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@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: Occasio e Poenitentia. ### Introduzione: Occasio e Poenitentia è un affresco (168 × 146 cm) di Andrea Mantegna o della sua scuola, databile al 1500 circa e conservato nel MACA - Mantova Collezioni Antiche, dopo essere stato a lungo a Mantova in Palazzo Cavriani, dove decorava la cappa di un camino. È stato esposto al Palazzo Ducale di Mantova dal 1915 al 2002. ### Descrizione e stile. L'affresco, dal significato erudito e allegorico, viene in genere datato agli anni in cui Mantegna era occupato allo studiolo di Isabella d'Este. Se la fattura non eccelsa in alcuni dettagli fa pensare a un allievo di Mantegna, il disegno risale in tutta probabilità alla sua mano. Il soggetto deriva da un epigramma del poeta latino Ausonio intitolato In simulacrum Occasionis et Peonitentia. L'affresco è a monocromo, imitante un rilievo. Un uomo di corsa, con le braccia aperte, tenta di afferrare l'elusiva Occasio ('Occasione'), che ha le sembianze di una vergine con il volto coperto da uno spesso ciuffo di capelli (perché essa non è conosciuta dall'uomo) e la testa calva, e con le ali ai piedi che determinano la rapidità dei suoi movimenti. L'abilità dell'uomo starebbe infatti nel cogliere l'occasione al volo, afferrandole il ciuffo di capelli prima che essa scompaia: la sfera ai suoi piedi ne rappresenta infatti l'instabilità. L'uomo è trattenuto dalla Poenitentia ('Penitenza', nel senso di Virtù), collocata su un piedistallo quadrato (simbolo di stabilità), che lo spinge a prendere tempo, e ad uno stile di vita più consapevole e morigerato. L'uomo sarebbe quindi una personificazione del Pentimento, il cui esempio sembra voler essere un invito a non lasciarsi catturare dalle lusinghe dell'imprendibile Fortuna, preferendo la prudenza e la virtù.
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### Titolo: Isabella d'Este nel regno di Armonia. ### Introduzione: Isabella d'Este nel regno di Armonia (o Allegoria dell'incoronazione di Isabella d'Este) è un dipinto a tempera e olio su tela (164,5x197,5 cm) di Lorenzo Costa il Vecchio, databile al 1505-1506 e conservato nel Museo del Louvre a Parigi. Fu originariamente dipinto per lo studiolo di Isabella d'Este nel Castello di San Giorgio a Mantova. L'opera è firmata in basso a destra (L. COSTA F[ECIT].). ### Descrizione. L'interpretazione più accettata del complesso dipinto allegorico/mitologico è legata a un'esaltazione di Isabella d'Este, del suo governo e della sua protezione delle arti, che genera armonia. Isabella sarebbe la figura femminile al centro, incoronata d'alloro da Anteros infante, retto dalla madre Venere vestita, simboleggianti l'amore celeste e virtuoso, in contrapposizione a quello terrestre e carnale. La scena sarebbe ambientata nel giardino dell'Armonia, dove è possibile coltivare serenamente la Musica, le Arti e la Poesia, alle quali si riferiscono i personaggi in cerchio attorno all'incoronazione. In primo piano, oltre i confini del giardino, si trovano Diana (a destra), simbolo di castità, e Cadmo (a sinistra), protettori delle arti al pari di Mercurio. La sua identificazione è facilitata dalla scena di battaglia che si svolge dietro di lui, nella parte sinistra del dipinto. Egli infatti vinse il serpente generato da Marte e ne seppellì i denti dai quali si originò una stirpe che immediatamente intraprese una guerra civile. Le due figure femminili sedute in terra rappresenterebbero infine due Virtù che sorvegliano il mondo di Isabella, vegliando l'ingresso del giardino: quella che incorona il bue sarebbe la Perseveranza e quella che incorona l'agnello la Purezza o Innocenza. Un'interpretazione diversa è data da Campbell (2004), che basandosi sul testo greco della Tabula Cebetis, in voga nel Rinascimento, vi ha letto una rappresentazione dei diversi generi della poesia, tra i quali primeggia quella lirica, rappresentata dalla Venere al centro che farebbe incoronare dall'Amore la poetessa Saffo, mentre tutt'intorno si troverebbero le personificazioni dei primi esponenti di questo genere poetico: Callimaco, Properzio, Ovidio e Tibullo. ### Stile. Dal punto di vista stilistico il taglio dell'opera e la dimensione delle figure vennero imposti dalle regole delle tele nello studiolo. Il pittore tradusse il soggetto in un vorticare di figure, immerse in un ricco paesaggio dai colori morbidi e brillanti, secondo le regole del colorismo allora in voga. Un brano particolarmente riuscito è il paesaggio nella parte sinistra, che sfuma sapientemente in lontananza ottenendo una particolare profondità, grazie all'uso della prospettiva aerea.
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### Titolo: Regno di Como. ### Introduzione: Il Regno di Como è un dipinto a tempera e olio su tela (152x238 cm) di Lorenzo Costa il Vecchio, databile al 1511 e conservato nel Museo del Louvre a Parigi. Fu originariamente dipinto per lo studiolo di Isabella d'Este nel Palazzo Ducale a Mantova. ### Descrizione. Anche questo dipinto, come il precedente di Costa, raffigura, secondo una complessa allegoria di personaggi mitologici, il regno ideale di Isabella d'Este, paragonato a quello del dio Como, protettore dell'allegria e delle feste. Tra le figure simboliche del regno si trovano l'amore voluttuoso, rappresentato da Dioniso e Nikaia e da Leda e il cigno, e quello celeste delle due Veneri (vestita e ignuda), raffigurate accanto a Como. A destra un maestoso portale classicheggiante simboleggia l'ingresso del Regno, sorvegliato da Giano e Mercurio, che scacciano i Vizi. ### Stile. Dal punto di vista stilistico il taglio dell'opera e la dimensione delle figure vennero imposti dalle regole delle tele nello studiolo. Il pittore tradusse il soggetto in un vorticare di figure, immerse in un ricco paesaggio dai colori morbidi e brillanti, secondo le regole del colorismo allora in voga. Un brano particolarmente riuscito è il paesaggio nella parte destra, che sfuma sapientemente in lontananza ottenendo una particolare profondità, grazie all'uso della prospettiva aerea.
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### Titolo: Giuditta con la testa di Oloferne (Mantegna). ### Introduzione: Giuditta con la testa di Oloferne è un dipinto tempera a colla su tela di lino (48,1 × 36,7 cm) di Andrea Mantegna, databile al 1495 circa e conservato nella National Gallery of Ireland di Dublino. ### Descrizione e stile. Come nella simile Giuditta e l'ancella con la testa di Oloferne di Washington e nel disegno di analogo soggetto del Gabinetto dei disegni e delle stampe di Firenze (datato 1491), si vedono Giuditta e l'ancella Abra davanti alla tenda triangolare di Oloferne. Egli è stato decapitato dall'eroina ebraica, infatti essa tiene in mano la spada e la testa del tiranno, che sta per essere messa in un sacco tenuto dalla serva. La tela si basa su toni di grigio e lumeggiature bianche, arricchite in alcuni punti da pennellate brune, che vivificano il rilievo e il suo valore illusionistico. L'interno della tenda è lasciato in penombra, con alcuni dettagli che emergono sfocatamente, come il piede di Oloferne steso sul letto. Lo sfondo è screziato come un finto marmo. Particolarmente notevoli sono i brani dei panneggi, dove emerge una plasticità di grande maestria, o l'elegante gioco lineare delle estremità della banderuola a destra, che si attorciglia col vento attorno alla sua stessa asta.
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### Titolo: Tuccia (Mantegna). ### Introduzione: La vestale Tuccia è un dipinto tempera all'uovo su tavola di pioppo (72,5x23 cm) di Andrea Mantegna, databile al 1495-1500 circa e conservato nella National Gallery di Londra. ### Descrizione e stile. Tuccia era una vestale romana, ingiustamente accusata di aver violato il voto di castità (incestum), colpa punita con una pena severissima. La vestale chiese di poter provare la sua innocenza sottoponendosi a una ordalia consistente nel tentare di raccogliere l'acqua del Tevere con un setaccio, dopo aver richiesto l'aiuto della dea Vesta. La prova riuscì e Tuccia venne ritenuta innocente. Mantegna raffigurò la giovane col setaccio in mano, che la fece già ritenere come un'allegoria dell'Estate (intesa come raffigurazione della separazione della pula dal grano), altri vi hanno letto una virtù, la Carità. Inoltre le quattro eroine della serie fanno parte dei Trionfi del Petrarca, per cui sono legate anche da ascendenze letterarie. Longhi, citato da Garavaglia, suggerì che le due tavole londinesi potessero essere state associate all'Introduzione del culto di Cibele a Roma per le dimensioni analoghe in altezza, ma non vi è traccia documentaria che avalli tale ipotesi. Lo sfondo è composto da una screziatura che riproduce un marmo, con in alto una ghirlanda a cui è legato un vaso contenente gigli, simbolo di Purezza. La figura di Tuccia è rappresentata a monocromo come se fosse in bronzo dorato, con alcuni virtuosismi, come l'acqua nel setaccio, rappresentata con un sottilissimo tratteggio dorato. Il panneggio ha un taglio metallico, paragonabile a quello della Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Maria Maddalena, datata di solito agli anni 1497-1500.
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### Titolo: Sofonisba (Mantegna). ### Introduzione: Sofonisba è un dipinto tempera all'uovo su tavola di pioppo (72,1x19,8 cm) di Andrea Mantegna, databile al 1495-1500 circa e conservato nella National Gallery di Londra. ### Descrizione e stile. Sofonisba fu una nobile cartaginese, figlia di Asdrubale Giscone e moglie di Siface, re dei Numidi, che avrebbe spinto ad allearsi con i Cartaginesi contro i Romani. Fatta prigioniera da Massinissa insieme con il marito dopo la sconfitta nella battaglia dei Campi Magni (203 a.C.), probabilmente si uccise bevendo un veleno. Mantegna raffigurò la giovane col bicchiere in mano, che la fece già ritenere come un'allegoria dell'Autunno (intesa come raffigurazione del vino), mentre più probabilmente essa venne scelta per sottintendere una virtù, magari la Fede. Inoltre le quattro eroine della serie fanno parte dei Trionfi del Petrarca, per cui sono legate anche da ascendenze letterarie. Longhi, citato da Garavaglia, suggerì che le due tavole londinesi potessero essere state associate all'Introduzione del culto di Cibele a Roma per le dimensioni analoghe in altezza, ma non vi è traccia documentaria che avalli tale ipotesi. Lo sfondo è composto da una screziatura che riproduce un marmo, con al centro un alberello di alloro. La figura di Sofonisba è rappresentata a monocromo come se fosse in bronzo dorato, con alcuni virtuosismi, come l'effetto del diaspro sul calice o il riflesso brillante dell'orecchino in cristallo di rocca. Il panneggio ha un taglio metallico, paragonabile a quello della Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Maria Maddalena, datata di solito agli anni 1497-1500.
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### Titolo: Nafea faa ipoipo. ### Introduzione: Nafea faa ipoipo (in tahitiano, Quando ti sposi?) è un dipinto di Paul Gauguin del 1892; olio su tela di dimensioni 2x 4 cm. Gauguin, giunto a Tahiti nel 1891 ma deluso dall'operato colonialista francese che, nella capitale Papeete aveva già esercitato una forte influenza, si era stabilito in un villaggio interno in cui il progresso e la civiltà occidentale si faceva sentire meno. ### Descrizione. Nel quadro sono raffigurate due donne polinesiane (la modella è in realtà una sola) in un momento di riposo della giornata;. esse sono ritratte con abiti e pose diverse. La donna in primo piano presenta una fisionomia più possente, robusta, ed è vestita con abiti locali rispetto alla seconda, più magra ed in abiti missionari. La forte evidenza dei colori piatti e primari, come il giallo e il rosso incastonati uno nell'altro, la totale indifferenza della prospettiva sono i tratti essenziali di quest'opera di Gauguin. In alcune zone della tela, (i fiori del pareo rosso) il colore è più denso, cosa che non avverrà durante il secondo soggiorno tahitiano, ove, al contrario, si presenterà sottile (tanto da far emergere la trama della tela). In primo piano troviamo un verde piuttosto intenso ripreso nel paesaggio in lontananza con toni più caldi e sottili. Sempre sulla dunetta, troviamo un giallo brillante, luminoso, anch'esso ripreso poi nel cielo ma con toni più delicati. Dal paesaggio emergono le figure di due contadini; esso viene poi chiuso da montagne blu-violacee che entrano in contrasto con il giallo del cielo in quanto colori tra loro complementari. A destra è presente un albero spoglio, mentre sul lato opposto, in alto a sinistra, si denota la presenza di un esiguo fogliame su sottili rami appena accennati.
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### Titolo: Sibilla e profeta. ### Introduzione: Sibilla e profeta è un dipinto tempera su tela (58,4x51,1 cm) di Andrea Mantegna, databile al 1495-1500 circa e conservato nel Cincinnati Art Museum. ### Descrizione e stile. Davanti a una sorta di portale su una stanza buia, del quale si intravedono gli stipiti, dibattono un profeta, con la lunga barba e un curioso abito esotico, e una sibilla, vestita di corona con una toga all'antica e uno svolazzante mantello. Essi reggono un rotolo di scritture, che sembra l'argomento della loro diatriba. Forse si tratta di un frammento di un'opera di dimensioni più grandi. L'imitazione del finto bronzo dorato raggiunge qui un notevole vertice, con le figure principali che sembrano emergere grazie al poderoso chiaroscuro dei toni bruni e dorati. Il taglio netto delle pieghe dei panneggi rivela un confronto diretto con la scultura, che in quegli anni avveniva proprio per la presenza a Mantova dell'Antico. Tra i virtuosismi spiccano i riflessi brillanti dei cristalli di rocca sulla corona della sibilla. Il capriccioso incresparsi dei panneggi nei manti riecheggia altre opere della fase tarda dell'artista, come la Madonna della Vittoria (1496) o l'Introduzione del culto di Cibele a Roma (1505-1506).
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### Titolo: Introduzione del culto di Cibele a Roma. ### Introduzione: L'Introduzione del culto di Cibele a Roma è un dipinto tempera a colla su tela (73,5 × 268 cm) di Andrea Mantegna, datato al 1505-1506 e conservato nella National Gallery di Londra. Fa probabilmente della stessa serie con la Continenza di Scipione di Giovanni Bellini. ### Descrizione e stile. La tela si basa su un episodio della seconda guerra punica. Publio Cornelio Scipione, noto come Scipione l'Africano, vincitore di Annibale in Africa, dopo la consultazione dei libri sibillini, decise di portare il simulacro della dea Cibele, madre degli dei, dal monte Ida, presso Pergamo, a Roma. Il Senato inviò allora suo cugino Scipione Nasica, ritenuto il romano più degno, come richiesto dall'oracolo di Delfi, ad accogliere il simulacro divino, ma la nave che lo trasportava si incagliò nelle secche del Tevere. Per disincagliarla intervenne la vestale Claudia Quinta, che dimostrò così con l'evento prodigioso (un'ordalia) anche la propria verginità. L'intero episodio viene narrato da diverse fonti antiche, tra cui Livio, Ovidio e Appiano. L'opera di Mantegna si ispira nella composizione ai bassorilievi sui sarcofagi romani, ricreata a monocromo su uno sfondo che riproduce due lastre di marmi screziati. La portantina con simulacro di Cibele è mostrata nel suo arrivo a Roma, accolta dalla cittadinza. Da sinistra si vedono due tombe a piramide tronca con iscrizioni sulla sommità che ricordano il fratelli Gneo Cornelio Scipione e Publio Cornelio Scipione, padri rispettivamente del Nasica e dell'Africano. La portantina è retta da quattro inservienti abbigliati con abiti esotici: quelli davanti sono dei mori con turbante, quelli dietro sono barbuti e indossano un cappello che ricorda una tiara. Uno di loro tiene in mano un ramo di alloro, usato nelle processioni trionfali, come ne regge anche il giovane inserviente che viaggia sulla portantina accanto al busto della dea. Il busto di Cibele ha il capo cinto dalla corona turrita e viaggia su un prezioso tappeto, disegnato con un motivo che imita il rilievo con grande virtuosismo. Davanti alla statua si trova una sfera, simbolo di universalità, e dietro una fiaccola rituale. Davanti al simulacro un gruppo di dignitari indica un giovane nell'atto di inginocchiarsi, rappresentato con un'illuminazione più incisiva che lo fa risaltare: si tratta infatti del protagonista della scena, Scipione Nasica, le cui parole di ospitalità verso la divinità originaria della Frigia sono riportate sotto di lui sul basamento grigio. Il senatore che lo indica è probabilmente l'Africano, che parla con un uomo paffuto, forse il console Licinio Crasso, suo collega nel consolato. A destra una scalinata simula il punto di arrivo del corteo, un tempio dove la dea troverà dimora e da cui sta uscendo un trombicino, mentre un pastore col cappello frigio sta suonando il flauto e il tamburo.
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### Titolo: Leda col cigno. ### Introduzione: Leda col cigno è un dipinto perduto su tavola di Leonardo da Vinci, databile al 1505-1510 circa. Del dipinto sopravvive, oggi, solo un certo numero di studi (tra cui la Testa di Leda nel Castello Sforzesco di Milano), oltre ad alcune copie e varianti di allievi e imitatori (De Rinaldis ne elencò nove): le migliori alla Wilton House di Salisbury, alla Galleria Borghese di Roma e agli Uffizi di Firenze. ### Descrizione. È certo che il dipinto venne visto da molti e aveva suscitato l'ammirazione generale, come testimoniano le copie: oggi se ne conoscono almeno nove. Leonardo dovette arrivare alla posizione in piedi della figura dopo numerosi studi, tra cui alcuni che vedono Leda accovacciata o inginocchiata. A giudicare dai disegni, grande cura venne riposta nella scelta dell'acconciatura dei capelli e anche nella definizione dei fiori destinati al prato. La figura di Leda si legava al principio neoplatonico del binomio discordia-concordia e sul concetto pitagorico dell'armonia degli opposti: il cigno, principio fecondante, sotto le quali spoglie si cela Zeus, dà origine a una miracolosa covata, da cui nacquero quattro gemelli, due maschi e due femmine: rispettivamente i Dioscuri Castore e Polluce (simboli di concordia), Elena e Clitennestra (simboli di discordia).
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### Titolo: Quattro allegorie. ### Introduzione: Le Quattro allegorie sono una serie di quattro tavolette dipinte a olio (32x22 cm ciascuna) di Giovanni Bellini, databili al 1490 circa e conservate nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia. Raffigurano la Perseveranza, la Menzogna, la Fortuna e la Prudenza. ### Descrizione e stile. Le tavolette sono una produzione insolita nel catalogo di Bellini, accostate talvolta per il soggetto all'Allegoria sacra degli Uffizi. La Perseveranza mostra un guerriero virtuoso a cui Bacco, su un carro trainato da putti, offre frutta. Talvolta la tavola è letta anche come allegoria della Lussuria. La Fortuna o Incostanza, mostra una donna su un'instabile imbarcazione circondata da putti, che regge una sfera. La Prudenza mostra una donna nuda che addita uno specchio, letta anche come Vanitas, che invita lo spettatore a rimirarsi e riflettere su sé stesso e la vanità delle cose terrene. La Menzogna o Falsità mostra un uomo (di solito è però raffigurata come un essere femminile) che esce da una conchiglia, simbolo della tortuosità dei mezzi menzogneri. Esso, armato di serpente, simbolo di calunnia con la sua lingua biforcuta, si avventa su quello che sembra un eremita, avviato sulla via della sapienza sopra un piedistallo, dove si trova anche la firma dell'artista. Questa figura è stata letta anche come Virtus Sapientia, con la conchiglia vista come un simbolo positivo di forza generatrice. I dipinti sono caratterizzati da una saturazione luminosa che le unifica stilisticamente, nonostante le diverse ambientazioni, e da una raffinatissima cultura iconografica, che testimonia il carattere filosofico e umanistico del Rinascimento veneziano.
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### Titolo: Studiolo di Belfiore. ### Introduzione: Lo studiolo di Belfiore era uno degli ambienti della scomparsa Delizia di Belfiore. Questa delizia, costruita attorno alla fine del XIV secolo a nord rispetto al nucleo urbano e quindi fuori dalle mura cittadine del periodo, era in quegli anni la più importante, ricercata e fonte di ammirazione nei visitatori. Voluto da Lionello d'Este nel 1447, ma completato in larga parte all'epoca di Borso fino al 1463 circa, è stato il primo studiolo principesco italiano. Nelle sue decorazioni, oggi pervenuteci solo in parte e disperse in vari musei, si coglie il nascere e la ricchezza di stimoli della scuola ferrarese di pittura. ### Descrizione. La decorazione dello studiolo era composta da tarsie dei da Lendinara e da un ciclo pittorico di Muse su tavola opera di vari artisti, disperse o distrutte dopo la scomparsa del palazzo. Sulla base di una lettera del Guarino datata 5 novembre 1447 sono oggi state riconosciute otto delle nove tavole originarie. Esse sono:. Erato, 122x72 cm, attribuita ad Angelo Maccagnino e un collaboratore di Cosmè Tura, oggi alla Pinacoteca nazionale di Ferrara. Urania, 122x72 cm, di anonimo ferrarese, oggi alla Pinacoteca nazionale di Ferrara. Tersicore, 117,5x81 cm, attribuita ad Angelo Maccagnino e Cosmè Tura, oggi nel Museo Poldi Pezzoli di Milano. Talia, 136x82 cm, di Michele Pannonio, oggi nel Museo di belle arti di Budapest. Euterpe, 105x38,7 cm, di anonimo ferrarese, oggi nel Museo di belle arti di Budapest. Melpomene, 105x38,3 cm, di anonimo ferrarese, oggi nel Museo di belle arti di Budapest. Polimnia, 115x71 cm, di anonimo ferrarese, oggi nella Gemäldegalerie di Berlino. Calliope, 116x71 cm, di Cosmè Tura, oggi nella National Gallery di Londra. La connotazione delle muse è molto singolare, ricca di rimandi incrociati a numerose simbologie, che in passato hanno dato origine a svariate interpretazioni: Thalia era ad esempio identificata con una Cerere, Calliope come Primavera, Tersicore come Caritas, anche per via di un'iscrizione sul basamento. Questa particolare ricchezza di significati, anche lontani dall'iconografia tradizionale, derivavano dalla particolare interpretazione che Guarino aveva dato delle Muse: Calliope come protettrice della poesia, Clio della Fama, Urania dell'astronomia, Euterpe della musica, Talia della commedia e Tersicore della danza; a Melpomene venne attribuita la cura del canto, anziché della tragedia, a Erato invece della poesia erotica quella dei matrimoni e a Polimnia, musa della poesia eroica, fu associata l'agricoltura. L'iconografia dello studiolo ebbe un seguito nei bassorilievi di Agostino di Duccio nel Tempio Malatestiano di Rimini (eseguiti nel 1454-1456), impostati a un'analoga simbologia. ### Stile. Tra le tavole più rappresentative, Thalia di Michele Pannonio è legata stilisticamente al gotico internazionale, con una figura sottile ed elegantemente avvitata, sottolineata da profili scivolosi che si infrangono però nel panneggio tagliente al ginocchio, mentre l'esuberante spazialità del seggio e l'estrosa ricchezza decorativa, di gusto anticheggiante, rimandano al Rinascimento padovano. Polimnia invece, già attribuita a Francesco del Cossa ed oggi ritenuta di anonimo ferrarese, mostra invece un evidente debito ai modi di Piero della Francesca, con un impianto solenne e sintetico, che campeggia su un nitido panorama aperto. Nella Calliope di Cosmè Tura si notano invece già stimoli che, ricomposti in maniera originale, furono alla base della scuola ferrarese: costruzione solida e prospetticamente attenta, con punto di vista ribassato, e una fantasia sfrenata nella descrizione del trono, con un libero accostamento di elementi derivanti pure dalla lezione padovana di Francesco Squarcione, ma evidenziati dalla luce incidente fino a una tensione surreale.
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### Titolo: Thalia (Michele Pannonio). ### Introduzione: Thalia è un dipinto tempera su tavola (136,5×82 cm) di Michele Pannonio (firmata), databile al 1456 circa e conservato nel Museo di Belle Arti di Budapest. Rappresenta una delle poche opere note dell'artista di origine ungherese attivo a Ferrara. ### Descrizione e stile. Su uno sfarzoso trono, ritratto in prospettiva grandangolare con un punto di vista ribassato, sta seduta la musa Talia, reggente un bocciolo e un ramo di vite, con una ghirlanda di spighe in testa. La sua figura è esile e longilinea, affusolata in vita secondo lo stile gotico internazionale, con profili scivolosi che si infrangono però nel panneggio tagliente al ginocchio. Il trono invece, con quattro putti che reggono festoni di frutta in alto, rimanda ai modelli squarcioneschi, che l'autore vide soggiornando probabilmente a Padova. In primo piano si vedono due vasi con gigli, decorati da perle e gemme, la cui brillantezza ricorda le opere fiamminghe che facevano parte delle collezioni estensi almeno dal 1450 circa. Lo sfondo è un cielo azzurro, che schiarisce verso l'orizzonte, e in basso, su un intarsio marmoreo si trova un'iscrizione greca. La firma dell'autore è invece sul cartiglio che pende dal primo gradino.
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### Titolo: Polimnia (Anonimo ferrarese). ### Introduzione: Polimnia è un dipinto tempera su tavola (116,6×70,5 cm) di un anonimo artista ferrarese, già attribuito a Francesco del Cossa o a Angelo Maccagnino, databile al 1460 circa e conservato nella Gemäldegalerie di Berlino. ### Descrizione e stile. Tre tavole delle Muse, tra cui Polimnia e le Euterpe e Melpomene del Museo di belle arti di Budapest, non mostrano figure assise in trono ma in piedi, sullo sfondo di un paesaggio agreste. Vengono quindi attribuite a una fase successiva della decorazione dello studiolo, ai tempi di Borso d'Este, quando il programma iconografico originario venne modificato. La figura di Polimnia è rappresentata come una fanciulla con in mano una pala e una zappa, strumenti agricoli, oltre a un tralcio di vite; indossa una cuffia e una veste rosata, allacciata in vita a sotto il petto 'all'antica'. La tavola ha un'impostazione molto diversa da altre del ciclo, come la Thalia di Michele Pannonio o la Calliope di Cosmè Tura, poiché vi si riscontra una sinteticità che limita gli elementi decorativi. L'impianto è solenne e sintetico, impostato a un senso della plasticità e di luminosità nitida ispirato a Piero della Francesca, che pure aveva lavorato a Ferrara verso il 1448-1449. Il paesaggio, dall'orizzonte particolarmente basso, è caratterizzato da una luce tersa e nitida, con una resa minuta di dettagli quali il villaggio, i pascoli i piccoli cavalieri, che ricorda la lucidità ottica della pittura fiamminga. Il piede sinistro di Polimnia poggia sulla cornice inferiore del dipinto come a scavalcarla: si tratta di un espediente che tenta di travalicare il confine tra soggetto dipinto e spettatore, tipico della produzione di Andrea Mantegna, a cui si ispirò probabilmente l'anonimo pittore.
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### Titolo: Calliope (Cosmè Tura). ### Introduzione: Calliope è un dipinto tempera all'uovo e olio su tavola (116,2x71,1 cm) di Cosmè Tura, databile al 1460 circa e conservato nella National Gallery di Londra. ### Descrizione e stile. L'opera viene in genere indicata come una delle prime rappresentative dello stile dell'artista e della scuola ferrarese in generale. Sotto la superficie pittorica, a olio, è stata scoperta una precedente pittura a tempera che mostrava la musa in un trono di canne d'organo, riferimento evidente alla musica, tanto che alcuni ipotizzano che il soggetto originale potesse essere stato Euterpe. La musa, analogamente ad altre tavole della serie, come la Thalia di Michele Pannonio, è raffigurata seduta su un fastoso trono, con in mano un rametto di albero da frutta, in questo caso un ciliegio. Il punto di vista è ribassato, con un aspetto solido delle figure, che contrasta con la frivolezza esuberante delle decorazioni del trono. Esso è rappresentato secondo le regole della prospettiva in marmi policromi, a cui sono applicate decorazioni dorate a forma di grossi delfini, secondo al stilizzazione tipica dell'epoca, con denti aguzzi e pinne attorcigliate a formare complessi giochi lineari, sottolineati dalla luce incidente che fa sembrare tutto metallico o brillante come gemme. Altri elementi che richiamano il mondo marino sono la conchiglia dietro la testa della Musa, i coralli e le perle. Il prototipo di questo tipo di decorazione sfarzosa e colta (numerose sono le citazioni dell'antico) è la bottega di Francesco Squarcione a Padova, dove Tura ebbe una prima formazione. Ma la sua fantasia si fa ancora più sfrenata degli squarcioneschi, combinando gli elementi decorativi con grande libertà fino a raggiungere una tensione quasi surreale. Il panneggio appare rigido e scultoreo, come se fosse sbalzato nella pietra. A ciò si aggiungono echi del mondo cortese, molto vivo alla corte estense di Ferrara, come l'attenzione al dettaglio ricercato quale le damascature delle maniche della veste. Un altro input del ferrarese è la luce chiara di Piero della Francesca, dal quale imparò probabilmente anche le regole per la costruzione prospettica e l'uso dei colori a olio, a cui va aggiunta anche l'influenza dei fiamminghi nella cura lenticolare dei dettagli, evidente soprattutto negli accenti brillanti delle gemme e delle perle.
@Scribis @Italiano. Descrivi un famoso dipinto.
### Titolo: Tersicore (Cosmè Tura). ### Introduzione: Tersicore è un dipinto a tempera su tavola (117,5x81 cm) di Cosmè Tura e Angelo Maccagnino, databile al 1460 circa e conservato nel Museo Poldi Pezzoli di Milano. ### Descrizione e stile. Tersicore, musa della danza, è rappresentata come una fanciulla in trono su pedana circolare, vestita di un ricco abito in velluto, con davanti tre putti che danzano allegramente reggendo nastri di seta trasparente. La particolare foggia del vestito, legata alla moda che si affermò in Italia dagli anni cinquanta del Quattrocento, permette di datare la tavola non anterioremente a quella data. Una finta allacciatura scende sul ventre e sul fianco, garantendo l'aderenza al busto, adattandosi all'uso anche durante la gravidanza: la veste aperta sul ventre infatti sembra alludere alla fertilità. La parte inferiore del dipinto, con i putti, è quella dove sono più evidenti i caratteri tipici dell'arte di Tura, con i volti fortemente espressivi, nel chiaroscuro incidente, nel ricco panneggio blu della veste della musa e nel dettaglio dei piedi che sporgono in scorcio oltre il gradino, un espediente appreso forse da Andrea Mantegna. Si è per questo ipotizzato che il quadro fosse stato avviato da Maccagnino nella parte superiore e poi completato da Tura. Il volto della donna è infatti dolce e dall'illuminazione convenzionale, con il busto impostato rigidamente. L'iscrizione alla base dello zoccolo ('EX DEO EST CHARITAS ET IPSA DEUS EST') ha fatto a lungo supporre che si trattasse di una raffigurazione della Carità, ma tale ipotesi appare smentita da una lettera datata 5 novembre 1447 in cui Guarino Veronese spiega al marchese il programma decorativo da lui ideato.
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### Titolo: Erato (Maccagnino). ### Introduzione: Erato è un dipinto tempera su tavola (123,5x72,1 cm) attribuito ad Angelo Maccagnino e a un collaboratore di Cosmè Tura, databile al 1450-1460 circa e conservato nella Pinacoteca nazionale di Ferrara. ### Descrizione e stile. La musa è ritratta su un ampio seggio marmoreo, improntato secondo una prospettiva grandangolare con punto di fuga ribassato. Come altre opere della serie, Erato, protettrice della poesia erotica, tiene in mano un rametto vegetale, in questo caso una rosa, ed ha un corpo longilineo, legato ai modi cortesi, che si fa più plastico nella parte inferiore, dove un ampio panneggio, fortemente chiaroscurato, dilata le proporzioni della figura. Lo stile è legato alla minuziosa descrizione dei dettagli, unita a effetti ottici di matrice fiamminga, con una razionalità prospettica 'toscana'. Il busto e il volto hanno un che di arcaico, con la loro frontalità e l'illuminazione frontale, attribuita al Maccagnino, mentre la parte inferiore viene in genere attribuita a una personalità vicina a Cosmè Tura. Molto originale è il piede con lo zoccoletto rosso semisfilato, che si protende in scorcio oltre il gradino del trono verso lo spettatore, secondo uno schema usato in quegli anni anche da Andrea Mantegna. Sulle estremità del trono in alto, sia a destra che a sinistra, sono appoggiati due abbeveratori per colombi, simbolo araldico di Borso che, con la loro funzione di far uscire l'acqua, ricorda anche le bonifiche estensi, le irrigazioni e, per allusione, la generosità del marchese che dispensa doni ai suoi sudditi. Sui bracci del trono si trovano poi delle colonne con capitelli corinzi, che alludono alla stabilità e all'albero della vita, un simbolo araldico già usato da Niccolò II e Niccolò III, che in seguito venne ripreso anche da Lionello abbinandolo a una vela.
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### Titolo: Urania (Anonimo ferrarese). ### Introduzione: Urania è un dipinto tempera su tavola (123,6x71,9 cm) attribuito a un anonimo pittore ferrarese, detto Secondo pittore dello studiolo di Belfiore, databile al 1450-1460 circa e conservato nella Pinacoteca nazionale di Ferrara. ### Descrizione e stile. La musa è ritratta su un ampio seggio marmoreo, improntato secondo una prospettiva con punto di fuga ribassato. Urania, protettrice dell'astronomia, tiene in mano un astrolabio in scorcio e con un vivace scatto si gira di lato per osservare il cielo. L'artista sconosciuto successe al pittore di corte Angelo Maccagnino e si distingue per uno stile più aggiornato, con una spazialità più chiara e realistica, un uso di colori tersi e limpidi, ben visibile nel trono, e un'attenzione al dettaglio intellettuale, come il libro accuratamente disposto sul bracciolo, che deriva dall'esempio di Piero della Francesca, presente a Ferrara nel 1458-1459. Originale è anche il panneggio, con un originale effetto bagnato. Sulle estremità superiori del trono, sia a destra sia a sinistra, sono rappresentati due unicorni, simboli araldici tra i più usati da Borso come simbolo di purezza. Esso è rappresentato sotto la palma di datteri, allusione all'Asia Minore, luogo di origine della leggenda della cattura dell'unicorno possibile solo per una vergine.
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### Titolo: San Floriano (Francesco del Cossa). ### Introduzione: San Floriano è un dipinto tempera a uovo e fondo oro su tavola (79×55 cm) di Francesco del Cossa, databile al 1472-1473 e conservato nella National Gallery of Art di Washington. L'opera era lo scomparto superiore sinistro del Polittico Griffoni. ### Descrizione e stile. San Floriano è raffigurato in piedi con la spada e un piede puntellati su un parapetto lapideo che fa da base al pannello. La diversa tipologia del fondo (oro rispetto al cielo e figure dei pannelli inferiori) aveva fatto dubitare che l'opera facesse parte del polittico, ma esso si riallaccerebbe dopotutto al piccolo Paradiso raffigurato in alto nel pannello centrale del San Vincenzo Ferrer. Floriano quindi, come anche Lucia, si troverebbe in una sorta di loggia paradisiaca da cui si affaccia per vedere la scena principale del polittico, con un gesto ben caratterizzato. Il santo tiene in mano una rosa rossa e il laccio che gli pende dal collo richiama il suo martirio, che avvenne per affogamento con una macina legata. La sua figura è solenne e maestosa, risentendo dell'influenza di Piero della Francesca, e grande attenzione è data alla resa anatomica e naturalistica del soggetto, come si vede nella morbida gestualità e nella resa delle mani. La spazialità è suggerita dalla posa prorompente, dall'ovale della cappa rossa e dal cerchio scorciato che disegna la linea ondulata del bordo del sottanino.
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### Titolo: Santa Lucia (Francesco del Cossa). ### Introduzione: Santa Lucia è un dipinto tempera a uovo e fondo oro su tavola (79×56 cm) di Francesco del Cossa, databile al 1472-1473 e conservato nella National Gallery of Art di Washington. L'opera era lo scomparto superiore destro del Polittico Griffoni. ### Descrizione e stile. Santa Lucia è raffigurata in piedi un piede sollevato su un parapetto lapideo che fa da base al pannello. La diversa tipologia del fondo (oro rispetto al cielo e figure dei pannelli inferiori) aveva fatto dubitare che l'opera facesse parte del polittico, ma esso si riallaccerebbe dopotutto al piccolo Paradiso raffigurato in alto nel pannello centrale del San Vincenzo Ferrer. Lucia quindi, come anche Floriano, si troverebbe in una sorta di loggia paradisiaca da cui si affaccia per vedere la scena principale del polittico, con un gesto ben caratterizzato. La santa tiene in mano la palma del martirio e i suoi occhi, con la suggestiva metafora di assimilarli a due boccioli che escono da uno stelo. La sua figura è solenne e maestosa, risentendo dell'influenza di Piero della Francesca, e grande attenzione è data alla resa anatomica e naturalistica del soggetto, come si vede nella morbida gestualità e nella resa delle mani, con il tipico gesto del mignolo alzato. Nell'incresparsi capriccioso del tessuto al collo si ritrovano echi più tipici della scuola ferrarese, in particolare di Cosmè Tura.
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### Titolo: Cappella Garganelli. ### Introduzione: La Cappella Garganelli si trovava nell'antica cattedrale di San Pietro a Bologna e conservava un prezioso ciclo di affreschi dei ferraresi Francesco del Cossa ed Ercole de' Roberti. Venne distrutta con la ricostruzione della chiesa nel 1601, per mano dell'architetto Pietro Fiorini. Oggi ne resta solo un frammento originale e alcuni frammenti di copie seicentesche. ### Descrizione e stile. L'idea che si può farsi degli affreschi della cappella è quella di un'opera altamente innovativa, improntata ad immagini realistiche e percorse da un dolore incontenibile. Su una parete si trovava la Crocifissione, ambientata sul Calvario tra un tumultuoso gruppo di giudei accorsi a vedere l'esecuzione. Ciascuno di essi era atteggiato a pose diverse, studiate attentamente, ed erano numerosi i dettagli espressivi presi dal vero e dalla lezione di Donatello a Padova, con scoppi di pianti, gesti di dolore e spavento. La Madonna era raffigurata nell'atto di svenire tra le pie donne, tra cui doveva trovarsi la Maddalena. San Giovanni era rappresentato nell'atto di fuggire. Longino era rappresentato a cavallo, con un'espressione dove si ravvisava l'empietà della sua condizione e il progressivo pentirsi del suo gesto, verso la conversione. Vi erano poi dei soldati che si giocavano la veste di Cristo, 'con modi bizzarri di volti et abbigliamenti di vestiti', mentre le croci dei ladroni erano in scorcio, così come un virtuosistico cavallo che scalciava, descritto da Vasari. Sulla parete opposta si trovava la Morte e transito della Vergine, con Maria sul catafalco circondata dagli apostoli e altre sei persone contemporanee quali testimoni, 'ritratte di naturale tanto bene, che quegli che le conobbero affermano che elle sono vivissime'. Qui vi era anche il ritratto del committente.
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### Titolo: Bruto e Porzia. ### Introduzione: Bruto e Porzia è un dipinto tempera su tavola (48,7x34,3 cm) di Ercole de' Roberti, databile al 1486-1490 circa e conservato nel Kimbell Art Museum di Fort Worth, Texas. ### Descrizione e stile. Il soggetto del dipinto è piuttosto raro e deriverebbe dagli Atti e detti memorabili degli antichi romani di Valerio Massimo. Porzia era la moglie di Marco Giunio Bruto, il cospiratore contro Giulio Cesare. Venuta a conoscenza della trama segreta del marito, essa lo minacciò di togliersi la vita se il piano fosse fallito. Per dimostrare la sua determinatezza si ferì il piede destro, sul quale il pittore raffigurò un taglietto sanguinante. Con l'uccisione del marito a Filippi, Porzia compì poi il suo voto e si uccise inghiottendo carboni ardenti. Il tema è quello della resistenza alla tirannia o alla sottomissione anche perdendo la propria vita ma mantenendo il proprio onore. La scena è ambientata davanti a un telo verde appeso a una pertica, che imita le opere di Giovanni Bellini, con un uso elegantissimo del colore brillante, che arriva ad effetti di virtuosismo nella veste cangiante di Porzia. Tipici dello stile dell'artista sono la forte caratterizzazione delle espressioni, soprattutto quella corrucciata di Bruto, e il panneggio dalla complessa pieghettatura, dove prevalgono linee spezzate e un'illuminazione incidente.
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### Titolo: Moglie di Asdrubale coi figli. ### Introduzione: La Moglie di Asdrubale coi figli è un dipinto tempera su tavola (47,3x30,6 cm) di Ercole de' Roberti, databile al 1490-1493 circa e conservato nella National Gallery of Art di Washington. ### Descrizione e stile. Il soggetto del dipinto è piuttosto raro e deriverebbe dagli Atti e detti memorabili degli antichi romani di Valerio Massimo. Durante la Battaglia di Cartagine (146 a.C.), Scipione, per risparmiare alle sue truppe la guerriglia dentro la città, emanò un bando che prometteva salva la vita a chi si arrendeva e usciva disarmato dall'acropoli. Accettarono la sconfitta circa 50.000 persone fra cui il capo: Asdrubale. Dalle mura della cittadella la moglie di Asdrubale, fra sanguinose ingiurie e maledizioni al marito, gridò una preghiera a Scipione di punire il codardo, salì al tempio incendiato, sgozzò i figli e, come l'antica regina Didone, si lanciò fra le fiamme. Il tema è quello della resistenza alla tirannia o alla sottomissione anche perdendo la propria vita ma mantenendo il proprio onore. La scena è ambientata davanti a un telo rosso appeso a una pertica, che imita le opere di Giovanni Bellini, con un uso elegantissimo del colore brillante. Tipici dello stile dell'artista sono la forte caratterizzazione delle espressioni e dei movimenti concitati, che compongono il gruppo della donna e dei due figli, tenuti per la mano mentre si contorcono tra le rovine della città.
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### Titolo: Crocifissione (Antonello da Messina Anversa). ### Introduzione: La Crocifissione è un dipinto olio su tavola di tiglio (59,7×42,5 cm) di Antonello da Messina, datato al 1475 e conservato nel Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa. ### Descrizione e stile. La croce di Gesù campeggia al centro della composizione, secondo le forme canoniche delle Crocifissioni, mentre ai lati si trovano i due ladroni crocifissi su rami tortuosi, che fanno assumere loro posizioni contorte stridenti con la silente compostezza del Cristo. In primo piano si trovano i dolenti, Maria e san Giovanni, colti in un momento di preghiera e di composto dolore. Attorno ad essi si trovano numerosi dettagli simbolici, come i teschi, il gufo, le serpi, tutti oscuri presagi di morte. Lo sfondo è composto da un paesaggio popolato da numerosi animali e tracce della presenza umana, come rovine antiche e un castello, il tutto caratterizzato da un grande specchio d'acqua che si perde in lontananza. Recenti studi orografici effettuati nel 2010, mettendo a confronto con la tecnica della sovrapposizione le colline del quadro col paesaggio reale, hanno dimostrato che il paesaggio ritratto nell'opera è probabilmente il panorama dello stretto di Messina visto dalle colline della valle del torrente Camaro. Altri dettagli sono riconducibili alla città dello stretto, come il castello Mata-Grifone (oggi detto sacrario di Cristo Re).Il dipinto é datato e firmato 1475.Rappresenta l'estremo lembo di Sicilia che guarda la Calabria. Oltre il braccio di mare si vede il profilo dell'Aspromonte e si intravedono colline punteggiate da agrumi L'iconografia proviene da un modello nordico, con un'apertura parziale al paesaggio di tipo veneto che si paleserà meglio in opere immediatamente successive, come la Crocifissione di Londra. I personaggi risultano attivi nella scena e l'uso dei dettagli è più curato e, per certi versi, distraente.
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### Titolo: Miracolo della Croce caduta nel canale di San Lorenzo. ### Introduzione: Il Miracolo della Croce caduta nel canale di San Lorenzo è un dipinto tempera su tela (323x430 cm) di Gentile Bellini, databile al 1500 e conservato nelle Gallerie dell'Accademia a Venezia. ### Descrizione e stile. La scena è considerata tra i primissimi esempi di vedutismo veneziano, con un ampio angolo visuale che permette di osservare la precisa rappresentazione del canale e delle fondamente. I personaggi della scena sono rappresentati con cura meticolosa, abbastanza grandi per contenere ritratti e per individuare con cura i vari dettagli dal loro status sociale, quali abiti e accessori. Manca la rappresentazione drammatica dell'azione, mentre tutto concorre a fornire una cronaca precisa dell'avvenimento, con i particolari architettonici e coloristici dei palazzi e delle case molto curati. Tra le figure riconoscibili ci sono Caterina Cornaro, regina di Cipro, che è la prima tra le donne inginocchiate a sinistra, mentre il gruppo di gentiluomini è forse un gruppo familiare dei Bellini, in cui Gentile incluse un suo autoritratto e un ritratto del fratello Giovanni. Il centro della rappresentazione è il ponte di San Lorenzo, pieno di persone che guardano verso il canale dove è caduta la reliquia. Anche la fondamenta è piena di persone e stanno accorrendo sul posto alcune gondole. Alcuni uomini si sono tuffati e una donna, sulla destra, sta spedendo il proprio schiavo nero a fare altrettanto, ma il Guardian Grando ha già afferrato la reliquia e 'veleggia' senza sforzo apparente verso la riva. Lo sfondo è composto dagli edifici dell'epoca, vivacemente policromati e con i tipici camini a tronco di cono rovesciato. La spazialità degli edifici non è organica, ma costruita a blocchi separati, senza un punto di fuga unico. Mancando un centro della rappresentazione, l'occhio dello spettatore è incitato a vagare da un gruppo all'altro, da un dettaglio all'altro. Lo stile della pittura è quello tipico di Gentile: una linea asciutta demarca i soggetti, entro la quale il colore è steso in maniera neutra, che ha come effetto la cristallizzazione del dato reale.
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### Titolo: Polittico di Zara. ### Introduzione: Il Polittico di Zara è una serie di dipinti eseguiti con la tecnica dell' olio su tavola da Vittore Carpaccio. Databile al 1480-1490 circa, si trova nel Museo d'arte Sacra della cattedrale di Sant'Anastasia a Zara. L'opera viene in genere indicata una delle primissime nel percorso artistico del pittore. ### Descrizione e stile. Il polittico, composto da sei pannelli principali su due ordini, mostra al centro San Martino e il povero (112x72 cm) e San Girolamo e il donatore. L'opera, della fase giovanile dell'artista, mostra attinenza con la prima opera datata, l'Arrivo dei pellegrini a Colonia (1490) delle Storie di sant'Orsola, come il trattamento di alcuni dettagli del paesaggio, e una certa ruvidezza che tradisce un impaccio giovanile. Il pittore tentò un accordo tra figure e sfondo attraverso la luce, di ascendenza antonelliana, legata a un uso naturale del colore, come Giovanni Bellini. Le figure grandeggiano sullo sfondo di colline petrose, senza una gestione unitaria dello spazio legata alle regole della prospettiva, ma piuttosto organizzata per blocchi separati, come avveniva nelle opere di Gentile Bellini.
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### Titolo: Miracolo della Croce a Rialto. ### Introduzione: Il Miracolo della Croce a Rialto (o Guarigione dell'ossesso) è un telero (tempera su tela, 365x389 cm) di Vittore Carpaccio, databile al 1494 e conservato nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia. Si tratta forse del primo episodio dipinto per la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. ### Descrizione e stile. La scena mostra il miracolo della guarigione di un ossesso per mezzo della reliquia della Croce imposta dal Patriarca di Grado Francesco Querini, avvenuta nel Palazzo a San Silvestro sul Canal Grande vicino a Rialto. La scena è composta con un taglio asimmetrico, con le figure in primo piano a sinistra e subito dietro le facciate dei palazzi in scorcio, che seguono il corso del canale, irte di comignoli che si stagliano contro il cielo. L'evento miracoloso si trova relegato nell'ariosa loggia in alto a sinistra, mentre gran parte della tela è messo a disposizione della veduta urbana brulicante di vita. Dal gruppo di personaggi sotto la loggia in primo piano parte una linea obliqua che segue l'attuale Rive del Vin fino al Ponte di Rialto. Su questa via si allineano una serie di passanti, che sembrano integrarsi con il drappello finale della processione religiosa che segue la reliquia, nel quale si riconoscono vari confratelli reggenti ceri e uno stendardo. Si vede la loggia lignea frequentata dagli avventori del Mercato di Rialto. Appesa, poco a sinistra dello stendardo, si vede l'insegna dell'albergo dello Storione. Il ponte, come è noto, era anticamente ligneo e la tela mostra l'aspetto che aveva prima del crollo dell'agosto 1524. Accoglieva, come la versione in pietra odierna (ricostruita nel 1591), una doppia fila di botteghe lungo i lati, e sulla sommità aveva una passerella alzabile per lasciar passare i vascelli più alti, che attraversavano il Canal Grande carichi di merci destinate ai numerosi fondachi e magazzini della zona. A destra si vede la forma quattrocentesca del Fondaco dei Tedeschi, distrutto da un incendio nel gennaio 1505 e ricostruito già nel 1508. Si riconoscono inoltre il campanile di San Giovanni Crisostomo, il porticato a filo d'acqua della Ca' da Mosto, il campanile dei Santi Apostoli prima del rifacimento del 1672. Altrettanto puntuale come la resa topografica è la descrizione delle attività umane che vi si svolgono. Le gondole private, adibite a traghetto, solcano il Canal Grande, mentre numerosi stranieri, in vesti orientali, passeggiano per la zona. Tra i notabili in primo piano si riconoscono quelli vestiti con i simboli delle Compagnie della Calza, che conversano sotto la loggia. Dappertutto fervono le occupazioni quotidiane: dalle donne, che battono i tappeti e mettono la biancheria ad asciugare, ai bottai che sciacquano i recipienti per il vino, fino ai muratori che stanno rinnovando le tegole sui tetti. La luce vibra liberamente su tutti i dettagli, generando quella particolare atmosfera in cui sembra che l'aria circoli liberamente. Straordinaria è la capacità di mantenere un'unità ambientale integra riuscendo al tempo stesso a concentrarsi nei più minuti particolari: si tratta della migliore verità ottica veneziana, che non avrà rivali fino ai tempi del Canaletto. Ciò si evince soprattutto confrontando l'opera con altre della serie della Vera Croce, come la Processione in piazza San Marco di Gentile Bellini: in quest'ultima la fedeltà della veduta è cristallizzata in colori smaltati di gusto arcaico, privi di quel connettivo luminoso che rende la scena come priva d'aria.
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### Titolo: Storie della Vergine (Carpaccio). ### Introduzione: Le Storie della Vergine sono un ciclo di teleri di Vittore Carpaccio, dipinto tra il 1504 e il 1508 e oggi diviso tra più musei. Decorava anticamente la sala dell'Albergo nella Scuola di Santa Maria degli Albanesi a Venezia. ### Descrizione e stile. Le Storie della Vergine vennero dipinte soprattutto a olio (qualcuna a tecnica mista) su grandi (ma non grandissimi) teleri. Vennero scelti episodi tradizionali, dall'iconografia ormai ben radicata. Essi sono:. Natività della Vergine, 128×137 cm, Bergamo, Accademia Carrara. Presentazione della Vergine al Tempio, 1505, 130 × 137 cm, Milano, Pinacoteca di Brera. Miracolo della verga fiorita (o Sposalizio della Vergine), 1505, 130 × 140 cm, Milano, Pinacoteca di Brera. Annunciazione, 130 × 140 cm, 1504, Venezia, Galleria Franchetti alla Ca' d'Oro. Visitazione, 130 × 140 cm, Venezia, Galleria Franchetti alla Ca' d'Oro. Morte della Vergine, 130 × 141 cm, Venezia, Galleria Franchetti alla Ca' d'OroIl ciclo segnò un crollo qualitativo rispetto alle opere precedenti, dove l'artista aveva invece raggiunto il culmine della propria poetica artistica. In generale l'inventiva e la tenuta coloristica di questo ciclo sono più povere e ciò è da imputare sia al livello più mediocre dei collaboratori, che al minor impegno richiesto dalla confraternita, ma soprattutto alle difficoltà dell'artista di rinnovarsi di fronte alla rivoluzione innescata da Giorgione. La crisi di Carpaccio, visibile anche negli ultimi teleri per la Scuola degli Schiavoni, portò a isolarlo nel contesto artistico della città lagunare, costringendolo, negli anni successivi, a lavorare in provincia, dove il suo stile attardato trovava ancora estimatori. Il motivo di maggior interesse del ciclo è da ricercare piuttosto nella minuta descrizione dei particolari, alcuni di originale freschezza, in cui si può spesso cogliere brani autentici della vita veneziana dell'epoca, mischiati ad elementi esotici e oggetti di pura fantasia. Tipici della produzione del pittore sono poi e l'inserimento di figure di animali simbolici che si riferiscono alle virtù di Maria.
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### Titolo: Leone di San Marco (Carpaccio). ### Introduzione: Il Leone di San Marco è un dipinto tempera su tela (130x368 cm) di Vittore Carpaccio, datato 1516 e conservato a Palazzo Ducale a Venezia. ### Descrizione e stile. Il vigoroso leone di San Marco, simbolo di Venezia e della Repubblica, è raffigurato in tutta la sua maestosità con le ali e l'aureola, mentre guarda lo spettatore e tiene con la branca destra un libro aperto con l'iscrizione tradizionale PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEVS. Le zampe posteriori sono nell'acqua e quelle anteriori sulla terraferma, evidente richiamo alla politica ambivalente della Serenissima in quegli anni, ormai orientata a espandersi sulla terraferma. Il suo superbo e trionfante isolamento è bilanciato, sullo sfondo, da un'attenta veduta dalla laguna veneta, esplorata con precisione lenticolare. Si riconoscono San Nicolò al Lido, Palazzo Ducale, la Basilica di San Marco, il Campanile, le colonne di San Marco e San Todaro, la Piazzetta e la Torre dell'orologio. Più a destra si vedono i velieri che sospinti dal vento documentano l'operosità del porto.
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### Titolo: Educazione di Pan. ### Introduzione: L'Educazione di Pan è un dipinto perduto (tempera su tela 194x257 cm) di Luca Signorelli, databile al 1490 circa e già conservato nel Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino e rimasto distrutto nell'Incendio della Flakturm Friedrichshain. ### Descrizione e stile. Il tema mitologico legato all'educazione del dio Pan è modellato sullo schema della sacra conversazione, con la figura centrale su un trono che 'dialoga' con alcune figure tutt'attorno. Pan, divinità etrusca portatrice di pace e armonia campestre, era incarnata, secondo i poeti di corte, nella stessa famiglia Medici, mentre gli altri personaggi alludono a vari temi filosofici dell'Accademia neoplatonica, in cui i miti antichi sono ripresi in chiave filosofica e cristiana. Gli anziani ad esempio rappresentano la saggezza derivata dall'esperienza e la meditazione, la fanciulla a sinistra è un simbolo di bellezza e perfezione, e i musici ricordano la trasposizione delle armonie naturali in armonie musicali grazie all'attività della mente. Il modello degli ignudi, soprattutto il vecchio col bastone e il giovane sdraiato, è ripreso dal gruppo degli Adamiti nella lunetta della Morte di Adamo di Piero della Francesca ad Arezzo. Scarpellini parlò del 'più importante documento figurato dell'entourage neoplatonico, di quella raffinata compagnia che si univa nella villa di Careggi come in un circolo privato'.
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### Titolo: La voce dei venti. ### Introduzione: La voce dei venti (La voix des airs) è un'opera di René Magritte realizzata con colori a olio e conservata nella Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. ### Descrizione. Vi sono rappresentati tre grandi sonagli sospesi nel cielo, il tutto inserito in un paesaggio raffigurante un prato sul cui orizzonte si scorge una striscia di mare. Tutto il paesaggio è molto tranquillo, quasi surreale. ### Stile. I colori sono freddi e chiari. I tre sonagli sono sproporzionati rispetto al paesaggio e alla realtà. È presente l'uso della prospettiva aerea, già usata da Leonardo Da Vinci. Lo spazio è rappresentato in maniera fotografica, l'orizzonte è molto basso, e i sonagli occupano metà dell'opera. In quest'opera si possono riconoscere alcuni degli aspetti tipici dell'opera di Magritte, come lo sproporzionare gli oggetti ed inserirli in un contesto reale (vedi I principi dell'autunno), oppure il far fluttuare oggetti apparentemente pesantissimi (vedi Il castello dei Pirenei).
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### Titolo: Madonna col Bambino in trono e due angeli (Maestro del Bigallo). ### Introduzione: La Madonna col Bambino in trono e due angeli (o Madonna Bardini) è un dipinto tempera su tavola del Maestro del Bigallo, databile al 1230 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. L'opera, in buono stato di conservazione, è tra le migliori dell'anonimo artista, uno dei primi maestri di pittura italiani di cui è stato possibile tracciare un catalogo di opere, ed è molto significativa della pittura fiorentina nella prima metà del Duecento. La Vergine troneggia sporgendo con la testa e l'aureola oltre i confini della tavola rettangolare, come tipico nelle opere dell'epoca. Maria è raffigurata su un trono stilizzato, composto da più strati bombati e da un cuscino rosso, e tiene in braccio il Bambino benedicente; i piedi sono poggiati su una pedana rozzamente scorciata; come tipico, due piccoli angeli simmetrici in volo riempiono i due angoli ai lati delle spalle della Vergine. Il manto è rosso ed è avvolto con pesanti pieghe del panneggio, sviluppato in maniera geometrica e piatta, con sfumature date da strisce di colore. Alle gambe spunta la veste azzurra con puntini dorati, pure organizzata in pieghe stilizzate che suggeriscono, con una certa libertà, la forma delle ginocchia sottostanti. Le forme tendono a dilatarsi, dando al gruppo sacro il tono di una solenne e maestosa raffigurazione, distaccata come suggerisce anche la leggera deviazione in tralice dello sguardo, tipica dell'artista. Il Bambino fa uscire il braccio dal mantello candido, con un gesto che è ripreso dalla Madonna di Rovezzano (Firenze, chiesa di Sant'Andrea a Rovezzano), ritenuta la più antica opera di scuola fiorentina pervenutaci, anche se il Maestro del Bigallo addolcì il gesto in maniera più accattivante, facendo spuntare il gomito sotto la fascia che arriva fino al collo.
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### Titolo: Giovane introdotto tra le Arti Liberali. ### Introduzione: Giovane introdotto tra le Arti Liberali è un affresco staccato (237×269 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1486 circa e conservato nel Museo del Louvre di Parigi. Con Venere e le tre Grazie offrono doni a una giovane forma il ciclo di villa Lemmi Tornabuoni, residenza suburbana presso Firenze, del quale fa parte anche un affresco frammentario ancora in sede. ### Descrizione e stile. In un giardino, come fanno pensare gli alberi sullo sfondo, un giovane, forse Lorenzo Tornabuoni, viene presentato dalla Grammatica alla Prudenza e alle altre Arti Liberali, ciascuno col suo attributo: la retorica con il rotolo, la dialettica con uno scorpione tra le mani (di solito ha un serpente), l'aritmetica con un foglio forato, la geometria con una squadra, l'astronomia con una sfera armillare, la musica con un organo portativo. Secondo Wikimedia Commons, tuttavia ([1]), a presentare il giovane sarebbe Venere o Minerva [ma perché non la Filosofia, che nel Medioevo era colei che “nutriva” le arti liberali?] e le Arti, tutte sedute, sarebbero la Grammatica, la Dialettica (Logic), la Retorica, l’Aritmetica, la Geometria, l’Astronomia e la Musica. La scena, impregnata di tematiche legate all'Accademia neoplatonica, si svolge di notte, forse perché secondo la letteratura medioevale, compreso anche Dante, gli incontri tra uomini e figure allegoriche o mitologiche possono avvenire solo in sogno. A sinistra in basso un putto doveva reggere uno stemma scomparso, dove forse si trovava l'arme dei Tornabuoni o degli Albizi, eliminata probabilmente dai successivi proprietari della villa. Il disegno è armonico, delicato; le linee sono più statiche della scena con Venere, ma comunque eleganti e creano da una figura all'altra dei giochi decorativi, sinuosi e aggraziati. Innegabile è la ricerca di bellezza ideale e armonia, che si attua nel ricorso in via preferenziale al disegno e alla linea di contorno (derivato dall'esempio di Filippo Lippi). In ogni caso l'attenzione al disegno non si risolve mai in effetti puramente decorativi, ma mantiene un riguardo verso la volumetria e la resa veritiera dei vari materiali, soprattutto nelle stoffe delle vesti. Il colore chiaro e nitido, derivato dalla particolare tecnica dell'affresco, intride di luce le figure, facendone risaltare la purezza penetrante della bellezza. Tipica dell'artista è la vena leggermente malinconica, ma serena, che serpeggia negli sguardi.
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### Titolo: Crocifissione tra Maria e san Francesco. ### Introduzione: La Crocifissione tra Maria e san Francesco era un dipinto di Filippino Lippi su tavola (186x179 cm), databile al 1500 circa e già conservato negli Staatliche Museen di Berlino, distrutto nell'Incendio della Flakturm Friedrichshain durante la seconda guerra mondiale. ### Descrizione e stile. L'arcaizzante fondo oro della pala è stato messo in relazione con le richieste del committente che doveva essere un sostenitore di Girolamo Savonarola. A ciò rimandano anche i numerosi teschi e ossa sparsi sul pavimento e l'ascetico tono dei santi, tra cui spiccavano proprio i due nei pannelli laterali. Gesù crocifisso è rappresentato in posizione pateticamente inarcata, riprodotta tra l'altro in un piccolo Crocifisso a Prato. Ai lati si trovano Maria orante e san Francesco inginocchiato con in mano un crocifisso e con le stimmate ben visibili. Ai lati della Croce volano angeli che raccolgono il sangue di Cristo, secondo un'iconografia medievale molto diffusa. I nastri svolazzanti di alcuni di essi invece sono tipici di Filippino e si ritrovano in molte delle sue opere della maturità.
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### Titolo: Battesimo di Cristo (Cima da Conegliano). ### Introduzione: Il Battesimo di Cristo è un dipinto olio su tavola (350x210 cm) di Cima da Conegliano, databile al 1492 e conservata nella Chiesa di San Giovanni in Bragora a Venezia. ### Descrizione. Questo dipinto raffigura al centro della scena il Cristo in posizione eretta con le mani giunte ed in atteggiamento di umile sottomissione al battesimo e leggermente inclinato a destra verso san Giovanni Battista in procinto di battezzarlo. Sulla sinistra del dipinto tre angeli intenti a porgere a Cristo gli abiti di colore blu e rosso con cui dovrà rivestirsi dopo il battesimo. In alto sopra la scena i Cori angelici. Il dipinto venne restaurato da Domenico Maggiotto nel 1781, restauro che ottenne però molte critiche.
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### Titolo: Miracolo della neve (Perugino). ### Introduzione: Il Miracolo della neve è un dipinto a tempera su tavola (18,7x40 cm) di Pietro Perugino, databile al 1472 circa e conservato a Polesden Lacey, villa presso Great Bookham, villaggio non lontano da Guildford, cittadina del Surrey. Faceva originariamente parte della predella di una perduta pala d'altare dedicata alla Vergine, della quale faceva parte anche la Nascita della Vergine oggi alla Walker Art Gallery di Liverpool. ### Descrizione e stile. La scena è inquadrata in una cornice ovale in finto-marmo rosso e bianco. In alto, entro un nimbo luminoso, la Vergine Maria apre le braccia per far miracolosamente nevicare in agosto sulla città di Roma, dove i fiocchi di neve disegnano la pianta di una chiesa (Santa Maria Maggiore), che papa Liberio si appresta a fondare con una zappa in mano, circondato da una folla di curiosi. L'iconografia del dipinto è tradizionale (si veda ad esempio la Fondazione di Santa Maria Maggiore di Masolino del 1423-1428 circa), ma Perugino, in accordo col clima fiorentino dell'epoca, accentuò gli edifici classici sullo sfondo, ricostruendo un ideale della Roma del IV secolo, dove si vedono templi, portici e una colonna onoraria. Rispetto al pannello della Natività, la pittura sembra più convenzionale, con le pieghe dei panneggi più semplici e senza quei ricercati effetti di luce ed ombra che permetteva il soggetto sospeso tra la rappresentazione di un interno e un esterno contemporaneamente. L'intonazione è invece analoga, impostata a un sentimento calmo e silenzioso, con l'elegante processione dei personaggi dai gesti aggraziati.
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### Titolo: San Sebastiano (Perugino Stoccolma). ### Introduzione: San Sebastiano è un dipinto a olio su tavola (174x88 cm) di Pietro Perugino, databile al 1490 circa e conservato nel Nationalmuseum di Stoccolma. ### Descrizione e stile. Il martirio di san Sebastiano, militare romano condannato per via della sua fede cristiana alla crivellatura di frecce, avviene all'aperto, in un delicato paesaggio dove sono descritte con minuzia varie specie vegetali, tra cui un giglio bianco in primo piano, simbolo di purezza. Il santo, che assomiglia molto a quello di Cerqueto, è ritratto nella variante delle braccia alzate, legate al tronco di un albero, con le gambe incrociate che creano un suggestivo effetto di profondità spaziale. Il giovane è efebico, a differenza delle altre versioni del soggetto come quella al Louvre, caratterizzata dalla classica fisicità di una statua, ed è caratterizzato da quel tono di malinconia languida sottolineato dallo sguardo rivolto teatralmente al cielo, con un'espressione di sopportazione che esula qualsiasi senso del dolore del martirio, che d'altronde è appena accennato dalla freccia seminascosta che Sebastiano ha nel fianco sinistro. L'illuminazione è chiara e dolcemente soffusa, sia nel paesaggio, che schiarisce verso l'orizzonte secondo l'esempio fiammingo filtrato dai fiorentini, sia nel modellato del corpo, reso con un'attenzione anatomica di grande realismo.
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### Titolo: Madonna col Bambino tra santa Caterina d'Alessandria e una santa. ### Introduzione: La Madonna col Bambino tra santa Caterina d'Alessandria e una santa è un dipinto a olio su tavola (86,5x63 cm) di Pietro Perugino, databile al 1493 e conservata nel Kunsthistorisches Museum a Vienna. ### Descrizione e stile. L'opera è stata tratta da un cartone usato per varie Madonne, tra cui quella del Louvre, con poche varianti, e quella di Francoforte, rovesciata. Ne esiste poi una copia, da alcuni ritenuta di bottega, da altri autografa, nella Galleria Palatina di Firenze, con lievi differenze. Su uno sfondo di un cielo azzurrino la Madonna tiene in braccio il Bambino, con lo sguardo rivolto allo spettatore. Il Bambino è in posizione benedicente, ma evita lo sguardo dello spettatore, che è guardato invece da santa Caterina d'Alessandria a destra, reggente in mano la palma del martirio. A sinistra si trova invece una santa non identificabile, forse santa Rosa o Maria Maddalena, che abbassa gli occhi in una silenziosa contemplazione religiosa. La scena è impostata secondo uno schema pacato e piacevole, ordinato dalle regole della simmetria e delle rispondenze ritmiche, come si nota nelle inclinazioni delle teste. Il volto della Madonna è tipico della produzione matura del pittore: raffigura infatti una donna semplice e severa di età più avanzata, modellato sull'effigie di sua moglie Chiara Fancelli, al posto dell'elegante e raffinata giovinetta delle opere più giovanili; ciò dopotutto era anche più in linea con il clima spirituale savonaroliano, allora molto sentito a Firenze.
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### Titolo: Endimione dormiente. ### Introduzione: L'Endimione dormiente della Galleria nazionale di Parma è un dipinto datato 1505-1510 a olio su tavola (24,8x25,4 cm) di Cima da Conegliano. ### Descrizione. L'opera si rifà a un tema molto comune nella cultura Rinascimentale. Il soggetto ripreso dalle Eroidi di Ovidio descrive il giovane Endimione addormentato mentre viene visitato da Diana - Selene, raffigurata dalla falce di luna al centro della composizione; sulla destra è rappresentato un cervo dormiente, animale sacro alla dea.
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### Titolo: Madonna col Bambino in trono tra i santi Giovanni Battista e Maria Maddalena. ### Introduzione: La Sacra Conversazione (Madonna col Bambino in trono tra i santi Giovan Battista e Maria Maddalena) è un dipinto a olio su tavola (170x110cm) di Cima da Conegliano, databile al 1511-1513. Conservato nella Museo del Louvre di Parigi, proviene dalla chiesa del convento di San Domenico nella città di Parma. Nel 1811, i napoleonici sequestrarono la Madonna in trono con santi di Cima di Conegliano e la spedirono come trofeo della conquista del Ducato di Parma al Musee Napoleon. Rimase al Louvre dopo il congresso di Vienna. ### Descrizione. Questo dipinto raffigura al centro la Madonna col Bambino, a sinistra san Giovanni Battista con la scritta Ecce agnus Dei ('Ecco l'Agnello di Dio', Gv 1, 29.36) e sulla destra santa Maria Maddalena.
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### Titolo: San Girolamo nel deserto (Cima da Conegliano Londra). ### Introduzione: San Girolamo nel deserto è un dipinto a olio su tavola (32,1x25,4 cm) di Cima da Conegliano, databile fra il 1500 e il 1510 e conservato nella National Gallery di Londra. L'ispirazione principale per i penitenti cristiani e per gli eremiti, è rappresentata da San Girolamo nel deserto che battendosi il petto con una pietra contempla una croce di legno. ### Descrizione. Il dipinto rappresenta San Girolamo con una pietra nella mano destra per percuotersi il petto, rivolto verso la croce in legno che contempla.
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### Titolo: Ritratto di Margherita. ### Introduzione: Ritratto di Margherita è un dipinto a olio su tela (73 x50 cm) realizzato nel 1916 dal pittore italiano Amedeo Modigliani. Fa parte della collezione di N. H. Abrams a New York. ### Descrizione. Osservando il quadro, l'immagine che risalta subito all'occhio, in primo piano, è una donna seduta di fianco. Gli occhi fissano il 'vuoto' e ci trasmettono uno sguardo pensoso. I capelli sono lisci e scuri, di un colore che si avvicina al nero e non sono molto lunghi, arrivano al collo. Sotto i capelli si intravedono delle ciglia sottili, con due occhi grandi di colore castano intenso. Un naso ben pronunciato, delle labbra rosse, di un rosso molto 'forte' e un collo slanciato. L'abito che indossa, un vestito di colore bianco, ci fa capire che ella è nella sua abitazione. Sullo sfondo, invece, troviamo delle pareti di un colore marroncino che ci fanno presumere che la donna sia in una stanza.
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### Titolo: Poveri in riva al mare. ### Introduzione: Poveri in riva al mare (Des pauvres au bord de la mer), noto anche come La tragedia, è un dipinto a olio su tavola realizzato nel 1903 da Pablo Picasso. È conservato a Washington, nella National Gallery of Art. ### Descrizione. Appartiene ad una fase della produzione di Picasso che la critica definisce periodo blu (1901-1904). Il dipinto raffigura una famiglia di poveri in riva al mare. Le tre figure rappresentate sono caratterizzate dall'essenzialità, che è resa anche attraverso il colore, infatti la tavolozza è quasi monocroma e si riduce ai toni del blu. I tre personaggi, scalzi e infreddoliti, alludono alla Sacra Famiglia e riflettono un senso di malinconia e di chiusura nella loro silenziosa disperazione. Come nelle altre opere di questo periodo, il tema principale è l'incomunicabilità, infatti i personaggi sono incapaci di relazionarsi fra loro e hanno un aspetto miserabile.Ciononostante, gli individui campeggiano per la loro maestosa dignità. In particolar modo, l'austera figura della madre ritratta di spalle, rinvia alla salda resa volumetrica del modellato anatomico dei corpi di alcune figure giottesche. Malgrado l'utilizzo della tavolozza pressoché monocroma, Picasso riesce a separare nettamente i tre elementi costitutivi dell'universo: l'acqua (il mare), l'aria (il cielo) e la terra (la spiaggia). Si possono in questo modo distinguere tre geometriche fasce orizzontali che sono in contrasto con i tre personaggi in primo piano, concorrendo a mettere in risalto la loro emarginazione, rimarcando così il loro intimo e silenzioso dolore.
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### Titolo: San Girolamo nel deserto (Cima da Conegliano Harewood). ### Introduzione: San Girolamo nel deserto è un dipinto a olio su tavola di Cima da Conegliano, databile fra il 1500 e il 1510 e conservato nella Harewood House vicino a Leeds in Inghilterra. Colpisce molto la somiglianza di quest'opera con il San Girolamo nel deserto conservato presso il Museo di belle arti di Budapest. ### Descrizione. Il dipinto rappresenta al centro San Girolamo con una pietra nella mano destra per percuotersi il petto, con la mano sinistra regge una croce in legno che contempla.
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### Titolo: Sant'Elena e Costantino ai lati della croce. ### Introduzione: Sant'Elena e Costantino ai lati della Croce e predella con episodi della Leggenda della Vera Croce è un dipinto olio su tavola di Cima da Conegliano, databile al 1501-1503 e conservata a San Giovanni in Bragora a Venezia. ### Descrizione. Il dipinto è databile tra il febbraio 1501 e l'aprile 1503 come attesta una serie di pagamenti versati all'artista in tale periodo per la sua esecuzione. Venne realizzato per decorare l'altare della croce che conservava una reliquia del sacro legno, altare che venne distrutto in epoca settecentesca comportando altresì la perdita della cornice lignea originale del dipinto. La struttura simmetrica è determinata dalla croce centrale ai cui lati si dispongono l'imperatore Costantino e la madre Elena. Le figure sono descritte con il consueto nitore plastico e con una particolare attenzione ai dettagli degli abiti connessa all'elevato censo degli effigiati. Come rilevato dalla critica, l'immagine di Costantino sembra ispirarsi alle sculture di uomini d'armi che compaiono nel monumento funebre di Gabriele Vendramin (Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia) opera di Tullio Lombardo, mentre la posa di Elena richiama quella di Longino nella stampa di Andrea Mantegna con Cristo tra Sant'Andrea e San Longino (Amsterdam, Rijksmuseum). Nel paesaggio di città sullo sfondo è stato riconosciuto un riferimento alla nativa Conegliano. Nella predella tripartita, scene affollate di figure che raccontano gli episodi più significativi legati al ritrovamento della croce di Cristo; la qualità appare più bassa, complice anche la loro mediocre condizione conservativa.
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### Titolo: La riproduzione vietata. ### Introduzione: La reproduction interdite, in italiano La riproduzione vietata, è un dipinto del pittore surrealista belga René Magritte, realizzato nel 1937. È di proprietà del Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, in Olanda.Questo dipinto fu commissionato dall'eccentrico e facoltoso poeta inglese Edward James, promotore del movimento surrealista e, all'epoca, mecenate di Magritte, ed è considerato un ritratto di James, anche se il suo volto non viene raffigurato. Il dipinto faceva parte di una triplice serie creata da Magritte per la sala da ballo della casa londinese di James; le altre due opere coinvolte erano Il modello rosso (titolo originale Le modèle rouge III, sempre del 1937) e Il tempo trafitto (titolo originale La Durée poignardée, del 1938). ### Descrizione. Sulla tela è ritratto un uomo elegantemente vestito, presumibilmente giovane, che vediamo solo di spalle e che si guarda allo specchio. Lo specchio, tuttavia, non riflette il suo volto ma la sua nuca e il resto del corpo, fino a metà dorso, posteriormente: in pratica, è come se l'uomo fosse visto due volte di schiena, una mentre si specchia e l'altra mentre la sua immagine riflessa guarda nella stessa direzione, sempre contraria all'osservatore, all'interno dello specchio. L'immagine riprodotta dalla superficie riflettente è la copia esatta dell'uomo in prospettiva, ovviamente un po' più piccola. Solamente un'altra figura si vede riflessa ed è un libro: poggiato su una mensola marmorea (forse di un camino, ma il dipinto si interrompe prima di poterlo appurare) e messo in modo che si vedano solo la costa e la copertina, esso è una copia logora del romanzo di Edgar Allan Poe Storia di Arthur Gordon Pym (nel ritratto il titolo è riportato tradotto in francese come Les aventures d'Arthur Gordon Pym e si nota che la traduzione è a cura di Charles Baudelaire), il cui protagonista, dopo numerose avventure, si spinge fino alla fine del mondo, dove incontra una misteriosa, gigantesca e inquietante figura bianca avvolta in un sudario. La scelta del libro e di uno dal finale così enigmatico si spiega col fatto che Poe era uno degli autori preferiti di Magritte: il pittore belga farà altri riferimenti e citazioni all'autore statunitense in diverse opere lungo la sua carriera, come, ad esempio, nel dipinto Il dominio di Arnheim (titolo originale Le domaine d'Arnheim), il cui titolo è tratto dall'omonimo racconto di Poe. Caratteristica curiosa del dipinto è che, a differenza dell'uomo, il libro si specchia correttamente.
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### Titolo: Soffitto dei Semidei. ### Introduzione: Il Soffitto dei Semidei è un'opera di Pinturicchio, databile al 1490 e conservata nel salone dell'ala destra del palazzo dei Penitenzieri a Roma. Si tratta di 63 lacunari ottagonali lignei dorati e decorati con altrettante figure allegoriche e mitologiche dipinte su un finto sfondo di mosaici d'oro, su carta applicata sul legno. ### Descrizione e stile. Il repertorio che compone la decorazione del soffitto è un fiabesco insieme di creature mitologiche e fantastiche, tratte dai bestiari e dai libri monstruorum medievali, tra cui compaiono numerose creature ibride come sfingi, tritoni, satiri, sirene, centauri, che compongono l'insieme del 'semidei', appunto. Le rappresentazioni, squisitamente profane, adombrano vari significati filosofici e morali, che vennero quasi certamente dettati dagli ambienti umanistici vicini al cardinale. Al centro si trova l'albero araldico dei Della Rovere con due pavoncelle, che ricorrono anche agli angoli. Tra le rappresentazioni vi è un'allegoria della Fortuna come donna nuda che va per mare a cavallo di un delfino, al posto dell'instabile barchetta tipica delle rappresentazioni fiorentine del tema. Si vede poi un putto che sta su due cavalli marini diretti in direzioni opposte, che rappresenta l'allegoria neoplatonica dell'anima divisa tra Bene e Male, secondo il commento di Marsilio Ficino a Platone nel Convito del 1475, ma riprende anche l'iconografia classica del trionfo di Nettuno sul mare. La Pesatura dell'anima è poi un motivo antico entrato nel repertorio cristiano, così come l'aquila trionfante che sconfigge il serpente. Tra i tanti animali dipinti, alcuni sono tradizionalmente associati al Male, come il dragone e il basilisco, altri al Bene, come il grifone, il cervo e l'aquila, rimandando ancora una volta agli opposti neoplatonici e alla simbologia cristologica. Più enigmatico è il ricorrere delle sfingi, tratte dalla cultura egiziana che era diffusa nella Roma imperiale. Frequentissime sono poi le creature marine, dal significato allegorico meno chiaro; si vedono tritoni armati, ittiocentauri e numerose sirene, nella versione bicaudata o che allattano, guidano i piccoli in fila, dipingono o sono prese in viluppi acrobatici. Si tratta probabilmente di una ripresa di gusto archeologico dei thiasos marini frequenti nei sarcofagi romani. Un altro artista che si dedicò a tali soggetti fu Andrea Mantegna (Zuffa di dei marini), che venne forse a contatto col Pinturicchio proprio in quel periodo, nel cantiere del palazzo del Belvedere. La ricchezza di spunti iconografici, la ricerca antiquaria e l'attenzione al dettaglio sono qui fuse con un'abilità tipica del miniatore quale il Pinturicchio era, oltre che pittore, spiegando così il ricorso a immagini di tradizione medievale che nel Rinascimento erano ancora vive proprio nella produzione miniata.
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### Titolo: La passeggiata (Camille Monet con il figlio Jean sulla collina). ### Introduzione: La passeggiata (Camille Monet con il figlio Jean sulla collina) è un dipinto a olio su tela (100xcm 81 cm) realizzato nel 1875 da Claude Monet. È conservato nella National Gallery di Washington. ### Descrizione. Il bagliore dorato delle nuvole e i vibranti riverberi gialli nella vegetazione, ci fanno capire che il sole è molto caldo e che Camille Monet e il figlio Jean hanno fatto bene a proteggersi con il cappellino e l'ombrello. Siamo ad Argenteuil nell'estate del 1875 e il pittore sta fissando sulla tela la passeggiata in collina della moglie e del figlio, fermando così per sempre quel breve periodo di grande felicità familiare. Eppure Camille Monet sembra avere un inspiegabile velo di tristezza nello sguardo, quasi a presagire l'ineluttabilità di quel destino che, appena quattro anni dopo, sarà così severo con lei.
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### Titolo: Marzella (Kirchner). ### Introduzione: Marzella è un quadro di Ernst Ludwig Kirchner, dipinto tra il 1909 e il 1910. È custodito al Moderna Museet di Stoccolma. ### Descrizione. La tela appare come chiaro richiamo all'opera di Edvard Munch La pubertà. In entrambi i quadri è ritratta una ragazza nuda seduta su un letto, con le mani incrociate sul pube. In Marcella (Marzella) il soggetto diventa chiaramente il ritratto di una giovane donna, giocato sui toni del verde acido, del viola e dell'arancione; i colori, benché acidi, si dimostrano eleganti. Ernst Kirchner propone dunque una visione più violenta, pessimistica, quasi scioccante della realtà. Se l'opera ispiratrice presenta tratti di ingenuità, qui c'è la malizia, dove lo sguardo sotto il pesante trucco fa trasparire la sua coscienza corrotta che accetta la propria condizione. L'ambiente rustico, rappresentato da Munch, qui diviene lussuoso tramite i cuscini e gli oggetti appesi. Kirchner nei suoi quadri voleva denunciare l'inquietudine dell'uomo moderno dell'ipocrisia della società contemporanea, corrotta, conservatrice, dominata da falsi valori.
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### Titolo: Incoronazione di Pio III. ### Introduzione: L'Incoronazione di Pio III è un affresco di Pinturicchio, databile al 1503-1508 e conservato nella Cattedrale di Santa Maria Assunta a Siena. Si trova sopra l'ingresso marmoreo della Libreria Piccolomini, nella navata sinistra della chiesa. ### Descrizione. La scena è situata su una parete della navata sinistra, vicino all'ingresso della Libreria. La scena, come molte del ciclo dedicato a Pio II nella Libreria, è impostata su due registri, con una simmetria sostanziale delle parti. Nella parte superiore il papa, seduto in trono al centro, riceve il triregno e la croce e la sua figura è modellata a bassorilievo con stucchi e pastiglia dorata, in modo da farla risaltare nella penombra della parte superiore della parete. La scena è ambientata in una sorta di loggia, con ai lati due terrazze ricolme di vescovi e aperture paesistiche sullo sfondo. Al centro corre la fascia del basamento della loggia, con l'iscrizione commemorativa. Nella parte inferiore si addensa una folla varia e colorata. Sulla presenza di ritratti le fonti sono discordanti: Vasari disse che ve ne erano in quantità, mentre Sigismondo Tizio, biografo di Pinturicchio, ricordò il solo ritratto del cane di Pandolfo Petrucci. In ogni caso la mancanza di effigi per il confronto rende difficile ogni ipotesi; solo il fanciullo all'estrema destra con il crescente araldico sulla calza sarà sicuramente stato di casa Piccolomini, ma non è dato a sapersi se un figlioletto o un paggio. ### Stile. La scena è caratterizzata da una certa rigidità nella divisione in parti, che rimanda a un gusto ancora quattrocentesco. Nonostante ciò alcuni elementi dinamici mostrano la volontà di adeguarsi alle novità artistiche del primo Cinquecento, soprattutto sulla scorta di Raffaello, a Siena verso il 1503: ad esempio i contrasti cromatici del gruppo degli araldi a sinistra, il languore assorto dell'alabardiere appoggiato all'asta, l'avanzare spedito del giovane in calze rosse, ecc. Oberhuber (nel 1977) arrivò a supporre una paternità raffaellesca per il disegno dell'intera scena, esclusa poi dal resto della critica. In ogni caso la personalità artistica del maestro urbinate dovette scuotere le certezze del maturo Pinturicchio, spingendolo verso un rinnovamento che si acquietò poi però negli anni seguenti, con la ripresa dei lavori nella Libreria Piccolomini.
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### Titolo: Trittico di Navolè. ### Introduzione: Il Trittico di Navolè è formato da tre dipinti a olio su tavola di Cima da Conegliano, originariamente nella chiesa di Navolè di Gorgo al Monticano ed attualmente conservato presso il Museo d'arte sacra Albino Luciani della Diocesi di Vittorio Veneto. ### Descrizione. Il pannello centrale (180x90 cm) rappresenta San Martino e il povero; i pannelli laterali (105x38 cm): a sinistra san Giovanni Battista e a destra san Pietro con il libro e le chiavi.
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### Titolo: Storie di sant'Orsola (Treviso). ### Introduzione: Le Storie di sant'Orsola sono un ciclo di affreschi conservati nella chiesa di Santa Caterina a Treviso, sede dei Musei civici cittadini, e considerati una delle migliori opere di Tommaso da Modena. ### Descrizione. Nella cappella originaria, in Santa Margherita, i riquadri affrescati si disponevano sulle tre pareti: le due laterali maggiori e quella di fondo, sopra l'altare. Le Storie di sant'Orsola sono un tema ricorrente nell'arte pittorica medievale. Undici riquadri narrativi erano disposti, a coppie, sulle pareti laterali, su tre registri sovrapposti, mentre l'ultima scena del Martirio, da sola, occupava uno spazio doppio nella parte inferiore della parete destra. Alla sommità dei due raggruppamenti, assecondando il soffitto a volta, erano due scomparti in forma di lunette ogivali raffiguranti la Madonna annunziata e l'Angelo annunziante, dei quali si conserva solo il primo. Sulla parete sopra l'altare, stretta tra due alte finestre a lancia, era il riquadro con Sant'Orsola e le compagne in gloria. Le scene si basano su una Passio di Orsola, figlia cristiana del re di Bretagna, che porta a conversione il figlio pagano del re d'Inghilterra, suo promesso sposo; il pellegrinaggio intrapreso verso Roma dalla principessa, seguita da 11.000 vergini, la conduce infine a Colonia, assediata dagli Unni di Attila. Nella città tedesca Orsola viene martirizzata assieme alle compagne e al Papa (unitosi alle pellegrine nel viaggio di ritorno), poiché si era negata al condottiero barbaro. ### Stile. La storia è sceneggiata dal pittore con abilissima regia, proponendo un racconto partecipato, descritto con minuzia e compiacimento nei profili femminili, nelle pose, nei particolari dell'abbigliamento e dell'ambientazione. Fornisce un modello esemplare di raffinatezza ed eleganza gotici e rivela i vari protagonisti nei loro risvolti psicologici, attraverso la mimica facciale e delle mani, con un'efficacia narrativa assolutamente inedita e moderna.
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### Titolo: Nozze di Bacco e Arianna. ### Introduzione: Le Nozze di Bacco e Arianna è un dipinto a olio su tavola (28x69 cm) di Cima da Conegliano, databile al 1505 e conservato al Museo Poldi Pezzoli di Milano. La tavola è il frammento centrale del fronte di un cassone, o della testata di un letto, attualmente diviso in quattro parti: le altre due, che completavano la composizione con la raffigurazione di Baccante e di Sileno ubriaco sul dorso di un asino si trovano al Philadelphia Museum of Art. Una quarta si trova in collezione privata in Francia. ### Descrizione. La tavola raffigura Bacco, rivestito di un'armatura, in atto di incoronare Arianna che si genuflette di fronte a lui. I due sono portati in trionfo su un carro dorato trainato da pantere, e sono accompagnati da una menade e da un satiro che recano il tirso (il ramo ornato di pampini ed edera); una figura satiresca, umana ma dalle orecchie caprine, porta sulle spalle una cesta colma di uva. La fonte della scena è Ovidio, che nell' Ars Amatoria e nelle Metamorfosi narra come Dioniso, di ritorno dalla vittoriosa spedizione in India, avesse incontrato sull'isola di Nasso Arianna, là abbandonata da Teseo, e ne avesse fatto la sua sposa.
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### Titolo: Apoteosi di san Zanobi e ciclo di uomini illustri. ### Introduzione: L'Apoteosi di san Zanobi e ciclo di uomini illustri è una serie di affreschi di Domenico Ghirlandaio, databile al 1482-1484 e conservato nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio a Firenze. ### Descrizione e stile. La parete est della sala, quella interessata dagli affreschi, è tripartita in tre fasce verticali, che corrispondevano alle antiche tre bifore dell'originaria facciata sud del palazzo, coperta poi dagli ampliamenti. Quella centrale fu murata e quelle laterali rimpicciolite, anche se in quella di sinistra oggi si apre la porta per la sala della Cancelleria. L'affresco centrale che è stato in parte poi sciupato dall'apertura di un portale della seconda metà del Cinquecento all'epoca del rinnovamento vasariano del palazzo, che conduce alla Sala del Mappamondo.
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### Titolo: Cappella del Miracolo del Sacramento. ### Introduzione: La cappella del Miracolo del Sacramento si trova nella chiesa di Sant'Ambrogio a Firenze. Decorata da sculture di Mino da Fiesole e da affreschi di Cosimo Rosselli, venne realizzata per conservare l'ampolla col sangue del Miracolo eucaristico di Firenze, avvenuto nel 1230. ### Descrizione. La cappella si trova a sinistra del presbiterio, rialzato di alcuni gradini. La pianta è rettangolare, aperta su due lati e recintata da una balaustra marmorea della fine del XVII-inizio del XVIII secolo.
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### Titolo: Cristo tra i dottori (Cima da Conegliano). ### Introduzione: Cristo tra i dottori è un dipinto a olio su tavola (54,5x84,4 cm.) di Cima da Conegliano e conservato nel Museo nazionale di Varsavia. ### Descrizione e stile. L'opera è in rapporto col celebre Cristo dodicenne tra i dottori di Dürer, secondo un'iconografia divenuta popolare in area veneziana a partire dai primi anni del Cinquecento. La versione che ne diede Cima, simile per impostazione a quella di Bernardino Luini (1515-1530), mostra il Cristo a mezza figura mentre gesticola, isolato e malinconico, al centro di un semicerchio di anziani dottori, otto in tutto, che hanno varie pose, tutte però composte e intensamente contemplative.
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### Titolo: Ritratto di giovane uomo. ### Introduzione: Il Ritratto di giovane uomo è un dipinto olio su tavola (72x56 cm) attribuito a Raffaello Sanzio, databile tra il 1516 e 1517 circa e già conservato presso il Museo Czartoryski a Cracovia. ### Descrizione. Il dipinto ritrae un giovane di tre quarti, con il volto girato verso lo spettatore, ritratto entro una stanza con finestra. Secondo Carlo Gamba la parte sinistra venne tagliata o perché danneggiata o per adattare le dimensioni della tela a una cornice, poiché è abbastanza raro che la mano sia dipinta solo a metà. Una pulitura troppo energica, eseguita in epoca imprecisata, ha impoverito la superficie pittorica, rendendo più difficile l'attribuzione. Interventi di aiuti, probabilmente di Giulio Romano, sono stati rilevati da Adolfo Venturi.
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### Titolo: Caccia alla tigre (Rubens). ### Introduzione: La Caccia alla tigre è un grande dipinto a olio su tela di 256x324 cm, realizzato nel 1616 dal pittore fiammingo Pieter Paul Rubens. Esso costituisce una delle quattro opere di caccia commissionate da Massimiliano I, elettore e duca di Baviera, per decorare il Castello Vecchio di Schleißheim. Tale ciclo di opere è stato diviso durante le guerre napoleoniche. Attualmente è conservato nel Museo delle Belle Arti di Rennes. ### Descrizione. L'opera mostra un momento di elevata concitazione, in cui uomini e bestie combattono li uni contro li altri per la sopravvivenza. La scena è resa particolarmente drammatica e selvaggia attraverso l'inserimento di animali esotici, come la tigre. Tale elemento era molto diffuso in epoca classica e in questo contesto rappresenta lo scontro tra la ragione (l'uomo) e l'istinto. I corpi si fondono tra di loro a creare una scena dall'epilogo enigmatico, non è, infatti, ancora chiaro chi sarà il vincitore: da un lato la razionalità sembra perire sotto il violento morso del possente felino, da un altro numerosi sono gli animali che giacciono esanimi (si noti il particolare del leopardo nell'angolo in basso a destra dell'opera). La drammaticità della scena è solo leggermente attenuata e mitigata dall'esigua quantità di sangue visibile, tuttavia lo sguardo giunge rapido all'atroce visione di una tigre che, disperatamente, difende i propri cuccioli.L'attenzione dell'osservatore è immediatamente catturata dalla maestosa figura del cavallo posizionato al centro del dipinto. Esso presenta una anatomia meticolosamente studiata sin nei più minuti particolari. Pregevole è la rappresentazione della coda e della criniera. L'animale è ritratto in una posizione inusuale, quasi contorta, ed è caratterizzato da una colorazione tendente all'azzurro. Ciò risulta esemplificativo della lacerazione e della sofferenza a cui è sottoposto, oltreché elemento chiave per apprezzare i numerosi effetti di chiaroscuro di cui l'artista si serve per creare una atmosfera più realistica. ### Stile. In piena sintonia con il radicale cambiamento stilistico, intrapreso dall'autore a partire dal 1612, in sintonia con le istanze di rinnovamento della Controriforma Cattolica a lui contemporanea, i colori sono chiari, con tonalità più fredde. I contrasti cromatici sono accentuati dallo sfondo cangiante, allo scopo di conferire dinamicità all'opera. L'autore pone grande attenzione all'ottenimento di una rappresentazione dei corpi il più possibile simile alla realtà. Spiccano, quindi, i numerosi dettagli anatomici.
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### Titolo: Pala Tornabuoni. ### Introduzione: La Pala Tornabuoni è un dipinto a tempera su tavola (altezza massima 221 cm) di Domenico Ghirlandaio e bottega, realizzato per l'altare centrale di Santa Maria Novella dal 1490 circa e completato dopo la morte del pittore (1494) fino al 1498 circa. Oggi si trova smembrata in più sedi, con lo scomparto centrale (Madonna in gloria tra santi) nell'Alte Pinakothek di Monaco di Baviera. ### Descrizione. La Pala Tornabuoni era a due facce: una rivolta verso i fedeli e la navata e una rivolta verso i frati domenicani del coro. È composta quindi da un grande pannello centrale su ciascun lato e sei scomparti di santi a tutta figura, dei quali ne sopravvivono oggi solo quattro. La pala era così composta:. Madonna in gloria tra santi (fronte), 221x198 cm, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera. Resurrezione (retro), 221x199 cm, Gemäldegalerie, Berlino. Santa Caterina da Siena, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera. San Lorenzo, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera. Santo Stefano, 191x56 cm, Szépművészeti Múzeum, Budapest. San Pietro Martire, Fondazione Magnani Rocca, Traversetolo (provincia di Parma). San Vincenzo Ferrer, già nel Kaiser-Friedrich-Museum, Berlino, andato distrutto nel'incendio della Flakturm Friedrichshain di Berlino nel maggio 1945. Sant'Antonino Pierozzi, già nel Kaiser-Friedrich-Museum, Berlino, andato distrutto nel'incendio della Flakturm Friedrichshain di Berlino nel maggio 1945.
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### Titolo: Studio di mani. ### Introduzione: Lo Studio di mani è un disegno a punta d'argento e lumeggiature di biacca su carta preparata in tinta rosa (21,4x15 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1474 circa e conservato nella Royal Library del Castello di Windsor (n. 12558). ### Descrizione e stile. Il foglio viene spesso riferito al Ritratto di Ginevra de' Benci (1474 circa, National Gallery of Art, Washington), di cui sarebbe uno studio preparatorio per le mani, che come è noto vennero asportate con una riduzione della tavola in epoca imprecisata. Appare meno probabile, sebbene sia stato ipotizzato, che si tratti di uno studio per la Gioconda, essendo infatti la figura ritratta di tre quarti sì, ma voltata verso destra invece che verso sinistra. Le mani sono rappresentate con un doppio studio per la destra: adagiata nella mano sinistra in una prima ipotesi, alzata e reggente qualcosa nello studio condotto più a fondo. Questa seconda posizione rende le mani molto simili a quelle del busto di Andrea del Verrocchio della cosiddetta Dama col mazzolino (1475 circa, Museo del Bargello, Firenze), tanto che alcuni in passato avevano attribuito l'intera scultura a Leonardo. Nel foglio si vede anche un piccolo profilo grottesco, testimonianza di come Leonardo usasse e riusasse i fogli per fissare i molteplici spunti che sovvenivano alla sua mente.
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### Titolo: Crocifisso con storie della Passione e della Redenzione. ### Introduzione: Il Crocifisso con storie della Passione e della Redenzione (Croce n. 432, dal numero di inventario del 1890) è un dipinto a tempera su tavola (302x231 cm) di un maestro toscano anonimo ('Maestro della Croce 432'), databile all'ultimo quarto del XII secolo e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. Si tratta del dipinto più antico della Galleria. ### Descrizione e stile. L'opera è un esempio di crocifisso del tipo Christus triumphans, in cui Gesù è rappresentato vivo sulla croce, come vincitore della morte: si tratta della più antica iconografia della Crocifissione usata su tavola, prima che nel XIII secolo, sulla spinta degli ordini mendicanti, si diffondesse l'iconografia del Christus patiens, cioè il Cristo sofferente. La tavola è in uno stato di conservazione buono, nonostante abbia perso la sommità e una parte dell'estremità destra del braccio trasversale, nonché alcune perdite di colore in basso e nelle Storie dei tabelloni. Cristo è raffigurato sulla croce in maniera ancora astratta, come se fosse senza peso e senza volume, con un'anatomia semplificata, ma efficace, e con lo sguardo fisso e frontale (anche se gli occhi divergono lateralmente evitando il contatto diretto con lo spettatore) come nelle icone bizantine. In alto si trova un'iscrizione, ai lati la Madonna e san Giovanni (sinistra) e le Pie donne (a destra, solo una visibile). Nei tabelloni laterali si susseguono storie della Passione (Lavanda dei piedi, Bacio di Giuda, Flagellazione, Discesa dalla Croce, Deposizione nel Sepolcro) e della Redenzione (Discesa al Limbo con Davide e Salomone, Adamo ed Eva), rappresentate con un'insolita espressività e vivacità narrativa. In basso, nel soppedaneo, si vede l'Andata al Calvario. Il suo autore è in genere ritenuto pisano, per gli evidenti influssi orientali (evidenziabili nel gusto per la linea elegante di contorno, per la chiarezza compositiva, per il ricorso a colori chiari e brillanti), anche se Boskovits ha parlato di 'anonimo fiorentino', aggiornato all'arte araba e bizantina tramite forse mosaicisti attivi in area normanna che potevano essere saliti a Firenze per la decorazione della cupola del Battistero. L'ambito centroitaliano sarebbe confermato dalle analogie con il Crocifisso di Maestro Alberto da Spoleto, opera firmata e datata 1187, che presenta un corpo stilizzato simile con contorni netti.
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### Titolo: Madonna Pisa. ### Introduzione: La Madonna Pisa (numero di inventario del 1890 9213) è un dipinto a tempera su tavola (98x60 cm) attribuito al Maestro della Sant'Agata, databile al 1250-1280 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. La Madonna col Bambino è dipinta su un fondo scuro, originariamente coperto d'argento. Si tratta di una Madonna Hodeghétria, cioè, in greco, indicante la via, poiché con la mano accenna verso il figlio: Maria simboleggiava la Chiesa, che indirizzava la strada del fedele verso Gesù e la Salvezza. Il Bambino è tenuto in braccio ed è abbigliato come un filosofo antico: non a caso tiene anche in mano un rotolo e con la destra è in atto di benedire la madre (e quindi la Chiesa stessa). La fissità è tipica delle icone bizantine, a cui l'anonimo pittore si rifece, con ombreggiature scure molto marcate. Particolarmente stilizzata è la pianta di un piede del bambino, quasi una sagoma senza spessore. Le dita di Maria sono estremamente lunghe e affusolate, tanto da sembrare esili rametti, soprattutto nella mano che regge la veste del Bambino. Sul manto blu compaiono ricamate due delle tipiche tre stelle, simboli antichissimi della grazia divina discesa su Maria e ricordo della stella di Betlemme. Come tipico dell'epoca, gli sguardi delle divinità divergono leggermente, sfuggendo lo sguardo dello spettatore. Un semplice motivo a rosette stilizzate decora il bordo inferiore.
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### Titolo: Madonna di Casale. ### Introduzione: La Madonna di Casale (numero di inventario del 1890 9494) è un dipinto a tempera su tavola e fondo argento (180x78 cm) attribuito al Maestro di Greve, databile alla prima metà del XIII secolo, forse al 1210-1215 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. La Madonna col Bambino è dipinta su un fondo scuro, originariamente coperto d'argento, con ampie parti a rilievo, come l'aureola sporgente di Maria e una serie di borchie che decorano il bordo. La Vergine troneggia sporgendo con la testa e l'aureola oltre i confini della tavola rettangolare, come tipico nelle opere dell'epoca. Maria è raffigurata su un trono stilizzato assolutamente piatto, composto da un cuscino rosso, un sedile e un sostegno, decorati da fini motivi geometrizzanti, nei vivaci colori del rosso, del blu e dell'oro. Maggiore profondità è ottenuta invece nelle pieghe del manto della Madonna, che suggeriscono la presenza delle ginocchia. Rigida è la frontalità, derivata dai modelli bizantini, con il Bambino benedicente. La ricchezza del panneggio, che sebbene stilizzato evita una troppo rigida schematicità, denota lo spessore del pittore, che impostò la veste della Vergine a più strati. Sul manto compaiono ricamate tre stelle, simboli antichissimi della grazia divina discesa su Maria e ricordo della stella di Betlemme. Il Bambino fa uscire il braccio dal mantello cangiante, con un gesto che è ripreso dalla Madonna di Rovezzano (Firenze, chiesa di Sant'Andrea a Rovezzano), ritenuta la più antica opera di scuola fiorentina pervenutaci. Da questo modello provengono anche le pieghette ritmiche e simmetriche che incorniciano il volto di Maria. In basso si trova la scena dell'Annunciazione, con l'Angelo che si proietta verso Maria, umile e accettante sullo sfondo di una città stilizzata, mentre a destra bilancia la composizione una roccia scheggiata. Il tutto è impostato a un certo profondo geometrico, con un'inclinazione per la decorazione 'rigogliosa' e calligrafica. La linea di contorno segna una demarcazione rigida a monocorde delle figure, che sembra comprimere il panneggio.
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### Titolo: Madonna del Popolo (Santa Maria del Carmine). ### Introduzione: La Madonna del Popolo è un dipinto a tempera su tavola (262x124 cm) attribuito al Maestro della Madonna del Carmine, databile al 1268 circa e conservato nella Cappella Brancacci nella Basilica di Santa Maria del Carmine a Firenze. ### Descrizione e stile. La pala mostra la Madonna in trono col Bambino tra due angeli a tutta figura, sormontata da una cuspide che originariamente aveva forma triangolare e in cui vi sono dipinti il Redentore coronato di spine tra due angeli, con l'iscrizione 'IC/XC'. Maria è raffigurata su un trono stilizzato e piuttosto piatto, composto da più strati di legno decorati da intarsi e da un cuscino verde, con una spalliera con un drappo rosso bordato d'oro e una pedana, rozzamente scorciata. Dietro di lei si trovano due angeli a mezza figura, simmetrici, che sporgono oltre il trono e le cui ali disegnano una curva che riprende la forma dell'aureola di Maria. La Vergine è avvolta da uno stretto mantello azzurro, dal quale sporge una veste verde. Maggiore profondità è ottenuta invece nelle pieghe del manto, che suggeriscono la presenza delle ginocchia, tramite una serie di pieghe stilizzate ottenute con l'agemina. In basso spuntano i piedi della Vergine. La posa di Maria è del tipo Hodeghétria, cioè indicante la via, poiché con la mano accenna verso il figlio: Maria simboleggiava la Chiesa, che indirizzava la strada del fedele verso Gesù e la Salvezza. Fa parte di questa iconografia, derivata dalle icone bizantine, la testa leggermente reclinata, a sottolineare ancora maggiormente la comunione col figlio. Il Bambino è tenuto in braccio ed è abbigliato come un filosofo antico: non a caso tiene anche in mano un rotolo, di colore rosso, e con la destra è in atto di benedire la madre (e quindi la Chiesa stessa). Le ombreggiature scure sono molto marcate, come nella Madonna Pisa agli Uffizi, da alcuni riferita allo stesso autore. Gli occhi di Maria sono grandi ed espressivi, le dita estremamente lunghe e affusolate.
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### Titolo: Madonna di Rovezzano. ### Introduzione: La Madonna col Bambino in trono e due angeli (o Madonna di Rovezzano) è un dipinto tempera su tavola del Maestro di Rovezzano, databile al 1200-1210 circa e conservato nella chiesa di Sant'Andrea a Rovezzano a Firenze. ### Descrizione e stile. L'opera, in ottimo stato di conservazione, è tra le prime pitture di scuola fiorentina conosciute. Si tratta della più antica Madonna in trono del genere conservata in area fiorentina, ispirata sicuramente a icone bizantine e facente poi da modello per numerose opere simili, del Maestro del Bigallo, del Maestro di Greve, ecc. La Vergine troneggia sporgendo con la testa e l'aureola oltre i confini della tavola rettangolare. Maria è raffigurata su un trono stilizzato, composto da un vaporoso cuscino appoggiato su una base lignea a più strati. La posizione di Maria e del figlio in grembo è estremamente frontale, ieratica, con due angeli ai lati che riempiono gli angoli della tavola ed accrescono il senso di simmetria. Il panneggio, di derivazione antica filtrata dall'arte bizantina, è increspato con rigidità, creando una sorta di 'origami' bidimensionale, che però non manca di evidenziare, anche con una certa forza, dettagli anatomici del corpo di Maria, soprattutto la posizione le ginocchia leggermente divaricate e asimmetriche. Il volto della Vergine è incorniciato da una serie di pieghette simmetriche del velo, che si ritrovano in tutta la produzione locale della prima metà del Duecento. Gesù Bambino è sospeso in grembo a Maria senza peso, perfettamente in asse centrale e nella veste di un antico filosofo, sottolineato anche dal rotolo rosso che tiene nella sinistra. Dal mantello bianco egli tira fuori un braccio benedicente, il cui gomito resta fasciato. Gli angeli sono longilinei e aggraziati, con leggere differenze nelle fisionomie. Ai lati di essi si trovano lettere greche che simboleggiano i nomi di Maria e Cristo.
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### Titolo: Dittico della Crocifissione e della Madonna col Bambino e santi. ### Introduzione: Il Dittico della Crocifissione e della Madonna col Bambino e santi è un dipinto a tempera e oro su tavola (103x122 cm totali) attribuito a Bonaventura Berlinghieri, databile al 1255 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze (inv. 8575-8576). ### Descrizione e stile. La Crocifissione è rappresentata con la Croce a Y, che aumenta il senso drammatico della scena ispirandosi a modelli nordici. Il Cristo patiens, cioè sofferente secondo l'iconografia francescana, è longilineo e col corpo inarcato verso sinistra. In altro due angeli raccolgono il suo sangue e ai lati si trovano delle figure ad altezza intera in scala ridotta, senza una precisa collocazione spaziale rispetto alla croce: a sinistra si vedono il gruppo delle Pie Donne e la Madonna che sviene; a destra ricompare Maria a colloquio con san Giovanni, che formano la tradizionale coppia dei 'dolenti'. In basso si vedono due scene della Passione in scala ancora minore: la Via Crucis o Andata al Calvario e la Deposizione dalla Croce, di grande espressività nel corpo estremamente arcuato di Cristo. Lo sportello della Madonna col Bambino e santi mostra la Vergine col figlio a mezzo busto tra figurine di santi a tutta figura giustapposte ai lati e in basso, senza nessun rapporto spaziale con la figura al centro. Maria e il Bambino sono riuniti in un dolce abbraccio che li porta a sfiorare i volti, con un senso di familiarità che sembra anticipare Cimabue: si tratta della tipologia bizantina della 'Vergine Eleusa', cioè della 'Madre affettuosa'. Essa infatti fa un gesto protettivo col proprio mantello come a coprire il figlio. Gesù, come tipico nella pittura duecentesca, è ritratto come un piccolo filosofo con la toga all'antica e con un rotolo in mano; con la mano destra fa un gesto di benedizione verso la Madre, simbolo dell'intera Chiesa. I santi sono san Pietro e san Giovanni Battista in alto, santa Chiara a metà e in basso sant'Andrea, sant'Antonio da Padova, san Michele Arcangelo col drago, san Francesco e san Giacomo maggiore. Alcune concise abbreviazioni in greco aiutano a identificare le figure. Quasi assenti sono le sfumature, in favore di un pastoso tratteggio dei colori scuri.
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### Titolo: Crocifisso n. 434. ### Introduzione: Il Crocifisso con otto storie della Passione (Croce n. 434, dal numero di inventario del 1890) è un dipinto a tempera e oro su tavola (250x200 cm) di un maestro toscano anonimo ('Maestro della Croce 434'), databile al 1240-1245 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. L'opera è un esempio di crocifisso del tipo Christus patiens, in cui Gesù è rappresentato dolente sulla croce. Si tratta dell'iconografia che si affermò nel corso del XIII secolo spinta dalla predicazione dei francescani, sostituendo quella più antica del Christus triumphans ('Cristo trionfante' sulla morte) di derivazione bizantina. La tavola è in uno stato di conservazione buono, sebbene si registri la perdita dei quattro tabelloni alle estremità della croce e in passato abbia subito ridipinture. Cristo è raffigurato sulla croce con un'aureola a rilievo, decorata da castoni. Il suo corpo, non ancora inclinato a sinistra, è asciutto e con un'anatomia stilizzata ma plausibile, disegnata a forza di lumeggiature e ombreggiature che riescono a sbalzare le forme. Estremamente accentuata è l'espressività del volto, con la triste smorfia di dolore e con una serie di righe del viso i cui giochi lineari trovano corrispondenza e continuazione nelle onde della capigliatura e nei riccioli della barba. Un motivo simile, di grandissima raffinatezza, si trova anche nell'articolato nodo del perizoma, che sale e scende a più riprese generando una serie di increspature asimmetriche che rompono la schematicità di altre opere simili dell'epoca. Il diverso ricadere delle pieghe anzi esalta la diversa disposizione spaziale delle gambe, facendo avanzare il ginocchio sinistro. Sui tabelloni si trovano otto storie della Passione e Resurrezione di Cristo:. Gesù davanti a Pilato. Cristo deriso. Flagellazione. Andata al Calvario. Discesa dalla Croce. Sepoltura di Cristo. Pie donne al sepolcro. Cena in EmmausLe storie sono sapientemente ripartire in prima e dopo la Crocifissione, che si svolge ovviamente al centro nel soggetto principale. In esse si nota una certa vivacità narrativa, anche se non raggiungono l'espressività del Cristo crocifisso.
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### Titolo: Redentore tra la Vergine e tre santi. ### Introduzione: Il Redentore tra la Vergine e tre santi è un dipinto a tempera e oro su tavola (85x210 cm) firmato e datato 1271 da Meliore di Jacopo; è conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. Il dossale, tramite applicazioni a rilievo in pastiglia, simula un'arcata con colonnine e archi trilobati da cui si affacciano quattro santi e, al centro, il Redentore, più alto con una vistosa aureola a rilievo decorata da pastiglie che simulano castoni di pietre preziose, con un motivo che si ritrova anche nel libro che egli tiene in mano. Da sinistra si riconoscono san Pietro (con le chiavi), la Vergine Maria, san Giovanni Evangelista (con il rotolo e con il tipico aspetto giovanile dai tratti quasi femminei) e san Paolo (con la spada). Iscrizioni aiutano a riconoscere le figure. Le figure sono allineate sotto le arcate, ma appaiono semplicemente giustapposte, nella loro iconica fissità bizantina e nella rigidità dei rimandi simmetrici; lontane appaiono ancora infatti le novità di Cimabue e due suoi profeti verosimilmente dislocati nella loggetta sotto il trono della Maestà di Santa Trinita (1280-1290 circa), nella stessa sala del museo. Notevole è la decorazione dell'oro, sia nelle aureole, che in altri dettagli, come i motivi vegetali e le iscrizioni. I caratteri fisionomici sono abbastanza standardizzati e si ritrovano fedelmente replicati in tutta la produzione del pittore. Numerosi e raffinati sono i grafismi (negli schematici ma elaborati panneggi lumeggiati d'oro, nelle rughe d'espressione del volto, nei tratteggi chiari e scuri che definiscono le ombre), che decorano minuziosamente l'immagine, ma inevitabilmente ne appiattiscono la composizione.
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### Titolo: Stimmate di san Francesco (Uffizi). ### Introduzione: Le Stimmate di san Francesco sono un dipinto a tempera e oro su tavola (81x51 cm) attribuito al Maestro della Croce 434 o al Maestro del San Francesco Bardi, databile al 1250 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze (inv. 8574). ### Descrizione e stile. L'opera, a forma rettangolare, conserva ancora la cornice originale decorata da borchie dorate a rilievo. Mostra un'iconografia nata proprio in quegli anni, legata appunto al miracolo del santo d'Assisi, che non aveva precedenti nella cultura figurativa religiosa. Sullo sfondo di un monte ripidissimo con uno slanciato romitorio, stilizzazione del santuario della Verna, Francesco è inginocchiato in primo piano con le mani e i piedi ben in vista, mentre riceve le stimmate da un crocifisso apparso in cielo, in alto a destra, in cui un Gesù mistico sulla Croce è coperto da ali angeliche. Attingendo alla più antiche biografie, il santo riceve le stimmate da un serafino, legandosi a un parallelismo con un passo del Vangelo di Luca (22, 39-46), dove è scritto che Gesù, prefigurando il suo martirio, sudò sangue e venne consolato da un'apparizione angelica. Un'iscrizione precisa il nome di san Francesco. L'evento è rappresentato con serenità, con una luce dorata che si diffonde dappertutto, originando lumeggiature filanti dal sapore grafico e disegnativo, soprattutto sui crinali del monte, che appare così translucido come di smalto. Sebbene la spazialità resti astratta e poco convincente (si guardi alla posizione del santo che sembra fluttuare su un lastricato di pietre scheggiate), le forme appaiono tornite con cura, con una certa presa di coscienza dell'anatomia che si indovina dal saio floscio, soprattutto riguardo alle gambe.
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### Titolo: Maddalena penitente e otto storie della sua vita. ### Introduzione: La Maddalena penitente e otto storie della sua vita è un dipinto a tempera e oro su tavola (178x90 cm) del Maestro della Maddalena, databile al 1280-1285 circa e conservato nella Galleria dell'Accademia a Firenze. ### Descrizione e stile. Lo schema della tavola riprende quello delle pale dedicate a san Francesco e le sue storie, per esempio nella pala a Pescia di Bonaventura Berlinghieri (1235) o in quella della cappella Bardi di Santa Croce a Firenze del Maestro del San Francesco Bardi. Al centro si trova, a piena figura, una Maria Maddalena monumentale e ieratica, dalle forme del corpo allungate e interamente avvolte da una coltre fittissima di capelli, un attributo iconografico - quello dei lunghi capelli sciolti - che identifica la santa nelle raffigurazioni artistiche e che, in quest'opera, diviene elemento dominante. La mano destra distesa riecheggia le icone francescane e ne conferma l'ispirazione, mentre la sinistra regge un cartiglio srotolato contenente una lunga iscrizione che invita il fedele all'espiazione dei peccati seguendo l'esempio della santa. Le storie laterali rappresentano:. Maria Maddalena unge i piedi di Cristo. Noli me tangere. Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli. Ultima comunione di Maria Maddalena. Resurrezione di Lazzaro. Predica della Maddalena. Maria Maddalena nel deserto sfamata da un angelo. Esequie della MaddalenaIn queste storielle l'artista rivela una certa vivacità narrativa, arricchita da sintetiche notazioni ambientali (tra cui spicca lo sforzo di rendere il paesaggio naturale nel Noli me tangere), che lo allontana dal classicismo di ascendenza bizantina, pondendolo tra le figure preminenti nell'ambiente fiorentino del secondo Duecento.
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### Titolo: San Luca (Maestro della Maddalena). ### Introduzione: Il San Luca è un dipinto a tempera e oro su tavola (132x50 cm) del Maestro della Maddalena, databile al 1280-1285 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. La forma alta e stretta della tavola cuspidata - così come varie notazioni stilistiche - rimanda agli ultimi decenni del XIII secolo. San Luca è ritratto a piena figura con il Vangelo sottobraccio e con la mano destra benedicente, vestito all'antica con un pallio increspato da pieghe ritmiche ma mai schematiche che certificano l'alta qualità dell'opera; di contro, l'impianto per lo più disegnativo delle linee del panneggio e la rigidità di lumeggiature e ombre ne appiattiscono il rilievo, secondo i canoni di osservanza bizantina. Sono degni di nota alcuni dettagli come la soffice barba, divisa in ciuffi, o l'andamento della scollatura, dove lo spesso bordo nero genera un motivo sciolto e fluente. Ai piedi del santo, minuscoli, sono presenti un frate e una monaca: sono le figure dei committenti che riconducono all'ambito francescano la probabile destinazione originaria della tavola.
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### Titolo: Maestà di Santa Maria dei Servi. ### Introduzione: La Maestà di Santa Maria dei Servi è un dipinto a tempera e oro su tavola (385x223cm) di Cimabue ed aiuti della sua bottega, databile al 1280-1285 circa e conservato nella chiesa di Santa Maria dei Servi a Bologna. ### Descrizione. La pala mostra la Madonna col Bambino tra due angeli appoggiati alla spalliera. Il trono è raffigurato in tralice, con una complessa tornitura del legno, culminante nell'ampia spalliera a forma di 'lira' coperta da un drappo che si apre quasi a ventaglio. Si tratta di un elemento che si ritrova in opere di Coppo di Marcovaldo come la Madonna del Bordone e la Maestà di Orvieto, per l'appunto situate in altre chiese dell'Ordine servita. Qui però l'inclinazione dei bordi è più che mai accentuata, con le colonnine che si piegano vertiginosamente, quasi sgranandosi. Il Bambino fa un gesto affettuoso verso la Madre. Originale è il suo incedere verso la madre, che solleva una gamba facendola avanzare attraverso lo spacco della veste. Qui Gesù appare, forse per la prima volta (se si accetta la datazione duecentesca) come un bambino piuttosto che come un filosofo antico in miniatura, verso una più verosimile rappresentazione umana di un rapporto madre-figlio. Il volto di Maria, particolarmente tondeggiante, è sereno e quasi sorridente. Sembra aver abbandonato l'espressione severa della Maestà del Louvre o della piccola Madonna di Londra e preannunciare quei volti più distesi delle Maestà di Assisi o di Santa Trinita. In questo come in altri dipinti di maestri italiani è presente una riproduzione di un tessuto islamico. In particolare qui una striscia di tessuto copre il bordo superiore del trono: un'iscrizione pseudoaraba i cui 'caratteri' sono molto simili a quelli trovati su una ceramica contemporanea siriana, oggi custodita al Victoria and Albert Museum. ### Stile e datazione. A causa delle modeste condizioni di conservazione non è possibile valutare appieno la qualità della pittura. La parte più significativa è forse il complesso panneggio della veste azzurra di Maria, con pieghe fitte e fascianti, a sottosquadri, che rivela l'anatomia delle ginocchia senza schematismi nel formarsi delle pieghe. Le pieghe del manto sopra la testa cadono in linee concentriche non verticali. Queste due caratteristiche pongono l'opera non troppo distante dalla Maestà del Louvre o dalla piccola Madonna di Londra entrambi databili intorno al 1280 e la pre-datano rispetto all'attività assisiate dell'artista (1288-1292). Anche la forma della narice, molto indicativa nel suggerire le datazioni delle opere di Cimabue come sottolineato dal Bellosi, indica una data precedente all'attività assisiate dell'artista (1288-1292). Invece l'espressione serena e distesa, quasi sorridente, indica un'evoluzione rispetto alle due tavole ed un avvicinamento allo stile più tardo dell'artista, vicino alle Maestà di Assisi (1288 circa) o di Santa Trinita (1290-1301_. È presente anche una maggiore energia rispetto alle Maestà del 1280, nella Vergine saldamente seduta sul trono e nel Bambino più irrequieto. Da precisare comunque che questi tratti non saranno ripresi da Cimabue nelle Maestà successive. Nel complesso, queste caratteristiche stilistiche suggeriscono una datazione intorno ai primi anni ottanta del XIII secolo.
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### Titolo: Trittico della Madonna col Bambino e i santi Pietro e Paolo. ### Introduzione: La Trittico della Madonna col Bambino e i santi Pietro e Paolo è un dipinto a tempera e oro su tavola (pannello centrale 150x58 cm, pannelli laterali 126x44 ciascuno) di Ugolino di Nerio, databile al 1320-1325 circa e conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Precedentemente faceva parte della Collezione Contini-Bonacossi, che fu donata al museo fiorentino nel 1969. ### Descrizione e stile. Il trittico è composto da tre pannelli con altrettante cuspidi, con personaggi a mezza figura. Al centro si vede la Madonna col Bambino, sormontata dall'Eterno benedicente, a sinistra San Paolo (con la spada) sormontato forse da Santo Stefano (con la dalmatica) e a destra San Pietro (con le chiavi e la barba bianca), sormontato forse da San Giovanni Evangelista (col libro). Il Bambino è colto nell'atto infantile di tirare il velo della madre, che lo guarda con uno sguardo impassibile ma tutto sommato dolce alla maniera di Duccio di Buoninsegna. Le figure mostrano la conoscenza delle novità senesi introdotte da Simone Martini ed è assimilabile al Polittico n. 38 della Pinacoteca nazionale di Siena e alla Madonna col Bambino della Pieve di Pilli.
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### Titolo: Santa Cecilia e storie della sua vita. ### Introduzione: Santa Cecilia e storie della sua vita è un dipinto a tempera e oro su tavola (85x181 cm) del Maestro della Santa Cecilia, databile a dopo il 1304 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. La pala mostra al centro, in tutta la sua figura, Santa Cecilia in trono. Evidenti sono i rimandi in questa rappresentazione alle coeve novità di Cimabue e Giotto, infatti il trono è già in prospettiva intuitiva, e ha un traforo sui lati, a mo' di ciborio, come compare poi, anni dopo, anche nella Maestà di Ognissanti di Giotto. Essa tiene in mano la palma del martirio e un libro ed ha un'espressione sorridente. La sua figura, a differenza dei personaggi stilizzati nell Storie, è plastica e massiccia, quasi dilatata come nelle migliori opere giottesche. Ai lati si trovano, in due gruppi simmetrici, otto storie della sua vita, secondo uno schema che affonda le radici nell'arte duecentesca. Si leggono da sinistra a destra, dall'alto in basso, prima nella metà sinistra e poi in quella destra:. Banchetto di nozze di santa Cecilia e san Valeriano. Santa Cecilia converte san Valeriano. San Valeriano incoronato da un angelo. Santa Cecilia predica a san Valeriano e san Tiburzio. Battesimo di san Tiburzio. Santa Cecilia che predica pubblicamente. Santa Cecilia davanti al prefetto. Martirio di santa CeciliaLe storie ricordano il casto matrimonio tra Cecilia e Valeriano, la loro partecipazione attiva al Cristianesimo e l'arresto e martirio della santa. Mancano attributi che rimandino al patronaggio della musica da parte della santa, poiché legati a un culto che si diffuse solo nel XVI secolo. Le scene sono caratterizzate da un realismo minuto, con un'attenzione preponderante ai fondali architettomnici e alla collocazione delle figure nello spazio, come in una riduzione in scala degli affreschi di Assisi. L'intuitività della prospettiva è testimoniata ad esempio nella scena del Banchetto, in cui il tavolo è scorciato in maniera diversa dalla stanza. Le figurette invece appaiono ancora legate alla scuola bizantina, con proporzioni allungate e atteggiamenti convenzionali, nonostante una certa vivacità in alcune scene.
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### Titolo: Cappella Velluti. ### Introduzione: La cappella Velluti è l'ultima cappella a destra del coro nella basilica di Santa Croce a Firenze. ### Descrizione e stile. La decorazione si dispiega nel registro mediano delle pareti laterali e ai lati della vetrata nella parete centrale. A sinistra si vede l'Apparizione di san Michele Arcangelo sul monte Gargano, a destra San Michele Arcangelo che combatte il drago. Sopra e sotto a queste scene principali si trovano partiture geometriche che imitano specchiature marmoree. Sulla parete centrale si vedono le figure dei santi Alessandro vescovo di Fiesole e Maria egiziaca sotto nicchie, sormontati dagli stemmi Velluti e Zati. Il soffitto è azzurrino, con motivi geometrici e vegetali sui bordi e sui costoloni. Il polittico sull'altare è di Giovanni del Biondo con predella di Neri di Bicci.
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### Titolo: Trittico Cagnola. ### Introduzione: Il Trittico Cagnola è un dipinto a tempera e oro su tavola (39x42 cm) di Jacopo del Casentino, firmato, databile al 1325-1330 circa, e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. Il trittichetto, dalla forma cuspidata con due ante richiudibili, mostra al centro una Maestà, cioè una Madonna in trono col Bambino. La rappresentazione deriva evidentemente dalla Maestà di Ognissanti di Giotto, con un'analoga impostazione e alcune citazioni, come la Madonna dalle forme dialatate sotto il manto scuro e il trono traforato, in prospettiva centrale intuitiva. Ai lati della Vergine si trovano quattro angeli e i santi Bernardo da Chiaravalle e Giovanni Battista. Curiosa è la forma del gradino alla base del trono, con una sporgenza esagonale. Il pavimento imita le venature del marmo. In basso, sul bordo dello scomparto centrale, si trova la firma dell'autore. Negli sportelli laterali, arricchiti da punzonature, si trovano vari episodi. Quello sinistro è ripartito tra le Stimmate di san Francesco nella parte superiore e le sante Margherita d'Antiochia e Lucia a tutta figura in quello inferiore. Quello destro mostra una Crocifissione con angeli che raccolgono il sangue delle ferite di Cristo (anche questo un motivo giottesco presente nella Cappella degli Scrovegni) e i dolenti alla base, sullo sfondo della roccia del monte Golgota, con l'immancabile teschio. La scelta delle figure, soprattutto nello sportello, doveva essere legata al nome e alla devozione particolare del committente e dei suoi familiari. Lo stile si lega a una tendenza 'miniaturistica', come descrisse Richard Offner.
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### Titolo: Storie della Vergine (Niccolò di Bonaccorso). ### Introduzione: Le Storie della Vergine sono una serie di dipinti a tempera e oro su tavola (50x34 cm ciascuno) di Niccolò di Bonaccorso, databili al 1380 circa e conservate nella Galleria degli Uffizi a Firenze, nella National Gallery di Londra e nel Metropolitan Museum di New York. ### Descrizione e stile. Le tre tavolette mostrano uno stile piuttosto eclettico. Le tre opere hanno identiche misure e identica incorniciatura. Tutte e tre inoltre hanno la stessa decorazione del retro, che suggerisce come essi potessero venir mossi e chiusi, rendendo visibile anche il lato posteriore.
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### Titolo: Altare di san Giovanni Battista. ### Introduzione: L'Altare di san Giovanni Battista è un dipinto a tempera e oro su tavola (275x180 cm) di Giovanni del Biondo, databile al 1360 circa e conservato nella Collezione Contini Bonacossi della Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. L'opera, di dimensioni monumentali, mostra al centro San Giovanni Battista a tutta figura secondo una tipologia che affonda le sue radici nelle prime rappresentazioni di san Francesco tra le sue storie nel XIII secolo. Il santo è rappresentato prendendo a modello l'iconografia dell'Arcangelo Michele vittorioso sul drago, cioè trionfante su Erode che si trova sotto i suoi piedi con un cartiglio. Anche il Battista tiene un cartiglio con la tipica frase biblica 'EGO VOX CLAMANTIS IN DESERTO'. Erode si riconosce anche nella vicina scena del Banchetto, a destra. La figura frontale del Battista è legata all'influenza dell'Orcagna, maestro di Giovanni. In alto la cuspide è riquadrata da due cherubini e un serafino e ai lati si trovano dieci storie della vita del santo, più basse nella predella, con un'undicesima storia al centro in basso rappresentante la Discesa al Limbo, che sottolinea l'apoteosi di Giovanni Battista come Precursore di Cristo. Esse sono dall'alto in basso, da sinistra a destra:. Annuncio della nascita di Giovanni Battista a Zaccaria. Visitazione. Nascita del Battista. Imposizione del nome al Battista. San Giovannino nel deserto. Predicazione del Battista nel deserto. Battesimo di Cristo. Banchetto di Erode. Decapitazione di San Giovanni Battista. Salomè porta la testa del Battista a ErodiadeLa gamma cromatica, come tipico nelle opere di Giovanni del Biondo, è così ricca e variata, che fece spendere a Mario Salmi le parole di 'vivace, festaiolo', riferite al prolifico allievo dell'Orcagna.
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### Titolo: Madonna col Bambino (Andrea Vanni). ### Introduzione: La Madonna col Bambino è un dipinto a tempera e oro su tavola (82x60 cm) di Andrea Vanni, databile al 1390-1400 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. La Madonna col Bambino è ritratta a mezza figura su uno sfondo dorato, che le dà una certa aurea mistica di sapore bizantino. A sinistra, sotto uno dei lobi dell'archetto, si vede un profeta con cartiglio, mentre nei due tondi in alto sono dipinti san Luca evangelista e un angelo. Maria ha un manto blu con la tipica stella sulla spalla, ricordo della Grazia divina e della stella di Betlemme, con una corona a rilievo in pastiglia e un velo lavorato interamente nell'oro. Anche la veste del Bambino, in posizione frontale, è ricavata con tantissime lumeggiature dorate. Lo stile dell'opera ben esemplifica lo stato dell'arte senese alla fine del secolo, legata ancora all'esempio dei maestri del primo Trecento, in particolare, in questo caso, Simone Martini.
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### Titolo: Natività (Simone dei Crocifissi). ### Introduzione: La Natività è un dipinto a tempera e oro su tavola (47x25 cm) di Simone dei Crocifissi, databile al 1380 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. L'opera ha un sapore quasi miniaturistico, con una minuta attenzione al dettaglio e alcuni accenni espressivi tipici della scuola bolognese. In primo piano Maria sta fasciando il Bambino, mentre san Giuseppe, come tipico nell'iconografia, sta dormendo. Dietro si vede la capannuccia, in prospettiva intuitiva, con la mangiatoia composta da un incannicciato pazientemente dipinto. Vi si trova sopra il lembo di un lenuolo e dietro si vedono spuntare, dentro alla grotta, il bue e l'asinello, quest'ultimo mentre sta lanciando un raglio, forse spaventato dalla stella di Betlemme che pare essersi posata proprio tra i due animali. A destra, mentre alcune pecore e capre pascolano quietamente, un pastore riceve l'annuncio da un angelo, storcendosi in maniera innaturale, secondo quelle deformazioni espressive tipiche dei bolognesi. Più in alto una serie di angeli canta e tiene una corona per Cristo.
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### Titolo: Altarolo con la Crocifissione, Madonna e santi. ### Introduzione: L'Altarolo con la Crocifissione, Madonna e santi è un dipinto a tempera e oro su tavola (50x40 cm) di Pacino di Buonaguida e aiuti, databile al 1300-1315 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. L'altarolo portatile ha una forma cuspidata con due sportelli chiudibili legati da cerniere. Al centro si trova una Madonna in trono col Bambino tra due sante, san Pietro e san Paolo; a sinistra si vedono un santo diacono, san Giovanni Battista e san Cristoforo, a destra la Crocifissione tra i dolenti Maria e san Giovanni sul monte Calvario. L'opera presenta una discreta qualità, con finezze disegnative e cromatiche.
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### Titolo: Bestie da soma. ### Introduzione: Bestie da soma è un dipinto di Teofilo Patini del 1886. ### Descrizione e storia. Scena tanto realista quanto esplicita della dura vita condotta dalle donne della seconda metà dell'Ottocento abruzzese, il dipinto rappresenta il momento di riposo di tre donne, una delle quali in piedi in evidente stato di gravidanza, intente a trasportare legna raccolta quale provvista per l'inverno. Dai costumi si ipotizza l'appartenenza delle due donne, vestite allo stesso modo in marrone e verde con gli abiti da lavoro caratteristici, al paese di Rocca Pia, situato alle porte dell'attuale altopiano delle Cinquemiglia, mentre la terza ragazza in primo piano indossa un abito più elegante, abbigliamento tipico dei momenti di festa di Castel di Sangro, paese natale del Patini. L'opera si caratterizza per il forte contenuto di denuncia sociale delle condizioni di vita femminili, come del resto il titolo del dipinto descrive. Nel quadro la scena non presenta orizzonte, non è visibile il cielo, quasi ad indicare che per queste persone non c'è speranza di futuro. Da notare la donna alla sinistra del dipinto; la più stanca delle tre. È seduta, che sta riposando, stremata dal lavoro e dalla fatica. Sul sentiero che va verso la vetta del monte, altre tre donne continuano il cammino. Il dipinto fa parte delle Collezioni dell'Arte dell'amministrazione provinciale e fino al 2009 era esposto nel Palazzo del Governo in L'Aquila. Salvatosi miracolosamente dal terremoto del 6 aprile, è attualmente collocato temporaneamente nella Pinacoteca Patiniana di Castel di Sangro.
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### Titolo: Albero della Vita (Pacino di Buonaguida). ### Introduzione: L'Albero della Vita è un dipinto a tempera e oro su tavola (248x151 cm) di Pacino di Buonaguida, databile al 1305-1310 circa e conservato nella Galleria dell'Accademia a Firenze. ### Descrizione e stile. Il soggetto della tavola è tipicamente francescano e si ispira all'opuscolo di meditazioni del Lignum Vitae di Bonaventura da Bagnoregio, in cui l'antichissimo tema dell'Albero della vita si fondeva con la storia della croce di Cristo. Il testo infatti si divide in dodici 'rami' o 'frutti' e quarantotto capitoli o meditazioni, fedelmente riprodotti nel dipinto. Al centro campeggia Cristo crocifisso, nella posizione realistica inaugurata pochi anni prima da Giotto nel Crocifisso di Santa Maria Novella, ma con una dolcezza derivata dall'esempio del Crocifisso di San Felice, con pochi accenni espressionistici come il sangue che scende lungo il tronco dell'Albero. Da ogni lato dipartono sei rami, da leggere da sinistra a destra e dal basso verso l'alto, alternatamente rossi e verdi con notazioni vegetali di stampo miniaturistico (Pacino era infatti anche un miniatore), dai quali pendono a sua volta quattro medaglioni ('frutti') con storie cristologiche, simboleggianti le virtù di Gesù, enunciate nei cartigli che corrono lungo i rami. Fa eccezione l'ultimo ramo in alto a destra, poiché il capitolo quarantotto è rappresentato nella cuspide: il paradiso. In basso si trovano poi storie della Genesi strettamente legate al tema dell'Albero proibito, divenuto poi Albero della vita e legno della Croce. Esse sono:. Creazione dell'uomo. Creazione della donna. Dio indica ai progenitori l'albero proibito. Tentazione di Adamo. Peccato originale. Rimprovero di Dio. Fonte dei quattro fiumi del Paradiso terrestre. Cacciata dal Paradiso terrestreQueste scene, ricche di notazioni naturalistiche che sembrano preannunciare il gusto tardogotico, sono divise a quattro a quattro, con al centro il monticello del Calvario al cui centro, entro una nicchia scura, si affaccia un francescano con un libro aperto, probabilmente san Bonaventura da Bagnoregio con il Lignum Vitae. Sopra le scene della Genesi si trovano quattro tra santi e profeti con cartigli: Mosè, Francesco d'Assisi, santa Chiara e san Giovanni Evangelista, con iscrizioni tratte rispettivamente dalla Genesi, dalle lettere ai Galati, dal Cantico dei Cantici e dall'Apocalisse. Dalla montagnola del Golgota si diparte l'Albero della Vita, coi suoi dodici rami e quarantasette medaglioni. Essi rappresentano:. Chiude la rappresentazione, in alto, la città murata del Paradiso (da notare la prospettiva intuitiva della muraglia), da cui sporgono gli scranni ordinati di santi, profeti e beati, culminanti nei troni della Madonna e di Cristo in gloria. Nel complesso quindi la tavola appare come una grande pagina di dottrina su cui meditare, con l'aiuto delle attraenti immagini. In generale, lo stile è spesso calligrafico e le forme morbide, con il recupero del gusto narrativo tipico delle opere fiorentine del Duecento.
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### Titolo: Maestà (Maestro della Santa Cecilia). ### Introduzione: La Maestà è un dipinto a tempera e oro su tavola (185x97 cm) del Maestro della Santa Cecilia, databile al 1320-1325 circa e conservato nella Galleria dell'Accademia a Firenze. ### Descrizione e stile. La scena è una Maestà, cioè una Madonna in trono col Bambino. Come tipico del Maestro c'è una forte attenzione alla spazialità, testimoniata dal monumentale trono in prospettiva intuitiva, che è decorato da intarsi lapidei in stile cosmatesco. Più imbambolata appare invece la Madonna, non emulando le vitalità e il realismo delle coeve opere di Giotto. Essa, avvolta in un pesante mantello blu scuro, tiene sulle ginocchia il Bambino vestito di una tunichetta trasparente e reggente un cartiglio con su scritto, in caratteri gotici, 'IN ULNIS [UBERA?] MATRIS MANET HIC SAPIENTIA PATRIS'.
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### Titolo: Polittico con l'Annunciazione e santi. ### Introduzione: Il Polittico con l'Annunciazione e santi è un dipinto a tempera e oro su tavola (404x381 cm) di Giovanni del Biondo, databile al 1380-1385 circa e conservato nella Galleria dell'Accademia a Firenze. ### Descrizione e stile. Il monumentale polittico è in uno stato di conservazione eccezionale, straordinariamente completo di tutte le sue parti, permettendo di farsi un'idea delle gigantesche macchine sceniche che decoravano gli altari in epoca gotica. Nell'Ottocento comunque venne restaurata la cornice lignea, con il rifacimento delle colonnine di divisione, degli intagli e del basamento. Sotto l'Annunciazione venne stesa una striscia azzurra che coprì probabilmente i resti di un'iscrizione che si vede anche nella medesima fascia ai lati. La scena principale è un'Annunciazione, ambientata nella casa di Maria, con l'Angelo che si inchina davanti alla Vergine, attraverso un arco, e Maria che, sullo sfondo del tipico letto vuoto, elemento essenziale dell'iconografia che certificava la sua verginità, fa un gesto con la mano in segno di accettazione della sua missione; intanto dal cielo arriva la colomba dello Spirito Santo. Nei due scomparti laterali si affollano un gran numero di santi, rappresentati per lo più frontalmente ciascuno con i propri attributi iconografici, in triplice fila. Più in alto, sopra archetti con trilobatura a sottili segmenti di legno, si trovano una serie di cuspidi con cherubini e serafini alternati, con al centro, sopra l'Annunciazione, Dio Padre, dal cui gesto di benedizione parte il raggio che guida la colomba. Più in alto si trovano le cuspidi maggiori, tre, che nella struttura ripetono in scala minore quella del polittico stesso. Esse rappresentano la Flagellazione, la Crocifissione e la Resurrezione. In basso si vede la predella con Santi a mezzobusto ai lati e una Pietà al centro. I pilastrini sono decorati da Santi e profeti e da piccole cuspidi con angeli come nei pannelli principali.
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### Titolo: Polittico dell'incoronazione della Vergine e santi. ### Introduzione: Il Polittico dell'incoronazione della Vergine e santi è un dipinto a tempera e oro su tavola (209x215,5 cm) di Giovanni dal Ponte, databile al 1420-1430 circa e conservato nella Galleria dell'Accademia a Firenze. ### Descrizione e stile. Il monumentale polittico mostra al centro l'Incoronazione della Vergine con quattro angeli musicanti alla base e con la colomba dello Spirito Santo in alto. A sinistra si vedono i santi Francesco e Giovanni Battista, a destra Ivo, patrono dei notai, e Domenico. Nelle cuspidi l'artista dipinse l'Angelo annunciante, la Discesa di Cristo al Limbo e la Vergine annunciata. Le figure mostrano una maggiore compostezza derivata da una personale assimilazione di Masaccio, con un chiaroscuro più efficace e una migliore resa naturalistica di alcune fisionomie. L'artista non rinuncia però alla ricca ornamentazione, ai ritmi impetuosi e alla struttura disegnativa dei panneggi.
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### Titolo: Ritratti dei duchi di Milano con i figli. ### Introduzione: I Ritratti dei duchi di Milano con i figli sono una serie di dipinti a olio e tempera su intonaco (90 cm di base ciascuno) di Leonardo da Vinci, databili al 1497 e conservati ai lati della Crocifissione di Donato Montorfano nell'ex-refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie. Le opere, confermate dalle fonti antiche, sono oggi scarsamente leggibili. ### Descrizione e stile. Dell'intervento originario restano oggi pochi frammenti, anche a causa del bombardamento dell'agosto 1943, in cui la volta crollò lasciando esposti gli affreschi alle intemperie (solo sul Cenacolo erano stati posti sacchi di sabbia a protezione). In ogni caso la tecnica a secco aveva già notevolmente compromesso l'opera. Gian Giacomo Gattico scrisse a proposito: «Queste [figure] sono infarcite per essere dipinte a olio, ed egli [Leonardo] contro il suo volere lo fece perché così onninamente volse il duca Ludovico». La critica, a causa dell'esiguità dei frammenti, ha spesso sottovalutato lo studio della loro autenticità, ma studi recenti, basati su esami scientifici, ribadiscono la piena autografia leonardesca confermando le fonti.
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### Titolo: Annunciazione (Ambrogio Lorenzetti). ### Introduzione: L'Annunciazione è un dipinto a tempera e oro su tavola (127x120 cm) di Ambrogio Lorenzetti, firmato e datato al 1344, e conservato nella Pinacoteca Nazionale di Siena. È una delle cinque opere firmate e datate dell'artista, l'ultima in ordine cronologico, e quindi valido punto di riferimento per la datazione delle restanti opere attribuite a questo artista. ### Descrizione. Secondo il Vangelo di Luca (Luca, 1, 28-38) l'Annunciazione consta di cinque momenti: (1) l'apparizione e il saluto dell'Angelo, (2) l'annuncio del concepimento, (3) la spiegazione di come il concepimento fosse possibile (data la replica della Vergine che “non conosceva uomo”), (4) l'accettazione di Maria e il concepimento stesso e (5) la scomparsa dell'Angelo. Qui l'artista sceglie di rappresentare il momento emotivamente più profondo discostandosi dalla rappresentazione convenzionale dell’Annunciazione. Non è l'apparizione dell'Angelo e il suo annuncio ad essere oggetto del dipinto (come era consuetudine), bensì la spiegazione dell'Angelo su come il concepimento potesse avvenire, l'accettazione di Maria e il concepimento stesso. L'angelo infatti proferisce le seguenti parole: “Non est (erit) impossibile apud Deum omne verbum”, visibili tra la bocca dell’Angelo e il petto di Maria. Questa è la spiegazione di come il concepimento poteva avvenire visto che “per Dio niente era impossibile”. Il dito dell’Angelo rivolto verso l'alto enfatizza il riferimento a Dio Padre. La Vergine guarda in alto verso Dio Padre e risponde “Ecce Ancilla Domini”. È il suo “sì” di fronte alla volontà di Dio. Queste parole sono pronunciate da Maria non verso il suo interlocutore (l’Angelo) bensì verso Dio Padre stesso con le mani incrociate sul petto e dopo aver abbandonato il libro aperto sulle ginocchia. In questa rappresentazione il Lorenzetti enfatizza come il concepimento non fosse un'imposizione del Padre, ma una richiesta alla quale Dio stesso attendeva una risposta. Infine si vede lo Spirito Santo, raffigurato come una colomba, inviato da Dio verso Maria per il concepimento stesso. Il saluto iniziale dell’Angelo è presente nel dipinto, ma viene relegato sull'aureola della Vergine in cui si legge “Ave Maria, Gratia Plena, dominus tecum”. ### Stile. Da un punto di vista prettamente stilistico, il dipinto è realizzato secondo lo stile dell'ultimo Ambrogio Lorenzetti, quello della maturità artistica degli anni senesi (dopo il 1335). Egli costruisce una prospettiva con un punto di fuga unico: le rette che scandiscono in profondità il pavimento di mattonelle si incontrano tutte in un punto giacente sulla colonnina centrale della bifora che incornicia la scena; ma le parallele orizzontali che le intersecano si riavvicinano gradualmente verso lo sfondo in un digradare empirico delle grandezze che non ha una precisa relazione con le relative distanze. La scacchiera di base della scena rappresenta perciò un sistema di coordinate che fornisce una definizione ancora approssimativa delle dimensioni degli oggetti e delle distanze fra di essi. Reitera così le indubbie capacità del Lorenzetti di dipingere le complesse prospettive già evidenti nella Presentazione di Gesù al Tempio del 1342 (Oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze) dove però non è presente il punto di fuga unico, ne coesistono invece di diversi, creando come delle zone prospettiche distinte. Unificazione prospettica soltanto parziale dunque, che però prelude direttamente al procedimento Quattrocentesco. I volti dell’Angelo e di Maria sono rese secondo le inconfondibili fisionomie di quest'artista. I chiaroscuri dei volti e del panneggio mostrano le influenze giottesche che Ambrogio Lorenzetti aveva acquisito negli anni di permanenza a Firenze (prima del 1332).
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### Titolo: Maestà di Massa Marittima. ### Introduzione: La Maestà di Massa Marittima è un dipinto a tempera e oro su tavola (161X209 cm) di Ambrogio Lorenzetti, datato al 1335 circa e conservato nel Museo di arte sacra di Massa Marittima. Si tratta di una delle sue prime grandi opere allegoriche. È una delle tre grandi Maestà di quest'artista: le altre due sono dipinte a fresco nella cappella di San Galgano a Montesiepi (Chiusdino, in provincia di Siena) e nella chiesa di Sant'Agostino di Siena. Un'altra Maestà di Massa Marittima, anch'essa di scuola senese del Trecento, dipinta da Duccio di Buoninsegna, si trova invece nel Duomo della città. ### Descrizione. Al centro siede la Madonna in trono col Bambino in braccio. Ai lati dei gradini del trono sono presenti sei angeli (tre per parte) con strumenti musicali e incensieri. Ai lati del trono stesso ci sono altri quattro angeli, due che reggono i cuscini del trono e altri due che lanciano fiori. Come in altri dipinti di Ambrogio Lorenzetti, nella Madonna con il Bambino è sottolineato il rapporto umano tra madre e figlio, con la consueta presa energica del figlio da parte di Maria, con un contatto guancia a guancia e uno scambio di sguardi ravvicinato tra le due figure. Del trono si vedono solo i gradini, mentre è apparentemente assente il seggio e lo schienale: il trono diventa quindi costituito dai soli cuscini sorretti dagli angeli. In primo piano infine si trovano le personificazioni delle Virtù teologali. Tutti gli altri personaggi in piedi sono uno stuolo di profeti, santi e patriarchi. A sinistra, dietro i tre angeli inginocchiati, troviamo una fila di quattro santi riconoscibili come san Basilio, san Nicola di Bari, san Francesco d'Assisi e santa Caterina d'Alessandria. Ancora più dietro, troviamo san Giovanni evangelista, san Pietro, san Paolo e due sante non identificate. In piedi, dietro agli angeli musicanti, sono presenti san Benedetto, sant'Antonio abate, sant'Agostino e san Cerbone (santo patrono di Massa Marittima, al quale è dedicato il Duomo), riconoscibile per le oche ai suoi piedi. Dietro troviamo gli evangelisti Matteo, Marco e Luca, con due sante non identificate. Dietro ai santi dai volti visibili si intravedono le aureole di altre figure e sotto gli archi a sesto acuto molte altre figure, riconducibili ad apostoli, profeti e patriarchi. Tale sovraffollamento di personaggi fa sì che tutti coloro che hanno fatto la storia della Chiesa siano presenti all'evento della nascita di Gesù Cristo. ### Stile. L'opera è tutt'altro che una Maestà tradizionale. Il sovraffollamento dei personaggi intorno al trono carica l'evento della nascita di Gesù Cristo di una portata epocale, essendo tale evento assistito da tutti coloro che hanno fatto la storia della Chiesa. Inoltre la presenza, iconografia e collocamento delle tre virtù teologali accrescono il valore allegorico dell'opera. Proprio intorno al 1335 si registra una transizione dello stile di Ambrogio Lorenzetti. Alle figure già volumetriche ben collocate nello spazio e rese già con un ottimo uso dei chiaroscuri, ma ancora forse un po' troppo statiche ed ingessate dei primi anni trenta del secolo (come si riscontra nel trittico di San Procolo del 1332 che si trova alla Galleria degli Uffizi di Firenze), si passa a figure con una postura più sciolta e naturale, anche laddove le figure non sono in movimento. Questo si riscontra per le tre virtù teologali sedute sui gradini del trono, per quelle degli angeli e per quella di san Francesco, mentre altre figure rimangono ancora statiche e irrigidite nella loro posizione. La coesistenza di queste due caratteristiche stilistiche nell'opera, che sarà persa definitivamente nelle opere senesi della seconda metà degli anni trenta e degli anni quaranta del secolo, indica la transizione in atto nello stile dell'artista in questi anni. I volti delle figure rivelano le fisionomie tipiche di Lorenzetti, contribuendo quindi, insieme al carico allegorico del dipinto, a non suscitare dubbi sulla paternità dell'opera. Delicatissimi sono poi gli accordi cromatici, intonati a toni pastello perfettamente armonizzati nel preponderante oro dello sfondo e delle numerose aureole.
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### Titolo: Nostra Signora della Porta dell'Aurora. ### Introduzione: Nostra Signora della Porta dell'Aurora (lituano: Ausros Vartu Dievo Motina, polacco: Matka Boska Ostrobramska, bielorusso: Маці Божая Вастрабрамская) è un'immagine della Vergine venerata dai fedeli della Lituania. Si trova a Vilnius, la capitale, nella cappella della Porta dell'Aurora. È l'immagine mariana più venerata della Lituania. É anche la patrona principale dell'arcidiocesi di Białystok in Polonia (eretta nel 1991 sulla parte rimasta polacca dell'arcidiocesi di Vilnius). Il dipinto rinascimentale, completato probabilmente nella prima metà del XVII secolo, è una raffigurazione della Madonna senza Gesù Bambino. L'opera fu presto ritenuta miracolosa ispirando un culto. Una cappella a lei dedicata è stata costruita nel 1671 dai Carmelitani Scalzi. Allo stesso tempo, secondo la tradizione cristiano ortodossa orientale, il dipinto fu ricoperto in argento e in oro lasciando solo il viso e le mani visibili. Nei secoli successivi, il culto crebbe fortemente e il dipinto divenne una parte importante della vita religiosa a Vilnius. Il culto ha ispirato molte copie in Lituania, Polonia, e nelle comunità della diaspora in tutto il mondo. La cappella fu visitata da papa Giovanni Paolo II nel 1993. Si tratta di un importante sito di pellegrinaggio a Vilnius e attira molti visitatori, soprattutto dalla Polonia. ### Descrizione. Il dipinto originale è di 163 x 200 cm e fu realizzato da un artista ignoto su 8 tavole di quercia spesse 2 cm. Com'era consuetudine per l'Europa settentrionale, un sottilissimo strato di mestica di gesso fu applicato alle tavole prima della pittura a tempera. In seguito Nostra Signora fu ridipinto con vernice a olio. Alcuni lavori di restauro furono completati a metà del XIX secolo, mentre altri lavori più importanti, come già detto, furono ultimati nel 1927. Il dipinto raffigura la complessa personalità e la devozione di Maria. Il capo è dolcemente reclinato a destra, gli occhi sono semichiusi, le mani sono incrociate in segno di devozione; questo ricorda che è una vergine, umile serva del Signore, madre misericordiosa e patrona del popolo. Allo stesso tempo, il capo è circondato dai raggi del sole e il corpo è solitamente coperto con elaborati abiti e corone d'oro e d'argento; questi sono i simboli del suo ruolo divino e maestoso come Regina del Cielo. Il dipinto ricorda anche Tota pulchra es ('Tutta bella sei'), una vecchia preghiera cattolica.
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### Titolo: San Verano tra due angeli e sei storie della sua vita. ### Introduzione: San Verano tra due angeli e sei storie della sua vita è un dipinto a tempera e oro su tavola (152x97 cm) di un anonimo di scuola pisana, databile al 1270-1275 circa e conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano. ### Descrizione e stile. L'opera è tipica dell'arte duecentesca toscana, sia per formato sia per impostazione iconografica: un santo a tutta figura in atto benedicente al centro e, ai lati, storie della sua vita, in questo caso sormontate da due angeli simmetrici che si affacciano a mezza figura. La figura è altamente monumentale, con quei giochi lineari nel panneggio lumeggiato d'oro che, nonostante la raffinatezza, finiscono per appiattire il volume. Gli episodi vanno letti in senso orizzontale:. San Pietro battezza Verano. Verano e l'angelo e liberazione di un'indemoniata. Miracolo del fanciullo resuscitato. Miracolo in una basilica. Decollazione di san Verano. Seppellimento di san VeranoLe scene sono caratterizzate da una certa vivacità narrativa tipica dell'arte bizantina, evidente nelle scene dei miracoli: nella Resurrezione si vede ad esempio un fanciullo steso a terra e contemporaneamente in piedi a un gesto del vescovo, secondo uno schema eloquente che esplicita l'azione. I fondali sono variati ed eleganti, anche si tratta di spazi astratti, come nelle quinte teatrali, con cui le figure in primo piano non interagiscono mai.
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### Titolo: Madonna dell'Umiltà (Starnina). ### Introduzione: La Madonna dell'Umiltà è un dipinto a una tempera e oro su tavola (80,5x51 cm) di Gherardo Starnina, databile al 1403 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. ### Descrizione e stile. La Madonna dell'Umiltà è un tema caro all'arte fiorentina fra Tre e Quattrocento, promosso dagli ordini mendicanti. Maria infatti, simboleggiando la Chiesa, accetta di sedersi in terra, senza troni, avvicinandosi quindi figuratamente ai fedeli. L'opera, dipinta poco dopo il rientro dell'artista dal proficuo viaggio in Spagna, mostra una piacevole intonazione familiare tra madre e figlio, con uno scambio amorevole di gesti: l'abbraccio di Maria, la carezza sul mento di Gesù e l'afferrare il velo della Madonna, un'azione tipicamente fanciullesca mutuata dall'arte trecentesca, che aveva già reso umano il tipico gesto della bizantina Glykophilousa. Evidente è l'appartenenza allo stile gotico internazionale, con il ritmico ricadere della veste di Maria, che col bordo crea eleganti giochi lineari, sottolineati dalla fine decorazione dorata. Un analogo gusto per l'ornato sfarzoso si riscontra nel cuscino sotto Maria, con rosette su sfondo d'oro, e nel motivo del pavimento, che imita un prezioso broccato. Nel resto dei panneggi le linee sono fluide, a tratti taglienti, il colore acceso e accordato a tonalità smaltate, che fanno risaltare la tenerezza degli incarnati.
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### Titolo: Apoteosi di Palermo. ### Introduzione: L'Apoteosi di Palermo è un dipinto a fresco di Vito D'Anna, datato 1760. Si trova nel salone da ballo di Palazzo Isnello a Palermo. L'opera è una delle otto rappresentazioni monumentali del Genio di Palermo ed è considerato uno dei capolavori di Vito D'Anna e della pittura barocca siciliana. ### Descrizione. L'affresco, dipinto sulla volta del salone da ballo di Palazzo Isnello, è un'allegoria trionfale di Palermo, con al centro il Genio di Palermo, antico nume tutelare della città.
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### Titolo: Madonna col Bambino (Paolo Uccello). ### Introduzione: La Madonna col Bambino è un dipinto a tempera su tavola (57×33 cm) di Paolo Uccello, databile al 1445 circa e conservato nella National Gallery of Ireland a Dublino. ### Descrizione e stile. La Madonna è rappresentata a mezzo busto in una nicchia con calotta a conchiglia, un motivo di derivazione donatelliana allora molto popolare nelle opere di Filippo Lippi e di Luca e Andrea della Robbia. Maria, con un'elaborata acconciatura intrecciata, è vestita di nero e guarda fuori dalla nicchia a sinistra, senza cercare lo sguardo dello spettatore. Dall'elegante mantello, aperto da spacchi, fuoriescono le braccia coperte da maniche chiuse da bottoncini fitti, con una resa traslucida del tessuto che ricorda la seta. Notevole è la volumetria della testa, tramite un accentuato chiaroscuro che non esita a lasciarle, con un realistico studio della luce, il volto parzialmente in ombra, secondo un approfondimento delle opere di Masaccio. La sua compostezza contrasta con la viva gioia del Bambino, che essa regge sulla mano. Il fanciullo, rubicondo e dai ricci biondi, poggia su un parapetto che coincide col bordo inferiore della cornice e fa un gesto come per scavalcare il dipinto, particolarmente riuscito grazie al piedino sinistro e al ginocchio destro che travalicano già il sottile listello dipinto. La madre lo trattiene con la salda presa. Forse entrambi guardano verso un ipotetico cardellino, l'uccellino simbolo della Passione. La cromia essenziale, intonata a rossi, neri e toni cinerini negli incarnati, è tipica di molte opere di Paolo Uccello. Evidente è lo studio luminoso, che diffonde uniformemente luci ed ombre anche negli scarti meno scontati, come nei piedini di Gesù o nei recessi della nicchia.
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### Titolo: The Organ Rehearsal. ### Introduzione: The Organ Rehearsal è l'opera più famosa ed importante di Henry Lerolle. ### Descrizione. Il dipinto è ambientato sulla tribuna in controfacciata della chiesa di San Francesco Saverio, a Parigi e raffigura una famiglia che assiste ad una funzione religiosa. Una di queste, la protagonista, si appresta a recitare la preghiera. L'autore ha scelto i personaggi della scena tra i suoi famigliari ed amici: lo stesso autore è rappresentato a sinistra con lo sguardo verso l'osservatore. La moglie è seduta tra le due sorelle.
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### Titolo: Punizione di Marsia (Tiziano). ### Introduzione: La punizione di Marsia è un dipinto di Tiziano compiuto tra il 1570 ed il 1576 e oggi conservato al castello nel Museo Arcivescovile di Kroměříž, nella Repubblica Ceca. ### Descrizione e stile. Il dipinto fa parte della serie di opere a sfondo mitologico concepite dal pittore nell'ultimo periodo della sua vita. Ritenuta tra i capolavori dell'autore, rappresenta sulla tela il mito del supplizio di Marsia, il satiro che osò sfidare Apollo. Si tratta di un'opera cruda e impattante, nella quale il dolore di Marsia, scorticato vivo, viene trasposto direttamente nello stile scelto per rappresentare la scena: il pennello stesso strappa e scortica ogni superficie rappresentata, che sia pelle umana, erba o facciate di edifici.L'iconografia rappresentata è dissonante, alla scena di dolore e strazio vengono aggiunti strumenti musicali e numerosi personaggi assistono alla punizione senza avvedersi realmente che essi stessi sono scuoiati dalla mano dell'artista.Mida, il personaggio posto sulla destra del dipinto con fare pensieroso, è probabilmente un autoritratto di Tiziano, il che si può intuire dal raffronto con il più celebre autoritratto custodito al Prado, il pittore appare così giudice dell'opera nell'opera stessa, paragonando il potere dell'artista a quello di Apollo.La scelta di Tiziano di dipingere un tale episodio della mitologia greca è forse ispirata dalla violenta morte di Marcantonio Bragadin, militare della Repubblica di Venezia.
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### Titolo: Margherita la pazza. ### Introduzione: Margherita la pazza (Dulle Griet) è un dipinto a olio su tavola (115x161 cm) di Pieter Bruegel il Vecchio, datato 1563 e conservato nel Museo Mayer van den Bergh di Anversa. Fino al restauro del 2018, in cui è emersa la data autografa, il dipinto si riteneva del 1561 . ### Descrizione e stile. Dulle Griet è una strega del folklore fiammingo, personificazione dell'avarizia, forse alterazione popolaresca della figura di santa Margherita d'Antiochia vincitrice del demonio. Bruegel la rappresenta al centro del dipinto, mentre con naturalezza, armata e in corsa, si dirige verso la bocca dell'Inferno con un bottino. Attorno a lei vi sono scene di distruzione in una città, conseguenza di un attacco portato presumibilmente dalla strega stessa; figure mostruose popolano tutto il dipinto, e il colore dominante è il rosso delle fiamme. L'opera è una delle più complesse di significati nell'opera di Bruegel. Pare che ogni personaggio, ogni mostruosa creatura e ogni oggetto rimandino a simboli magici e alchemici, di difficile identificazione. Una figura chiave è il gigante che, poco sopra il centro del dipinto, regge sulla schiena una barca con la sfera e con un mestolo di ferro rovescia monete dal suo deretano a forma di uovo dal guscio rotto. Si tratta forse dell'antipodo di Dulle Griet, che getta indifferente alla folla le ricchezze che essa raccoglie con avidità, il che suona come un richiamo all'inutilità dell'accumulare le ricchezze. Evidenti sono i debiti verso Hieronymus Bosch, tanto che è assai probabile che lo stesso committente abbia chiesto un dipinto nello stile del defunto maestro di 's-Hertogenbosch. Bruegel si dimostrò comunque pienamente all'altezza del modello di riferimento, creando figure fantasiose ma solide, con un calibratissimo concerto di colori, soprattutto rossi, ed effetti di grande finezza come nell'incendio che divampa sulla destra della tavola.
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### Titolo: I funerali dell'anarchico Galli. ### Introduzione: I funerali dell'anarchico Galli è un dipinto di Carlo Carrà, completato nel 1911, durante la sua fase futurista. Oggi è custodito al Museum of Modern Art di New York. ### Descrizione e stile. Il soggetto dell'opera sono i funerali dell'anarchico italiano Angelo Galli, ucciso nel 1904 a Milano, durante uno sciopero generale. Carrà era presente al momento dei tumulti che accompagnarono il feretro e con l'opera decise di riproporre le emozioni sentite in quel momento:. Con questo dipinto lo spettatore è messo al centro dell'azione, e servendosi di linee oblique l'artista dona movimento alla scena rappresentata.
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### Titolo: Torre di Babele (Bruegel). ### Introduzione: La Torre di Babele è il soggetto di tre dipinti di Pieter Bruegel il Vecchio. Il primo era una miniatura su avorio dipinta durante un soggiorno a Roma, oggi perduta; gli altri due sono dipinti a olio su tavola. Il primo e più celebre è la ''Grande Torre'' (114x155 cm) è firmato e datato ('BRVEGEL FE. M.CCCCC.LXIII') e custodito al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Il secondo è la ''Piccola Torre'' (60x74,5 cm), databile approssimativamente pure al 1563 circa e conservato nel Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. ### Descrizione e stile. I dipinti rappresentano l'episodio della costruzione della Torre di Babele, contenuto nel libro della Genesi; tale edificio era stato costruito da un popolo ancestrale avente una sola lingua, che dominava la terra in unione pacifica, come prova del loro sviluppo e per evitare la dispersione della razza. Ma Dio intervenne e, creando scompiglio impedì il completamento della struttura.
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### Titolo: Polittico Sandei. ### Introduzione: Il Polittico Sandei è un dipinto disperso di Gentile da Fabriano, databile al 1405-1414 circa. Ne restano alcuni santi dai pilastrini laterali: San Giacomo Maggiore, 23,8x8,5 cm, San Pietro, 23,2x6,5 cm (Collezione Berenson a Villa I Tatti a Firenze), santo Apostolo, 23,4x8,2 cm, santo apostolo con libro, 23,0x8,3 cm (Pinacoteca nazionale di Bologna) e secondo alcuni critici anche il frammento di santo eremita da uno dei pannelli principali (già in Collezione Loeser ed oggi in altra collezione privata a San Francisco). ### Descrizione e stile. Dell'opera si conoscono solo quattro frammenti: i già citati santi nella collezione Berenson e i due Apostoli nella Pinacoteca Nazionale di Bologna e, probabilmente, un frammento di pannello con la probabile raffigurazione di san Paolo eremita, già nella collezione Loeser a Firenze. Dalla ricostruzione storica scritta sopra e dallo stile dei pannelli superstiti si ricava che l'opera sia databile ai prima anni del Quattrocento, durante l'esperienza veneziana (circa 1403-1414), iniziata dopo quella pavese (ante-1402), prima di quella bresciana (dal 1414) e ben prima di quella fiorentina (dal 1423), con i panneggi ritmicamente falcati, le espressioni tra i sereno e il melanconico, la varietà delle pose. Una finestra di tempo 1405-1414 è raccomandabile in assenza di ulteriori analisi stilistiche, anche per tener conto delle leggermente divergenti datazioni degli accademici tra il 1405-1410 e il 1410-1414, rispettivamente.