Abraham van Diepenbeeck.Il tema ebbe un grande impatto sulla letteratura postclassica, a tal punto da ispirare altre storie nelle quali una fanciulla rischia di essere divorata da una creatura mostruosa, con relative rappresentazioni artistiche: la lotta di san Giorgio contro un drago per salvare una principessa, e la liberazione di Angelica e Olimpia rispettivamente salvate da parte da Ruggiero e Orlando, come si legge nell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Gli episodi con Angelica e Olimpia sono quelli più vicini al mito classico, dato che la creatura mostruosa è una bestia marina, nota come Orca di Ebuda, molto simile a Ceto; inoltre entrambe le donne sono incatenate a uno scoglio, proprio come Andromeda.\n\nPittura.\nPiero di Cosimo, Liberazione di Andromeda, 1510 circa.\nTiziano Vecellio, Perseo libera Andromeda, 1554-1556.\nJan Keynooghe, Perseo e Andromeda (Perseus en Andromeda), 1561.\nGiorgio Vasari, Perseo libera Andromeda, 1570-1572.\nBartolomeo Passarotti, Perseo libera Andromeda, 1572-1575.\nPaolo Veronese, Perseo libera Andromeda, 1576-1578.\nAnnibale Carracci, affresco di Perseo e Andromeda alla Palazzo Farnese, 1597.\nCarlo Saraceni, Andromeda incatenata liberata da Perseo, 1600-1605 circa.\nGiuseppe Cesari, Perseo e Andromeda, 1602.\nJoachim Wtewael, Perseo soccorre Andromeda (Perseus und Andromeda), 1610.\nPieter Paul Rubens, Perseo libera Andromeda,1620 circa.\nDomenico Fetti, Andromeda e Perseo, 1621-1622 circa.\nPieter Paul Rubens, Perseo e Andromeda (Perseus und Andromeda), 1622.\nThomas Willeboirts Bosschaert, Salvataggio di Andromeda (Die Befreiung der Andromeda), 1640 circa.\nGuido Reni, Andromeda, prima del 1642.\nTheodoor van Thulden, Perseo libera Andromeda, 1646.\nFrancesco Maffei, Perseo libera Andromeda, 1657-1658.\nPierre Mignard, Cefeo, Cassiopea e Perseo (Délivrance d'Andromède), 1679.\nMichael Willmann, Uwolnienie Andromedy, dopo il 1682.\nLouis Silvestre II, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1719.\nFrançois Lemoyne, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1723.\nGiambattista Tiepolo, Perseo e Andromeda, 1730-1731.\nBalthasar Augustin Albrecht, Befreiung der Andromeda, 1732.\nCharles-Amedee-Philippe van Loo, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), prima del 1753.\nUbaldino Gandolfi, Andromeda e Perseo, 1770.\nKarl Pavlovič Brjullov, Perseo e Andromeda (Persej i Andromeda), 1820 circa.\nEugène Delacroix, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1853 circa.\nÉmile Bin, Persée délivrant Andromède, 1865.\nJean-Auguste-Dominique Ingres, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), prima del 1867.\nGustave Moreau, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1870.\nHenri-Pierre Picou, Andromède attachée à un rocher, 1874.\nEdward Burne-Jones, Lo scoglio del destino (The Rock of Doom), 1885.\nEdward Burne-Jones, Perseo (Perseus), 1888.\nCharles Napier Kennedy, Perseo e Andromeda (Perseus and Andromeda), 1890.\nFrederic Leighton, Perseo e Andromeda (Perseus and Andromeda), 1891.\nFélix Vallotton, Perseo che uccide il drago (Persée tuant le dragon), 1910.\nFélix Vallotton, Andromeda in piedi e Perseo (Andromède debout et Persée), 1918.\nGustave Courtois, Perseo libera Andromeda (Persée délivrant Andromède), 1913.\n\nScultura.\nPierre Puget, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1684.\nJoseph Chinard, Persée délivrant Andromède, 1791.\nJames Forsyth, Fontana di Perseo e Andromeda (Perseus and Andromeda fountain), 1860 circa.\nJohannes Pfuhl, Perseo e Andromeda (Perseusz uwalnia Andromedę), 1891.\nHenry Charles Fehr, The Rescue of Andromeda, 1893.\n\nMusica.\nClaudio Monteverdi, Andromeda, 1618-1620 (opera perduta).\nJean-Baptiste Lully, Persée, 1682.\nGeorg Philipp Telemann, Perseus und Andromeda, 1704.\nAntonio Maria Bononcini, Andromeda, 1707.\nAntonio Vivaldi e altri, Andromeda liberata, 1726.\nGiovanni Paisiello, Andromeda, 1773.\nCarl Ditters von Dittersdorf, Sinfonia n. 4 sulle Metamorfosi di Ovidio, 1781 circa.\nJacques Ibert, Persée et Andromède, ou le Plus heureux des trois, 1929.\nSalvatore Sciarrino, Perseo e Andromeda, 1990.\n\nGalleria d'immagini.
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### Titolo: Perseo.\n### Descrizione: Perseo (in greco antico: Περσεύς?, Perséus) è un eroe della mitologia greca, figlio del re degli dei Zeus e di Danae e nipote del re di Argo Acrisio.\nPerseo viene ricordato soprattutto per l'uccisione della gorgone Medusa, per aver salvato Andromeda, poi diventata sua sposa, da un mostro marino e per essere stato re di Tirinto, dopo aver rinunciato al trono di Argo a favore di Megapente, e di Micene, città che fondò lui stesso. Dalla moglie Andromeda ebbe molti figli, tra cui Elettrione (suo erede e nonno di Eracle) e Gorgofone (madre di Icario e nonna di Penelope, sposa di Odisseo).\n\nIl mito.\nNascita e infanzia.\nAcrisio, nonno di Perseo e re di Argo, temeva per le sorti del proprio regno: aveva infatti avuto dalla moglie Aganippe una sola figlia femmina, Danae, e in assenza di eredi maschi non sapeva a chi avrebbe trasmesso il titolo di sovrano. Spinto dal desiderio di conoscere il destino della sua città, chiese all'Oracolo di Delfi come avrebbe potuto avere figli: il dio gli rispose che sua figlia Danae avrebbe avuto un figlio che avrebbe raggiunto la gloria, ma anche lo avrebbe ucciso. Preso dal più grande sconforto e terrore, Acrisio rinchiuse la figlia in una torre ben fortificata, con porte di bronzo guardate da cani ferocissimi, con la speranza di aggirare la profezia.\nMa nonostante queste precauzioni, Danae concepì un figlio: alcuni sostengono che Perseo era nato per opera di Preto, fratello d'Acrisio, e che qui è da ricercare l'origine della disputa sorta fra i due fratelli; ma per lo più si racconta che il seduttore fu lo stesso Zeus, il quale, trasformato in pioggia d'oro, penetrò attraverso una fessura del tetto e ottenne l'amore della ragazza. Rinchiusa nella prigione con la propria nutrice, Danae poté avere il figlio di nascosto e allevarlo per vari mesi. Un giorno, però, mentre stava giocando, il bambino emise un grido, udito da Acrisio, il quale, non sapendo chi fosse il responsabile di questa nascita misteriosa, pensò che il fratello Preto avesse sedotto sua figlia per fargli un dispetto. Danae insisteva nel dire che il padre del bambino non era un mortale, ma Acrisio non le credette e, terrorizzato dalla rivelazione dell'oracolo, fece uccidere la nutrice e chiudere Danae e il figlioletto in una cassa di legno che mise su una nave lasciata alla deriva.\nLa cassa navigò verso l'ignoto con la madre e il bambino, e atterrò sulla riva dell'isola di Serifo, dove fu fermata da un pescatore di nome Ditti, fratello del tiranno dell'isola, Polidette. Vedendo la cassa e credendo che contenesse qualcosa di prezioso, Ditti la portò a riva; apertala, vi trovò Danae e Perseo miracolosamente vivi, quindi li aiutò a riprendere le forze e li condusse al cospetto del re che, preso da pietà per i due, offrì loro ospitalità.\nPassarono gli anni e Perseo cresceva forte e valoroso, imparando a pescare, navigare, nuotare, combattere e cacciare, sotto la guida del padre adottivo Ditti. Danae, che la maturità aveva reso ancora più bella, era oggetto dei desideri del re Polidette che cercava in tutti i modi di convincerla a sposarlo; ma la donna, il cui unico pensiero era il figlio Perseo, non ricambiava il suo amore.\n\nLa proposta e l'impresa di Perseo.\nPolidette pensò di eliminare Perseo con un piano astuto: disse di aspirare alle nozze con Ippodamia per il bene del regno e, dopo aver radunato gli amici confinanti e lo stesso Perseo, annunciò i suoi propositi di nozze e chiese a tutti un cavallo come regalo da ognuno dei presenti. Mortificato perché non possedeva nulla di simile da donargli, Perseo affermò che, se il re non avesse più insidiato sua madre Danae, gli avrebbe procurato qualunque cosa avesse chiesto. Polidette fu molto lieto in cuor suo pensando che questo fosse il mezzo per liberarsi di lui, ed espresse l'estroso desiderio di avere come dono di nozze la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni.\nPer poter raggiungere Medusa, Perseo doveva procurarsi tre cose: i sandali alati per spostarsi a gran velocità, una sacca magica (la kibisis) per riporvi la testa recisa e l'elmo di Ade (kunè) che rende invisibili. Intanto Atena gli aveva fornito uno scudo lucido come uno specchio, raccomandandogli di guardare Medusa solo di riflesso. Ermes gli regalò un falcetto di diamante affilatissimo, col quale l'eroe avrebbe decapitato il mostro. Quegli oggetti erano custoditi dalle ninfe dello Stige che abitavano in un luogo noto solo alle Graie: nate già decrepite e grinzose, esse erano in tre, ma disponevano di un solo occhio e di un solo dente che usavano a turno, e abitavano in un palazzo custodito da Atlante. Allorché Perseo le raggiunse, attese il momento dello scambio di occhio e di dente, quindi li rubò entrambi, e le Graie, prive dei loro organi, si trovarono in grande difficoltà e accettarono di rivelare dove risiedevano le ninfe Stigie in cambio del maltolto. Secondo una versione, Perseo si rifiutò di rendere l'occhio e il dente alle Graie.\nDopo che le Ninfe gli consegnarono i sandali, la sacca e l'elmo, Perseo si diresse verso il paese degli Iperborei, una popolazione che abitava nelle regioni fredde e spoglie del Nord, un luogo dove la terra, le erbe, il cielo e la natura in generale avevano un colore grigio e sinistro. La foresta nella quale si incamminò per giungere presso Medusa era pietrificata e cosparsa di strane statue color piombo rappresentanti uomini e donne in diversi atteggiamenti; anzi, Perseo si accorse subito che quelle non erano statue, ma esseri umani che avevano avuto la sventura di guardare il volto di Medusa.\nResosi invisibile grazie all'elmo di Ade, avanzò camminando all'indietro, guardando nello scudo sorretto da Atena; quando fu abbastanza vicino al mostro da sentirne sibilare i serpenti che gli si agitavano sul capo, lo decapitò col falcetto mentre dormiva. Dal collo mutilato della Medusa scaturirono un cavallo alato, Pegaso, e un gigante, Crisaore. Perseo prese con sé la testa di Medusa e la avvolse in un telo, in segno di pietà affinché la nuda terra non la insozzasse, poi si alzò in volo con i suoi sandali alati per allontanarsi il più in fretta che poteva da quel luogo sinistro. L'eroe raccolse pure il sangue colato di Medusa, che aveva proprietà magiche: quello che era colato dalla vena sinistra era un veleno mortale, mentre quello colato dalla vena destra era un rimedio capace di resuscitare i morti. Inoltre, un solo ricciolo dei suoi capelli, mostrato a un esercito assalitore, aveva il potere di sconfiggerlo.\n\nLa liberazione di Andromeda e la contesa con Fineo.\nStando a una versione, Perseo, avendo la testa di Medusa nelle sue mani, si recò da Atlante che non aveva voluto aiutarlo nell'impresa: estratta la testa micidiale dalla sacca, lo trasformò in montagna. Sulla via del ritorno, deviò sopra il deserto libico, dove fece cadere il dente e l'occhio delle Graie e alcune gocce del sangue di Medusa, popolando in tal modo il deserto di serpenti, scorpioni e orribili animali dotati di un veleno micidiale.\nMentre volteggiava sul territorio della Filistia, vide incatenata a uno scoglio una donna nuda e bellissima di nome Andromeda, figlia del re di Etiopia Cefeo e di Cassiopea. La giovane era condannata a essere divorata da un mostro marino perché sua madre, orgogliosa dell'avvenenza di sua figlia, aveva affermato che superava in bellezza tutte le Nereidi: le ninfe del mare si erano offese e Poseidone, dopo aver mandato sulle coste una forte mareggiata che aveva spazzato via l'abitato, aveva inviato un orribile mostro che faceva stragi e terrorizzava gli abitanti, al che l'integerrimo Cefeo, per salvare il suo popolo, consultò l'oracolo e fu costretto a offrirgli la propria figlia per placarne l'ira. Quando Perseo giunse, Andromeda era ormai rassegnata alla sua terribile sorte, ma l'eroe si offrì di liberare la fanciulla e il luogo da quella calamità purché il re gli consentisse di sposare Andromeda. Cefeo e Cassiopea sulle prime non erano favorevoli, poiché avrebbero preferito darla in moglie ad un pretendente più ricco e più potente, ma furono costretti dagli eventi ad acconsentire.\n\nPerseo ingannò il mostro marino che doveva divorare Andromeda con dei giochi d'ombra sull'acqua, quindi riuscì ad ucciderlo e riportò la giovane dai genitori. Durante i successivi festeggiamenti di nozze, Agenore, un ex pretendente alla mano di Andromeda, giunse alla reggia accompagnato da uomini armati, pronto a tutto pur di averla; fu Cassiopea, che non gradiva Perseo come genero, a dare il segnale della battaglia. Per difendersi, l'eroe estrasse ancora una volta la testa di Medusa ottenendo l'effetto voluto: Cassiopea divenne una statua inerte, così come Agenore e tutti quelli tra i suoi seguaci che non erano stati precedentemente uccisi da Perseo.\nSecondo una diversa e più diffusa tradizione, presente già in alcuni mitografi greci e accolta anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi, fu invece Fineo, zio paterno e aspirante sposo di Andromeda, a fomentare disordini; scontento del matrimonio con Perseo, ordì un complotto contro di lui, venendo per questo criticato sia da Cassiopea che da Cefeo. La reggia divenne così un grande campo di battaglia, finché Perseo, mostrando la testa della Gorgone a Fineo e ai suoi amici ancora in vita, li trasformò in altrettante statue di pietra. Il vincitore prese per mano Andromeda, e grazie ai sandali alati fece rotta verso la Grecia atterrando a Serifo. Autori greci più antichi identificano anch'essi il nemico di Perseo con Fineo, che avrebbe però tentato il rapimento di Andromeda con l'aiuto di un solo suo amico, Abaride; Perseo convertì entrambi in statue (mentre secondo Ovidio Abaride era solo uno dei tanti seguaci di Fineo e fu tra le prime vittime dell'eroe greco, quelle non pietrificate dalla testa di Medusa).\n\nLa vendetta di Perseo a Serifo e il ritorno ad Argo.\nAl ritorno nell'isola, Perseo trovò in un tempio la madre Danae e Ditti che si nascondevano per sfuggire a Polidette il quale, non avendo nessuna intenzione di sposare Ippodamia, non aveva smesso di insidiare la madre. Perseo allora fu preso da un'ira incontenibile, e dopo aver nascosto Andromeda, si avviò alla reggia di Polidette: giunto al palazzo e portando il dono di nozze, venne deriso ed insultato dal sovrano, ma egli, per vendicarsi dei torti subiti, tirò fuori ancora una volta dalla sacca magica la testa della Medusa, pietrificando così il re e i suoi cortigiani. Quindi consegnò al patrigno il potere sull'isola di Serifo, e donò poi ad Ermes i sandali, la bisaccia e l'elmo di Ade, ossia gli oggetti che gli avevano permesso di uccidere la Gorgone, e che Ermes rese alle ninfe. La testa di Medusa fu donata invece ad Atena, che la pose in mezzo al proprio scudo (l'Egida).\nVolendo rivedere suo nonno Acrisio, Perseo ritornò in seguito ad Argo insieme alla moglie Andromeda e alla madre Danae. Ma Acrisio, venendo a sapere le intenzioni dell'eroe suo nipote e temendo sempre l'oracolo che gli aveva predetto la morte per sua mano, partì per Larissa, nel paese dei Pelasgi, all'altra estremità della Grecia. Perseo lo raggiunse, lo rassicurò perché non gli portava rancore e riuscì a convincerlo a tornare ad Argo. A Larissa, il re Teutamide dava giochi in onore di suo padre, e Perseo vi giunse come competitore. Al momento di lanciare il disco, s'innalzò un vento violento, e il disco, deviato malauguratamente, finì tra gli spettatori e colpì Acrisio ad un piede; il dolore fu talmente grande che il vecchio sarebbe morto dopo poco tempo, cosicché il vaticinio dell'oracolo si compì. Pieno di dolore, Perseo gli tributò onori funebri e lo fece seppellire fuori dalla città di Larissa.\nDivenuto signore di Argo, ma non sentendosela di regnare su quella terra, Perseo si recò a Tirinto e propose a Megapente, succeduto a suo padre Preto, di scambiarsi i regni: secondo una variante Megapente salì al trono dopo che Perseo ebbe pietrificato Preto con la testa di Medusa, mentre un'altra riporta che Perseo fu ucciso da Megapente che in tal modo volle vendicare il padre .\nPerseo fondò Micene, dotandola quindi di mura invincibili costruite dai Gasterochiri, come quelle di Tirinto. Egli ebbe da Andromeda molti figli maschi e una femmina: Perse, Alceo, Stenelo, Eleio, Mestore, Elettrione e Gorgofone.\nAlla morte di Perseo, la dea Atena, per onorare la sua gloria, lo trasformò in una costellazione cui pose a fianco la sua amata Andromeda, Cefeo e Cassiopea, la cui vanità aveva fatto sì che i due giovani si incontrassero. Ancor oggi queste costellazioni portano i loro nomi.\n\nPareri secondari.\nSecondo altri, invece, Perseo sarebbe figlio di Poseidone, fratello di Zeus.\nSecondo altri le ninfe che aiutarono l'eroe erano le Naiadi.\nSecondo altri ancora, nel mito di Medusa è completamente assente la presenza delle Ninfe. I doni sarebbero quindi stati dati direttamente da Atena e da Ermes, compresi lo scudo levigato della prima e i calzari volanti del secondo. Infatti è proprio Ermes che è solito, come messaggero degli dei, indossare calzari con ali che permettano di volare in modo straordinariamente veloce.\nAltre versioni raffigurano l'elemento dell'invisibilità come una cappa, e non come un elmo.\n\nAlbero genealogico di Perseo.\nGenealogia argiva.\nuomo donna divinità.\n\nGenealogia dei Perseidi.\nIconografia antica.\nPerseo è raffigurato come un giovane (completamente armato o con un abito corto) che tiene in mano una spada ricurva, dono di Ermes. Talvolta indossa calzari alati o viene raffigurato in sella al cavallo Pegaso.\n\nPerseo nell'arte.\nIl mito di Perseo è un soggetto ricorrente nelle opere d'arte, dove viene perlopiù rappresentato mentre libera Andromeda. Si ricordano inoltre:.\n\nPerseo uccide Medusa in presenza di Atena (540 a.C.), metopa da Selinunte, conservata al Museo archeologico di Palermo.\nPerseo con la testa di Medusa (1545-54), statua bronzea di Benvenuto Cellini, esposta sotto la Loggia dei Lanzi a Firenze.\nPerseo trionfante (1797-1801), statua in marmo di Antonio Canova, collocata nei Musei Vaticani a Roma.\nPerseo affronta Fineo con la testa di Medusa, dipinto di Sebastiano Ricci conservato nel Getty Museum di Los Angeles.\nPerseo, protetto da Minerva, pietrifica Fineo, dipinto di Jean-Marc Nattier del 1718 conservato a Tours.\nPiatto con lotta tra Perseo e Fineo, opera decorativa di autore ignoto conservata nel Museo del Bargello a Firenze.\nun'intera serie dedicata al mito di Perseo del preraffaellita Edward Burne-Jones.\n\nPerseo nel cinema.\nPerseo l'invincibile (1963), film diretto da Alberto De Martino con Richard Harrison.\nPerseo (Персей) (1973), cortometraggio di cartoni animati prodotto da Sojuzmul'tfil'm e diretto da Aleksandra Snezhko-Blotskaya (Александра Снежко-Блоцкая, 1909-1980).\nScontro di titani (1981), film in cui il personaggio di Perseo è interpretato da Harry Hamlin.\nScontro tra titani (2010), film con Sam Worthington.\nLa furia dei titani (2012), sequel del precedente.\nPercy Jackson è chiamato così in riferimento a Perseo, sebbene il personaggio di Riordan sia figlio di Poseidone e una mortale chiamata Sally Jackson, e non di Zeus. La ragione per cui Sally ha deciso di chiamarlo così è di buon augurio in quanto Perseo è uno dei pochissimi eroi della mitologia greca ad aver condotto una vita felice fino in fondo morendo di vecchiaia e non tragicamente come la maggior parte degli altri eroi. Tra le somiglianze con Perseo, Percy uccide Medusa e incontra Crono, inoltre si innamora perdutamente di Annabeth, figlia di Atena che era la dea protettrice di Perseo.\n\nOmaggi.\nGli sono state intitolate vie in diverse città italiane, tra cui Verona, Palermo, Siracusa.
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### Titolo: Persepoli (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Persepoli o Perseptoli (in greco antico: Περσέπ(τ)ολις?, Persép(t)olis) è figlio di Telemaco e di Nausicaa o secondo altri di Ulisse e di quest'ultima. Altre tradizioni lo ritengono invece essere figlio di Telemaco e di Policasta, la più giovane delle figlie di Nestore.\n\nPareri secondari.\nPersepoli viene chiamato anche Ptoliporto.\nAlcune tradizioni ritengono che Ptoliporto e Persepoli siano due fratelli nati, appunto, dall'unione di Telemaco e di Nausicaa (o di Policasta).
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### Titolo: Pharmakos.\n### Descrizione: Pharmakos (greco φαρμακός) era il nome di un rituale largamente diffuso nelle città greche, simile a quello del capro espiatorio, che mirava ad ottenere una purificazione mediante l'espulsione dalla città di un individuo chiamato pharmakos (qualcosa come 'il maledetto').\nNe parla, per esempio, il poeta Callimaco (fr. 90 Pf.): egli dice che un uomo scelto per la sua bruttezza veniva nutrito a spese della città, poi, un giorno stabilito, era scacciato a frustate; in altri luoghi ogni anno uno sventurato veniva 'comprato' e nutrito a spese pubbliche, poi lo si espelleva a sassate dalla città.\nAd Atene, durante le feste Targelie (greco θαργήλια), in onore di Apollo, venivano scelte due persone di aspetto ripugnante, un uomo e una donna, adornate con collane di fichi e infine scacciate fuori dalle mura.\nSul significato del rito si è molto discusso; si è pensato che esso fosse un residuo di primitivi sacrifici umani; secondo altri sarebbe invece un rito legato alle pratiche agricole, posto in atto per allontanare dalle messi la sfortuna e le calamità naturali. In sostanza, si tratta di un rito simbolico destinato a placare l'angoscia per la contaminazione incombente sopra la comunità. Così il gruppo scarica la propria aggressività su un emarginato, scelto per la sua deformità come simbolo del male. Evidentemente egli non è colpevole di nulla, ma il suo compito è proprio quello di essere il rappresentante di ogni forma possibile di sventura: espellendolo, la città si libera di un essere tabù, un intoccabile, un perturbatore della pace, che assume su di sé le colpe e le maledizioni di tutti. Perciò il pharmakos è contemporaneamente il reietto e il salvatore, che con il suo sacrificio permette alla comunità di ritrovare la propria sicurezza e ne garantisce la pace.\nWalter Burkert e René Girard hanno fornito interpretazioni moderne notevoli del rito del pharmakos. Burkert mostra come le persone erano sacrificate o espulse dopo essere state ben nutrite e, secondo alcune fonti, le loro ceneri erano sparse nell'oceano. Era un rituale di purificazione, una forma di catarsi sociale.Il Pharmakos è un termine fondamentale anche nel decostruzionismo di Jacques Derrida. Nel suo famoso saggio 'La farmacia di Platone' , Derrida decostruisce molti testi di Platone, come il Fedro, e rivela l'interconnessione tra la catena significante pharmakeia-pharmakon-pharmakeus e la notevole assenza della parola pharmakos. Così facendo, Derrida attacca il confine tra interno ed esterno, dichiarando che il fuori (pharmakos, parola mai usata da Platone) è sempre-già presente proprio all'interno (pharmakeia-pharmakon-pharmakeus). Si può dire che, come concetto, pharmakos è collegato ad altri termini di Derrida, come 'traccia'.\nPer alcuni studiosi al rito del pharmakos si ricollega la pratica dell'ostracismo, procedura con cui si esiliava da Atene un uomo politico importante, dopo una votazione in cui si scriveva il suo nome su pezzi di coccio. Però l'ostracismo era un episodio puntuale, contrariamente all'esecuzione o espulsione del pharmakos.\n\nPharmakos e farmacologia.\nPiù tardi il termine Pharmakos si trasformò in pharmakeus, che indica una droga, pozione magica, guaritore, avvelenatore, per estensione un mago o uno stregone. Una variante di questo termine è 'pharmakon' (φάρμακον), che significa pianta curativa, veleno o droga. Da questa variante deriva il termine moderno 'farmacologia'.\n\nL'analisi decostruttiva di Derrida.\nNel 1968 la rivista francese Tel Quel pubblicò un lungo saggio di Jacques Derrida, intitolato La farmacia di Platone , che poi fu inserito nel suo libro del 1972, La dissémination. Questo libro ha come punto di partenza il Fedro di Platone.\nAnche se la catena significante pharmakeia-pharmakon-pharmakeus compare molte volte nei testi di Platone, il filosofo non usa mai un termine strettamente collegato, pharmakos, che significa 'capro espiatorio'. Secondo Derrida, il fatto che Platone non usi quel termine non indica che la parola è necessariamente assente, o piuttosto, è sempre-già presente come 'traccia'. Certe forze o tendenze di associazione linguistica uniscono le parole che sono 'in pratica presenti' in un testo con tutte le altre parole del sistema lessicale, indipendentemente dal fatto di comparire o meno in tale testo. Derrida evidenzia che la catena testuale non è semplicemente 'interna' al lessico di Platone. È possibile affermare che tutta la catena significante 'farmaceutica' (un altro componente della stessa catena) si manifesti effettivamente nel testo, anche se sempre nascosta nello sfondo, mostrandosi sempre furtivamente. 'È sempre nella stanza nascosta, nelle ombre della farmacia, antecedente rispetto alle opposti conscio e inconscio, libertà e costrizione, volontario e involontario, parola e linguaggio, che queste 'operazioni' testuali hanno corso' Quello che è in gioco qui è proprio l'idea della dicotomia interno/esterno; se la parola pharmakos che Platone non usa pur risuona all'interno del testo, allora non ci può essere possibilità di chiusura per quanto riguarda il testo. Se l'esterno è sempre-già presente all'interno, in opera all'interno, allora qual è lo status dei concetti 'presente' e 'assente', 'corpo' e 'anima', 'centro' e 'periferia'? Però è importante ricordare che Derrida classifica i farmaci come qualcosa 'nello sfondo'; in altre parole, l''esterno' sempre presente nell''interno' non diventa mai pura presenza, ma resta nascosto come 'traccia', un'allusione, un''aporia'. Con questo insistere tenacemente su questo punto, Derrida evita la trappola di quello che lui chiama 'Metafisica della Pura Presenza', o 'Logocentrismo'Nell'antica Atene il rito del pharmakos era usato per espellere e allontanare il male (fuori dal corpo e fuori dalla città). Per raggiungere questo scopo, gli ateniesi mantenevano a spese pubbliche alcuni poveri diavoli. Quando si verificava una calamità, ne sacrificavano uno o più come rituale di purificazione e rimedio curativo. Il pharmakos, il 'capro espiatorio', era condotto fuori dalle mura della città e ucciso al fine di purificare l'interno della città. Il male che aveva infettato la città dall''esterno' è rimosso e restituito all''esterno', per sempre. Ma, paradossalmente, il rappresentante dell'esterno (il pharmakos) era ciononostante mantenuto nel cuore stesso dell'interno, la città, e anche a spese pubbliche. Per essere cacciato dalla città, il capro espiatorio doveva essere già stato dentro la città. 'La cerimonia del pharmakos si svolge sulla linea di confine tra l''interno' e l''esterno', e il suo compito è di tracciare e rintracciare incessantemente quella linea'. Similmente, il pharmakos sta sulla sottile linea rossa tra sacro e maledetto, '...benefico in quanto cura - e per questo temuto e trattato con cura - dannoso in quanto incarna i poteri del male - e per questo, temuto e trattato con cautela'. Il pharmakos è il guaritore che cura ed è il criminale che è l'incarnazione dei poteri del male. Il pharmakos è come una medicina, pharmakon, nel caso di una malattia specifica, ma, come la maggior parte delle medicine, è allo stesso tempo un veleno, allo stesso tempo un male. Pharmakos, pharmakon: essi sfuggono a entrambi i lati con l'essere e non essere allo stesso tempo su un lato. Tutte e due le parole hanno in sé più di un significato, cioè dei significati confliggenti.\nPharmakos non significa solo capro espiatorio. È un sinonimo di pharmakeus, una parola spesso ripetuta da Platone, che significa 'stregone', 'mago', perfino 'avvelenatore'. Nei dialoghi di Platone, spesso Socrate è rappresentato e definito pharmakeus. Socrate è considerato uno che sa come fare magia con le parole e, in particolare, non con le parole scritte. Le sue parole agiscono come un pharmakon (come una sostanza curativa, o anche un veleno) e trasformano, curano l'anima di chi ascolta. Nel Fedro, Socrate si oppone fermamente agli effetti negativi della scrittura. Socrate paragona la scrittura a un pharmakon, una droga, una pozione: scrivere ripete senza sapere, crea abominevoli simulacri. Qui Socrate trascura deliberatamente l'altro significato della parola: la cura. Socrate suggerisce un pharmakon diverso, una medicina: la dialettica, la forma filosofica del dialogo. Questo, sostiene Socrate, può condurci alla verità dell'eidos, ciò che è identico a se stesso, sempre se stesso, immutabile. Qui Socrate di nuovo trascura l''altra' lettura della parola pharmakon: il veleno. Socrate agisce come un mago (pharmakos) - lui stesso parla di una voce soprannaturale che parla attraverso di lui - e la sua medicina (pharmakon) più famosa è il discorso, la dialettica e il dialogo che conduce al sapere e alla verità ultima. Ma paradossalmente Socrate diventa anche il più famoso 'altro' pharmakos di Atene, il capro espiatorio. Diventa uno straniero, perfino un nemico che avvelena la repubblica e i suoi cittadini. È un abominevole 'altro'; non l'altro assoluto, il barbaro, ma l'altro (l'esterno) che è molto vicino, come quei poveri diavoli, che è sempre-già nell'interno. Egli è allo stesso tempo la 'cura' e il 'veleno' e, proprio come lui, gli ateniesi scelsero di dimenticare uno di quei significati in base alla necessità. E, alla fine, Platone colloca Socrate in quello che per Socrate era il più vile di tutti i veleni: nella scrittura, che sopravvive fino a oggi.
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### Titolo: Philotes.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Philotes è una dea minore, figlia della Notte, ed è personificazione dell'affetto e della passione.\nIl suo nome deriva dalla parola greca φιλότης, il termine con cui, anticamente, i Greci indicavano il rapporto di affetto.\n\nVoci correlate.\nDivinità dell'amore.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Philotes, su Theoi Project.
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### Titolo: Phonoi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Phonoi (in greco antico: φόνοι?, phónoi, 'assassini'; al singolare φόνος, phónos) erano gli spiriti maschili di assassinio, omicidio e macello. Le loro sorelle, Androktasiai. Erano figli di Eris, dea della discordia, attraverso la partenogenesi.
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### Titolo: Phrike.\n### Descrizione: Phrike (in greco:Φρίκη), era lo spirito orribile della paura e del terrore per le cose che fanno tremare.\nIl suo nome significa letteralmente tremori, brividi, e ha la stessa radice del verbo φρίττω (phrittō) tremare. Il termine Phrike è ampiamente usato in tragedia.
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### Titolo: Piatto di Euforbo.\n### Descrizione: Il piatto di Euforbo è il nome di un piatto della ceramica greco-orientale, dipinto con una scena mitologica in stile orientalizzante (stile delle capre selvatiche).\nProdotto forse a Coo, fu rinvenuto a Camiro, nell'isola di Rodi. È stato datato circa al 600 a.C.; ha un diametro di 39 cm. ed è esposto nel British Museum di Londra.\n\nDescrizione.\nNell'Iliade si racconta che Menelao, dopo aver ucciso il giovane troiano Euforbo, ne avesse poi portato via il cadavere con la sua armatura: il piatto rappresenta il successivo duello tra l'eroe acheo ed Ettore sul corpo di Euforbo. Vicino alle figure sono dipinti i nomi dei personaggi rappresentati. Il fatto che il cadavere sia più vicino a Menelao indica che questi starebbe vincendo il duello, anche se Ettore non verrà ucciso in tale confronto.
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### Titolo: Pieridi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Pieridi (in greco antico: Πιερίδες) erano le nove figlie di Piero, re di Emazia in Macedonia, e di Evippa.\nI loro nomi sono Colimba, Iunce, Cencride, Cissa, Cloride, Acalantide, Nessa, Pipo, Dracontide.\nAbilissime nel canto, si recarono sul monte Elicona, la sede delle Muse per sfidarle in una gara di canto; ma le Pieridi persero grazie al canto melodico di Calliope, e le Muse per punirle le trasformarono in uccelli gracchianti, secondo Ovidio in gazze, secondo Nicandro in vari uccelli. Pausania invece afferma che le Pieridi portassero gli stessi nomi delle Muse e che per questa ragione i figli attribuiti alle Muse siano invece figli delle Pieridi, mentre le dee rimasero sempre vergini.\n\nIl racconto mitologico.\nPierios ebbe nove figlie che chiamò con il nome delle nove Muse. Divenute in grado di leggere e scrivere Pierios convocò i migliori maestri delle arti delle Muse. Quando il padre organizzava i banchetti, le ragazze si esibivano e ricevevano complimenti da tutti. Col passare del tempo, si insuperbirono e si spinsero sino ad arrivare al monte Elicona, la sede delle Muse, per sfidarle in una gara di canto; come giudici erano state convocate le ninfe dei fiumi. Alla fine della gara vennero decretate vincitrici le Muse; le Piche, allora, lanciarono ingiurie contro le Muse e gli Dei trasformarono le nove ragazze in gazze.\n\nFonti.\nOltre alla tradizione greca Ovidio nelle sue Metamorfosi, libro V: vedono dalle proprie unghie spuntare / penne, le braccia coprirsi di piume, e l'una all'altra / vede sporgere dal volto un becco rigido e adunco / e quelle andarsene nei boschi, diventate uccelli.\nE mentre vogliono battersi il petto, agitando le braccia / si librano nell'aria: gazze, che schiamazzano nei boschi. / Ancor oggi in questi uccelli è rimasta la primitiva facondia: / una loquacità roca, una voluttà smodata di ciarlare.) descrive la loro mutazione in uccelli.\nAnche Dante nel Canto primo del Purgatorio (Purg. I, 7 e sg: Ma qui la morta poesia resurga / o sante Muse, poi che vostro sono; / e qui Calïopè alquanto surga, / seguitando il mio canto con quel suono / di cui le Piche misere sentiro / lo colpo tal, che disperar perdono.) cita le Piche come ascoltatrici del canto di Calliope. Il poeta invoca la Musa Calliope ad accorrere in suo aiuto.\n\nCitazione di Ovidio nelle Metamorfosi.\n'La più illustre fra noi aveva finito il suo dotto canto. E le ninfe dichiararono in coro che avevamo vinto noi, dee che abitiamo sull'Elicona. Poiché le perdenti lanciavano insulti, disse Callìope:' Già meritavate una punizione per averci sfidato. Dato che non vi basta e alla colpa aggiungete le invettive, e la nostra pazienza ha pure un limite, provvederemo a punirvi e andremo fin dove ci spinge l'ira'. Ridono le giovani dell'Emazia, con fare sprezzante, di quelle minacciose parole. Ma mentre tentano di parlare e di alzare sfrontatamente con grandi strida le mani contro di noi, si accorgono che delle penne spuntano loro da sotto le unghie, che le braccia si coprono di piume, e ciascuna vede le altre sporgere il viso in un duro becco e andarsene, uccelli nuovi, verso la selva. E mentre vogliono battersi il petto, col moto delle braccia si sollevano e si librano in aria, insolenti abitanti dei boschi: gazze.'.
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### Titolo: Piero (re di Emazia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Piero (in greco antico: Πίερος) fu l'eponimo della regione della Pieria e un re di Emazia.\n\nGenealogia.\nSecondo Marsia di Pella, Piero era figlio di Macedone, e fratello di Emato. Nella Suda è detto essere figlio di Lino e padre, da Metone, di Eagro, a sua volta padre di Orfeo. Secondo Antonino Liberale, era invece autoctono, ovvero nato dalla terra.\nPiero è noto soprattutto come padre delle Pieridi, nove sorelle che sfidarono le Muse in una gara di canto. Sconfitte, furono trasformate dagli dei in gazze.
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### Titolo: Pigmei (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, i Pigmei (dal greco pygmâios, 'alto un cubito') erano un popolo di nani che si pensava abitassero in Africa (in Libia o a sud dell'Egitto) o in India. Erano alti poche spanne, e a otto anni erano già vecchi.\n\nMitologia.\nErano perennemente in guerra con le cicogne (o le gru) che devastavano i loro campi; le donne nascondevano i bambini in buche nel terreno per proteggerli dagli uccelli.\nGerana (od Enoe) era la loro regina e fu trasformata da Giunone in una gru e condannata a combattere in tale forma contro il suo popolo.\nMarito di Gerana fu Nicodama, con cui ebbe Mopso.\nErcole uccise il loro re Anteo ed i Pigmei lo assalirono ma egli li mise nella sua pelle di leone e li portò a suo cugino Euristeo.
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### Titolo: Pilade.\n### Descrizione: Pilade (in greco antico: Πυλάδης?, Pyládes) è un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nIl padre, Strofio, era Re della Fòcide e la madre, Anassibia, era figlia di Atreo e sorella di Agamennone e Menelao.\nPilade crebbe con il cugino Oreste, con cui era legato da un'amicizia profonda. Lo affiancò infatti nella vendetta su Clitennestra ed Egisto per l'uccisione di Agamennone e lo accompagnò nelle successive peregrinazioni in Tauride dalle quali riportarono a casa Ifigenia.\nSposò la cugina Elettra, sorella di Oreste.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pilade.\n\nCollegamenti esterni.\nPilade, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 16 aprile 2016.
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### Titolo: Pileo (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Pileo (in greco antico: Πύλαιος) era il nome di un condottiero pelasgo, figlio di Leto e fratello di Ippotoo, insieme al quale intervenne a favore dei Troiani nel conflitto scatenatosi per la contesa di Elena.\n\nIl mito.\nLe origini.\nSorgono dubbi sull'identità del padre di Pileo; Omero lo cita esplicitamente col nome di Leto, figlio di Teutamo, mentre Pseudo-Apollodoro lo chiama Pelasgo.\n\nLa morte.\nPileo morì in battaglia per mano di Achille, come riportato da Ditti Cretese.
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### Titolo: Piramo e Tisbe.\n### Descrizione: Piramo e Tisbe (Πύραμος, Pyrămos; Θίσβη, Thisbe) sono due personaggi delle Metamorfosi di Ovidio (IV liber, vv 55-166), il quale ne ambientò la storia nell'antica città mesopotamica di Babilonia. Secondo alcune ricostruzioni il racconto proviene da ignota fonte ellenistica ed era precedentemente collocato nella regione anatolica della Cilicia o, in alternativa, nell'isola di Cipro.\n\nMito.\nSecondo la leggenda nella versione ovidiana, l'amore dei due giovani era contrastato dai parenti, e i due, che erano vicini di casa, erano costretti a parlarsi attraverso una crepa nel muro che separava le loro abitazioni. Questa difficile situazione li indusse a programmare la loro fuga d'amore. Nel luogo dell'appuntamento, che era vicino ad un gelso, Tisbe, arrivata per prima, incontra una leonessa dalla quale si mette in salvo perdendo un velo che viene stracciato e macchiato di sangue dalla belva stessa. Piramo trova il velo macchiato dell'amata e, credendola morta, si suicida lanciandosi su una spada. Sopraggiunge Tisbe che lo trova in fin di vita e, mentre tenta di rianimarlo, gli sussurra il proprio nome. Piramo riapre gli occhi e riesce a guardarla prima di morire. Per il grande dolore, anche Tisbe si lancia sulla spada dell'amato sotto il gelso. Tanta è la pietà degli dei nell'ascoltare le preghiere di Tisbe che trasformano i frutti del gelso, intriso del sangue dei due amanti, in color vermiglio.\nAltri autori della Tarda Antichità (Nonno di Panopoli o la novella cristiana Recognitiones) raccontano una versione sensibilmente diversa da quella di Ovidio. La scena si svolge in Cilicia, dove Tisbe - per timore dei genitori - si suicida quando scopre di essere incinta di Piramo, che si suicida a sua volta. Piramo si trasforma in fiume, mentre Tisbe in una fonte. Di fatto, in Cilicia c'è un fiume che si chiama Pyrămus (Ceyhan), cosa che potrebbe indicare che questa versione corrisponde a una ancora più antica di quella raccontata da Ovidio.\n\nAlla memoria di questo importante fiume è legato anche un oracolo riferito da Strabone (Geografia, 1,3,7.52; 12,2,4.536):«Verrà tempo che il Piramo,.\ndalla rapida e vasta corrente,.\nspingendo sempre più innanzi la spiaggia,.\n\nperverrà alla sacra Cipro.».\n\nIl mito nel Medioevo.\nDurante il Trecento, gli autori Giovanni Boccaccio e Geoffrey Chaucer ripresero il mito di Piramo e Tisbe per alcuni dei loro racconti. Nel Decameron di Boccaccio la quinta novella della settima giornata è assai simile al racconto dei due sfortunati amanti. Infatti due innamorati sono costretti a comunicare per non farsi scoprire dal marito di lei, attraverso una fessura nel muro. Tuttavia la storia finirà diversamente dal mito originale. Nei Racconti di Canterbury Chaucer nella sezione di Amori infelici elabora una novella dai toni drammatici simili a quelli di Piramo e Tisbe. Un vecchio non sopporta che la figlia s'incontri con il suo innamorato e la obbliga a concentrarsi su un partito migliore. Dato che la ragazza resiste, il vecchio fa uccidere la ragazza in un accesso di follia, di seguito il ragazzo amante si toglierà la vita per la disperazione.\nDante, nel Purgatorio (canto XXVII, vv. 37-39) fa riferimento alla vicenda di Piramo, che morente apre per un attimo gli occhi all'udire il nome dell'amata Tisbe. Come Piramo, anche Dante, spaventato dall'idea di dover attraversare un muro di fuoco, prende coraggio quando Virgilio nomina Beatrice che lo attende al di là del muro.\n\nRomeo e Giulietta.\nLa trama di Romeo e Giulietta, la celebre tragedia di William Shakespeare, è quasi del tutto identica al mito di Piramo e Tisbe. Infatti lo scrittore teatrale elisabettiano trasse il suo spettacolo dal poema Romeus and Juliet di Arthur Brooke che a sua volta derivava dalla novella su Romeo e Giulietta di Luigi da Porto, punto di arrivo di una lunga schiera di racconti di amanti suicidi che ha la sua prima traccia in Piramo e Tisbe. Come i due amanti, Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti non possono passare momenti sereni a causa dell'odio tra le due famiglie, e tristi e sfavorevoli situazioni (in questo caso l'arrivo in ritardo di una lettera importante) faranno sì che gli amanti si uccidano per restare per sempre uniti.\n\nSogno di una notte di mezza estate.\nSempre nell'opera di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate si fa riferimento alla storia di Piramo e Tisbe. Questa volta la scena si sposta nell'Antica Grecia alla corte dell'eroe mitologico Teseo e della regina delle Amazzoni Ippolita che annunciano proprio all'inizio della commedia le loro nozze. Un gruppo di artigiani ateniesi ha quindi l'idea di allestire una rappresentazione teatrale classica in occasione dell'evento. Viene dunque messa in scena, sia pure con toni comici, la vicenda di Piramo e Tisbe.\n\nPoemi e opere letterarie.\nLa storia di Piramo e Tisbe, oltre a Romeo e Giulietta e ad alcune novelle di Boccaccio e Chaucer, ha ispirato diverse opere:.\n\nPiramus et Tisbé - novella cortese medievale.\nPiramus et Tisbe - poema di Mathieu de Vendôme (XIV secolo).\nFavola di Piramo e Tisbe - poemetto di Bernardo Tasso (1493-1569).\nHistoria de los dos leales amadores Piramo y Tisbe (stampata solo nel 1615) - poema di Cristóbal de Castillejo (1490-1550).\nFabula de Piramo y Tisbe - traduzione da Le Metamorfosi di Ovidio di Pedro Sánchez de Viana (metà del XVI secolo – primo terzo del XVII).\nLa Historia de Piramo y Tisbe - poema di Antonio de Villegas (1522-1551).\nHistoria de los muy constantes y infelices amores de Píramo y Tisbe (nella raccolta di idilli La Sampogna, 1620) - poemetto di Jorge de Montemayor (1520-1561).\nPiramo e Tisbe (1582) - poema di Gregorio Silvestre de Mesa.\nin Cancionero de romances (1584) - raccolta di poemi di Luis de Sepúlveda.\nPyramvs and Thisbe (1597) - poema di Dustan Gale.\nCancionero llamado Flor de Enamorados (1601) - poema di Juan de Linares.\nPíramo triste, que de Tisbe mira (1602) - Soneto XVIII da Rimas di Félix Lope de Vega y Carpio (1562-1635).\nFábula de Píramo y Tisbe (1618) - poema di Luis de Góngora (1561-1627).\nFábula de Píramo y Tisbe (1621) - poema di Miguel Botelho de Carvalho (1595-?).\nPiramo e Tisbe (1621) - poema (?) di Juan Antonio de Vera y Figueroa Ávila y Zúñiga, conosciuto come Conde de la Roca (1583 - 1658).\nTragicall History of Piramus and Thisbe (1628?) - romanzo epico di Abraham Cowley (Londra, 1618 – Chertsey, 28 luglio 1667).\nIlustración y defensa de la «Fábula de Píramo y Tisbe» (1636) - poema (?) di Cristóbal Salazar Mardones (?-1670).\nFábula de Píramo y Tisbe in Deleitar aprovechando (Dilettare con giovamento, 1635) - poema di Tirso de Molina, pseudonimo di Gabriel Téllez (1579-1648).\nFabula de Piramo y Tisbe burlesca (1640) - Pedro Carral y Sotomayor (?).\nFabula de Piramo y Tisbe (1640?) - poema di Jerónimo de Barrionuevo de Peralta (1587-1671).\nPiramo y Tisbe - poema (?) di Antón González Reguera (conosciuto come Antón de Marirreguera) (?-1662?).\nPiramo y Tisbe (1656) - poema (?) di Miguel de Efren y Quevedo.\nObras de varios asuntos (1660) - poema di Josef Geronimo Valmaseda y Zarzosa.\nFabula de Piramo y Tisbe in Ocios de Castalia (1663) - poema (?) di Juan de Ovando Santaren y Gomez de Loaysa (1624-1706).\nA Piramo y Tisbe - sonetto di Jerónimo de Cáncer y Velasco (1599–1655).\nLa fábula de Píramo y Tisbe (agli inizi del XVIII secolo) - Carrillo de Mendoza.\nTraducció en vers de la fabula de Piramo y Tisbe (1779) - David Causse.\nPyrame et Thisbé, poème comique en quatre chants - poema di Eugène Berthier.\nRomance de Piramo y Tisbe - poema di Agustín Durán (1789-1862).\nFabula de Piramo y Tisbe (1863) - poema (?) di Pedro Manuel Nicolás Paz Soldán y Unanue (1839-1895).\nLastimosa historia de Piramo y Tisbe o El amor y el infortunio (1868?) - poema (?) di Alonso y Buján.\nLa chambre des dames. Contes et romans du Moyen Âge (1922) - traduzione dal francese antico di André Mary.\nLa fuga di Piramo e Tisbe (2006) - racconto per bambini di Martino Menghi.\n\nOpere teatrali.\nPiramo e Tisbe (1621) - tragedia in 5 atti di Théophile de Viau (1590-1626).\nLe Pyrame (1633) - opera teatrale di Jean Puget de la Serre (1594-1665).\nhttp://dehesa.unex.es/bitstream/handle/10662/4315/0210-8178_4_233.pdf?sequence=1&isAllowed=y - opera teatrale (?) di Alonso de Olmedo y Ormeño (1626?-1682).\nComedia famosa de Píramo y Tisbe (stampato nel 1668) - opera teatrale di Pedro Rosete Niño, poeta e drammaturgo spagnolo del secolo XVII.\nPyrame et Thisbé (1674) - opera teatrale di Jacques Pradon (a volte Nicolas Pradon, 1644-1698).\nPiramo e Tisbe - tragedia di François Joseph de Lagrange-Chancel (1677-1758).\nLa Tisbe (1722) - tragedia di Francesco Maria Frangiossa.\nPyrame et Thisbé (1726) - parodia di Pierre-Francois Biancolelli (1707-1772) e Jean-Antoine Romagnesi (1690-1742).\nPyrame et Thisbé (tra il 1726 e il 1740) - parodia di autore sconosciuto, forse Louis Fuzelier (1672-1752).\nQuiproquo, ou Polichinelle Pyrame (1740) - parodia (opera comica?) di Adrien-Joseph le Valois d'Orville (1715-1780).\nPyrame et Thisbé (1740) - parodia (opera comica?) di Charles-Simon Favart (1710-1792).\nPyrame et Thisbé (1759) - parodia di Antoine-François Riccaboni (1707-1772).\nPyrame et Thisbé (1783) - melodramma di Jean Mauduit, detto Larive (1747-1827).\nPyrame Et Thisbe: Tragedie En Trois Actes Et En Vers (1823) - tragedia in tre atti di Jean-Edouard Bruneaux.\nDrei Deutsche Pyramus-Thisbe-Spiele (1911) - opera teatrale di Alfred Schaer.\nPyramus And Thisbe: A Tragedy in Three Acts (1939) - opera teatrale di Laurence Dakin (1904–1972).\nLos amores de Piramo y Tisbe (2001) - tragedia in 4 atti di Manuel Maria Rosal Nunez.\n\nOpere liriche.\nPyramus und Thisbe getreue und festverbundene Liebe (1697) - Opera lirica di Johann Sigismund Kusser (anche Cousser, 1660-1727).\nPirame et Tisbé (1713) - Opera lirica di Louis-Nicolas Clérambault (1676-1749).\nThe comick mask of Pyramus and Thisbe (1716) - Opera parodica di Richard Leveridge (o Leueridge, 1670-1758).\nLa Tisbe (1718) - Opera lirica di Giuseppe Antonio Brescianello (1690-1758) su libretto di Pier Jacopo Martello (1665-1727).\nPyrame et Thisbé (1726) - Opera lirica di François Rebel (1701-1775) e François Francœur (1698-1787) su libretto di Jean-Louis-Ignace de La Serre (1662-1756).\nPyramus and Thisbe (1745) - Opera parodica di John Frederick Lampe (1703-1751).\nPiramo y Tisbe, drama por musica (1748) - Antonio Gras.\nPiramo e Tisbe (1768) - Opera lirica di Johann Adolf Hasse (1699-1783).\nPiramo e Tisbe (1775) - Opera lirica di Venanzio Rauzzini (1746-1810).\nPiramo e Tisbe (1783) - Dramma per musica in 3 atti e 32 scene di Francesco Bianchi (1752-1810).\nPiramo e Tisbe (1784) - Opera lirica di Vincenzo Righini (1756-1812).\nPyramus und Thisbe: ein musikalisches Duodram (1787) - di Daniel Gottlob Türk (1750-1813) su libretto di Friedrich Anton Franz Bertrand.\nPiramo e Tisbe (1788) - Opera di Angelo Tarchi (1760-1814) ???.\nPiramus und Tisbe: ein Melodrama (1788) di Stanislaus Franz Xaver Spindler (1763-1819).\nPyramus und Thisbe, oder, Das Schloss Hünfeld di Gottlob Benedict Bierey (1772-1840).\nPyramus und Thisbe: Ein musikalisches Duodrama (1795) - di Anton Eberl (1765-1807).\nPiramo e Tisbe (1803) - Opera lirica di Gaetano Andreozzi (1755-1826) su libretto di Giovanni Schmidt (1775?-1839?).\nPyramus und Thisbé (1816) - Opera lirica di Karl Traugott Eisrich (1775–1835) su libretto di Rudolf von Bergen.\nPiramo e Tisbe - Opera lirica di Vincenzo Fiocchi (1767-1843).\nPyramus und Thisbé (1875?) - Opera lirica di Ludwig Gellert (1827 - 1913) su libretto di Heinrich Oswalt.\nPyramus and Thisbe (2015) - Opera lirica di Barbara Monk Feldman.\n\nArie, cantate e brani musicali.\nThisbe claeght over de doot van Piramus - contrafact di Willem Reijersz de Lange (1570-1605).\nPyrame et Thisbé (1716) - 6 cantate da Le Deuxième Livre de Cantates di Michel Pignolet de Montéclair (1667–1737).\nPiramo y Tisbe - Zarzuela di Luis Misón (o Missón, 1727-1766).\nTisbe (1789/1796) - Cantata di Bonifazio Asioli (1769-1832).\nPyrame et Thisbé (1823) - cantata di Louis-Constant Ermel (1798–1871).\nPyrame et Thisbé (1823) - cantata di Edouard Boilly (1799-1854).\nPiramo e Tisbe (1824) - Cantate con cori composte da Luciano Fontana del liceo filarmonico di Lugo.\nPyramme et Thisbé (1840) - duo comico di Henri Streich.\nPaysage avec Pyrame et Thisbé - per oboe di Gilles Silvestrini (1961).\nThisbe (1953-54) - brano di Bill Russo per l'orchestra di Stan Kenton.\nFlute Song (Pyramus and Thisbe) (1989) - brano contenuto nel disco 'Big Theatre' di Peter Erskine.\nPyramus and Thisbe (1990) - brano contenuto nel disco 'A Midsummer Night's Dream' dei Twice a man.\nPyramus and Thisbe (1993) - brano contenuto nel disco 'The Return of Red Emma' di Lida Husik.\nThus Thisbe Ends (1999) - brano contenuto nel musical 'A Midsummer Night's Dream' di Andrew Sherman e Rusty Magee.\nPyramus and Thisbe (2010) - composizione di Daniel Kellogg.\nPyramus and Thisbe (2013) - brano contenuto nel disco 'Trees, Walls, Cities' del Brodsky Quartet e Loré Lixenberg.\n\nCitazioni.\nNelle sue Fabulae (Le favole, I secolo a.C.) lo scrittore romano Igino cita Piramo nel capitolo dei Suicidi (CCXLII. Qui se ipsi interfecerunt): 'Piramo a Babilonia si uccise per amore di Tisbe.' E quindi cita anche Tisbe nel capitolo successivo sulle suicide (CCXLIII. Quae se ipsae interfecerunt): 'Tisbe di Babilonia si uccise perché Piramo a sua volta si era suicidato.'.\nNello scritto filosofico De Ordine (L'Ordine), Sant'Agostino (354-430) parla del suicidio di Piramo.\nNel XXVII canto del Purgatorio della Commedia di Dante Alighieri, vv. 37-42 si fa riferimento alla storia di Piramo e Tisbe.\nNel Don Chisciotte di Miguel de Cervantes (1547-1616), quando Cardenio racconta la sua storia con Lucinda, paragona i genitori di lei a quelli della 'tanto cantata' Tisbe, e quando Don Lorenzo recita '... questo sonetto sulla favola, o storia che dir si voglia, di Piramo e Tisbe'.\nNe Les Filles de Minée in 'Le Favole' (XII,28) Jean de La Fontaine (1621-1695).\nNe El Poeta (1785) di Vicente Antonio García de la Huerta (1734 - 1787).\nNe Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas (1802-1870), nel capitolo 50 intitolato Piramo e Tisbe l'autore descrive l'amore segreto tra Maximillian Morrel e Valentine de Villefort.\nNella Scena VI del primo atto de Il figlio assassino per la madre (Trieste 1824) di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue.\nNel Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand (1868-1918), nella tirata del naso, Cyrano dice: Enfin parodiant Pyrame en un sanglot: «Le voilà donc ce nez qui des traits de son maître a détruit l'harmonie! Il en rougit, le traître! ».\nNelle sue Poésies libres (1945) Guillaume Apollinaire (1880-1918) dedica dei versi a Piramo e Tisbe.\nNel 1964 i Beatles recitarono la scena di Piramo e Tisbe dal Sogno di una notte di mezza estate per il quattrocentesimo anniversario dalla nascita di William Shakespeare.\nIl mito viene citato più volte nel corso dell'episodio La figlia sorge ancora della ventitreesima stagione de I Simpson, dove svolge tra l'altro un certo ruolo tematico all'interno della trama.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Pirene (naiade).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Pirene (Peirene, forse da πειραίνω, peirainô, 'legata' o 'che lega') era una naiade.\n\nMito.\nLa madre di Pirene era Metope, mentre il padre, a seconda delle fonti, viene indicato come Acheloo, Ebalo o Asopo. Da Poseidone ebbe Leche e Cencrea; alla morte di quest'ultimo, pianse così tanto da trasformarsi in una fonte, situata alle porte di Corinto, la cosiddetta fontana Pirene.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Piritoo.\n### Descrizione: Piritoo (in greco antico: Πειρίθοος?, Peiríthoos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re dei Lapiti e viveva nella città di Larissa in Tessaglia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Issione e di Dia, Omero invece, nell'Iliade lo fa concepire da Zeus. Era fratellastro di Euritione e fu sposo di Ippodamia e padre di Polipete.\n\nMitologia.\nPartecipò alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro e fu un grande amico di Teseo. Durante il suo matrimonio con Ippodamia, figlia di Bute, Piritoo invitò alle nozze i centauri che ubriacatisi cercarono di molestare la sposa. Nella guerra che seguì fu aiutato da Teseo e dai Lapiti e una volta vinta scacciò il re dei centauri Euritione e i suoi seguaci dal monte Pelio e dall'intera Tessaglia.\nDopo la morte di Ippodamia (che morì poco dopo la nascita di Polipete)si recò nell'oltretomba insieme a Teseo nel tentativo di rapire Persefone ma furono catturati dal dio Ade che li fece sedere su due troni di pietra e che si rivelarono essere i seggi dell'oblio.\nQuando Eracle scese negli inferi per rapire Cerbero li incontrò e liberò Teseo ma non poté fare altrettanto con Piritoo poiché la terra iniziò a tremare, segno che per gli dèi inferi il Lapita doveva restare nell'Ade.\nSecondo Virgilio, alla morte di Teseo questi fu nuovamente condannato a sedersi sul trono dell'oblio da Ade (e stavolta per sempre), mentre Piritoo oltre a non essere stato liberato in precedenza da Eracle, rimase incollato sul seggio fino alla morte terrena e dopodiché (e sempre nel Tartaro), venne condannato a sostare sotto una rupe, sulla cui sommità c'era una pietra in bilico, sempre sul punto di cadergli addosso.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Pirra.\n### Descrizione: Pirra (in greco antico: Πύρρα?, Pýrra) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglia di Epimeteo e di Pandora, fu moglie di Deucalione che la rese madre di Protogenia, Elleno (che si narra fosse figlio di Zeus) ed Anfizione che regnò sull'Attica dopo Cranao.Esiodo aggiunge le figlie Pandora e Tia.\n\nMitologia.\nQuando Zeus decise di porre fine all'età dell'oro con il grande diluvio, Deucalione e Pirra furono gli unici sopravvissuti, grazie all'arca che Prometeo, padre di Deucalione, aveva suggerito al figlio di costruire. Si arenarono sul Monte Parnaso, l'unico luogo risparmiato dall'inondazione.\nDopo il diluvio, Deucalione chiese all'oracolo di Temi come ripopolare la terra. Gli fu detto di lanciare le ossa di sua madre dietro le sue spalle. Deucalione e Pirra capirono che la madre era Gea, la madre di tutti i viventi, e che le ossa erano le pietre. Lanciarono perciò sassi alle loro spalle, che presto iniziarono a cambiare forma. La loro massa aumentava, e cominciava ad emergere una forma umana. Le parti tenere ed umide divennero pelle e carne, le venature della roccia divennero vasi sanguigni, e le parti più dure divennero ossa. I sassi lanciati da Pirra divennero donne, quelli tirati da Deucalione uomini.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Pisistrato (mitologia).\n### Descrizione: Pisistrato (in greco antico: Πεισίστρατος) è un personaggio della mitologia greca ed è figlio più giovane di Nestore il re di Pilo.\nI suoi fratelli sono Antiloco, Areto, Echefrone, Perseo, Trasimede, Pisidice, Policasta e Stratio.La madre, a seconda dei miti è Anassibia oppure Euridice.\n\nMitologia.\nDiventa un amico intimo di Telemaco, il figlio di Ulisse, ed è il primo ad accoglierlo quando giunge alla reggia accompagnato da Mentore, sotto le cui spoglie si celava la Dea Atena. Serio e giudizioso, è ancora celibe. Accompagnerà il principe itacense nella sua infruttuosa ricerca di notizie riguardanti la sorte del padre scomparso.Come il suo quasi coetaneo compagno di viaggio, anche Pisistrato non era che un infante quando suo padre e i fratelli maggiori Antiloco e Trasimede hanno dovuto lasciare la propria patria per andar a combattere nella guerra di Troia.\nNel Canto IV i due giovani si recano assieme a Sparta a cercar notizie alla corte di Elena e Menelao.Nel Canto XV Telemaco e Pisistrato fanno ritorno a Pilo.\n\nStoria.\nLa famiglia del tiranno ateniese Pisistrato affermava di discendere da lui, a quel che ne dice Erodoto nelle sue Storie.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Pistrice.\n### Descrizione: La pistrice nella mitologia greca e romana è un leggendario mostro marino, dotato di coda di serpente.\nSi trova nelle raffigurazioni dei cortei di Nettuno e altre divinità marine, oppure nelle mappe nautiche greche, riprese fino al Rinascimento.\nLa pistrice era un grande mostro che simboleggiava anche la paura verso l'ignoto.\nNel Medioevo la pistrice divenne nel periodo carolingio un ibrido tra volpe e serpente marino.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Pitarchia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Pitarchia (in greco Πειθαρχία) era la personificazione di obbedienza.\nÈ stata citata una volta da Eschilo, che cita un proverbio secondo il quale Peitharchia è la moglie di sorella e madre di Euprassia.
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### Titolo: Pitone (mitologia).\n### Descrizione: Pitone (in greco antico: Πύθων?, Pǜthōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Gea, prodotto dal fango della terra dopo il Diluvio Universale.\n\nMitologia.\nEra un drago-serpente di dimensioni impressionanti e custodiva l'Oracolo di Delfi. Morì in seguito ad un combattimento epico contro Apollo che per questo, si impossessò dell'oracolo e diede alla sacerdotessa il nome di 'Pizia' (Pitonessa).\nTra i motivi della morte di Pitone per mano di Apollo, dobbiamo considerare anche una possibile vendetta di Apollo verso il serpente, il quale, prima della nascita del dio, aveva perseguitato Latona (Leto), madre di Apollo, fino l'isola di Delo. Pitone era in una grotta presso una sorgente. Quando vide Apollo si attorcigliò ad un lauro. Secondo i commentari rabbinici, si tratta della stessa figura mitica del serpente del Giardino dell'Eden.\nApollo stesso a causa della sua impresa si guadagnò l'appellativo pitio, infatti tra le varie feste e celebrazioni in onore di Apollo (Apollo Carneo, le Targelie, ecc.) ricordiamo in particolare quella di Apollo Pitico.\nInoltre vi erano i famosi Giochi Pitici (Pythia) che si celebravano ogni quattro anni nella pianura Crissea presso Delfi, che consistevano in una gara musicale, a cui si aggiunsero col tempo anche gare ginniche ed equestri e che prevedevano come premio per il vincitore una corona di alloro.\nPitone ebbe un figlio di nome Aix.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Pizia.\n### Descrizione: Nell'antica Grecia la Pizia o Pitia (in greco antico: Πυθία Pythía, pronuncia: [pyːtʰí.aː]) era la sacerdotessa di Apollo che dava i responsi nel santuario di Delfi, situato presso l'omphalos (l'«ombelico del mondo»).\nLa posizione venne ricoperta da donne scelte nella città di Delfi, senza limiti di età, per circa 2000 anni, dal 1400 a.C. fino al 392 d.C. quando la pratica venne proibita dall'imperatore romano Teodosio I che, dopo aver reso il Cristianesimo religione di Stato nel 380, aveva soppresso i culti pagani attraverso i decreti teodosiani.\nL'oracolo di Delfi è una delle istituzioni religiose del mondo classico meglio documentate, nonché probabilmente la più nota di questo tipo. Secondo Plutarco, nel periodo di maggior popolarità del santuario di Delfi, c'erano almeno tre donne che svolgevano contemporaneamente il ruolo di Pizia.\nTra gli scrittori che lo menzionano possiamo ricordare, in ordine alfabetico: Aristotele, Diodoro Siculo, Erodoto, Euripide, Giustino, Lucano, Ovidio, Pausania, Pindaro, Platone, Plutarco, Senofonte, Sofocle, Strabone e Tito Livio.\n\nOrganizzazione dell'oracolo.\nIl suo ruolo di tramite divino conferiva alla Pizia un prestigio e una posizione sociale inusualmente elevati in una cultura maschilista come quella greca. Gli obblighi che le venivano richiesti erano la purezza rituale e la continenza.\nI supplici che si presentavano a Delfi per consultare l'oracolo, spesso dopo un lungo viaggio, erano selezionati dai sacerdoti che valutavano l'effettiva necessità della loro richiesta.\nPrima della consultazione era costume sacrificare una capra, il cui corpo sarebbe stato lavato con l'acqua della sorgente del santuario e dai cui organi, in particolare dal fegato, i sacerdoti, nel ruolo di aruspici, avrebbero divinato la buona riuscita o meno dell'incontro con la veggente. Era inoltre consuetudine versare una generosa offerta in denaro al santuario, la cui entità condizionava anche la priorità di ammissione al cospetto della Pizia.\nFinalmente soddisfatti tutti i requisiti, il supplice veniva condotto nell'ἄδυτον àdyton, la '[camera] inaccessibile' del tempio, che, nel caso particolare di Delfi, consisteva in una cella sotterranea dove egli avrebbe potuto consultare la Pizia e ottenere l'agognato vaticinio. All'interno vi era anche una fonte d'acqua, la Kassotis, alla quale si abbeveravano sia la Pizia, sia i sacerdoti e chi richiedeva gli oracoli.\n\nOrigine dell'Oracolo.\nIl primo autore classico che narra dell'origine del santuario è Diodoro Siculo, scrittore del I secolo a. C., il quale riferisce che un pastore, tale Kouretas, si accorse un giorno che una delle sue capre - caduta in una cavità rocciosa - belava in modo strano.\nIl capraio, entrato nella grotta, si sentì pervadere dalla presenza divina e da quell'istante iniziò a ottenere visioni del passato e del futuro. Eccitato dalla scoperta, Kouretas avvertì gli abitanti del suo villaggio, molti dei quali si recarono più volte nella grotta fino a che uno di loro morì. Da quel momento, l'accesso alla cavità fu permesso solo alle ragazze più giovani e successivamente, con la fondazione del santuario, regolato rigidamente da un gruppo di sacerdoti.\nDiodoro afferma che in un primo tempo il ruolo di Pizia era riservato alle vergini, ma dopo che Echecrate di Tessaglia rapì e violentò la veggente di cui si era invaghito, fu decretato per legge che nessuna vergine avrebbe più vaticinato e il ruolo venne riservato alle donne d'età matura che avrebbero continuato a indossare le vesti da vergine in ricordo delle originarie sacerdotesse.\nCome illustrato da Joseph Eddy Fontenrose e altri mitografi, il termine Pizia deriva da Pito (Πῦθώ), il nome del santuario nel principale mito di fondazione che vede Apollo uccidere il serpente oracolare Pitone posto a guardia del santuario di Delfi, dedicato a una divinità femminile, e costruire con la carcassa il nuovo oracolo a lui stesso intitolato.Un altro significato dell'espressione si potrebbe trovare nell'albanese: Py(e)tja significa 'Domanda' cioe domandare all'oracolo di predire il futuro.Le fonti più antiche, come gli inni omerici ad Apollo (ma anche alcune raffigurazioni artistiche), citano anche un serpente femminile (drakaina), Delfina (Δελφινης), custode dell'oracolo e dal cui nome sarebbe derivato il toponimo Delfi/Delfo. L'aspetto e gli attributi di questo serpente si confondono, forse volutamente, con quelli dell'Echidna e Károly Kerényi lo interpreta come la sovrapposizione del mitema del racconto apollineo su quello precedente.\n\nLa figura mitologica del serpente Pitone, si modella, quindi, su quella più arcaica di Delfina, riprendendone in parte alcuni attributi, in primis il ruolo di custode dell'oracolo che in alcune raffigurazioni più antiche conserva assieme ad Apollo pur diventando successivamente l'avversario sconfitto ed ucciso, e si sovrappone progressivamente anche a livello linguistico. Il nome del tempio di Apollo conserva il legame col racconto mitologico più antico: per esempio, il tempio di Apollo ad Atene veniva chiamato Δελφίνιoν (Delfinio) dall'epiteto Δελφίνιος (Delfinio) attribuito ad Apollo negli inni omerici; ma altresì, la figura preminente della nuova casta sacerdotale, è divenuta la Pizia con un chiaro riferimento al nuovo culto.\nPitone (il cui nome deriva dal verbo πύθειν col significato di far imputridire) è, nella versione più canonica, il nemico ctonio del dio del Sole e lo scrittore Robert Graves legge in questa contrapposizione il riferimento all'occupazione da parte dei greci di un santuario pre-ellenico esistente a Delfi. Il culto già esistente con la sua casta sacerdotale femminile sarebbe stato preservato, per evitare le rivolte della popolazione, ma si sarebbe adattato - spiega Graves - al nuovo contesto religioso. L'uccisione dell'eroe Pitone da parte di Apollo nel mito sarebbe diventata di conseguenza una sorta di rappresentazione simbolica finalizzata a sancire e a far accettare questo cambiamento.\nSostegno alla lettura del racconto mitologico come sovrapposizione/sostituzione del culto apollineo su uno più antico, è fornito anche dai reperti archeologici ritrovati presso il santuario di Delfi: le statuette votive di sesso femminile (create a immagine di una divinità analoga) vengono progressivamente sostituite tra l'XI e il IX secolo a.C. da analoghi simulacri esclusivamente maschili.\nPer estensione, la Pizia viene indicata anche con il termine di Pitonessa (dal latino tardo pythonissa) con riferimento alla maga («che prediceva il futuro invasata da un demone chiamato Python») consultata da Saul nel racconto biblico (I Samuele, 28, 7 28).\n\nIpotesi scientifiche sull'oracolo.\nÈ stato spesso supposto che la Pizia emettesse i suoi vaticini in uno stato di alterazione mentale, allucinazione o trance, indotta aspirando i vapori che fuoriuscivano da una fessura nel suolo o masticando vegetali allucinogeni come l'alloro, e poi riferisse i vaticini in forma confusa al sacerdote che li interpretava per il supplice.\nSi è suggerito che pure l'atmosfera suggestiva del luogo, la liturgia sacra con i vari rituali, le aspettative e l'entusiasmo degli stessi supplici, contribuissero a far raggiungere alla veggente lo stato di esaltazione mistica.\nSebbene le fonti classiche siano concordi nel fornire l'immagine di una donna che si esprime in modo intelligibile e direttamente al supplice, in merito all'ipotesi dei gas allucinogeni, già lo storico greco Plutarco, che aveva servito come sacerdote al tempio, affermava (Moralia 436c) che la Pizia - per ottenere le visioni - si rinchiudeva in un antro dove «dolci vapori» fuoriuscivano dalle rocce. Ricerche, anche di tipo geologico, per verificare questa ipotesi sono state condotte più volte nel sito di Delfi, senza risultati significativi.\nSembra chiaro che la struttura del santuario di Delfi differisse da quella usuale dei templi greci presentando, come adyton accessibile solo alla veggente, una particolare soluzione consistente in una camera sotterranea che poteva essere effettivamente stata creata in corrispondenza di una preesistente cavità naturale. Le prime campagne di scavo francesi nel sito di Delfi non trovarono, tuttavia, evidenze di fessurazioni e cavità naturali, ma un riesame recente del corredo fotografico degli scavi ha contestato queste conclusioni.Nel 2000, Luigi Piccardi, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, formulò l'ipotesi che la voragine oracolare citata nel mito fosse il risultato di una rottura del terreno creatasi a seguito di un terremoto lungo la faglia sismica di Delfi, e che i 'vapori' che avrebbero ispirato la Pizia fossero gas comunemente rilasciati da simili fratture sismiche, come acido solfidrico e anidride carbonica, capaci di indurre moderati effetti psicoattivi nell'uomo.Nel 2001, un gruppo interdisciplinare di geologi, archeologi e tossicologi della Wesleyan University di Middletown (Connecticut) rilevò una concentrazione di 15,3 ppm di metano e 0,3 ppm di etilene nella sorgente di Kerna, adiacente al tempio di Delfi (Spiller, Hale, de Boer, Chanton, 2002). Secondo l'équipe della Wesleyan, l'abbondante presenza di etilene (un gas odoroso che potrebbe ben adattarsi alla descrizione di Plutarco) era dovuta alla conformazione geologica locale. Lo strato roccioso su cui sorge il tempio sarebbe stato interessato, infatti, dal passaggio di due importanti sistemi di faglie (le linee di Kerna e Delfi) e costituito da calcari bituminosi con un alto tasso di idrocarburi. Poiché il santuario si trova in una zona tettonicamente molto attiva, l'area estensionale di Corinto, la roccia risulterebbe particolarmente cataclasata e, a causa delle fratture, permeabile all'acqua e ai gas intrappolati negli strati bituminosi. Studi tossicologici sull'inalazione d'etilene mostrano, in effetti, che questo idrocarburo - letale ad alti dosaggi - potrebbe provocare, se assunto a piccole dosi, euforia, sensazione di leggerezza e allucinazioni.L'ipotesi di una significativa emissione di etilene a Delfi, così come la particolare conformazione geologica sottostante al tempio di Apollo (in particolare, l'esistenza della faglia di Kerna), è stata successivamente contestata e smentita da diversi studi scientifici che hanno messo in risalto la mancanza di evidenze geologiche e geochimiche a supporto dell'impianto speculativo di Spiller, Hale e de Boer e una sostanziale implausibilità dello stesso.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Plistene (figlio di Atreo).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Plistene era uno dei figli di Atreo. Divenne poi secondo alcune fonti padre di Agamennone, Menelao e Anassibia, mentre Omero indica Atreo stesso come padre dei tre.\nSua madre invece era Cleola, prima moglie di Atreo.\n\nLa morte.\nCleola era morta dando alla luce Plistene, nato malato per colpa di Artemide. Venne in seguito ucciso dai sicari che lo stesso Atreo aveva mandato per uccidere un altro Plistene, quello avuto da Erope, sua seconda moglie, da Tieste il suo amante precedente.\nAtreo però non demorse nella sua ricerca di vendetta, alla fine trovò lui stesso quel Plistene II insieme a Tantalo II, li uccise, li tagliò a pezzi, e li porse come pietanza a Tieste che prima mangiò di gran lena e poi vomitò maledicendo Atreo.\n\nPareri secondari.\nAlcune fonti indicano Plistene come sposo di Erope e padre di Agamennone e Menelao, sebbene i due siano invece indicati da Omero come figli di Atreo.