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@Scribis @Italiano. Descrivi un dipinto.
### Titolo: Io, ritratto-paesaggio. ### Introduzione: Io, ritratto-paesaggio (titolo originale Moi-même) è un dipinto a olio su tela (143x110 cm) realizzato nel 1890 d Henri Rousseau e conservato nella Národní galerie di Praga. ### Descrizione. Si tratta di un autoritratto dove l'artista si pone in primo piano a figura intera, con lo sfondo del lungosenna che sintetizza la modernità di Parigi alla fine del XIX secolo (a sinistra si nota appena la Tour Eiffel, l'elemento centrale è un ponte di metallo ed in cielo c'è una mongolfiera). La caratteristica violazione di prospettiva, proporzioni e colori naturali (all'epoca non ancora apprezzata), mette in risalto il soggetto autoritratto elegantemente vestito di nero mentre cammina tenendo in mano i simboli della sua arte (pennello e tavolozza).
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### Titolo: La guerra (Henri Rousseau). ### Introduzione: La guerra è un dipinto ad olio su tela di cm 114 x 195 realizzato nel 1894 dal pittore francese Henri Rousseau e conservato al Musée d’Orsay di Parigi. La tela è stata esposta al Salon des Indépendants nel 1894. ### Descrizione. Al centro dell'opera, Rousseau ha inserito un cavallo, totalmente opposto al puledro bianco rappresentato ne Il calesse di papà Junier: nero, selvaggio e col pelo irto, porta su di sé una donna armata, brutta e selvaggia. Ciò significa che la guerra porta primitività. L'animale rappresenta la forza bruta della guerra. Nella parte inferiore del dipinto sono rappresentati gli effetti della guerra, con cadaveri umani e corvi che se ne cibano. Gli alberi spogli ed i rami spezzati creano un panorama di desolazione e alludono alla morte anche se l'uso del colore rosa per le nuvole e l'azzurro sgargiante del cielo non permettono di percepire la drammaticità dell'evento. La composizione è piramidale; alla base ci sono i cadaveri, mentre la donna è sul vertice. Una possibile fonte di ispirazione è il Trionfo della morte di Palermo.
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### Titolo: Fucina di Vulcano (Velázquez). ### Introduzione: La fucina di Vulcano (La fragua de Vulcano) è un dipinto a olio su tela (223x290 cm) realizzato nel 1630 dal pittore Diego Velázquez. È conservato nel Museo del Prado, fu dipinto a Roma nel 1630, insieme a la Tunica di Giuseppe e a la Rissa all'ambasciata di Spagna. Fu quello l'anno del soggiorno a Villa Medici. Con quest'opera Velasquez, come già aveva fatto con il Trionfo di Bacco, dipinta a Madrid tra il 1628 e il 1629, «si avvicina (...) all'Olimpo greco, «interpretandolo, però, con la sua più immediata e fresca intuizione». ### Descrizione. L'opera rappresenta un incontro fra due dei, Apollo e Vulcano. In questo quadro viene riportato l'episodio epico nel quale Apollo – raffigurato circonfuso di luce, in tutta la sua bellezza e dolcezza - fa visita a Vulcano, nella sua fucina, dove il dio-fabbro sta forgiando le armi per Marte. Qui, Apollo rivela a Vulcano che sua moglie Venere è l'amante di Marte, il dio della guerra. Si può quindi notare l'espressione di Vulcano, un misto d'indignazione e stupore, nell'apprendere la notizia e il dispiacere degli aiutanti dello stesso fabbro; così come l'atteggiamento, di netta superiorità, di Apollo nei suoi confronti. Apollo, viene quindi rappresentato come una spia, proprio come lo era considerato Velázquez a quel tempo, durante il suo soggiorno a Roma. Potrebbe quindi trattarsi di una sorta di presa in giro nei confronti di chi lo definiva tale. È interessante, poi, notare come l'artista riesca a calare nella realtà un episodio mitologico, come fosse la scena di un romanzo borghese.
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### Titolo: Macchia rossa II. ### Introduzione: Macchia rossa II è un dipinto a olio su tela (131×181 cm) realizzato nel 1921 dal pittore Vasilij Kandinskij. È conservato alla Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco. ### Descrizione. Quest'opera, in cui a forme geometriche si affiancano altre di struttura irregolare ricordi dell'astrazione lirica, è caratterizzata da un equilibrio calibratissimo, il cui fulcro è costituito dalla macchia rossa che dà il titolo al dipinto. Sullo spazio chiaro di un trapezoide di retaggio suprematista, che isola e separa dallo sfondo e allo stesso tempo evidenzia, convivono forme e colori in un vortice di piccoli segmenti variopinti, archi colorati, elementi curvilinei che prendono il via dal cuore rosso pulsante della tela. Emergono inoltre per la prima volta alcuni cerchi scuri come nuovo elemento geometrico, fra cui spicca in alto uno avvolto da un alone, quasi a richiamare l'immagine di un buco nero. Al di là di questo mondo definito dalla forma trapezoidale bianca, due figure ovali, trafitte da due lunghi oggetti appuntiti, emergono da uno sfondo scuro. Kandinskij applica in questa tela alcuni dei principi cardine espressi nel suo Dello spirituale nell'arte associando i colori squillanti, come il giallo, alle forme acute e quelli profondi, come il blu e il nero, alle forme arrotondate e identificando la macchia con il colore rosso «caldo, vivace e inquieto» frutto «di un'immensa potenza».
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### Titolo: La valorosa Téméraire. ### Introduzione: La valorosa Téméraire trainata al suo ultimo ancoraggio per essere demolita, 1838 (The Fighting Temeraire tugged to her last berth to be broken up, 1838) è un dipinto a olio su tela (90,7x121,6 cm) di William Turner, databile al 1838-1839 e conservato nella National Gallery di Londra. ### Descrizione. La Téméraire, nave da guerra a novantotto cannoni, era stata varata nel 1798 ed era stata la nave vittoriosa alla battaglia di Trafalgar, nel 1805, quella che aveva difeso dal fuoco francese la nave bandiera HMS Victory di Lord Nelson. Rimase in servizio fino al 1838, quando fu dismessa e trainata lungo il Tamigi da Sheerness a Rotherhithe, per essere demolita. Turner sceglie di raffigurare proprio il momento in cui la Temeraire, immersa nella luce intensa di un tramonto infuocato, solca lentamente e silenziosamente le acque del Tamigi, trainata da un rimorchiatore, in attesa di essere distrutta. Sappiamo che si tratta del suo ultimo viaggio grazie alla presenza del vessillo bianco, issato sul pennone in sostituzione della maestosa Union Jack: si tratta del simbolo di una resa sublime e dignitosa e, allo stesso tempo, del tramonto della gloriosa tradizione della navigazione a vela, che si apprestava a lasciare spazio alle nuove imbarcazioni a vapore.È importante notare che il principale interesse dell'artista non era narrare con precisione l'evento storico, bensì trasmettere una sensazione all'osservatore, evocare un sentimento. È per questo motivo che il dipinto presenta varie incongruenze: ad esempio, nella realtà la nave era priva di alberi (da quando utilizzata come una nave-magazzino e il suo legname venduto all'asta) ed era diretta verso ovest (e non viceversa). Oltre alla bandiera bianca, della quale abbiamo già parlato, Turner si è concesso un'altra licenza: nel dipinto, infatti, troviamo un solo rimorchiatore, mentre nella realtà ve ne erano due. Inoltre il nome dell'imbarcazione era Saucy Temeraire (dove saucy stava a significare monella, sbarazzina), come era chiamata dal suo equipaggio: l'appellativo «Fighting» (combattente) fu scelto dall'artista proprio perché più evocativo.Ciò che colpisce è la straordinaria colorazione del cielo al tramonto, un tributo e, al tempo stesso, un parallelo al destino della vecchia nave da guerra, che appare imbiancata, come incanutita, e pallida come un fantasma, ma con tocchi dorati che ne ricordano l'eroico passato. Tali caratteristiche sono ancora più evidenti al confronto con il più scuro e «giovane» rimorchiatore a vapore, che appare come una losca e informe massa nera che traina il romantico vascello verso il suo ineluttabile destino. Numerosi bagliori accendono il cielo di rosso, in riferimento al sangue inglese versato nella battaglia di Trafalgar, mentre il sole cala all'orizzonte, creando un gorgo di nubi colorate che si specchiano nel mare. Tali effetti sono ottenuti con tocchi densi di colore, sia col pennello che col mestichino, che danno un effetto sfolgorante, soprattutto da lontano. Il mare trascolora attraverso varie gamme di blu, arancio e rosso ed è estremamente trasparente: i suoi riflessi sono accentuati dal chiarore della falce lunare che appare nel cielo. Un'altra piccola vela bianca, infine, solca lo specchio d'acqua. Al contrario nel dipingere la nave e il suo complesso sartiame l'artista usò una tecnica più tradizionale e precisa. Si tratta di uno dei dipinti meglio conservati dell'artista, grazie all'uso di una tecnica a olio tradizionale, senza effetti sperimentali che, in quanto più instabili, tendono a deteriorarsi più facilmente col tempo. Per creare il cielo l'artista fece una base con uno smalto sottile che, una volta asciutto, è stato acceso da pennellate spesse di colori opachi (tra cui giallo e arancione chiari), in maniera irregolare e via via a intervalli maggiori rispetto all'area di maggior luce. Effetti speciali si possono poi notare nell'acqua alla base del rimorchiatore, dove piccole pennellate chiare e irregolari danno l'effetto dell'acqua increspata. Come nelle altre opere paesaggistiche di Turner qui si denota un aspetto onirico (tipico dei sogni) realizzato tramite un consapevole utilizzo dei colori e della luce che sfumano la realtà facendo apparire gli elementi del quadro poco nitidi e legati piuttosto al sentimento dell'artista.
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### Titolo: Giallo, rosso, blu. ### Introduzione: Giallo, rosso, blu è un dipinto a olio su tela (128×201,5 cm) realizzato nel 1925 dal pittore Vasilij Kandinskij e conservato nel Centre Pompidou di Parigi. ### Descrizione. Tra il 1922 e il 1933, Kandinskij insegna presso la Bauhaus. In questo periodo le sue composizioni appaiono strutturate secondo principi geometrici. Nell'opera il giallo e il blu sono associati rispettivamente a forme acute e ad andamenti curvilinei; si contrappongono al rosso che, disposto entro forme rettangolari, emerge nella parte centrale del quadro. La zona gialla a sinistra sembra avanzare, mentre il blu, sulla destra, produce un effetto di arretramento. La combinazione di elementi visivi semplici determina nell'opera effetti di dinamismo e di spazialità. La zona gialla è dominata da segni grafici che formano il profilo stilizzato di un uomo. È curioso tuttavia notare come, capovolgendo l'opera, gli stessi segni diano vita al muso di un gatto. A destra poi, dopo la zona rossa e quella blu, troviamo una linea nera molto marcata di forma serpentinante che, in qualche modo, 'chiude' l'intero quadro.
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### Titolo: Ia Orana Maria. ### Introduzione: Ia Orana Maria (Ave Maria) è un dipinto del pittore francese Paul Gauguin, realizzato nel 1891 e conservato al Metropolitan Museum of Art di New York. ### Descrizione. Per soddisfare la sua implacabile sete di stimoli pittorici e nuove esperienze Gauguin nel 1891 si recò a Tahiti, nella Polinesia francese: Ia Orana Maria è una delle prime opere appartenenti a questo importante capitolo dell'arte gauguiniana. È lo stesso Gauguin a descriverci i contenuti del dipinto:. Nel distretto di Mataiea, a differenza degli altri villaggi dell'isola, non veniva ancora largamente professata la religione cristiana e perciò Gauguin fu perfettamente in grado di spogliare il tema della Madonna con il bambino della mitizzazione ufficiale promossa dalla Chiesa e di trasfigurarlo nella natura lussureggiante della Polinesia. Questa tela, dove troviamo raffigurati esattamente Gesù e Maria «tahitiani», intende dunque recuperare quella spiritualità della vita di tutti i giorni e trasfigurarla sotto il sole dei Tropici: sarà tuttavia l'ultima a sfondo cristiano realizzata dall'artista, che da quel momento in poi iniziò ad interessarsi maggiormente alle mitologie maori residue sull'isola.In Ia Orana Maria, in ogni caso, Gauguin fonde armoniosamente la religione cristiana con gli stimoli visivi provenienti dalle terre del Sud. Ci troviamo in un contesto naturalistico lussureggiante e rigoglioso, degno di un «paradiso terrestre»: vi troviamo, infatti, un albero del pane, degli ibischi, dei candidi fiori di tiarè, noti per il loro profumo sublime, e infine una natura morta esotica con due caschi di banane, disinvoltamente poggiati su un piccolo altare legno su cui è laconicamente incisa la salutazione angelica: «Ia Orana» [Ave Maria]. È in questo modo che l'osservatore comprende di stare davanti a una trasposizione tahitiana del tema della Madonna con il bambino: partendo da sinistra, in effetti, scorgiamo un bellissimo angelo dall'incarnato scuro e dalle ali gialle e viola. Ha appena annunciato alle due tahitiane davanti a lui il mistero dell'Incarnazione: le due donne, infatti, si stanno avviando sul sentiero in atteggiamenti deferenti, con le mani giunte sul petto, in segno di saluto. In primo piano, infine, troviamo una donna (o, meglio, la Madonna) avvolta in uno sgargiante pareo rosso con il Gesù bambino sulle spalle: entrambe le figure sono aureolate, a testimonianza della loro sacralità.Con Ia Orana Maria, insomma, Gauguin traspone un tema iconografico tradizionalmente cristiano in un contesto tahitiano, orchestrando un suggestivo sincretismo culturale e figurativo: era sua opinione, infatti, che la civiltà occidentale con la sua ideologia convulsamente contorta (si consulti, in tal senso, il paragrafo Paul Gauguin § Via dalla pazza folla: Gauguin e il primitivismo) avesse rovinato e contaminato un mondo puro come quello tahitiano. Questo bipolarismo, tuttavia, si traduce anche sul piano più strettamente volumetrico: Gauguin, infatti, non esita ad abolire il chiaroscuro, risolvendo il pareo della donna in soli termini coloristici, senza per questo rinunciare a conferire un vigoroso risalto plastico alla natura morta in primo piano. Nonostante la composizione sia poi gremita di elementi e figure, inoltre, Gauguin riesce a trasmettere all'osservatore un senso di calma e di quiete, enfatizzato dalla sapiente concatenazione di linee orizzontali (sentiero, orizzonte, braccia e spalle delle donne) e verticali (le figure e le alberature). Questa potente raffigurazione, che amalgama il forte senso decorativo dell'arte orientale con l'ancestrale solidità dell'arte occidentale, vibra anche di un potente cromatismo, frammentato in tinte sgargianti che si valorizzano scambievolmente. È in questo modo che Gauguin ottiene «un miscuglio inquietante e saporoso di splendore barbaro, di liturgia cattolica, di sogno indù, d’immaginazione gotica, di simbolismo oscuro e sottile», come ha mirabilmente osservato l'intellettuale francese Octave Mirbeau.
@Scribis @Italiano. Descrivi un famoso dipinto.
### Titolo: Composizione VIII. ### Introduzione: Composizione VIII è un dipinto a olio su tela (140×201 cm) realizzato nel 1923 dal pittore Vasilij Kandinskij. È conservato al Solomon R. Guggenheim Museum di New York. ### Descrizione. Composizione VIII, insieme a Tratto continuo, si può considerare fra le opere più significative del periodo di Kandinskij a Weimar. Nel realizzare la grande tela, facendo interagire figure geometriche di base, come il triangolo, il quadrato e il cerchio, con i colori primari, l'artista applica in modo sistematico quei concetti di corrispondenze formali e cromatiche affrontati dodici anni prima nella pubblicazione Dello spirituale nell'arte e che erano alla base dei suoi insegnamenti agli studenti della Bauhaus. Secondo la teoria dell'artista, i colori squillanti, come il giallo, sono intensificati se associati a forme acute (per esempio il triangolo), mentre l'effetto dei colori che amano la profondità è potenziato dalle forme tonde, come il cerchio per l'azzurro. Le forme geometriche e i colori che animano la superficie del dipinto, il cui centro circolare dominante è posto in alto a sinistra, creano rapporti di forza e movimento dando vita a sensazioni di vibrante dinamicità o di quiete a seconda delle loro associazioni. Capaci inoltre, attraverso il contatto reciproco, di creare energia, così come l'incontro tra il triangolo e un cerchio presenti in alto e in basso della tela, che, a detta di Kandinskij, non ha «minore efficacia del dito di Dio che sfiora il dito di Adamo di Michelangelo».
@Scribis @Italiano. Descrivi un dipinto.
### Titolo: Il villaggio russo dalla luna. ### Introduzione: Il villaggio russo dalla luna è un dipinto a olio su tela (126×104 cm) realizzato nel 1911 dal pittore Marc Chagall. ### Descrizione. In questo quadro è rappresentato, appunto, il villaggio russo luogo dei suoi ricordi d'infanzia. Chagall, nato Moishe Segal (Mark Zacharovič Šagal all'anagrafe russa), attraverso questo quadro vuole trasmettere l'atmosfera del suo villaggio, rielaborando i suoi ricordi con fantasia. L'artista traspone in fantasiose visioni le sue memorie e le sue nostalgie. Il ricordo del villaggio si può notare in molti dettagli: frammenti di negozi e abitazioni, e personaggi tipici. Una casa è rappresentata frontalmente, ma nel centro del quadro domina l'immagine di una bottega vista dall'alto; sul tetto della bottega c'è un uomo che insegue una capra.Fa parte di una collezione privata.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Amor sacro e Amor profano. ### Introduzione: L'Amor sacro e Amor profano è un dipinto a olio su tela (118 × 279 cm) di Tiziano, databile al 1515 circa e conservato nella Galleria Borghese di Roma. ### Descrizione. In un paesaggio bucolico due donne, una vestita e una seminuda (rappresentanti rispettivamente Amor Profano e Amor Sacro), stanno nei pressi di una fontana, nel quale un bambino alato (Eros) rimesta le acque ivi contenute. Le due donne presentano una fisionomia identica e questo significa, secondo la psicologia di Tiziano, che ogni persona possiede entrambe le caratteristiche di natura opposta, che in questo caso sono, appunto, l'amore sacro/divino e l'amore profano/passionale. Sullo sfondo si vedono una città all'alba (a sinistra) contrapposta da un villaggio al tramonto (a destra), dei cavalieri e dei pastori. L'opera rappresenta tutte le sfaccettature della donna, quella carnale e quella spirituale. La venere con il manto rosso tiene in mano aromi per gli dei, l'altra venere ha un vaso che ricorda le faccende domestiche. Ci sono dei conigli che rappresentano buon auspicio e fertilità. Alcuni hanno ipotizzato che Tiziano si sia ispirato al paesaggio della Val Lapisina, presso Serravalle, per alcuni anni residenza del pittore: così il castello di sinistra corrisponderebbe alla torre di San Floriano e lo specchio d'acqua al lago Morto. Altri ipotizzano essere un paesaggio delle colline Asolane e il castello di sinistra è la Rocca Asolana. Il paesaggio appare suddiviso in due sezioni, equamente ripartite da un albero posto al centro della scena, dietro al putto, così che ognuna delle due porzioni accompagni una delle due donne. ### Stile. L'opera risente profondamente dell'influenza di Giorgione, soprattutto nell'uso dello sfondo bucolico e nel colore steso secondo la tecnica del tonalismo: si può quindi considerare un'opera di transizione nella maturazione artistica del pittore. La fisionomia delle donne si ritrova in numerose opere di Tiziano dell'epoca, dalla santa Caterina nella Sacra conversazione Balbi alla Donna allo specchio del Louvre, dalla Vanità alla Flora.
@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: La rue Montorgueil. ### Introduzione: La Rue Montoregueil a Parigi. Festa del 30 giugno 1878 (La Rue Montorgueil à Paris. Fête du 30 juin 1878) è un dipinto del pittore francese Claude Monet, realizzato nel 1878 e conservato al Musée d'Orsay di Parigi. ### Descrizione. Pur essendo un pittore intimamente legato alle campagne intorno a Parigi, con i loro prati smaglianti di papaveri e densi di cespugli e di masse dei fiori, Monet spesso si cimentò anche nella raffigurazione di paesaggi urbani, scoprendovi gli affascinanti ritmi della modernità, oltre che spunti pittorici assolutamente inediti. La Parigi raffigurata da Monet è infatti quella che il barone Haussmann aveva appena trasformato in moderna capitale con l'apertura di grandi arterie di traffico, i cosiddetti boulevard, presso i quali la benestante borghesia parigina trascorreva il proprio tempo passeggiando all'ombra degli eleganti palazzi signorili o affollando i ristoranti, i caffè e i negozi ivi collocati.Rue Montorgueil è proprio un boulevard che, partendo dall'enorme complesso commerciale di Les Halles, si inoltrava nelle viscere urbane del II arrondissement di Parigi. In La rue Montorgueil Monet sceglie di raffigurare proprio la società parigina al massimo del suo fulgore, una società che cresce e che con i radicali mutamenti sociali e industriali dell'Ottocento tendeva a farsi sempre più dinamica e frenetica. Il pittore, mantenendosi su un punto di vista alto, nell'opera rappresenta la rue Montorgueil in un tripudio di tricolori francesi svolazzanti: evidente è il concorso di folla accorsa in strada per celebrare la «festa della pace e del lavoro», ricorrenza in auge a partire dal 1878 nella quale si celebrava l'entusiasmo nazionale della Francia dopo la disastrosa sconfitta franco-prussiana. Monet, tuttavia, non si lascia trascinare dall'esultanza per la festa nazionale e si limita ad osservare i parigini dall'alto, agendo come un vero e proprio «reporter». Il pittore, infatti, ritiene l'avvenimento un pretesto eccellente per sperimentare la sua tecnica impressionista, che traeva impulso proprio da soggetti moderni e dinamici come questo: le virgolettature impressioniste, rapide e vibranti, riescono a cogliere squisitamente l'accaloramento dei parigini e il trionfante sventolio delle bandiere. Di grande interesse è anche lo studio del colore: tipico della pittura di Monet e, più in generale, di tutti gli Impressionisti. Il pittore, infatti, è affascinato dal farsi continuo del colore che, infrangendosi e smaterializzandosi, abbraccia l'idea di un mondo in perpetuo divenire dove quello che conta in pittura è non tanto descrivere con minuzia le realtà fenomeniche che ci circondano, bensì cogliere l'impressione di un attimo, diversa e autonoma rispetto a quella dell'attimo immediatamente precedente e di quello successivo. L'opera, in effetti, è animata da colori che colpiscono vivamente i sensi e la fantasia: i blu, i bianchi e i rossi del tricolore francese, con la loro magnificenza cromatica, fanno brillare tutta la tela (come hanno giustamente osservato i curatori del museo d'Orsay, museo presso il quale è esposta l'opera, «i tre colori che Monet fa vibrare sono quelli della Francia moderna»).
@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: I giocatori di carte. ### Introduzione: I giocatori di carte è una serie di dipinti a olio su tela (47,5x57 cm) realizzati da Paul Cézanne fra il 1890 e il 1895. La versione qui presente è conservata nel 'Courtauld Institute of Art' di Londra, mentre le altre quattro al: 'Barnes Foundation' di Philadelphia, al 'Metropolitan Museum of Art' di New York, al 'Musée d'Orsay' di Parigi e nella collezione privata della famiglia reale del Qatar. Infatti, sul tema della partita a carte Cézanne dipinse cinque differenti versioni. ### Descrizione. In questa versione due uomini in un'osteria di paese stanno giocando a carte davanti ad uno specchio. La tela si presenta con uno schema fortemente geometrizzato, che conferisce ai due personaggi dignità classica, pur rimanendo un'immagine di contemplazione pura e senza pathos (le due figure sono compagne di gioco in un'opposizione consensuale). Distorcendo la visione prospettica, Cézanne riesce ad ottenere il massimo grado di centralità, che risulti credibile in una scena di vita vissuta: questo lieve scarto dal centro è un acuto stratagemma per evitare il rischio che l'opera risulti troppo artefatta: le cose non ci si presentano mai in uno stato di perfetto equilibrio. Tutta la tela è costituita da abbassamenti di tono dei colori blu, giallo e rosso. Le pennellate si compongono a tasselli (campiture), e talvolta si presentano solitarie e sintetiche, come il riflesso sulla bottiglia o il semplice tratto che descrive l'occhio infossato del giocatore di destra. L'impianto figurativo viene costruito attraverso l'accostamento di chiazze di colore caldo (come quelli del tavolo, della tovaglia e dell'uomo a destra) che si contrappongono ai toni freddi (dello sfondo e del giocatore di sinistra). Inoltre Cézanne fa un sapiente uso delle linee; con quella retta evidenzia la sicurezza dell'uomo alla nostra sinistra e con quella curva sottolinea l'incertezza di quello a destra che probabilmente perderà la partita. L'atmosfera che Cézanne fa respirare allo spettatore è di apparente tranquillità, dietro la quale si cela, probabilmente, una certa tensione visibile nella rigidità dei corpi conferita attraverso la solidità della forma. Nel dipinto Cézanne, non rende solo un'impressione, ma anche una descrizione del senso interno all'azione, come se fosse la sintesi destinata a permanere nella mente, quasi calcificata e sotto forma di ricordo.
@Scribis @Italiano. Descrivi un famoso dipinto.
### Titolo: Il Parlamento di Londra. ### Introduzione: Il Parlamento di Londra è un dipinto a olio su tela (81 x 92 cm) realizzato nel 1904 dal pittore francese Claude Monet. È conservato nel Musée d'Orsay di Parigi. ### Descrizione. Il paesaggio londinese è completamente immerso nella nebbia e i profili dei palazzi sono appena intuibili. Anche se in questo quadro atmosfera e luce di un determinato momento avrebbero dovuto essere il punto di partenza, Monet concentra le impressioni (manifestazioni elaborate d'afflato monumentale in questo caso) in intrecci cromatici astratti. Il motivo architettonico non articola più lo spazio graficamente, come le imbarcazioni e i ponti dei quadri precedenti, ma lo suddivide in poche superfici estese. Architettura, acqua e cielo diventano superfici di proiezione per un velo cromatico ondeggiante di Monet e sono concrete altrettanto quanto la luce della nebbia. Inoltre utilizza la famosa tecnica impressionista: 'en plein air' in cui il dipinto viene realizzato all'aperto con l'aiuto del sole per ritrarre ombre. Le torri di stile neogotico del Parlamento si dissolvono quasi spettrali nella nebbia con la loro notevole altezza. Soggetto e ambiente circostante sono ricoperti da veli di colore stesi con piccoli tratti, in cui si intrecciano tutti i colori del prisma.
@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: Il ponte di Maincy. ### Introduzione: Il ponte di Maincy (Pont de Maincy) è un dipinto a olio su tela (58,5x72,5 cm) realizzato tra il 1879 ed il 1880 dal pittore Paul Cézanne. È conservato nel Museo d'Orsay di Parigi. ### Descrizione. Il quadro raffigura un ponte in parco nei pressi di Melun, una città limitrofa a Maincy nella quale Cézanne risiedeva allora. L'acqua sembra tingersi dei riflessi molteplici della struttura sovrastante ed è presente una certa luminosità che inonda il paesaggio fluviale. Oltre il ponte si trova una boscaglia fitta composta da alberi dai tronchi alti e sottili. Ciononostante, non c'è una vera prospettiva, e sembra che gli oggetti siano messi uno sopra l'altro. == Note ==.
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### Titolo: L'incoronazione di Napoleone. ### Introduzione: L'incoronazione di Napoleone (Le Sacre de Napoléon) è un dipinto a olio su tela (610x970 cm) realizzato tra il 1805 e il 1807 dal pittore Jacques-Louis David. È conservato nel museo del Louvre di Parigi. Una copia è conservata anche alla Reggia di Versailles, un'altra copia è conservata nella Oldway Mansion di Paignton nel Devon. Il dipinto rappresenta l'incoronazione di Napoleone Bonaparte e di Giuseppina di Beauharnais il 2 dicembre 1804. David qui ritrae il momento dell'incoronazione di Napoleone, con ben 190 altri spettatori raffigurati nell’opera, tutte persone realmente esistite. Tutti gli sguardi si concentrano sulla corona, che Napoleone tiene alta nelle mani, per incoronarsi davanti alla moglie Giuseppina. C'è una grande attenzione e minuzia nella realizzazione di tutti i particolari e nella esaltazione dei simboli imperiali. ### Descrizione. La scena si svolge il 2 dicembre 1804 nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, a differenza di tutte le altre incoronazioni di re francesi realizzate nella Cattedrale di Reims. È questo il primo simbolo secondo il quale Napoleone era intenzionato a rompere con la tradizione delle monarchie dell'ancien regime, svolgendo poi la famosa auto-incoronazione che è ben visibile, col papa Pio VII seduto sulla destra benedicente e quasi impotente di fronte al gesto dell'Imperatore, tanto che quest'ultimo gli dà anche le spalle. Napoleone, al centro della scena, appare in atteggiamento quasi sacrale in quanto è monarca della legge divina ed egli stesso deve obbedienza a Dio. Il classicismo dell'ambiente, i decori e la corona d'alloro, riflettono inoltre il fascino di Napoleone per i fasti e le glorie dell'Impero romano. La presenza di dignitari, come pure la famiglia Bonaparte, mostra il supporto per il nuovo regime. Essi costituiscono la nuova nobiltà Impero (ufficialmente istituita nel 1808), una nobiltà basata sul merito.
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### Titolo: Affresco absidale di San Cristoforo al Naviglio. ### Introduzione: L'affresco absidale di San Cristoforo al Naviglio si trova nell'omonima chiesa a Milano. ### Descrizione. La parte absidale della chiesa più antica di San Cristoforo è inquadrata dall'arco a sesto acuto della chiesa trecentesca. Questo arco trionfale, gotico, è in realtà inserito otturando in parte un'originaria e più grande arcata a tutto sesto romanica, di cui sono visibili alcune parti in alto sopra la chiave dell'arco. L'arco più grande è una delle poche parti rimaste della precedente e scomparsa chiesa romanica. Tale chiesa venne probabilmente demolita a seguito dei danneggiamenti subiti per le deviazioni dei corsi d'acqua incanalati nel sistema ordinato dei navigli, dei quali il Ticinese passava accanto alla chiesa. La zona presbiteriale dall'arco trionfale all'abside è ricoperta da affreschi di scuola luinesca. Gli affreschi cominciano dall'arco trionfale, che risulta pertanto una parziale otturazione. Esso fu affrescato tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento con questa nuova serie di affreschi. Nell'intradosso dell'arcone ogivale è la serie di tondi visti prospetticamente in cui sono insieriti santi emergenti a mezzo busto. Analoga soluzione per medaglioni ad 'oblò' la troviamo ad esempio nella coeva e recentemente restaurata biblioteca di Santa Maria Incoronata a Milano. Sul fronte dell'arcone trionfale gotico corre un motivo di ornato affrescato, costituito da complessi girali in monocromo su sfondo scuro, di poco posteriori ai tondi con santi dell'intradosso. Nel catino absidale affreschi della stessa scuola luinesca raffigurano al centro il Padre Eterno e ai suoi lati i simboli dei Quattro Evangelisti. Sono inseriti in una composizione a cinque scomparti, definiti da cornici orizzontali e verticali viste prospetticamente a parte, sul vuoto del cielo che fa loro da sfondo. Il Padre Eterno siede sulla nuvola da cui emergono i cherubini, sotto ad essa tre angioletti mostrano due ai lati il testo dove sono confermate le scritture e quello al centro un lungo cartiglio, sempre di riferimento ai sacri testi. La cornice che divide questa figure è decorata nel gusto del Rinascimento tardoquattrocentesco lombardo, con motivi a candelabra. Le figure del Tetramorfo occupano ognuna buona parte del riquadro loro riservato lasciando spazio allo sfondo del cielo. Il registro inferiore, nel quale le monofore originarie gotiche sono oggi riemerse dalle incorniciature rettangolari rinascimentali, mostra a grandezza naturale quattro figure di santi, patroni di Milano e dei Visconti, i due al centro essendo Giovanni Battista e Giacomo, ai lati le Sante Caterina da Siena e Cristina.
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### Titolo: Lo stagno delle ninfee, armonia verde. ### Introduzione: Lo stagno delle ninfee, armonia verde è un dipinto ad olio su tela realizzato nel 1899 dal pittore francese Claude Monet e attualmente conservato al Musée d'Orsay di Parigi. Il quadro è stato realizzato durante il soggiorno del pittore a Jeu de Paume. ### Descrizione. Il soggetto è ispirato al giardino acquatico in stile giapponese che Monet aveva creato presso Giverny, e che è stato uno dei suoi oggetti di studio principali per più di 20 anni. Lo scopo del pittore era quello di osservare e ritrarre lo stesso soggetto svariate volte, in orari del giorno e condizioni meteorologiche differenti, così da catturarne ogni sfaccettatura. Esistono infatti circa 250 dipinti dedicati alle ninfee e 31 dedicati alla Cattedrale di Rouen, per citarne alcuni. Lo spazio pittorico è diviso orizzontalmente in due parti da un ponticello di legno, decorato da piante. Il fatto che non sia rettilineo ma formi una curva fa in modo che l’elemento architettonico sia in armonia con il paesaggio e non ne spezzi l’equilibrio. Le tonalità predominanti sono quelle del verde, la cui intensità e brillantezza cambia a seconda dell’effetto che la luce provoca sugli elementi naturali. Le chiome degli alberi e lo stagno presentano tonalità di verde scuro e blu che conseguono all’obiettivo di creare profondità, mentre il verde chiaro e il giallo sono utilizzati per creare i riflessi luminosi sulle foglie e sull’acqua. Sul ponte si osservano sfumature di verde molto chiaro, quasi bianco, poiché in estate veniva ricoperto dal glicine. Le ninfee dello stagno non sono costituite da tratti precisi, bensì da pennellate bianche, rosa e talvolta rosse, macchie di colore accostate l’una all’altra che insieme concorrono a rendere la delicatezza del fiore. Altri elementi rilevanti nel dipinto sono il salice alla sinistra e i fili d’erba in basso a destra. Il primo spicca sugli altri alberi per via delle numerose e brevi pennellate verticali che costituiscono la struttura del suo fogliame. I secondi invece sono realizzati con tratti verticali ma lunghi, che riprendono la curva del ponte conferendo all’opera maggiore armonia. Monet si firma quasi sempre con colori che risaltino su quelli usati nel quadro: qui in basso a sinistra la possiamo vedere poiché scritta in rosso. Il pittore ha realizzato una serie di quadri nei quali ha dipinto sempre questo stesso paesaggio, cambiando però il punto di vista: nei primi infatti, il ponte si trova più in lontananza rispetto alle ultime rappresentazioni, dove viene disegnato al centro del quadro. Gli alberi sullo sfondo sono salici, canne, nasturzi ed il paesaggio risulta essere un luogo idilliaco, pervaso da un clima di serenità. I colori cambiano in ogni quadro della serie: in alcuni accanto al verde, per esempio, domina il giallo, in altri l’azzurro, e in altri ancora il rosso.
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### Titolo: San Francesco in estasi (Caravaggio). ### Introduzione: San Francesco in estasi è un dipinto realizzato dal pittore italiano Michelangelo Merisi da Caravaggio tra il 1594 e il 1595. Esistono almeno due dipinti che ad oggi si contendono lo status di originale: un dipinto conservato nei Civici Musei di Udine in Italia, ed un altro presso lo Wadsworth Atheneum museo di Hartford nel Connecticut, Stati Uniti. ### Descrizione e stile. Il dipinto, perfettamente allineato al clima tridentino, rappresenta il testo di san Bonaventura, secondo cui san Francesco fu folgorato da una visione sul monte della Verna, accompagnato da frate Leone e da alcuni pastori che si riscaldavano intorno a un fuoco. La scena è ambientata in una radura al sorgere del sole, nel momento subito successivo alla ricezione delle Stimmate come si vede dal segno che ha sul costato e che viene indicato dalla mano destra. Il Santo, rapito dall'estasi, è illuminato dalla luce divina, sorretto alle spalle da un angelo che lo assiste e lo conforta. A far da cornice al cielo buio e nuvoloso al centro ci sono due alberi: uno con le foglie e rappresentante la vita, l'altro secco, rappresentante la morte. Il Santo si ritrova così sospeso tra due dimensioni. Il dipinto mostra il primo notturno di Caravaggio con richiami alla pittura del Savoldo e con una anticipazione sui grandi notturni successivi di Gherardo delle Notti e di Adam Elsheimer. Infine, la minuta descrizione della vegetazione su cui il santo si distende languidamente riecheggia le esecuzioni di natura morta di Caravaggio nello stesso periodo. Nel dipinto di Hartford il Santo mostra la ferita sul costato, ma le mani non hanno le stimmate. Secondo il Moir, 1982, p. 91-92, Caravaggio rappresenta insieme l'estasi e la stigmatizzazione: sul Monte della Verna il Santo ricevette la visione di un angelo serafino con sei ali ( Isaia, 6-2:7 ), che conteneva l'immagine di Cristo crocifisso, nello stesso momento comparvero sul suo corpo le stimmate: Francesco, allora morì metaforicamente come uomo per rinascere in Cristo simbolicamente rappresentato, secondo Moir, dall'angelo che lo sorregge.
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### Titolo: Io e il villaggio. ### Introduzione: Io e il villaggio è un dipinto (192x151 cm) realizzato nel 1911 dal pittore Marc Chagall. È conservato nel Museum of Modern Art di New York. ### Descrizione. L'opera presenta elementi stilistici cubisti e fauvisti e contiene una serie di immagini che si sovrappongono nello spazio, creando un'illusione di profondità. In primo piano, sul lato destro del quadro, un volto maschile di colore verde visto di profilo. L'uomo indossa un cappello, ha una croce al collo e tiene in mano un piccolo albero in fiore (interpretato da alcuni critici come un riferimento all'albero della vita), che risalta vivamente sullo sfondo più scuro. Sul lato sinistro, frontalmente all'uomo, vi è un capra o una pecora; la sua pupilla è unita a quella dell'uomo da una tenue, irregolare linea bianca. Sul muso dell'animale è raffigurata una piccola capra, munta da una donna seduta su uno sgabello. La parte anteriore del muso dell'animale, del volto dell'uomo e la parte superiore dell'albero sono racchiuse in una circonferenza, che rappresenta il punto focale del quadro. Sullo sfondo, nell'angolo in alto a destra del quadro, è raffigurata una fila di case basse in legno, alcune delle quali rovesciate, con una piccola chiesa ortodossa. Dinanzi alle case sono raffigurati un uomo con una falce e una donna a testa in giù che suona un violino. Il quadro è attraversato diagonalmente dall'angolo in basso a sinistra all'angolo in alto a destra da una fascia di colore rosa pallido, una sorta di strada maestra che costeggia il villaggio. Chagall realizzò il dipinto circa un anno dopo il suo arrivo a Parigi, nel 1911. Il titolo gli fu suggerito dal poeta Blaise Cendrars. Chagall era all'epoca parte della comunità artistica di La Ruche a Montparnasse. Nel dipinto Chagall attinge dalla tradizione culturale ebraica orientale e bielorussa, rievocando in maniera nostalgica e sognante la vita in uno shtetl.
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### Titolo: Madonna Dreyfus. ### Introduzione: La Madonna Dreyfus (Madonna della melagrana) è un dipinto a olio su tavola (15,7×12,8 cm) attribuito a Leonardo da Vinci o Lorenzo di Credi e conservato nella National Gallery of Art di Washington. L'attribuzione a Leonardo è datata in genere al 1469 circa, facendone il primo dipinto su tavola autografo conosciuto, eseguito dal pittore all'età di circa diciassette anni; quella a Lorenzo di Credi al 1475-1480 circa, intendendola come una copia di un originale leonardesco perduto. ### Descrizione e stile. L'opera raffigura la Madonna col Bambino dentro una stanza, sullo sfondo di una parete scura su cui si aprono due finestre che danno su un luminoso paesaggio collinare, piuttosto generico. Il complesso impianto compositivo, con più fonti di luce in contrasto e con un parapetto in primo piano, sul quale pende il manto di Maria e sta in piedi il Bambino, derivano dall'arte fiamminga, all'epoca in voga più che mai a Firenze. Maria tiene in mano una melagrana, simbolo di fertilità, ma anche prefigurazione del sangue della Passione per il colore rosso dei chicchi. Il Bambino, nudo, sta in piedi e con la manina prende alcuni chicchi e li porge verso la madre, che lo guarda con un'espressione ambigua, composta ma senza allegria, prefigurando la tragica sorte del figlio. Notevoli sono le analogie con la successiva Madonna del Garofano (1473 circa, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera), a partire dall'impianto compositivo, fino alla delicatezza quasi trasparente degli incarnati e la sobria ma realistica gestualità tra madre e figlio, con un analogo scambio reciproco. Il figlio muove un passetto incerto e rivolge, significativamente, lo sguardo verso l'alto. Simile è poi il braccio paffutello e arcuato del Bambino, oppure la spilla con una pietra circondata da perle che regge il manto della Vergine. Il volto di Maria e il trattamento finissimo dei capelli ricorda poi l'Annunciazione degli Uffizi (1472-1475 circa). Di ascendenza verrocchiesca, sono invece il trattamento netto dei contorni (sebbene William Suida e Bernard Dagenhart vi colgano i primi sintomi di quella smaterializzazione del colore che divenne una delle caratteristiche più evidenti dello stile di Leonardo), e i contrasti cromatici soprattutto nel rosso e nel blu del vestito della Vergine, con riflessi quasi 'marmorei', soprattutto nel lembo di tessuto sotto il Bambino.
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### Titolo: Scudo con testa di Medusa. ### Introduzione: Scudo con testa di Medusa è un dipinto realizzato circa nel 1598 dal pittore italiano Michelangelo Merisi detto Caravaggio, conservato presso la Galleria degli Uffizi di Firenze. Fu pensato come decorazione di una rotella, uno scudo militare da parata. ### Descrizione e stile. Lo 'scudo' dipinto da Caravaggio è un saggio stimabile delle capacità ottiche del pittore, che riesce ad annullare gli effetti della convessità del supporto. La luce, proveniente dall'alto, proietta l'ombra della testa sul fondo verde dello scudo. L'osservatore ha dunque l'impressione che l'ombra venga proiettata su di un fondo concavo e quindi che la testa vi fluttui sopra. Il volto della Medusa è colto nel momento dell'urlo, scaturito dall'improvviso taglio della testa dalla cui base sgorga un fiotto di sangue. Gli occhi spalancati ed allucinati, la tensione del corrugamento della fronte, la bocca spalancata che mostra i denti ed il fondo oscuro dell'interno, sono esaltati dalla luce calda ed improvvisa. La luce evidenzia anche l'orrore prodotto dalla capigliatura di serpi.
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### Titolo: Notte stellata. ### Introduzione: La Notte stellata (De sterrennacht) è un dipinto del pittore olandese Vincent van Gogh, realizzato nel 1889 e conservato al Museum of Modern Art di New York. Vera e propria icona della pittura occidentale, il dipinto raffigura un paesaggio notturno di Saint-Rémy-de-Provence, poco prima del sorgere del sole. ### Descrizione. Nel 1888, prima dell'internamento a Saint-Rémy, van Gogh scrisse:. La Notte stellata, certamente una delle opere vangoghiane più celebri, risponde perfettamente a quest'esigenza. In questo dipinto, infatti, il pittore ha certamente cercato il contatto diretto con la realtà, dipingendo quello che si poteva vedere dalla finestra della sua stanza nel manicomio di Saint-Rémy. Van Gogh, tuttavia, non ha ripreso fedelmente questa veduta notturna, bensì l'ha manipolata con mezzi plastici, interiorizzandola fino allo spasimo e trasformandola in una potente visione onirica in cui poter fare affiorare le sue emozioni, le sue paure, i suoi viaggi dell'anima. La Notte stellata, pertanto, non offre all'osservatore un'immagine fedele della realtà, quanto una forma di «espressione» di quest'ultima. L'immagine possiede una forza straordinaria. A sinistra la scena è chiusa da un cipresso alto e severo che, stagliandosi contro il cielo notturno, agisce come un intermediario vegetale tra la terra e il cielo, tra la vita e la morte: più che un albero sembrerebbe quasi una fiamma scura che divampa all'improvviso alla ricerca dell'infinito. A fianco del solitario cipresso troviamo un piccolo paesino - forse è Saint-Rémy, forse Nuenen, forse una reminiscenza del villaggio natio - che, disperdendosi su una vallata, sembra perduto nell'immensità del movimento cosmico che fluisce sopra di esso: i caseggiati sono generalmente bassi, fatta eccezione per l'acuminata cuspide di un campanile, che riprende la statuaria verticalità del cipresso e «sfida le forze della natura: è un'antenna e un parafulmine insieme, una sorta di Tour Eiffel, la cui fascinazione è sempre presente nelle vedute notturne dell'artista [...] sembra crepitare, carica di elettricità». A destra vigoreggia la ricca vegetazione degli ulivi, mentre sullo sfondo si estende il profilo diagonale e ondulato delle Alpilles, importante catena montuosa del Meridione francese. Il villaggio è avvolto dal buio e dal sonno e rimanda nel suo complesso a un ideale di placida quiete. Il paesaggio, al contrario, rinvia esplicitamente alla grandiosa natura decantata a inizio secolo dal romantico Caspar David Friedrich, soprattutto con i monti retrostanti, come osservato dai critici d'arte Giorgio Cricco e Francesco di Teodoro:. L'inquietudine dell'artista, poi, esplode nella porzione superiore della tela, quella relativa al cielo. Questi spazi cosmici sono rischiarati dalla luce aranciata della falce lunare, visibile in alto a destra, e dal quieto pulsare del pianeta Venere, anche conosciuto come «stella del mattino». Ma a catturare l'attenzione dell'osservatore sono soprattutto le stelle, che sembrano ruotare pericolosamente su sé stesse in gorghi titanici e vorticosi, come se fossero meteore impazzite: ciò è particolarmente evidente nel vortice centrale, dove l'intervento di pennellate che cambiano ripetutamente direzione ne trasforma il romantico pulsare in uno spasmodico turbinio. Il movimento arcano degli astri, nonostante la sua tumultuosità, è infatti guidato da pennellate che, raggrumandosi e ispessendosi, distribuiscono la materia pittorica secondo irradiazioni circolari. La visione, poi, viene resa armoniosa dal mirabile contrasto presente tra l'ultramarino, i blu cobalto (tonalità costitutive del cielo) e i gialli indiano e di zinco (i quali, invece, vanno a tingere le stelle). «Il colore, di consistenza molto fluida» osservano ancora Cricco e di Teodoro «è steso con uno spessore minimo, a piccoli tocchi ravvicinati, lasciando qua e là spazi vuoti, dai quali si intravede anche la trama della tela sottostante che, in corrispondenza delle stelle, ne simula il tremolio. In questo modo il dipinto assume un tono brillante ma freddo allo stesso tempo, che restituisce l’atmosfera rarefatta e quasi lattiginosa della notte stellata».Questo itinerario pittorico dagli accenti siderali ripropone l'inquietante consapevolezza di una solitudine desolata e di un animo smarrito e allucinato. La contemplazione di questo cielo stellato affascinante e terribile è tutt'altro che idillica, ma vuole affrontare il mistero dell'universo e della drammatica vitalità del pittore, che non a caso ricorre a un segno pittorico materico, agitato, quasi aggressivo, che si smorza solo quando tratteggia le morbide ondulazioni delle Alpilles, le quali sono tra l'altro rimarcate da una spessa linea di contorno nera, che probabilmente intende sottolineare la loro appartenenza alla dimensione terrena. La potente raffigurazione del cielo, insieme al contrasto stridente tra i bagliori vibranti e infuocati degli astri e alla flebile luce emessa dalle luci del villaggio sottostante, sembra quasi voler delineare un confine individuabile tra van Gogh e il mondo, tra il «sentimento di fragilità e inconsistenza dell’individuo [e] la sublime e soverchiante immensità del cosmo» (Carlo Bertelli). Così, in questo capolavoro dell'arte ottocentesca, i vertiginosi e drammatici tormenti di van Gogh trovano una delle loro più belle e potenti raffigurazioni.
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### Titolo: Il sabba delle streghe. ### Introduzione: Il sabba delle streghe è un dipinto a olio su muro trasportato su tela (140×438 cm) del pittore spagnolo Francisco Goya, realizzato nel 1820-1823 e conservato al Museo del Prado di Madrid. ### Descrizione. Nel dipinto è raffigurato Satana mentre, elevandosi su un ammasso roccioso, apostrofa la folla al suo cospetto. Presenta una fisionomia caprina, con tanto di barbetta e corna, e di lui non intravediamo che una sagoma: l'origine di un'immagine come questa va probabilmente ricercata in un'illustrazione del 1652 di Athanasius Kircher raffigurante l'antica divinità cananea Moloch.Al cospetto di questa figura demoniaca vi troviamo, disposte a semicerchio, un gruppo di donne accovacciate e perlopiù terrificate: si tratta con tutta probabilità di una congrega di streghe. Di queste alcune chinano il capo per il terrore, altre osservano Satana con sguardo assorto e rapito: per dirla con le parole dello storico dell'arte Brian McQuade, la «sub-umanità di queste persone è enfatizzata dalle loro fisionomie bestiali e dai loro sguardi idiotici». Quasi tutte le streghe sono scosse da un'agitazione febbrile, e sono prontamente apostrofate da Satana che, così come già successe nel 1815 con la Giunta delle Filippine, impone la sua autorità non mediante il rispetto e un carisma personale, bensì grazie alla paura, alla rivalità e alla discordia. Il pennello di Goya in questa lunghissima striscia di tenebra ed abisso dichiara l'influenza alle immagini di Velázquez, Jusepe de Ribera (fervente ammiratore di Caravaggio) e infine di Rembrandt. In questo concorso di streghe traspare la furente critica di Goya rivolta alla disumanizzazione della folla, che qui perde i propri tratti individuali per miscelarsi in un grappolo grottesco di visi deformi e terrorizzati. A destra di Satana troviamo una vecchia in posizione tergale, con la faccia seminascosta e avvolta da un copricapo bianco, che rivolge il proprio sguardo alle consorelle, facendosi spazio tra le varie bottiglie e fiaschette vuote abbandonate sul terreno: come osservato dal critico Robert Hughes, probabilmente «contenevano le droghe e i filtri necessari per le cerimonie demoniache». All'estrema destra della tela, infine, scorgiamo una figura femminile appartata, elegantemente vestita e dai tratti somatici incerti: si tratta, probabilmente, di una donna pronta per essere iniziata alla pratica dei culti satanici, anche se altri critici d'arte vi hanno identificato Leocadia Zorrilla, la giovane fanciulla compagna di Goya che – trasferitasi con lui alla Quinta del Sordo – assisteva impotente ai suoi incubi. Così come per le altre Pitture nere, infine, Goya iniziò a dipingere Il sabba delle streghe partendo da una tela nera come il catrame, per poi aggiungervi violente pennellate di grigi, blu e marroni: non di rado, tuttavia, il pittore scelse di lasciare esposta la trama della tela sottostante, come nel caso della figura di Satana.
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### Titolo: Natura morta con tavolo da disegno, pipa, cipolle e cera. ### Introduzione: Natura morta con tavolo da disegno, pipa, cipolle e cera è un dipinto a olio su tela (50x64 cm) realizzato nel 1889 da Vincent van Gogh. È conservato nel Museo Kröller-Müller di Otterlo. ### Descrizione. La particolarità del soggetto pittorico, più volte affrontato da Van Gogh con altre nature morte, sta nella composizione eterogenea degli oggetti più disparati, raffigurati assieme sulla tela. Il libro è l'Annuaire de la santè, di Raspail, mentre sulla busta si legge il destinatario, Monsieur Vincent van Gogh. L'opera fu dipinta nel gennaio 1889 subito dopo che il pittore, dimesso dall'ospedale per via del taglio dell'orecchio, era ritornato nella sua 'Casa Gialla'. Per dimostrare a se stesso e a Theo di poter ritornare in breve tempo a maneggiare i pennelli, dipinse un gruppo di nature morte, di cui questa è la più notevole. Gli oggetti, tutti disposti con cura, sono fortemente autobiografici: il sacchetto di tabacco e la pipa sono l'attributo della propria persona, così come le cipolle, la brocca d'acqua e la bottiglia di vino vuota sono il buon proposito di tornare ad una vita più semplice, autoregolandosi. Le diverse forme, la materia e la consistenza degli oggetti sono al centro degli interessi di Van Gogh, il quale si sofferma a dipingere, in modo dettagliato, la copertina del libro che tende a prendere delle pieghe, la nitidezza del vetro ed infine le foglie verdi delle cipolle. Tutto ciò mostra in modo molto esplicito dei due strumenti principali attraverso cui Vincent si esprimeva, il colore e la pennellata. La lettera intestata al pittore, e con vicino il cerino spento e la ceralacca, rimanda alle preoccupazioni di Theo, mentre la candela accesa nella bugia, e il libro di medicina di Raspail, sono riferimenti al 'fuggitivo' Gauguin e alla recente malattia.
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### Titolo: Ronda di notte. ### Introduzione: Ronda di notte (De Nachtwacht), anche noto come Notte di veglia o La guardia civica in marcia, è un dipinto a olio su tela (359×438 cm) di Rembrandt, realizzato nel 1642 e conservato nel Rijksmuseum di Amsterdam. Considerato uno dei maggiori capolavori del pittore olandese, per via delle grandi dimensioni, della vivida esecuzione dei dettagli e dell'eccezionale uso della luce, il dipinto raffigura il capitano Frans Banning Cocq, insieme con il suo luogotenente Willem van Ruytenburgh, nel momento in cui impartisce l'ordine di iniziare la marcia, verso un non specificato luogo d'azione o di ritrovo. ### Descrizione. La Ronda di notte ritrae il capitano Frans Banning Cocq (che, con un gesto della mano sinistra, ordina alla compagnia di avanzare) e il luogotenente Willem van Ruytenburch circondati dagli archibugieri; i personaggi, ricordiamo, sono effigiati rispetto al loro ordine d'importanza gerarchico. Tra i componenti della gilda di Cocq emergono anche un uomo sullo sfondo, in cui si è voluto vedere la raffigurazione ad autoritratto di Rembrandt, e una bambina in abito giallo, collocata in primo piano. Malgrado alcune teorie suggeriscano che l'unico ruolo della ragazzina sia quello di rendere il dipinto coloristicamente equilibrato la critica è unanime nell'individuarne un chiaro messaggio allegorico: la fanciulla, infatti, è la mascotte stessa degli archibugieri. Tale interpretazione in chiave simbolica è avallata da alcuni elementi formali. Gli artigli del pollo morto attaccati alla sua cintola alludono sia ai clauweniers (gli archibugieri) che alla sconfitta degli avversari; analogamente la bambina regge il calice della milizia, lasciando emergere l'elsa di un pugnale dietro al pollo. Altri veicoli allegorici dell'impresa marziale del capitano Cocq sono la raffinata luminosità dell'abito della fanciulla (al colore giallo veniva spesso data l'accezione figurativa di simbolo della vittoria), e il casco con foglie di quercia indossato dall'uomo alla sua destra.Ciascuno degli effigiati è impegnato in un'attività diversa. La maggior parte di essi sta brandendo picche, moschetti, partigiane o spade a doppio taglio, o comunque sta caricando l'archibugio; ma sono raffigurati anche due bambini che corrono in direzioni opposte, un vezzoso cagnolino che trotta, un portabandiera còlto nell'atto di agitare il vessillo e un soldato mentre sta rullando il tamburo. La compagnia degli archibugieri - non ordinatamente allineata, così come richiedeva la tradizione, ma fluida e straordinariamente dinamica - è inondata di luce, che ne mette in risalto i volti e i diversi stati d'animo: allegria, sorpresa, fatica, sussiego, meraviglia, concentrazione, curiosità. Degna di menzione, infine, è la mano di Banning Cocq che, protendendosi in avanti, crea uno spazio virtuale che sembra quasi fuoriuscire dal quadro.La firma del pittore è apposta sul gradino ai piedi della bambina: «Rembrandt f. 1642».
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### Titolo: La congiura dei Lampugnani. ### Introduzione: La congiura dei Lampugnani è un dipinto a olio su tela (149x117 cm) del pittore italiano Francesco Hayez, realizzato nel 1826 e conservato alla pinacoteca di Brera. ### Descrizione. La composizione è estremamente teatrale. In primo piano troviamo Cola Montano, anziano umanista che educò ed ispirò i tre giovani, mentre è inginocchiato ai piedi della statua di Sant'Ambrogio, invocandone una preghiera perché li protegga (la statua, peraltro, non è mai esistita in quell'edificio sacro, ma fu inclusa dall'Hayez perché funzionale alla narrazione). I ragazzi, disposti diagonalmente lungo l'imponente basamento della scultura, stanno sfoderando i pugnali, pronti ad assalire il duca-tiranno, che avanza dalla folla dal fondo della navata. Nell'interpretazione hayeziana, inoltre, la chiesa di Santo Stefano è reinventata in forme romano-gotiche, mentre ai tempi del pittore l'architettura presentava un'ornamentazione barocca che ne aveva snaturato l'aspetto primitivo. È importante notare che nella Congiura dei Lampugnani Hayez sintetizzò idee e fermenti del suo tempo, sia dal punto di vista stilistico che da quello ideologico. La ricreazione - seppur fantasiosa - dell'antico assetto della chiesa di Santo Stefano avvenne probabilmente in risposta del concetto del restauro «in stile», volto a ripristinare quella condizione iniziale che caratterizzava gli edifici sin dalla nascita (il maggiore interprete di questa tendenza fu Eugène Viollet-le-Duc). Sotto il profilo ideologico, invece, la tela attinse dai ribollenti umori d'inizio Ottocento, caricandosi di un provocatorio slancio glorificativo del «mito della gioventù carbonara»: l'ideologia risorgimentale, pertanto, traspare qui in formule espressive sì opache, ma decisamente evidenti.
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### Titolo: Saturno che divora i suoi figli. ### Introduzione: Saturno che divora i suoi figli (Saturno devorando a su hijo) è un dipinto a olio su intonaco trasportato su tela (143,5x81,4 cm) del pittore spagnolo Francisco Goya, realizzato nel 1820-1823 e conservato al Museo del Prado di Madrid. ### Descrizione. L'opera coglie Saturno mentre divora uno dei suoi figli appena nati. Si tratta di una scena terrificante: Saturno è in preda a una foga cannibalesca e ha uno sguardo allucinato, gli occhi strabuzzanti dalle orbite, le fauci spalancate e le mani avide, ed esprime una «violenza che diventa pura energia del male» (Vittorio Sgarbi), a tal punto che sembra pronto a dare un altro morso al corpicino del malcapitato. Del figlio, invece, non rimangono che pochi brandelli sanguinolenti. La scena, immersa in un buio nero come catrame, è rischiarata qua e là da una luce radente proveniente da sinistra che conferisce peso e verosimiglianza alle due figure. Le pennellate, invece, sono forti, rapide e informali.Sono state avanzate varie interpretazioni del significato del dipinto: il conflitto tra vecchiaia e gioventù, il tempo come divoratore di ogni cosa, la Spagna che divorava i suoi figli migliori in guerre e rivoluzioni, o, più in generale, la condizione umana nei tempi moderni. Un'altra interpretazione identifica la figura di Crono con quella di Ferdinando VII, che dopo la restaurazione e il ritorno sul trono di Spagna attuò il ripristino dell'assolutismo e la repressione di qualsiasi fermento d'ispirazione liberale; forse, tuttavia, potrebbe riferirsi alla galoppante abdicazione della ragione in favore dell'irrazionalità, finalmente riconosciuta come vera forza motrice di ogni comportamento umano. A prescindere da queste difficoltà interpretative, comunque, il Saturno che divora i suoi figli è certamente il quadro più estremo e compiuto del ciclo delle cosiddette Pitture Nere, al quale è legato, oltre che per un'omologia dei toni cupi e minacciosi, anche per un fil rouge tematico legato proprio alla figura di Saturno, tradizionalmente associata alla disperazione e alla vecchiaia. È in questo modo che «la Quinta del Sordo può leggersi come la Quinta de Saturno», come osservato da Silvia Borghesi.Come già accennato, il tema di Saturno che divora i figli era già stato trattato da Rubens, in un quadro omonimo conservato anch'esso presso il Prado. Si tratta tuttavia di un dipinto maggiormente convenzionale e rappresenta il dio compiere l'atto con maggiore freddezza e calcolo; Goya, al contrario, dipinge Saturno come un uomo preso dalla follia, ben un secolo prima che Sigmund Freud scandagliasse gli abissi dell'inconscio. È proprio grazie al suo esasperato furore espressivo che il Saturno che divora i suoi figli è assurto a dignità di icona, venendo universalmente riconosciuto come uno dei dipinti più celebri di Goya e una delle opere più significative dell'arte figurativa europea.
@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: Esperimento su un uccello nella pompa pneumatica. ### Introduzione: Esperimento su un uccello con una pompa ad aria è un dipinto a olio su tela di Joseph Wright of Derby che fa parte di una serie di quadri, realizzati tra il 1760 e il 1768, in cui la luce all'interno delle composizioni proviene principalmente da una candela. Esperimento su un uccello con pompa ad aria si discosta molto dalle precedenti convenzioni pittoriche: il soggetto scientifico è reso in maniera reverenziale, alla stregua di una scena storica o religiosa. L'intento di Wright era quello di rappresentare la Rivoluzione industriale e le scoperte scientifiche dell’Illuminismo. Sebbene l'eccezionalità delle sue opere fosse riconosciuta dai contemporanei, lo status provinciale del pittore e la scelta di soggetti per l'epoca così avanguardistici fecero sì che il suo stile non fosse mai largamente imitato. Il dipinto si trova dal 1863 alla National Gallery di Londra ed è riconosciuto come uno dei capolavori della pittura inglese. Nella tela è rappresentato un 'filosofo naturale' - un precursore del moderno scienziato - mentre riproduce un esperimento con una pompa ad aria di Robert Boyle dove un uccellino viene privato dell'ossigeno. Un gruppo di osservatori compongono le varie reazioni umane di fronte alla morte della cavia: tre giovani praticanti osservano con interesse, tre donne patiscono sempre meno proporzionalmente alla loro età e infine tre uomini che adempiono ai ruoli nella società modellata dalla religione cristiana: il buon pater, il collega scienziato e il giovane povero e inesperto garzone di laboratorio, acconciato con abiti usati. La figura centrale, illuminata da una fantomatica candela, si sorprende e rimane attonita alla presenza dello spettatore, che sembra quasi entrare nel dipinto, immobilizzandolo col suo sguardo e bloccandolo nella colpa che sta compiendo. L'artista ci fa percepire l'impotenza umana di fronte alla verità assoluta della fede nel sacrificio di Cristo, sacrificio che l'uomo non può che replicare nel tentativo di comprendere l'assoluto mistero che circonda la sua miserabile vita, rimanendo confuso e interdetto. ### Descrizione. L'Esperimento su un uccello nella pompa pneumatica (183 x 244 cm) raffigura una stanza in cui, sotto gli occhi di diversi astanti, sta avvenendo un esperimento volto a dimostrare la morte dovuta ad atmosfere sotto-ossigenate. Per dimostrare il decesso per asfissia, lo sperimentatore rimuove gradualmente l'aria da un'ampolla di vetro nella quale è posto un piccolo pappagallo bianco che svolazza disperatamente: sarà l'eventuale morte di quest'ultimo a stabilire se la teoria dello scienziato è più o meno attendibile. I testimoni di questo drammatico evento sono colti da emozioni assai diverse, che esprimono le reazioni contrastanti della società settecentesca nei confronti della scienza: meraviglia e preoccupazione, interesse e sgomento, curiosità e paura. Una delle ragazze guarda ansiosamente il piccolo volatile, partecipe della sua agonia, mentre l'altra è troppo agitata per prendere visione della scena e viene confortata dal padre, che cinge la sua spalla come per proteggerla. Due gentiluomini (uno dei quali sta cronometrando i tempi dell'agonia del pappagallo) e un ragazzo osservano la scena con molto interesse, mentre i giovani amanti sulla sinistra si guardano negli occhi, estraniandosi da ciò che avviene, senza lasciare che l'esperimento spezzi il loro idillio amoroso. Lo scienziato, protagonista dalla scena, ha lo sguardo rivolto direttamente al di fuori del quadro, quasi a spiegare quello che avviene allo spettatore e a chiedergli se l'esperimento debba continuare fino alla fine o debba invece essere interrotto, salvando il volatile. Degna di nota la reazione dell'uomo seduto a destra, assorto dalla sorte del volatile, colto in uno stato di filosofica contemplazione. Tralasciando i bambini, nessuno degli spettatori sembra mostrare empatia per la sorte del povero volatile, preferendo piuttosto interessarsi all'esperimento. David Solkin suggerisce dunque che i soggetti del dipinto siano l'emblema dello spassionato distacco proprio della nascente società scientifica. Sullo sfondo si riconosce la gabbia vuota del pappagallo sorvegliata da un ragazzo, anch’egli con lo sguardo fisso al di fuori del quadro, come se stesse chiedendo all'osservatore se la debba chiudere definitivamente. All'estrema destra del dipinto, infine, è visibile una finestra dove si affaccia la sagoma bianca della luna, oscurata dalle nuvole. È interessante notare che l'opera ha una forte carica esoterica, conferita dall'atteggiamento dello sperimentatore (che, più che uno scienziato, sembra quasi uno stregone per via dei capelli fluenti e dell'abito rosso) e dalla scelta del volatile. Il pappagallo, infatti, era un uccello pressoché sconosciuto nell'Inghilterra del Settecento, dato che divenne noto solo dopo i viaggi e le relazioni di James Cook. La tavola sulla quale è collocata la pompa pneumatica è gremita di diversi altri oggetti, ciascuno utilizzato dallo scienziato per il suo esperimento. Si scorgono un termometro, uno spegnitoio, un tappo di sughero, una bottiglia e, a lato di quest'ultima, due emisferi di Magdeburgo, utilizzati per simulare in piccolo la pompa pneumatica e per mostrare gli effetti della pressione atmosferica. Sempre sul tavolo è collocata una brocca riempita d'acqua, che con i suoi riverberi (presumibilmente vi è una candela dietro), costituisce l'unica fonte luminosa della scena e al suo interno è immerso un teschio. Secondo William Schupbach, la brocca rappresenta la vanitas, in quanto allude alla caducità della vita e all'effimera condizione del pappagallo. ### Stile. L'intensità della potente fonte di luce dà vita a un chiaroscuro di matrice caravaggesca, atto a simboleggiare l'interesse per la scienza. Questa soluzione insolita fu altamente lodata e furono in molti a elogiare l'uso che l'artista fece della luce, «talmente brillante che non può che essere la luce della rivelazione». Esperimento su un uccello nella pompa pneumatica, così come gran parte della produzione artistica di Wright, attinge dalla tradizione della pittura storica, ma è privo dell'azione eroica centrale tipica di quel genere. In tal senso, molti critici hanno individuato diverse analogie tra questo dipinto e quelli di William Hogarth, dal quale Wright avrebbe ripreso l'intenzione di fornire uno spaccato della società contemporanea, senza però dedicarsi alla satira.
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### Titolo: Incredulità di san Tommaso (Caravaggio). ### Introduzione: L'Incredulità di san Tommaso è un dipinto a olio su tela di 107 × 146 cm realizzato tra il 1600 ed il 1601 dal pittore italiano Caravaggio. È conservato nella Bildergalerie di Potsdam. Ulteriori versioni eseguite dal maestro sono conservate in una collezione privata a Bologna e a Parigi. ### Descrizione e stile. A parlare dell'episodio è il Vangelo di S. Giovanni. Dopo l'apparizione di Gesù agli apostoli e dopo che essi ne ebbero gioito, Tommaso, detto anche Didimo, che non era con gli altri al momento dell'apparizione, fu restio a credere che il Cristo morto fosse apparso in mezzo a loro, così affermò che avrebbe creduto solo se avesse messo un dito nella piega del costato di Gesù. Otto giorni dopo Gesù apparve di nuovo agli apostoli e visto fra di loro Tommaso gli disse:' Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!' (Gv. 20,19-31 ). Caravaggio nella dimensione orizzontale della tela 'fotografa' il momento della constatazione in un'inquadratura di tre quarti dove sono disposte le quattro figure su di uno sfondo neutro e scuro. Questa scelta permette di concentrare l'attenzione dello spettatore sulla testa di Tommaso, mentre la luce illumina la fronte e il profilo ed il costato chiaro di Cristo. Inoltre l'inquadratura permette di fissare l'attenzione sull'atteggiamento timoroso e dubbioso di Tommaso, confortato da Cristo a cui oppone la testa, in basso, rispetto alla Sua, in alto. La disposizione a croce ravvicinata delle quattro teste e a triangolo degli sguardi, col vertice sul gesto di Tommaso, permette un'ulteriore concentrazione emotiva dello sguardo del fruitore, che non può non focalizzarsi sul punto del 'dramma': la rivelazione della presenza reale, in carne ed ossa di Gesù. Il pittore raffigura l'apostolo Tommaso mentre infila un dito nella ferita del costato di Gesù, secondo una determinata tradizione iconografica, con altri due apostoli che osservano la scena. Sempre sul piano compositivo si osserva l'intersecarsi di due assi principali, quello orizzontale che è costituito dal braccio di Tommaso e dalle mani di Gesù e quello verticale che passa dalla testa dei due apostoli ( o meglio in mezzo alle due teste ) e prosegue su quella di Tommaso (esattamente lungo il collo dell'apostolo). Completa questa disposizione un arco formato dalle due schiene, quella di Tommaso e quella di Cristo. Un mirabile incastro di forme umane in primo piano 'gettate', con grande impatto emotivo davanti al fruitore: il gesto di Tommaso e la mano di Cristo che benevola lo accompagna esplode in una 'zoomata' straordinaria esaltata dalla luce che proviene da sinistra ( la luce della rivelazione ) che illumina il dubbio e lo stupore ( le fronti corrugate degli apostoli ) e la realtà della carne viva del Salvatore: dando forza alla verifica che annulla ogni timore. Il dipinto era un 'sopraporta', come descritto nell'Inventario Giustiniani, e quindi gli spettatori lo vedevano dal basso, partecipando, emotivamente della scoperta di Tommaso.
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### Titolo: San Francesco in meditazione (Caravaggio Cremona). ### Introduzione: San Francesco in meditazione è un dipinto a olio su tela (130x90 cm) realizzato da Caravaggio tra il 1605 ed il 1606. Oggi quest'opera si trova conservata alla Pinacoteca del Museo civico Ala Ponzone di Cremona. ### Descrizione e stile. Stilisticamente è molto vicino alla Cena in Emmaus della Pinacoteca di Brera, dipinta durante il soggiorno nella tenuta dei Colonna nel 1606, per alcuni particolari come il modo sommario di definire i tratti del volto modellati da ombre molto decise, le pennellate lunghe e sottili che costruiscono le pieghe del panneggio. Questo modo di dipingere si nota anche nelle ultime opere romane come la Madonna dei Palafrenieri e il San Gerolamo della Galleria Borghese di Roma. Lo sfondo naturale è appena accennato, si intravedono un tronco d'albero e delle foglie, particolari che vanno messi in relazione allo stato d'animo irrequieto del Santo. Con pochi ed essenziali particolari Caravaggio esprime uno stato emozionale di grande intensità spirituale, San Francesco curvo e sofferente volge lo sguardo al crocifisso e al libro appoggiato sul teschio, oggetti che assumono un valore centrale nella sua predicazione e che alludono alla volontà di seguire l'esempio di Cristo, la necessità del recupero della purezza dei valori cristiani ed evangelici, fino al rinnegamento di sé. La meditazione di san Francesco avviene come fatto vissuto intimamente, in isolamento in un luogo raccolto, l'ambiente esterno è avvolto dalla quasi totale oscurità, rotta soltanto da un raggio di luce che piovendo dall'alto rende visibile la figura del santo. Caravaggio aveva spesso lavorato per l'ordine francescano e per gli altri ordini mendicanti, rappresentando in diverse opere il Santo di Assisi. Il suo stile realista era vicino alla spiritualità francescana, alla predicazione in favore delle classi popolari che ricercava un linguaggio pittorico che sottolineasse l'umiltà e la povertà dell'ordine, una spiritualità condivisa anche dalla corrente fondata da san Carlo Borromeo molto radicata in Lombardia terra d'origine del pittore.
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### Titolo: Sette opere di Misericordia. ### Introduzione: Le Sette opere della Misericordia, o anche più propriamente la Madonna della Misericordia, è un dipinto olio su tela (390×260 cm) compiuto nel 1606-1607 da Caravaggio e conservato presso il Pio Monte della Misericordia di Napoli.Si tratta della prima opera realizzata dal pittore una volta giunto a Napoli. La tela ebbe una notevole influenza su tutta la pittura napoletana del Seicento, ancora legata ai canoni del manierismo, al punto di condizionare una parte della coeva generazione di pittori nonché quella degli anni successivi, legati tra loro dall'appartenenza alla peculiare corrente artistica del caravaggismo napoletano. ### Descrizione e stile. L'opera ha quindi una struttura serrata che concentra in una visione d'insieme diversi personaggi, ben quattordici, tant'è che può essere confusa con una semplice scena di genere ambientata in un vicolo popolare di Napoli.Caravaggio, infatti, proietta tutte le sette le opere di misericordia corporali in un ipotetico scenario cittadino partenopeo, brulicante di vita e di faccende quotidiane. Il pittore decide di rappresentare il complesso tema iconografico delle sette opere di misericordia con distinte scene tratte da temi della Bibbia e della storia romana, in cui 'è l'uomo che aiuta l'uomo', senza alcun tipo di intervento divino. Sulla parte superiore del dipinto, dinanzi ai due lenzuoli distesi, la Madonna col Bambino accompagnata da due angeli si manifesta infatti solo per supervisionare le vicende umane che si svolgono nella terra. I personaggi celesti sembrano a prima vista 'distanti' da ciò che accade in basso, tuttavia grazie al particolare dell'ombra che le figure proiettano sulla parete della prigione il pittore vuole assegnare anche a loro una presenza concreta e terrena.Le sette opere di misericordia sono così raffigurate:. Dar da mangiare agli affamati: tratto da un episodio della storia romana, è rappresentato dall'episodio di Cimone che, condannato a morte per fame in carcere, fu nutrito dal seno della figlia Pero e per questo fu graziato dai magistrati che fecero erigere nello stesso luogo un tempio dedicato alla Dea Pietà. Sullo stesso luogo fu poi edificata la basilica di San Nicola in Carcere. I due personaggi costruiscono l'iconografia della Caritas romana, di cui risalta il particolare della goccia di latte sulla barba del vecchio che sta bevendo dal seno della figlia, che per il soggetto ritratto fu utilizzato ancora una volta, com'era consuetudine per il Caravaggio, la figura della cortigiana Fillide Melandroni. Dar da bere agli assetati: è rappresentato da un uomo in secondo piano a sinistra che beve da una mascella d'asino, iconografia di Sansone, che nel deserto bevve l'acqua fatta sgorgare miracolosamente dal Signore. Stando al racconto biblico, questa raffigurazione è l'unica che in senso stretto discosta dalle altre, poiché non vede l'intervento dell'uomo in soccorso ad un altro uomo, bensì quello divino. Vestire gli ignudi: è la storia raffigurata dai personaggi posti in primo piano, dov'è una figura di giovane cavaliere, san Martino di Tours, che fa dono del suo mantello ad un uomo dalla posa michelangiolesca visto di spalle e sdraiato a terra. Quest'ultimo secondo la critica pare sia frutto di un modello classico usata dal Caravaggio, alla stregua del Galata morente già in collezione Ludovisi (l'opera tuttavia non poteva essere concretamente quella in quanto la scultura antica fu rinvenuta solo nel 1623). Ospitare i pellegrini: è riassunto da due figure, l'uomo in piedi all'estrema sinistra che indica un punto verso l'esterno della composizione, a mo' di invito al pellegrino, raffigurato come san Giacomo, con l'attributo della conchiglia sul cappello e del bordone in mano (segno del pellegrinaggio a Santiago de Compostela), dietro al quale si scoverebbe un terzo personaggio, probabilmente pellegrino anch'egli, che si evince dalla presenza del solo orecchio che esce dal buio dello sfondo. Curare gli infermi: allo stesso santo dell'opera di vestire gli ignudi è legata la figura dello storpio in basso nell'angolo più buio a sinistra della scena, disteso e con le mani congiunte in preghiera che chiede aiuto a Martino di Tours, anche questo un riferimento alla sua agiografia. Visitare i carcerati: tratto da un episodio della storia romana, l'opera misericordiosa viene raccontata dagli stessi personaggi di quella di dar da mangiare agli affamati, con Pero che fa visita in carcere al padre, Cimone. Seppellire i morti: è raffigurato sulla destra in secondo piano con il trasporto di un cadavere, di cui si vedono solo i piedi lividi, da parte di un portatore mentre un diacono che regge la fiaccola fa luce sul percorso. Alcuni elementi e personaggi inseriti nella scenografia rimandano a virtù: Pero rimanda alla virtù teologale della Carità, Cimone a quella della Temperanza, la fiaccola del diacono rimanda alla virtù teologale della Fede, Sansone a quella cardinale della Fortezza, la spada di san Martino a quella della Giustizia, mentre i due uomini aiutati dallo stesso santo (il nudo e l'infermo) rimandano invece alla virtù cardinale della Speranza, quella della Prudenza, infine, è espressa dall'oste, che indica la strada del riparo al pellegrino solo dopo che questi è stato riconosciuto tramite i suoi simboli (conchiglia e bordone). Stilisticamente il dipinto si avvicina alle ultime pitture di Caravaggio a Roma (in particolare ricorda il Martirio di san Matteo per la soluzione compositiva di un gruppo di figure variamente atteggiate che si dispongono lungo delle direttrici a raggiera) ma si differenzia per l'utilizzo di una luce che scolpisce le forme attraverso un chiaroscuro più netto e frantumato e per una composizione più drammatica e concitata, non esistendo più un fulcro centrale dell'azione.
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### Titolo: Decollazione di san Giovanni Battista (Caravaggio). ### Introduzione: La Decollazione di San Giovanni Battista è un dipinto di Caravaggio realizzato in olio su tela (361x520 cm) nel 1608. Grazie a questa opera Caravaggio ottenne l'onore della Croce di Malta. Quest'opera è conservata nell'Oratorio di San Giovanni Battista dei Cavalieri nella Concattedrale di San Giovanni a La Valletta (Malta). Quando il pittore fuggì dall'isola poco dopo, la bolla con cui veniva radiato dall'ordine fu letta proprio davanti a questo quadro. ### Descrizione. Nella tela sono rappresentati il carceriere imperterrito, il boia che s'appresta a vibrare il colpo finale, una giovane che porta un bacile su cui raccoglierà la testa del Battista e una vecchia che si copre il volto con le mani per l'orrore; sulla destra due carcerati assistono da una grata alla scena. In questo quadro il rapporto figure-spazio è rovesciato a vantaggio di quest'ultimo, tanto da creare ampie zone di vuoto, mentre attenuando i contrasti luministici, l'artista immerge la scena nella penombra. Il Santo è colto negli ultimi spasmi di vita, con le mani legate dietro le spalle, e indossa l'abituale veste di peli di cammello intrecciati (suo emblema), ed una tunica rossa (rimando al futuro martirio di Cristo suo cugino, a cui assomiglia anche esteticamente e fisicamente). Al centro della composizione è il corto pugnale, detto 'misericordia', col quale il boia s'appresta a staccare la testa dal busto; al di sotto del Santo la spada con cui era stato scagliato il primo colpo, mentre una corda recisa e fissata ad un anello sulla parete a destra fa intuire cos'era successo qualche istante prima, quando il Santo era stato slegato e portato avanti. Il muro vuoto della prigione interrotto dalle inferriate, i due prigionieri che osservano la scena ed il tono cupo dell'opera rimandano ad una spietata esecuzione, eseguita alle prime luci dell'alba.
@Scribis @Italiano. Descrivi un famoso dipinto.
### Titolo: Il pittore e la sua fidanzata. ### Introduzione: Il pittore e la sua fidanzata è un dipinto di Marc Chagall, a olio su tela (116x88,7 cm), realizzato nel 1980. L'opera è conservata al Museo Puškin di Mosca. ### Descrizione. Chagall ritrae qui se stesso con in mano la tavolozza dei colori e ai suoi piedi la donna amata che lo abbraccia teneramente. Al loro fianco vi è un vaso di fiori rossi, unica nota colorata che spicca sulle tenui tonalità che caratterizzano questo dipinto. Dietro alle figure dei due fidanzati, collocati in primo piano, sullo sfondo compaiono alcune immagini evocatrici di momenti felici della vita del pittore, in quanto raffiguranti luoghi a lui cari: a sinistra Parigi, illuminata da una luce solare, di cui si riconoscono la Torre Eiffel, il fiume Senna con i suoi ponti e l'Île de la Cité, isola fluviale in cui sorge la cattedrale di Notre-Dame; a destra, invece, Vitebsk, città natale di Chagall, qui rischiarata da una luce lunare, che si riflette sulla cupola verde e bianca della chiesa ortodossa. Tra le due città, ma leggermente più in basso, è rappresentato un gruppo compatto di musicisti e saltimbanchi, simboleggiante l'ideale fusione dei due soggetti geografici preferiti dall'artista, con una chiara allusione all'armonica convivenza delle due identità nazionali riconosciute da Chagall. Mentre la contrapposizione di luce diurna e luce notturna è funzionale a sottolinearne le diversità, al contrario il gruppo omogeneo di musicisti e acrobati ne evidenzia l'inscindibilità nella percezione emotiva e artistica del pittore. L'opera, che appartiene all'ultimo quinquennio della vita e dell'attività di Chagall, rappresenta una sorta di epilogo del ciclo di dipinti dedicati al tema dell'amore per Belle e per le città più importanti della sua vita, raggiungendo qui picchi di sentimentalismo perfettamente resi dalle scelte cromatiche e da una particolare stesura del colore, frutto di leggere pennellate post-impressionistiche.
@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: Compleanno (Chagall). ### Introduzione: Compleanno è un dipinto (81x100 cm) realizzato nel 1915 dal pittore Marc Chagall, con la tecnica a olio su cartone. È conservato nel Museum of Modern Art di New York. ### Descrizione. L'opera fa parte della serie di dipinti che inneggiano l'amore dell'artista per la prima moglie. Bella, nel suo libro, racconta che, mentre decorava la stanza con dei fiori per il compleanno del marito, Chagall le chiese di fermarsi perché voleva ritrarla. L'immagine è caratterizzata dai due sposi sospesi nell'aria e l'artista che, per baciare la moglie, assume un'angolazione impossibile. Chagall dipinge minuziosamente ogni cosa, ad indicare che quando è con la moglie Bella ogni cosa della realtà è perfetta e sembra che lei possa portargli la felicità.
@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: Giovani spartani che si esercitano. ### Introduzione: Giovani spartani che si esercitano è un dipinto del pittore francese Edgar Degas, realizzato nel 1860-62 e conservato alla National Gallery di Londra. ### Descrizione. Il dipinto coglie un gioco sintonizzato di lancio e accettazione della sfida che coinvolge un gruppo di ragazze e di ragazzi. A sinistra troviamo quattro giovani donne spartane, dai tratti lievemente androgini, colte mentre incitano i ragazzi alla lotta sfida con un «contegno più parigino che spartano» (Bernd Growe): i loro gesti, infatti, non sono per nulla aggressivi, bensì si impaginano con un'armonia e un ritmo che ricordano le movenze delle ballerine, le grandi protagoniste dei dipinti degassiani a venire. I ragazzi, delegati nella parte destra del dipinto, presentano tratti dolcemente effeminati e raccolgono la sfida. Sullo sfondo, infine, troviamo le madri dei lottatori, che osservano divertite il certame.In quest'opera Degas favorisce un andamento paratattico, rapido e concitato, che con la sua simmetria sembra quasi riallacciarsi al rigore della pittura neoclassica, e dirige una sapiente coreografia, dove alla serrata coesione del gruppo delle ragazze viene contrapposta la formazione tutt'altro che compatta dei ragazzi. Notevole anche l'impianto compositivo dell'opera, il cui centro focale è fissato esattamente sul palmo della mano della giovane spartana che lancia la sfida, la quale sembra quasi «gelidificata» in primo piano. Nonostante il chiaro intento didascalico dell'opera, che si propone l'ammaestramento morale con il ricorso a illustri esempi del passato, Degas asciuga la retorica della «grande maniera» accademica e non ricorre a inventio particolari per fissare i contenuti dell'opera in stereotipi precisi. Quest'operazione di azzeramento dei referenti storici è così intensa che il riferimento a Sparta sopravvive nel solo titolo: l'opera sembra quasi raffigurare una semplice lotta tra giovani senza tempo.Riprendendo il commento della critica d'arte Giovanna Rocchi, i nudi «sono trattati in maniera naturalistica e i volti non sono il frutto della ripetizione di un tipo fisionomico, ma sono ritratti eseguiti sul modello, ognuno dei quali si definisce in una differente espressione». Già durante gli anni giovanili Degas era già sensibile alle istanze del realismo, pur essendo ancora fortemente legato agli studi sui primitivi condotti in Italia (dei quali ripropone la sensibilità cromatica). In quest'opera l'artista cerca di riproporre i due elementi, quello classicheggiante e quello realistico, in una fusione che tuttavia è subito oggetto di scherno dalla critica del tempo, prodiga di insulti verso il graffiante realismo di quelle «ossute monelle di periferia» (in riferimento alle spartane).
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Il mercato del cotone a New Orleans. ### Introduzione: Il mercato del cotone a New Orleans (Le Bureau de coton à La Nouvelle-Orléans) è un dipinto del pittore francese Edgar Degas, realizzato nel 1873 e conservato al Musée des Beaux-Arts di Pau. ### Descrizione. L'opera raffigura quattordici persone nell'ufficio di cotone dello zio intente a svolgere altrettante mansioni. L'identificazione delle varie figure, un tempo molto controversa, è stata sciolta definitivamente da John Rewald, che nel 1946 ha risolto l'identità dell'anziano signore in primo piano (si tratta di Michel Musson, colto mentre esamina il cotone) e ha riconosciuto con successo anche René De Gas (il signore immerso nella lettura del giornale locale Times-Picayaume), James Prestidge (il socio seduto su uno sgabello mentre discute con un cliente), Achille De Gas (appoggiato a una finestra), il cassiere Livandais (l'uomo chinato sui registri mentre controlla i conti) e William Bell, che propone al cliente la mercanzia.La formula scelta è quella del «ritratto di gruppo», tipologia iconografica che vanta illustri predecessori, primo fra tutti la famosa Ronda di notte di Rembrandt. Il brano di Degas, tuttavia, si distingue perché agitato da una profonda estraneità. Proponiamo di seguito la lettura datane dal critico Bernd Growe:. La tavolozza del dipinto è accordata sulle armonie del nero, dell'ocra e del bianco, tinte che Degas riscalda solo in alcune parti, scegliendo in questo modo di dare una soluzione «riduttiva» dei colori. Per quanto concerne l'impianto compositivo, invece, il pittore punta su una costruzione a zig-zag che accelera la visione dal basso verso l'alto, restituendo un dinamismo che verrà riprodotto anche ne L'assenzio. Memore della lezione di Manet, infine, Degas inserisce in questo dipinto diversi brani di natura morta di pregiata fattura, come il cestino pieno di carte in basso a destra.
@Scribis @Italiano. Descrivi un dipinto.
### Titolo: Davide con la testa di Golia (Caravaggio Vienna). ### Introduzione: Il Davide con la testa di Golia II è un dipinto a olio su tavola di pioppo (90,5x116,5 cm) realizzato a Napoli nel 1607 dal pittore italiano Caravaggio. È conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. ### Descrizione e stile. Il soggetto raffigura il giovane eroe della tradizione biblica che fa capolino dal buio subito dopo aver reciso la testa di Golia, che protende in avanti come macabro trofeo dopo la battaglia, trionfatore più sulla morte e la sofferenza che sul gigante, la cui testa è usata come 'spauracchio'. La luce irradia i volumi sintetici e si traspone sulle superfici quasi lisce sottolineando il gesto trionfale di Davide, con uno sguardo distratto e indifferente che si contrappone alla smorfia di tensione di Golia. Il suo volto è contratto dalla tensione, la bocca aperta a far sfolgorare il brillio della sua dentatura, la ruga che si pone tra le sopracciglia, i suoi occhi spenti e semichiusi oltre ai solchi delle guance, tradiscono quell'adesione alle ricerche sulla rievocazione espressiva dei 'moti dell'anima', di cui Caravaggio si fa portavoce alla stregua di Leonardo. Il dipinto è molto simile ad un'altra versione più tarda conservata a Roma nella Galleria Borghese. In entrambe le versioni, comunque, nelle sembianze di David Caravaggio avrebbe ritratto il suo garzone (e supposto amante) Francesco Boneri, già modello per Amor Vincit Omnia, anche se non esiste alcuna notizia della frequentazione dei due successiva alla partenza dell'artista da Roma nel 1606.
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### Titolo: Madonna del Rosario (Caravaggio). ### Introduzione: La Madonna del Rosario è un dipinto a olio su tela (364x249 cm) realizzato presumibilmente intorno al 1605 dal pittore italiano Michelangelo Merisi, detto Il Caravaggio. È conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. ### Descrizione e stile. La scena è articolata su tre livelli, seguendo uno schema piramidale. Al vertice sta il gruppo della Madonna e del Bambino, al livello intermedio i santi dominicani Domenico e Pietro martire ed altri frati dell'ordine, in basso il donatore ad altri fedeli. Inquadrano la composizione una grande colonna a sinistra e, in alto, un grande drappo rosso ad essa annodato. La Madonna col Bambino è assisa in trono, e sembra quasi dare il suo assenso, con un cenno della mano, a san Domenico che, vestito con l'abituale saio, ha in mano dei rosari, ed i fedeli, povera gente dai piedi nudi e sporchi, gli si rivolgono, inginocchiati, per ottenere la grazia; all'estrema sinistra, vestito di nero ed in gorgiera, è ritratto Marcantonio Colonna, nonno del committente. Dall'altra parte, è raffigurato san Pietro Martire con un'ampia cicatrice sulla fronte (proprio come Caravaggio che, ferito alla testa qualche mese prima nel duello con Ranuccio Tomassoni, doveva portarne ancora visibile il segno), che indica la Vergine a chi è fuori del quadro; alle sue spalle, altri domenicani, dei quali, vicari terreni di Maria, la tela vuole essere un'esaltazione.
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### Titolo: Ultima Cena (Tintoretto). ### Introduzione: L'Ultima cena è un dipinto del pittore veneziano Tintoretto realizzato intorno al 1592-1594 e conservato nella Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia. È un'opera perfettamente in linea con gli altri dipinti del medesimo pittore. ### Descrizione e stile. Nella tela prevale una prospettiva angolare, in cui gli apostoli non vengono messi al centro della scena, che invece viene occupata da personaggi accidentali, come la donna che cerca un piatto in una tinozza o i servitori che prendono i piatti dal tavolo. Questo particolare momento dell'Ultima Cena non rappresenta il momento del tradimento, come l'Ultima Cena dipinta da Leonardo, bensì il momento dell'istituzione dell'eucaristia. Tintoretto dà una certa umanità al dipinto, ambientandolo in una sorta di taverna veneziana, la volontà del pittore era infatti quella di ambientare l'ultima cena nell'epoca in cui l'artista stesso viveva. Quella che appare sulla tavola apparecchiata, in primo piano, sembra una torta con delle candeline, ma non si è riusciti a capirne il significato. In ogni caso questa stranezza era già presente in un'Ultima Cena datata 1574; opera di Pomponio Amalteo ed ora al Castello di Udine. Ci sono tre livelli di luminosità: profana, religiosa e spirituale. La luminosità profana è rappresentata dalla lampada a soffitto che irraggia l'ambiente e colpisce i vari personaggi. La luminosità religiosa è data dall'aureola degli apostoli e di Gesù Cristo. La luminosità spirituale deriva dalle figure fatte solo di luce, usate dal pittore per conferire spiritualità alla scena. Forti contrasti chiaroscurali e la presenza di una luce di scorcio fanno apparire il quadro come una rappresentazione teatrale immortalata.
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### Titolo: La sepoltura del conte di Orgaz. ### Introduzione: La Sepoltura del conte di Orgaz (El Entierro del conde de Orgaz) è un dipinto a olio su tela (480x360 cm) realizzato nel 1586 dal pittore El Greco. È conservato nella Chiesa di San Tommaso (Toledo). ### Descrizione e stile. In un perfetto equilibrio tra cielo e terra, vengono raffigurati, in forma molto allegorica, i funerali di Gonzalo Ruiz de Toledo (ca. 1260-1323), notario mayor di Castiglia, mayordomo mayor di Ferdinando IV di Castiglia, precettore di Alfonso XI di Castiglia. Il dignitario, noto per la sua grande devozione religiosa e benefattore della parrocchia di San Tommaso, nella quale promosse nel 1300 la riedificazione della chiesa di San Tommaso, è raffigurato con Santo Stefano e Sant'Agostino, mentre il vescovo all'estrema destra sfoglia il Libro dei Morti per impartirgli l'estrema unzione ed il diacono ha lo sguardo rivolto al cielo. Dietro di essi sono gli astanti, quasi tutti anch'essi cavalieri (la croce rossa che portano sul petto è quella dell'Ordine di Santiago), o frati; il personaggio al centro che ha lo sguardo rivolto allo spettatore sarebbe lo stesso El Greco, mentre il ragazzino a sinistra vestito di nero ed indicante la scena sarebbe il di lui figlio (un cartiglio che gli sporge dalla tasca ne reca la data di nascita). Sono gli unici a volgere lo sguardo di fronte. Un angelo al centro della tela, invece, trasporta l'anima del Conte al cielo, che è interamente occupato dal Paradiso: Cristo è seduto in trono, e davanti a lui sono la Madonna e San Giovanni Battista; in secondo piano a sinistra è San Pietro (riconoscibile dalle chiavi) e vari altri Santi (alcuni dei quali, evanescenti, addirittura fluttuanti nelle nubi stesse); sulla destra, alcune anime beate, tra le quali si riconosce quella di Filippo II benché questi fosse ancora in vita all'epoca dell'esecuzione del dipinto. L'opera è firmata in caratteri greci minuscoli: “Doménikos Theotokópolis [sic] Epoíei”.
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### Titolo: Cristo crocifisso (Velázquez). ### Introduzione: Cristo crocefisso è un dipinto del pittore spagnolo Diego Velázquez realizzato circa nel 1632 e conservato nel Museo del Prado a Madrid in Spagna. ### Descrizione e stile. Il Cristo crocifisso, carico di valore emotivo, spirituale e simbolico tipico dell'epoca, fa parte di un gruppo di opere a tema religioso che il pittore dipinge dopo essere tornato dal soggiorno romano del 1629 per il monastero delle Benedettine di San Placido a Madrid (periodo madrileno ma tema sivigliano). Una diceria popolare vuole che questo quadro fosse stato commissionato da Filippo IV come ex voto di penitenza per il suo amore sacrilego verso una giovane religiosa. Il dipinto fu allungato per adattarlo allo spazio che gli era stato assegnato in un oratorio, ma l'aggiunta è stata ora rimossa riportandolo alle dimensioni originali. Nonostante il soggetto drammatico, il dipinto nella sua totalità infonde quasi un senso di serenità: a ciò contribuiscono le scarse gocce di sangue e i piedi appoggiati su una mensola (come consiglia Francisco Pacheco del Río nel trattato Arte de la pintura); il corpo crocifisso rispetta i canoni classici. Una ciocca di capelli scende dalla corona di spine; si dice che il pittore, irritato, abbia realizzato velocemente questo ciuffo per coprire una parte del viso mal venuta. Alcuni studiosi credono che il volto sia in realtà quello dello zio di Velázquez. Si notano anche le ferite inferte dalla lancia di san Longino, ancora gocciolanti di sangue, e la scelta di quattro chiodi, tipicamente medievale. Il tutto rispetta i rigidi canoni controriformisti; l'opera fu molto ammirata anche dai Gesuiti. La luce, sempre su ispirazione caravaggesca, è molto chiara e non riporta le ombre. È da notare l'iscrizione estesa (Gesù Nazareno Re dei Giudei) nelle tre lingue ebraica, greca e latina.
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### Titolo: San Girolamo (Leonardo). ### Introduzione: Il San Girolamo penitente è un dipinto a olio su tavola (103×75 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1480 circa e conservato nella Pinacoteca Vaticana. Si tratta di un dipinto non portato a termine. ### Descrizione e stile. San Girolamo è raffigurato nell'iconografia dell'eremita penitente nel deserto. Vestito di pochi stracci è inginocchiato con nella mano destra la pietra che usava per percuotersi il petto e con la sinistra che indica se stesso in atto di umiltà. Il volto è rivolto verso l'alto, tradizionalmente, verso un probabile crocifisso non ancora dipinto, di cui si intravede però l'asta sull'estrema destra, dove si trova il paesaggio appena abbozzato nel quale alcuni studiosi hanno voluto vedere lo schizzo della facciata di Santa Maria Novella. La figura dell'eremita è studiata con notevole attenzione all'anatomia, testimoniando il precoce interesse di Leonardo su questo settore, con muscoli asciutti ma scattanti, tendini a vista. Spiccano soprattutto il busto inarcato e scuro dietro le clavicole, il gesto plastico del braccio disteso, che sembra indagare lo spazio circostante, o la gamba protesa in avanti, con un efficacissimo scorcio. La testa, scavata e ossuta, nonché scorciata nella sua torsione verso destra, è resa con espressività e ricorda alcuni busti antichi cosiddetti di 'Seneca'. La sua figura emerge con potenza anche per effetto dello sfondo scuro, composto da rocce dalle forme bizzarre che si ritroveranno anche, di lì a poco, nella prima versione della Vergine delle Rocce (1483-1486). In basso si trova il fedele leone, appena disegnato, il cui corpo scattante crea giochi lineari rari in Leonardo, che probabilmente sarebbero poi stati attenuati dalla pittura atmosferica e dallo sfumato. L'animale è sulla diagonale che, attraverso il corpo del santo, finisce nel paesaggio dello sfondo a sinistra, già avviato, con le tipiche rocce appuntite leonardesche. Un altro paesaggio, appena abbozzato, si trova sulla destra, sotto un arco naturale, in cui si distingue una sorta di disegno di chiesa.
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### Titolo: La lampada del diavolo. ### Introduzione: La lampada del diavolo (La lámpara del Diablo) è un dipinto a olio su tela (42x32 cm) del pittore spagnolo Francisco Goya, realizzato nel 1797-1798 e conservato alla National Gallery di Londra. ### Descrizione. Il personaggio raffigurato nel dipinto è Don Claudio, la cui vita - come abbiamo già detto - dipende dal continuo bruciare della fiammella, sorretta dal diavolo. Il sacerdote, lacerato dal terrore e dalla follia e ammantato in un abito nero, azzarda un passo e si appresta a versare l'olio nella lampada del diavolo, così da evitare che si spenga. La lucerna è sorretta dal demonio che, in un inchino riverente ed animalesco, non aspetta altro che trascinare don Claudio negli abissi infernali.La lampada del diavolo è un'opera permeata da una profonda sensazione di inquietudine, accresciuta dal perpetuo pulsare della fiammella, dallo sguardo atterrito ed alienato di Don Claudio e dalla macabra danza dei cavalli sullo sfondo che, ergendosi sulle zampe posteriori, vogliono probabilmente alludere all'ignoranza e alla zotichezza umana. In primo piano, infine, è appena accennato il frammento di un libro che, disponendosi obliquamente rispetto alla scena (ricorda in tal senso una lapide sbieca), ne accresce il ritmo nevrotizzante. Vi troviamo vergate le parole «LAM / DESCO», ovvero le prime lettere di lampara descomunal [lucerna mostruosa], in riferimento alla formula pronunciata da don Claudio mentre alimenta la lampada del diavolo.
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### Titolo: Madonna (Munch). ### Introduzione: Madonna è una famosa opera espressionista del norvegese Edvard Munch, il quale ne dipinse cinque versioni tra il 1894 e il 1902, ad olio su tela. Una di queste ha dimensioni di 91x70.5 cm. Una delle versioni appartiene al Museo Munch di Oslo, mentre un'altra ad un privato, Nelson Blitz, (Collezione di Catherine Woodard e Nelson Blitz Jr.). ### Descrizione. Ancora una volta sacro e profano si intrecciano nelle opere di Munch. Una donna nuda, raffigurata fino ai fianchi, si impone allo sguardo dell'osservatore. Le braccia sono piegate dietro il corpo, con l'effetto di spingerlo ulteriormente verso il primo piano, i capelli neri sono sparsi sulle spalle e il volto reclinato all'indietro è colto nel momento dell'estasi. La testa della donna è incorniciata da un'aureola profana, il cui colore rosso si carica di riferimenti simbolici (la passione amorosa e il sangue). L'intera scena, se si esclude il rosa del corpo, è giocata sulla bicromia del rosso e del nero che rimanda al binomio amore e morte. L'opera sprigiona una forte risonanza sensuale, acuita dalla serie di contorni ondeggianti, che formano una sorta di bozzolo intorno alla protagonista. Munch sembra intuire con quindici anni di anticipo l'idea futurista delle linee-forza ovvero il riscontro psicologico tra un dato andamento e una sensazione. In pochi tratti e rinunciando a ogni elemento di contorno, l'artista realizza un'immagine magnetica, in cui anche l'apparenza non finita della superficie contribuisce a suscitare l'impressione di sensualità. Il pittore realizzò quattro versioni a olio del soggetto oltre a numerose derivazioni grafiche. Queste gli permettevano maggiori libertà espressive che sarebbero state censurate in un dipinto: in alcune litografie inserisce ad esempio una cornice disegnata percorsa da spermatozoi; in un angolo inoltre compare un embrione, che leva occhi impauriti e già dolenti sulla madre; le fattezze dell'embrione ricordano quelle della figura protagonista de L'urlo (1893). L'artista attribuisce quindi ad ogni essere umano un destino di infelicità.
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### Titolo: Lo spirito dei morti veglia. ### Introduzione: Lo spirito dei morti veglia (Manao tupapau) è un dipinto del pittore francese Paul Gauguin, realizzato nel 1892 e conservato all'Albright-Knox Art Gallery di Buffalo. ### Descrizione. Sentendosi nauseato dal decadente scalpitio della vie moderne Gauguin nel 1891 abbandonò la mondanità scatenata di Parigi e si rifugiò a Tahiti, in Polinesia, alla ricerca di luoghi dalla bellezza paradisiaca e dal primitivismo mistico ed esotico. Nel felice e fecondo primo soggiorno tahitiano il pittore ebbe una relazione sentimentale con Teha'amana, una giovane ragazza dalla «bellezza animale del primo giorno» e dagli occhi teneri e ingenui animata anche da una brillante intelligenza. L'opera raffigura proprio Teha'amana distesa prona su un letto disfatto, terrorizzata dall'oscurità che la avvolge. È nuda: la sua carnagione morbida e ambrata rifulge con una gamma di colori caldi e mediterranei, e il suo abito adamitico rinvia a gloriosi modelli dell'arte occidentale, primi fra tutti la Venere di Giorgione e, soprattutto, l'Olympia di Manet. Lo stesso Gauguin aveva potuto ammirare «La Belle Olympia che tanto scandalo causò negli anni passati» all'Exposition Universelle del 1889: mentre, tuttavia, Manet intendeva dipingere una prostituta con crudo realismo, Gauguin con Manao tupapau volle «collaudare una pratica artistica visceralmente fondata sul colore evocativo di sentimenti puri, e su un sintetismo formale frutto non più di un'estemporanea impressione della realtà, ma di una meditata, visionaria, fantastica e iperdecorativa figurazione» (Larcan). Non vi è nulla di erotico in questo nudo femminile, tanto che gli attributi della sua femminilità - il pube e il seno - sono preclusi alla vista dell'osservatore, schiacciati come sono sul lenzuolo. Con questa «Olympia oceanica», poi, Gauguin intende anche documentare i culti e i costumi tahitiani in un'epoca in cui tale società era avvelenata dall'annessione alla Francia e dall'ingerenza del cattolicesimo, religione secondo il pittore improntata a una tavola di valori antivitale e antitetica allo stato di natura. Stando al giudizio di Gauguin, infatti, il cattolicesimo mediante la nozione di «peccato» avrebbe inibito la danza, la musica e gli altri impulsi primari del popolo tahitiano, nonché corrotto le sorgenti naturali della gioia e del piacere. «Teha’amana non conosce più la storia della sua gente né i suoi dèi» osserva Melania Mazzucco «solo gli spiriti malvagi, che brulicano ovunque e possono manifestarsi in ogni istante». Teha'amana, infatti, non riusciva a dormire a luci spente senza che la sua immaginazione prendesse il sopravvento. Il ventaglio di interpretazioni veicolate dal quadro, dunque, si allarga, e comprende anche le irrazionali paure sofferte dalla ragazza. Non a caso, sulla sinistra, incombe un demone minaccioso circondato da un'aureola che sprigiona tenui fasci di luce, che si irradiano riverberando sui fosforescenti fiori di anona e illuminando l'interno della stanza: è un tupapau, uno spirito dei morti. La fisionomia del tupapau ricorda gli idoli incas, giavanesi e cambogiani o, magari, gli ermetici tiki polinesiani scolpiti in legno e pietra che tanto lo avevano affascinato. Con la sua presenza intimidatoria, pertanto, il demone sembra alludere all'ineluttabilità della morte e, contemporaneamente, all'inconoscibilità del momento in cui essa giungerà, nonché al peso opprimente con cui essa incombe sulla vita umana. Quest'interpretazione è favorita dal titolo tahitiano del dipinto, Manao tupapau, il quale è volutamente ambiguo e si può tradurre sia in «Lei pensa allo spirito dei morti» che in «Lo spirito dei morti pensa a [veglia su di] lei». Di seguito riportiamo la descrizione che Gauguin fornì dell'opera in Genesi di un quadro:.
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### Titolo: Il cavaliere azzurro (Kandinskij). ### Introduzione: Il cavaliere azzurro (in tedesco: Der Blaue Reiter) è un dipinto a olio su tela (55×60 cm) realizzato nel 1903 dal pittore Vasilij Kandinskij. Fa parte di una collezione privata di Zurigo. ### Descrizione. L'opera rappresenta un cavaliere che, vestito d'azzurro e in groppa al suo cavallo bianco, cavalca velocemente su di una collina verde-oro. Tale collina è delimitata da una delicata linea curva che declina procedendo da destra verso sinistra e su di essa si stagliano degli alberi con le foglie ingiallite, chiaro segno del fatto che ci troviamo nella piena stagione autunnale. La tecnica utilizzata da Kandinskij è ancora molto vicina all'Impressionismo.
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### Titolo: Composizione X. ### Introduzione: Composizione X è un dipinto a olio su tela (130×195 cm) realizzato nel 1938-1939 dal pittore Vasilij Kandinskij. È conservato alla Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf. ### Descrizione. Ultima grande composizione prima dello scoppio della guerra, in cui su uno sfondo nero Kandinskij crea un mondo fatto di forme favolose che nulla fa presagire delle imminenti catastrofi che si sarebbero abbattute sull'Europa. In quest'opera Kandinskij crea un equilibrio formale e cromatico perfetto e assolutamente armonioso, tanto da poter essere considerato come il culmine della sua ricerca sulla purezza della forma. Le molteplici strutture, che sembrano fluttuare senza peso in un profondo universo silenzioso, hanno perso ogni regolarità geometrica e tendono a trasformarsi in forme organiche. Una tendenza ascensionale domina la composizione della tela, mentre i colori valorizzati dallo sfondo scuro, che evoca non solo lo spazio, ma anche il buio alla fine della vita, paiono brillare e farsi ancora più luminosi. Nel dipinto sono presenti, accanto a elementi che richiamano alla mente organismi microscopici, anche alcune forme che derivano dal patrimonio decorativo della tradizione popolare russa, come ad esempio la forma irregolare di colore bruno in alto a sinistra, ornata con una serie di simboli, che è stata interpretata come un riferimento al tamburo sciamanico. Tale strumento era già comparso in Composizione V e sottolinea la profonda continuità che lega le opere dell'artista.
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### Titolo: Maestà di Ognissanti. ### Introduzione: La Madonna di Ognissanti è un dipinto a tempera e oro su tavola (335x229,5) di Giotto, databile al 1310 circa e conservato agli Uffizi di Firenze, dove è scenograficamente collocato a poca distanza da analoghe pale di Cimabue (Maestà di Santa Trinita) e Duccio di Buoninsegna (Madonna Rucellai). Anticamente si trovava nella chiesa di Ognissanti a Firenze, da cui il nome. ### Descrizione e stile. Il confronto con le opere precedenti dà un valido metro di come l'arte di Giotto si muovesse ormai verso un radicale rinnovamento della pittura, anche se non mancano stilemi arcaici come il fondo oro e le proporzioni gerarchiche, queste ultime dovute forse alla necessità di mostrare il maggior numero possibile di fedeli attorno alla Vergine. Il tema della Maestà è reinterpretato con grande originalità, incentrato .....sul recupero della spazialità tridimensionale degli antichi e sul superamento della frontalità bizantina. La Madonna e il Bambino hanno un volume solido, ben sviluppato in plasticità, dal netto contrasto tra ombre e lumeggiature, molto più che nella vicina opera di Cimabue (la Maestà di Santa Trinita) di circa dieci anni anteriore. Il peso così terreno delle figure è evidenziato dalla gracilità delle strutture architettoniche del trono che è di gusto gotico francese con decorazioni di gusto geometrico alla base. Raffinati sono i colori, come il bianco madreperlaceo della veste, il blu di lapislazzuli del manto, il rosso intenso della fodera. Maria è una matrona che, in maniera del tutto originale, accenna quasi un sorriso, dischiudendo appena le labbra e mostrando da uno spiraglio i denti bianchi. Le figure sono incorniciate da un raffinato trono cuspidato, creato secondo una prospettiva intuitiva ma efficace, che accentua la profondità spaziale, nonostante il fondo oro. Esso si ispira a Cimabue, ma ha anche una straordinaria somiglianza con quello della Giustizia della Cappella degli Scrovegni. Originalissima è poi la disposizione dei due santi nell'ultima fila, visibili solo attraverso il traforo del trono, che assomiglia a un trittico richiuso o a un ciborio ornato di incrostazioni marmoree. Tutti gli sguardi degli angeli convergono verso il centro del dipinto, con l'innovativa rappresentazione di profilo di alcuni di essi, una posizione riservata solo alle figure sinistre (Giuda, i diavoli...) nell'arte bizantina. Essi hanno in mano doni per la Madonna: una corona, un cofanetto prezioso e vasi con gigli (simboli di purezza) e rose (fiore mariano): i vasi sono tra i primi esempi in ambito medievale di 'natura morta', già sperimentata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni. A differenza delle opere più antiche, Giotto ricava uno spazio pittorico nel quale dispone con verosimiglianza gli angeli e i santi: essi sono ancora rigidamente simmetrici, ma non lievitano ormai più uno sull'altro, né sono appiattiti, ma si collocano con ordine uno dietro all'altro, ciascuno diversificato nella propria fisionomia, finemente umanizzata rivelando un'inedita attenzione al dato reale. La tecnica pittorica è molto avanzata ed ha completamente sorpassato la schematica stesura tratteggiata del Duecento, preferendo una sfumatura delicata ma incisiva e regolare, che dà un volume nuovo alle figure. Il senso del volume ottenuto col chiaroscuro, le forme scultoree, quasi dilatate, e la semplificazione delle forme saranno il punto di partenza per le ricerche di Masaccio.
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### Titolo: Il 3 maggio 1808. ### Introduzione: La fucilazione del 3 maggio 1808 (anche conosciuto come El tres de mayo de 1808 en Madrid o Los fusilamientos de la montaña del Príncipe Pío o Los fusilamientos del tres de mayo) è un dipinto a olio su tela (266x347 cm) di Francisco Goya, realizzato nel 1814 e conservato nel Museo del Prado di Madrid. Completato quando l'artista aveva 68 anni, il dipinto rappresenta la resistenza delle truppe madrilene all'armata francese durante l'occupazione del 1808 della guerra d'indipendenza spagnola. Goya realizzò questo e un altro dipinto (Il 2 maggio 1808) su commissione simile al 3 maggio 1808. ### Descrizione. Il 3 maggio 1808 rappresenta il momento immediatamente successivo alla rivolta e si focalizza su due gruppi di uomini: il plotone d'esecuzione, sulla destra, i condannati sulla sinistra. I carnefici e le vittime si fronteggiano bruscamente in uno spazio ristrettissimo, tanto che, come osservato da Kenneth Clark, «con un colpo di genio [Goya] ha creato un efficace contrasto fra il feroce ripetersi degli atteggiamenti dei soldati e la linea d'acciaio dei loro fucili, e l'irregolarità dei loro obiettivi». Una grande lanterna ai piedi dei soldati getta luce sulla scena, sottolineandone la drammaticità: viene illuminato soprattutto il gruppo di vittime, fra cui figura anche un monaco tonsurato in preghiera (a enfatizzare il fallimento della Chiesa). Il protagonista della scena, tuttavia, è la vittima centrale, bianca, che leva le braccia al cielo in attesa del colpo mortale. Sembra agonizzare ancor prima di essere raggiunta dalla pallottola; il suo volto, dai tipici tratti ispanici, è privo di bellezza ma rivela un sentimento sospeso tra coraggio, rabbia, terrore e incredulità. Il suo vestiario bianco e giallo, oltre a richiamare i colori della lanterna, suggerisce inoltre che si tratta di un semplice bracciante. Ecco invece i tumultuosi comportamenti degli altri condannati, che simboleggiano i sentimenti del popolo:. Un uomo inveisce con il pugno e rappresenta la rabbia del popolo;. Un altro uomo s'inchina verso terra, con gesto di sconforto, e rappresenta coloro che si sono arresi;. Un altro ancora si copre il volto con le mani, in riferimento alla vergogna;. Un quarto guarda con orgoglioso disprezzo i carnefici in uniforme, l'odio.Sulla destra è presente invece il plotone d'esecuzione, di spalle allo spettatore: nascosti nell'ombra, i persecutori reggono tutti una baionetta e vestono colbacchi neri e pesanti pastrani. Nel raffigurare i soldati di spalla, nascondendone pertanto i volti, Goya dà vita a una vera e propria «macchina di distruzione», rigida, violenta e disumana, che sembra quasi esser composta da anonimi automi programmati per uccidere. Senza interferire con l'intensità dell'evento, inoltre, sullo sfondo si profilano un colle arido ed il paesaggio urbano di Madrid: fra questi è presente una folla inferocita con torce, forse costituita da spettatori, forse composta da altri carnefici o condannati. La prospettiva lineare non è presente, essendo la scena ambientata all'aperto. La profondità è resa dalla differente luminosità dei vari piani e dalla disposizione dei soldati. È possibile che il 3 maggio 1808 facesse parte di una serie composta da altri tre quadri, tutti incentrati sulla rivolta del due di maggio. Mentre il secondo dipinto, Il 2 maggio 1808, è tuttora conservato al Museo del Prado, gli altri due sono scomparsi in circostanze misteriose, che potrebbero indicare il malcontento scaturito dal raffigurare l'insurrezione. ### Stile. I critici si divisero in due: chi espresse il proprio scontento per la tecnica scadente, e chi, come Richard Schickel, rimase affascinato dall'impatto notevole del quadro.Sebbene Goya si fosse ispirato a precedenti opere d'arte per la composizione del 3 maggio, in quest'ultimo si ha una notevole presa di distanze dal neoclassicismo, le cui convenzioni di bellezza idealizzata vennero ribaltate dal crudo realismo. Gli artifici pittorici, quindi, vengono messi da parte a favore della brutalità, senza fronzoli eccessivi. Anche gli altri pittori romantici, sebbene attratti dai temi dell'ingiustizia, della guerra e della morte, prestavano molta più attenzione al precetto di idealizzazione della bellezza: questo è evidente soprattutto ne La zattera della Medusa di Théodore Géricault e ne La Libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix.Il dipinto è legato tematicamente alla tradizione cristiana del martirio (come esemplificato nell'uso drammatico del chiaroscuro): si tratta anche di un appello alla vita, giustapposta dall'inevitabilità dell'esecuzione imminente. L'opera di Goya si discosta tuttavia da questa tradizione: qui infatti è assente quella tipica composizione tanto armoniosa quanto innaturale (presente, invece, in altre opere incentrate sulla violenza, come quelle di Jusepe de Ribera) che anticipa la «corona del martirio» per la vittima. Nel 3 maggio, la vittima centrale con le braccia alzate è stata spesso paragonata a un Cristo crocifisso: una posa simile è riscontrabile nelle raffigurazioni dell'agonia del Messia al Getsemani. Nella mano destra della figura, tra l'altro, è presente un segno simile alla stigmata; la lanterna centrale, invece, richiama quella usata dalle truppe romane che arrestarono Cristo nel giardino. Tra l'altro, l'uomo al centro indossa abiti gialli e bianchi, colori presenti anche nell'araldica pontificia. Goya, tuttavia, è ben distante dall'inserire la trascendenza nella propria opera, dove non ha senso pensare che il sacrificio della vita porterà alla salvezza. La lanterna come sorgente di luce era un tòpos ben radicato nell'arte barocca: in genere, quest'ultima - insieme al chiaroscuro - costituiva una metafora della presenza di Dio. L'illuminazione quindi presentava forti connotazioni religiose; ma nel 3 maggio la lanterna non simboleggia alcun miracolo. Piuttosto, genera luce per far sì che il plotone d'esecuzione possa completare il massacro e che lo spettatore possa essere testimone di questa violenza sfrenata. Avviene pertanto un rovesciamento del forte simbolismo assunto dalla luce sino ad allora. La vittima, così come presentata da Goya, è tanto anonima quanto i suoi assassini. La sua preghiera non è rivolta a Dio, così come suggerivano i canoni della pittura tradizionale, ma a un plotone di esecuzione incurante e impersonale: non è infatti un eroe, ma solo una parte di un continuum di vittime. Ai suoi piedi giace un corpo caduto, con la testa ridotta ad una poltiglia sanguinosa; dietro quest'ultimo, una serie di uomini che condividerà il suo fato. Secondo il biografo Fred Licht, qui per la prima volta l'eroismo insito nel martirio viene sostituito dall'irrilevanza e dalla futilità, dall'anonimato come segno distintivo della condizione moderna, e dalla vittimizzazione dell'omicidio di massa.Il modo con cui il dipinto mostra lo scorrere del tempo è senza precedenti nell'arte occidentale. La morte di una vittima innocente fino ad allora era stata presentata come un episodio conclusivo, intriso di eroismo e coraggio: nel 3 maggio, invece, non c'è questo messaggio catartico. Al contrario, c'è una processione continua dei condannati in una formalizzazione meccanica di omicidio: il risultato, inevitabile, è ben visibile nel cadavere dell'uomo. Non vi è spazio per il sublime; la sua testa e il suo corpo vengono sfigurati a tal punto da rendere impossibile qualsiasi tipo di risurrezione. La vittima viene quindi di fatto privata di ogni grazia spirituale o estetica. Non vi è, infine, alcun tentativo da parte dell'artista di mitigare la brutalità presente nell'opera attraverso l'abilità tecnica. Il metodo e il tema, qui, costituiscono due universi paralleli. Le pennellate sono tutt'altre che piacevoli; il dipinto inoltre è dominato da una tonalità scura e tetra, affidata all'uso di colori fangosi, interrotto solo dai toni bianchi adoperati per i fasci luminosi. Non a caso, qui pochi ammirerebbero la resa tecnica del dipinto, tanto sono intensi il messaggio e la mancanza di teatralità.
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### Titolo: Deposizione (Angelico). ### Introduzione: Deposizione dalla Croce è una pala d'altare tempera su tavola (176 × 185 cm) realizzata tra il 1432 ed il 1434 dai pittori Beato Angelico e Lorenzo Monaco. Commissionata da Palla Strozzi per la sagrestia di Santa Trinita (all'epoca Cappella Strozzi), è conservata al Museo nazionale di San Marco di Firenze. ### Descrizione e stile. Il pannello centrale, con la Deposizione vera e propria, è organizzato con uno schema piramidale al centro, che ha come vertici i due dolenti inginocchiati alla base e il gruppo delle scale e dei santi in alto, dietro cui si innesta la fascia orizzontale del paesaggio, che si dispiega lateralmente con una medesima linea dell'orizzonte e con una rappresentazione di città (sinistra) e di un paesaggio collinare (a destra). L'effetto è quindi di uno sviluppo verticale al centro (evidenziato anche dal braccio destro di Nicodemo che abbassa il corpo e dalla figura eretta di san Giovanni), al quale si contrappone, armonizzando, uno sviluppo orizzontale in profondità dei lati. Anche ai lati le fasce orizzontali dei personaggi sono accentuate in verticale dalla torre sullo sfondo o dagli alberi. Su questo schema ortogonale si imprime la figura per lo più diagonale di Cristo (le braccia, la testa reclinata, il corpo obliquo), che spicca con forza. La scena del Cristo deposto dalla croce si svolge tutta in primo piano e vi si trova una delle caratteristiche più tipiche dell'Angelico: l'uso di colori limpidi, luminosi e brillanti, accordati in una delicata armonia tonale, che richiama il concetto di san Tommaso d'Aquino della luce terrena quale riflesso del 'lumen' ordinatore divino. La rappresentazione resta in bilico tra il tono di gravità che si addice alla scena sacra e la vivacità pittoresca nella ricreazione ambientale. Nonostante la salda volumetria delle figure, soprattutto quella del Cristo nudo modellato anatomicamente, manca una rappresentazione convincente del peso e dell'azione, con le figure sulle scale che sembrano lievitare nell'aria. Notevole è invece l'attenzione al dettaglio, come i segni delle frustate sul corpo di Gesù, o la dettagliata resa delle fisionomie dei personaggi. I gruppi laterali sono divisi tra le pie donne di sinistra, che si preparano ad accogliere il corpo nel sudario e il gruppo di uomini di destra, tra i quali si riconoscono dei dotti, che discutono sui simboli della Passione. Argan scrisse: 'Da un lato è la religione dell'intelletto, dall'altro la religione del cuore; e all'intelletto chiaro, all'anima pura tutta la realtà si manifesta ordinata e limpida, come forma perfetta'. Il personaggio col cappuccio nero è tradizionalmente indicato come un ritratto di Michelozzo, mentre il giovane col berrettone rosso all'estrema destra sarebbe un familiare degli Strozzi. Il suolo è coperto da una fitta serie di pianticelle descritte nei minimi particolari, che alludono alla primavera, intesa sia come periodo storico in cui si svolse la scena, sia come simbolo di rinascita.
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### Titolo: Murnau. Paesaggio con torre. ### Introduzione: Murnau. Paesaggio con torre è un dipinto a olio su cartone (74x98,5 cm) realizzato nel 1908 dal pittore Vasily Kandinsky. È conservato nel Centre Pompidou di Parigi. ### Descrizione. Dopo essersi trasferito nel comune di Murnau nelle Alpi Bavaresi insieme alla compagna Gabriele Münter, Kandinskij adotta uno stile che oscilla tra la pittura puntinista su sfondi scuri, ispirata dal Mir iskusstva, e, in seguito all'incontro con il gruppo dei Nabis, manifestò l'interesse per le tele dell'esperienza fauve, viste nel 1906-1907 durante il soggiorno a Parigi. Non è ispirato dai pittori tedeschi, non tiene in considerazione gli artisti espressionisti della Die Brücke, poiché rifiuta il linguaggio simbolista di Franz von Stuck. Kandinskij guarda più a Matisse e ai fauves, dai quali ereditò soprattutto l'uso incisivo del colore puro nella composizione del quadro, anche se di rado utilizza i loro toni caldi, prediligendo come colori il blu e il bianco. Questo dipinto è paragonabile al quadro Murnau. Case sull'Obermarkt del 1908, in cui Kandinskij 'avvolge' in un'atmosfera notturna le costruzioni colpite dal sole, facendo campeggiare soffici nuvole in un firmamento quasi notturno, creando così un contrasto affine a quello di quest'opera. Kandinskij, attraverso una tecnica propria del cloisonnisme e della tradizionale pittura bavarese su vetro, calca le marcature scure di contorno, conferendole una singolare rilevanza e corredandole di vita autonoma. Tali evoluzioni sono visibili specialmente nei dipinti di paesaggi, soprattutto in corrispondenza dei periodi trascorsi a contatto con la natura di Murnau. In quest'opera gli oggetti ritratti vengono condensati con un'essenzialità ben definita, lasciandone così solo lo 'scheletro interno', per mezzo di una netta sintesi dei dati della raffigurazione.
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### Titolo: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?. ### Introduzione: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? è un dipinto del pittore francese Paul Gauguin, realizzato nel 1897 e conservato al Museum of Fine Arts di Boston. ### Descrizione. È lo stesso Gauguin a guidare l'osservatore nell'interpretazione dell'opera con un testo di suo pugno, che riportiamo di seguito:. La domanda estetica fondamentale di questo dipinto trova la sua ragione nel potere di enigmaticità racchiuso nelle varie figure che, succedendosi come in un fregio antico, si configurano come un'indagine figurativa e razionale intorno agli interrogativi di fondo che l'uomo si è da sempre posto su sé stesso: «Da dove veniamo?», «Chi siamo?» e «Dove andiamo?», per l'appunto. Sono diversi i modelli ai quali Gauguin si è rifatto per l'esecuzione di questo dipinto: la raggiera di riferimenti figurativi, anzi, è incredibilmente vasta, e trapassa i fregi del Partenone, le mummie peruviane precolombiane, i dipinti di Manet e di Puvis de Chavannes e i bassorilievi di Borobudur, giusto per citare le fonti più note. Iniziamo ora la lettura del dipinto, che va affrontata alla maniera orientale, ovvero procedendo da destra verso sinistra. «Da dove veniamo?»: la risposta a questo pregnante interrogativo ci viene fornita dal neonato in fasce all'estrema destra che, disteso sul manto erboso, si gode il suo primo giorno di vita, ancora sospeso nel mondo delle illusioni e dei furori giovanili, alludendo così alla gioventù che coglie la parte migliore dell'esistenza. Questo fanciullo, tuttavia, potrebbe anche richiamare il peccato originale: Gauguin è volutamente ambiguo sul significato delle sue figure, e l'opera può di fatto essere interpretata e fruita in vari modi secondo la personale sensibilità di ognuno («il mio sogno non si lascia catturare, non ha alcuna allegoria; è un poema musicale e fa a meno di qualsiasi libretto ... l’essenziale in un'opera d’arte è in quello che non è espresso» disse l'artista a tal proposito). «Al contrario di un’allegoria, in cui ogni elemento ha un suo significato simbolico e tutti insieme formano una storia di cui lo spettatore può comprendere il significato» commenta Patrizia «qui siamo di fronte a una visione complessa, fatta di sensazioni sovrapposte e intrecciate (di tempo, di spazio, di colore, di musica), più che di ragionamento. Il migliore modo per leggerla è dunque quello di avvicinarvisi senza alcuno schema interpretativo e lasciarsi catturare dalla sua magia evocativa».Il respiro filosofico del quadro, poi, viene ampliato dalla seconda domanda posta dal titolo: «Cosa siamo?». A questo punto, procedendo verso sinistra, interviene il meraviglioso palcoscenico della natura, dove la commedia umana, tra mito, realtà e sogno, si perpetua dalla notte dei tempi. A destra tre donne vegliano sul bambino e alimentano con l'osservatore un dialogo di soli sguardi: i loro atteggiamenti corporei sono meditativi e sensuali al tempo stesso (quella a destra è completamente nuda, mentre quella di sinistra, pur coprendosi i seni con il braccio, non esita a portarsi con voluttà la mano alla bocca). L'attenzione del fruitore del dipinto, tuttavia, viene polarizzata soprattutto dal giovinetto al centro che, senza curarsi di essere osservato, tende le braccia verso l'alto e raccoglie un frutto. Il ventaglio di interpretazioni di questa figura si rivela ampio e variato, siccome tale gesto potrebbe alludere al momento della procreazione - atto con il quale un uomo vede, in un certo senso, i propri «frutti» - ma anche alla vigoria della gioventù, età della vita umana nella quale si è notoriamente più lieti e spensierati. Certo, la forza gioiosa giovanile è sempre pacatamente velata da un sentimento di malinconia, dettato dall'incertezza del domani e dall'impossibilità di rispondere a quesiti esistenziali così pregnanti come quelli proposti dal quadro: si osservino, ad esempio, le due ragazze vestite di porpora, probabilmente intente a discutere sul perché della vita, oltre che su progetti di ieri e di domani. Alcuni critici, affascinati dal gesto di cogliere il frutto, ne hanno tuttavia avanzato anche un'interpretazione di stampo religioso, che si riallaccerebbe così alla nozione cristiana del peccato, ben esemplificata nell'infrazione biblica compiuta da Eva quando assaporò la mela dell'albero proibito. La tela, d'altronde, è aperta anche ai rimandi religiosi, tanto che sullo sfondo troviamo la statua blu della dea lunare Hina, colta con le braccia levate e già oggetto di raffigurazione pittorica in Gauguin in Hina te Fatou. Sembrerebbe quasi che Gauguin volesse suggerire che le peripezie umane, nonostante la loro tumultuosità, sono prive di sofferenze in quanto possono godere della benefica tutela delle divinità. In realtà non è così: le figure di Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, proprio in virtù del loro essere uomini, sono soggette alla ferrea legge che regola gli accadimenti umani e la loro ineluttabile e perenne dinamica. In questo quadro, insomma, le stagioni della vita si succedono incessantemente, tra angosce e speranze, sino a degenerare nella vecchiaia. «Dove andiamo?»: a questo ultimo, fondamentale interrogativo è dedicata la porzione sinistra della tela, dove troviamo rannicchiata una vecchia in posizione quasi fetale, con le braccia svigorite oppresse sul volto. Quest'anziana signora è investita dallo straziante assalto dei ricordi insorgenti, dei rimpianti e dei rimorsi: la sua giornata terrena sta per concludersi, ed è tremendamente spaventata dal destino ignoto che la attende, ovvero la morte. La fanciulla distesa al suo fianco prova compassione per il torpido e soffocante cumulo di ricordi che angoscia la vecchia, tanto che la guarda intensamente, impensierita, nonostante presenti il corpo rivolto verso la giovinezza gioiosa e effimera che si dipana alla sua sinistra. L'opera, malgrado i suoi pregnanti contenuti filosofici, è particolarmente interessante anche per la sua tecnica pittorica. Le varie figure si susseguono infatti secondo un andamento orizzontale, che ricorda i fregi greci, e sembrano quasi ritagliate e incollate sul secondo, prive come sono di profondità prospettica. L'esigenza di rappresentare la natura in modo realistico - si guardi il bambino a sinistra, accompagnato da due splendidi gattini - si dissolve in una tavolozza clamorosamente antinaturalistica, che vuole evocare più che descrivere: i blu, verdi, marroni scelti da Gauguin, infatti, sono altamente espressivi e si risolvono in eleganti arabeschi (ben visibili nello sfondo) non immuni da suggestioni musicali.
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### Titolo: Africano (Kandinskij). ### Introduzione: Improvvisazione VI (Africano) è un dipinto a olio su tela (107×99,5 cm) realizzato nel 1909 dal pittore Vasilij Kandinskij. È conservato alla Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco. ### Descrizione. «Espressioni, soprattutto inconsapevoli, per lo più improvvise di eventi mentali, e quindi impressioni della natura interiore. Chiamo questi quadri improvvisazioni». La definizione di Kandinskij, che si può leggere nello Spirituale nell'arte, è assai precisa, e tuttavia è possibile ritrovare, all'interno di quest'opera, elementi figurativi piuttosto evidenti. È per questa ragione, forse, che la pittrice Gabriele Münter - in questi anni compagna del pittore - diede al dipinto il sottotitolo di 'africano'. L'aggettivo si riferisce anche ai soggiorni compiuti dalla coppia tra il 1904 e il 1905 a Tunisi. L'esuberanza di colori in cui dominano il giallo e il rosso si può infatti accostare al dipinto Orientale, sempre del 1909.
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### Titolo: Giardino d'amore. ### Introduzione: Il giardino d'amore è un dipinto del pittore Pieter Paul Rubens, realizzato a olio su tela tra il 1632 ed il 1633. Viene custodito a Madrid, nel Museo del Prado. ### Descrizione. Rubens dipinse questo dipinto per celebrare la felicità derivata dal suo secondo matrimonio con Hélène Fourment, che caratterizzò la sua rinascita dopo il periodo di lutto conseguente alla morte della prima moglie.Il ritratto della giovane coniuge si può vedere nella donna all'estrema destra, accompagnata da un uomo (il cui volto è il ritratto dello stesso Rubens). La moglie del pittore sembra aver comunque fatto da modello anche per le altre figure femminili del dipinto. All'estrema sinistra vediamo una donna che, accompagnata dal suo innamorato, accenna un passo di danza mentre un amorino la abbraccia dalla gonna. Ci sono poi delle donne che conversano e oziano, al centro del giardino, per il quale l'artista si ispirò a quello della sua casa ad Anversa, visibile nel ritratto di Isabella Brant, la prima moglie del pittore, eseguito da Antoon van Dyck nel 1621. In alto a destra c'è una fontana con le sembianze della dea Giunone, protettrice del matrimonio, che sprizza acqua dai seni, accanto alla quale c'è un pavone, animale sacro alla dea. La movimentata ambientazione è del tutto fantastica, con le rovine di un misterioso, imponente e lussuoso palazzo sullo sfondo e gli amorini che, volando sulle figure ritratte, alludono alla gioia dell'amore coniugale. Oltre la balaustra è visibile il paesaggio, inventato, che si fa sempre più vaporoso verso l'orizzonte.
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### Titolo: Madonna Rucellai. ### Introduzione: La Madonna dei laudesi , o Madonna Rucellai, è una Madonna col Bambino in trono (quindi una 'Maestà') e sei angeli, dipinta da Duccio di Buoninsegna. È una tempera su tavola e misura 450x290cm. Proveniente dalla chiesa di Santa Maria Novella di Firenze, è conservata alla Galleria degli Uffizi dove è collocata in una sala scenografica con altre grandi maestà: la Maestà di Santa Trinita di Cimabue e la Maestà di Ognissanti di Giotto. ### Descrizione e stile. La tavola è la più grande che ci sia pervenuta riguardo al Duecento e venne dipinta dal pittore senese, allora giovane e in patria straniera (Firenze e Siena erano due repubbliche diverse). L'opera si ispira alla Maestà del Louvre di Cimabue, dipinta circa cinque anni prima, con la stessa disposizione del trono in tralice, la stessa inclinazione dei volti, i medesimi gesti della madre col figlio, la stessa impostazione della cornice. Il tema però è qui rappresentato con una nuova sensibilità, più 'gotica', carico di ancora maggiore dolcezza nei volti e nella dolente umanità che supera i rigidi schematismi bizantini, facendo eco all'importanza tributata nel Duecento ai culti mariani. La Madonna Rucellai di Duccio è più aristocratica e raffinata. I volti di tutti i personaggi, sebbene ancora enigmatici, sono più dolci e gentili, secondo un distacco dall'opera di Cimabue che non era ancora evidente nell'antica Madonna Gualino di Duccio (1280-1283), divenendo percettibile nella Madonna di Crevole (1283-1284) e che in questa opera del 1285 diventa più evidente: la Vergine sembra quasi abbozzare un sorriso. Ciò dà all'immagine un senso di maggiore aristocraticità, innestata sulla solida maestosità e l'umana rappresentazione di Cimabue. Con tutta probabilità Duccio ebbe come ispirazione anche gli oggetti quali smalti, miniature e avori provenienti dalla Francia, di sapore innovativamente gotico. Sono molti infatti gli elementi di stile gotico presenti nell'opera: mancano le lumeggiature dorate dell'agemina, sostituite da delicate modulazioni di colore e pieghettature spesso cadenti che danno sostanza alle figure. Inoltre Duccio vi immise un nervoso ritmo lineare, come sottolineato dal capriccioso orlo dorato della veste di Maria, che disegna una complessa linea arabescata che va dal petto fino ai piedi, in opposizione alle rigide e astratte pieghe a zig zag della pittura bizantina. La gamma cromatica è ricca e varia, come già andava conquistando la scuola senese, e conta colori che si esaltano a vicenda come il rosa smalto, il rosso vinato e il blu chiaro. Le aureole della Madonna e del Bambino sono decorate da raffinati motivi che creano un'aura di impalpabile trasparenza. I sei angeli che circondano la Madonna sono perfettamente simmetrici (forse dipinti tramite sagome cartonate, i cosiddetti 'patroni') e stanno irrealisticamente inginocchiati uno sopra l'altro ai lati del trono, senza una minima sensazione di piani in profondità, come in Cimabue. Del resto anche nel trono sono più curati i decori preziosi, con bifore e trifore gotiche e con il sontuoso drappo di seta sullo schienale. La cornice modanata ha un ruolo fondamentale nella composizione, ribadito dal recente restauro. Essa è in parte d'oro e in parte dipinta, con una fascia interrotta da clipei con busti di profeti biblici e santi domenicani, tra i quali il fondatore dei Laudesi san Pietro Martire. Queste figure, pur nelle dimensioni ridotte, presentano una notevole distinzione nelle singole fisionomie.
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### Titolo: Primo acquerello astratto. ### Introduzione: Primo acquerello astratto è un dipinto a matita, acquerello e inchiostro di china su carta (49,6×64,8 cm) datato 1910, ma realizzato nel 1913 da Vasilij Kandinskij. È conservato nel Centre Pompidou di Parigi. La critica fa iniziare l'Astrattismo da questo quadro. ### Descrizione. L'acquerello si presenta come uno schizzo informe ricongiungibile a uno scarabocchio infantile, con un impeto ed una libertà espressiva propri dei bambini che non provengono da un'antecedente esperienza visiva e concreta, ma dal bisogno istintivo di esprimersi graficamente. Fa parte della prima fase astrattista di Kandinskij e dunque si basa su contorni poco segnati, su un uso pastoso del colore, senza un disegno preparatorio, e si contraddistingue per l'impostazione gestuale della composizione. L'immagine è caratterizzata da una profusione di diversi grafismi e macchie colorate: alcune grosse velature espanse e trasparenti, situate in particolare nella parte alta del foglio, sembrano introdurre nella superficie bianca un senso di profondità fluttuante. La parte unificante è lo sfondo bianco della carta, inteso come il confine della forma colorata. L'artista rappresentò e concepì lo spazio come liquido, neutro, in cui le linee e i segni leggeri a matita e a penna fluttuano sulla superficie con un andamenti ritmicamente concitati e simboleggiano la sonorità interiore derivante dalla scomposizione delle forme naturali.Le forme e i segni che galleggiano sulla tela assomigliano a dei microrganismi biologici o a delle cellule viventi, infatti le amebe e le cellule compaiono spesso nei dipinti di Kandinskij. I colori, prevalentemente primari, divengono espressione dell'anima, e ogni tono assume un proprio effetto psichico. Nell'elaborazione di queste sue teorie ha un ruolo anche la dottrina teosofica, di cui Kandinskij era un conoscitore e alla quale si accostarono in seguito vari pittori astrattisti. Il campo dell'opera è privo di prospettiva, senza centro, né ordine apparente. Infatti il caos compositivo è soltanto apparente, poiché scaturisce dalla volontà di creare combinazioni tra colori caldi e freddi nella composizione cromatica, tra forme circolari e lineari. Per Kandinskij l'arte è paragonabile alla musica, perché non imita la natura, ma è astratta, è pura espressione dell'interiorità.
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### Titolo: Composizione VII. ### Introduzione: Composizione VII (Композиция VII) è il più grande e ambizioso quadro di Vasilij Kandinskij. Realizzato nel 1913, dipinto a olio su tela, è collocato alla Galleria Tret'jakov di Mosca in Russia. ### Descrizione. Kandinskij iniziò a lavorare al centro della parte sinistra della tela, facendo partire da questo nucleo colori contrastanti, forme e linee sezionate e alternando dense pennellate a leggere sfumature. In alcune zone delle linee brevi si accumulano a formare tratteggi ed in altre zone si dispongono parallelamente o si incrociano a formare piccole griglie. Tutti gli elementi della composizione sono distribuiti in modo da creare zone di diversa densità.
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### Titolo: Blu di cielo. ### Introduzione: Blu di cielo, noto in francese come Bleu de ciel (in italiano: Cielo blu), è un'opera a olio su tela di Vasilij Kandinskij realizzata nel 1940. È conservata presso il Centro nazionale d'arte e di cultura Georges Pompidou a Parigi. L'opera è segnata e datata col monogramma VK/40 e numerato con il numero di inventario del museo AM 1976-862. ### Descrizione. La sua opera tarda è segnata da uno schiarirsi della tavolozza e dall'introduzione di forme organiche che sostituiscono le rigide forme geometriche. Il dipinto, realizzato nell'anno dell'occupazione nazista della Francia, costituisce quasi un manifesto della pittura dell'ultima fase, a partire dalla scelta del colore, l'azzurro prediletto dall'artista. 'Esso è il colore del cielo', dice Kandinskij, 'e richiama l'uomo verso l'infinito'. Nel blu si librano piccole amebe colorate: si tratta di microrganismi tratti dal repertorio dell'embriologia, che hanno fatto la loro prima comparsa nelle tele del 1934.
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### Titolo: Il massacro di Scio. ### Introduzione: Il massacro di Scio è un dipinto a olio su tela (417x354 cm) del pittore francese Eugène Delacroix, realizzato nel 1824 e conservato al museo del Louvre di Parigi. ### Descrizione. Il massacro di Scio raffigura vividamente le atrocità perpetrate dai Turchi contro la popolazione civile dell'isola di Scio. La scena è priva di un eroe, ma anche di un vero e proprio asse centrale, tanto che il punto in cui generalmente la scena raggiungeva il momento di maggiore intensità qui è vuoto. In primo piano, con un ampio scarto di proporzioni rispetto allo sfondo, è collocato lo schieramento di prigionieri, tutti compatti e compressi dal turco a cavallo, l'unica persona della scena a mostrare una certa vitalità. Tutti gli altri, infatti, giacciono in uno stato di prostrazione e di aberrazione delle forze vitali, e attendono rassegnate la deportazione. Al centro un uomo trafitto al costato, agonizzante, sta esalando gli ultimi respiri; troviamo inoltre un'anziana greca pure seduta a fianco al cadavere di un'altra donna, alla quale è aggrappato il giovanissimo figlio che tenta invano di succhiare il suo seno. Una donna nuda, infine, è legata al cavallo del soldato turco, pronto ad assassinare la madre della rapita. Sullo sfondo, organizzato in una composizione evanescente e privo di un preciso punto di fuga, notiamo inoltre un cielo tenebroso e una pianura riarsa, che si estende sino a culminare in un orizzonte mediterraneo. Nel Massacro di Scio Delacroix sperimentò le novità pittoriche introdotte dall'amico e collega Théodore Géricault nel quadro La zattera della Medusa, dalla quale riprese l'impostazione piramidale e i temi. La luce è molto intensa, e inonda le figure che - pressate le une sulle altre - proiettano pochissime ombre, evitando che il colore si smorzi. Gli accordi cromatici di questo dipinto, infatti, sono molto vivi, così come i contrasti sono assai numerosi. Ai contrasti del colore si accostano i contrasti emotivi: Delacroix, infatti, concilia sapientemente i lati più macabri e inquieti del dipinto con quelli più teneri e sensuali, ben esemplificati nella lasciva immagine della donna nuda legata al cavallo. Notevole, infine, anche il contrasto tra il realismo dei particolari, accuratamente descritti dal pittore, e l'irrealismo deliberatamente ottenuto accostando staticità e movimento.
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### Titolo: La morte di Sardanapalo. ### Introduzione: La morte di Sardanapalo (La Mort de Sardanapale) è un dipinto a olio su tela (395×425 cm) del pittore francese Eugène Delacroix, realizzato nel 1827 e conservato nel museo del Louvre a Parigi. ### Descrizione. Il dipinto ripropone la leggenda del potente re assiro Sardanapalo, la quale adombra la figura storica realmente esistita del re Assurbanipal, vissuto tra il 668 e il 626 a.C. I Greci, infatti, favoleggiarono che Sardanapalo, una volta resosi conto della sconfitta imminente, preferì morire insieme a tutti i suoi averi piuttosto che consegnarsi ai rivoltosi che stavano assediando il suo palazzo. Delacroix colse nella storia del suicidio di Sardanapalo - già trattata da lord Byron in un noto dramma - un ottimo modo per riunire in un unico quadro tutte le tematiche care al Romanticismo, come il pathos, l'orrore, l'esotismo, l'erotismo, il «sublime» contrapposto al «bello». L'opera, di quasi venti metri quadrati, è animata da un ardito dinamismo: Sardanapalo è riverso sul suo letto, che osserva inerme e impassibile la terribile carneficina che gli si apre davanti. Le donne dell'harem sono disperate e stanno per essere uccise senza pietà da alcuni uomini al servizio del re, «quasi fosse la rappresentazione di un incubo sadico in cui il possesso coincide con la distruzione dell'oggetto» (Corgnati). Una concubina, accasciata sul letto dove siede Sardanapalo, è già morta. Neanche il cavallo prediletto dal Re riesce a sfuggire alla morte, e presenta uno sguardo inquieto e pauroso, che stride molto con quello dello schiavo pronto a trafiggerlo con un coltello. Neanche la distruzione dei suoi beni preziosi (ai piedi della catasta/letto vi sono le teste in oro di un elefante) sembra commuovere Sardanapalo, che attende con risolutezza l'arrivo della serva con il veleno letale che lo ucciderà. L'unica cosa alla quale sta pensando è il rogo che, partendo dalla catasta ai piedi del letto, arderà senza pietà lui e tutta la servitù.Dal punto di vista compositivo la scena si articola su una diagonale che va dall'angolo inferiore destro all'angolo superiore sinistro, culminando così nella figura di Sardanapalo: le pennellate sono tumultuose e accesissime, e la tavolozza è accordata su tonalità rosse, nere e ocra, che contribuiscono a conferire grande luminosità all'insieme.
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### Titolo: Cristo in casa di Marta e Maria (Velázquez). ### Introduzione: Cristo in casa di Marta e Maria è un dipinto a olio su tela (60x103,5 cm) realizzato nel 1620 circa dal pittore Diego Velázquez. È conservato nella National Gallery di Londra. ### Descrizione. Questo dipinto fa parte del periodo sivigliano (è datato 1620) e, come la maggior parte della produzione di questo periodo, è un bodegón, questa volta però con soggetti biblici (cfr. Luca 10). In primo piano, una giovane (Marta) è intenta a pestare aglio nel mortaio (gli ingredienti sul tavolo, rappresentati con l'estrema accuratezza tipica di Velázquez, fanno pensare che compongano la salsa aioli, una specie di maionese che si accompagna al pesce); alle sue spalle, una donna anziana indica una scena visibile dalla parte opposta del dipinto, vista attraverso una finestra oppure attraverso uno specchio. In questa scena, Gesù, seduto in una poltrona e abbigliato con una veste blu, è in atteggiamento didattico verso un'altra ragazza (Maria); con loro è presente la stessa donna anziana, che sembra voler interrompere il Maestro. Da sempre c'è un dibattito sull'interpretazione di questo quadro: se la donna in cucina fosse effettivamente Marta, tutto il dipinto verrebbe a trovarsi ambientato al tempo di Gesù, ma se invece – come sostengono alcuni – ella fosse invece una domestica spagnola, la scena rappresentata a destra potrebbe essere semplicemente un dipinto appeso. In ogni caso si nota già qui il gioco di rimandi, di “dipinto nel dipinto”, che verrà ad essere più evidente nell'opera Las Meninas. Di questo quadro esiste anche un'altra versione.
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### Titolo: Lusso, calma e voluttà. ### Introduzione: Lusso, calma e voluttà (Luxe, calme et volupté) è un dipinto a olio su tela (98x118 cm) realizzato nel 1904 da Henri Matisse. Il pittore ne dipinse due versioni (la seconda è del 1907). L'opera è conservata al Musée d'Orsay di Parigi ed è firmata 'HENRI MATISSE'. Il titolo deriva da un verso della poesia Invito al viaggio di Charles Baudelaire. ### Descrizione. Il soggetto della composizione associa il tema delle 'bagnanti' a quello della 'colazione sull'erba', ispirandosi al quadro di Manet e alle Bagnanti di Paul Cézanne.Questo rappresenta un'utopistica visione dell'eden in cui uomo e natura vivono felicemente.
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### Titolo: Nudo sdraiato. ### Introduzione: Nudo sdraiato (Nu couché in lingua francese) è un dipinto a olio su tela di 60x92 cm realizzato tra il 1917 ed il 1918 dal pittore italiano Amedeo Modigliani. ### Descrizione. Questo dipinto - detto anche Nudo sdraiato a braccia aperte o Nudo rosso - è senz'ombra di dubbio uno dei più famosi del pittore livornese, anzi per molti ne è addirittura il simbolo stesso; se ci chiediamo il motivo di tanto successo (almeno nella nostra epoca) ci riesce difficile rispondere, almeno ad un primo esame. La donna raffigurata, con occhi e capelli neri, giace languidamente sui cuscini con le braccia sollevate e la peluria delle ascelle e del pube in vista.La modella è Jeanne Hébuterne, compagna dell'artista: essa si stende lungo tutto il dipinto, con braccia e gambe tagliate dal bordo del quadro. Il corpo domina lo spazio, anzi lo riempie, tagliato sopra le ginocchia, al polso, al gomito, come se la tela non potesse contenerlo. Se riflettiamo, il motivo di questo taglio particolare ci appare subito evidente: nella composizione non ci sono rette e le parti del corpo e del mobile di fondo che avrebbero richiesto rette, sono, appunto, tagliate, per non disturbare la stilizzazione formale del quadro. Il divano è rosso, il cuscino azzurro, nulla è rigido. Il nudo è per Modigliani una forma particolare di ritratto, in cui il pittore ricrea sulla tela con la stessa libertà con cui ricrea il volto. Così, anche qui i contorni sono allungati, tesi in una forma lineare che sublima la realtà. E la linea, che è il fondamento dell'arte di Modigliani, in questo particolare nudo segna il confine tra caos e creato, stabilisce contorni tra luce e ombra, scandisce e costruisce spazi e volumi. È la linea e il suo diverso spessore che restituisce piani e sfondi. I colori sono pochi: le tonalità presenti sono terre rosse e ocra, azzurri e neri, poco bianco. L'ambiente è appena accennato, quasi un abbozzo, perché ancor più risalti il corpo, morbido, acceso. È nell'uso della linea che Modigliani insegue e conquista un faticoso armistizio fra classicità e modernità, amor sacro e profano, carne e idea. Una linea, ricercata fin dagli anni giovanili, che è la cifra inconfondibile dell'artista. Alla presentazione della mostra di Modigliani alla Biennale del 1930, Lionello Venturi scrisse: 'Mi ha detto il pittore Mauroner, che condivise con Modigliani lo studio a Venezia nel 1905, che allora il suo amico si tormentava per raggiungere la «linea»: non che per linea intendesse alcuna fermezza di contorno, anzi egli dava a quel termine un puro valore spirituale, di sintesi, di semplificazione, di liberazione dal contingente, di passione per l'essenziale.'. Come per altri nudi dello stesso autore è possibile un riferimento classico: in questo caso è talmente scoperto da risultare quasi banale: la Maja desnuda dipinta da Goya più di un secolo prima è probabile modello anche di altri nudi di Modigliani. Nel confronto con i tanti altri nudi della sua produzione, qui Modigliani riesce però a imprimere un tocco espressivo del tutto singolare, per l'intensità dello sguardo e l'uso sapiente dei pochi colori: il risultato è simbolo. Simbolo universale, come per la prima Maja, della sensualità femminile, moderna - in questo caso - ma, come mai, fuori del tempo e dello spazio, carne e sangue, anima e spirito insieme della donna, quasi scultura, nonostante la carnalità: anche se mostrato in modo provocatorio - i peli del pube che tanti grattacapi crearono all'artista - esibisce una sensualità contenuta, malinconica, quasi astratta, un secondo tempio della bellezza, in cui l'idea di bellezza è figlia della poesia e non il contrario. Ecco spiegato il fascino inesausto del dipinto: rappresentazione poetica dell'idea di bellezza, al contrario di altri contemporanei che dall'ideale classico fanno discendere la rappresentazione artistica. Anche la citazione 'classica' assume qui un diverso e più potentemente creativo significato: 'Tutto ciò che Modigliani ha di «italiano» è l'inquietudine interna (la stessa dei futuristi) che nasce dal vuoto dell'esperienza romantica, che la cultura italiana non ha o ha incompiutamente vissuto. Perciò non accetta l'idea di una pittura analitica, la pittura dev'essere poesia. È un limite, ma grazie a questo limite Modigliani non crede al richiamo dell'ordine, alla ragione, all'equilibrio classico. Alla «perfetta proporzione» di Gris, alla pittura «senza errori» di Braque, a Picasso che si mette a rifare Ingres, al Cubismo «cartesiano», infine, Modigliani oppone un'irriquietezza, una tensione interiore, che lo mettono dalla parte dei grandi «obiettori», Delaunay, e Duchamp'. La sua ispirazione, come per tanti artisti contemporanei, affonda le sue radici nell'arte europea ed africana; ma il suo scopo è esprimere la realtà in modo moderno e non, al contrario, sperimentare una moderna concezione dell'arte, come invece facevano gli altri artisti. In questo il suo limite e, insieme, la sua grandezza.
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### Titolo: Saffo e Faone (David). ### Introduzione: Saffo e Faone è un dipinto a olio su tela (225,3x262 cm) realizzato nel 1809 dal Jacques-Louis David. È conservato nel Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo. ### Descrizione. Saffo viene mostrata seduta su una sedia ai piedi di un letto in una stanza decorata in stile classico con colonne, pavimento in marmo e vista su un paesaggio rurale esterno (con gli uccelli di Venere, le colombe, seduto sulla soglia di casa). Faone è dietro la sedia, con in mano una lancia e un arco. Sul suo ginocchio c'è una pergamena con alcuni dei suoi versi in lode di Faone e Cupido si inginocchia davanti a lei, sollevando la sua lira, che cerca di suonare con la mano destra mentre appoggia la testa all'indietro per lasciare che Faone culli la testa nel suo braccio sinistro.
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### Titolo: Incoronazione della Vergine (Velázquez). ### Introduzione: L'incoronazione della Vergine è un dipinto a olio su tela (176x134 cm) realizzato tra il 1641 ed il 1644 circa dal pittore Diego Velázquez. È conservato nel Museo del Prado. Probabilmente il dipinto venne commissionato per l'oratorio di corte di Elisabetta di Francia, regina consorte di Filippo IV di Spagna al Real Alcázar di Madrid. ### Descrizione. Il dipinto di Velázquez è uno dei pochi lavori a tema religioso dell'artista (noto soprattutto come ritrattista). La composizione dell'opera è orientata sulla base di una figura di un triangolo invertito, dando così il senso di grande equilibrio e linee armoniche. La figura principale della Vergine Maria, in atteggiamento di modestia, riverenza ed emozione, con gli occhi abbassati e le labbra incurvate, è posta al centro del dipinto.
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### Titolo: Cappellone degli Spagnoli. ### Introduzione: Il cappellone degli Spagnoli è l'antica sala capitolare della chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Famoso per il ricco ciclo di affreschi di Andrea di Bonaiuto (1365-1367), assunse il nome attuale nel 1566, quando fu ceduta alla colonia di spagnoli che era solita radunarsi qui, sin dall'arrivo in città al seguito di Eleonora di Toledo, andata in sposa a Cosimo I dei Medici nel 1539. Vi si accede dal Chiostro Verde, ed oggi fa parte del Museo di Santa Maria Novella. ### Descrizione. Vi si accede attraverso un portale con architrave scolpita, opera forse del Talenti stesso, con il Martirio e l'Ascesa di san Pietro Martire. L'illuminazione è assicurata da un'elegante bifora verso il chiostro, e da un oculo sull'altare. Si tratta di un'aula un'unica grande campata di una volta a crociera a sesto acuto con costoloni bicromi, sorretta agli angoli da quattro pilastri ottagonali. A forma rettangolare, verso ovest ha una scarsella dove è contenuto l'altare ed un crocifisso marmoreo di Domenico Pieratti dei primi anni del Seicento, donato nel 1731 da Gian Gastone de' Medici. Sull'altare si trovava un tempo il polittico di Bernardo Daddi, ora esposto nel refettorio. Le decorazioni di questa zona sono del 1592 e furono eseguiti da Alessandro Allori e Bernardino Poccetti. Al primo spettano, col ricorso ad aiuti di bottega, la pala sulla parete di fondo, con San Jacopo condotto al martirio che guarisce un paralitico, e i sei santi spagnoli af affresco sulle pareti laterali, sormontati da scene a monocromo della loro vita. Da sinistra vedono San Vincenzo Ferrer e Sant'Ermenegildo, al centro San Lorenzo e San Domenico, e a destra San Vincenzo Martire e Sant'Isidoro, questi ultimi con al centro una rappresentazione della Battaglia di Re Ramiro, che fece sconfiggere agli spagnoli il califfo Abd al-Rahman III, grazie all'intercessione di san Jacopo. Al Poccetti spetta la volta, con Scene della vita di san Jacopo, lo stemma di Spagna e le allegorie della Preghiera, della Religione e dei Quattro continenti. A questa fase risalgono anche le lastre tombali sul pavimento, tutte riferibili a nobiluomini spagnoli vissuti a Firenze a parte quella più antica davanti ai gradini dell'altare, del benefattore Mico Guidalotti. ### Stile. Gli affreschi di Andrea di Bonaiuto sono emblematici del periodo della seconda metà del Trecento a Firenze, quando, per ragioni non ancora pienamente spiegate, l'arte mostrava segni di schematismo figurativo, di irrazionalità compositiva, di calo inventivo, prima della magnificenza tardo gotica, seguita con breve scarto dal Rinascimento. Andrea accantonò le conquiste formali di Giotto e della sua scuola, senza usare la prospettiva intuitiva e la disposizione realistica delle figure nello spazio, senza la vivida spiritualità di altri autori quali Giottino. Creò scene corali, affollate da un'umanità diversificata, con una ricca varietà di tipi, pose e atteggiamenti. Al pari però di altri artisti attivissimi all'epoca, quali Nardo di Cione e l'Orcagna, le rappresentazioni sono piuttosto statiche (si guardi alla rigida geometria del Trionfo di san Tommaso d'Aquino), l'individuazione dei personaggi è epidermica, la narrazione è più convenzionale, il gusto in generale è più arcaizzante. Un po' più di vivacità venne recuperata negli ultimi decenni del secolo da Agnolo Gaddi e Spinello Aretino, ma l'unico a Firenze in grado di sviluppare coerentemente l'eredità giottesca in quel periodo, a parte Giottino, fu Giovanni da Milano.
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### Titolo: Sogno del cavaliere. ### Introduzione: Il Sogno del cavaliere è un dipinto a olio su tavola (17x17 cm) di Raffaello Sanzio, databile al 1503-1504 circa e conservato nella National Gallery di Londra. Probabilmente faceva parte di un dittico con le Tre Grazie, oggi al Museo Condé di Chantilly. ### Descrizione e stile. La composizione, apparentemente semplice, è il risultato di una ricerca sottile di equilibrio delle masse in primo piano e dei piani che digradano nel fondo, su un tema gradito agli ambienti intellettuali fiorentini, impregnati di neoplatonismo: quello dell'esortazione al bene, alla scelta dei piaceri dell'anima piuttosto che di quelli del corpo. L'interpretazione del quadro è controversa. Si è parlato un Ercole al bivio o di un Ercole tra le Esperidi o il Sonno di Scipione l'Africano. Secondo André Chastel l'iconografia del dipinto trae le sue fonti nel poema di Silio Italico Punica, ritrovato dall'umanista Poggio Bracciolini nel 1417, e dal ciceroniano Somnium Scipionis nel commento di Macrobio. Scipione infatti, sostituito a Ercole nell'apologo di Prodico, è al centro di una storia moralizzata, davanti alla scelta tra Pallade e Venere, simboli rispettivamente di conoscenza superiore e di piacere terreno. Le due figure femminili sono infatti proiezioni del sogno del cavaliere al centro, addormentato sullo scudo: la Virtù (Virtus), davanti a un passo montano impervio, e il Piacere (Voluptas), con gli abiti più sciolti. Esse gli offrono gli attributi ideali del suo compiti: la spada (cioè l'arte militare, nonché la vita attiva), il libro (la conoscenza, lo studio, quindi la vita contemplativa) e il fiore (l'amore). Le due figure allegoriche non sembrano però essere contrapposte, con una bilanciata simmetria tra le due figure, evidenziata dall'asse dell'alberello al centro: potrebbe essere un riferimento alle teorie neoplatoniche, che implicano l'armonizzazione delle due inclinazioni. Le Grazie rappresenterebbero la conclusione della scelta del cavaliere, con i pomi delle Esperidi offerti come ricompensa. Il fascino dell'opera risiede nell'apparente spontaneità e semplicità della composizione, in realtà giocata su un delicato equilibrio di linee e piani, col fondale che emerge, le colline che hanno la stessa inclinazione del corpo del cavaliere dormiente, la leggiadra apparizione delle due personificazioni.
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### Titolo: La barca di Dante. ### Introduzione: La barca di Dante (La Barque de Dante) è un dipinto ad olio su tela (189x246 cm) del pittore francese Eugène Delacroix, realizzato nel 1822 e conservato al Musée du Louvre di Parigi. Il soggetto del dipinto, esposto al Salon del 1822, è esplicitamente desunto dall'Inferno dantesco: ad esser raffigurati, infatti, sono Dante e Virgilio traghettati dal demonio Flegias al di là dello Stige, fino all'infuocata città di Dite. ### Descrizione. Il soggetto del dipinto è tratto dall'ottavo canto dell'Inferno dantesco. In primo piano sono ritratti Dante, che indossa un cappuccio rosso e un abito verde e bianco, e il maestro Virgilio mentre attraversano il largo fossato del fiume Stige su un'imbarcazione pilotata da Flegias, il custode del quinto cerchio. Ebbene, mentre il demone nocchiero traghetta Virgilio e il suo discepolo al di là delle acque melmose, dove si ergono le mura della città di Dite, la navicella viene attaccata dai dannati della palude stigia, dove iracondi e accidiosi scontano la loro pena eterna. Dante, preso da un sentimento di sgomento e raccapriccio, alla vista degli spiriti leva il braccio in alto come per allontanarsene. Virgilio, avvolto in un mantello marrone e con la testa cinta da una corona d'alloro, riesce invece a dominare le forze sotterranee e, mosso a pietà, cerca di infondere coraggio nel discepolo tenendogli la mano; Flegias, visto di tergo, è ammantato solo in un drappo azzurro. Alla stagnante immobilità dello Stige si oppone la furia imponente degli iracondi, collocati al di sotto dei due pellegrini e del demonio. I dannati, immersi nell'acqua fangosa, si dimenano contro loro stessi, mordendosi a vicenda, preda della loro stessa rabbia; tra le fangose genti (Inf VIII 59) si scorge il fiorentino Filippo Argenti, che furibondo tenta di rovesciare la barca. Dall'ambientazione buia e tenebrosa, infine, emergono in fondo le mura di ferro incandescenti che cingono la città di Dite, circondata dalla palude. Dal punto di vista stilistico, tra i punti di riferimento più evidenti appaiono Michelangelo, per la trattazione chiaroscurale dei corpi dei dannati, e La zattera della Medusa di Théodore Géricault, dal quale riprende lo stile fortemente emotivo e la costruzione piramidale. Il perimetro di questa piramide, in particolare, è definito dalle masse imponenti dei passeggeri della barca, con la diagonale principale della tela impostata lungo il braccio alzato di Dante. I corpi dei dannati, invece, disegnano forme concave che, amplificando e riproponendo il moto ondoso della palude, enfatizzano l'instabilità dell'imbarcazione.
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### Titolo: Marguerite Gachet nel giardino. ### Introduzione: Marguerite Gachet nel giardino è un dipinto a olio su tela (46x55 cm) realizzato nel 1890 dal pittore Vincent van Gogh. È conservato nel Musée d'Orsay di Parigi. ### Descrizione. L'opera mostra Marguerite, figlia del dottor Paul-Ferdinand Gachet, amico del pittore. La ragazza, all'epoca ventunenne, si aggira in un giardino fiorito, durante una soleggiata giornata di giugno. Il dipinto ricorda i colori di Claude Monet e Pierre-Auguste Renoir.
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### Titolo: Madonna del Belvedere. ### Introduzione: La Madonna del Belvedere (o Madonna del Prato) è un dipinto olio su tavola (113x88 cm) di Raffaello Sanzio, datato 1506 e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. La data M.D.VI. si trova sull'orlo dell'abito della Vergine. ### Descrizione e stile. Immersi in un ampio paesaggio lacustre, dall'orizzonte particolarmente alto, si trovano la Madonna seduta, che regge tra le gambe Gesù Bambino, il quale sembra muovere i primi passi incerti della fanciullezza, e san Giovannino che, inginocchiato a sinistra, offre la croce astile, suo tipico attributo, al gioco dell'altro fanciullo. Nel gesto di Gesù che afferra la croce c'è un richiamo al destino del suo martirio. La composizione, sciolta e di forma piramidale, con i protagonisti legati dalla concatenazione di sguardi e gesti, deriva con evidenza da modelli leonardeschi, come la Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino, ma se ne distacca sostituendo, al senso di mistero e all'inquietante carica di allusioni e suggestioni, un sentimento di calma e spontanea familiarità. Al posto dei 'moti dell'animo' reconditi, Raffaello mise in atto una rappresentazione dell'affettuosità, dove è ormai sfumata anche la tradizionale malinconia della Vergine, che premonisce il destino tragico del figlio. Maria ha una posa contrapposta, con la gamba destra distesa lungo una diagonale, che trascina con sé il manto azzurro bordato d'oro; alla massa azzurra si contrappone quella rossa della veste. Il rosso rappresentava la Passione di Cristo e il blu la Chiesa, per cui nella Madonna vi era sottintesa l'unione della Madre Chiesa con il sacrificio di suo Figlio. Il suo busto è quindi ruotato verso destra, ma la testa e lo sguardo si dirigono invece in basso a sinistra, verso i fanciulli. Il sole è sostituito dal volto della Vergine, che irradia il paesaggio circostante. È presente una netta linea di contorno tra i personaggi e il paesaggio che, a differenza della pittura leonardesca, viene posto in secondo piano. Tra le varie specie botaniche raffigurate con cura, un altro stilema derivato da Leonardo, spicca a destra un papavero rosso: il colore, anche in questo caso, è un riferimento alla Passione, morte e resurrezione di Cristo.
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### Titolo: L'esecuzione dell'imperatore Massimiliano. ### Introduzione: L'esecuzione dell'imperatore Massimiliano (L'Exécution de Maximilien) è il nome assegnato a quattro dipinti del pittore francese Édouard Manet, realizzati nel biennio 1867-1868 e conservati in vari musei. ### Descrizione. La prima redazione del dipinto, quella esposta a Boston, fu realizzata immediatamente dopo che Manet seppe dell'inaspettata e tragica notizia. Il pittore, colto da improvviso turbamento e sdegno, realizzò dunque un dipinto di grande formato, nella prospettiva di completarlo. In questa versione cogliamo potenti rimandi alla pittura di Goya, sollecitati anche dal viaggio in Spagna compiuto dal Manet nel 1865: il rimando è ovviamente a Il 3 maggio 1808, opera considerata già allora paradigmatica per il tema delle fucilazioni. Dal Goya Manet prende ispirazione per la camicia bianca del protagonista, per l'inquadratura laterale e per la schiacciante urgenza del plotone d'esecuzione, che sembra vicinissimo all'osservatore. Le analogie tra questa prima versione del dipinto e certi episodi goyeschi ha fatto affermare al critico d'arte Fred Licht che «il primo quadro [...] è anche il più potentemente espressivo, il più goyesco che Manet abbia mai realizzato».Dopo aver vinto i sussulti d'indignazione, Manet si immerse in una profonda meditazione di carattere storico ed etico e, anche grazie all'arrivo di numerosi altri resoconti giornalistici, decise di realizzare una seconda e una terza versione dell'episodio, oggi custodite rispettivamente alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen e alla National Gallery di Londra. In queste nuove versioni, poi rielaborate nella formulazione finale dell'ultima versione, le figure effigiate sono più piccole e pertanto vi è una maggiore distanza tra l'osservatore e il soggetto; analogamente, le forsennate variazioni chiaroscurali della prima versione, e la febbrile agitazione che si veniva a generare, qui lasciano il posto a una stesura piatta, realizzata giustapponendo senza gerarchia le zone di diverso colore, cosicché si viene a creare una sensazione di inquietante tranquillità, accentuata dalla freddezza tonale e dallo scorcio spaziale.Al centro della composizione è schierato il drappello del plotone di esecuzione intento a sparare: Manet li veste con uniformi non messicane, ma francesi, proprio per ribadire la terribile responsabilità che Napoleone III ha rivestito nella vicenda. Uno dei soldati a destra, che l autore ha deciso di far somigliare all Imperatore francese, sta giocherellando con la sicura del fucile inceppato, tutt'altro che sconvolto dallo sconcertante evento, mentre nell'angolo opposto è sistemato l'imperatore Massimiliano con un sombrero - ultima vestigia dell'Impero perduto - affiancato da due generali messicani, calmi e inespressivi, che furono giustiziati insieme a lui. Se il dipinto di Goya è pervaso da una angoscia tragica e soffocante, quello di Manet presenta la pur terribile vicenda dell'esecuzione di Massimiliano come un fatto ordinario: questa sensazione viene accentuata soprattutto nell'ultima versione, quella di Mannheim, dove dietro un muretto si scorgono paesaggi verdeggianti inondati dal sole e alcuni ragazzini che, incuriositi, decidono di assistere all'evento.
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### Titolo: San Sebastiano (Mantegna Vienna). ### Introduzione: San Sebastiano è un dipinto a tempera su tavola (68 × 30 cm) di Andrea Mantegna (opera firmata), databile al 1456-1457 circa e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. ### Descrizione e stile. San Sebastiano è rappresentato legato a una colonna di un monumento romano in rovina, poggiante su una piattaforma con pavimento a scacchiera, oltre la quale si apre un lontano paesaggio di sfondo. Il santo è ritratto nudo con il solo perizoma, secondo la consuetudine del secondo Quattrocento che offriva agli artisti l'occasione di dare una talentuoso saggio di conoscenza anatomica. Il santo è trafitto dalle frecce del martirio, che sono conficcate nel corpo in profondità. Il fisico del giovane è asciutto e somigliante ad una statua greca. Un tipico confronto è con l'analogo San Sebastiano di Parigi, più grande e probabilmente successivo (di alcuni anni o anche, se legato al matrimonio di Chiara Gonzaga come si crede, databile al 1481), con un'impostazione generale simile, ma alcune differenze nell'atteggiamento del santo (più contorto nella tavola viennese) e nell'uso del colore (più morbido e sfumato nella tavola parigina). Sul pilastro a destra del santo corre una scritta in greco (TO.EPΓON.TOY.ANΔPEΟY, 'Opera di Andrea') che attribuisce la paternità dell'opera al Mantegna. Nella città sullo sfondo è forse riconoscibile Verona, città alla quale rimanda anche la curiosa presenza di una nube a forma di cavaliere in alto a sinistra, legata alla leggenda di re Teodorico, descritta sui rilievi della basilica di San Zeno a Verona. L'estraneità di Teodorico con la storia di san Sebastiano ha fatto pensare che si potesse anche trattare di un accenno a un cavaliere dell'Apocalisse, come simbolo della peste contro cui san Sebastiano veniva implorato. La scena è corredata da vari frammenti di sculture e architetture in rovina, ben compatibili con la cultura epigrafica padovana, con una somiglianza tra alcuni dettagli architettonici con quelli della Circoncisione del Trittico degli Uffizi, in particolare il pilastro e la sua decorazione a candelabre.
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### Titolo: Ingresso dei crociati a Costantinopoli. ### Introduzione: Ingresso dei crociati a Costantinopoli è un dipinto ad olio su tela eseguito da Eugène Delacroix nel 1840: misura cm 410 x 498. Fu commissionato da Luigi Filippo nel 1838 e completato nel 1840. Si trova a Parigi, nel Musée du Louvre. ### Descrizione. Il dipinto di Delacroix raffigura un episodio brutale della spedizione armata conosciuta come Quarta Crociata (12 aprile 1204), in cui un esercito crociato abbandonò il piano di invadere l'Egitto musulmano e Gerusalemme, e saccheggiò invece la città cristiana (ortodossa orientale) di Costantinopoli, la capitale dell'Impero bizantino. Il dipinto raffigura Baldovino I di Costantinopoli alla testa di un corteo per le vie della città in seguito all'assalto; da ogni parte ci sono gli abitanti della città che implorano pietà o sono stati assassinati.Il dipinto è utilizzato sulla copertina dell'album 'The IVth Crusade' della band death metal britannica Bolt Thrower.
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### Titolo: Scuola di Atene. ### Introduzione: La Scuola di Atene è un affresco (770×500 cm circa) di Raffaello Sanzio, databile al 1509-1511 ed è situato nella Stanza della Segnatura, una delle quattro 'Stanze Vaticane', poste all'interno dei Palazzi Apostolici: rappresenta una delle opere pittoriche più rilevanti dello Stato della Città del Vaticano, visitabile all'interno del percorso dei Musei Vaticani. È l'opera più famosa in assoluto tra quelle del pittore urbinate e la più importante dei Musei Vaticani dopo la Volta della Cappella Sistina e il Giudizio Universale di Michelangelo. ### Descrizione e stile. La Scuola di Atene è un affresco che celebra la ricerca razionale, a differenza della Disputa che esalta la verità rivelata. L'opera rappresenta una scena immaginaria all'interno di un edificio classico, perfettamente rappresentato in prospettiva e incorniciato da un arco dipinto. Le figure dei più celebri filosofi e matematici dell'antichità sono disposte su due piani, separati da una larga scalinata che attraversa l'intera scena. La coppia centrale di figure che conversano è identificata in Platone e Aristotele, attorno ai quali si trovano numerosi altri pensatori. In primo piano sulla sinistra è presente un gruppo autonomo di filosofi interessati alla conoscenza della natura e dei fenomeni celesti. Un altro gruppo, di difficile identificazione, è disposto in modo simmetrico al primo e contiene una figura che potrebbe essere Euclide o Archimede. Complessivamente, la Scuola di Atene rappresenta un'immagine iconica della ricerca filosofica e scientifica dell'antichità, con tutte le sue sfaccettature e i suoi rappresentanti più importanti, immersi in un ambiente classico e perfettamente reso in prospettiva.
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### Titolo: La persistenza della memoria. ### Introduzione: La persistenza della memoria (in catalano La persistència de la memòria) è un dipinto a olio su tela (24×33 cm) del pittore surrealista Salvador Dalí, realizzato nel 1931 e conservato al Museum of Modern Art di New York. Opera surrealista per antonomasia, La persistenza della memoria raffigura una landa deserta dominata dalla presenza di alcuni orologi molli, dalla consistenza quasi fluida, simboli dell'elasticità del tempo. ### Descrizione. La persistenza della memoria raffigura un paesaggio costiero della Costa Brava, in Catalogna, nei pressi di Port Lligat, dominato da un cielo con delle sfumature gialle e celesti. La scena, disabitata e scevra di ogni vegetazione, è popolata da diversi oggetti: un parallelepipedo color terra, un ulivo senza foglie (forse senza vita) che sorge su quest'ultimo, un occhio dalle lunghe ciglia addormentato e un plinto blu sullo sfondo, che fa pendant con il mare retrostante.L'attenzione dell'osservatore, tuttavia, è catturata dai tre orologi molli, quasi liquefatti, che di fatto sono i protagonisti della scena. Squagliandosi, questi assumono la foggia dei loro sostegni: il primo ha una mosca su di esso e scivola oltre il bordo del volume squadrato collocato in primo piano, il secondo è sospeso sull'unico ramo dell'albero secco appoggiato sul parallelepipedo, e il terzo è avvolto a spirale sulla timida figura embrionale colante sul suolo. Un quarto orologio, l'unico ad essere rimasto allo stato solido, è collocato sempre sul parallelepipedo ed è ricoperto di formiche nere brulicanti; l'artista catalano ha da sempre nutrito una fobia verso questi insetti, sin da quando ancora bambino li vide divorare un coleottero.
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### Titolo: Incendio di Borgo. ### Introduzione: L'Incendio di Borgo è un affresco (circa 670x500 cm) di Raffaello e aiuti, databile al 1514 e situato nella Stanza dell'Incendio di Borgo, una delle Stanze Vaticane. ### Descrizione e stile. Nell'847 divampò nel quartiere antistante l'antica basilica di San Pietro (il 'Borgo') un terribile incendio. Leone IV, impartendo la benedizione solenne dalla Loggia delle Benedizioni, fece spegnere miracolosamente il fuoco, il che permise la salvezza della popolazione e della basilica. La storia è calata in un ambiente classico, popolato da figure eroiche che risentono dell'influenza di Michelangelo, con venature letterarie, che alludono all'incendio di Troia di virgiliana memoria, e politiche, che alludono al ruolo pacificatore del papa tra il divampare dei focolai di guerra tra le potenze cristiane. La rievocazione dell'Eneide inoltre era un pretesto per celebrare la storia di Roma nella sua dimensione più eroica. Due gruppi di architetture fanno da quinte laterali, estremamente dinamiche, mentre al centro uno squarcio in lontananza rivela la figura del pontefice, di immota serenità dovuta alla consapevolezza della sua infallibilità. La parte sinistra, con un tempio in rovina che ricorda il colonnato corinzio del tempio dei Dioscuri, mostra attraverso un arco un edificio in fiamme col tetto ormai scoperchiato. Un giovane ignudo si cala dalla parete con la tensione muscolare dello sforzo ben evidente, mentre una donna porge a un uomo un bambino in fasce; più avanti, una scena che evoca l'episodio di Enea che avanza trascinando sulle spalle il padre Anchise e il figlio Ascanio a lato . Dietro di essi, l'anziana nutrice del condottiero troiano, Caieta, ricorda vagamente la Sibilla Libica di Michelangelo nella volta della Cappella Sistina. A destra, un gruppo di donne, si affanna per portare contenitori colmi d'acqua per domare le fiamme in un tempio ionico, che ricorda quello di Saturno. Al centro una serie di donne con bambini si rivolge verso il pontefice, che si affaccia da un'architettura bramantesca a bugnato. Più a sinistra si intravede la facciata dell'antica basilica vaticana, ornata da mosaici. Il vuoto centrale e l'insieme dei gesti riesce a far convergere l'occhio dello spettatore sulla figura del pontefice, per quanto piccola rispetto al primo piano. Tale schema venne ampiamente ripreso dai classicisti seicenteschi. Citazioni dotte e ricercate, prese dalla classicità e dalla modernità, ben rappresentano l'ambiente evocato dai letterati della corte di Leone X. Dall'armoniosa bellezza della Stanza della Segnatura si è passati ormai a uno stile più ardito e disomogeneo, con una composizione più intensamente scenografica, senza un'articolata organizzazione strutturale degli edifici, che paiono appunto quinte teatrali o apparati effimeri predisposti durante le feste (lo stesso Raffaello si occupò direttamente di scenografia). Forte è la componente sperimentale ed è stata paragonata da alcuni, nel suo attingere ai repertori urbinate, umbro, fiorentino e veneziano, al procedimento che in quegli stessi anni coinvolgeva i letterati sulla scelta della lingua. Raffaello andava infatti rielaborando i linguaggi dei suoi predecessori per dare origine a quel classicismo che tanto influenzò le generazioni successive.
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### Titolo: Il grande masturbatore. ### Introduzione: Il grande masturbatore è un dipinto di Salvador Dalí, eseguito nel 1929. L'opera è conservata al Museo nacional centro de arte Reina Sofía di Madrid, per volere stesso dell'artista. ### Descrizione. L'opera condensa in sé alcuni elementi ricorrenti nella produzione di Dalì: le conchiglie, i sassi, la cavalletta (che qui ha il ventre in decomposizione ricoperto da formiche), il simbolo fallico, riproposto sia nel pistillo della calla che nella lingua eretta del leone, la fellatio (indicativa dell'angoscia sessuale dell'autore).
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### Titolo: Camerini d'alabastro. ### Introduzione: I camerini d'alabastro erano alcune stanze presenti, a Ferrara, nel fabbricato che conduce dal Castello Estense al Palazzo Ducale, denominato Via Coperta. Erano lo studiolo di Alfonso I d'Este. ### Descrizione. I Camerini comprendevano vari ambienti: il Camerino dei Baccanali, quello dei Marmi, il Camerino Dorato, la Stanza del Poggiolo, l'Anticamera e il Salotto Ducale. Il ciclo decorativo era desunto dall'antichità classica, frequente motivo ispiratore del Rinascimento. I dipinti rappresentavano episodi della vita di Dioniso, le feste e le divinità a lui collegate (Venere e forse Cibele). Gli intellettuali di corte e Alfonso stesso adattarono il progetto in itinere, prendendo spunto da fonti letterarie (Filostrato, Ovidio e Luciano). Il soffitto presentava dieci scene dell'Eneide di Virgilio, dipinte da Dosso Dossi (tra cui Enea e Acate sulla costa libica e Discesa di Enea nei campi elisi). Iscrizioni incise precisavano che lo studiolo custodiva 'la solitudine, la quiete, la serenità' del duca. Bacco, come dio della letizia e liberatore dagli affanni, era il più indicato nei momenti di riposo dal governo e dalle guerre. Secondo il mito, Bacco fu anche pacificatore dell'India, un'allusione alla virtù politica di Alfonso I: il duca amava le armi d'artiglieria al punto da fondere una statua bronzea di Michelangelo per farne un cannone (il Giulio II benedicente), ma esibiva abilmente il vessillo della pace. Infine Bacco era il dio della musica, delle feste, del teatro, molto amato dal duca. Ferrara nel Rinascimento era una grande capitale dello spettacolo: lo studiolo era comunicante anche con un teatro estense, distrutto nell'incendio del 1532. In aggiunta alle opere del Dosso, Alfonso I commissionò dipinti ad importanti maestri veneziani, tra cui Giovanni Bellini (Festino degli dei) e Tiziano (Bacco e Arianna; Il Baccanale degli Andrii, la Festa degli amorini, il Cristo della moneta). Alfonso I prese contatti con Raffaello Sanzio e Fra Bartolomeo, ma ottenne solo disegni, poi ripresi e sviluppati in quadri dopo la morte di questi due artisti da altri pittori (Pellegrino da San Daniele, Tiziano, Garofalo). Il dipinto di Dosso derivato dai disegni di Raffaello (Trionfo di Bacco) è stato recentemente ritrovato a Mumbai.
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### Titolo: Panorama di Racławice. ### Introduzione: Il Panorama di Racławice (in polacco: Panorama Racławicka) è un monumentale (15 × 120 metri) dipinto panoramico che raffigura la Battaglia di Racławice, uno dei primi episodi dell'Insurrezione di Kościuszko. Attualmente si trova a Breslavia, in Polonia. ### Descrizione e stile. Il dipinto è una delle poche reliquie del genere preservate relativa alla cultura di massa del XIX secolo, ed è la più antica in Polonia. Il panorama viene esposto in forma circolare, mentre il punto di osservazione è centrale, e presenta diverse scene visibili dai differenti angoli di osservazione. Uno speciale tipo di prospettiva usato nel dipinto ed effetti aggiuntivi (luce, terreno artificiale) conferiscono un aspetto realistico all'opera.
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### Titolo: Storie di santa Caterina. ### Introduzione: Le Storie di santa Caterina d'Alessandria sono un ciclo di teleri di Tintoretto, databile al 1585 ed esposto al Palazzo Patriarcale a Venezia. Il Tintoretto decise di narrare in sei episodi la vita della santa e, vista l'enorme mole di lavoro, si fece aiutare in alcune tele dalla sua bottega e dai figli: Domenico e Marietta. L'opera era originariamente posta nella Chiesa di Santa Caterina, sulle pareti del presbiterio, al centro del quale era invece posta la pala del Veronese 'Nozze di Santa Caterina'. ### Descrizione. Nella prima tela si vede la giovane Caterina stupire l'Imperatore Massenzio argomentando il suo rifiuto di compiere sacrifici agli idoli. Nella seconda tela la santa discute con cinquanta dottori, con citazioni di Platone. La sua saggezza è suggerita dall'indice puntato verso l'alto. Nelle tre successive tele viene raffigurato il coraggio della santa nell'affrontare le torture, l'arrivo delle consolazioni celesti, e la prova della ruota, che venne infranta. La sesta tela vede la collaborazione fra Jacopo Tintoretto e il figlio Domenico. Qui sicuramente il Tintoretto non seguì le indicazioni dei committenti, le monache agostiniane di cui era la Chiesa di Santa Caterina, non volendo illustrare le carni straziate della santa. Non volle neppure illustrare la sua decapitazione, limitandosi a mostrare la spada del boia. Caterina si innalza al cielo con lo sguardo basso, come a pregare per i suoi torturatori. Fu il doge Pietro Gradenigo, nel 1307, a decretare che per la Festa dei Dotti il doge e la Signoria visitassero la Chiesa di Santa Caterina nel giorno a lei dedicato, il 25 novembre (dì della morte della santa, nell'anno 305). Santa Caterina d'Alessandria è la patrona dei colti e dei sapienti. Nel Palazzo Patriarcale il ciclo si trova in una sala dedicata all'autore delle opere. Con esso si può ammirare anche la tela di Palma il Giovane 'La madre di Santa Caterina consulta i saggi per le nozze della figlia', opera anch'essa proveniente dalla Chiesa di Santa Caterina.
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### Titolo: Sogno causato dal volo di un'ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio. ### Introduzione: Sogno causato dal volo di un'ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio (1944) è un dipinto surrealista di Salvador Dalí. È custodito presso El Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. ### Descrizione. L'azione del dipinto – l'enorme melograno da cui fuoriesce un pesce che 'genera' due tigri dietro a una baionetta – rappresenta il violento risveglio della donna dai suoi sogni tranquilli. Nel quadro appare anche la figura di un elefante, ricorrente in molti quadri di Dalì, ispirato al piedistallo della scultura Obelisco della Minerva di Gian Lorenzo Bernini che si trova a Roma e rappresenta un elefante che trasporta un antico obelisco.Il corpo nudo di una donna distesa levita su di uno scoglio sospeso nel vuoto. La superficie perfettamente liscia della struttura, pare emergere da un mare dalla superficie piatta e vetrificata. La donna sembra dormire serenamente mentre due tigri la stanno per aggredire. In realtà tutta la scena è, tipicamente, surreale. A sinistra nel dipinto da una melagrana spaccata esce un grande pesce. Dalla bocca dell’animale, poi, fuoriesce una grande tigre. Quindi un'altra esce dalla bocca della prima e l’azione prosegue con un fucile a baionetta la cui punta sta per toccare il braccio della donna distesa. La scena riserva altre visioni surreali. In primo piano un'ape vola intorno ad una melagrana. Sullo sfondo un elefante dalle zampe di ragno traversa tranquillamente la scena portando sulla sua groppa un obelisco di pietra. A destra, verso il bordo del dipinto un promontorio si affaccia sul mare ideale. Il tema dell'elefantino con obelisco sulla schiena fu probabilmente ispirato a Salvador Dalì da quello creato da Bernini e posto sulla fontana in Piazza della Minerva a Roma. Questo è un esempio dell'influenza freudiana sull'arte surrealista e del tentativo di Dalí di esplorare il mondo dei sogni.
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### Titolo: I capricci. ### Introduzione: I capricci (Los Caprichos) sono una serie di ottanta incisioni eseguite ad acquaforte e acquatinta con episodici interventi a bulino o puntasecca dal pittore spagnolo Francisco Goya durante gli anni novanta del XVIII secolo. Le lastre misuravano tutte circa 21,5 x 15 cm. ### Descrizione. La raccolta è un acido tour-de-force visivo della Spagna del XVIII secolo e dell'umanità in genere. Le ottanta opere, infatti, furono eseguite con l'intento di mettere a nudo con immagini lucide, aspre e taglienti altrettante varietà di vizi, bassezze, aberrazioni e superstizioni diffusi in Spagna, così da denunciarne la brutalità e promuoverne la sconfitta. Ciascun Capriccio, inoltre, è debitamente corredato di una didascalia che commenta adeguatamente il vizio raffigurato. I soggetti raffigurati nei Capricci, pertanto, saranno amori tragici, stregonerie, folletti, persone inutili e sterili galanterie, e naturalmente anche feroci satire di natura politica, clericale ed erotica. La prima edizione dei Capricci venne pubblicata il 6 febbraio 1799 e messa in vendita lo stesso giorno in un negozio di liquori e profumi di calle Desengaño, a Madrid. Lo stesso giorno, nel Diario de Madrid, Goya si preoccupò di ribadire che i Capricci erano un'opera di pura fantasia, e che pertanto tutti i personaggi, luoghi, eventi e fatti narrati erano il frutto della sua immaginazione e libera espressione artistica:. Niente di tutto questo, ovviamente, era vero. Basti pensare che il Capriccio n. 55 raffigura una vecchia e orribile megera che rimira la sua immagine riflessa nello specchio: le sue fattezze, tuttavia, ricordavano quelle della regina Maria Luisa di Borbone-Parma, con la laconica didascalia che recita «fino alla morte!». Lo stesso Charles Baudelaire avrebbe poi colto la carica ferocemente eversiva del ciclo:. Nonostante l'annuncio sul Diario de Madrid, le opere suscitarono un grandissimo scandalo nella società spagnola, che non esitò a vedervi lo specchio di alcune insigni personalità di corte. Quest'eco giunse pure al Tribunale dell'Inquisizione che, l'8 febbraio, decise di ritirare l'opera dalla circolazione, dal commercio e dalla disponibilità per il pubblico. Lo stesso Goya, ormai messo con le spalle al muro, nel 1803 donò le copie residue dei Capricci e le relative lastre al Re.
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### Titolo: Crocifissione (Guttuso). ### Introduzione: Crocifissione è un dipinto a olio su tela di Renato Guttuso del 1941 e conservata a Roma presso la Galleria Nazionale d'Arte Moderna. ### Descrizione. Guttuso, nella realizzazione dell'opera, cercò di discostarsi dalla precedente tradizione iconografica pensando addirittura, sulla scorta dell'opera di Pablo Picasso, di ambientare la scena in un interno. Scelse poi come ambientazione il Golgota tuttavia utilizzò uno schema spaziale del tutto nuovo con la disposizione delle tre croci non una di fianco all'altra ma in diagonale una dietro l'altra secondo uno schema simile a quello seguito da Rembrandt nel disegno Cristo in croce tra i due ladroni. La prospettiva ricorda certamente quella a cannocchiale di Tintoretto utilizzata ad esempio nell'Ultima Cena, ma appare in questo caso volutamente irreale per creare così un senso di straniamento ancora maggiore nell'osservatore. Il volto di Cristo è nascosto dalla croce di uno dei due ladroni e possiamo solo immaginarne la smorfia di dolore. La pennellata presenta il tratto spesso e deciso tipico di Guttuso che unitamente ai colori accesi e dalle tinte pastello danno una forte carica espressiva ai corpi dei personaggi e all'opera stessa. La spigolosità delle figure, seppure tipica di Guttuso ricorda con forza quello di Rosso Fiorentino nella Deposizione di Volterra. È chiara l'influenza del Guernica di Pablo Picasso, di pochi anni precedente, al quale sembra volere rendere omaggio con la figura del cavallo molto simile a quello dipinto in Guernica e forse anche liberamente ispirato a quello del Trionfo della Morte di Palermo. Questi riferimenti sono stati implicitamente confermati dallo stesso Guttuso nel Trionfo della guerra da lui stesso definito un omaggio a Palazzo Sclafani, Honoré Daumier, Rousseau, Franz Marc (I cavalli azzurri), Picasso e al bambino ebreo di Varsavia. . È evidente il gusto per il dettaglio che emerge dai continui riferimenti ai Vangeli: un soldato tiene in una mano un'asta con in cima una spugna imbevuta di aceto e nell'altra delle pietre; le corde stesse con cui è legato uno dei ladroni sembrano quasi sfilacciate, dolorose, taglienti. L'intento di Guttuso in quest'opera e più in generale nella sua arte appare da una sua stessa frase: Una Crocifissione che sembri una natura morta e una natura morta che sembri una Crocifissione. La Crocifissione deve essere il dramma di tutti gli esseri umani e in questo senso una scena comune. 'Questo è tempo di guerra e di massacri: gas, forche, decapitazioni, voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee.'. Lo stesso titolo Crocifissione, e non La Crocifissione, non è casuale, ma mette in evidenza come l'opera rappresenti non solo il dramma di Gesù ma quello di tutta l'umanità. Guttuso, infatti, pur rappresentando l'episodio evangelico, la Crocifissione per antonomasia, pone l'accento sull'universalità del dolore e sulla sua profonda attualità. È interessante a questo proposito osservare come le case sullo sfondo siano appena accennate, squadrate secondo lo stile cubista, e per la loro essenzialità di linee possano essere le case del tempo così quelle di tutti i giorni. Il paesaggio del resto non è certo quello del Golgota ma presenta delle asperità che ricordano piuttosto i luoghi della memoria di Guttuso, cioè la Sicilia. Sciascia ha scritto che Guttuso ' Qualunque cosa volle dipingere, dipinse sempre la Sicilia'. Particolarmente indicativo è, a questo proposito, il ponte sullo sfondo. Non è un ponte romano ma il caratteristico ponte arabo-normanno a gobba d'asino, del quale sono presenti innumerevoli esempi in Sicilia, come il ponte chiaramontano sul fiume San Leonardo vicino Caccamo recentemente sommerso a causa dell'innalzamento delle acque dovuto a una diga.
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### Titolo: La Libertà che guida il popolo. ### Introduzione: La Libertà che guida il popolo (La Liberté guidant le peuple) è un dipinto a olio su tela (260 x 325 cm) del pittore francese Eugène Delacroix, realizzato nel 1830 e conservato nel museo del Louvre a Parigi. ### Descrizione. La Libertà che guida il popolo raffigura tutte le classi sociali unite in lotta contro l'oppressore, guidate dalla personificazione speciale della Francia, Marianne, che in quest'opera assurge anche a simbolo della Libertà. Marianne è colta nell'attimo in cui avanza sicura sulla barricata, sventolando con la mano destra il Tricolore francese (richiamando con evidenza i valori della rivoluzione del 1789) e impugnando con la sinistra un fucile con baionetta, a suggerire la sua diretta partecipazione alla battaglia. Indossa abiti contemporanei e anche un berretto frigio, assunto come simbolo dell’idea repubblicana dai rivoluzionari già nel 1789, ha il seno scoperto e i piedi nudi ed è realistica sino alla peluria sotto le ascelle, particolare che non fu apprezzato dai contemporanei. Nella sua posa monumentale e impetuosa la Libertà esorta il popolo a seguirla e a ribellarsi contro la politica reazionaria di Carlo X. La Libertà è circondata da una folla tumultuosa, dove Delacroix ha riunito persone di tutte le età e le classi sociali. A destra della donna troviamo un ragazzino armato di pistole, simbolo del coraggio e della lotta dei giovani contro l'ingiustizia della monarchia assoluta. A sinistra, invece, è visibile un intellettuale borghese con un elegante cilindro in testa e una doppietta da caccia in mano (tradizionalmente ritenuto un autoritratto dell'artista, ma forse si tratta di un ritratto di un suo amico d'infanzia, Félix Guillemardet). Ai piedi della Libertà, invece, troviamo una giovane manovale con un grembiule di cuoio, che guarda la fanciulla piena di speranza, come se fosse l'unica in grado di restituire la dignità alla nazione francese.Dietro questi personaggi iconici si dispiega una massa indistinta di uomini, fucili, e spade: la battaglia, tra l'altro, non è priva di vittime. Alla base del quadro, infatti, giacciono tre cadaveri: a sinistra vi è un insorto dal corpo seminudo, con il macabro particolare del calzino sfilato, mentre a destra troviamo un corazziere e una guardia svizzera, appartenenti alla guardia reale che combatté la rivoluzione di quei giorni. Dietro il fumo degli incendi e degli spari e la coltre di polvere sollevata dai rivoluzionari, inoltre, si intravedono le torri gemelle della cattedrale di Notre-Dame, che stanno a suggerire l'esatta collocazione geografica dell'episodio, ovvero Parigi. Due, in particolare, sono le fonti iconografiche consultate da Delacroix per la realizzazione della Libertà che guida il popolo. La prima è la Venere di Milo, statua ellenistica ritrovata nel 1820 ed esposta al Louvre nel 1821: le sue fattezze, infatti, ricordano molto da vicino quelle della Libertà. Delacroix si mostrò assai sensibile anche alla Zattera della Medusa di Théodore Géricault, dalla quale riprese la composizione piramidale, i due uomini riversi in primo piano e il particolare del calzino sfilato del popolano di sinistra. Se, tuttavia, la tela di Géricault rispecchiava lo sconforto e la disperazione dei Francesi dopo il tramonto dell'epopea napoleonica, la materia della Libertà che guida il popolo ha un contenuto spiccatamente ottimistico: nel quadro di Delacroix, infatti, i parigini sono ritornati sulle barricate e sono fiduciosi in sé stessi. Riportiamo di seguito un commento di Giulio Carlo Argan:. I colori scuri dell'opera, infine, sono stemperati dalla luminosità dei tre colori repubblicani (blu, bianco, e rosso), che dalla bandiera sventolata dalla Libertà si irradiano in tutta la scena, dalle cinture ai berretti, dalle vesti al sangue.
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### Titolo: Battaglia di Cascina (Michelangelo). ### Introduzione: La Battaglia di Cascina sarebbe dovuta essere un affresco di Michelangelo Buonarroti da collocare nella fiorentina sala del Maggior Consiglio (poi detta Salone dei Cinquecento) di Palazzo Vecchio, a Firenze. Ne venne realizzato solo un perduto cartone nel 1505-1506 circa, conosciuto da studi e copie antiche, tra cui la migliore è quella di Aristotile da Sangallo, databile al 1542 circa e conservata nelle collezioni private del conte di Leicester, a Holkham Hall, nel Norfolk (lo stesso ex proprietario del leonardiano Codice Leicester). ### Descrizione e stile. Wilde, studiando l'antico aspetto del Salone, giunse alla conclusione che i dipinti, più che affrontati, dovevano trovarsi sulla medesima parete di levante, in due spazi affiancati di circa 7x17,5 metri (5/6x18 secondo Grohn): a destra doveva trovarsi il dipinto di Leonardo e a sinistra quello di Michelangelo. La ricostruzione dell'aspetto del cartone michelangiolesco nella sua interezza è stata oggetto di varie ipotesi. Secondo Köhler (1907) al centro doveva trovarsi il soldato che indossa le braghe, affiancato a sinistra col gruppo di cavalieri testimoniato nei disegni di Londra e Oxford; Thode (1908-1913) completò la ricostruzione ipotizzando ai lati militi in corsa e nell'atto di salire a cavallo. In un disegno ora conservato agli Uffizi mostra il gruppo centrale, senza però quelle figure in pose contorte e concatenate presenti nella copia del Sangallo. Questo può essere dipeso dal fatto che l'artista lavorò nuovamente sul cartone dopo essere ritornato da Roma nel 1506 e aver studiato da vicino la statuaria antica e in special modo il gruppo del Laocoonte, rinvenuto il 14 gennaio 1506 proprio in sua presenza.
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### Titolo: Apoteosi di Angelo della Vecchia nel segno delle virtù. ### Introduzione: Apoteosi di Angelo della Vecchia nel segno delle virtù, precedentemente noto come Apoteosi del Doge Morosini, è un dipinto a olio su tela realizzato da Giambattista Tiepolo. Non è certa la data di realizzazione. Tiepolo realizzò il dipinto per il palazzo vicentino dell'avvocato Angelo della Vecchia. Oggi l'opera si trova nella Sala Giunta di Palazzo Isimbardi, a Milano, dopo che nel 1954 la Provincia di Milano l' acquistò per impedirne il trasferimento in collezioni estere. ### Descrizione. Il telero rappresenta, attraverso figure allegoriche apparentemente di grandezza naturale (in realtà di poche decine di centimetri), l'ascesa di Angelo della Vecchia nel Cielo degli Eroi. Sono molte le contrapposizioni rappresentate, tutte ricollocabili alle diverse forme della virtù e del vizio quali, ad esempio: sapienza/ignoranza, mansuetudine/bestialità, luce/tenebre, verità/menzogna.
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### Titolo: Apparizione di Cristo ai santi Rocco e Carlo. ### Introduzione: L'Apparizione di Cristo ai santi Rocco e Carlo è un olio su tela di Giulio Cesare Procaccini, risalente al 1624-25, oggi facente parte della pinacoteca civica di Caravaggio, in Lombardia. ### Descrizione. Il soggetto della pala, corrispondentemente alle richieste della committenza, è semplice, quasi didascalica, e per questo priva di arditezze barocche; le figure sono disposte frontalmente, in uno spazio quasi privo di profondità. L'opera si inserisce nel ciclo di raffigurazioni pittoriche elaborate a cavallo degli anni 1620 per raffigurare l'epidemia di peste che in quegli anni stava interessando il milanese, e che sarebbe proseguita almeno fino al 1630; il soggetto è costituito dai due santi, san Rocco e san Carlo, che implorano la pietà di Dio, indicando a Cristo i cadaveri dei morti in primo piano. Cristo, con fare imperioso, risponde ordinando ad un angelo di riporre la spada nel fodero. Sullo sfondo è visibile un lazzaretto. Il dipinto raffigura icasticamente la virulenza della peste, che colpisce mortalmente la popolazione; il suo imperversare è metaforicamente simboleggiato dalla piaga di san Rocco, ancora aperta. L'atmosfera è buia e pesante; i toni sono freddi, e concentrati nella parte bassa del dipinto. Più in alto l'alone degli angeli cherubini diffonde una luminosità fumosa rosa e gialla. ### Stile. L'opera costituisce un esempio classico dello stile del tardo Procaccino, improntato alla ripetizione manieristica di modelli e formule ricorrenti; i personaggi, privi di slanci inventivi, sono una mera riproposizione di motivi pittorici già noti, e furono probabilmente realizzati con l'aiuto significativo degli aiutanti del pittore. La figura di Cristo è collocata in una rigida posizione frontale; san Carlo è rappresentato nella convenzionale posizione di devozione, mentre gli angeli e san Rocco si rifanno allo stile neoparmense. Le grandi ali spalancate costituiscono, al contrario, un motivo di grande interesse pittorico; sono realizzate con una morbida stesura di ocra e grigio e con sottili pennellate di rosso e di giallo.
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### Titolo: Sacrificio di Isacco (Lanzani). ### Introduzione: Il Sacrificio di Isacco è un dipinto a olio su tela (237x147 cm) di Andrea Lanzani, di datazione incerta, oggi facente parte della pinacoteca civica di Caravaggio, in Lombardia. ### Descrizione e stile. Il quadro raffigura il celebre episodio del sacrificio di Isacco, tratto dalla Bibbia. La rappresentazione è caratterizzata da un'atmosfera plastica e idilliaca, chiaramente pre-settecentesca, e ciò permette di ricondurre il dipinto ad un'epoca antecedente al viaggio di Lanzani a Vienna. Una caratteristica tipica dello stile di Lanzani che si ritrova nell'opera è l'utilizzo di colori accesi e brillanti (come gialli, lilla, rosa luminosi); è notevole, da questo punto di vista, l'impiego della lacca nella raffigurazione del drappo svolazzante dell'angelo. I volti aggraziati del patriarca Abramo, di Isacco e dell'Angelo richiamano uno stile caratteristico dell'ambiente pittorico milanese del primo Seicento; è tuttavia innovativa la libertà formale, contraddistinta da pose dinamiche e colori luminosi. I personaggi risultano collocati lungo una linea spiraleggiante, e la loro tensione dinamica risulta accentuata dai vivaci contrasti chiaroscurali, dalla luce incidente sul corpo di Isacco e dal riverbero argenteo dell'Angelo, nonché dalle ombreggiature presenti sul busto di Abramo.
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### Titolo: Sacra Famiglia (Catenanuova). ### Introduzione: La Sacra Famiglia rappresenta una delle opere più celebri del patrimonio artistico-culturale della Parrocchia San Giuseppe di Catenanuova (Enna), ed è un capolavoro di epoca tardo barocca. ### Descrizione e stile. In primo piano si vede la Vergine Maria avvolta in un manto blu, simbolo della sua divinità, e da una veste candida, metafora della sua purezza. La vergine Maria regge il Figlio sulle sue ginocchia ed accanto a lei vengono raffigurati San Giuseppe alla sua sinistra e San Giovanni Battista alla sua destra, che si prostrano al Bambino Gesù. Nella parte centrale, in alto, vi è raffigurato Dio Padre onnipotente che con la mano destra benedice e sulla mano sinistra tiene lo scettro del potere, che ombreggia sul globo terrestre oscurato dal male. L'artista vuole indicare che il potere viene solo ed unicamente da Dio, che pur essendo invisibile, è divenuto presente nel mondo attraverso suo Figlio nonostante le tenebre del peccato. Accanto a Dio Padre viene inoltre raffigurata una colomba, che simboleggia lo Spirito Santo e gli angeli che annunciano il Salvatore. Inoltre nella parte destra e sinistra del dipinto, poco illuminati, si intravedono le figure di Santa Elisabetta e San Zaccaria, genitori del Battista. Il significato teologico di questa pittura è profondo e dietro questa descrizione si evidenziano alcuni messaggi fulcro della Sacra Scrittura: Dio parla ai profeti attraverso il suo Spirito e annunzia la venuta del suo Figlio. Il pittore ha voluto rappresentare i profeti tramite la figura di San Zaccaria, sacerdote, raffigurato in piedi con abiti sacerdotali in atteggiamento da pedagogo con il braccio destro spiegato e il libro sacro nella mano sinistra, la sua figura posta tra Dio Padre e Gesù bambino, vuole rappresentare l'unione dell'Antico e Nuovo Testamento. La scelta del pittore di collocare San Zaccaria dietro San Giuseppe, che è rappresentato con la verga, dal quale sboccia il germoglio di Iesse simbolo iconografico di predilezione per l'unione con la Vergine, ha un significato particolare nella figura di Zaccaria, che, in quanto studioso delle sacre scritture, rivela a Giuseppe la sorte del Figlio.L'espressione di Giuseppe è turbata e lui stesso consegna una melagrana al Figlio simbolo della sua passione e morte. Questa sua ansia, viene alleviata dal Bambino che lo rassicura porgendogli la mano e donandogli un sorriso, ma allo stesso tempo gli indica la Croce per annunciargli quale morte dovrà patire. Gesù conscio della presenza di Dio, non ha paura né teme alcun male. Anche Maria, pervasa da serenità, regge la Croce quasi ad abbracciarla presagio che parteciperà al supplizio del Venerdì Santo sul Golgota. La luminosità con cui è stato dipinto Gesù sta ad indicare che è portatore della vera luce nel mondo e il completamento della Trinità assieme a Dio Padre e allo Spirito Santo rappresentato dalla colomba. La sua nudità raffigura l'intera rivelazione di Dio fatto uomo, in cui tutti i misteri del Padre vengono svelati e resi percepibili anche alla fragilità della natura umana, riluttante, che preferirà rimanere nelle tenebre dimostrate dall'oscurità che impera nello sfondo del dipinto. Uno spiraglio di luce, sovrasta anche Maria portatrice della Grazia e strumento di Dio per farsi carne. È bello notare nel Bambino la simbologia del Dio-Uomo, infatti, da un lato notiamo la sua umanità nel fatto che Maria lo regge con la sua mano, e dall'altro lato la sua divinità a motivo del suo braccio destro quasi benedicente ed indicante la croce. Ai piedi della Vergine, San Giovanni Battista stringe la Croce e s'inchina al Figlio di Dio poggiando le labbra sul suo piede, segno che ha riconosciuto in Gesù il vero Messia. Egli sarà il precursore, cioè colui che annunzierà il Cristo. Nell'iconografia generica, il Battista è raffigurato mentre regge la Croce sovrastata da una lista con la scritta: Ecce Agnus Dei. Anche la figura di Santa Elisabetta, cugina di Maria, viene rappresentata in posizione contemplativa e con volto sereno, testimonianza della fiducia in Dio. Infine in basso a destra, il blasone dei Principi Riggio, uno scudo incoronato con fondo blu e tre stelle intervallate dalla fascia d'oro; esso trova posto nel dipinto in quanto sono stati loro a donare la tela alla parrocchia, essendo molto devoti alla Sacra Famiglia.
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### Titolo: Parigi dalla finestra. ### Introduzione: Parigi dalla finestra è un dipinto realizzato da Marc Chagall nel 1913. ### Descrizione. L'opera si pone tra i dipinti a metà tra il surrealismo e l'astrattismo, ma in cui si sentono forti gli echi del cubismo. Il dipinto è attualmente conservato a New York presso il Solomon R. Guggenheim Museum.La Parigi raffigurata, sulla quale domina la Torre Eiffel, è una città fantastica in cui trovano spazio figure umane che fluttuano nel cielo ed un treno capovolto. Sulla destra in primo piano c'è un uomo bifronte, che simboleggia lo stesso pittore che guarda all'est il paese da cui viene ed all'ovest la nuova patria. Accanto a lui un gatto dai lineamenti umani sta alla finestra. == Note ==.
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### Titolo: Cappella della Croce di Giorno. ### Introduzione: La cappella della Croce di Giorno si trova a Volterra, in provincia di Pisa, diocesi di Volterra; la cappella è adiacente alla chiesa di San Francesco, con la quale è collegata tramite una porta laterale: solitamente questa è la via (tramite la chiesa) per accedere alla visita della cappella, che pure avrebbe anche un suo ingresso indipendente sulla piazza. La cappella fin dal 1786 è di proprietà della famiglia dei conti Guidi. ### Descrizione. La cappella è composta da un'aula su due campate, coperta da volte a crociera costolonata nella prima e da una volta poligonale nell'abside.
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### Titolo: Sacra Famiglia (Rapisardi). ### Introduzione: La Sacra Famiglia è un dipinto a olio su tela conservato nella Chiesa Madre di Santa Maria di Licodia. ### Descrizione e stile. Rapisardi ideò la scena sacra impostandola secondo gli schemi iconografici dell'arte neoclassica, seguendo il gusto vigente nella scuola pittorica catanese, infondendo nei personaggi un aspetto di aulico misticismo e profonda umanità. L'artista dipinse sei figure disponendoli sulla tela in maniera composta ed equilibrata. Fulcro della composizione è il Bambino Gesù, adagiato quasi aggrappato al ginocchio e alla mano della Madre. La sua nudità raffigura l'intera rivelazione di Dio fatto uomo, in cui tutti i misteri di Dio vengono svelati e resi percepibili anche alla fragile umana natura. La visione della Croce che il cugino Giovanni Battista presagendo regge, vela di una leggera malinconia il volto del Divin Pargolo, che volge teneramente lo sguardo verso la Madonna. Essa, avvolta da un manto blu a figurare la sua umanità rivestita dalla divinità, è seduta su uno scanno, con il busto leggermente inclinato verso il Bambino che regge dolcemente per la schiena con la mano sinistra e quasi afferra invece con la destra per il braccio. Con il volto sereno guarda amorevolmente il Figlio. Il Libro Sacro chiuso è adagiato sul braccio di Maria e quasi sospinto dalla mano di Gesù. È in Lei infatti che le Sacre Scritture e le Profezie prendono forma concreta, grazie alla sua libera e completa adesione alla volontà di Dio. Il precursore e cugino Giovanni Battista, già abbigliato dagli indumenti eremitici che indosserà nel deserto, si inginocchia adorante davanti al Bambino Gesù per contemplare il mistero di Dio fatto uomo. Con la mano stringe la croce formata da due canne legate, che quasi sottrae alla vista del Signore. Le prime tre figure, dalla composizione piramidale, sono fortemente ispirate al dipinto di Raffaello la “Bella Giardiniera”. Leggermente scostato da essi, come a sottolineare la completa estraneità al concepimento di Gesù, il Patriarca San Giuseppe contempla la bellezza della Sposa, mirando in Lei i misteri degli Inizi della Redenzione Divina a cui anche lui è stato reso partecipe. Il Custode del Redentore sembra quasi pronto ad inginocchiarsi di fronte al mistero di Dio fatto uomo. Il leggero isolamento della sua figura, rimanda alla sua evangelica muta obbedienza alla volontà di Dio, dettata dalla Giustizia del suo animo. In quanto capo della Famiglia, egli siede a capo del desco. L'ampio manto ocra si avviluppa sulla veste azzurra. Tali colori rappresentano la duplice natura di Cristo, Dio e uomo, e l'arduo compito di Giuseppe in quanto custode di Dio fatto uomo e della sua Madre. In posizione avanzata la mano destra regge il bastone fiorito, simbolo iconografico di predilezione all'ufficio di Sposo di Maria.La calda luce, 'piovendo' dall'alto illumina i personaggi, e da questo spiraglio di Paradiso si affacciano oranti e ammiranti due angeli, conferendo sacra dignità alla scena domestica. L'ambiente avvalora e accresce la duplice natura che caratterizza i personaggi, disposti all'interno di una grande sala, che è insieme dimora e tempio, per consacrare la funzione della famiglia cristiana, prima chiesa domestica. Attorno al grande tavolo al centro della sala, coperto da un velluto verde, sono disposti i membri della Famiglia. Come i fedeli si riuniscono intorno alla Mensa del Signore, la famiglia si riunisce attorno al desco domestico, luogo che per antonomasia è il ritrovo della famiglia unita, per consumare il cibo che la Provvidenza elargisce. Sulla tavola, il florido giglio, che si erge eretto e svettante da un'anfora dalle eleganti forme classiche, rappresenta la purezza e la giustizia, virtù di cui la Famiglia di Nazareth è specchio per tutte le case cristiane. La parete aperta sulla sinistra, lascia spaziare la vista su un paesaggio etneo, rendendo così i personaggi vicini e conterranei del fedele che a loro si rivolge.
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### Titolo: San Leone Taumaturgo che sconfigge il mago Eliodoro. ### Introduzione: San Leone Taumaturgo che sconfigge il mago Eliodoro è una tela posta nella Chiesa del Santissimo Crocifisso di Santa Maria di Licodia. ### Descrizione e stile. Matteo Desiderato rievoca l'evento in una movimentata e teatrale scena, tipica dell'arte tardo-barocca. Barocco è anche lo scenario, omaggiando il grande Vaccarini, il Desiderato inserisce uno scorcio della novella facciata della Cattedrale, come fondale scenico, insieme al Castello Ursino ed all'elefante. Fulcro dell'opera è il rogo dentro la quale brucia il mago Eliodoro. Il Santo vescovo si scaglia su lui prorompente, vestito con abiti pontificali, minacciandolo con il suo pastorale. Proprio verso questo puntano le braccia e le mani di tutti coloro che popolano la scena, a significare il ritorno del popolo catanese sotto la guida del suo Pastore. Anche l'elefante, simbolo di Catania, allungando a dismisura la sua proboscide verso il pastorale, ringrazia il vescovo per la propria liberazione dalla schiavitù del mago, alludendo alla liberazione di Catania dal paganesimo. Un uomo in basso a sinistra, con una fascina tra le braccia, è pronto ad alimentare il rogo, mentre un angelo dal cielo scaglia le divine fiamme sul mago. Il Crocifisso, retto da un chierico alle spalle del santo, indica il compimento del volere divino. Nell'ideale triangolo composto dalle braccia tese del vescovo, e di uno dei personaggi alla sua sinistra, in teatrali atteggiamenti di stupore e paura, prendono posto tutte le figure femminili che popolano la scena, le cui fisionomie degradanti e sfumanti conferiscono profondità all'opera. Tra le figure, si potrebbe riscontrare un ipotetico autoritratto dell'artista, fenomeno comune in molte opere coeve, e di simile genere. L'opera reca la firma dell'artista in basso a destra: MATTEUS DESIDERATUS PINGEBAT.
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### Titolo: Composizione con blu e giallo. ### Introduzione: Composition with Blue and Yellow è un dipinto del pittore olandese Piet Mondrian. Si tratta di un olio su tela di 41,6x33,3 cm. dipinto nel 1932 e conservato presso il Philadelphia Museum of Art di Filadelfia. ### Descrizione e stile. L’artista dipinse quest’opera durante la fase dei primi anni '30 nella ricerca di un nuovo equilibrio all’interno del suo stile neoplastico in cui, dal 1920, aveva eliminato ogni riferimento alla natura. Applicò la sua attenzione alle relazioni tra un numero ridotto di elementi strutturali: linee orizzontali e verticali di diverse lunghezze e spessori e piani rettangolari di colorati (ma limitati ai colori primari rosso, giallo e blu) contrapposti a piani di ciò che Mondrian definiva 'non colore' (bianco, grigio e nero). In quest'opera, le linee divisorie attraversano l'intera composizione nella sezione in alto a destra, e una barra nera più corta e più larga divide il margine verticale destro. La griglia crea così cinque piani (due in colore e tre in bianco) bilanciando le forme senza mai ripeterle assiem alle dimensioni e proporzioni.
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### Titolo: Il bacio con la finestra. ### Introduzione: Il bacio con la finestra è un dipinto di Edvard Munch del 1892, un olio su tela di 73cm x 92cm, conservato nella Galleria nazionale di Oslo di Oslo.Il dipinto fa parte di un gruppo di opere chiamato Il fregio della vita, sul tema del ciclo della vita, della morte e dell'amore, che comprende dipinti realizzati dal 1893 al 1918. All'interno di questo tema Il bacio con la finestra esprime una tematica più volte trattata da Munch, quella del rapporto tra uomo e donna.La coppia misteriosa ritratta in questo dipinto non mostra tenerezza e complicità. I volti sono nascosti nell'ombra di un abbraccio sensuale ma non gioioso. I corpi, indistinguibili l'uno dall'altro, sono avvinghiati in quella che appare più una lotta che un abbraccio amoroso. Le due figure sono nettamente decentrate contro ogni canone compositivo tradizionale, spinte verso il margine destro del quadro; esse accentuano un senso di furtività sottolineato anche dal locale modesto e disadorno, quasi che l'incontro sia casuale o segreto. Le tonalità fredde del dipinto rimandano alle atmosfere nordiche.Le due figure abbracciate, impossibili da distinguere separatamente, rappresentano la perdita d'identità. Il rapporto tra uomo e donna si configura come tensione tra desiderio di amare e paura di amare. Il rapporto ambiguo è espresso dalla fusione fisica delle due figure che si abbracciano nel tentativo di annullarsi o assimilarsi. In ciò Munch trasferisce quel doloroso senso di solitudine legate al suo vissuto personale. ### Descrizione. Il dipinto rappresenta due figure umane che si baciano all'interno di un locale, vicine ad una finestra da cui si intravede una via con vetrine illuminate e pochi passanti. A destra del quadro vediamo le due figure avvinte.L'uomo è rappresentato di profilo con il braccio destro proteso in avanti in un abbraccio; delle gambe si individua la parte superiore; l'uomo indossa un abito blu dalla cui giacca si evidenzia una parte del colletto bianco di una camicia; del volto sono individuabili l'orecchio destro e pochi tratti relativamente al mento, al naso, all'occhio destro e alla fronte; i capelli sono corti di colore nero. La donna è rappresentata in posizione frontale ma con il busto lateralmente tutto proteso verso il corpo dell'uomo; si distingue solo una parte del collo lasciato scoperto da un abito nero che presenta una profonda scollatura, non è individuabile il volto. Nella parte superiore a destra vediamo una parete del locale che è disadorna. La coppia è posto accanto ad una finestra che ha una tenda dai colori che vanno dal bianco all'azzurro, raccolta in basso a destra. Dai vetri della finestra si vede una via con quattro vetrine illuminate inserite nel contesto di edifici con finestre buie e una gialla. Si distinguono quattro passanti e un grande cipresso la cui altezza è rapportabile a quella degli edifici vicini. I vetri sono collocati in modo tale da dividere la finestra in quattro sezioni. In basso a sinistra è collocata la firma del pittore. I colori di tutta la composizione sono scuri, azzurri, blu e neri e le tonalità sono fredde. == Note ==.
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### Titolo: Rissa in galleria. ### Introduzione: Rissa in galleria è un dipinto di Umberto Boccioni del 1910. È conservato a Milano presso la Pinacoteca di Brera: proviene dalla collezione Emilio e Maria Jesi. ### Descrizione. Il dipinto, appartenente ad una prima fase artistica di Boccioni, mostra già la tensione tipica dei dipinti futuristi, sebbene conservi ancora retaggi naturalisti, soprattutto nella definizione delle figure che risultano ben delineate e riconoscibili. Tuttavia, esse sono disposte in modo tale da conferire dinamicità e movimento alla tela. Il soggetto pittorico è una folla di persone che si accalca di fronte alla buvette di Gaspare Campari (divenuta successivamente 'Gran Bar Zucca' nella Galleria Vittorio Emanuele II di Milano), per seguire una zuffa fra due donne.
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### Titolo: Madonna del Rosario con san Domenico e santa Rosa. ### Introduzione: Madonna del Rosario con san Domenico e santa Rosa è un olio su tela di Stefano Maria Legnani, risalente al 1700-1705, oggi facente parte della pinacoteca civica di Caravaggio, in Lombardia. ### Descrizione e stile. La composizione è caratterizzata da un'evidente struttura piramidale, di matrice classicista; quest'elemento deriva probabilmente dal soggiorno romano del Legnanino, avvenuto nel 1686. L'interpretazione pittorica, per contro, è di ascendenza barocchetta; è qui evidente l'influenza della scuola barocca genovese di Domenico Piola e Gregorio de Ferrari.
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### Titolo: Madonna in trono col Bambino e san Giovannino. ### Introduzione: La Madonna in trono col Bambino e san Giovannino è un olio su tavola (205x145 cm) di Nicola Moietta, datato 1521 e conservato nella ella Pinacoteca civica di Caravaggio, in Lombardia. ### Descrizione e stile. L'opera rappresenta la Madonna su di un trono, assieme al Bambino e a san Giovannino; i tre sono circondati da san Francesco, san Gerolamo, santa Elisabetta e un devoto. La loggia in primo piano si apre prospetticamente su un retrostante paesaggio fluviale; sullo sfondo si intravedono alcune montagne. Viceversa, lo spazio in cui sono costrette le figure sacre è relativamente piatto e di scarsa profondità; i personaggi sono atteggiati in un contrappunto classico, dalla simmetria esasperata. Gli stessi colori sono puri e privi di cangiantismi. Risulta notevole la precisione miniaturistica delle figure visibili sullo sfondo, realizzate in punta di pennello e forse riferibili alla famiglia donatrice, i Secco d'Aragona. La struttura architettonica del portico, che appare molto alto rispetto al piano della base, è caratteristico dei dipinti lombardi della prima metà del XVI secolo, e richiama in particolar modo lo stile di Bernardino Zenale.
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### Titolo: Trittico del Giardino delle delizie. ### Introduzione: Il Giardino delle delizie (o Il Millennio) è un trittico a olio su tavola (220×389 cm) di Hieronymus Bosch, databile al 1480-1490 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid. È ritenuto il capolavoro di Bosch e la sua opera più ambiziosa. In nessun altro lavoro Bosch raggiunse un tale livello di complessità, sia per i significati simbolici che per la vivida immaginazione espositiva. L'opera rappresenta numerose scene bibliche e ha probabilmente lo scopo di descrivere la storia dell'umanità attraverso la dottrina cristiana medievale. Il trittico è formato da un pannello centrale di forma pressoché quadrata al quale sono accostate due ali rettangolari richiudibili su di esso; una volta piegate, mostrano una rappresentazione della Terra durante la Creazione. Le tre scene del trittico aperto sono probabilmente da analizzare in ordine cronologico da sinistra verso destra, per quanto non vi sia la certezza di questa lettura. Il pannello di sinistra rappresenta Dio quale perno dell'incontro tra Adamo ed Eva; quello centrale è una vasta veduta fantastica di figure nude, animali immaginari, frutti di grandi dimensioni e formazioni rocciose; quello di destra è invece una visione dell'Inferno e rappresenta i tormenti della dannazione. Gli studiosi hanno spesso interpretato l'opera come un ammonimento agli uomini sui pericoli delle tentazioni; nonostante ciò, l'intricato mescolarsi di figure simboliche, in particolare nel pannello centrale, ha portato nel corso dei secoli a numerose altre interpretazioni e ancora ci si divide tra chi crede che il pannello centrale contenga un insegnamento morale per l'uomo e chi lo considera una veduta del paradiso perduto. ### Descrizione e stile.
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### Titolo: Principe Carlo (Peake). ### Introduzione: Principe Carlo (o Prince Charles) è un ritratto del 1613 di Robert Peake il Vecchio. ### Descrizione. Carlo I è ritratto a dodici anni: il ritratto fu commissionato dai membri dell'Università di Cambridge per ricordare la visita di Carlo ad essa il 3 e 4 marzo di quell'anno. Per il 1613 suo fratello maggiore Enrico Stuart era appena morto da pochi mesi e Carlo era diventato il nuovo erede al trono. Il ritratto è quindi praticamente il primo - se non uno dei primi - di lui raffigurato come erede al trono, sebbene lo schema compositivo riprenda quello dei ritratti realizzati negli anni precedenti.