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@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: Giuditta II. ### Introduzione: Giuditta II (noto anche come Giuditta/Salomè) è un quadro di Gustav Klimt del 1909. Questo dipinto fu ultimato da Klimt a distanza di otto anni dalla prima versione del 1901 e da quest'ultima possiamo riscontrare profonde differenze di carattere stilistico e una mutata rilevanza simbolica. ### Descrizione. La figura femminile rappresentata nella sua interezza e non più sino alla vita conferisce una forte verticalità all'insieme pittorico, tanto che il limite inferiore del quadro tagliando di netto la gonna della donna ci lascia immaginare quasi che la sua figura possa continuare ancora verso il basso. Lo slancio verticale quasi sproporzionato delle figure femminili è una caratteristica peculiare dei quadri del pittore austriaco, che con tale mezzo espressivo conferiva ai suoi soggetti una monumentalità e un'eleganza assolutamente predominanti all'interno delle sue opere. Le parti del corpo di carattere figurativo si concentrano soprattutto su viso, busto, mani (elemento fondamentale) e seppure in ombra sulla testa di Oloferne in basso a destra. Gli altri elementi pittorici all'interno dell'opera ricompongono nell'occhio dell'osservatore le parti rimanenti della figura, ovvero i capelli della donna e il suo vestito, che solo dopo un'attenta valutazione si può ben vedere come siano isolati e sciolti da un'idea di plasticità e di adattamento alle forme voluminose del corpo. Partendo dal concetto liberty della linea sinuosa curva, Klimt è riuscito a creare una sua speciale estetica che rende i suoi quadri inimitabili nel loro genere. Le tipiche linee spiraleggianti si mischiano a cerchi colorati concentrici che, forse maggiormente in altre sue opere, ricordano la forma dell'occhio umano, fino ad arrivare a motivi geometrici come triangoli o piccoli rettangoli colorati ravvicinati. La grandezza di Klimt sta nell'essere riuscito tramite un linguaggio contemporaneo e moderno rispetto al periodo in cui è vissuto ad isolare nello spazio e nel tempo le figure rappresentate, destinandole immancabilmente a diventare eterne.
@Scribis @Italiano. Descrivi un famoso dipinto.
### Titolo: Ratto di Ganimede (Correggio). ### Introduzione: Il Ratto di Ganimede è un dipinto a olio su tela (163,5x70,5 cm) di Correggio, databile al 1531-1532 circa e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. Fa parte di una serie realizzata per il duca di Mantova Federico II Gonzaga avente per tema gli amori di Giove. ### Descrizione e stile. Secondo il mito greco, Ganimede era un bellissimo fanciullo troiano. Giove, innamoratosi di lui, prese le sembianze di un'aquila, lo rapì mentre era intento al pascolo sul monte Ida e lo condusse con sé sull'Olimpo, facendone il coppiere degli dei: mentre Senofonte leggeva nell'episodio l'allegoria morale della superiorità della mente sul corpo (il nome di Ganimede è formato dalle parole greche γάνυσθαι, 'gioire', e μήδεα, 'intelligenza'), per Platone il mito era stato inventato dai cretesi per giustificare le relazioni tra uomini adulti e ragazzi adolescenti, ma nel Rinascimento il ratto di Ganimede era arrivato a simboleggiare l'estasi dell'amore platonico, che 'libera l'anima dai suoi legami fisici e la solleva a una sfera di beatitudine olimpica'.Quella di Correggio è la prima grande rappresentazione del mito dell'età moderna (contemporaneamente Michelangelo stava pensando allo stesso tema per la decorazione della cupola della Sagrestia Nuova della basilica fiorentina di San Lorenzo, ma non portò a compimento l'opera). Difficile dire quale interpretazione l'artista desse del mito: la sua versione del tema, pur estremamente sensuale, è piuttosto diretta; il cane serve a ricordare l'attività terrena e il fatto che la sua figura sia ritagliata sull'orlo inferiore della composizione crea un effetto di maggiore immediatezza. L'estremo realismo con cui è resa l'aquila, animale araldico presente nello stemma di casa Gonzaga e, al contempo, emblema dell'autorità imperiale, potrebbe essere interpretato come un omaggio del duca Federico a Carlo V. L'iconografia rappresentò quindi per il Correggio una sfida per esibire la propria bravura. Se là si trattava di rappresentare la consistenza impalpabile di una nuvola, qui la difficoltà maggiore stava nel rappresentare convincentemente una figura in volo. Forse non c'era artista a questa data in Italia e all'estero che fosse più abile del Correggio per un compito siffatto. L'esperienza della decorazione della cupola di San Giovanni Evangelista e di quella del Duomo di Parma avevano fatto dell'artista un esperto in materia. Proprio dagli affreschi del Duomo è stato notato che deriva la figura del Ganimede, particolarmente da uno degli angeli efebici in volo sulle nuvole. Rimane la delicatissima e solare invenzione figurativa del Correggio, giocata sulle tenere fattezze del Ganimede in volo, sulla sua fanciullesca ingenuità, sul mirabile giro – continuamente spostato – del punto di vista lungo la verticale della visione, e sui colori eccezionalmente preziosi. La tecnica infatti di sottili, calibratissime pellicole di colore conferma la datazione della scena agli stessi anni della Io.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Giove e Io. ### Introduzione: Giove e Io è un dipinto a olio su tela (163,5x74 cm) di Correggio, databile al 1532-1533 circa e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. Fa parte di una serie realizzata per il duca di Mantova Federico II Gonzaga che ha per tema gli amori di Giove. ### Descrizione e stile. Il dipinto è dedicato alla vicenda di Io, sacerdotessa di Era, così come narrata nelle Metamorfosi, il poema epico-mitologico di Ovidio: invaghitosi di lei ma timoroso della gelosia di sua moglie, Giove fece calare una fitta nebbia sulla terra e sedusse l'affascinante fanciulla. Il taglio così simile col Ganimede farebbe pensare che le due tele fossero impostate per costituire un pendant ed essere viste appaiate. Tuttavia ogni ipotesi sulla destinazione degli Amori di Giove, commissionati da Federico II Gonzaga non ha ancora ricevuto sostegno documentario. Per la posa arcuata della ninfa Io, rappresentata di schiena, il Correggio si ispirò a prototipi antichi, quali il celebre bassorilievo ellenistico dell'Ara Grimani dove è rappresentato Cupido che bacia Psiche. Più in generale la raffigurazione di tergo di una figura femminile in atteggiamento erotico appartiene alla cultura artistica antica. Ciò detto, i possibili modelli antichi furono sapientemente trasfigurati dal Correggio per creare questa immagine splendida dove l'abbandono della ninfa è funzionale ad accogliere quella che è una delle rappresentazioni più virtuosistiche della pittura del Cinquecento: la nuvola soffice ed eterea in cui si era mutato Giove per sedurre la bellissima Io. La rappresentazione delle nuvole aveva interessato il Correggio fin dagli anni degli affreschi della cupola di San Giovanni Evangelista e da qui in poi era divenuta quasi una cifra sitilistica della sua ricerca. Rappresentare le nuvole, come del resto la pioggia, l'acqua, i fulmini, era considerata una delle più ambite difficoltà dell'arte. Alla fine della sua carriera, per quella che forse è in assoluto la sua ultima opera, il Correggio si impegnò ad offrire un saggio della sua maestria. Non solo la nuvola perlacea ed evanescente in cui si intravede un volto umano, ma anche un ruscello di acqua limpida in primissimo piano, per circondare il gesto voluttuoso della ninfa di un riverbero di luci crepuscolari. L'opera del Correggio fu di ispirazione nei secoli successivi, ed il tema di 'Io e Giove' fu ripreso da artisti romantici dell'800, tra i quali Dombrowsky e altri.
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### Titolo: Ritratto di nobildonna genovese con il figlio. ### Introduzione: Ritratto di nobildonna genovese con il figlio è un dipinto del pittore fiammingo Antoon van Dyck del 1625. ### Descrizione. Il dipinto raffigura una nobildonna seduta e suo figlio, un ragazzetto di circa sette anni. I due sono inseriti su una terrazza. La donna, raffigurata con un pesante abito nero, che potrebbe essere segno di vedovanza, tiene per mano il figlio, un bambino apparentemente vivace e maturo. Le mani intrecciate sono il centro della tela. Non si sa con precisione l'identità della donna, che fino a qualche tempo fa si riteneva essere Paola Adorno, marchesa di Brignole-Sale.
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### Titolo: L'assassino minacciato. ### Introduzione: L'assassino minacciato è un dipinto di René Magritte, eseguito nel 1926 e conservato al Museum of Modern Art di New York. ### Descrizione. Il quadro raffigura il luogo di un delitto. All’interno della stanza il cadavere nudo di una donna è disteso su un elegante divano foderato di stoffa rossa, mentre un uomo in piedi ascolta un disco sul grammofono, poco distante da lei. L’uomo – presumibilmente l’assassino – indossa un completo elegante ed ha una posa rilassata, una mano in tasca e l’altra appoggiata sul tavolo dove si trova il grammofono. A terra accanto a lui vi sono una valigia e una sedia, sulla quale sono posati il suo cappotto e il cappello. Tre uomini osservano la scena da fuori, attraverso una grande finestra posta centralmente in fondo alla sala. In primo piano ai lati del dipinto vi sono due figure, probabilmente due detective, accostate al muro in attesa del momento giusto per catturare l’assassino. I due uomini sono fisicamente identici, indossano gli stessi abiti e lo stesso cappello a bombetta, ma brandiscono armi diverse: quello a sinistra impugna una mazza con mano destra, l’altro tiene con entrambe le mani una lunga rete che arriva a sfiorare il pavimento.Nonostante l’ambientazione e i personaggi del quadro siano realistici, la vena surrealista di Magritte si percepisce dall’inespressività delle figure. La scena è pervasa da un’atmosfera di mistero e sembra sospesa nel tempo: non vi è fretta di fuggire nell’assassino, tranquillamente assorto nella musica del grammofono, né di agire da parte dei detective in agguato. Inoltre, i volti immobili dei tre uomini sullo sfondo spiano ciò che avviene all’interno della stanza e allo stesso tempo sembrano guardare negli occhi lo spettatore.
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### Titolo: Il dominio di Arnheim. ### Introduzione: Il dominio di Arnheim è un dipinto del pittore belga René Magritte di cui esistono diverse versioni. ### Descrizione. Il titolo richiama l'omonimo racconto di Edgar Allan Poe, dove sono descritti paesaggi e montagne. Magritte rappresenta una catena montuosa che assume la forma di un uccello. Non è chiaro, come in molti dipinti del pittore, se è l'uccello a farsi montagna, o la montagna, ad assumere tale forma. L'osservatore vede come attraverso una finestra, sul cui davanzale sono posate due uova, queste non pietrificate, ma vere. Il contrasto che emerge è anche tra la comune idea del volatile, che si libra in aria leggero e libero e la pesantezza della prigione in cui si trova, la pietra, la montagna blocca il suo volo, eterna la sua forma incatenandolo al suolo, con tutto il suo peso. Questo quadro ricorda per questo aspetto anche Il sapore delle lacrime, sempre dipinto da Magritte nel 1948, o anche I compagni della paura, del 1942, in cui le foglie si fanno uccelli o gli uccelli si fanno foglia, le ali reclinate, le radici li ancorano al suolo, impedendo loro di volare.
@Scribis @Italiano. Descrivi un famoso dipinto.
### Titolo: Cacciata del Duca d'Atene. ### Introduzione: La Cacciata del duca d'Atene è un affresco conservato nella Salotta di Palazzo Vecchio a Firenze; l'affresco, proveniente da un muro delle antiche carceri delle Stinche, è stato dubitativamente attribuito all'Orcagna e fu dipinto tra il 1343 e il 1349. ### Descrizione. Di forma circolare di circa tre metri di diametro, in origine presentava all'intorno i segni dello Zodiaco, dei quali oggi resta solo il segno del Leone, alternati da figure femminili e alcune iscrizioni poste a commentare la scena dipinta. Nella scena principale è rappresentato al centro Palazzo Vecchio, nell'assetto riscontrabile tra il 1323, anno della costruzione dell''Aringhiera', e il 1349, quando furono demolite le antiporte. Sulla sinistra si vede una figura femminile con l'aureola (variamente interpretata, probabilmente sant'Anna) seduta su un trono coperto da un drappo sorretto da due angeli. Essa porge, in segno di restituzione, i tre gonfaloni di Firenze, del Popolo e del Comune ad un gruppo di cavalieri, inginocchiati per riceverli: si tratta di una rappresentazione simbolica della restituzione del potere alle milizie fiorentine. Questi cavalieri hanno la spada nella mano destra e guardano con intensità la loro protettrice. Sul fianco destro delle loro cotte d'armi si vede la lettera T, che li identifica come i Cavalieri del Tau A terra si vedono una spada spezzata, una bilancia spezzata, un libro chiuso e uno scudo deformato. Sulla destra dell'affresco si vede il Duca d'Atene, con un abito guarnito d'ermellino, che si allontana scacciato da un angelo, portandosi via uno strano oggetto dalle forme antropomorfe. L'angelo porta sul braccio sinistro una colonna e, nella mano destra, un frustino a tre corde.
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### Titolo: Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi. ### Introduzione: Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi è un dipinto a olio su tela realizzato dal pittore italiano Caravaggio. Era conservato nell'Oratorio di San Lorenzo a Palermo, da dove fu trafugato la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 e da allora mai più recuperato. La Natività, il cui valore di mercato è stimato come non inferiore ai 20 milioni di dollari secondo l'FBI, è inserita da quest'ultima nella lista mondiale dei dieci capolavori rubati più importanti. ### Descrizione e stile. La tela, di cm 268 x 197, racconta la nascita di Cristo, traducendo un realismo autentico che rende l'episodio verosimile. I santi, le madonne del Caravaggio hanno le fattezze degli emarginati, dei poveri che egli bene aveva conosciuto durante il suo peregrinare e fuggire in lungo e in largo per l'Italia. Nella Natività palermitana ogni personaggio è colto in un atteggiamento spontaneo: san Giuseppe, relativamente giovane rispetto all'iconografia tradizionale, volge le spalle allo spettatore, è avvolto in un manto verde e dialoga con un pastore che si trova dietro la figura di san Francesco d'Assisi. La presenza di san Francesco è sicuramente un tributo all'Oratorio, che all'epoca era passato alla Venerabile Compagnia a lui devota costituitasi già nel 1564. La figura a sinistra è san Lorenzo. La Madonna, qui con le sembianze di una donna comune, ha un aspetto estremamente malinconico, e forse già presagisce il destino del figlio, posto sopra un piccolo giaciglio di paglia: sarebbe la stessa modella che compare nel dipinto Giuditta e Oloferne. La testa del bue è chiaramente visibile, mentre l'asino si intravede appena. Proprio sopra il Bambino vi è infine un angelo planante, simbolo della gloria divina. Ciò che conferisce particolare drammaticità all'evento è il gioco di colori e luci che caratterizzano questa fase creativa del pittore.
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### Titolo: Oche di Meidum. ### Introduzione: Le Oche di Meidum è un fregio che Auguste Mariette dichiarò di aver rinvenuto nel 1871 a Meidum nella mastaba di Nefermaat, figlio del re Snefru, e Atet sua consorte. Poiché sono estremamente rare le opere risalenti all'Antico Regno, se fosse autentico questo reperto parietale sarebbe di notevole importanza dato l'ottimo stato di conservazione. È conservato al Museo del Cairo in originale ed al British Museum in copia. ### Descrizione. Il pannello, delle dimensioni di cm 27 di altezza e cm 172 di lunghezza, era situato nella cappella di Atet e rappresenta una scena di caccia sulle rive del Nilo, molto comune a quei tempi similmente ad altre raffigurazioni come quelle della tomba di Nebamon. Fu realizzato con pittura su stucco, opposto dell'affresco, con notevole tecnica pittorica e rappresenta in modo simmetrico sei oche, divise in due gruppi speculari, molto realistiche nella forma e nei colori. L'arte pittorica egizia ebbe nel periodo storico dell'Antico Regno, la massima attenzione per i dettagli di animali e piante, tanto che ancora oggi è possibile individuare la specie delle oche, dal piumaggio stilizzato, nella specie Lombardella maggiore indicata anche con il geroglifico s3, gbnella specie Oca granaiola e quelle dal collo rosso Bernacle. Si noti che queste ultime due specie non sono presenti in Egitto. Sono realizzate con la tecnica puntiforme che nell'insieme crea, da semplici macchie di colore, splendide figure e per dare l'effetto di profondità due oche sono disegnate sovrapposte. Lo sfondo è quello di uno sfocato giardino senza dimensioni e delicatamente accennato da qualche ciuffo d'erba e fiori e dove la vivacità delle oche risalta in colori perfettamente calibrati rendendo l'insieme cromaticamente armonico.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Notte stellata sul Rodano. ### Introduzione: Notte stellata sul Rodano è un dipinto del pittore olandese Vincent van Gogh, realizzato nel 1888 e conservato al Musée d'Orsay di Parigi. ### Descrizione. Van Gogh, in quest'opera, sembra rispondere indirettamente a una celebre frase del filosofo tedesco Immanuel Kant:. Di seguito, invece, si fornisce la descrizione che Vincent van Gogh fornì dell'opera, come di consueto in una lettera indirizzata al fratello Théo:. Anche van Gogh, come si è già detto, sentì con vivo trasporto la fascinazione del cielo notturno, e lo immortalò in diverse opere, come in questa Notte stellata sul Rodano, oggi esposta al museo d'Orsay di Parigi, e nel più tardo e celebre capolavoro del Museum of Modern Art di New York, Notte stellata. Questa tela, infatti, concede un'ampia rilevanza alla magnifica visione del cielo notturno, reso con una sensibilità quasi romantica: quella fede e quel sentimento che il Positivismo aveva condannato e bandito, declassando gli astri a meri oggetti di indagine scientifica, nella Notte stellata sul Rodano riaffiorano in maniera particolarmente misteriosa ed affascinante. Nel dipinto quest'idillio notturno avvolge anche due innamorati, visibili in basso, oltre che le città addormentate di Arles e Trinquetaille (a destra sono visibili le torri di Saint-Julien and Saint-Trophime). Facendo ricorso all'intera tastiera atmosferica del Romanticismo, in quest'opera van Gogh coglie «l'universo [che] riposa nella luminosità tranquilla di una luce naturale e scintillante» (Metzger): il cielo appare infatti rischiarato da una moltitudine di stelle, che brillando si riflettono sui flutti del Rodano, visibile in basso. Alla naturalezza degli astri, poi, fa da contrappunto l'artificialità dei lampioni a gas del lungofiume di Arles, che vomitano sulle acque appena increspate del fiume dei fasci luminosi fuggevolissimi ma violenti: è la volta celeste, tuttavia, la vera protagonista del dipinto, con la matassa stellare che si dipana come una costellazione di pietre preziose. Nell'opera, inoltre, van Gogh utilizza una sola tinta e la sviluppa in tutte le sue possibili sfumature, orchestrando una raffinata sinfonia di blu di Prussia, blu oltremare e cobalto, in maniera analoga ad un musicista che rielabora più volte il medesimo tema musicale per enfatizzarne le qualità espressive.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Pala Baglioni. ### Introduzione: La Pala Baglioni è un dipinto smembrato di Raffaello a olio su tavola, datato 1507 e firmato (RAPHAEL URBINAS MDVII). La parte centrale, il trasporto del Cristo morto si trova nella Galleria Borghese a Roma, mentre altri scomparti sono stati riconosciuti in altri musei. ### Descrizione. La pala è composta dai seguenti scomparti:. Eterno e angeli (attr. Domenico Alfani), olio su tavola, 64,5x72 cm, Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria. Deposizione Borghese, olio su tavola, 184x176 cm, Roma, Galleria Borghese. Fede, olio su tavola, 16x44 cm, Roma, Pinacoteca vaticana. Carità, olio su tavola, 16x44 cm, Roma, Pinacoteca vaticana. Speranza, olio su tavola, 16x44 cm, Roma, Pinacoteca vaticana. Frammento del fregio con Putti e grifi, tempera su tavola, 21x37 cm, Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria. Frammento del fregio con Putti e grifi, tempera su tavola, 21x55 cm, Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria. Frammento del fregio con Putti e grifi, tempera su tavola, 21x54,8 cm, Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria. Frammento del fregio con Putti e grifi, tempera su tavola, 21x36,5 cm, Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria.
@Scribis @Italiano. Descrivi un famoso dipinto.
### Titolo: Incontro di Leone Magno con Attila. ### Introduzione: L'Incontro di Leone Magno con Attila è un affresco (circa 660x500 cm) di Raffaello e aiuti, databile al 1513-1514 e situato nella Stanza di Eliodoro, una delle Stanze Vaticane. Una copia è presente anche nella Sala delle Galere a Palazzo Chigi. Come si può vedere dall'immagine del dipinto, si rappresenta Attila come un assassino, spietato, sanguinario re, dato che dietro di esso vi sono solo fuoco, macerie e città assaltate. ### Descrizione e stile. La scena narra l'incontro avvenuto nei pressi del Mincio nel 452, tra Attila re degli Unni e Papa Leone I che avrebbe distolto il bellicoso capo barbaro dall'invadere l'Italia. Come per la battaglia di Ponte Milvio, la propaganda cristiana ne aveva fatto un episodio miracoloso, con l'apparizione celeste di un vecchio in abiti sacerdotali che avrebbe terrorizzato gli assalitori, sostituito però da Raffaello dai santi Pietro e Paolo, protettori della città eterna. Raffaello ambientò la scena nei pressi di Roma, con evidenti richiami alla situazione politica contemporanea. Sullo sfondo a sinistra si riconosce infatti una città murata, una basilica, un acquedotto e il Colosseo, mentre il colle su cui divampa l'incendio, a destra, è Monte Mario. I due gruppi contrapposti sono quanto di più diverso. Il gruppo degli Unni si slancia estremamente dinamico e furente, bloccato però dalla sfolgorante apparizione degli apostoli armati di spada in cielo. A sinistra invece il papa col suo corteo procede ordinato e pacato nella sua infallibilità. Una tale differenziazione è rispecchiata anche nel paesaggio, placido a sinistra, sconvolto dal fuoco e dalla rovina a destra. Le fattezze del pontefice sono quelle di Leone X, subentrato a Giulio II che era morto nel 1513, anche per l'omonimia con Leone I. Il nuovo papa figurava però già come cardinale nell'affresco, l'ultimo a sinistra. L'idea dell'omonimia piacque al nuovo pontefice, che lo scelse come tema per la stanza successiva, quella stanza dell'Incendio di Borgo e in cui le composizioni asimmetriche saranno la dominante stilistica.
@Scribis @Italiano. Descrivi un dipinto.
### Titolo: Incoronazione di Carlo Magno. ### Introduzione: L'Incoronazione di Carlo Magno è un affresco (circa 670x500 cm) di Raffaello e aiuti, databile al 1516-1517 e situato nella Stanza dell'Incendio di Borgo, una delle Stanze Vaticane. ### Descrizione e stile. L'episodio dell'incoronazione di Carlo Magno da parte di Leone III è storicamente avvenuto nella notte di Natale dell'anno 800 nell'antica basilica di San Pietro in Vaticano. Nella sua rappresentazione si voleva alludere probabilmente al concordato tra la Santa Sede e il regno di Francia siglato nel 1515 a Bologna. Il papa ha infatti le sembianze di Leone X e l'imperatore quelle di Francesco I, re francese all'epoca della realizzazione dell'affresco. La scena è impostata lungo una diagonale, che conduce l'occhio dello spettatore in profondità, dove sotto il baldacchino papale (decorato dalle chiavi di san Pietro), circondato da parati a festa, avviene l'incoronazione. Circondano questa sorta di platea due gruppi di cardinali, vescovi e soldati, mentre a sinistra si vede l'altare e, in primo piano, un gruppo di inservienti che sta accatastando grossi vasi argentei e aurei e un ripiano con le zampe dorate su un tavolo delle offerte, riprendendo il tema romano-imperiale dei cortei trionfali. Secondo Vasari il paggetto inginocchiato vicino all'imperatore, che tiene la corona reale (sostituita dal papa con quella imperiale), sarebbe un giovanissimo Ippolito de' Medici. L'architettura si rifà probabilmente, ancora una volta nelle Stanze, allo stato dei lavori in San Pietro. Sopra la porta, per riempire l'angolo angusto, Raffaello ideò una cantoria intarsiata dalla quale si affacciano i giovani cantori incuriositi dall'evento: uno di essi regge in mano uno spartito. Papa Leone fu un grande estimatore della musica, e fu lui a istituire un celebre coro per le funzioni nella Cappella Sistina.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Virtù e la Legge. ### Introduzione: Le Virtù e la Legge è un affresco (660 cm alla base) di Raffaello Sanzio, databile al 1511 e situato nella Stanza della Segnatura, una delle quattro Stanze Vaticane. ### Descrizione e stile. Raffaello risolse il problema della forma della parete dividendola, tramite una finta intelaiatura architettonica, in tre zone: una superiore, dove su un parapetto che si staglia contro il cielo si trovano tre Virtù, e due laterali, dove dietro ad altrettante nicchie si svolgono le scene di Triboniano che consegna le Pandette a Giustiniano (diritto civile) e Gregorio IX che approva le Decretali (diritto canonico).
@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: Polittico di Badia. ### Introduzione: Il Polittico di Badia è un dipinto a tempera su tavola (142x337 cm) di Giotto, databile al 1300 circa e conservato agli Uffizi di Firenze. ### Descrizione. È composto da cinque scomparti sagomati con cuspide triangolare e raffigura i busti della Madonna col Bambino (scomparto centrale) e, da sinistra, i santi Nicola di Bari, Giovanni evangelista, Pietro e Benedetto, identificabili sia per gli attributi che per il nome in basso. Le cuspidi contengono tondi con busti di angeli e in quella centrale, un Cristo benedicente. Come tipologia il polittico ebbe una vasta influenza nella pittura fiorentina del Trecento, venendo ripreso dal Maestro della Santa Cecilia, da Lippo di Benivieni, da Taddeo Gaddi, da Bernardo Daddi, ecc. ### Stile. La ferma e solenne monumentalità delle figure, un po' più debole nei santi di sinistra, è sottolineata da un potente chiaroscuro, soprattutto nei panneggi, che ben si adatta alla fase precedente il viaggio padovano. Il disegno è elegante e curato. Le figure hanno sguardi intensi e sono collocate saldamente nello spazio, con alcuni dettagli di notevole effetto, come la ricca veste e il pastorale dorato di san Nicola, il gesto affettuoso del Bambino che afferra con la mano la scollatura di Maria (umana come non mai prima) o il drappo della stola di san Pietro che girando attorno al corpo ne esalta la volumetria. A differenza dello stile sciolto e accattivante delle Storie di san Francesco, i santi del polittico appaiono seri e gravi, in quanto figure di antica venerazione. Il pittore si sforzò di rendere la consistenza corporea e spaziale delle figure, facendole scartare leggermente (in modo da sottolineare la profondità spaziale) e arricchendole di dettagli preziosi, secondo uno stile che si riscontra anche in opere come il Crocifisso di Rimini o le Stigmate di San Francesco del Louvre. In ogni caso il polittico dovrebbe essere anteriore al viaggio a Padova per dipingere la Cappella degli Scrovegni: per questo la pala viene di solito datata al 1300 circa. L'ispirazione dei volumi compatti inoltre potrebbe essere giunta dalle opere di Arnolfo di Cambio che Giotto avrebbe avuto modo di vedere durante le celebrazioni del primo anno santo a Roma, nel 1300.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Stigmate di san Francesco (Giotto). ### Introduzione: Stigmate di san Francesco è un dipinto a tempera e oro su tavola (313x163 cm) di Giotto, eseguito per la chiesa di San Francesco di Pisa . È firmato 'Opus Jocti Florentini'. Il dipinto è conservato al Louvre, dove è giunto a seguito delle spoliazioni napoleoniche in Italia. ### Descrizione. La tavola cuspidata con fondo oro mostra nella scena principale san Francesco che riceve le stimmate durante la preghiera sul Monte Alverno, da Cristo volante che gli appare in forma di serafino, con le ferite che emettono raggi di luce che vanno a colpire le rispettive zone del corpo di Francesco. Spicca per monumentalità la figura del santo, con un inserimento nello spazio ben calibrato anche in profondità, come le figure del Polittico di Badia. La scelta di rappresentare un momento di azione come soggetto principale, per quanto si tratti di un episodio centrale nella vita del santo, era una novità rispetto alla tradizione di derivazione bizantina che voleva figure ieratiche e frontali al centro dei dipinti (si vedano le opere di Bonaventura Berlinghieri o del maestro del San Francesco Bardi). Lo sfondo mostra gli sforzi di collocare realisticamente la scena nello spazio, sebbene vi si ritrovino alcune convenzioni bizantine, come le montagne scheggiate e gli elementi paesaggistici rimpiccioliti. Nelle cappelle del monte si notano i tentativi di costruire gli edifici in prospettiva. Il forte chiaroscuro sul volto di Francesco dona intensità espressiva e ne modella il volume. Agli angoli destro e sinistro appare lo stemma della famiglia Ughi o Cinquini.
@Scribis @Italiano. Descrivi un famoso dipinto.
### Titolo: San Girolamo scrivente (Malta). ### Introduzione: Il San Girolamo scrivente è un dipinto di Caravaggio realizzato in olio su tela (117x157 cm) nel 1608. È conservata a Malta, nella Concattedrale di San Giovanni a La Valletta. Il dipinto raffigura San Girolamo mentre scrive in una cella monastica, circondato da elementi simbolici, questa è una rappresentazione classica del Santo, considerato dalla Chiesa Cattolica come dottore della Chiesa Cristiana per il suo lavoro di traduzione della Bibbia dal greco al latino. Questo dipinto fu l'ultimo che il pittore dedicò al Santo. Il committente dell'opera fu Ippolito Malaspina, uno degli alti funzionari dello Stato monastico dei Cavalieri di Malta, che avrebbe così voluto essere associato con l'ascetismo del Santo. Dal XVII secolo, e con l'eccezione di alcune mostre temporanee, il dipinto non ha lasciato l'isola di Malta, ma ha conosciuto diversi luoghi di installazione, rubato nel 1984, fu ritrovato quattro anni dopo e godette di un importante restauro alla fine dell'XX secolo. Il suo stato di conservazione, tuttavia, non è ottimale. In quest'opera, Caravaggio propone un trattamento di grande intensità psicologica, limitando gli effetti pittorici al fine di focalizzare l'attenzione sulla spiritualità del personaggio e la scena, giocando soprattutto sul gioco delle ombre: la tavolozza dei colori è limitata, la composizione è dura e l'arredamento più sobrio possibile. Questo approccio è tipico della tarda via del pittore lombardo, che nel corso degli anni ha lasciato alcuni approcci enfatici al suo lavoro giovanile per favorire una messa in scena di spiritualità e di introspezione, traendo ispirazione dalla statuaria antica. Caravaggio dovette fuggire da Roma poco prima, dove era stato processato per omicidio; questo dipinto, insieme a quelli che verranno dopo, è un'opera d'esilio in cui l'intensità spirituale corrisponde ai suoi tormenti interiori e alla sua disponibilità di redimersi. ### Descrizione. L'opera è un dipinto olio su tela. È rettangolare (117 × 157 cm) e di medie dimensioni. Si presenta in una cornice di legno dorato ornato di motivi. Il dipinto mostra un uomo situato in ciò che sembra, per la piccolezza, una cella monastica, con una luce che gli riflette addosso. Il personaggio appare quasi nella sua interezza. È un uomo barbuto e anziano, con un volto solcato da rughe. È senza camicia, una toga rossa copre il fondo della sua pancia e le gambe. Si siede sulla sporgenza di un letto e si poggia su un tavolo per scrivere in un libro di spessore e dimensioni medie. Il suo corpo è ruotato al limite dell'impossibilità fisiologica: la sua gamba destra è girata a sinistra dello spettatore e il suo busto ruota verso destra. Infine la sua testa è coronata da un'aureola appena visibile.
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### Titolo: Affreschi di Santa Sofia. ### Introduzione: Gli affreschi di Santa Sofia sono un ciclo di affreschi dell'VIII o IX secolo della chiesa di Santa Sofia, a Benevento, opera di artisti anonimi legati alla Scuola di miniatura beneventana. Fa parte del sito seriale 'Longobardi in Italia: i luoghi del potere', comprendente sette luoghi densi di testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree dell'arte longobarda, iscritto alla Lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel giugno 2011. ### Descrizione. Gran parte dell'opera, che originariamente doveva ricoprire l'intera superficie interna della chiesa, è stata distrutta nel corso dei lavori di rifacimento condotti nel XVIII secolo; oggi rimangono soltanto alcuni brani nelle absidi minori. I frammenti superstiti rappresentano l'Annuncio a Zaccaria, Zaccaria muto, l'Annunciazione e la Visitazione alla Vergine (nel riquadro).
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### Titolo: Affreschi di San Vincenzo al Volturno. ### Introduzione: Gli affreschi di San Vincenzo al Volturno sono un ciclo di affreschi dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno, a Castel San Vincenzo (Isernia). Esempio del movimento pittorico longobardo beneventano, sono opera di artisti anonimi legati alla Scuola di miniatura beneventana, realizzati nel secondo quarto del IX secolo. Gli affreschi si trovano nel complesso archeologico di San Vincenzo Minore, nella cripta del vescovo Epifanio. ### Descrizione.
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### Titolo: Maria Maddalena in estasi. ### Introduzione: Maria Maddalena in estasi, è un dipinto a olio su tela (106,5×92,5 cm) di Michelangelo Merisi da Caravaggio, databile attorno al 1606, anche se alcuni studiosi e storici dell'arte, propendono per il 1610. Attualmente è presente in più versioni, alcune delle quali sono copie evidenti e firmate. Nella versione cosiddetta 'Klain' (dal nome dei penultimi proprietari privati, nella foto accanto), fu identificata dal prof. Maurizio Marini (e poi notificata dal Ministero dei Beni Culturali), che collocò la sua esecuzione nel momento della fuga di Caravaggio da Roma, dopo l'uccisione di Ranuccio Tomassoni. Secondo lo studioso, il quadro fu dipinto a Paliano, quando Caravaggio era ospite nei feudi dei Colonna, famiglia che aveva assicurato a Caravaggio la sua protezione. Ultimamente, i pareri sulla sua autenticità sono stati rafforzati da una serie di analisi non invasive, condotte fra il 2016 e il 2018 presso il fiorentino Opificio delle Pietre Dure dal prof. Roberto Bellucci. I dettagli emersi dalle indagini assicurano dell'alta qualità della realizzazione, con elementi tecnici e stilistici tipici della manifattura caravaggesca: gli sbozzi eseguiti a biacca, alcune tracce di disegno utili a 'fermare' la composizione, l'inserimento di uno sfondo paesaggistico da riferire all'ultimo stile del Caravaggio romano.Un'altra versione accreditata è quella conosciuta come 'Maddalena Gregori', che prende il nome di una tra i massimi esperti mondiali del Merisi, la prof.ssa Mina Gregori, che l'ha scoperta nel 2014. Durante il primo restauro, in una 'tasca' tra la tela di rifodero e la tela originale, venne alla luce un biglietto, con grafia seicentesca, che riporta la scritta 'Madalena reversa di Caravaggio a Chiaia ivi da servare pel beneficio del Cardinale Borghese di Roma'. Il foglietto, che era ripiegato in quattro parti, è stato analizzato sotto la guida della dott.ssa Orietta Verdi presso i laboratori dell'Università di Tor Vergata e della Sapienza di Roma. Le analisi su di esso hanno permesso di stabilire che la carta è del XVI secolo e l'inchiostro è un 'Ferro-Gallico' artigianale sempre databile a quel periodo.. ### Descrizione e stile. Secondo alcune fonti, il dipinto venne realizzato alcuni mesi dopo la fuga di Caravaggio da Roma in seguito all'omicidio di Ranuccio Tomassoni, e in particolare durante il suo soggiorno presso i suoi protettori, membri della famiglia Colonna di Paliano. Durante questo suo breve trasferimento, il pittore realizzò almeno due tele: la Cena in Emmaus e una Madalena.
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### Titolo: Marta e Maria Maddalena. ### Introduzione: Marta e Maria Maddalena (conosciuto anche col titolo di Conversione della Maddalena) è un dipinto del pittore italiano Caravaggio, eseguito con la tecnica dell'olio su tela intorno al 1598. È conservato nell'Institute of Arts di Detroit. ### Descrizione e stile. Il dipinto mostra le sorelle bibliche Marta e Maria Maddalena; Marta è colta nell'atto di convertire Maria dalla sua vita di peccato per condurla alla fede in Cristo. La santa, col volto oscurato dall'ombra, si appoggia in avanti, argomentando sapientemente le sue tesi di fronte alla sorella, che è raffigurata nell'atto di roteare un fiore d'arancio tra le dita, mentre con il braccio sinistro regge uno specchio, simbolo della vanità. L'effetto dell'immagine riecheggia sul volto di Maria, colta nel momento dell'inizio della conversione. Nel 2009 lo studioso Pietro Caiazza ha pubblicato un lavoro, intitolato 'Caravaggio e la falsa Maddalena', in cui rimette in discussione il soggetto del dipinto, proponendo una nuova interpretazione, legata strettamente alla committenza Aldobrandini.
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### Titolo: Crocifisso di San Damiano. ### Introduzione: Il Crocifisso di San Damiano è l'icona a forma di croce dinanzi a cui Francesco d'Assisi stava pregando quando ricevette la richiesta del Signore di riparare la sua casa. La croce originale è attualmente appesa nella basilica di Santa Chiara ad Assisi. I francescani curano questa croce come simbolo della loro missione datagli da Dio. La croce è considerata un'icona, perché contiene immagini di persone che prendono parte al significato della croce stessa. ### Descrizione. Gesù è rappresentato contemporaneamente ferito e forte. Egli non è morto, sta dritto e risoluto. Siamo dinanzi all'iconografia del Christus triumphans (che trionfa sulla morte), e la sua aureola include già l'immagine della croce glorificata. Il colore luminoso del suo corpo contrasta col rosso scuro e il nero attorno e accentua l'importanza di Gesù. Mentre il Cristo è rappresentato nella sua piena statura tutte le altre figure sono rappresentate rimpicciolite. Sopra la testa è posta la scritta in latino (titulus crucis) con delle abbreviazioni (Gesù nazareno re dei giudei).
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### Titolo: Maestà di Santa Trinita. ### Introduzione: La Maestà di Santa Trìnita (oppure Madonna di Santa Trìnita) è un'opera di Cimabue dipinta su tavola, databile tra il 1280 e il 1300, conservata agli Uffizi di Firenze. Raffigura la Madonna in trono con il Bambino, contornata da otto angeli, e presenta in basso quattro profeti a mezzo busto. Si tratta di una tempera su tavola e misura 385x223 cm. ### Descrizione. L'iconografia è quella bizantina della Madonna Odigitria, cioè in greco 'che indica la via', perché mostra la Vergine (che secondo la tradizione può essere in piedi o in trono) che indica il Bambino: la Madonna simboleggia la Chiesa e il Bambino la Via, la Verità e la Vita. La Madonna è dipinta in 3/4. Il trono è raffigurato secondo una visione frontale innovativa, con una grande cavità al centro e visto in una prospettiva intuitiva secondo un inedito senso tridimensionale (le precedenti Maestà cimabuesche presentano ancora un trono in assonometria). Lo scranno assume così una possanza nuova, di vera massa architettonica, impreziosita dai decori cosmateschi e calligrafici. Questa prospettiva centralizzata, traguardo di Cimabue maturo, venne ripresa di lì a poco da Giotto, Duccio di Buoninsegna e poi dagli artisti trecenteschi. Il trono crea un vero e proprio palcoscenico dove sono inquadrati, al di sotto di archi, quattro profeti, affacciati di busto in uno spazio realisticamente definito. L'oro dietro di loro, anziché generare la consueta piattezza, sembra suscitare la sensazione di vuoto, facendo sì che paiano affacciarsi da delle finestre/grotte piuttosto che stare schiacciati contro una parete. Essi sono riconoscibili dal cartiglio che recano in mano, contenenti versi del Vecchio Testamento allusivi a Maria e all'Incarnazione di Cristo: appaiono come testimoni che certificano l'evento prodigioso con le loro profezie, ed evocano la discendenza del Salvatore dalla loro stirpe. Il primo, con il cartiglio 'Creavit Dominus Novum super terram foemina circundavit viro' è Geremia, a cui seguono al centro Abramo ('In semine tuo benedicentur omnes gentes') e David ('De fructu ventris tuo ponam super sedem tuam', e infine a destra Isaia ('Ecce virgo concipet et pariet'). I due profeti centrali sono composti e solenni, quasi ripresi a discutere i misteri della concezione e della verginità. Quelli laterali si torcono a guardare verso l'alto, con una caratterizzazione assolutamente nuova; coi loro sguardi creano un triangolo che ha il vertice alla base del trono di Maria. Può darsi che il complesso delle quattro figure abbia una precisa spiegazione dottrinale: i patriarchi al centro rappresentano la capacità raziocinate dell'uomo, che si interroga sui misteri dell'incarnazione, mentre i profeti ai lati hanno sciolto ogni dubbio avendola potuta contemplare nella sua pienezza, e ne sono rapiti misticamente. Le teste degli angeli sono inclinate ritmicamente verso l'esterno o l'interno, evitando la rappresentazione di profilo, riservata allora solo alle figure secondarie o negative (di lì a poco Giotto abbatterà questo principio). Ricordano da vicino gli angeli della Maestà di Cimabue affrescata nella Basilica inferiore di Assisi. I loro corpi sono solidi, modellati da un chiaroscuro delicatamente sfumato e fluido (altra novità introdotta da Cimabue) nei panneggi delle vesti. I colori rosso e blu delle loro vesti indicano la loro sostanza, ossia la fusione di fuoco ed aria. Gli angeli in alto girano il capo ed affondano nella terza dimensione, cortigiani di una corte celeste retta da una Regina che è Maria. ### Stile. La tavola mostra lo stile maturo di Cimabue, in cui l'artista mostrò il superamento più spinto della rigidità bizantina verso formule più sciolte e umanizzate, che fecero di Cimabue secondo Vasari il primo a superare la 'scabrosa, goffa e ordinaria [...] maniera greca'. La visione frontale del trono, il volto della Vergine disteso e sereno, i dettagli del volto smussati e i chiaroscuri sfumati pongono l'opera lontana dai canoni bizantini da cui Cimabue seppe gradualmente affrancarsi. Rispetto alle precedenti Maestà di Cimabue è presente una profondità prospettica maggiore: nel trono sono presenti tre piani verticali a profondità crescenti, contro i due piani delle opere precedenti. Il piedistallo e i gradini del trono hanno anche un design concavo e scavato in profondità nella loro parte frontale. Il trono ha una visione frontale e rivela entrambi i lati interni e non è più in tralice. È cambiata anche la disposizione degli angeli, non più semplicemente uno sopra l'altro, ma adesso intorno al trono, disposizione che fa percepire una profondità maggiore. Le figure sono dilatate rispetto a prima, verso un maggiore realismo. Le pieghe delle vesti non sono più tese e fascianti come nella Maestà del Louvre del 1280 circa, ma si adagiano ampie e cadenti, come quelle tra le gambe di Maria, oppure appaiono meno arcuate, come nel manto blu che copre la sua testa. Ricompaiono le crisografie bizantine sul manto blu, ma stavolta solo a scopi decorativi, inserendosi tra le ampie pieghe volumetriche. Le lumeggiature dorate dell'agemina suggeriscono i tocchi della luce sul manto della Madonna e la veste del Bambino, di grande fluidità e ricchezza inventiva. Anche i chiaroscuri facciali sono più efficaci ed aumentano il contrasto. C'è anche una maggiore caratterizzazione anatomica dei volti a smussare gli spigoli e particolareggiarne i tratti (si noti ad esempio il taglio a livello della narice che si insinua entro la pinna del naso o l'accenno di sorriso, finora assenti in Cimabue). Pur con questi miglioramenti, si nota una certa refrattarietà alle innovazioni stilistiche e tecniche di Duccio di Buoninsegna e Giotto. Questa Maestà non ha la raffinatezza figurativa delle due opere degli anni '80 di Duccio, ovvero la Madonna di Crevole e la Madonna Rucellai, né la decoratività della seconda di queste. Anche le novità dell'allievo Giotto, già manifeste a partire dal 1290, fanno fatica a comparire. I contrasti raggiunti qui da Cimabue, ad esempio, non sono resi secondo i principi dell'unica fonte luminosa. Né sembrano le pieghe trovare la loro migliore adeguatezza sopra i corpi. Gli sguardi rimangono vaghi. Limitata è anche la gamma cromatica nel complesso, soprattutto se confrontata con gli immediati sviluppi della nascente scuola senese o con la tavolozza di Giotto. Cimabue di fatto sembra arroccarsi dietro ai suoi stessi stereotipi, quelli che lo avevano reso celebre e che, adesso, cominciavano a farlo apparire antiquato.
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### Titolo: Crocifisso di Rimini. ### Introduzione: Il Crocifisso di Rimini è un dipinto a tempera e oro su tavola (430x303 cm) attribuito a Giotto, databile al 1301-1302 circa e conservato nel Tempio Malatestiano di Rimini. ### Descrizione e stile. Cristo è raffigurato sulla croce sagomata abbandonato al peso del corpo, con il capo reclinato, gli occhi chiusi, l'espressione affaticata e sofferente ma dignitosa, il corpo magro, le gambe protese in avanti con le ginocchia e i piedi inchiodati a un unico chiodo. I tabelloni ai lati di Cristo sono occupati da decorazioni geometriche che simulano preziosi tessuti mentre in alto, su sfondo rosso, si trova un'iscrizione estesa dell'INRI. Gocce e rivoli di sangue escono dalle ferite, stimolando la partecipazione del fedele alle sofferenze di Cristo. L'aureola sporgente non appare al di sotto delle spalle, creando una curiosa mezzaluna. La figura, restaurata più volte, presenta una stesura pittorica più dolce e modulata della Croce di Santa Maria Novella, con passaggi di colore più fusi, che verranno ripresi dalla scuola locale. Forte è la luce, che stacca nettamente la figura dallo sfondo piatto, evidente soprattutto nelle braccia, di straordinaria resa anatomica, e nel busto, mentre più scolorite sono le gambe, coperte per metà da un perizoma trasparente, come già aveva fatto Cimabue. Il corpo snello ha perso la possanza della croce di Santa Maria Novella, anticipando lo stile padovano dell'artista. L'espressione del volto è mesta, ma dignitosa, e non ha ancora nulla della spiccata drammaticità dei successivi crocifissi di Padova, Louvre, Ognissanti e san Felice in Piazza a Firenze, attribuiti a Giotto o alla sua scuola.
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### Titolo: Guernica (Picasso). ### Introduzione: Guernica è un dipinto di Pablo Picasso. L'ispirazione per l'opera, improvvisa e all'ultimo minuto, arrivò solo dopo il bombardamento di Guernica (26 aprile 1937). Picasso compose il grande quadro in soli due mesi e lo fece esporre nel padiglione spagnolo dell'esposizione universale di Parigi (maggio-novembre 1937). Guernica fece poi il giro del mondo, diventando molto acclamata, ma soprattutto servì a far conoscere la storia del conflitto fratricida che si stava consumando nel Paese iberico. Guernica viene generalmente considerato uno dei maggiori capolavori di Picasso. ### Descrizione. L'ordine con cui deve essere letta l'opera d'arte è da destra a sinistra, poiché il lato destro era vicino all'entrata del luogo per cui è stata progettata, cioè il padiglione della Repubblica Spagnola all'Esposizione internazionale di Parigi. È un dipinto di protesta contro la violenza, la distruzione e la guerra in generale. La presenza della madre con il neonato in braccio, di un cavallo, che somiglia a un asino, simbolo dell'irrompere della brutalità, e di un toro, simbolo del sacrificio nella corrida ricorda la composizione del presepe natalizio, che risulta però sconvolto dal bombardamento. La colomba a sinistra, richiamo alla pace, ha un moto di strazio prima di cadere a terra; il toro rappresenta la follia della guerra, mentre il cavallo, trafitto da una lancia, simboleggia la Spagna. La violenza, lo stupore, l'angoscia e la sofferenza sono deducibili esplicitamente guardando, sulla sinistra dell'opera, la madre che grida al cielo disperata, con in grembo il figlio ormai senza vita; da contraltare ad essa l'altra figura apparentemente femminile a destra, che alza disperata le braccia al cielo. In basso nel dipinto c'è un cadavere che ha uno stigma sulla mano sinistra come simbolo di innocenza, in contrasto con la crudeltà nazi-fascista, e che stringe nella mano destra una spada spezzata, (simbolo della sconfitta e dell'inutile martirio), da cui sorge un pallido fiore, quasi a dare speranza per un futuro migliore. La gamma dei colori è limitata; vengono, infatti, utilizzati esclusivamente toni grigi, neri e bianchi, così da rappresentare l'assenza di vita, oltre a conferire all'opera una più intensa drammaticità. Inoltre la scelta del bianco e nero è dovuta ad una precisa scelta dell'artista che, non essendo stato testimone oculare della strage, volle riferirsi solo ai reportage riportati dai giornali dell'epoca che erano, appunto, in bianco e nero. La carta stampata è citata una seconda volta nel cavallo, il cui corpo picchiettato di segni neri ricorda la carta stampata. L'alto senso drammatico nasce dalla deformazione dei corpi, dalle linee che si tagliano vicendevolmente, dalle lingue aguzze che fanno pensare ad urli disperati e laceranti, dall'alternarsi di campi bianchi, grigi, neri, che accentuano la dinamica delle forme contorte e sottolineano l'assenza di vita a Guernica. Questo quadro doveva rappresentare una sorta di manifesto che esponesse al mondo la crudeltà e l'ingiustizia delle guerre. I colori del quadro sono il bianco e nero perché, secondo Picasso la guerra è sofferenza, ma nell'opera, se si guarda bene, c'è una lampadina che simboleggia la speranza.
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### Titolo: Giuramento di Leone III. ### Introduzione: Il Giuramento di Leone III (o Giustificazione di Leone III) è un affresco (circa 670x500 cm) di Raffaello e aiuti, databile al 1516-1517 e situato nella Stanza dell'Incendio di Borgo, una delle Stanze Vaticane. ### Descrizione e stile. L'affresco ricorda il giuramento, nell'antica basilica di San Pietro il 23 dicembre 800, col quale Leone III si purificò, 'non forzato e da nessuno giudicato', da false accuse dei nipoti di Adriano I, il giorno prima dell'incoronazione di Carlo Magno. Come negli altri affreschi della stanza il papa ha le sembianze di Leone X. Assisterono alla scena l'imperatore (il personaggio con la catena d'oro) e tutto il clero della basilica. Dall'alto risuonarono le parole, riprodotte sul cartiglio in basso, 'Dei non hominum est episcopos iudicare', cioè 'Tocca a Dio, non agli uomini giudicare i vescovi'. Si tratta di una evidente allusione alla conferma, data nel 1516 dal Concilio Lateranense V, della bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII, in cui si sanzionava il principio secondo il quale la responsabilità del pontefice è giudicabile solo da Dio. La composizione si rifà a quella della Messa di Bolsena, con l'altare al centro in posizione sopraelevata, contornato da un emiciclo di figure, e con alcuni gradini che portano alle due ali inferiori ai lati della finestra, dove si trovano gruppi di soldati e guardie svizzere. Allusivo è il ricamo sul paliotto, che mostra martiri salvati da angeli dal supplizio della ruota dentata.
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### Titolo: Campo di papaveri a Vetheuil. ### Introduzione: Campo di papaveri a Vétheuil (Les coquelicots près de Vétheuil) è un dipinto di Claude Monet (1840-1926) realizzato nel 1880 proprio nel paese di Vétheuil. Le sue dimensioni sono di 71,5x90,5 cm e oggi è conservato in Svizzera. È un dipinto appartenente al movimento pittorico figurativo detto Impressionismo. Il quadro fu rubato e poi ritrovato all'inizio del 2008 da un museo di Zurigo (Collezione Bührle); prima di essere acquistato negli anni Quaranta dalla famiglia Bürhle era di proprietà di un commerciante ebreo. Oggi gli eredi del commerciante vorrebbero la restituzione dell'opera sostenendo che questo quadro non fu mai venduto legalmente. ### Descrizione della scena e tecnica. In questo quadro possiamo ammirare tre giovani donne raccogliere dei papaveri rossi del piccolo comune francese, Vetheuil, situato nel nord della Francia, che fa da sfondo alla scena. Possiamo innanzitutto notare come le pennellate veloci di Monet, di grande formato, si rifacciano molto alla tecnica impressionista, portandoci ad un livello di astrazione. Egli cerca di mescolare colori, sfumandone i bordi, donandoci una sensazione di freschezza e vivacità, dato dal rosso dei papaveri picchiettato sul manto d'erba verde. Il quadro però appare diviso in due: il campo di papaveri sembra quasi estraniato dal villaggio, utilizzando colori totalmente differenti. Il villaggio infatti presenta delle tonalità bluastre, cupe, scure, totalmente diversi dalle tonalità usate nella porzione di quadro che rappresenta i papaveri.
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### Titolo: Croce di Mastro Guglielmo. ### Introduzione: La Croce di Mastro Guglielmo o Croce di Sarzana è una croce dipinta, datata epigraficamente al 1138 e conservato nella concattedrale di Santa Maria Assunta di Sarzana in provincia della Spezia. Si tratta del più antico esempio di croce dipinta datato. ### Descrizione. Sulla croce è rappresentato il Cristo crocifisso, accompagnato dai Dolenti e da riquadri di varia dimensione con Storie della Passione. Inoltre, sotto il titulus crucis, compare una firma dell'autore del crocefisso scritta in un distico di esametri leonini che recita: ANNO MILLENO CENTENO / TER QUOQ(ue) DENO / OCTAVO PIN/X(it) / GUILLE(l)M(us) ET H(aec) METRA FINX(it), ovvero Nell'anno 1138 Guglielmo dipinse (quest'opera) e compose questi versi. Risulta così che l'autore fosse un certo Guglielmo, detto anche convenzionalmente 'Mastro Guglielmo', di cui null'altro si sa a parte il nome, anche se si può inferire che possedesse una certa cultura, potendo scrivere una dedica in versi latini, cosa non accessibile a tutti in quel periodo storico. La figura del Cristo è raffigurata come trionfante (Christus triumphans), un'iconografia derivante da avori di epoca carolingia, tipica dell'ambiente della Riforma gregoriana, che si ripresenta nelle altre croci dipinte di area centro-italiana: Lucca, Pisa, Firenze, Arezzo, Spoleto e forse Roma. La pittura venne realizzata su un supporto in legno di castagno, essenza legnosa tipica delle opere del XII e inizio XIII secolo. Fra gli strati preparatori, poi, si individuano, secondo la tradizione tecnica più consolidata, una tela ingessata, alcune strisce di pergamena per le zone di maggiore fragilità strutturale, e una stesura molto compatta e perfettamente finita di gesso e colla. Dopo l'esecuzione, presumibilmente all'inizio del XIV secolo, la figura del Cristo (ad eccezione del ricco perizoma) venne ridipinta. Venne rispettato però, pur nell'aggiornamento stilistico, la fisionomia, segno di una considerazione già devozionalmente orientata dell'originale. La figura originale è in parte leggibile grazie alla radiografia e alla riflettografia effettuate sul dipinto all'epoca del suo ultimo restauro, concluso dall'Opificio delle Pietre Dure, nel 1998 e pubblicato nel 2001. Il restauro è stato realizzato da Roberto Bellucci, con la collaborazione di Ciro Castelli, Mauro Parri e Andrea Santacesaria per la parte lignea; con la direzione di Marco Ciatti e Cecilia Frosinini. Il committente, potrebbe essere identificato con un certo Guglielmo Francesco, figlio di Alberto Rufo e legato allo sviluppo economico della città, oppure con un membro della famiglia Villano. ### Stile. L'autore è conosciuto solo grazie a questo dipinto, ma già Garrison (1949) lo aveva messo in relazione ad alcune miniature del Passionario P della Biblioteca Arcivescovile di Lucca. Caleca, poi (1994) ipotizza convincentemente un parallelo con alcuni affreschi frammentari nella navata della chiesa di San Frediano a Lucca. Il suo stile permette di attribuirgli un'origine lucchese e una formazione artistica che si avvalse anche di rapporti esterni alla regione. Pietro Toesca ha proposto di confrontare il dipinto con il Trittico del Redentore di Tivoli, appartenente all'arte benedettina del XII secolo, mentre Luigi Coletti ha avvicinato l'opera ad altre croci dipinte nella zona di Pisa, dove si ritrovano le storie della Passione di Cristo sul fondo del tabellone, e di Lucca, dove le croci conservate nelle chiese di San Michele, dei Servi e di Santa Giulia presentano il motivo iconografico dei simboli evangelici ai capicroce laterali. La figura del Cristo, secondo il Torriti, 'presenta una dilatata grandiosità, una possente ricerca vitale e una libertà di movimento che sembra ormai sciogliere le rigide forme orientali.'.
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### Titolo: Piazza San Marco verso la Basilica. ### Introduzione: Piazza San Marco verso la Basilica è un dipinto a olio su tela (141,5x204,5 cm) del Canaletto, databile al 1723 circa e conservato nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. ### Descrizione. In questo quadro Canaletto raffigura Piazza San Marco, dominata sullo sfondo della celebre Basilica di San Marco. Egli mette in forte risalto il ruolo di questa piazza: centro vitale della città, sua vera 'anima', secondo l'opinione di alcuni viaggiatori del Settecento. Nella Piazza si concentrano gli edifici più rappresentativi: sui lati i palazzi delle procuratie illustrati in prospettiva; sullo sfondo, a destra, il Palazzo Ducale, quasi nascosto dal celebre campanile. Illuminato dal sole, il palazzo spicca rispetto all'ala buia della piazza, anche se è in posizione arretrata. Canaletto nel suo dipinto mostra una grande attenzione al vero, ossia al realismo. L'artista è attivo, infatti, principalmente a Venezia dove era molto forte la corrente del vedutismo, una corrente artistica che dà una grande importanza appunto alle vedute, ai paesaggi. Canaletto, quindi, spesso rappresenta monumenti e paesaggi che non sono più meramente uno sfondo, ma sono proprio il soggetto dell'opera. È infatti proprio questa sua attenzione al vero che lo porta a mettere in luce il contrasto tra la monumentalità degli edifici degli organi di governo veneziani e i banchi dei commercianti, ossia della classe medio-bassa. Inoltre una grande attenzione viene anche data alle condizioni atmosferiche, che rappresentano l'arrivo della tempesta. È infatti in questo dettaglio che l'artista mostra tutta la sua maestria nell'utilizzo del colore e nella rappresentazione del vero. Infine va marcato come ancora una volta Canaletto decide di rappresentare la popolazione veneziana come aveva già fatto, ad esempio ne 'il canal grande verso est', ossia come 'macchiette', senza però cadere nella banale stilizzazione della figura umana. L'artista infatti si distanzia dalla corrente nordica fiamminga che portava a rappresentare ogni personaggio, anche il più piccolo con il maggior numero di dettagli possibili.
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### Titolo: Madonna Incaldana. ### Introduzione: La Madonna Incaldana (anche detta Madonna del Belvedere o La Prodigiosa) è un antico dipinto su tavola in stile bizantino, ubicato nel Santuario di Maria Santissima Incaldana della città di Mondragone, in provincia di Caserta. È venerata dalla Chiesa cattolica ed è considerata la patrona della città di Mondragone. ### Descrizione. La cosiddetta 'Madonna Incaldana' è un dipinto risalente probabilmente al XIV secolo e si presenta come un'opera in tipico stile bizantino, vista l'assenza di plasticità e di naturalismo, con immagini stilizzate, piatte, bidimensionali e dal forte carattere religioso. L'icona sacra è un manufatto pittorico realizzato su di una tavola di legno e rappresenta una tipica raffigurazione della Madonna col Bambino. Le due figure umane occupano tutta la zona centrale del quadro. La figura di Maria è rappresentata in posizione frontale, seduta, e si presenta ricoperta dalla testa ai piedi da un abito di colore blu scuro, il quale la ricopre totalmente e lascia intravedere di lei solamente il volto, le mani e il seno destro. Al disotto di quest'abito si intravede un'altra veste di colore rosso, di una tonalità simile al borgogna; quest'ultima, della quale si vede solamente la manica e una porzione triangolare alla base del collo, è ulteriormente decirata ai polsi e al collo da una banda di colore verdognolo e rifinita ai bordi superiore inferiore da due file di puntini bianchi. Il viso è stilizzata e di forma tondeggiante, con occhi molto grandi e profondi, con labbra piccole e con naso diritto e sottile. La testa, ricoperta dalla cuffia dell'abito blu, è cinta da una corona d'oro ed è centrata in un'aureola dorata bidimensionale (essa, infatti, appare come una circonferenza). Infine, con le due dita (indice e medio) della mano sinistra porge il seno destro alla bocca del figlio Gesù, che ella tiene seduto in grembo e lo sorregge col braccio e la mano destra. Le due mani della Madonna sono rappresente 'benedicenti'. La figura totale di Maria è visibilmente sproporzionata, in quanto gli arti superiori sono troppo piccoli rispetto al resto del corpo, mentre la testa, al contrario, è molto più grande; inoltre, il seno scoperto è situato in posizione troppo centrale, quasi in zona sternale. Gesù, invece, è rivolto verso destra, inquadrato di tre quarti ma privo di proporzione e profondità. È vestito con un abito colorato in una tinta tendente al marrone, ricamato ai polsi e al collo da una fila di punti bianchi, simili a perle. Gesù, poi, è avvolto da ulteriore abito, simile a una tunica di colore verdastra-marroncina, e dal quale fuoriesce una sottoveste, probabilmente facente parte al primo abito. Le parti scoperte del Bambino sono la testa, le mani e il piede sinistro nudo. I capelli sono marroni e ricci, gli occhi grandi, il naso diritto e sottile, l'orecchio destro è l'unico visibile ed è piatto, pieno e privo di tutte quelle curvature e cavità naturali. La bocca è piccola e al suo labbro inferiore è poggiato il capezzolo del seno materno. Poi, la testa è centrata in un'aureola dorata e attraversata da una banda trasversale di colore arancio. Infine, la mano destra è attaccata al petto e in modalità benedicente, mentre l'altra è vicina a quella sinistra materna e presenta il pollice e l'indice aperti e le altre tre dita piegate nel palmo. Entrambe le figure hanno sui loro capi due corone metalliche d'oro e pietre preziose, dono dei fedeli, ma in origine solo Maria aveva dipinta la corona, ancora oggi visibile sotto quella di metallo. Sullo sfondo color bruno, è possibile intravedere in basso una specie di pavimento a quadri e, ai lati del volto di Maria, scritto con lettere greche le parole 'ΜΡ' e 'ΘΥ', che sono un'abbreviazione di 'Μήτηρ (του) Θεοῦ' (letteralmente 'Madre di Dio', e rappresentante il titolo mariano 'Θεοτόκος, Theotókos').
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### Titolo: Girasoli (Van Gogh). ### Introduzione: I Girasoli sono una serie di dipinti ad olio su tela realizzati nel 1888 dal pittore Vincent van Gogh. Tra i soggetti preferiti dal pittore, sono oggi tra le sue opere più riconoscibili e note presso il grande pubblico. ### Descrizione. Il dipinto mostra i girasoli in ciascuna fase della fioritura, dal bocciolo all'appassimento. Anche se alcuni hanno interpretato le forme contorte dei petali e degli steli come un segno di tormento, traspare dalle lettere al fratello che questo soggetto diede gioia e ottimismo, come simbolo del clima temperato del sud. Inoltre il girasole simboleggia spesso devozione e lealtà e i vari stadi di decadimento potevano simboleggiare i cicli di vita e morte. Le prime opere della serie mostrano di aderire alle teorie allora in voga nella cerchia di artisti trasgressivi parigini, usando come sfondo un blu/violetto per i fiori gialli. In seguito provò a mettere i fiori in un vaso giallo, su uno sfondo di una tonalità dello stesso colore e si accorse che la pittura sembrava irradiare luce e allegria: il colore per lui era già un modo di esprimere emozioni piuttosto che un modo per rappresentare la realtà. L'artista stendeva i colori con pennellate ruvide e dense, spesso appiccicandoli uno sopra l'altro finché i pigmenti erano ancora umidi. A volte procedeva a scalfire la superficie fresca usando anche l'impugnatura del pennello. Si tratta di un approccio 'scultoreo' alla pittura, in cui le ombre e le luci sono date, oltre che dai pigmenti, dallo spessore dell'impasto cromatico. L'effetto che si otteneva era quello di un'espressività mai vista prima. La serie fu innovativa anche per l'uso estensivo del giallo cadmio, un pigmento di invenzione recente, che l'artista amava usare. Nella serie dei girasoli in vaso c'è un netto contrasto tra la piattezza del fondo e del vaso e i fiori che invece sembrano contorcersi in tutte le direzioni. La firma dell'artista si trova spesso sul vaso: come i grandi maestri del passato egli usava solo il proprio nome di battesimo.
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### Titolo: Cappella Bardi di Vernio. ### Introduzione: La cappella Bardi di Mangona è una l'ultima cappella a est del transetto sinistro di Santa Croce a Firenze, affrescata per lo più da Maso di Banco. Risale al 1336-1337 circa e Vasari attribuì erroneamente questi affreschi a Giottino. ### Storia e descrizione. I Bardi di Vernio erano un ramo nobile della ricchissima famiglia Bardi, che in Santa Croce patronava altre due cappelle: la Cappella Bardi, già affrescata da Giotto e l'omonima Cappella Bardi di Vernio, col Crocifisso di Donatello, alla testa del transetto. Gli affreschi narrano le Storie di san Silvestro, basate sulla Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze e sono tra le opere in assoluto più riuscite della scuola di Giotto. Le scene vanno lette dall'alto al basso, da sinistra a destra:. Costantino annuncia alle madri che non si bagnerà nel Sangue dei loro figli. Sogno di Costantino con la visione di Pietro e Paolo. Costantino in trono ascolta Silvestro e poi si fa battezzare da lui. Miracolo della resurrezione del toro. Miracolo del santo che chiude la fauci al drago e resuscita due maghi uccisi dall'alito del mostroSulla parete di fondo si trovano santi vescovi entro nicchie e, nello sguancio della finestra, Virtù e stemmi Bardi. Stemmi si trovano anche nella volta, tra il motivo del cielo stellato. ### Stile. L'ultima scena in particolare è la più ammirata, perché in essa Maso dimostrò di aver bene appreso la lezione giottesca usando linee di forza, toni intensi e senso dello spazio e della plasticità dei corpi. Sulla sinistra dell'affresco infatti è rappresentato San Silvestro che chiude le fauci di un drago che minacciava Roma, mentre nel centro il santo resuscita due maghi pagani che aveva precedentemente fatto morire. I due fatti narrati sono dimostrazione per Costantino della Santità del vescovo, il quale gli impartisce il battesimo che lo salva dalla lebbra, così come promessogli in sogno da i santi Pietro e Paolo. L'imperatore infatti era affetto dalla lebbra e gli era stato prospettato di sacrificare 3000 bambini e di immergersi nel loro sangue per guarire dalla malattia; Costantino però si rifiutò mosso a compassione dalla disperazione delle madri. In questo affresco è notevole l'armonia delle scene senza che si percepisca un senso di incongruenza tra le due. I colori delle architetture sono pastello e la luce si modula gradatamente senza che si percepisca un senso di stacco tra luce e ombra. Ma è fondamentale qui lo sviluppo delle ricerche di Giotto: Maso aveva infatti compreso il segreto delle linee di forza convergenti (delle architetture, dei bracci sollevati, delle schiene inarcate...), che dirigono lo sguardo dell'osservatore verso punti focali della narrazione. Nella scena di San Silvestro che resuscita due morti il fondale architettonico, oltre che creare uno spazio realistico per la scena, guida l'occhio verso il protagonista, in una posa benedicente, ripresa dalla Resurrezione di Drusiana di Giotto nella vicina Cappella Peruzzi sempre a Santa Croce.
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### Titolo: Il vagone di terza classe. ### Introduzione: Il vagone di terza classe (Le Wagon de troisième classe) è un dipinto del pittore francese Honoré Daumier, realizzato nel periodo artistico-culturale del realismo e attualmente esposto presso il National Gallery of Canada di Ottawa. ### Descrizione. Nello stile di Honoré Daumier, che ha fatto dell'arte uno strumento di lotta politica, questo dipinto del 1862 denunciò la vita più povera (in linea con gli intenti del realismo, movimento artistico-culturale a cui appartiene). La rappresentazione di una condizione sociale umile e poco presa in considerazione dallo Stato è realizzata dall'artista con uno stile drammatico che anticipa i futuri indirizzi della pittura espressionistica di Munch, Ensor, Kirchner e di Egon Schiele. Le figure vengono ritratte in un vagone ferroviario di terza classe, tutte ammassate sulle dure panche di legno, con i finestrini che lasciano appena intravedere un cielo livido e lo sguardo perso nel vuoto, evidentemente rassegnate al loro destino di povertà e sofferenza. Ma oltre ai lavoratori, dei quali si intercetta idealmente la fatica, i borghesi si mostrano, in netta contrapposizione con le altre figure, con la loro arroganza, indifferenza e inimicizia, sottolineando così il netto divario tra deboli (madri di famiglia, poveri operai e bambini stanchi) e potenti (ricchi imprenditori), concetto metaforico e reale che emerge dal dipinto. Particolare risalto viene dato alla signora in primo piano, vero e proprio centro visivo e compositivo del quadro: è abbigliata con un mantello e ripone le proprie mani ossute sul manico del paniere sul suo grembo. La sua espressione stanca lascia emergere con violenza i segni della povertà materiale. Persino il giovane ragazzo sulla destra, addormentatosi cullato dallo sferragliare del vagone, sembra avere una vita già provata dalla durezza del lavoro.Non a caso l'artista non presta tanta cura nella realizzazione formale, stendendo il colore in maniera poco uniforme: siamo lontani dalla grazia e dall'armoniosità tanto nella forma quanto nel contenuto dell'opera. Il vagone di terza classe è un olio su tela, ma ha lo stesso tratto veloce, mobile, che lascia le figure quasi incompiute, delle stampe. È lo stile più adatto a sottolineare gli scarsi mezzi e la mestizia di questa gente che viaggia stipata in un vagone affollato. Il disegno non abbozza i contorni, ne accentua le forme poco eleganti, in modo diverso dallo stile curato e finito insegnato nelle accademie e destinato a soggetti eroici; la firma del suo nome sulla cassa di legno rappresenta l'umiltà e un particolare interesse da parte del pittore per quella classe sociale.
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### Titolo: Sogno del nobiluomo. ### Introduzione: Il sogno del nobiluomo (in spagnolo El sueño del caballero) è un dipinto a olio su tela (152x217 cm) di Antonio de Pereda, databile al 1670 circa e conservato nella Real Academia de Bellas Artes de San Fernando a Madrid. ### Descrizione. L'opera rappresenta un giovane nobiluomo del Seicento, addormentato su una poltrona. Egli vede in sogno un angelo, caratterizzato da un viso decisamente femmineo, che gli mostra l'effimera natura dei piaceri, delle ricchezze, degli onori e della gloria. L'insieme degli oggetti posti sul tavolo costituisce una vera e propria natura morta in cui si stabilisce una condensazione di simboli e allegorie. Molti di essi spiccano per la loro continua presenza in tutte le opere del genere 'vanitas': il teschio che simboleggia la caducità della vita, la maschera teatrale è il simbolo dell'ipocrisia, i gioielli e il denaro sono le ricchezze (impossibili da portare all'altro mondo), il mazzo di carte e le armi stanno per il gioco d'azzardo e i piaceri della caccia. L'artista non ha mancato di inserire l'orologio, che indica lo scorrere inesorabile del tempo, e la candela spenta, simboleggiante il consumarsi della vita.
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### Titolo: Maja e Celestina al balcone. ### Introduzione: Maja e Celestina al balcone è un dipinto a olio su tela (166×108 cm) realizzato tra il 1808 e il 1812 dal pittore spagnolo Francisco Goya. È conservato a Palma di Maiorca in collezione privata. Una bellissima maja è al balcone e guarda l'osservatore sorridendo trasognata. Accanto a lei, a mezza luce, la Celestina, cupa vecchia, la sorveglia con cupidigia. ### Descrizione e stile. L'abito della ragazza è ricco di bordure che Goya rende con pennellata breve e veloce; anche i veli sono resi mediante linee molto sottili. A fianco della maja la megera sinistra, oscura: accanto alla solarità della bellezza vengono evocate le forze del male, del sesso, della profanazione che giocano ormai in confronto diretto. La diversità di stile è tale che è come se nella stessa tela convivessero due stati della stessa essenza, Dottor Jekyll e Mr. Hyde, oppure Cappuccetto Rosso e la finta Nonna-Lupo. In teoria dovrebbe essere sempre possibile tornare indietro, ritornare cioè da Mr. Hyde a Dottor Jeckill, ma, come già in Stevenson, anche in questo caso, e anche nell'arte di Goya, questa reversibilità non è semplice né agevole, certamente non garantita. Dall'oscurità Goya non tornerà più alla luce del sole, anche se questo avverrà con piena consapevolezza da parte dell'artista. Nei quadri di questo periodo è come se le due forze – il bene solare della prima parte della sua vita artistica e il male oscuro della seconda parte – si fronteggiassero congelati nell'attimo eterno di un'istantanea, gradi di transizione verso un più oscuro avvenire.
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### Titolo: Cappella di Teodolinda. ### Introduzione: La cappella di Teodolinda, nota anche come cappella Zavattari, si trova nel Duomo di Monza, a sinistra dell'abside centrale. Vi si conserva, in un'apposita teca nell'altare, la Corona ferrea, e la tomba stessa della regina longobarda. Le pareti della cappella sono decorate da un ciclo di affreschi eseguito nel XV secolo dagli Zavattari, famiglia di pittori con bottega a Milano, che costituisce il maggior esempio di ciclo pittorico dell'epoca tardo gotica lombarda. ### Descrizione. L'ambiente, chiuso dalla cancellata progettata alla fine dell'Ottocento da Luca Beltrami, è coperto da una volta costolonata nelle cui vele sono dipinti gli Evangelisti. Si tratta del primo intervento decorativo della cappella, forse da riferire al momento della consacrazione dell'altare, dedicato a san Vincenzo, nel 1433. L'autore resta anonimo, e gli stessi Zavattari nell'iscrizione che firma il ciclo, ci tennero a dichiarare la loro estraneità da questa parte delle pitture. La serie delle Storie di Teodolinda si compone di 45 scene disposte su cinque registri sovrapposti che rivestono interamente le pareti. La decorazione, che avvolge anche gli stipiti, è introdotta dal grande arcone di valico verso il transetto nel quale giganteggia la figura di san Giovanni Battista, cui è dedicato il tempio, adorato dalla regina e dal marito Agilulfo. La fonte primaria è l'Historia Langobardorum di Paolo Diacono, integrata dalla cronaca dello storico monzese di età viscontea Bonincontro Morigia. La cappella di Teodolinda è l'unica parte attualmente visibile di un vasto progetto di decorazione della testata absidale che coinvolgeva la cappella gemella di destra, l'abside maggiore e l'arcone trionfale della nave mediana (ora celato al di sopra della volta seicentesca). Di tale progetto fu probabilmente ideatore Franceschino Zavattari, testimoniato a Monza già nel 1420-21, legato alla potente famiglia locale dei Rabia, coadiuvato da figlio maggiore Gregorio, da un altro figlio, Giovanni, e da un aiuto esperto nella macinazione dei colori. La scena 32 è firmata collettivamente 'de Zavatarijs' e datata 1444. ### Stile. Anche se in parte rappresentano fatti storici, le scene affrescate esprimono un ambiente ideale, con personaggi nei costumi di epoca viscontea contro un cielo d'oro. Lo stile di queste pitture mostra un'adesione tarda ai modi di Michelino da Besozzo, con linee eleganti e colori tenui. Grande attenzione è posta ai dettagli, mentre le figure sembrano attonite e senza peso,. Il frontale dell'arco d'ingresso alla cappella e la volta sono dipinti con figure di santi ed evangelisti da un ignoto pittore del XV secolo. Al centro della cappella un altare custodisce lo scrigno della Corona ferrea, il diadema con il quale furono incoronati i re longobardi, i re d'Italia e gli imperatori del Sacro Romano Impero. Dietro l'altare e contro la parete di fondo si trova il sarcofago nel quale, nel 1308, il corpo della regina Teodolinda fu traslato dalla prima sepoltura nella originaria Basilica longobarda.
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### Titolo: Majas al balcone. ### Introduzione: Majas al balcone è un dipinto a olio su tela (162x107,5 cm) realizzato tra il 1808 e il 1814 dal pittore spagnolo Francisco Goya e appartiene a una collezione privata del barone Rothschild in Svizzera. Una copia precedentemente considerata autentica è conservata nel Metropolitan Museum of Art di New York. Due majas affacciate al balcone con i volti talmente somiglianti da far sembrare simmetrica l'immagine; anche i colori sono invertiti. Dietro le ragazze si stagliano le siluettes di due non tranquillizzanti ceffi. ### Descrizione e stile. L'arte di Goya è caratterizzata da quella che qualcuno ha chiamato 'malinconica ironia'. Anche in questo quadro, che appartiene ad un periodo di transizione nell'evoluzione artistica del pittore – al passaggio cioè, dalle solari rappresentazioni della società spagnola, guardata sì con ironia, ma tutto sommato condivisa nei suoi valori e nelle sue gerarchie, ad una progressiva amarezza e distacco che, attraverso le picturas nigras condurrà all'allucinata rappresentazione dei fantasmi oscuri della mente – sono presenti elementi che appartengono ai due periodi, la solarità della bellezza delle giovani majas e l'oscurità dei loro protettori sullo sfondo. Ma il tutto ha un sapore freddo e stereotipato, come se l'artista, attraverso la semplificazione delle anatomie e dei volti avesse voluto rappresentare, più che una scena dal vero, un insieme schematico di simboli. Così, all'intenso cromatismo del primo piano si contrappone l'oscurità del secondo: e tuttavia il primo piano è solo l'apparenza; la sostanza, la verità sta dietro, ben all'ombra, come un sepolcro imbiancato. La composizione è caratterizzata da una stringente logica geometrica: la balaustra forma un rettangolo al di sopra del quale il resto della composizione è inserito in un quadrato. Se dividiamo questo quadrato in quattro, possiamo notare che le due figure di sinistra sono contenute in un quadrato che è esattamente il doppio del quadrato che contiene le due figure di destra. Ancora, è possibile notare come il gruppo delle due majas sia costruito sul rombo disegnato a partire dalle diagonali dei due quadrati inferiori. Sessant'anni più tardi, questo quadro ispirerà Édouard Manet per il suo Il balcone.
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### Titolo: Il grande caprone. ### Introduzione: Il grande caprone (letteralmente El gran cabrón, con il titolo originale in spagnolo El aquelarre), è un dipinto a olio su tela (44×31 cm) del pittore spagnolo Francisco Goya, realizzato nel 1797-1798 e conservato al Museo Lázaro Galdiano di Madrid. ### Descrizione. Il grande caprone fa parte della serie di Stregonerie destinate al despacho (studio) dell'Alameda, residenza di campagna dei duchi di Osuna, suoi affezionati committenti. L'opera, completata nel 1798 (Goya ne presentò la fattura il 27 giugno di quell'anno), presenta un codice figurativo demoniaco che non era frutto dell'impeto visionario di Goya, bensì era molto di moda tra gli intellettuali del tempo. Successivamente l'opera giunse nelle collezioni del finanziere José Lázaro Galdiano, il quale alla sua morte ne fece dono allo Stato Spagnolo. Oggi l'opera è esposta a Madrid, nel Museo Lázaro Galdiano.Il dipinto raffigura un caprone con ramoscelli di quercia intrecciati tra le sue corna ed occhi fiammeggianti, palese simbolo diabolico, che officia un rito di streghe. Una delle fattucchiere, per tributargli omaggio, gli sta offrendo un corpulento bambino, probabilmente rapito quel giorno stesso (così come ci narrano le leggende popolari); la scena, tuttavia, è disseminata di cadaveri di fanciulli già sacrificati al demonio.Al macabro rito sacrificale assiste anche uno stormo di sinistri pipistrelli che svolazzano nel cielo notturno, parzialmente illuminato dalla falce lunare. Nonostante la carica orrifica altissima, Il grande caprone presenta ancora quei toni ironici che scompariranno definitivamente nelle Pitture nere della Quinta del Sordo, dove «l'oscuro [prende] un'evidenza rugosa e massiccia» (Jean Starobinski).
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### Titolo: Cristo dolente (Maestro Francke Amburgo). ### Introduzione: Il Cristo dolente del Maestro Francke è un dipinto su tavola (92×67 cm) del 1425-1435 circa, conservato oggi alla Hamburger Kunsthalle. ### Descrizione e stile. L'opera è emblematica della sensibilità tardo-gotica verso i dettagli macabri e patetici: il Cristo è infatti raffigurato come un giovane dolente ed emaciato, profondamente ferito dai fori nelle mani, dalla corona di spine e dal taglio nel costato, dai quali esce copioso il sangue, raffigurato con estremo realismo. La testa è pateticamente reclinata verso sinistra, per muovere a compassione il fedele, secondo i canoni dell'arte nordica. La monumentalità levigata del corpo del Cristo sembra ispirarsi alla coeva scultura della Borgogna. Contrasta invece lo sfondo, composto da un ricco broccato sorretto da angeli, gli stessi che reggono il mantello del Cristo: bianco all'esterno e rosso all'interno, in modo da far risaltare il candore del corpo ferito. In basso altri due angeli sorreggoono un altro drappo che copre la metà inferiore del corpo divino e reggono in mano un giglio, simbolo di purezza, e la spada fiammeggiante, simbolo apocalittico che allude al giudizio universale. La piattezza dello sfondo ha l'effetto di proiettare più vicino allo spettatore la figura del Cristo sofferente. La serena compostezza degli angeli contrasta con il soggetto principale e sembra alludere al sacrificio necessario di Gesù, ma riprende anche l'aristocratica idealizzazione tipica dell'arte cortese. Dell'autore resta un altro Cristo dolente a Lipsia, anteriore e databile al 1425 circa.
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### Titolo: Madonna e santi nel giardino del Paradiso. ### Introduzione: La Madonna e santi nel giardino del Paradiso (Paradiesgärtlein in tedesco) è un dipinto a tecnica mista su tavola (26,3×33,4 cm) di un ignoto 'Maestro dell'alto Reno', databile al 1410 circa e conservato nello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte. ### Descrizione e stile. In un giardino fiorito cinto da alte mura merlate, la regina Vergine è seduta presso un tavolo esagonale con cibi e bevande, mentre sfoglia un libro d'ore; sulla sinistra una delle Pie Donne coglie frutti da un albero, in primo piano un'altra attinge acqua, con un mestolo d'oro, alla fontana di vita e la terza, forse Santa Caterina d'Alessandria, regge un salterio dinanzi al Bambino, che lo suona. In primo piano sulla destra sorvegliano la scena amena tre cavalieri, che tengono una sorta di antesignana sacra conversazione: sono san Giorgio, identificabile dal drago morto riverso sotto di lui, san Michele arcangelo, con accanto una scimmia incatenata simbolo del demonio domato e san Sebastiano, quest'ultimo addossato a un albero. L'opera è tra le realizzazioni più significative della pittura tardogotica europea, che ben esemplifica l'attenzione verso i dettagli più minuti degli artisti dell'epoca, sacrificando magari la coerenza spaziale e la corretta disposizione compositiva delle figure. La scena sacra qui è solo un pretesto per mostrare un gruppo di giovani intenti alle più varie occupazioni: la lettura (Maria), la musica, la raccolta di frutti, la conversazione, l'abbeverarsi a una fresca fonte. Il giardino murato pullula di fiori e uccelli rappresentati con notevole realismo ed è ricco di dettagli ameni ispirati al mondo cortese: la scimmietta, la tavola imbandita, il giardino recintato coi giaggioli e altre piante da fiore.
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### Titolo: Stigmate di san Francesco (Colonia). ### Introduzione: Le Stigmate di san Francesco è un dipinto tempera su tavola (69x111 cm) attribuito al Maestro del compianto di Cristo di Lindau, databile al 1410-1420 e conservato nel Wallraf-Richartz Museum di Colonia. ### Descrizione e stile. Il dipinto mostra Gesù alla colonna, col corpo martoriato e gli strumenti della Passione, che è adorato da san Francesco d'Assisi, che a sua volta sta ricevendo le stigmate da un Cristo sulla croce in volo, avvolto da ali di cherubini. In basso si trovano, piccolissimi, i due committenti. L'opera presenta la tipica preferenza verso il truculento brutale nelle scene religiose durante il periodo del gotico internazionale, nel XV secolo. La figura di Cristo è infatti coperta dal sangue che stilla dalle ferite della flagellazione e la sua espressione patetica mostra tutto il dolore della Passione, che doveva muovere a compassione il fedele.
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### Titolo: Dittico Wilton. ### Introduzione: Il Dittico Wilton è un dittico portabile (aperto 53x74 cm) di autore ignoto e riferibile al 1395-1399 circa. È conservato nella National Gallery di Londra. Dopo molte dispute attributive si è giunti alla conclusione che si tratta di un'opera inglese, commissionata da o per Riccardo II, realizzata da un pittore locale o francese: si tratta, inoltre, di un rarissimo esempio di pittura religiosa su tavola inglese del medioevo, riferibile allo stile gotico internazionale. Deve il suo nome alla Wilton House, dove si trovava un tempo. ### Descrizione. L'opera, tempera su tavola in legno di quercia baltica, è composto da due scomparti dipinti su entrambi i lati e chiudibili per mezzo di una cerniera. La scena di destra mostra Maria col Bambino tra undici angeli, tra i quali predomina il colore blu lapislazzuli delle vesti e del piumaggio delle ali, sullo sfondo di un cielo color oro e un prato con fiori delicati, che simboleggia il giardino del Paradiso. Le rose color pesca dovevano essere originariamente bianche, simboleggiando la purezza di Maria; quelle rosse (oggi rosa per il cambiamento del pigmento), simboleggiano il sangue versato da Cristo nel martirio. La scena di sinistra mostra il re inginocchiato presentato alla Vergine dai santi Giovanni Battista, che gli tiene una mano sulla spalla quale suo protettore, Edoardo il Confessore e Edmondo martire, due re inglesi. Le scene sono composte separatamente e con stili diversi (serena e pacata a sinistra, affollata e movimentata a destra), ma gli sguardi e i gesti dei personaggi le collegano facendole interagire. Cristo ad esempio, nella sua sfolgorante veste fatta con puntini d'oro, si protende verso il re genuflesso, dimostrando la sua approvazione. La figura del re è riccamente abbigliata, con un mantello damascato con arabeschi dorati (con cuori e boccioli di rosa, emblemi di sua moglie Anna di Boemia scomparsa nel 1394), il collare con la planta genista, che dà il nome alla dinastia dei Plantageneti, e la corona. I lati esterni sono invece dipinti con il cervo bianco, emblema di Riccardo II ed emblema personale di Edoardo il Confessore e della casa reale inglese. Lo stesso cervo, in piccolo, si trova sullo spillone del re (con corna d'oro ornate di perle) e appuntato in petto agli angeli. Un angelo, all'estrema sinistra, tiene uno stendardo crociato e sembra ricevere l'approvazione del Bambino per porgerlo al re: si tratta sia dello stendardo di Cristo, tenuto il giorno della Resurrezione, che la bandiera inglese di san Giorgio, ed è da leggersi come un simbolo della fiducia divina riposta nel re. L'estrema preziosità e cura nella realizzazione dell'opera è confermata dall'alta abilità tecnica utilizzata: l'oro è ora punzonato (nello sfondo), ora applicato a puntini (nella veste di Gesù), ora velato e sgraffito (nelle vesti del re e dei santi); i gioielli (spille, corone) sono resi leggermente a rilievo con l'applicazione di poco gesso coperto dalla vernice o dall'oro, e con gocce dense di bianco di piombo, usate per dare l'effetto di riflessi luminosi sulle gemme.
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### Titolo: Giudizio universale (De Veris). ### Introduzione: Il Giudizio universale di Franco e Filippolo de Veris è un grande affresco conservato nel lato meridionale esterno della chiesa di Santa Maria dei Ghirli di Campione d'Italia. Risale al 1400 ed è una delle opere più interessanti pervenuteci del gotico internazionale lombardo, nel filone espressivo-grottesco, lo stesso di Belbello da Pavia. ### Descrizione. Considerato il capolavoro della bottega di padre e figlio De Veris, è ricordato nell'attribuzione e nella datazione (completato il 23 giugno 1400 sulla base di un precedente affresco del secolo precedente) da un'iscrizione, oggi illeggibile, ma trascritta da Gerspach e Toesca (una copia antica della stessa scritta, incisa in marmo, si trova murata nel primo pilastro del portico). La scoperta degli autori dell'opera avvenne solo nel 1912. L'opera è composta di due zone: una superiore, di dimensioni maggiori e di qualità superiore, forse opera del padre Franco, e una inferiore, con le torture dell'Inferno. Nella parte superiore Cristo giudice siede su un trono d'impianto architettonico gotico, dominato dalle figure di Adamo ed Eva e contornato da angeli riccamente abbigliati, i quali recano gli strumenti della Passione; ai lati, gruppi di dannati e di beati dipinti con particolare realismo. Alla destra di Cristo si possono osservare, tra i vari soggetti, un frate attaccato da un angelo e una monaca nel procinto di scoprirsi il seno, simboli di corruzione interna alle comunità di religiosi. L'inferno, su sfondo rosso cupo, è rappresentato con crudo realismo, con i vari tormenti inflitti ai peccatori. Tra di essi, si identificano Giuda Iscariota, una donna che uccide un bambino, alcuni serpenti e un'altra donna su una graticola. All'estrema destra si trova una scena cortese, dove un giovane aristocratico, riccamente abbigliato, sta in piedi davanti a una donna e le dedica una canzone, mentre alla sua sinistra un servo grottesco suona un rabel, una sorta di viola, e sembra battere il tempo col piede destro. Alle spalle del suonatore, una suora inginocchiata sotto a un minaccioso cappio. Il carattere trascendentale dell'affresco viene indicato in alto dal Sole, dalla Luna e dalle figure allegoriche dei quattro elementi (aria, terra, fuoco, acqua).
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### Titolo: Polittico di Valle Romita. ### Introduzione: Il Polittico di Valle Romita è un dipinto a tempera e oro su tavola (280x250cm, di cui 157,20x79,6 la tavola centrale, 117,50x40 le tavole laterali inferiori e 48,9x37,8 le tavole superiori) di Gentile da Fabriano, databile al 1406-1410 circa e conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano. È firmato in basso al centro sulla tavola centrale ('GENTILIS DE FABRIANO PINXIT'). La destinazione originaria era l'eremo francescano di Val di Sasso (detta anche Valle Romita) nei pressi della sua città natale, Fabriano. ### Descrizione e stile. Il polittico è composto da cinque scomparti a doppio registro. Il pannello centrale mostra l'Incoronazione della Vergine con una rappresentazione della Trinità e un coro di angeli musicanti in basso. Questa scena fu disegnata ispirandosi ai mosaici bizantini che Gentile aveva visto a Venezia nella basilica di San Marco, come dimostra soprattutto l'eterea sospensione nel cielo delle figure, l'astratta parte inferiore e l'abbacinante fondo oro. Come tipico delle migliori opere del pittore, l'oro è poi lavorato con grande maestria e raffinatezza, col disegno di raggi di luce incisi direttamente sulla superficie o con altre tecniche, come nelle decorazioni delle vesti e in altri decori, talvolta resi a rilievo grazie all'uso della 'pastiglia' in gesso. La veste di Gesù è poi disegnata su lamina d'argento. Del tutto nuova è la capacità del pittore di lavorare le superfici, soprattutto gli abiti, dove riesce a trasmettere il senso della diversa consistenza materica, grazie a una stesura a tratti soffici della pittura. I quattro pannelli laterali ospitano altrettante figure di santi: da sinistra si vedono San Girolamo con un modellino della chiesa in mano, San Francesco d'Assisi, San Domenico e la Maddalena. Queste figure sono poste in un giardino, appoggiate con passo leggero, ma saldo, su un prato fiorito dove sono dipinte svariate specie botaniche con la massima precisione. Tra i brani di virtuosismo pittorico si annoverano la morbida veste di pelliccia bianca della Maddalena o gli espressivi piedi di san Francesco, coperti di soffice peluria. Nella Maddalena è estremamente raffinato il gesto indolente con cui regge l'ampolla degli unguenti, suo attributo tradizionale, indolentemente appoggiata sulla punta delle dita (l'ampolla è incisa nell'oro, non dipinta, come un oggetto della più raffinata oreficeria coeva): ben diverso sarà il trattamento dell'analogo soggetto nel Polittico Quaratesi, in cui la nuova Maddalena, memore del realismo di Masaccio, terrà saldamente in mano la pisside. Nonostante l'astrattezza di finezze come questa, un'importante novità rispetto agli stilemi del gotico è la saldezza con cui i santi si appoggiano al suolo, senza quell'effetto 'in punta di piedi' che venne biasimato da Vasari, il quale ne attribuì il superamento a Masaccio, sebbene il polittico di Valleromita sia anteriore di una decina d'anni rispetto alle opere del pittore fiorentino. Girolamo regge una chiesa gotica, simbolo della Chiesa romana stessa o dell'edificio fatto restaurare. Estremamente tortuoso è il ricadere degli orli dei manti, che creano curve sinuose e ritmate. L'opera mostra una serie di influenze fabrianesi, lombarde, venete ed umbre, è composta in maniera poco omogenea: l'Incoronazione e i quattro santi nei pannelli laterali hanno un'aria contemplativa, mentre le scene nelle cuspidi sono più concrete, interessate alla caratterizzazione personale dei santi attraverso la scelta degli episodi e delle ambientazioni. L'insieme è comunque equilibrato e dotato di maggiore solidità rispetto alle coeve opere lombarde (come quelle di Michelino da Besozzo).
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### Titolo: Adorazione dei Magi (Stefano da Verona). ### Introduzione: L'Adorazione dei Magi è un dipinto a tempera su tavola (47x72 cm) di Stefano da Verona, firmato e datato al 1434. Proviene dalla casa veronese Ottolini e dal 1818 è conservato nella pinacoteca di Brera di Milano. L'opera è considerata, oltre che il capolavoro della maturità dell'autore, una delle opere più emblematiche del gotico internazionale in Italia. Il dipinto, eseguito a Verona, è di formato prevalentemente verticale e composto da un affollato, ma calibrato gruppo di personaggi, tra i quali colpisce immediatamente il gioco di linee composto dai corpi affusolati e dalle vesti morbide. La scena sacra sembra quasi un pretesto per creare un raffinato insieme dove lo sguardo dello spettatore è attratto dalla vivacità narrativa, creata dalle linee sinuose, e dal fasto dei dettagli lussuosi, come le vesti, i gioielli, le bardature dorate. ### Descrizione e stile. La scena, che dimostra una certa conoscenza dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano (del 1423) o perlomeno di un modello comune, è impostata su due registri: quello inferiore, dove i Magi rendono omaggio al Bambino e alla Vergine attorniati dal corteo, e quello superiore, dove si vedono alcune scenette come gruppi di pastori, l'arrivo dei Magi guidati dalla cometa e la parte terminale del corteo con cani e dromedari. Non mancano i dettagli curiosi, presi dal mondo quotidiano, come il pastore che beve dal fiasco, quello che tiene una lepre cacciata, ecc. La spazialità è intuitiva, volutamente imprecisa per dare a tutta la scena un aspetto irreale e fiabesco: ciò si nota bene nelle figure dei tre cavalli, dei quali non si capisce dove possano entrare i corpi nella folla che li circonda. D'altro canto, come tipico nello stile tardo gotico, è usata molta cura nella rappresentazione di dettagli naturalistici, come nelle specie botaniche in primo piano o nell'incannicciato della recinzione della stalla. La scena in primo piano è dominata dalla figura della Vergine, assisa sotto la capanna del bue e dell'asinello, col Bambino sulle ginocchia. I tre Magi sono colti in atteggiamenti diversi: quello più anziano si è già tolto la corona e inginocchiato, nell'atto di donare un elaborato oggetto d'oro al Bambino, che tende le mani per accettare e benedire; quello di età maturo si sta abbassando e togliendo la corona, mentre con la mano sinistra tiene un cofanetto dorato; infine il magio più giovane, che assiste con attenzione da dietro. Le altre due figure con aureola, in prima fila dietro al Bambino, sono san Giuseppe e sant'Anna. La scena è circondata da tutti i personaggi del corteo, che con fare curioso (alcuni sporgono la testa in alto o di lato) rivolgono lo sguardo verso la figura di Gesù Bambino, guidando anche lo sguardo dello spettatore con invisibili linee compositive. Tra i servitori dei Magi sono presenti molte razze, dai tartari ai mori. Le ricche bardature dei cavalli e i curiosi cappelli del corteo dei Magi ricordano, come nelle opere di Pisanello (amico di Stefano da Verona), l'abbigliamento della corte bizantina venuta a Basilea per il concilio del 1431. Il pavone, sul tetto della capanna, è un antichissimo simbolo cristiano di resurrezione e immortalità, poiché già in epoca romana si riteneva che le sue carni fossero immarcescibili; la viola simboleggia l'umiltà di Cristo, il garofano rosso la Passione. La firma del pittore, in lettere dorate, si trova tra i fiori, in basso al centro.
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### Titolo: Torneo-battaglia di Louvezerp. ### Introduzione: Il Torneo-battaglia di Louvezerp (Louvezerph, Lovrezep, Lunezerp, Lonazep) è un affresco a soggetto cavalleresco dipinto da Pisanello tra il 1436 e il 1444 nel Palazzo Ducale di Mantova, in particolare nell'ala detta Corte Vecchia. La scena venne imbiancata in un'epoca imprecisata e riscoperta nel 1969 dal sovrintendente Giovanni Paccagnini e immediatamente restaurata. Lo stacco ne ha rivelato anche la sinopia, conservata molto bene. ### Descrizione. Il soggetto è tratto da Le roman en prose de Tristan, della letteratura cavalleresca, in particolare al centro la battaglia di Louvezerp, nella zona meglio conservata. In questo episodio Lancillotto e Tristano combattono a corte di re Brangoire, alla presenza di Ginevra e Isotta e poi partiranno alla conquista del Graal. Sono già stati sconfitti altri cavalieri, i cui nomi si trovano scritti nelle sinopie accanto alle rispettive figure: Calibor as dures mains, Arfassart li gros, Malies de l'espine, Sarduc li blans, Kallas le petit, Calaarot le petit, Patrides au cercle d'or. La battaglia è quindi vicina all'epilogo e i corpi dei cadaveri sono rappresentati scomposti, secondo il gusto tutto tardo gotico di accostare figure eleganti e aristocratiche a rappresentazioni grottesche. Il Paccagnini, nel suo studio dopo il rinvenimento, ipotizzò che proprio questa visione decadente, troppo affollata e troppo scomposta, non incontrasse più il gusto del marchese, che fece interrompere i lavori. L’ipotesi di Paccagnini è però stata smentita da V. Bertolucci Pizzorusso (in «Studi mediolatini e volgari», xx, 1972, pp. 37–48) che ha dimostrato come gli affreschi raffigurino, invece, il Torneo della Marche del Lancelot en prose. Al torneo la principessa si innamora di Bohort vincitore, cugino di Lancillotto, e durante il banchetto in suo onore (che probabilmente si trovava nella parte perduta al di sotto dei tendaggi), dodici cavalieri promettono alla fanciulla reale alcune spavalde imprese in dono, le quali si svolgono nel paesaggio montano sulle pareti sinistra e centrale. Sullo sfondo si vede una città turrita, il castello di re Brangoire, che ricorda il mantovano castello di San Giorgio. Segue il palco da cui le dame assistono alla tenzone, che è ornato dall'insegna gonzaghesca del cane retroverso (di cui esiste un frammento del dipinto compiuto in un pannello staccato e appeso nella stanza seguente). Altri riferimenti alla corte locale sono i colori bianco, rosso e verde, che si vedono sulle armature dei contendenti e sul fregio superiore dove si alternano il fiore Gonzaga e la S dei Lancaster, col pendente del cigno. La grande sinopia dell'episodio centrale è esposta nella sala adiacente, assieme ad alcuni frammenti sparsi. ### Stile. La scena, incompiuta, si estendeva sulle pareti cercando illusionisticamente di annullare gli spigoli ed era è composta per semplici accostamenti di figure, con una dilatazione in tutte le direzioni, senza alcun centro focale. Ogni frammento viene analizzato e riprodotto con un'attenzione analitica, ma manca un criterio unificatore, creando così un effetto 'caleidoscopio'.
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### Titolo: Susanna e i vecchioni (Artemisia Gentileschi Stamford). ### Introduzione: Susanna e i vecchioni è un dipinto a olio su tela realizzato nel 1622 dalla pittrice italiana Artemisia Gentileschi. È custodito in una collezione privata di Stamford, in Inghilterra. L'opera si ispira alla prima fase della pittura di Caravaggio tanto che la testa della fanciulla richiama il volto della Maddalena penitente, da lui realizzata precedentemente. Forti richiami si hanno anche nelle carni rosee e sode e nella luce chiara e diffusa, ma a differenza del Merisi l'opera viene caratterizzata da una teatralità più accentuata. . ### Descrizione e stile. Susanna è la figura centrale dell'opera, pienamente illuminata. Sorpresa dai vecchioni si cerca di coprire con la propria candida camicia, forse simbolo della sua purezza. Il realismo con il quale è stata descritta la figura nuda della donna e il vigore della coscia granitica sono stati decisivi per attribuire l'opera ad Artemisia. I due uomini, posti alla sua sinistra, sono ritratti in abiti nobili, come si nota dalle preziose damascature gialle e marroni o dall'intenso colore rosso di una tunica. Tratto distintivo dell'autrice è la composizione quasi legnosa delle mani dell'uomo più in alto, similmente dipinta in un suo precedente dipinto Ritratto di gonfaloniere. L'opera si rivelò più impegnativa del previsto, tanto da costringere Artemisia ad alcune modifiche dal progetto iniziale, come la diversa composizione della fontana con putto sulla destra del quadro e la copertura di una figura con gli occhi chiusi sopra la testa della donna della quale si possono ancora intravedere delle tracce.
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### Titolo: Festino degli dei. ### Introduzione: Il Festino degli dei è un dipinto a olio su tela (170x188 cm) di Giovanni Bellini, databile al 1514 e conservato nella National Gallery of Art di Washington. È firmato e datato: «IOANNES BELLINVS VENETVS P[inxit] MDXIV», sul cartiglio appeso al tino di legno, in basso a destra. L'opera venne poi ritoccata da Dosso Dossi e da Tiziano nel paesaggio. ### Discordanze sull'inizio dell'opera. Dell'opera belliniana, oltre alla firma e la data, si conosce anche il documento di pagamento a saldo di 85 ducati che il cancelliere ducale degli Este versò al pittore il 14 novembre 1514. Nonostante ciò gli studiosi hanno preso diverse posizioni circa la data di inizio dell'opera: Wind (1948), ad esempio, sostenne che forse il dipinto poteva essere stato cominciato qualche anno prima per Isabella d'Este, prendendo le notizie date dal Bembo alla marchesa nel 1505 come indicative dell'inizio di una collaborazione, poi sospesa per ignote ragioni. A favore di questa tesi si pronunciarono anche Pallucchini (che propose il 1509), Arslan, Pignatti e Bottari, che accolsero alcune notazioni stilistiche già rilevate da Vasari (una certa incisività 'tagliente' nei panneggi, derivata dall'esempio di Dürer), riferibili agli anni immediatamente precedenti, dopo il 1505-1506: quest'ultimo biennio rappresenta l'ipotesi più precoce riguardo alla genesi dell'opera, sostenuta da Bonicatti, che pure non prese opinione circa l'ipotesi legata alla committenza di Isabella. Ipotesi più recenti, sebbene riscontrino le differenze stilistiche tra alcuni panneggi e il primo piano sassoso rispetto alle altre forme d'impasto corposo e caratterizzate da una stesura tonalista del colore, tendono a scartare la possibilità di una sospensione di qualche anno tra l'avvio e la conclusione dell'opera, anche perché lo stesso soggetto pare legato alle nuove tematiche pastorali e profane del giorgionismo, non compatibili con una datazione troppo precoce. ### Descrizione e stile. Secondo le interpretazioni più correnti, l'episodio sarebbe tratto dai Fasti di Ovidio e narrerebbe 'un'impresa' del deforme Priapo: dopo un festino degli dei, il semidio, approfittando del torpore generato dal vino, cerca di possedere nel sonno la ninfa Lotide o, secondo un'altra interpretazione, la dea della castità Vesta; essa però viene svegliata dal raglio dell'asino di Sileno, tra lo scorno del farabutto e le risate degli altri dei. Un'allusione al segreto scoperto sarebbe il fagiano sull'albero, simbolo di promiscuità e ciarlaneria, perciò di tradimento che fa scoprire il segreto. Sarebbe quindi effigiato l'istante sospeso immediatamente anteriore alla scoperta, una raffinata istantanea scattata prima della tempesta. Gli dei sono riuniti in olimpico convito: un lungo, estenuante banchetto durato tutta la notte: adesso, verso l'alba, mentre alcuni son colti dal sonno, sfiancati dal vino e dalle libagioni, Nettuno, al centro, può prendersi qualche libertà, con la mano destra nell'intimità di Cibele, con la sinistra sul fondo schiena di Cerere; qua e là si vedono satiri intenti al servizio, mentre a sinistra è presente Sileno, con l'asino, e il giovane Bacco, che riempie una brocca alla botte: la sua figura si trova anche in un altro dipinto di Bellini di quegli anni, il Bacco fanciullo nello stesso museo americano. Tra le figure ben riconoscibili, in primo piano al centro, si vede Mercurio mollemente sdraiato: nella sua postura si è talvolta letta un'anticipazione della Danae di Tiziano (1545). La scena dovrebbe avere un carattere lascivo ed erotico, ma invece il tutto appare un po' rigido e freddo: non tanto per un deficit qualitativo (essendo la tecnica perfetta e la raffinatezza dei particolari altissima), ma piuttosto per un approccio tutto sommato casto e moderato al tema, tipico di altre opere come la Giovane donna nuda allo specchio. Il tentativo di aggiungere dettagli più espliciti da parte dell'artista non riuscì tuttavia a movimentare questa scampagnata divina, tantomeno a renderla fascinosamente erotica: lo scarto di cultura e di mentalità col secolo che entrava - con i suoi nuovi astri nascenti - era evidentemente troppo abbondante. In definitiva a Bellini interessava creare un tono di pacata ed arcaica fiaba mitologica, caratteristica che neanche le modifiche successive alterarono. «Eppure, anche per le mani di altri, resta non sfiorata la purezza della poesia di Giovanni, che era quella di uomo che meditava [...] sulla bellezza dell'esserci dell'uomo al mondo». Così, a ben vedere, il dipinto è attraversato da una sorridente e blanda ironia, che evita di fermarsi sui particolari più crudi del racconto del poeta latino, per meditare invece nel considerare amabilmente le divine debolezze degli dei. Philipp Fehl ha avanzato anche un'altra ipotesi, cioè che l'opera rappresenti un passo dell'Ovidio volgarizzato (traduzione delle Metamorfosi), pubblicato da Giovanni de' Buonsignori, piuttosto che dei Fasti. In quel testo il festino è in realtà un baccanale, i cui convenuti non sono dei ma uomini: solo in un secondo momento la composizione sarebbe stata mutata per adeguarla all'altra fonte letteraria. Nella redazione originale belliniana infatti solo i satiri e il Bacco fanciullo sono manifestamente divini, a indicare lo svolgimento dei misteri bacchici, gli altri personaggi non è detto che lo siano.
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### Titolo: Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita. ### Introduzione: L'Annunciazione tra i santi Ansano e Massima è un dipinto a tempera e oro su tavola (305x265 cm) di Simone Martini e Lippo Memmi, firmata e datata al 1333, e conservato negli Uffizi a Firenze. Si tratta di un trittico ligneo dipinto a tempera, con la parte centrale ampia il triplo dei due scomparti laterali. Considerato il capolavoro di Simone Martini, della scuola senese e della pittura gotica in generale, venne realizzato per un altare laterale del Duomo di Siena. ### Descrizione. La pala è composta dal grande comparto centrale, con l'Annunciazione, dai due scomparti laterali con sant'Ansano (a sinistra) e una santa generalmente identificata con Santa Margherita o santa Massima (a destra) e quattro tondi con profeti nelle cuspidi: Geremia, Ezechiele, Isaia e Daniele. Il racconto biblico narra dell'improvvisa apparizione dell'arcangelo Gabriele nella casa di Maria Vergine a Nazareth per annunciarle il mistero della Incarnazione di Gesù Cristo. Nel Medioevo l'annunciazione fu considerata l'inizio del tempo cristiano. L'episodio sacro mostra il momento dell'irrompere dell'arcangelo Gabriele nella casa di Maria per annunciarle la sua futura maternità. Egli porge con una mano un rametto d'ulivo (simbolo della pace), mentre con l'altra indica la colomba dello Spirito Santo che scende dal cielo in un cerchio di otto angeli. La Vergine, seduta su un trono, interrompe la lettura all'improvvisa apparizione angelica e si ritrae spaventata, volgendo uno sguardo umile e pudico al messaggero celeste. Ai lati, compaiono i due santi patroni della chiesa, che risultano completamente estranei alla scena centrale, formalmente separati da due colonne tortili ornamentali. Sul fondo, completamente dorato, compare un vaso di gigli estremamente realistico. La scena centrale mostra a sinistra l'angelo appena atterrato, con il mantello ancora svolazzante in un raffinato arabesco e le ali, dalla finissima trama delle piume dorate, ancora spiegate. La Madonna, seduta in un trono dalla spazialità incerta (un po' in prospettiva e un po' in assonometria), è sorpresa durante la lettura (il libro è anche un richiamo all'avverarsi delle profezie delle Sacre Scritture) e istintivamente ha un gesto di ritrosia, chiudendosi il mantello con la mano e stringendo le spalle, a metà strada tra la paurosa castità e l'altera ritrosia. La sua espressione, con la boccuccia stretta e gli occhi sottili, è di straordinaria grazia aristocratica ma anche un po' altera. La sua veste è composta secondo falcate ritmiche che hanno la finezza di un arabesco e che ne smaterializzano il corpo, rendendolo una pura linea decorativa: le gambe sono infatti appiattite e astratte, appena intuibili dall'andamento nervoso del bordo della veste. I personaggi, tra l'altro, hanno la stessa fisionomia, dovuta all'uso di modelli (patroni) per ottenere la forma delle figure, senza alcun interesse alla rappresentazione individuale. Dalla bocca dell'angelo, escono le lettere dorate delle sue parole, come in un vero antesignano del fumetto. Completano l'ambiente, un pavimento di marmo screziato (spazialmente non coerente con quello dei pannelli laterali) su cui al centro si trova un prezioso vaso dorato con alcuni gigli, fiore mariano simbolo di purezza; in alto si trova la colomba dello Spirito Santo contornata da uno stormo di cherubini in cerchio. Lo sfondo è un'abbagliante distesa d'oro, che dà alla scena un'apparenza astratta ma anche straordinariamente spirituale. Il tutto è evidenziato ancora maggiormente dalle dorature delle vesti e di altri dettagli, secondo alcune tecniche che Simone potrebbe aver inventato proprio per quest'opera: essenzialmente si tratta di dipingere sopra la foglia d'oro, sia stendendo il colore calligraficamente e con velature per lasciare in vista l'oro sottostante (la 'palliatura', visibile nelle ali dell'angelo), sia graffiando in seguito il colore per creare motivi damascati (come nella veste dell'angelo). A ciò vanno aggiunte la ricchissima punzonatura e la lavorazione col bulino e col cesello di dettagli come le aureole o i bordi delle vesti, che creano una superficie pittorica estremamente preziosa e di qualità altissima. L'uso delle velatura fu una caratteristica basilare della dolcezza della pittura di Simone Martini, che nel suo soggiorno avignonese diffuse, facendo da premessa per la grande pittura nordica del XV secolo e la tecnica del colore a olio. ### Stile. Dal punto di vista formale, il dipinto risulta essere diviso in tre piani: il fondo dorato che suggerisce un'indeterminatezza dello spazio; il piano intermedio del vaso di gigli e dello Spirito Santo in alto; e il primo piano dei due personaggi della rappresentazione, diviso dagli altri non tanto dalla tonalità cromatica, quanto dall'estrema nettezza dei contorni. L'intera rappresentazione inoltre è impregnata di un eccezionale dinamismo: l'arcangelo ha appena toccato terra, come evidenzia la predominanza di linee verticali generate dalle ali ancora spiegate e dal lembo del mantello non ancora richiamato dalla forza di gravità; la Madonna invece è caratterizzata da una forte torsione della sua esile figura, sottolineata dalla posizione delle braccia e dall'inclinazione della testa, contrapposta alla rigida geometria del trono su cui è seduta. Con questi elementi, Simone Martini riesce a costruire una realtà nuova e diversa, calibratissima nella distribuzione delle figure e nell'equilibrio di vuoti e pieni, impregnata di un supremo ideale di bellezza, eleganza e armonia. Grazie all'incredibile espressività della linea, l'angelo mantiene la sua forma nonostante l'immaterialità del suo corpo, quasi trasparente, sovrapponendo l'oro delle sue vesti con l'oro dello sfondo, creando straordinari effetti di rifrazione, immergendo così l'osservatore in un'estasi di luce e ricchezza, raffinatissima, che mai sconfina in opulenza. Contrapposta, sta la figura della Vergine, del tutto terrena, sottolineata dalla chiarezza e semplicità delle vesti, marcatamente scure. Tuttavia, anche la Vergine presenta una corporeità non troppo voluminosa, e l'assenza di volume le conferisce comunque un tono leggero. Importante sottolineare come l'artista voglia suggerire una precisa spazialità della scena, scostandosi dagli schemi dell'adimensionalità bizantina e inserendo dettagli prospettici come il pavimento marmoreo, i panneggi, i volti, il vaso di gigli, le olive, il trono in tralice e il libro, caratterizzati da un grande realismo. Da notare anche i raffinati merletti dorati della veste di Maria, che contribuiscono a dare un tocco di regalità alla sua figura, altrimenti eccessivamente cupa davanti allo splendore angelico.
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### Titolo: Pietà di San Remigio. ### Introduzione: La Pietà di San Remigio è un'opera di Giottino (tempera su tavola 195x134 cm) databile al 1360-1365 circa e conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze. Fin dall'epoca di Giorgio Vasari (Le Vite, 1550) è considerata una delle migliori opere della pittura fiorentina della seconda metà del Trecento. ### Descrizione e stile. L'opera riprende lo schema del Compianto del Cristo morto di Giotto nella Cappella degli Scrovegni (la posizione di Cristo e di alcuni personaggi è ribaltata specularmente), aggiornata a una nuova, intensa espressività dolente dei personaggi. In un abbacinate fondo oro su preparazione rossa, che annulla lo spazio ma esalta il senso spirituale della scena, si trova la Croce di Cristo con il cartiglio YNRI, che occupa solitaria tutta la parte superiore e la cuspide. Al centro e in basso si trovano le figure raccolte attorno al Cristo morto, ciascuna con una diversa reazione emotiva puntualmente indagata: l'espressivo pianto della Maddalena, la costernazione di San Giovanni con le mani giunte, la preoccupazione del personaggio in piedi sulla destra. I personaggi riacquistano così l'umanità dei sentimenti, anticipando gli sviluppi futuri dell'umanesimo, che ridiedero valore all'individuo. Come in Giotto, le figure si dispongono su più piani, evitando gli schematismi e carcando una tridimensionalità, che però in questo caso non raggiunge gli esiti del maestro, anche per via dell'astratto fondo oro. Inedita à la presenza dei committenti dentro la scena, sulla sinistra: la giovane donna e la monaca inginocchiate che ricevono la protezione (efficacemente rappresentata dalla mano sul capo) da parte di san Remigio, patrono della chiesa, e san Benedetto, patrono dei benedettini ai quali sicuramente doveva appartenere la religiosa; essi assistono alla scena con attenzione e muta partecipazione. La figura della donna è dipinta con estrema cura dei dettagli, abbigliata con un ricco abito nero, che è ornato da un bordo ricamato sullo scollo e stretto da una cintura di placche smaltate, che le cade morbidamente sui fianchi. In questa cura minuziosa Giottino si allontana dalle masse compatte e sintetiche della pittura del maestro, incamminandosi piuttosto verso quelli che saranno gli sviluppi del gotico internazionale: forse ciò è dovuto a un'influenza lombarda. La tecnica usata si basa su colori delicatamente sfumati e luce limpida, che ricorda la maniera di Maso di Banco negli affreschi coevi della Cappella Bardi di Vernio in Santa Croce.
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### Titolo: Trionfo della Morte (Palermo). ### Introduzione: Il Trionfo della Morte è un affresco staccato (600×642 cm) conservato nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. Oltre ad essere uno dei migliori dipinti su questo tema, è l'opera più rappresentativa della stagione 'internazionale' in Sicilia, culminata durante i regni di Ferdinando I (1412) e di Alfonso V d'Aragona (che nel 1416 fece di Palermo la sua base per la conquista del Regno di Napoli). Non si conosce il nome dell'autore (indicato come un generico Maestro del Trionfo della Morte) e viene datato al 1446 circa., anche se lo storiografo Gioacchino Di Marzo attribuì ad Antonio Crescenzio un Trionfo della morte che potrebbe essere quello al momento di autore ignoto. . ### Descrizione e stile. L'affresco è composto come una gigantesca pagina miniata: in un lussureggiante giardino incantato, adorno di una fontana e bordato da una siepe, dove la gente giovane e ricca si diverte con cacce e balli, irrompe la Morte su uno spettrale cavallo scheletrito. Essa inizia a lanciare con l'arco frecce letali che colpiscono personaggi di tutte le fasce sociali, uccidendoli. Il cavallo, di prorompente vitalità, occupa il centro della scena, con le sue costole e la macabra anatomia della testa scarnificata, che mostra denti e lingua. La Morte è raffigurata efficacemente nell'attimo in cui ha appena scoccato una freccia, che è andata a colpire il collo di una giovane nell'angolo destro in basso; essa ha legata sul fianco la falce e reca con sé una faretra, suoi attributi iconografici tipici. A destra si trova il gruppo degli aristocratici, completamente sorpresi dall'avvenimento, che quasi imperterriti continuano le loro attività, tranne i personaggi immediatamente più vicini ai cadaveri. Vi si riconoscono diversi cacciatori, musici, dame riccamente abbigliate e cavalieri vestiti di pellicce, come quelli che chiacchierano amabilmente ai bordi della fontana, simbolo di vita e di giovinezza. Qui e più in alto, a sinistra, si trovano due richiami a uno degli svaghi più amati dall'aristocrazia, la caccia, con un uomo che tiene un falcone sul braccio e un altro che regge al guinzaglio due cani da caccia trepidanti, tra i quali il levriero disegna una linea sinuosa col corpo sull'attenti. Nonostante la ricchezza e la complessità del soggetto, la scena è composta in maniera unitaria, grazie a un'efficace stilizzazione lineare e alle pennellate corpose che riescono a trasmettere la consistenza materica del colore. Sotto il corpo del cavallo della Morte giacciono i potenti, tra cui il Papa, l'imperatore e un gruppo di morti. A sinistra invece si trova il gruppo dei vecchi, dei malati, dei mutilati, delle vedove e dei poveri, che desiderando la cessazione delle loro sofferenze, invocano inutilmente la Morte, che li ignora.
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### Titolo: La tavola imbandita. ### Introduzione: La tavola imbandita (titolo originale La desserte) è un dipinto a olio su tela (100x131 cm) realizzato nel 1896-1897 da Henri Matisse. ### Descrizione. La tavola imbandita raffigura una scena di vita quotidiana: una donna, forse una domestica, che termina di preparare la tavola per il pranzo. La rappresentazione di questo tipo di scena era molto diffuso, basti pensare a La colazione dei canottieri, ed era un tema già caro a Matisse nel suo primo decennio di pittore. A questo proposito, ricordiamo tra le sue opere Donna che legge (1894) e La domestica bretone (1896). In particolare la scena a cui Matisse si è ispirato per quest'opera è La preghiera di ringraziamento di Chardin' (1740). La stessa scena verrà ripresa dieci anni dopo con sostanziali cambiamenti dovuti alla crescente passione per il colore (La stanza rossa (Armonia in rosso), 1908).
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### Titolo: Allegoria sacra. ### Introduzione: L'Allegoria sacra è un dipinto olio su tavola (73x119 cm) di Giovanni Bellini, databile tra il 1490 e il 1500 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. È una delle opere più enigmatiche e misteriose dell'artista e del Rinascimento in generale, a causa delle difficoltà nell'assegnare un significato esatto al soggetto. ### Descrizione. La scena è ambientata in prospettiva, dentro un'ampia terrazza con un pavimento marmoreo policromo, separata dalla riva di un lago da una balaustra. A sinistra si riconosce Maria in trono, sotto un baldacchino con asta a forma di cornucopia (simbolo della sua funzione genitrice), e con quattro gradini ai piedi, sul cui lato si trova un fregio con scene del mito di Marsia, interpretato come un parallelo della Passione di Gesù. Accanto ad essa si trovano due figure femminili non identificate, forse due sante o due Virtù. Una delle due sembra sospesa in aria, ma ciò potrebbe essere anche dovuto a una caduta del colore in corrispondenza delle gambe e dei piedi. Al centro si trovano quattro bambini che giocano con un alberello e con i suoi frutti argentei, forse l'albero della conoscenza, fonte di vita e sapienza. A destra si incontrano due santi facilmente identificabili dagli attributi: Giobbe e Sebastiano. Fuori dal recinto, appoggiati alla balaustra, si trovano poi san Giuseppe con le mani giunte in adorazione del bambino seduto sul cuscino, e san Paolo di Tarso con il suo attributo iconografico della spada, che tiene alzata avanzando verso sinistra, nell'atto di scacciare un uomo con un turbante che si allontana, voltandogli le spalle. Bellini in questa scena ha dipinto una raffigurazione della punizione del mago ebreo Elimas, diventato cieco e costretto a vagare nel buio, dopo aver contestato san Paolo durante la sua predicazione a Cipro, al cospetto del proconsole Sergio Paolo. Oltre un ampio lago si vede poi un vasto paesaggio, caratterizzato da speroni rocciosi a picco sull'acqua e popolato da uomini e animali (due viandanti con un asino, e una coppia, chiarissima, quasi illuminata di luce propria), con edifici costruiti nella vegetazione (un villaggio, una rocca sullo sfondo). Tra le figure si notano sulla riva un eremita con una croce in una grotta sulla riva (sant'Antonio Abate?), un pastore addormentato tra le sue pecore in un'altra grotta e un centauro. ### Stile. Il paesaggio riveste un ruolo importante, autentica passione della pittura veneziana da Bellini in poi. Attraverso una sapiente modulazione di luce e colore le figure sono modellate senza l'aiuto visibile del disegno. Le linee di contorno infatti scompaiono e i soggetti appaiono così come corpi fatti unicamente di luce e colore, tipici elementi della prospettiva cromatica veneta. L'atmosfera è infatti impregnata di luce dorata, il naturalismo sottile e totale, il colore ricco e sfumato. Sebbene però vi si leggano i sintomi della nuova visione paesaggistica cinquecentesca, lo schema usato dal pittore è ancora tradizionale, legato a una costruzione razionale e controllata dell'insieme di matrice quattrocentesca.
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### Titolo: Il bevitore di assenzio. ### Introduzione: Il bevitore d'assenzio (Le Buveur d'absinthe) è un dipinto a olio su tela (180,5×105,6 cm) del pittore francese Édouard Manet, realizzato nel 1858-1859 e conservato alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. ### Descrizione. Insofferente ai canoni accademici promossi dal maestro Thomas Couture, con Il bevitore di assenzio Manet ripudia i soggetti storici e sceglie di raffigurare polemicamente un antieroe, come l'alcolizzato Collardet, noto chiffonnier che frequentava l'area circostante il Louvre. Il dipinto, impostato prevalentemente su toni neri, grigi, gialli spenti e soprattutto marroni, raffigura il disgraziato Collardet in piedi, abbigliato con un cilindro e un'ampia mantella e appoggiato a un rialzo murario, sul quale compare il bicchiere contenente assenzio (liquore amaro di colore verdognolo, oggi illegale, fortemente alcolico e poco costoso).L'uomo è imprigionato in uno spazio squallido e angusto, che Manet descrive impietosamente. Nonostante alcune incertezze nella costruzione della figura, il pittore qui mostra di aver assimilato e interiorizzato la lezione di Gustave Courbet, pittore realista il cui rivoluzionario programma prevedeva di «esprimere i costumi, le idee, l'aspetto del mio tempo, secondo il mio giudizio; in una parola, fare dell'arte viva». La misera figura del bevitore d'assenzio non sta infatti appoggiata all'anca come suggeriva il maestro Couture, bensì è completamente priva d'idealizzazioni estetizzanti e, anzi, dispone le gambe in modo bizzarro, trasmettendo così un'intensa sensazione di malessere.Prima di completare Il bevitore di assenzio, Manet decise innanzitutto di presentarla al suo vecchio maestro Couture che, inorridito dall'opera dell'allievo, sentenziò: «Un bevitore d'assenzio! E dipingono abomini come questo! Mio povero amico, sei tu il bevitore d'assenzio. Sei tu che hai completamente perso il tuo senso morale». Neanche il parere dei giudici del Salon, esposizione presso la quale l'opera fu inviata nel 1859, si discostò da quello espresso da Coutoure: l'opera fu infatti respinta all'unanimità, e fu sostenuta solo dall'ormai anziano Eugène Delacroix. L'opera, venduta al cantante d'opera Jean-Baptiste Faure nel 1906, dal 1914 giunse nelle collezioni della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, in Danimarca, trovando così la sua collocazione definitiva.
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### Titolo: La ferrovia. ### Introduzione: La ferrovia (Le Chemin de fer) è un dipinto a olio su tela (93,3×111,5 cm) del pittore francese Édouard Manet, realizzato nel 1872-1873 e conservato alla National Gallery of Art di Washington. ### Descrizione. Manet subì irrimediabilmente il fascino delle ferrovie, universalmente riconosciute all'epoca come il simbolo del trionfo della rivoluzione industriale e del progresso scientifico. Così come per gli altri Impressionisti - nel biennio 1876-1877 Manet raffigurò molte volte la stazione di Saint-Lazare - Manet fece delle strade ferrate un oggetto degno della rappresentazione pittorica: vedere i treni in corsa in mezzo alla campagna, infatti, era per lui un affascinante spettacolo, e considerava i ferrovieri come persone dotate di piena padronanza di sé e di una risoluta volontà. Manet intraprese l'esecuzione de La ferrovia nel 1872, dipingendo per la maggiore in en plein air, con l'aggiunta di alcuni dettagli secondari eseguita nel chiuso dell'atelier e la rifinitura globale portata a termine nel giardino del pittore Hirsch, all'incrocio tra rue de Rome e rue de Constantinople, dunque a poca distanza dal parco binari della trafficata stazione di Saint-Lazare. Il dipinto raffigura una donna e una bambina, per le quali posano rispettivamente Victorine Meurent, già modella di Olympia, e la figlia di un amico, probabilmente proprio dell'Hirsch. La ragazza di sinistra ha uno sguardo pensieroso e mesto e regge sul grembo un ventaglio, un libro aperto e un cagnolino addormentato (si tratta questa di una citazione dalla Venere di Urbino di Tiziano Vecellio, antico maestro particolarmente amato dal Manet). La bambina di destra, invece, è vestita con un elegante abito bianco e blu e rivolge le spalle all'osservatore: è aggrappata all'inferriata di ferro, e ammira con grande reverenza lo spettacolo del treno in manovra, che si fa strada verso la stazione con grandi sbuffi di vapore. Alla vivace curiosità della fanciulla si contrappone la mestizia della donna, consapevole della propria maturità, la quale infatti non è interessata all'arrivo della locomotiva, anche se interrompe per un attimo la lettura. A completare la composizione vi è un grappolo d'uva, posto a destra del muricciolo.Il ritmo della visione è scandito dal succedersi delle sbarre dell'inferriata, un'invenzione già sperimentata qualche anno prima dal Manet nel dipinto Il balcone. La cancellata, infatti, si frappone tra lo sfondo e le due protagoniste, sicché anche l'osservatore viene posto allo stesso livello delle figure e pertanto osserva la scena al di qua delle sbarre. Questa soluzione, pur essendo molto innovativa, non fu affatto gradita dai critici che, ancora legati al vecchio chliché degli esordi del pittore, non lesinarono critiche velenose ed aspre: «Queste infelici, vedendosi dipinte in tal modo, volevano fuggire! Ma lui, previdente, ha messo una grata che ha loro tagliato ogni via di fuga». L'amico Burty, al contrario, colse con grande acume l'anima dell'opera: «Il movimento, il sole, l'aria tersa, i riflessi, tutto dà l'impressione della natura, ma della natura colta da un animo delicato e tradotta da uno raffinato».
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### Titolo: Perseo e Andromeda (Rubens). ### Introduzione: Perseo e Andromeda (conosciuto anche come Perseo incoronato) è un dipinto a olio su tavola (99,5x139 cm) realizzato nel 1622 circa dal pittore fiammingo Pieter Paul Rubens e conservato nel Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo. ### Descrizione. La scena è molto simile a quella di un altro dipinto realizzato precedentemente da Rubens, Perseo libera Andromeda. Perseo, al centro del dipinto, è attorniato da tre putti, uno che regge lo scudo con la testa di Medusa, uno porta l'elmo dell'eroe, mentre un altro tiene il cavallo alato Pegaso. In alto la Vittoria è raffigurata nell'atto di porre una corona sul capo dell'eroe. Altri due putti liberano Andromeda dalla roccia alla quale è legata. In basso è raffigurato il mostro marino ucciso dall'eroe.
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### Titolo: Tobiolo e l'angelo (Verrocchio). ### Introduzione: Tobiolo e l'angelo è un dipinto a tempera su tavola (83,6x66 cm) di Andrea del Verrocchio, databile al 1470-1475 e conservato nella National Gallery di Londra. ### Descrizione e stile. Nel Libro di Tobia l'angelo Raffaele (definito arcangelo solo nei testi apocrifi), venne invocato da Tobi, uomo giusto e povero, affinché accompagnasse suo figlio Tobia, spesso chiamato Tobiolo, a riscuotere un credito di dieci talenti d'argento contratto dieci anni prima. Durante il viaggio Raffaele indicò a Tobia la strada più sicura e lo salvò più di una volta, senza mai rivelarsi come angelo, se non alla fine della vicenda. Raffaele è rappresentato a sinistra mentre conduce a braccetto Tobia, come nel precedente dipinto di Piero del Pollaiolo (1465-1470 circa). L'angelo si è già rivelato mostrando le ali e Tobia lo guarda senza però sorpresa. Il giovane è abbigliato in maniera elegante, con una veste corta, un mantello blu e nero al vento, calzoni rossi e alti stivali da viaggio. Come dal racconto biblico reca in mano il pesce che l'angelo gli ha fatto catturare nel Tigri salvandolo dal morso che l'animale stava per dargli al piede (con la bile del pesce il ragazzo guarirà la cecità del padre). Una linea rossa lungo l'animale mostra che esso è sventrato: le sue miracolose viscere stanno infatti nella scatolina che regge l'angelo. Oltre al pesce il ragazzo tiene un foglio con su scritto 'ricordo', un memorandum di un credito da riscuotere che suo padre gli aveva affidato. Anche il cagnolino, oggi quasi del tutto sbiadito, fa parte del racconto tradizionale, come compagno di Tobia che volle seguire nel viaggio. Lo stile del dipinto dimostra la pratica del disegno, con dettagli grafici derivati dalla tradizione orafa che molti artisti fiorentini del Rinascimento praticavano, Verocchio compreso. I tessuti sono molto decorati, le linee si incurvano con eleganza e le figure hanno il passo e l'eleganza di danzatori. Scultoreo è invece il panneggio pesante a effetto bagnato che si nota ad esempio nel mantello dell'angelo: una caratteristica tipica di Verrocchio e della sua bottega, dalla quale uscivano anche molte sculture. Il basso orizzonte fa torreggiare i personaggi, che sembrano dominare il paesaggio, in cui si riconoscono colline, campi coltivati, un fiume e un castello. Dettagli del paesaggio o del terreno sono i più deboli dell'opera e mostrano un'altra mano, non particolarmente dotata.
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### Titolo: Cristo nel labirinto. ### Introduzione: Il Cristo nel labirinto è un affresco di autore ignoto, ubicato nell'ex-convento di San Francesco in Alatri (FR). ### Descrizione. L'affresco è collocato in un'angusta intercapedine, risultato di ristrutturazioni successive alla realizzazione dell'opera: la parete su cui si trova l'affresco infatti, faceva parte originariamente di un'ampia sala con volte a tutto sesto, forse precedente alla costruzione del convento; probabilmente una chiesa, di cui sarebbe stata identificata la facciata ovestL'opera raffigura un labirinto costituito da undici spire e quindi dodici cerchi, di circa 140 cm di diametro, al centro del quale è dipinta la figura di un Cristo Pantocratore con il volto barbuto e un'aureola che gli circonda il capo, con indosso una tunica scura e un mantello dorato. Con la mano sinistra il Cristo regge un libro chiuso, forse il Libro della Vita o le Sacre Scritture, mentre con la mano destra indica l'ingresso al labirinto.
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### Titolo: Entrata di Pio VII a Cesena. ### Introduzione: L'entrata di Pio VII a Cesena è un dipinto a olio su tela di Enea Peroni realizzato nel 1839 e conservato nella Pinacoteca Comunale di Cesena. ### Descrizione. Il quadro rappresenta l'entrata di Pio VII a Cesena, che si trova nella carrozza (nella quale è rappresentato lo stemma di Famiglia); a destra appaiono dei nobili inginocchiati mentre a sinistra le autorità civili. Nello sfondo si può notare l'Abbazia di Santa Maria del Monte.(nella quale è rappresentato lo stemma di Famiglia); a destra appaiono dei nobili inginocchiati mentre a sinistra le autorità civili. Nello sfondo si può notare l'Abbazia di Santa Maria del Monte. ( L'opera è datata 1839 e non 1810, poiché l'ingresso a Cesena del papa cesenate Pio VII è legato al suo viaggio di ritorno da Savona, dove fu tenuto prigioniero da Napoleone e liberato. Prima di lasciare Savona, Pio VII volle incoronare l'immagine della Madonna della Misericordia, a cui il papa si affidò, e la cerimonia avvenne il 10 maggio 1815. E l'entrata a Cesena (avvenuta nel 1815) non può essere riferita al suo viaggio di andata in esilio, poiché la strada, che lo avrebbe portato in Francia, vide l'attraversamento della Toscana per raggiungere Sarzana dove, in barca, arrivò in Liguria, a Genova. Da Genova un nuovo viaggio che si concluse il 28 luglio 1809. a Grenoble.( da: 'Pio VII un uomo libero' Graphic Novel edita da Editoriale Darsena nell'anno 2000, per conto della Diocesi di Savona. Antonio Dal Muto).
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### Titolo: Panorama Mesdag. ### Introduzione: Panorama Mesdag è un dipinto di panorama realizzato da Hendrik Willem Mesdag conservato in un museo costruito appositamente all'Aia, in Paesi Bassi. Rappresenta la pittura circolare più grande del mondo. ### Descrizione. Si tratta di un dipinto cilindrico (noto come Cyclorama) alto più di 14 metri e di circa 40 metri di diametro (120 metri di circonferenza). Dalla galleria di osservazione al centro della sala e a 14 metri dal dipinto, la prospettiva cilindrica crea l'illusione che l'osservatore si trovi su una duna di sabbia sopraelevata con vista sul mare, sulle spiagge e sul villaggio di Scheveningen (l'Aia), così come apparivano nel 1881. Un piano di terreno sabbioso artificiale tutto intorno alla galleria di osservazione nasconde all'osservatore la base del dipinto e rende l'illusione più efficace.
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### Titolo: La pubertà. ### Introduzione: La pubertà è un dipinto del pittore norvegese Edvard Munch, appartenente al movimento della secessione di Berlino. L'opera è stata realizzata nel 1894-95 ed è conservata presso la Galleria nazionale di Oslo. ### Descrizione. Il soggetto è un'adolescente, nuda, seduta che con le mani copre la zona pubica. Come in altri quadri di Munch, i colori sono piuttosto scuri e vi è un uso efficace del rosso (il colore dei capelli della ragazza, che richiama quello del sangue, con un evidente rimando alla pubescenza nonché al trauma vissuto dall'autore a causa dell'agonia della madre e della sorella, entrambe malate di tubercolosi). Ci sono analogie tra quest'opera e La fanciulla malata. Centro dell'interesse di Munch è infatti l'uomo, il dramma del suo esistere, del suo essere solo di fronte a tutto ciò che lo circonda: con i propri conflitti psichici e le proprie paure. C'è soltanto l'essenziale: la ragazza, il letto, l'ombra della ragazza sulla parete. La figura è realistica, il volto incerto e spaurito dice il turbamento della ragazza per il mutamento che sente compiersi nel proprio essere. Il trapasso dallo stato di fanciulla a quello di donna, il cui destino forzato è di amare, procreare, morire, non è per Munch un evento fisico-psicologico, ma un problema sociale (condizione sociale della donna in quell'epoca). Il fatto veramente importante non è la descrizione di una situazione psicologica, ma la nuova concezione del valore, della funzione del simbolo, che è sempre il segno di un divieto, di un tabù sociale. L'ombra nera alla sinistra della fanciulla è forse la chiave di lettura dell'intero quadro: essa rappresenterebbe per il pittore il presagio della morte dell'anima che la donna, qualunque sia la sua condizione sociale, dovrà inevitabilmente subire in futuro. Il suo ruolo, per come credeva il pittore, è infatti solo quello di procreare e accudire i figli, senza alcuna possibilità di condurre una vita diversa e dedita ad altre attività. Nel momento in cui la fanciulla diventerà quindi una donna, perderà lo stato di libertà in cui aveva vissuto fino a quel momento compiendo un inesorabile passo verso la morte.
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### Titolo: La stanza rossa (Matisse). ### Introduzione: La stanza rossa o Armonia in rosso è un dipinto a olio su tela (180x220 cm) realizzato nel 1908 a Parigi da Henri Matisse. Acquistato dal collezionista russo Sergej Ščukin, è conservato nel Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo. ### Descrizione. In questa sua opera emblematica del periodo fauves, Matisse visualizza la scena in un interno borghese, una camera con una finestra, in un angolo in alto a sinistra, attraverso la quale si intravede un paesaggio. Al colore dato per strisce e chiazze dirompenti in molteplici tonalità, si sono sostituite grandi superfici di colore pieno e la bidimensionalità decorativa; tutta la composizione inoltre, e persino la natura, non ha profondità spaziale. Essa assume invece una bidimensionalità illusionistica a cui vengono aggiunti elementi decorativi che diventeranno poi fondamentali nella seconda parte della sua carriera. Questi motivi floreali e ondulati presenti sulla tovaglia, si ripetono nella tappezzeria e assumono un valore decorativo e musicale. La costruzione prospettica (indicata dalla sottile linea nera del bordo del tavolo e della piega della tovaglia, sulla sinistra, appena accennata, ma anche dallo spessore del muro in cui è ritagliata la finestra e dalla sedia) è annullata dalla scelta dello stesso rosso, con l'identico motivo decorativo blu e azzurro, sia per il rivestimento murario sia per la tovaglia che ricopre il tavolo. Da ciò si capisce che l'artista con questo quadro non vuole rappresentare uno spazio reale, ma invece una dimensione interiore ed emotiva. Metaforicamente si può collegare la stanza rossa ed i colori forti alla mente di Matisse, che riecheggia nel caos. Mentre contemporaneamente possiamo pensare all'ambiente fuoristante, cioè alla natura come un posto inarrivabile e tranquillo, quasi paradisiaco se confrontato alla sala interna.
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### Titolo: Cappella Ovetari. ### Introduzione: La cappella Ovetari si trova nel braccio destro del transetto della chiesa degli Eremitani a Padova. È celebre per aver ospitato un ciclo di affreschi di Andrea Mantegna e altri, dipinto tra il 1450 e il 1460. Opera chiave del Rinascimento padovano, durante la seconda guerra mondiale la cappella venne bombardata l'11 marzo 1944 e gli affreschi andarono quasi completamente distrutti (si salvarono solo due scene staccate in precedenza e pochi frammenti). Oggi è comunque possibile farsene un'idea mediante foto d'epoca, in bianco e nero, e tramite alcuni frammenti sparsi che sono stati ricomposti in occasione del restauro concluso nel 2006. ### Descrizione. ### Stile. All'epoca degli affreschi agli Eremitani Mantegna dipingeva già con una precisa applicazione della prospettiva unita ad una rigorosa ricerca antiquaria, ben più profonda di quella del suo maestro Squarcione. La decorazione ad affresco, che si protrasse per quasi un decennio, mette in luce, nel caso di Mantegna, il progressivo affinamento del suo linguaggio.
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### Titolo: Trittico Carnesecchi. ### Introduzione: Il Trittico Carnesecchi era un'opera di Masolino alla quale partecipò, pare, anche Masaccio. Rappresentava la Madonna col Bambino tra i santi Caterina d'Alessandria e Giuliano. Smembrato nel XVII secolo, è oggi perduto tranne lo scomparto del San Giuliano (Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte, Firenze) e uno dei tre pannelli della predella. Per lungo tempo si è individuato questo pannello in quello di Masolino conservato in Francia (Museo Ingres, Montauban), ma recenti studi degli esperti dell'Opificio delle Pietre Dure hanno permesso di identificarlo in quello di Masaccio conservato a Firenze (Museo Horne). Nella storia dell'arte questa opera ha particolare importanza perché pare segnare l'inizio della collaborazione artistica tra Masaccio e Masolino e potrebbe esserci stato occasione d'incontro per Masaccio con l'opera di Paolo Uccello. ### Descrizione. Dell'opera sopravvissero dallo smembramento i soli pannelli centrale (Madonna col Bambino) e destro (San Giuliano) con la predella, che vennero identificati come appartenenti al Trittico tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. La Madonna col Bambino, conservata ormai nella chiesa di Santa Maria a Novoli, nella periferia fiorentina, venne però trafugata il 31 gennaio 1923 e mai più ritrovata. Ne restano solo alcune fotografie d'epoca. Il trittico era importato secondo uno schema tradizionale di impianto tardogotico, ma innovativo era l'uso di un coronamento ad arco a tutto sesto. Le figure dovevano collocarsi in uno spazio unico, con un pavimento marmoreo incorniciato da una fascia scura che era comune ai pannelli. Maggiore coerenza era anche data dall'altezza uguale degli scomparti, abbandonando la tradizionale importazione gerarchica.
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### Titolo: Fondazione di Santa Maria Maggiore. ### Introduzione: La Fondazione di Santa Maria Maggiore è una tempera su tavola (144x76 cm) di Masolino da Panicale, un tempo pannello centrale del recto della Pala Colonna. Oggi è conservata con il dipinto che si trovava sul rovescio (l'Assunzione della Vergine) nel Museo nazionale di Capodimonte a Napoli. ### Storia e descrizione. La datazione della pala, già destinata all'altare maggiore della basilica di Santa Maria Maggiore è molto controversa. L'ipotesi più accreditata è quella che si tratti di un'opera dipinta direttamente a Roma da Masolino e Masaccio (autore del pannello dei Santi Girolamo e Giovanni Battista), l'ultima di Masaccio prima della scomparsa, quindi databile ai primi mesi del 1428; altri (come Spike) la legano, a causa dell'iconografia, al giubileo di Papa Martino V del 1423, ponendola quindi come prima opera della collaborazione tra i due artisti, prima della cappella Brancacci e della Sant'Anna Metterza. Secondo alcuni la pala fu interamente commissionata a Masolino, che poi ne delegò una parte al suo assistente Masaccio; secondo altri fu commissionata a Masaccio, il quale disegnò il complesso, per poi venire completata in larga parte da Masolino dopo la sua morte. Il cardinale Oddone Colonna, eletto nel 1417 come papa Martino V, pose fine allo scisma d'Occidente; tra il 1419 e il 1420 sostò a Firenze, in attesa che Roma fosse sufficientemente sicura a riceverlo. Nella città toscana probabilmente venne in contatto con gli artisti lì attivi: Gentile da Fabriano, Arcangelo di Cola, Lorenzo Ghiberti e probabilmente Masolino. Appena messo piede a Roma Martino V si dedicò subito al compito di riportare la città al suo antico splendore ed indisse un giubileo per il 1423, cui sembrano alludere alcuni particolari iconografici della pala. La pala venne vista verso la metà del XVI secolo da Vasari e Michelangelo Buonarroti, che la trovarono ormai spostata in una piccola cappella vicino alla sacrestia ('cappella Colonna'). Essi, che videro solo una faccia essendo probabilmente addossata a una parete, la ritennero interamente opera di Masaccio, ignorando Masolino. Nel 1653 la pala Colonna si trovava ormai a palazzo Farnese, con i pannelli segati nello spessore in modo da separare le facce ed avere sei dipinti separati, che in un inventario sono elencati come opere di Beato Angelico. In seguito vennero dispersi e, ricomparsi in momenti diversi sul mercato antiquario, vennero riconosciuti quando ormai erano sparsi in più musei. La pala centrale, ritenuta la più pregevole, giunse Napoli tramite l'eredità Farnese. ### Descrizione e stile. Il pannello mostra l'evento miracoloso legato alla fondazione della basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Secondo la leggenda durante il torrido agosto del 358 avvenne una prodigiosa nevicata, che disegnò i contorni di una basilica sull'Esquilino. Papa Liberio si decise allora a fondarla. Egli, vestito col triregno, è raffigurato in primo piano mentre con una zappa traccia il solco delle fondazioni della basilica, della quale si nota l'abside disegnata a terra dalla neve. Secondo Vasari questo sarebbe il ritratto in realtà di Martino V, con accanto l'imperatore Sigismondo. Attorno a lui si dispone una folla numerosa, affiancata da alcuni edifici scorciati in prospettiva. Anche le nuvolette in alto sembrano voler ricreare una semplicistica fuga prospettiva (ben diversa dagli effetti naturalistici disegnati nel cielo del Pagamento del tributo nella Cappella Brancacci da Masaccio), mentre più in alto, nella lunetta, si trovano entro un medaglione Gesù e la Vergine che osservano il miracolo appena compiuto.
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### Titolo: Sagra (Masaccio). ### Introduzione: La Sagra è un perduto affresco di Masaccio, già posto su una lunetta sopra una porta del chiostro della chiesa del Carmine di Firenze. Eseguito poco prima o in contemporanea con gli affreschi della Cappella Brancacci era databile al 1425-1426 o, secondo altri studiosi, al 1427 e venne distrutto nei rifacimenti del chiostro, nel 1600 o 1612. ### Descrizione. L'affresco era a monocromo in terra verde, come era tipico a quell'epoca per i chiostri (si pensi al chiostro Verde di Paolo Uccello e altri pittori). Esso commemorava la consacrazione della chiesa avvenuta il 19 aprile 1422, alla presenza dell'arcivescovo Amerigo Corsini. Masaccio, secondo il Vasari, fu presente alla cerimonia con Brunelleschi, Donatello e Masolino. La scena mostrava il sagrato della chiesa come appare dall'angolo con piazza Piattellina, scorciato in prospettiva. Era, secondo la testimonianza del Vasari, la scena folta di ritratti dei cittadini e artisti più in vista di Firenze: «E vi ritrasse infinito numero di cittadini in mantello et in cappuccio, che vanno dietro a la processione; fra i quali fece Filippo di Ser Brunellesco in zoccoli, Donatello, Masolino da Panicale [...], Antonio Brancacci, che gli fece far la cappella, Niccolò da Uzzano, Giovanni di Bicci de' Medici, Bartolomeo Valori il vecchio [...]. Ritrassevi similmente Lorenzo Ridolfi, che in que' tempi era ambasciadore per la Repubblica fiorentina a Vinezia». Nella narrazione dell'evento cittadino l'inserimento degli artisti, tra gli uomini più in vista della città, è sintomo della diversa visione che l'Umanesimo aveva apportato al ruolo dell'artista, non più semplice artigiano, ma intellettuale partecipe della vita culturale cittadina e rispettoso dei riti della Chiesa. Sempre secondo la testimonianza del Vasari l'opera doveva integrare una serie di ritratti «dal vero», in una scenografia di saldo impianto prospettico. Pare quindi che l'opera sviluppasse ulteriormente gli esperimenti prospettici della Cappella Brancacci e che fosse nientemeno che il punto di partenza della ritrattistica rinascimentale italiana. La lodata bravura dell'artista nel rendere il movimento delle numerose figure, disposte su più file, ha portato ad associare questa composizione allo stile del Desco da parto, databile al 1426. L'opera, che venne tanto rimpianta dal Baldinucci, fu il prototipo di un formato destinato ad avere grande successo soprattutto a Venezia: si pensi ai dipinti delle processioni cittadine di Giovanni Bellini o di Vittore Carpaccio. A Firenze influenzò gli affreschi di Bicci di Lorenzo (Santa Maria Nuova) e di Cosimo Rosselli (Sant'Ambrogio). Da alcuni anni, a seguito di accurate ricerche effettuate da uno studioso fiorentino, si pensa che sia stato rintracciato il punto esatto, a lungo cercato nei secoli scorsi, dove Masaccio raffigurò la Sagra, nella parete esterna della chiesa all'inizio del chiostro, dove si appoggiò la volta a botte dell'androne, prolungato di diversi metri a sostegno del nuovo dormitorio.
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### Titolo: San Paolo (Masaccio, affresco). ### Introduzione: San Paolo è un affresco perduto di Masaccio. Lodato da fonti quali il Vasari nelle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, si trovava forse a fianco delle pareti di una cappella nel transetto sinistro della chiesa del Carmine a Firenze, facente pendant con un San Pietro di Masolino pure perduto. ### Descrizione. Secondo il biografo aretino, il san Paolo ritraeva Bartolomeo di Angiolino Angiolini a grandezza naturale ed ispirava 'una terribilità tanto grande', che sembrava mancargli solo la parola. Vi erano scorci 'da sott'in su' eseguiti con grande perizia e colpì soprattutto la capacità di rappresentare i piedi e l'appoggio al terreno realisticamente, abbandonando 'quella goffa maniera [dell'arte gotica], che faceva [...] tutte le figure in punta di piedi'.
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### Titolo: Trittico di Danzica. ### Introduzione: Il Trittico di Danzica o del Giudizio Universale è un dipinto a olio su tavola (221x161 cm il pannello centrale e 223,5x72,5 ciascuno scomparto laterale) di Hans Memling, databile al 1467-1473 circa e conservato nel Museo Nazionale di Danzica. ### Descrizione. Il trittico si compone di un grande pannello centrale rappresentante il Giudizio Universale, di un pannello sinistro, dipinto su entrambe le facce, con la Porta del Paradiso, sul retro, il donatore Angelo Tani presso una statua della Madonna, e di un pannello destro, con l'Inferno e sul retro la Donatrice Caterina Tanagli presso la statua di san Michele. ### Stile. Proprio dal confronto con il celebre Polittico del Giudizio universale di Rogier van der Weyden, al quale Memling si ispirò, «si vede quanto Memling fosse più progredito: Rogier suddivise la scena in nove tavole che non hanno un nesso molto organico tra di loro, mentre Memling concepisce la superficie del quadro come un tutto unitario; in Rogier troviamo ancora chiaramente il rapporto con le sculture medievali, mentre Memling persegue compiti puramente pittorici; Rogier, infine, si accostò soltanto con grande cautela al problema del nudo, invece il maestro della fine del secolo si distingue proprio per aver dato con particolare predilezione, in questo soggetto più che mai adatto allo scopo, un numero per quanto possibile alto di movimentati nudi maschili e femminili», rilevando altresì la loro «foggia morbida ed elegante» e la «toccante espressione del viso».
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### Titolo: Polittico Quaratesi. ### Introduzione: Il Polittico Quaratesi venne dipinto da Gentile da Fabriano nel 1425 a Firenze per la cappella della famiglia Quaratesi nella chiesa di San Niccolò Oltrarno. Smembrato in più musei, è l'opera più importante del soggiorno fiorentino dell'artista dopo la Pala Strozzi. ### Descrizione. Il polittico venne smembrato in epoca imprecisata (circa 1830) ed oggi i cinque scomparti, completi della cimasa dipinta, e vari pezzi della predella si trovano in vari musei e città. In particolare si hanno:. Madonna col Bambino e angeli con cimasa con Angeli e medaglione col Redentore, (scomparto centrale), 222,70x83, The Royal Collection, Hampton Court, in deposito alla National Gallery di Londra. Santa Maria Maddalena, con cimasa (scomparto sinistro), 200x60, Uffizi, Firenze. San Nicola di Bari, con cimasa (scomparto sinistro), 200x60, Uffizi, Firenze. San Giovanni Battista, con cimasa (scomparto destro), 200x60, Uffizi, Firenze. San Giorgio, con cimasa (scomparto destro), 200x60, Uffizi, Firenze. Predella. Nascita di san Nicola, 36,5x36,5, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano. San Nicola dona tre palle d'oro alle fanciulle povere, 36,5x36,5, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano. San Nicola salva una nave dal mare in tempesta, 39x62, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano. San Nicola salva tre giovani messi in salamoia, 36,5x36,5, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano. Miracolo dei pellegrini alla tomba di san Nicola, 36,5x36,5, National Gallery of Art, Washington D.C. ### Stile. L'opera è caratterizzata da colori chiari e brillanti e da una profusione di ori e dettagli preziosi che avevano reso celebre lo stile opulento di Gentile. All'altissima qualità degli ornati (soprattutto i ricchi drappi, tappeti e tessuti) corrisponde una grazia carezzevole dei personaggi. I pannelli sono inoltre caratterizzati da una maggiore sintesi nell'accostamento dei personaggi, che appaiono più monumentali e isolati rispetto all'Adorazione dei Magi. In ciò è stata letta un'influenza del rinnovamento pittorico fiorentino che si avviava proprio in quegli anni e che aveva Masaccio come principale esponente. A differenza di altre opere precedenti di Gentile infatti, qui la percezione dello spazio non è annullata dalle decorazioni, anzi resta misurabile, come nel trono della Vergine, con i gradini che procedono dal primo piano in profondità. Nei pannelli dei santi si dispiega una magnifica resa dei dettagli, con punte di virtuosismo nella fascia del piviale di san Nicola, titolare della chiesa effigiato in posizione frontale subito a sinistra della Madonna, dove si trovano entro le falde modulate sette quadri dentro il quadro con Storie dell'infanzia di Cristo: Natività, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto, Strage degli Innocenti, Presentazione al Tempio e Battesimo. Finissima è la tecnica, che rende la morbidezza degli incarnati e la consistenza materica dei tessuti con pennellate finissime, arrivando fino al più curato pointillisme nella ghiaia delle viuzze delle Storie o nella mitria del santo. Gli altri santi erano ruotati con diverse gradazioni, che creavano una sorta di consesso semicircolare attorno alla Vergine. Per esempio la Maddalena, all'estremità sinistra, è quasi di profilo. Quest'ultima santa si può confrontare con quella del Polittico di Valleromita, di circa vent'anni prima, per comprendere quanto lo stile di Gentile si sia nel frattempo evoluto verso una maggiore compostezza e solidità, rinunciando alle onde più eteree degli orli ed alle pose astratte: se nel polittico di Valleromita essa teneva il calice con la sola punta delle dita, qui lo afferra saldamente con i palmi.
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### Titolo: Polittico dell'Agnello Mistico. ### Introduzione: Il Polittico dell'Agnello Mistico, o Polittico di Gand, è un'opera monumentale di Jan van Eyck (e del misterioso Hubert van Eyck), dipinta tra il 1426 e il 1432 per la cattedrale di San Bavone a Gand, dove si trova tutt'oggi. Si tratta di un polittico apribile composto da dodici pannelli di legno di quercia, otto dei quali sono dipinti anche sul lato posteriore, in maniera da essere visibili quando il polittico è chiuso. La tecnica usata è la pittura a olio e le misure totali sono 375x258 cm da aperto. ### Descrizione. Il polittico è costituito da 12 pannelli, disposti su due registri, uno superiore e uno inferiore. Il tema iconografico del polittico è probabilmente quello della Redenzione, con un prologo terreno (gli sportelli esterni) e la conclusione nelle scene dei beati in paradiso nei pannelli interni. ### Stile. In quest'opera compaiono quelli che divennero i caratteri tipici della pittura di Van Eyck: naturalismo analitico, uso di colori luminosi, cura per la resa del paesaggio e grande lirismo, tutti elementi che si ripresenteranno anche nei dipinti eseguiti a pochi anni di distanza dal polittico di Gand. Non è chiara la ragione per cui nei pannelli si usino scale di rappresentazione diverse, in particolare, nel lato interno, tra registro superiore e inferiore. La solenne monumentalità delle figure superiori contrasta con i paesaggi distesi e brulicanti di figure in azione nella parte inferiore, che farebbe quasi pensare a una monumentale predella. Nel complesso comunque non si può parlare di disomogeneità eccessivamente marcate, infatti i colori, la luce e le composizioni spaziali risultano nel complesso sufficientemente unificate e l'altissima qualità pittorica del polittico mette in secondo piano anche i problemi attributivi. La tecnica del colore a olio, perfezionata proprio da Van Eyck e ripresa dai suoi seguaci, permise la creazione di effetti di luce e di resa delle superfici mai viste prima grazie a successive velature, cioè strati di colore traslucidi e trasparenti, che rendevano le figure brillanti e lucide, permettendo di definire la diversa consistenza delle superfici fin nei più minuti particolari. La luce fredda e analitica è l'elemento che unifica e rende solenne e immobile tutta la scena, delineando in maniera 'non selettiva' sia l'infinitamente piccolo che l'infinitamente grande. Vengono sfruttate più fonti luminose, che moltiplicano le ombre e i riflessi, permettendo di definire con acutezza le diverse superfici: dai tessuti ai gioielli, dal cielo terso alle 42 specie di piante identificate dai botanici. In quest'opera, e nelle opere fiamminghe in generale, lo spettatore è incluso illusoriamente nello spazio della rappresentazione, tramite alcuni accorgimenti quali l'uso di una linea dell'orizzonte più alta, che fa sembrare l'ambiente 'avvolgente', come se fosse in procinto di rovesciarsi su chi guarda.
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### Titolo: Condanna al rogo dei santi Cosma e Damiano. ### Introduzione: La Condanna al rogo dei santi Cosma e Damiano è un dipinto, tempera su tavola (37x46 cm), di Beato Angelico, conservato nella National Gallery of Ireland di Dublino. Faceva parte della predella con le Storie dei santi Cosma e Damiano della Pala di San Marco, oggi divisa tra più musei. Il pannello in questione era il quarto della serie, il terzo sul lato frontale da sinistra. ### Descrizione e stile. Cosma e Damiano erano due celebri medici, tradizionalmente creduti fratelli, che guarivano gratuitamente le persone. Arrivata la loro fama agli orecchi del prefetto romano della Cilicia Lisia, egli se li fece portare davanti e li accusò di perturbare l'ordine pubblico tramite la diffusione della loro fede cristiana. Al loro rifiuto di abiura vennero condannati ad atroci torture (i 'cinque martirî') prima di essere decapitati. Uno di questi fu la condanna al rogo, che fu vana perché le fiamme, invece di bruciare i santi, si sparsero verso l'esterno bruciando gli stessi soldati. La scena ha un'impostazione simile all'analogo pannello della Pala di Annalena (anni 1430), con i santi al centro (Cosma, Damiano e i loro seguaci Antimo, Leonzio ed Eupreprio), inginocchiati al centro di un cerchio di fuoco che si sparge verso l'esterno uccidendo o mettendo in fuga i carnefici, mentre dall'alto di una tribuna rialzata assiste alla scena Lisia circondato dai propri dignitari. La scena della Pala di San Marco è di dimensioni maggiori e più elaborata. L'ambientazione è una piazza cittadina, che ricorda da vicino piazza della Signoria e l'antico 'Arengario' di Palazzo Vecchio. Notevole è l'animazione della scena con le linee diagonali che danno un senso di movimento alla scena. Questo pannello, come gli altri della predella, è caratterizzato da un vivace stile aneddotico e accattivante, che racconta efficacemente le storie. Il sistema di creazione spaziale sviluppato in questo periodo risulta più coerente e avanzato di quello di opere anteriori, con accorgimenti quali quello di dipingere sullo sfondo una superficie piatta e parallela al piano frontale, che fa da sfondo del proscenio, su cui risaltano le figure. Straordinaria è la luce, come in altri dipinti dell'Angelico, che unifica l'intera scena con toni tenui e cristallini e con un efficace modellato dei volumi tramite il chiaroscuro.
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### Titolo: Morte di Giulio Cesare. ### Introduzione: La Morte di Giulio Cesare è un dipinto a olio su tela (400x707 cm) del pittore neoclassico Vincenzo Camuccini, realizzato intorno al 1806 e conservato nel museo di Capodimonte a Napoli. ### Descrizione. Il pittore romano trasse ispirazione per questo quadro dalla lettura della Morte di Cesare di Plutarco e dall'omonima tragedia di Voltaire del 1733 che venne rappresentata a Roma nel 1798. Il momento raffigurato è quello in cui Giulio Cesare, alzatosi e sceso dal seggio della curia pompeiana per cercare di difendersi, si accorge della presenza di Bruto, suo figlio adottivo, che lo colpisce senza guardarlo in faccia. Sulla destra è collocato il gruppo di senatori, che osservano l'omicidio di Cesare increduli e terrorizzati. Mostrandosi assai sensibile all'influenza di Jacques-Louis David, Camuccini diede alla scena un'impostazione solenne e teatrale, con l'adozione di una rigorosa partizione geometrica dello spazio ottenuta per mezzo della conformazione a blocchi di marmo squadrati del pavimento. L'intera composizione si articola staticamente su semplici linee orizzontali e verticali, schema geometrico tipico della pittura neoclassica; i gradini a destra seguono l'andamento della direttrice orizzontale, mentre le linee verticali sono descritte dalle due sculture poste nelle nicchie del muro e dalla grande statua di Apollo che regge un globo terrestre in mano. Dal punto di vista cromatico la Morte di Giulio Cesare è composta da colori particolarmente caldi, come il rosso e il giallo, stesi sulla tela in modo preciso e senza sfumature.
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### Titolo: Vucciria (Guttuso). ### Introduzione: Vucciria è un dipinto di Renato Guttuso realizzato nel 1974. Viene considerato il suo dipinto più celebre. ### Descrizione. Il quadro, caratterizzato da realismo crudo e sanguigno come le carni esposte nel famoso omonimo mercato di Palermo, esprime una delle tante anime della città siciliana, ed è talmente forte il segno dell'artista insieme al senso del colore che sembra sprigionare il vocio e la cantilena quasi araba dei 'vanniaturi' del celebre mercato palermitano che dà il nome al quartiere ed emanare i profumi dei prodotti tipici, frutta e verdura, esposti sulle bancarelle, ingredienti saporosi per la cucina siciliana.
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### Titolo: Polittico del Giudizio universale. ### Introduzione: Il Polittico del Giudizio universale è un'opera di Rogier van der Weyden, olio su tavola (215×560 cm), databile al 1443-1451. È composto da nove pannelli, una parte mobili per chiudere la parte centrale, e conservato nell'Hôtel-Dieu di Beaune. ### Descrizione e stile. Si tratta di un'opera della maturità del grande maestro fiammingo, dipinta quando era pittore ufficiale della città di Bruxelles e un cittadino ricco e generoso, la cui fama oltrepassava i confini nazionali. La pala è un'opera grandiosa, la più grande di Rogier van der Weyden, con un notevole impegno nell'ideazione della struttura compositiva e nell'accurata esecuzione pittorica fin nei minimi dettagli, che ne fanno un'opera degna di gareggiare con Polittico dell'agnello mistico, capolavoro di Jan van Eyck. Per affrontare in maniera unitaria la spartizione in pannelli diversi, l'artista cercò di dare una forte unitarietà all'insieme, con molti elementi che proseguono tra uno scomparto e l'altro, come le fiamme o l'arcobaleno che simboleggia l'alleanza tra dio e gli uomini. Il polittico mostra nel pannello centrale il Cristo giudice, sotto il quale si trova l'arcangelo Michele che sta soppesando le anime dei buoni e dei cattivi via via che esse escono dai sepolcri (i quali occupano tutta la fascia inferiore) e vagano in attesa del giudizio. Accanto a Cristo, nei due pannelli superiori, volano angeli coi simboli della passione, mentre nei pannelli inferiori si trova una fila per lato di santi della corte celeste, tutti avvolti da una nube incandescente. Ai lati si trovano le evocazioni del Paradiso e dell'Inferno. Il primo è semplicemente evocato da un portale dorato dove un angelo accoglie le anime dei giusti. Il secondo è una grotta buia dove i dannati sono sprofondati. Secondo l'atteggiamento intellettuale del nascente umanesimo, van der Weyden non indugia sui dettagli macabri o sulla descrizione delle pene fisiche, ma sottolinea invece i moti interiori e i sentimenti dei personaggi. Alcuni particolari sono di crudo realismo, ma nell'insieme la visione infernale si distacca dalla scene sovraffollate e allucinate del tardo medioevo. Sul retro degli scomparti chiudibili si trovano un Angelo Annunciante e Vergine annunciata (registro superiore) e San Sebastiano e Sant'Antonio Abate (registro inferiore) dipinti a monocromo, come statue marmoree viventi.
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### Titolo: Ritratto di Fillide Melandroni. ### Introduzione: Il Ritratto di Fillide Melandroni (noto anche come Ritratto di cortigiana) era un dipinto di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. L'opera, di cui si sono perse le tracce, probabilmente andata distrutta a Berlino nel 1945, ritraeva Fillide Melandroni, una delle più note cortigiane attive a Roma a cavallo tra il XVI e il XVII secolo.Il ritratto di Fillide Melandroni è l'unico, tra i pur pochissimi ritratti riferiti al Caravaggio, per il quale non si sono mai posti i dubbi di autografia che invece caratterizzano il resto dell'esigua produzione ritrattistica oggi attribuita al Merisi. ### Descrizione e stile. Fillide è in posizione quasi frontale eccetto per il viso che è leggermente rivolto verso sinistra, anche se lo sguardo si dirige diritto verso gli occhi dell'osservatore. Gran cura è dedicata all'abbigliamento e agli accessori della cortigiana per tramandarne la raffinatezza dei gusti ma probabilmente anche per evidenziare il benessere da lei raggiunto grazie al successo nella sua professione. Vediamo così un corpetto finemente ricamato e trapunto d'oro indossato sopra una camicia candida, un grande bracciale al polso che par di pasta vitrea, arte tipicamente veneziana, forse un dono del veneziano Strozzi, e degli orecchini di perla con nastro nero. Riguardo ad essi, il già citato inventario testamentario dei beni di Fillide ne attesta il possesso di “due pendenti d'oro con due perle”. Si è autorevolmente proposto che si tratti degli stessi orecchini che si vedono nel quadro. Altri hanno ipotizzato che possa trattarsi di gioielli appartenuti al Caravaggio, individuabili nell'elenco dei beni pignorati al pittore nel 1605 a causa della sua morosità verso la locatrice della casa ove egli alloggiava. In tale elenco compare infatti anche un generico “paro di pendenti”.Elaboratissima è l'acconciatura della cortigiana con una gan massa di riccioli corvini accuratamente raccolti sul capo. Con un gesto delicato della bellissima mano Fillide porta un fiore bianco al suo seno, l'ombra dei cui petali si proietta sul busto di lei. La parte sinistra del volto e l'incavo del collo sono in leggera penombra. La figura si staglia su un fondo neutro che solo all'estrema destra della tela raccoglie un po' di luce: ̟qui vagamente si intuisce l'ombra delle spalle e della testa della donna. Un unico dettaglio individua la reale condizione della ritratta: dal collo di Fillide scende un velo giallo che si infila nel corpetto. È il velo giallo che le leggi pontificie (ma la stessa regola valeva anche in altri stati italiani) imponevano alle prostitute di indossare quale segno di riconoscimento.Molto si è discusso del fiore bianco tenuto in mano dalla donna: Voss, come detto, vi ha visto il mirto, per altri sarebbe un fiore d'arancio - identificazioni che entrambe suggerirebbero una forse poco appropriata allusione nuziale - mentre sembra più attinente all'occupazione di Fillide l'ulteriore ipotesi che si tratti di un fiore di gelsomino, simbolo (anche) dell'amore dei sensi.Già Hermann Voss colse la significativa influenza sul ritratto della Melandroni della ritrattistica di Scipione Pulzone, indicando in particolare come esempio un ritratto di dama del pittore gaetano (presunta Lucrezia Cenci) dal quale Caravaggio per la sua Fillide avrebbe ripreso diverse soluzioni pittoriche: la posizione della donna, la direzione dello sguardo, i giochi di luce ed ombra sul viso.All'Albertina di Vienna si conserva un disegno di Ottavio Leoni molto vicino alla perduta Fillide di Berlino che secondo alcuni sarebbe un altro ritratto della stessa cortigiana eseguito qualche anno dopo quello del Caravaggio.
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### Titolo: Narciso (Caravaggio). ### Introduzione: Narciso è un dipinto a olio su tela (112x92) per primo attribuito a Caravaggio dallo storico dell'arte Roberto Longhi, sebbene un dibattito ne abbia proposto l'attribuzione a pittori quali lo Spadarino, Orazio Gentileschi, Niccolò Tornioli e altri. Fu dipinto all'incirca tra il 1597 e il 1599. È conservato nella Galleria Nazionale d'Arte Antica presso Palazzo Barberini a Roma. La trasfigurazione di un episodio della mitologia in epoca moderna, e la spontaneità della postura e dell'espressione di Narciso, che sono sicuramente tematiche vicine all'opera del pittore, fanno propendere per l'autografia del dipinto. ### Descrizione e stile. Il formato verticale della tela concede a Caravaggio di dare vita a una figura quasi perfettamente doppia. Le braccia disposte ad arco di Narciso seguono l'andamento della tela, e dal suo profilo chino si suggerisce lo sguardo anelante e sofferente. Come segnalato da Rossella Vodret che riprende un'indicazione di Mario Docci, Caravaggio non dipinge un'immagine vista da un pittore fuori scena, bensì un'immagine che guarda sé stessa riflessa nello specchio d'acqua. Il soggetto del dipinto è Narciso (la fonte classica di riferimento è le Metamorfosi di Ovidio, Libro III, vv. 339-510, cui vanno aggiunti i diffusi volgarizzamenti rinascimentali e le mitografie di fine Cinquecento), ritratto mentre si specchia nell'acqua di una fonte (nelle Metamorfosi Ovidio parla di un luogo chiuso e molto ombroso da essere quasi buio) cercando un contatto fisico con il suo riflesso, di cui il fanciullo si è infatuato credendolo reale. In particolare, qui l'artista dipinge il momento che precede la scoperta dell'inganno: infatti, l'immagine che Narciso vedeva nella pozza d'acqua altro non era che la proiezione di sé stesso. Diverse interpretazioni sono state date: 'Allegoria della vista', come nell'interpretazione di Fagiolo dell'Arco, oppure come 'Allegoria della conoscenza di Dio attraverso la conoscenza di sé stessi', o anche 'Allegoria dei rapporti fra uomo e natura', proposta da Maurizio Marini. La particolarità della raffigurazione è quella 'a carta da gioco', in cui a un'immagine superiore ritta ne corrisponde una identica inferiore ma inversa; questo effetto di sdoppiamento a specchio è curato da Caravaggio in modo molto accurato, al punto che le pieghe delle maniche della camicia sono raffigurate nel loro esatto rovesciamento, come fossero viste da dentro il fonte verso l'esterno nella immagine reale del ragazzo. Nonostante tutti questi eccezionali aspetti compositivi e il fatto che da questa tela derivino, sembra, direttamente raffigurazioni analoghe del Domenichino a Palazzo Farnese nel 1604 (ancora vivo Caravaggio) e del Regno di Flora (1631) di Nicolas Poussin, l'attribuzione allo Spadarino è ancora molto resistente, anche dopo le considerevoli precisazioni di Rossella Voudret, che ha sottolineato come nel Narciso non sia dominante quella consistenza 'compatta e solida' che troviamo nello Spadarino, bensì vi sia un ben altro aspetto luminoso e vibrante.Il dipinto si fa collocare durante il soggiorno del pittore nel palazzo Madama abitato da Francesco Maria Del Monte, nel periodo (la datazione proposta è fra il 1597 e il 1599) in cui a fonti d'ispirazione tratte dalla vita quotidiana della Roma di fine Cinquecento, subentrano sempre di più allusioni tematiche legate alla mitologia classica, preludio alla raffigurazione di storia di poco posteriore. Da un punto di vista prettamente stilistico, il dipinto rimanda alla pittura lombarda, bresciana per la precisione.
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### Titolo: Caccia notturna (Paolo Uccello). ### Introduzione: Caccia notturna è un dipinto, tempera su tavola (65x165 cm), di Paolo Uccello, conservato nell'Ashmolean Museum di Oxford e databile al 1470 circa. ### Descrizione e stile. L'opera, una delle ultime attribuite all'artista, è una scena di caccia notturna in un'enorme foresta, popolata di numerosi cavalieri, servitori, cani da caccia e prede, soprattutto cervi. Il rigore spaziale di Paolo Uccello arriva a disporre con esattezza in prospettiva tutti gli elementi, dagli alberi e le figure, di diversa dimensione a seconda della lontananza, ai tronchi rotti in terra, che sono collocati sulle direttrici della maglia prospettica, come già era avvenuto per le lance nelle scene della Battaglia di San Romano. Nonostante ciò l'effetto generale è innaturale e onirico, per via dello schematismo delle figure, delle tinte piatte che fanno godere le silhouettes, le posizioni ripetute e innaturali, che ricordano le sequenze di un balletto. Il manto erboso è popolato da una moltitudine di specie vegetali, indagate con minuzia descrittiva, che richiamano gli stilemi del tardogotico al quale Paolo Uccello fu sempre sommessamente fedele, tanto che la sua figura può annoverarsi tra i protagonisti della mediazione tra arte rinascimentale e tradizione gotica. Vi è una tecnica raffinata nel realizzare alcune foglie degli alberi con lamine d'oro.
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### Titolo: Ritratto del buffone Gonella. ### Introduzione: Il Ritratto del Buffone Gonella è un dipinto su tavola (36x24 cm) attribuito a Jean Fouquet, databile al 1447-1450 e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. ### Descrizione e stile. Gonella è rappresentato con realismo, in un vicino primo piano del busto che taglia fuori alcuni dettagli della figura, come la parte superiore del berretto o le spalle. Il protagonista sembra comprimersi per entrare nel riquadro e sporgersi verso lo spettatore, stabilendo uno straordinario contatto psicologico. L'espressione, al tempo stesso arguta e malinconica con profonde rughe e la barba mal tagliata, rendono l'immagine estremamente vivida ed espressiva. Forse adombra la tristezza legata alla morte del personaggio. La posa a braccia incrociate, derivata dall'iconografia del Cristo sofferente, e il taglio ravvicinato sono elementi del tutto insoliti nella ritrattistica del primo Quattrocento. Forse il rango sociale del personaggio permise la grande libertà compositiva, svincolata dalle convenzioni della ritrattistica ufficiale degli aristocratici. L'esecuzione, molto raffinata e legata a un forte senso grafico, nel tempo ha generato numerosi conflitti di attribuzione: vari artisti sono stati proposti come possibili autori, da Jan van Eyck a Giovanni Bellini, mentre oggi l'ipotesi più accreditata attribuisce il dipinto a Jean Fouquet, anche per il preciso studio delle proporzioni che caratterizza l'opera del grande pittore francese.
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### Titolo: Madre del Perpetuo Soccorso. ### Introduzione: Madre del Perpetuo Soccorso (in latino Mater a Perpetuo Succursu) è uno dei titoli sotto cui viene invocata, essenzialmente in ambito cattolico, Maria, madre di Gesù. L'origine di tale titolo è legata a un'icona greca di scuola cretese già conservata nella chiesa agostiniana di San Matteo in Merulana; l'immagine fu poi trasferita in quella di Sant'Alfonso all'Esquilino a Roma, retta dai religiosi della Congregazione del Santissimo Redentore, ai quali papa Pio IX assegnò l'incarico di promuoverne il culto. ### Descrizione. L'icona della Madre del Perpetuo Soccorso è dipinta su una tavola di legno di 54 x 41.5 cm. L'esatta paternità della tavola è ignota, ma è attribuita all'iconografo cretese Andrea Rizo da Candia, autore di immagini simili conservate a Fiesole, Bari, Parma, Patmo, Retimo. Secondo alcuni testi l'icona proverrebbe dal santuario della Kardiotissas a Lasithi, presso Candia.L'icona è del tipo della Madre di Dio della Passione (Amolyntos): tale soggetto iconografico è rintracciabile in area greco-cretese sin dall'XII secolo e in Serbia e in Russia dal Trecento. Il tema iconografico sottolinea la partecipazione della Vergine alla passione di Gesù.Maria è raffigurata a mezza figura, su fondo oro, mentre porta nel braccio sinistro il Bambino e gli porge la mano destra. La Vergine ha il capo coperto da un velo blu all'esterno e verde all'interno, con una stella sulla fronte; il suo abito è rosso. Ai lati del capo si leggono le lettere greche MP-ΘΥ (Μήτηρ Θεοῦ, Madre di Dio).A destra della testa di Maria è raffigurato, a mezza figura, l'arcangelo Michele (identificabile dalla sigla ὉἈρΜ, ovvero Ὁ Ἀρχάγγελος Μιχαήλ) che sostiene un vaso dal quale emergono la lancia e la canna con la spugna; similmente, a sinistra della capo della Vergine, è rappresentato l'arcangelo Gabriele (ὉἈρΓ, ovvero Ὁ Ἀρχάγγελος Γαβριήλ) che mostra al Bambino la croce e i chiodi.Il bambino Gesù, identificabile dalle lettere greche sulla sua spalla IC-XC (Ἰησοῦς Χριστός), guarda la croce presentatagli da Gabriele e stringe la destra della madre con entrambe le manine, quasi a chiederle soccorso. Veste un abito verde e un manto giallo scuro; a sottolineare lo sgomento del bambino, il suo sandalo destro è raffigurato slacciato, mentre gli pende dal piede.
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### Titolo: Golconda (Magritte). ### Introduzione: Golconda (in francese Golconde) è un dipinto di René Magritte, eseguito nel 1953 e conservato nella Menil Collection di Houston. Il nome dell'opera, suggeritagli da Louis Scutenaire, fa riferimento all'omonima città indiana Golconda. Per la presenza di enormi giacimenti di diamanti, questo luogo divenne in passato sinonimo di incredibile ricchezza presso gli europei, per poi essere ridotto in una condizione di totale abbandono. ### Descrizione. Certamente una delle tele più famose del pittore belga, raffigura una serie di uomini sospesi a mezz'aria e vestiti in maniera assolutamente identica (vestito nero, cravatta nera, scarpe nere, ombrello e bombetta). Si differenziano nei volti e nella direzione del loro sguardo, hanno dimensioni diverse in base alla loro distanza dall'osservatore, quelli sullo stesso piano sono perfettamente equidistanti e nel complesso non si sa se stiano cadendo dal cielo o levitando verso l'alto. La composizione si staglia su uno sfondo azzurro quasi bidimensionale, mentre nella parte bassa è possibile vedere delle tipiche case belghe. Queste ci danno un suggerimento sulla posizione dell'osservatore: essendo visibile solamente la sommità delle abitazioni, è possibile che anche chi osserva il dipinto sia sospeso a mezz'aria come i curiosi personaggi, identificandosi addirittura come uno di essi.In definitiva, la tela genera un senso di positività derivato dalla geometria degli elementi insieme ad una sensazione di angoscia a causa della presenza di una moltitudine di figure indistinguibili, anonime, senza alcun tipo di individualità riconoscibile: qualcuno ha visto in questa rappresentazione una critica all'omologazione, alla standardizzazione, alla meccanicità della routine, mettendo in luce il rapporto tra uomo e lavoro che sopprime le peculiarità di ogni individuo in nome del progresso economico. Per Magritte un quadro doveva liberarsi dal senso di realtà tipico dell'immaginario borghese, ma fornirne piuttosto una visione critica, mostrando attraverso opere surrealistiche ciò che nessuno era in grado di vedere. Egli non ha mai fornito una interpretazione univoca di Golconda lasciando dunque allo spettatore la libertà di farsene una propria. Magritte spiega nell'articolo Les mots et les images ('Le parole e le immagini'), pubblicato nel dicembre 1929 sul numero 12 della rivista La révolution surréaliste, che «un oggetto non possiede il suo nome al punto che non si possa trovargliene un altro che gli si adatti meglio».
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### Titolo: L'isola dei morti (Böcklin). ### Introduzione: L'isola dei morti (Die Toteninsel) è il nome di cinque dipinti del pittore svizzero Arnold Böcklin, realizzati tra il 1880 e il 1886 e conservati a Basilea, New York, Berlino e Lipsia. ### Descrizione e simbolismo. Al centro della composizione, si trova l'emergenza rocciosa che dà il nome della composizione: l'Isola dei Morti, per l'appunto. La superficie di questo massiccio calcareo è movimentata da pareti megalitiche scoscese, leoni di pietra, bianche strutture templari e misteriose camere sepolcrali: alla naturale orizzontalità delle rocce, che si aprono a semicerchio davanti allo sguardo dell'osservatore, si oppongono tali manufatti, i quali sono slanciati da una verticalità che viene ripresa nel fitto bosco di cipressi. I cipressi sono alberi tradizionalmente associati con i cimiteri e il lutto: Böcklin accoglie quest'interpretazione simbolica e, raccogliendoli in un impianto volumetrico solido e compatto, li dipinge lugubri, soverchianti, tingendoli di un verde scuro che non fa che aumentare l'atmosfera rarefatta e silente. L'impressione complessiva è quella di uno spettacolo di desolazione immerso in un'atmosfera misteriosa e ipnotica. Anche lo specchio d'acqua che circonda l'isola è livido e, soprattutto, innaturalmente immobile, a tal punto da sembrare quasi una lastra tombale. Su quest'acqua rigida e scura scivola silenziosamente una piccola imbarcazione, la quale con vigorosi e placidi remeggi si avvicina sempre più all'approdo dell'isola dei Morti, unico modo per accedervi. A poppa vi è il conducente, chiara evocazione del Caronte di dantesca memoria, mentre a prua si trova una misteriosa figura ammantata completamente di bianco (forse un'anima) e un feretro ornato di festoni. Si comprende che l'isola dei morti probabilmente non è nient'altro che «un cimitero mistico, nascosto all'uomo comune, fatto per ospitare le spoglie di persone eccezionali e costruito come una casa ultraterrena» (Pimpinella), con la navicella che remando allude evidentemente a una discesa nel regno dell'aldilà. O, ancora, potrebbe trattarsi di «una sorta di palcoscenico dell’inconscio, un anfiteatro naturale in grado di mostrare l’identità oscura della morte e dell’individuo» che soggioga l'osservatore «sospira[ndo] una verità che non si può dire ad alta voce» (Tombetti). Le interpretazioni che sono state fornite del quadro sono numerose. È impossibile fornire una sicura perimetrazione esegetica del dipinto, siccome lo stesso Böcklin intendeva dar vita ad un «quadro per sognare» in grado di evocare stati d'animo diversi in funzione della visione della vita e della morte dell'osservatore coinvolto, che in questo modo può decifrare gli enigmatici contenuti ivi proposti nel segno di una completa autonomia interpretativa. Böcklin, in questo modo, dimostra di aver condotto il suo orientamento simbolista a piena maturazione. Rendere visibile l'invisibile con immagini criptiche, sconvolgenti e rivelatrici: era questo l'obiettivo del Simbolismo, corrente alla cui formulazione letteraria aveva provveduto Stéphane Mallarmé, asserendo che «nominare un oggetto è sopprimere tre quarti del godimento della poesia, che è costituita dalla felicità di indovinare poco a poco: suggerire, ecco il sogno. È l'uso perfetto di questo mistero che costituisce il simbolo». Böcklin con quest'opera sembra quasi voler dare vita artistica ai suggerimenti di Mallarmé: L'isola dei morti, infatti, è un'opera in sé realistica, ma che in realtà cela un fitto tessuto di simboli evocatori ed allusivi. Ben pochi si sono astenuti dal proporre la propria personale interpretazione del dipinto: lo stesso Böcklin ribadì di aver dato vita ad «un'immagine onirica» che «deve produrre un tale silenzio che il bussare alla porta dovrebbe fare paura». Sigmund Freud, invece, vi intravide una chiara proiezione figurativa dei desideri latenti che il Böcklin vorrebbe sopprimere dal proprio sistema conscio: «L'artista sa trovare la strada di ritorno dal mondo della fantasia alla realtà. Le sue creazioni, le opere d’arte, sono soddisfazioni fantastiche di desideri inconsci, come i sogni». Molti hanno persino avanzato tentativi di interpretazione sulla base di dati biografici relativi al pittore, che fu funestato dalla morte di sei suoi figli. Se i critici concordano sul fatto che il significato vero dell'opera è in realtà un impulso del tutto soggettivo scaturente dall'inconscio del singolo osservatore, continuano invece a imperversare i dibattiti in merito al luogo che potrebbe aver ispirato Böcklin nella raffigurazione dell'isolotto roccioso al centro del dipinto. Secondo alcuni come modello per il paesaggio Böcklin si è ispirato al Cimitero degli Inglesi di Firenze, o magari a Pontikonissi, una piccola isola nei pressi di Corfù adornata da una cappella in mezzo a un boschetto di cipressi; secondo altri Capri e i suoi faraglioni, o il castello aragonese di Ischia; altri critici, invece, sostengono che sia ispirata alla sagoma a mezzaluna dell'isola di Ponza. Secondo il critico d'arte Hans Holenweg, infine, il luogo naturale più simile a quello del quadro sarebbe l'isola di San Giorgio, una piccola isola nelle Bocche di Cattaro, insenatura sulla costa dalmata dell'Adriatico, con un'abbazia e un piccolo cimitero le cui mura ricordano le pareti rocciose del dipinto, e la presenza di cipressi. Successivamente lo stesso Holenweg attribuì all'isola d'Ischia la sede dove il quadro era stato pensato (Convegno 'Isole del Pensiero' Fiesole Palazzo Comunale dal 16 al 19 giugno 2011) ed Ischia è indicata nel Catalogo della pittura del XIX secolo pubblicato dalla Galleria Nazionale di Berlino dove è esposta una versione dell'opera.
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### Titolo: Sogno di Costantino. ### Introduzione: Il Sogno di Costantino è un affresco di Piero della Francesca e aiuti, facente parte delle Storie della Vera Croce nella cappella maggiore della basilica di San Francesco ad Arezzo, databile al 1458-1466. L'affresco fu probabilmente dipinto nella seconda parte dei lavori, dopo i contatti con la cultura fiamminga e Roma, dalla quale Piero sviluppò un ancora più forte senso della luce. Il sogno di Costantino è una delle più convincenti scene notturne dipinte fino ad allora nell'arte europea e rimase pressoché insuperato, in quanto a effetti drammatici, fino all'epoca di Caravaggio. ### Descrizione e stile. Rispetto alle scene precedenti (il Sollevamento della Croce per la sepoltura, ambientata ai tempi di Salomone, e l'Annunciazione) è stato fatto un notevole salto temporale in avanti. La profezia della Regina di Saba si è infatti nel frattempo avverata, Gesù è stato crocifisso sul legno da lei indicato, il regno dei Giudei è stato dissolto e Gerusalemme distrutta. Si arriva così al IV secolo, quando l'imperatore romano Costantino sta per scontrarsi nella battaglia decisiva contro il suo rivale Massenzio. Ecco che di notte, nel suo accampamento, un angelo gli porta in sogno la rivelazione della Croce (In hoc signo vinces), con la quale sconfiggerà l'avversario (scena successiva della Battaglia di Ponte Milvio); in seguito all'evento prodigioso, secondo la tradizione, Costantino poi concesse la libertà di culto ai cristiani (editto di Milano, 313) ed i suoi successori avrebbero poi fatto del Cristianesimo la religione di Stato (editto di Tessalonica, 380). La scena è ambientata alle prime luci dell'alba nell'accampamento romano, con la tenda di Costantino in primo piano, protetta da due guardie. Essa è aperta e ci lascia vedere l'imperatore addormentato, mentre un valletto, il cubiculario, veglia sul suo sonno, seduto ed appoggiato al letto. Il suo legame con l'imperatore è sottolineato dai colori alternati della sua veste (bianco/rosso) che sono gli stessi del lenzuolo e delle coperte del letto imperiale. Il ruolo di questa figura oggi si è perso, ma era importante in epoca romana e medievale: i nobili avevano sempre uno schiavo o un servo che vegliava di notte, pronto ad accorrere in caso di bisogno. Piero della Francesca attua con lui uno stratagemma compositivo: egli, guardando verso lo spettatore, richiama la sua attenzione (figura del 'festaiuolo', come veniva chiamata allora), per poi direzionarne lo sguardo, tramite le linee di forza dei suoi arti, verso la lancia della guardia in penombra, la quale indica a sua volta l'angelo. L'angelo, che appare di spalle con una suggestiva illuminazione in controluce, reca in mano una piccola croce, simbolo della Vera Croce, che fa cenno di porgere all'imperatore addormentato. A fianco di Costantino il soldato tende la mazza verso il braccio dell'uomo vestito di bianco, chiudendo così la composizione in un circolo continuo. Vera protagonista della scena è la luce, che sembra emanare dalla croce stessa, accendendo la tenda e il giaciglio imperiale, lasciando invece in ombra i soldati e lo sfondo. Si tratta di una luce 'mistica', come si trova in altre opere di Piero (quali la Flagellazione): si tratta infatti di un passaggio tra l''ombra' del paganesimo e la 'luce' della ragione cristiana, che trasfigura l'apparizione come un evento essenzialmente luminoso. La scena ha come pendant l'Annunciazione che si trova a sinistra della finestra: in entrambi i casi si trova infatti un messo divino che porta un messaggio che decide le sorti dei protagonisti e dell'umanità intera. In occasione di un recente restauro nel cielo sono emerse delle costellazioni, che costituiscono una mappa celeste, che ricrea, in maniera speculare e con qualche approssimazione, la situazione astrale nell'anniversario della data del sogno. La tecnica di realizzazione era un affresco.
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### Titolo: Ritratto di Sigismondo di Lussemburgo. ### Introduzione: Il Ritratto di Sigismondo di Lussemburgo è un dipinto, tempera su pergamena applicata su tavola (58,5x42 cm), attribuito a Pisanello, databile al 1432-1433 circa e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. ### Descrizione. La figura dell'imperatore è ritagliata attorno al volto, con solo una parte del busto. Gli occhi sono scuri, piccoli e a mandorla, gli zigomi alti, la barba lunga e bianca, la bocca dischiusa, che mostra i denti. Il vestito è sontuosamente damascato, mentre la berretta è foderata di pelliccia, tipica dei climi freddi del nordeuropa, con un gioiello appuntato sulla sommità. Pisanello si concentrò sugli aspetti esteriori del ritratto, profondendo grande accuratezza nella resa della morbidezza della pelliccia (ottenuta con pennellate sottilissime), della barba, dei capelli, del disegno del vestito. L'effetto è quello di un ritratto tutto sommato fiabesco e idealizzato, dove manca quell'attenzione alla psicologia e ai risvolti umani tipica della successiva ritrattistica rinascimentale.
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### Titolo: Incubo (Füssli). ### Introduzione: Incubo o L'incubo (The Nightmare) è un dipinto a olio su tela (1,02 m x 1,27 m) di Johann Heinrich Füssli, realizzato nel 1781 e conservato al Detroit Institute of Arts, negli Stati Uniti d'America. L'artista ha realizzato diverse versioni di quest'opera, con varie tonalità di colore e di luci, basandosi però su un modello ben preciso: l'introduzione nel quadro di una giovane donna addormentata con sopra un mostro rivolto verso lo spettatore ed il volto di una cavalla (la giumenta) affacciato dalla tenda dello sfondo. ### Descrizione. L'incubo offre simultaneamente una visione sia soggettiva che oggettiva del soggetto dipinto, raffigurando sì una donna che sogna (il soggetto) ma anche il sogno stesso (l'oggetto). La scena è ambientata in una stanza da letto in penombra, brulicante di oggetti, tra i quali vi sono un libro, una fiala ed uno specchio poggiati su un tavolo. In primo piano è collocata una giovane fanciulla dormiente, abbandonata sul suo letto, in una posa scomposta e innaturale che sottolinea il suo travaglio interiore: il volto appare sofferente, le braccia e la testa abbandonate alla forza di gravità, la carnagione è pallida, e magari trae in inganno chi lo guarda a pensare che sia morta e non semplicemente addormentata. L'inverosimile posizione in cui è riversa, supina, si pensava addirittura che stimolasse gli incubi. I colori chiari e brillanti che caratterizzano la figura femminile sono in netto contrasto con i rossi, gialli ed ocra dello sfondo; qui, inoltre, Füssli mostra un sapiente utilizzo del chiaroscuro, con il quale dà vita ad una serie di contrasti molto forti tra ombra e luce. L'interno raffigurato è à la page e contemporaneo al pittore, con tanto di drappeggi di velluto cremisi dietro al letto che si aprono come un sipario, lasciando emergere la portatrice dell'incubo: si tratta di un'inquietante cavalla spettrale, con gli occhi orbi, vuoti e vacui. Molto probabilmente la tela fu ispirata da esperienze di sogni ad occhi aperti sperimentate sia da Füssli che da suoi contemporanei: anch'esse erano correlate al folklore del tempo e ad alcune fiabe appartenenti alla mitologia germanica che raccontavano di demoni e streghe che soggiogavano chi osasse dormire da solo. In queste fiabe gli uomini ricevevano la visita di vecchie cavalle e megere, mentre le donne sembra che avessero, in tali incubi, rapporti sessuali col diavolo stesso. La presenza della cavalla spettrale, infatti, è giustificata dall'etimologia della parola inglese nightmare (che significa incubo), formata dall'unione di night (notte) e mare (cavallina); ma vi è un'altra teoria, altrettanto accreditata, secondo cui mare non si riferisce all'equino bensì deriva da mara, un termine desunto dalla mitologia scandinava che si riferiva ad uno spirito mandato a tormentare i dormienti. Significati come questi della parola «nightmare» sono associati anche a sensazioni sperimentabili dalla persona addormentata, quali senso di pesantezza sul torace, paralisi nel sonno, dispnea e terrore. Queste emozioni si materializzano nel dipinto nel mostro accovacciato sulla ragazza, personificazione dell'incubo. Questa creatura ibrida e grottesca assume vero peso fisico, facendo pressione e comprimendo il torace della fanciulla; il suo ghigno, le orecchie appuntite, la gobba e la folta peluria lo accomunano ai goblin, alle misteriose creature delle tradizioni nordiche e ai gargoyle delle cattedrali gotiche. Le visioni oniriche, fantastiche e surreali erano una costante iconografica della produzione grafica di Füssli; ciò malgrado, L'incubo guadagna una posizione prominente in tal senso essendo scevro di significati religiosi o politici (a venti anni l'artista, prima di diventare tale, fu infatti ordinato ministro zwingliano). Delle varie tele füssliane ritraenti sogni e persone dormienti si possono ricordare il Sogno del pastore (1793), tratto dal Paradiso perduto di Milton, e Riccardo III e gli spettri (1798), esplicitamente desunto dalla materia shakesperiana. Füssli era dotato, inoltre, di una solida conoscenza della storia dell'arte: la sua vasta cultura figurativa ha permesso alla critica di individuare diverse possibili fonti d'ispirazione. Il critico Nicholas Powell ha proposto che la posa della fanciulla possa derivare dall'Arianna addormentata esposta al Vaticano, mentre la posa dell'Incubo da alcune figure rinvenute a Selinunte, in Sicilia. Altro modello proposto è quello del Sogno di Ecuba, una decorazione eseguita da Giulio Romano per il Palazzo Te, a Mantova. Pare, inoltre, che la figura della cavalla sia stata un ripensamento, non essendo presente nel bozzetto in possesso del biografo di Füssli: la sua inclusione, oltre a rappresentare una concettualizzazione simbolica dell'incubo (mediante il gioco di parole portato avanti dalla parola inglese nightmare, già accennato), contribuisce anche ad accentuare sensibilmente il tono gotico dell'opera. ### Stile. Lo schema della composizione è piramidale, con il vertice rappresentato dall'incontro delle tende al di sopra della cavalla, accompagnato da un gioco di curve che si corrispondono: alla gobba del mostro, al braccio della ragazza e al collo della giumenta si contrappongono le gambe della fanciulla, creando un effetto di dinamismo. Le figure emanano una luce che non è naturale, e che può addirittura tingersi di azzurro (il lembo inferiore del lenzuolo).Questo quadro - così come, generalmente, l'intera arte di Füssli - è permeato di istanze neoclassiche e di fermenti preromantici. Al viso della fanciulla (chiaramente ispirato alla statuaria classica) ed alle forme pure ed essenziali si contrappongono infatti il dinamismo della composizione, che si struttura su linee curve e serpeggianti, e l'espressività del colore; l'artista è a conoscenza di questo dualismo e se ne rende complice, declinandolo in chiave espressiva.La tabella di seguito si propone di riassumere gli elementi neoclassici e romantici presenti nell'opera:.
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### Titolo: Affreschi della cappella di San Giacomo. ### Introduzione: La decorazione della cappella di San Giacomo nella basilica di Sant'Antonio a Padova venne realizzata tra il 1376 e il 1379 da Altichiero e Jacopo Avanzi, su commissione di Bonifacio Lupi. Gli affreschi corrono lungo due fasce, una superiore, costituita dalle lunette tra le vele della copertura, e una inferiore sulle tre pareti. Il tema principale sono le storie della vita del Santo come le racconta Jacopo da Varagine nella Legenda aurea; due sono le eccezioni: la prima, l'episodio del sogni di re Ramiro e la battaglia di Clavijo, che trae spunto dalla tradizione spagnola, la seconda è la Crocifissione, elemento centrale e predominante della decorazione. Nel 1999 la cappella venne restaurata: si pulirono gli affreschi e vennero rimosse le aggiunte non originali. Alcuni tratti degli affreschi risultano gravemente danneggiati, altri hanno perso le rifiniture a secco che portavano dettagli essenziali; in altri punti è venuta a mancare la lamina d'argento, di cui resta solo la preparazione bruna. ### Descrizione.
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### Titolo: Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo. ### Introduzione: Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo è un ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti, conservato nel Palazzo Pubblico di Siena e databile al 1338-1339. Gli affreschi, che dovevano ispirare l'operato dei governatori cittadini che si riunivano in queste sale, sono composti da sei scene disposte lungo tutto il registro superiore di tre pareti di una stanza rettangolare, detta Sala del Consiglio dei Nove, o della Pace. ### Descrizione. Gli affreschi hanno un chiaro effetto didascalico, confrontando l'allegoria del Buon Governo (sulla parete di fondo) con quella del Cattivo Governo (sulla parete laterale sinistra), entrambe popolate da personaggi allegorici facilmente identificabili grazie alle didascalie. A queste seguono due paesaggi di una medesima città (Siena), con gli effetti del Buon Governo dove i cittadini vivono nell'ordine e nell'armonia (sulla parete laterale destra), e gli effetti del Cattivo Governo dove si vede una città in rovina (sulla parete laterale sinistra). Il ciclo è una delle prime opere di carattere totalmente laico nella storia dell'arte medievale. Gli affreschi dovevano ispirare l'operato dei governatori cittadini, che si riunivano in queste sale. Il risultato appare infatti denso di riferimenti storici artistici e letterari e nasce da un progetto molto ambizioso con toni polemici e perentori nei contenuti, che intendeva coinvolgere il pubblico in riflessioni che investivano direttamente il coevo contesto sociopolitico.Nella storia dell'arte italiana è la prima opera di contenuto non più solo religioso ma politico e filosofico. L'assunto dottrinale si rifà al pensiero di san Tommaso d'Aquino in quanto riflette la gerarchia dei princìpi e dei fatti, delle cause e degli effetti ed anche poiché pone come motivi fondamentali dell'ordine politico l’autorità (nelle allegorie) e la socialità (negli effetti), insistendo in particolare sul concetto aristotelico della naturalità della socievolezza umana. ### Stile. Nel dipingere le scene Ambrogio ricorse a stratagemmi fini, per esempio nel Buon Governo la prospettiva e la luce sono costruite in modo da mostrare serenamente la città fino in profondità. La composizione è paratattica, idealizzata e complessa. La prospettiva si manifesta grazie a più punti di vista, attraverso i quali si esprime la profondità. Non c'è una fonte di luce ben definita che fornisce l'illuminazione al paesaggio. Per quanto riguarda il colore, vengono utilizzate varie sfumature, più accese per la città rispetto a quelle utilizzate per la campagna, dove prevalgono il giallo e il verde. Il colore è steso in modo omogeneo. La scura città del Cattivo Governo dà subito una sensazione di disarmonia, con tetri edifici che bloccano la visuale. Influenzato dalla prima formazione avvenuta a Siena, Ambrogio tuttavia si discostò dai caratteri dominanti di tale arte tanto che è difficile ritenerlo un esponente tipico della pittura senese del Trecento. Nell'affresco viene rappresentato il paesaggio rurale ed urbano che, per la prima volta nella storia della pittura gotica italiana, diventa soggetto principale; in passato veniva ignorato a favore del fondo oro o utilizzato semplicemente come sfondo di una narrazione. Nella rappresentazione il pittore, pur prendendo la realtà come modello, la trasforma idealizzandola con particolare cura del dettaglio. Tuttavia questa rappresentazione non era fine a se stessa (volontà di portare una testimonianza di un paesaggio) ma fa parte di un preciso messaggio politico, veicolato dal paesaggio: la campagna qui illustra allegoricamente un concetto (di effetto di un regime politico), e non un semplice paesaggio.
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### Titolo: Sisto IV nomina il Platina prefetto della biblioteca Vaticana. ### Introduzione: Sisto IV nomina il Platina prefetto della biblioteca Vaticana è un affresco staccato (370x315 cm) di Melozzo da Forlì del 1477 e oggi conservato nella Pinacoteca Vaticana. ### Descrizione. La scena, scorciata per una vista dal basso, mostra un gruppo di personaggi inseriti in una sfarzosa architettura classica di arcate sostenute da pilastri al di sotto di un soffitto a cassettoni dorati. A destra si trova il papa assiso su un seggio ligneo, con davanti inginocchiato il Platina, che, nel ricevere l'investitura, punta l'indice in basso verso un'iscrizione da lui stesso composta che esalta alcune imprese edili di Sisto IV, quali la ristrutturazione dell'Ospedale di Santo Spirito, dell'acquedotto di Trevi (o dell'Acqua Vergine), la costruzione o il restauro di alcuni ponti tra cui Ponte Sisto, l'inizio dei lavori del porto di Civitavecchia. Tali imprese tuttavia, secondo l'iscrizione, sono secondarie se confrontate con l'inaugurazione della nuova sede della Biblioteca Vaticana. Questo il testo latino dell'iscrizione del Platina:. Gli altri personaggi sono i familiari di Sisto IV, grande nepotista: i due cardinali Giuliano della Rovere, in piedi al centro, e Pietro Riario, di fianco al papa, e i due nipoti laici Giovanni della Rovere (fratello di Giuliano e mecenate del Platina) e Girolamo Riario (fratello di Pietro e protettore di Melozzo da Forlì) nella parte sinistra. L'identificazione del ritratto del cardinale posto accanto al trono del Pontefice ha generato molteplici discussioni: per molto tempo si era soliti riconoscere Raffaele Riario, un altro nipote di papa Sisto, celebre per essere stato il committente del palazzo della Cancelleria in Roma (uno dei più importanti palazzi romani del Quattrocento), ma oggi, grazie a una più ragionata ricerca archivistica, si può affermare che esso sia Pietro Riario, il cardinale titolario di San Sisto che fu collaboratore e legato papale nelle missioni diplomatiche dello Stato Pontificio all'estero; egli senza dubbio fu uno dei personaggi di spicco nella Roma sistina, celebre nella città soprattutto per la sua erudizione, le sue feste grandiose e i suoi banchetti. ### Stile. La scena è esemplificativa della cultura umanistica della capitale dello Stato pontificio, con la sfarzosa architettura rinascimentale che corrisponde solo idealmente a quella dei palazzi Vaticani, facendone semmai da modello ideale per sfarzo e rigore classico. L'affresco testimonia anche l'uso scaltro dello scorcio prospettico di Melozzo, che in seguito venne ulteriormente sviluppato in senso virtuoso, arrivando alle prime rappresentazioni 'da sott'in su', fondamentali per la cultura figurativa che passa da Correggio e arriva all'arte barocca. Le figure sono monumentali e si integrano illusionisticamente con lo sfondo. La luce chiara che intride i colori e schiarisce le ombre, assieme ai volumi solenni, derivano dai modelli di Piero della Francesca, addolciti però da una maggiore naturalezza, soprattutto nei ritratti, che fu tipica del pittore forlivese.
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### Titolo: Libreria Piccolomini. ### Introduzione: La Libreria Piccolomini è un ambiente monumentale della cattedrale di Siena. Situata lungo la navata sinistra, prima del transetto, fu fatta costruire nel 1492 dall'arcivescovo di Siena, cardinale Francesco Piccolomini Todeschini (poi papa Pio III) per custodire il ricchissimo patrimonio librario raccolto dallo zio papa Pio II. Tra il 1502 e il 1507 circa venne completamente affrescata da Pinturicchio e aiuti, tra cui erano presenti il bolognese Amico Aspertini e il giovane Raffaello Sanzio. ### Descrizione e stile. La Libreria si affaccia sulla navata tramite un ricco portale marmoreo del Marrina, composto da due arcate con decorazioni a bassorilievo (1497). Nell'arco a destra un piccolo altare con San Giovanni evangelista a bassorilievo è opera di Giovanni di Stefano, come anche la Pietà lignea sotto la mensa dell'altare. L'ingresso alla libreria si trova nell'arco sinistro, attraverso due valve bronzee di Antonio Ormanni del 1497. Sopra il portale si trova l'affresco dell'Incoronazione di Pio III, pure di Pinturicchio (1503-1508). Si tratta di un'aula a pianta rettangolare, coperta da volta unghiata a padiglione e illuminata da due alte monofore. La solenne architettura è corredata da arredi di prima qualità: armadi lignei per i codici, intagliati dai celebri Barili; pavimento in mattonelle di maiolica triangolari con i crescenti dei Piccolomini (rifatto nel XIX secolo); un'edicola in stucco con la Cacciata dal Paradiso Terrestre sopra il portale d'ingresso, derivata dal rilievo di Jacopo della Quercia nella Fonte Gaia e forse del Marrina o di un anonimo scultore dell'epoca. Inoltre il cardinale mise a disposizione, dal palazzo romano della famiglia, il celebre marmo antico delle Tre Grazie, per il quale fu scolpita una base da Giovanni di Stefano. Si tratta di una copia romana del III secolo da un originale greco, forse pittorico, riferibile all'età ellenistica. Sebbene i libri di Pio II non giunsero mai a Siena, oggi sono esposti una serie di corali e antifonari miniati soprattutto da Liberale da Verona e Girolamo da Cremona (anni sessanta e settanta del XV secolo), ma anche di Sano di Pietro, Pellegrino di Mariano, Guidoccio Cozzarelli, di proprietà del Capitolo della cattedrale e dell'ospedale di Santa Maria della Scala. Le Storie di Pio II segnarono l'apoteosi dello stile narrativo quattrocentesco, nella versione più signorile, pervasa da suggestioni fiamminghe. L'effetto è quello di un ordine razionale e stabile, fatto di certezze, che rispecchiava ancora quel modo di pensare che sarebbe stato messo in crisi dalla drammatica calata dei Lanzichenecchi. Il risultato fu grandioso, ma già sopraffatto, al momento del compimento, dall'incalzare di nuovi rinnovamenti nell'arte, che seppure lontani sarebbero presto divenuti dirompenti e irreversibili. Basti pensare che nel 1507 Raffaello creava la Deposizione Borghese e Michelangelo si apprestava a firmare il contratto per la volta della Cappella Sistina.
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### Titolo: Ritratto del cardinale Niccolò Albergati. ### Introduzione: Ritratto del cardinale Niccolò Albergati è un dipinto olio su tavola (34×27,5 cm) di Jan van Eyck, databile al 1431 circa e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. ### Descrizione e stile. Il prelato è ritratto di tre quarti, come consueto nella pittura fiamminga fin dagli anni trenta del XV secolo, su uno sfondo scuro che esalta al massimo l'effigie, posta invece in piena luce. Il contrasto luminoso è attenuato da una luce diffusa, che rischiara l'anziano cardinale i cui tratti sembrano suggerire un certo affaticamento psicologico. Nonostante i segni dell'età però l'anziano sembra emanare una calma bonaria, che sembra saper affrontare con solenne tranquillità gli affanni della sua esistenza. Come consueto nella opere di van Eyck una straordinaria attenzione è riservata ai dettagli, grazie alla particolare tecnica da lui affinata delle velature a strati successivi di colori macinati con legante a olio, che permetteva effetti di straordinaria trasparenza e lucidità. Ciò si riscontra benissimo nella resa analitica delle rughe, nella finezza con cui sono trattati i capelli, nella resa materica della morbidezza della pesante stoffa del mantello e della pelliccia delle bordature. Il confronto tra schizzo e quadro suggerisce che il pittore abbia sottilmente modificato l'immagine del prelato sottoponendo l'immagine ritratta nello schizzo, più fresca e verosimigliante, ad un'opera di revisione morale, impartendo al viso del prelato, sereno e non particolarmente imponente nello schizzo, un'aria di pensosa autorità. Un'analisi delle dimensioni relative delle diverse parti del viso del prelato dimostra che Jan van Eyck ha modificato le proporzioni della figura: le spalle del cardinale siano più ampie rispetto alla testa e che l'apertura delle maniche è più distante dalla linea delle spalle, dando l'impressione di una persona più alta che nel disegno preparatorio. Per quanto il quadro sembri nel complesso più allungato del disegno originale, la semplice ipotesi di una deformazione derivante dall'uso di lenti per ingrandire l'immagine, non spiega adeguatamente le dimensioni dell'orecchio: esso infatti è stato significativamente aumentato in dimensione per suscitare la sensazione di vetustà (infatti le orecchie ed il naso delle persone continuano a crescere per tutta la vita e le persone anziane hanno naso e orecchie più grandi), vetustà che manca nello schizzo preparatorio, caratterizzato da un orecchio piccolo, quasi infantile appunto ove pur non manca la vecchiezza della pelle. Il naso è stato alleggerito nella tonalità e nella curva inferiore, impartendogli nobiltà ed autorità al posto di una certa mondanità. La bocca è stata atteggiata con labbra serrate, che comunicano pensosità, cancellando la pacifica espressione raccolta dallo schizzo, e l'occhio di sinistra è stato corretto per rafforzare l'estressione pensosa. Il taglio di capelli è stato alleggerito e reso più austero. Nel complesso, l'autore soffonde nella figura del Cardinale Albergati una autorità e profondità di pensiero che non si colgono nello schizzo preparatorio. Interessante è anche notare come la cappa cardinalizia si presenti come sfocata e priva di dettaglio, quasi riducendola a mero simbolo di stato sociale, rispetto alla perfetta definizione del viso del prelato, facendone così il vero ed unico centro d'attenzione.
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### Titolo: L'angelo ferito. ### Introduzione: L'angelo ferito (in finlandese: Haavoittunut enkeli) è un dipinto simbolista a olio su tela (127 × 154 cm) realizzato nel 1903 da Hugo Simberg. È conservato nell'Ateneum di Helsinki. ### Descrizione. L'opera ci mostra una giovane e delicata fanciulla nelle sembianze di un piccolo angelo che stringe in mano un mazzolino di bucaneve, simbolo universale di purezza e di rinascita. La testa della creatura è vistosamente bendata e nelle sue ali si intravedono pallide tracce di sangue. Si trattiene a una sorta di barella trasportata da due bambini che sembrano alquanto seri, assorti e piuttosto tristi. L'atmosfera è cupa e solitaria. Il bambino a destra guarda direttamente negli occhi, con un'espressione indecifrabile, chi sta osservando il quadro. Simberg si rifiutò sempre di dare spiegazioni sul significato dell'opera dicendo che voleva 'lasciare libero' l'osservatore e non condizionarne le emozioni. Quando, nel 1905, Simberg ebbe l'incarico di decorare la cattedrale di Tampere, in uno dei suoi affreschi rappresentò una versione ingrandita de L'angelo ferito. ### L'opera nella cultura di massa. Il quadro, molto famoso, è diventato con il tempo una sorta di icona nazionale della cultura finlandese. Nel 2007 si sono ispirati a quest'opera i Nightwish nel loro video Amaranth e gli Uniklubi nel loro video Luotisade. L'opera viene mostrata anche nel film Calamari Union del finnico Aki Kaurismäki.
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### Titolo: Cacciatore nella foresta. ### Introduzione: Cacciatore nella foresta (titolo originale in tedesco: Der Chasseur im Walde) è un dipinto a olio su tela del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich. ### Descrizione. Una rivista dell'epoca commentava così quest'opera: 'Un corvo posato su un ceppo d'albero, intona un canto di morte ad un cacciatore francese, che solitario attraversa la foresta innevata.'Il dipinto dall'andamento verticale, si apre su un fitto e scuro bosco che occupa gran parte della tela. Si innalzano imponenti e impenetrabili, mentre sopra di essi un cielo particolarmente minaccioso sembra presagire un'imminente nevicata. In basso, proprio di fronte alla cortina d'alberi si trova un soldato, che appare piccolissimo rispetto alle alte e fitte chiome degli abeti. L'uomo sembra quasi intimorito, incerto se entrare o meno nella boscaglia. È immobile, intento a scrutare l'oscurità del sottobosco. Dietro di esso, compaiono i resti di due alberi ormai abbattuti da tempo, e proprio su uno di essi è poggiato un corvo nero che pare stia gracchiando. Oltre ad un significato strettamente patriottico, riguardo alla liberazione della città di Dresda, possiamo ritrovare numerose simbologie ed altri significati. La figura del corvo, come da millenarie credenze popolari, fa riferimento ad una premonizione di morte; ripetuta dall'oscurità della foresta che appare quasi impenetrabile. Nell'opera la natura si erge come paladina della libertà tedesca, perché il soldato appare come rinchiuso nella morsa della morte: dietro di esso il corvo, davanti la scura foresta; entrambi visti come allegoria della morte. Friedrich piega quindi il suo immaginario romantico al suo patriottismo, evitando di rappresentare scene di battaglie o scontri tra uomini. Preferisce quindi rivisitare il tema della finitezza dell'uomo di fronte alla natura, dando a quest'ultima un significato funesto.
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### Titolo: Zuffa di dei marini. ### Introduzione: La Zuffa di dei marini è un'incisione a bulino e puntasecca (28,3x82,6 cm) di Andrea Mantegna, databile tra il 1458 e il 1480 circa e conservata nelle collezioni del Duca di Devonshire e Chatsworth Settlement Trustee a Chatsworth nel Regno Unito. ### Descrizione e stile. La Zuffa mostra una serie di divinità che, in una sorta di palude e a cavallo di creature straordinarie quali cavalli e mostri marini, sono intente a una strenua lotta, colpendosi con varie armi (lance, frecce, mazze, ma anche teschi di animali o pesci legati a frusta). Tra di essi spuntano altri personaggi, come un suonatore di corno, e figure allegoriche, come l'Invidia (in alto a sinistra), che tiene in mano un cartiglio col proprio nome. Più complessa è l'interpretazione della statua del Nettuno girata e posta su un piedistallo davanti allo specchio, forse simboleggiante l'assenza della divinità che permette la furiosa battaglia. Spicca nella scena rutilante l'urgenza delle azioni e delle passioni, che sono drammatizzate dall'uso di superfici scheggiate e linee spezzate. I personaggi, cristallizzati nella rappresentazione, sono un omaggio all'arte classica (si pensi solo alle scene di battaglia dei sarcofagi romani), ma la mancanza di una filologia archeologica permette altresì una rappresentazione più diretta e vitale. Lo studioso tedesco Alfred Gotthold Meyer, nel 1900, è il primo a rilevare come i due rocchi inferiori delle colonne libere dell'altare di san Girolamo nella chiesa di San Francesco d'Assisi a Brescia presentino un originalissimo adattamento scultoreo ad andamento circolare, senza soluzione di continuità, della Zuffa del Mantegna, caso praticamente unico nella storia dell'arte. L'opera, sulla base di studi mirati condotti all'inizio del XXI secolo, è stata attribuita a Gasparo Cairano, principale esponente della scultura rinascimentale bresciana.
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### Titolo: Baccanale con un tino. ### Introduzione: Baccanale con un tino è un'incisione a bulino e puntasecca (29,9x43,7 cm) di Andrea Mantegna, databile tra il 1475 e il 1480 circa e conservata nel Metropolitan Museum di New York. ### Descrizione e stile. Il Baccanale mostra una serie di personaggi quali satiri, putti e uomini che, all'ombra di una vite, prendono parte a un baccanale. Perno della scena è il tino da cui sgorga il vino, dove si trovano seduti due personaggi in atteggiamento lascivo e un putto si affaccia per prendere il vino. Altri due putti stanno addormentati per l'ubriachezza in basso al centro, mentre due figure a destra sono intente a bere con coppe, scodelle e un corno: uno dei due danza nella pozzanghera del vino rovesciato. Più complessa appare l'interpretazione del gruppo a sinistra, dove un giovane eroe, accanto a una cornucopia, sta per essere incoronato di alloro da un vecchio (Anchise?) tenuto sulle spalle da un giovane. Nella sfrenata scena Mantegna descrisse momenti di beato abbandono ai vizi, presentando con efficacia un mondo dominato dagli istinti più bassi. Mantegna riformulò il modello classico aggiornandolo secondo la sua sensibilità, senza intenzioni di correttezza filologia antiquaria. Lo sfondo scuro fa risaltare le figure chiare, con un chiaroscuro più incisivo di quello usato nei disegni e in pittura, che fa spiccare i personaggi come rilievi scultorei.
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### Titolo: Baccanale con sileno. ### Introduzione: Baccanale con sileno è un'incisione a bulino e puntasecca (29,9x47,3 cm) di Andrea Mantegna, databile tra il 1458 e il 1490 circa e conservata nelle collezioni del Duca di Devonshire e Chatsworth Settlement Trustee a Chatsworth nel Regno Unito. ### Descrizione e stile. Il Baccanale è incentrato su un grasso Sileno, trasportato da due uomini e incoronato da un satiro, mentre un secondo sta salendo sulla schiena d'un uomo a sinistra e a destra si trovano due suonatori con un flauto doppio e un flauto di Pan. Nella sfrenata scena Mantegna descrisse momenti di beato abbandono ai vizi, presentando con efficacia un mondo dominato dagli istinti più bassi. Mantegna riformulò il modello classico aggiornandolo secondo la sua sensibilità, senza intenzioni di correttezza filologia antiquaria. Lo sfondo scuro fa risaltare le figure chiare, con un chiaroscuro più incisivo di quello usato nei disegni e in pittura, che fa spiccare i personaggi come rilievi scultorei.
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### Titolo: Concerto campestre. ### Introduzione: Il Concerto campestre è un dipinto a olio su tela (118 × 138 cm) di Giorgione o Tiziano, databile al 1510 circa e conservato nel Museo del Louvre di Parigi. ### Descrizione e stile. L'opera si può considerare un 'manifesto' dello sviluppo stilistico della pittura veneta all'aprirsi del Cinquecento, con la sensibilissima sovrapposizione di velature di colore, un contenuto ricorso al disegno e una linea di contorno sfumata, elementi chiave del tonalismo. Vi sono raffigurati due giovani seduti su un prato che suonano, mentre vicino ad essi una donna in piedi versa dell'acqua in una vasca marmorea. Le due donne presenti sono entrambe nude, coperte appena da mantelli che scivolano via, mentre i due uomini, che parlano tra di loro, sono vestiti in costumi dell'epoca. Nell'ampio sfondo si vede un pastore e un paesaggio che, tra quinte vegetali, si distende a perdita d'occhio. Il soggetto dovrebbe essere un'allegoria della poesia e della musica, con le due donne dalla bellezza ideale, che sono come due apparizioni irreali generate dalla fantasia e l'ispirazione dei due giovani. La nudità dopotutto è legata all'essenza divina e la donna col vaso di vetro sarebbe la musa della poesia tragica superiore, mentre quella col flauto la musa della poesia pastorale. Tra i due giovani, quello ben vestito che suona il liuto sarebbe il poeta del lirismo esaltato, mentre quello col capo scoperto sarebbe un paroliere ordinario, secondo la distinzione operata da Aristotele nella Poetica. Alcuni hanno identificato la rappresentazione anche come un'evocazione dei quattro elementi che compongono il mondo naturale (acqua, fuoco, terra, aria) e del loro relazionarsi armonioso. Inoltre l'accordo tra il liuto, strumento colto e 'cittadino', e il flauto, strumento rustico e campestre, era un tema legato alla teoria musicale neoplatonica, che nell'incontro degli opposti indicava la via per realizzare una conoscenza superiore. La donna che mischia le acque sarebbe quindi da leggere come simbolo di purificazione, ma anche di temperanza, cioè armonia, dei suoni nell'accordo musicale, arrivando a quella concordanza tra musica mondana e musica celeste dei pitagorici. Tali teorie erano comuni nei circoli umanistici veneziani, animati da personalità come Pietro Bembo, Mario Equicola e Leone Ebreo. L'arrivo del pastore da destra, inferiore per classe e per cultura, avrebbe dunque interrotto il concerto delle muse e dei due nobili, che si scambierebbero un'occhiata di perplessa circostanza. La tonalità calda e dorata della luce del tramonto contribuisce a creare un'atmosfera da sogno. L'attenzione al dato vegetale in primo piano, ancora una volta, rimanda alla mai dimenticata lezione di Leonardo da Vinci.
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### Titolo: Trionfi di Cesare. ### Introduzione: I Trionfi di Cesare (per esteso i Trionfi di Cesare in Gallia, come riporta un'insegna nella seconda tela) sono una serie di nove tele (tempera a colla, 268x278 cm ciascuna) dipinte da Andrea Mantegna tra il 1485 circa e il 1505, conservate nel Palazzo del bagno di Hampton Court a Londra. Si tratta del primo e più riuscito tentativo di ricreare la pittura trionfale dell'Antica Roma. ### Descrizione e stile. Le nove tele dei Trionfi sono:. Trombettieri e portatori di insegne. Carri trionfali, trofei e macchine belliche. Carro con trofei e portatori di bottino. Portatori di vasi, tori sacrificali e trombettieri. Trombettieri, tori sacrificali ed elefanti. Portatori di corsaletti, di trofei e di armature. Prigionieri, buffoni e un portainsegna. Musici e portainsegne. Giulio Cesare sul carro trionfaleDella decima tela, i Senatori, resta un disegno, tratto da un originale del maestro, alla Graphisce Sammlung Albertina di Vienna. Ispirandosi alle fonti antiche ed alle rare raffigurazioni su sarcofagi e rilievi vari, Mantegna ricreò la processione trionfale, che in origine doveva apparire, tramite apposite cornici, come un'unica lunga scena che veniva vista come attraverso un loggiato. Le scene sono raffigurate con un punto di vista leggermente ribassato, che suggerisce una collocazione rialzata, come effettivamente ha luogo ad Hampton Court. Varie sono le questioni aperte sulla disposizione, l'ordine e la cronologia della serie. La seconda scena ad esempio mostra i personaggi che sembrano uscire frontalmente, mentre nella sesta sembrano entrare di spalle nel 'cubo pittorico'. Il punto di fuga si trova al centro di alcune tele, mentre in altre si trova sul lato destro o quello sinistro; non mancano casi in cui poi esso sembra abbassarsi, fino quasi a nascondere i piedi in primo piano. Nel complesso la posizione spaziale appare quindi rettificata di continuo, esigendo una partecipazione sempre impegnata dello spettatore, come se fosse prevista una prospettiva multipla adattata per osservatori in movimento, secondo un percorso che oggi non si è più in grado di valutare. Dal punto di vista strettamente pittorico, le tele risultano unificate da un'incessante ricerca di una coerenza atmosferica, all'insegna di un'armonia generale del ciclo. Il risultato è un'eroica esaltazione di un mondo perduto, con una solennità non minore di quella della Camera degli Sposi, ma più mossa, avvincente ed attuale.
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### Titolo: Cristo in pietà sorretto da due angeli (Mantegna). ### Introduzione: Cristo in pietà sorretto da due angeli è un dipinto tempera su tavola (78 × 48 cm) di Andrea Mantegna, databile al 1488-1500 circa e conservato nello Statens Museum for Kunst di Copenaghen. ### Descrizione e stile. Il dipinto, firmato in basso a destra sul bordo della base marmorea, affronta in maniera del tutto originale il tema della pietà. Cristo si leva sul lato breve di un sarcofago classico finemente scolpito ed è mostrato a figura intera con le mani aperte per mostrare tutte le ferite della crocifissione. Il suo corpo, avvolto da un drappo magnificamente chiaroscurato con colori freddi e metallici, è sorretto da due angeli inginocchiati su un sarcofago, un serafino e un cherubino. Il coperchio della tomba si intravede a sinistra, mentre lo sfondo è occupato da un lontano paesaggio nella luce del tramonto. A destra si vedono il Golgota e una cava dove alcuni scalpellini sono intenti a lavorare una lastra, un fusto di colonna e una statua; altri due operai si vedono nella grotta, rischiarati da una luce interna; a sinistra si vedono campi con pastori e greggi e una città murata (Gerusalemme) all'ombra di uno sperone roccioso. Sul sentiero si vedono due pie donne che stanno recandosi al sepolcro. Le figure principali sono caratterizzate da volti contratti e angosciati, il cui dolore è amplificato dalle linee spezzate della composizione. Si tratta di una scioltezza espressiva piuttosto nuova nell'autore, che rompe i modi statici e solenni della Camera degli Sposi in favore di 'un'energia gridata quasi con acredine'.
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### Titolo: Pala di San Cassiano. ### Introduzione: La Pala di San Cassiano è un dipinto olio su tavola (115x63 cm pannello centrale, 55,5x35 pannello sinistro e 56,8x35,6 pannello destro) di Antonello da Messina, datata 1475-1476 e conservata nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. La pala, sebbene gravemente mutilata, fu un vero e proprio spartiacque nella pittura veneta del Quattrocento tra vecchio e nuovo, introducendo alcune caratteristiche che divennero costanti nella produzione successiva. ### Descrizione e stile. Della grande pala d'altare, una Sacra conversazione, restano oggi solo la Vergine sul trono rialzato e quattro santi a mezzo busto: san Nicola di Bari, santa Maria Maddalena, sant'Orsola e san Domenico. In origine ve ne erano quattro per parte, tra cui san Giorgio e san Sebastiano. Derivata pare da un'altra pala d'altare di Giovanni Bellini nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo (perduta, ma nota da un'incisione di Francesco Zanotto), l'opera era caratterizzata da un maggior respiro compositivo, calibrato con grande cura, con i santi meno serrati e disposti a semicerchio attorno all'alto seggio della Vergine, inserito a sua volta in una sobria ambientazione architettonica. Si creava così un andamento di tipo piramidale in cui le figure appaiono perfettamente a loro agio con grande naturalezza. La novità più stupefacente era data però dagli effetti atmosferici creati dalla luce, che unificano l'opera con toni caldi e rendono più naturale la rappresentazione: il lume dorato inonda le figure, restituendo con scioltezza i vari dettagli e i rapporti spaziali tra le figure. Accanto a una sintesi geometrica di alcuni brani, come il corpo della Vergine, si incontrano virtuosismi prospettici, come il volto della Vergine e il libro con tre palle d'oro retto da san Nicola (allusione all'episodio in cui le regalò a tre fanciulle povere perché avessero la dote per maritarsi), e si sposano inoltre con sottigliezze ottiche della pittura fiamminga.
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### Titolo: Festa del Rosario. ### Introduzione: La Festa del Rosario (Rosenkranzfest) è un dipinto olio su tavola (162x194,5 cm) di Albrecht Dürer, datato 1506 e conservato nella Národní Galerie di Praga. ### Descrizione. La Vergine in trono col Bambino in grembo è al centro del dipinto, con due angeli in volo che tengono sospesa sopra di lei un'elaborata corona regale, d'oro tempestata di perle e gemme, secondo uno schema iconografico fiammingo già da anni recepito anche in area tedesca. Lo schienale del trono è coperto da un drappo verde e da un baldacchino tenuto da due cherubini in volo, mentre in basso si trova un angioletto seduto che suona il liuto, evidente omaggio alle pale d'altare di Giovanni Bellini. Maria è intenta a distribuire ghirlande di rose ai due gruppi di fedeli inginocchiati, su due file, in maniera simmetrica ai lati. Le file sono presiedute dai due massime rappresentanti della cristianità: a sinistra papa Sisto IV (che aveva approvato la Confraternita con una bolla), incoronato dal Bambino e seguito da un corteo di religiosi, a destra l'imperatore Federico III (a cui il pittore prestò il volto del figlio Massimiliano I), incoronato da Maria e seguito da un gruppo di laici. Pare che per ritrarre l'imperatore Dürer visionò un disegno di Ambrogio de' Predis, che aveva lavorato per Massimiliano a Innsbruck. Le supreme autorità della terra, al cospetto della Vergine, hanno deposto in terra il triregno e la corona imperiale, chinandosi devotamente per ricevere l'omaggio mariano. Altri angeli distribuiscono le corone di fiori, cosa che fa anche san Domenico di Guzman (promotore del culto mariano e della devozione al rosario), in piedi ai lati della Vergine. Vicino al margine sinistro si vede il patriarca di Venezia Antonio Surian con le mani giunte e accanto a lui Burkard von Speyer, cappellano della chiesa di San Bartolomeo, oggetto di un altro ritratto di Dürer. A destra, accanto al lussureggiante paesaggio alpino ricco di notazioni atmosferiche, si trova un autoritratto di Dürer con in mano un cartiglio, in cui compare la firma e una breve iscrizione che ricorda come l'esecuzione dell'opera richiese cinque mesi. Accanto a lui si trova probabilmente Leonhard Vilt, fondatore della Confraternita del Rosario a Venezia, e Hieronymus di Augusta (il personaggio vestito di nero), architetto del nuovo Fondaco dei Tedeschi. Qui si trova inoltre il ritratto del committente. ### Stile. Rispetto ai precedenti iconografici Albrecht Dürer ambientò la scena in un paesaggio luminoso, piuttosto che un fondale neutro, e sostituì ai volti stereotipati dei membri del popolo veri e propri ritratti, di personaggi reali e ben noti. Nel dipinto il maestro tedesco assorbì le suggestioni dell'arte veneta del tempo, come il rigore compositivo della composizione piramidale con al vertice il trono di Maria, la monumentalità dell'impianto e lo splendore cromatico, mentre di gusto tipicamente nordico è l'accurata resa dei dettagli e delle fisionomie, l'intensificazione gestuale e la concatenazione dinamica tra le figure. L'opera è infatti memore della calma monumentalità di Giovanni Bellini, con l'omaggio esplicito dell'angelo musicante già presente, ad esempio, nella Pala di San Giobbe (1487) o nella Pala di San Zaccaria (1505). Restauri sconsiderati hanno compromesso la leggibilità della superficie pittorica: quasi tutte le teste sono ridipinte e circa la metà dell'intera tavola. Tra le parti scampate ai restauri impropri spiccano il paesaggio o il piviale del pontefice, in cui è ancora leggibile la straordinaria luminosità del colore, sintetizzata con un disegno forte e preciso, che segna il culmine delle potenzialità dell'intera carriera del pittore. Nonostante i danni l'opera resta un momento fondamentale nel percorso nello sviluppo dell'arte europea, quello in cui un pittore tedesco, proveniente da una scuola pittorica fino ad allora secondaria, dimostrò di avere tutte le carte in regola per competere con i pittori della celebrata scuola veneziana.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Parnaso (Mantegna). ### Introduzione: Il cosiddetto Parnaso è un dipinto tempera su tela (159 × 192 cm) di Andrea Mantegna, risalente al 1497 e conservato oggi al Louvre di Parigi. ### Descrizione e stile. L'interpretazione tradizionale si basa su un poemetto di Battista Fiera della fine del XV secolo, dove si identificava il quadro come una rappresentazione del Parnaso, culminante nell'allegoria di Isabella come Venere e suo marito Francesco Gonzaga come Marte, sotto il cui regno fioriscono le arti simboleggiate da Apollo e le Muse. In generale l'opera mostra l'amore adulterino tra Venere e Marte, rappresentati su un arco naturale di roccia davanti a un letto simbolico, sullo sfondo la vegetazione ha molti frutti nella parte sinistra (maschile) e uno solo nella parte destra (femminile), simboleggiando la fecondazione. La posa di Venere è ripresa dalla statuaria antica, ma essenzialmente la dea appare come una donna reale, in tutta la sua voluttuosa bellezza: la candida pelle della sua nudità risalta specialmente dall'accostamento all'armatura di Marte. Assieme a loro sta Anteros o l'Amore celeste, che benedice la loro unione. Venere tiene in mano la freccia d'oro di Cupido disarmato, con la quale genera amore. Si tratta di un'esaltazione dell'amore divino, opposto a quello carnale, che genera Armonia. Quest'ultimo, con in mano ancora l'arco, ha una lunga cerbottana con la quale mira ai genitali di Vulcano, sposo di Venere, che è raffigurato nella sua grotta-fucina, intento a forgiare nuove frecce. Alle sue spalle si trova un grappolo d'uva, simbolo forse dell'intemperanza degli ubriachi. Nella radura sotto l'arco Apollo (a sinistra, già scambiato per Orfeo nell'inventario del 1542) suona la cetra e le nove Muse danzano beatamente simboleggiando l'armonia universale: notevole fu la capacità di Mantegna nell'orchestrare i movimenti del nutrito gruppo danzante, i cui abiti fluenti creano un ritmo lineare di grande raffinatezza. Secondo la mitologia il canto delle nove sorelle provocava eruzioni vulcaniche e altri cataclismi, simboleggiati nelle montagne crollanti in alto a sinistra. A tali disastri poneva rimedio Pegaso battendo il proprio zoccolo: esso si trova infatti raffigurato in primo piano a destra, di dimensioni quindi leggermente maggiori, ingioiellato e nell'atto di alzare la zampa. Il suo tocco di zoccolo fece anche scaturire la fonte Ippocrene che alimentava le cascate del monte Elicona, visibili sullo sfondo: le Muse danzavano proprio in un boschetto di questo monte, per cui la titolazione tradizionale come 'Parnaso' sarebbe inesatta. Accanto a lui si trova Mercurio colto in posa contemplativa e vestito dei suoi tipici attributi quali il cappello alato, il caduceo (bastone con le serpi intrecciate) e i calzari da messaggero degli dei. La sua presenza si spiega col fatto che egli assicurò protezione alla coppia adultera.