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@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Argo (nave).\n### Descrizione: Argo (in greco antico: Ἀργώ?, Argṓ), nella mitologia greca, era la nave che portò Giasone e gli Argonauti alla conquista del vello d'oro.\n\nMito.\nLa nave fu costruita dal carpentiere Argo di Tespi, che le diede il nome, e il suo equipaggio era protetto dalla dea Era. La principale fonte che ci ha trasmesso questo mito è Le Argonautiche di Apollonio Rodio.\nAlcune versioni del mito tramandano come Argo fosse stata progettata o costruita con l'aiuto di Atena. Secondo altre versioni questa nave conteneva nella sua prua un frammento di legno magico proveniente dalla foresta di Dodona che poteva parlare e fornire profezie.\nDopo il viaggio, Argo venne consacrata a Poseidone nell'istmo di Corinto. Venne quindi trasportata in cielo e trasformata nella costellazione della Nave Argo.\nDiversi autori dell'antichità (Apollonio Rodio, Plinio, Filostefano) discussero dell'ipotetica forma della nave. Veniva in genere immaginata come una nave da guerra greca, una galera che, con i suoi circa cinquanta rematori, doveva appartenere alla classe pentecontera. Gli autori ipotizzarono che fosse anche la prima nave di questo tipo che avesse intrapreso un viaggio in alto mare.Oggi la nave viene identificata come una piroga monossile, ovvero ricavata da un solo tronco colossale, proveniente secondo la mitologia dall'ultimo albero della sua razza, che si trovava sul Monte Ossa e venne abbattuto, sagomato e scavato all'interno con zappa e fuoco fino a formare un affusolato guscio impenetrabile spinto da cinquanta eroi.\n\nEtimologia.\nGli autori antichi erano divisi sulle origini del nome dato alla nave. Alcuni lo riconducono al nome del suo costruttore, Argo, figlio di Frisso; altri la vedono come una dedica dell'autore ad Argo, il cane appartenuto, secondo Omero, all'eroe Greco Odisseo (Ulisse), altri ancora alla parola greca αργός, 'rapida', a sottolinearne la leggerezza; altri alla città di Argo, dove sarebbe stata costruita; altri ancora alle Argive, che vi salirono a bordo, secondo il distico citato dallo statista dell'antica Roma Cicerone nel suo primo Tuscolano.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Argo di Tespi.\n### Descrizione: Argo (in greco antico: Ἄργος?, Árgos) è un personaggio della mitologia greca, Argonauta e costruttore della nave Argo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Arestore secondo Apollonio Rodio, di Polibo (o Danao) ed Argia secondo Igino.\n\nMitologia.\nLa nave.\nFu un grande costruttore di navi dell'epoca e quando Giasone gli chiese di fabbricarne una con cinquanta remi si mise al lavoro nel cantiere a Pagase utilizzando del vecchio legno del monte Pelio.\nGrazie all'aiuto di Atena la nave fu presto completata.\n\nLe avventure degli Argonauti.\nDurante le avventure degli argonauti i Colchi, avvertiti dai sacerdoti di Ares dell'intrusione, ferirono in battaglia diversi eroi, fra cui lo stesso Argo, in seguito guarito grazie all'aiuto dei filtri magici di Medea.\nÈ stato anche il costruttore di una statua in legno dedicata ad Era ed oggetto di culto a Tirinto.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Argonauti.\n### Descrizione: Gli Argonauti (in greco antico: Ἀργοναῦται?, Argonáutai) furono un mitologico gruppo di circa 50 eroi che, sotto la guida di Giasone, diede vita a una delle più note e affascinanti narrazioni della mitologia greca: l'avventuroso viaggio a bordo della nave Argo, che li condurrà nelle ostili terre della Colchide alla riconquista del vello d'oro.Gli eroi erano accorsi alla chiamata degli araldi inviati in tutta la Grecia per organizzare la spedizione che Pelia, re di Iolco, aveva imposto a Giasone, figlio di suo fratello Esone.\nPelia, infatti, era diventato re di Iolco dopo avere usurpato il trono a suo fratello Esone, legittimo erede al trono, da lui fatto imprigionare insieme al resto della famiglia. Giasone accettò l'insidiosa richiesta alla sola condizione che, in caso di successo, Pelia avrebbe liberato i suoi cari.\n\nIl mito.\nIl vello d'oro.\nUn tempo, a causa di un oracolo ingannevole, Atamante l'Eolio, re di Beozia, era stato in procinto di sacrificare Frisso, il figlio avuto da Nefele. In lacrime, avrebbe adempiuto ciecamente al verdetto oracolare se non fosse apparso Eracle a distoglierlo dal gesto, convincendolo dell'avversione che suo padre Zeus provava per i sacrifici umani. In seguito Ermes, per ordine di Era o di Zeus, inviò dal cielo Crisomallo, un ariete alato dal vello interamente d'oro. L'animale magico, giunto al cospetto di Frisso, iniziò a parlargli, ordinandogli di montargli in groppa. Il ragazzo accettò l'invito e volò in questo modo verso la Colchide dove, una volta giunto, sacrificò l'animale. Il vello d'oro rimase intatto e fu tenuto in conto come un grande tesoro dagli abitanti del luogo.\n\nGli Oracoli di Pelia.\nIl primo oracolo.\nPelia, figlio naturale di Poseidone, divenne re alla morte di suo padre adottivo Creteo, nonostante il legittimo erede fosse suo fratello Esone. Avvisato da un oracolo che un discendente di Eolo lo avrebbe ucciso, fece sterminare chiunque avesse un rapporto di discendenza con il dio dei venti: tutti tranne Esone, che nel frattempo aveva avuto un figlio di nome Giasone. Il bambino fu segretamente trasportato fuori dal palazzo e affidato al centauro Chirone, che lo allevò.\n\nIl secondo oracolo.\nUn altro oracolo mise in guardia Pelia dall'incontro con un giovane che avesse ai piedi un solo calzare.\nTempo dopo gli capitò infatti di incontrare su una spiaggia un giovane, alto e armato di due lance, con un solo piede calzato: si trattava proprio di Giasone, che aveva perso un sandalo aiutando pietosamente una vecchina a guadare le acque fangose del fiume Anauro. Sotto le vesti di quella povera vecchia che, fino all'arrivo di Giasone, aveva inutilmente chiesto aiuto ai viandanti, si nascondeva in realtà una teofania di Era; la moglie di Zeus, continuamente trascurata da Pelia, fu a lui sempre avversa.\nAlla vista di quel giovane il re lo interrogò chiedendogli quale fosse il suo nome e chi fosse suo padre e il giovane gli rispose con franchezza; al che il sovrano gli chiese come si sarebbe comportato se un oracolo gli avesse predetto che un proprio concittadino stesse per ucciderlo. Giasone, ispirato da Era, rispose che avrebbe inviato quell'uomo nella Colchide, alla ricerca del vello d'oro.Ma quando riconobbe nel suo interlocutore l'usurpatore, Giasone gli chiese di restituirgli il trono; il re gli rispose ponendogli una condizione: prima avrebbe dovuto salvare il regno da una maledizione.\n\nL'incarico.\nPelia gli narrò così di essere tormentato dall'ombra di Frisso, fuggito tempo addietro da Orcomeno e a cui mai era stata data degna sepoltura. Pelia aggiunse che, secondo un oracolo, la loro terra sarebbe rimasta sempre povera fino a quando non fosse stato riportato in patria il vello d'oro, custode dell'anima di Frisso. Promise a Giasone che, se questi avesse accettato l'incarico, gli avrebbe restituito il trono non appena l'eroe fosse ritornato con il vello.\nGiasone inviò araldi in tutte le terre dell'Ellade a chiedere aiuto, ma poi, indeciso sul da farsi, si rivolse all'oracolo di Castalia, che gli suggerì di partire al più presto con una nave. La nave fu costruita e la stessa Atena ne ornò la prua con una polena apotropaica.\n\nPartecipanti.\nMolte sono le liste tramandate degli eroi che presero parte all'impresa. Nelle fonti più autorevoli troviamo:.\nAcasto, figlio di Pelia.\nAdmeto, principe di Fere.\nAnceo il Grande di Tegea, figlio di Posidone.\nAnceo il piccolo, il Lelego di Samo.\nAnfirao, il veggente argivo.\nArgo di Tespi, costruttore della nave Argo.\nAscalafo di Orcomeno, figlio di Ares.\nAsterio, figlio di Comete, un Pelopide.\nAtalanta di Calidone, vergine cacciatrice.\nAttore, figlio di Ippaso, da Pellene.\nAugia, figlio di re Forbante di Elide.\nBute, di Atene, apicoltore.\nCalaide, l'alato figlio di Borea.\nCanto l'Eubeo.\nCastore, lottatore spartano, uno dei Dioscuri.\nCefeo, figlio dell'Arcade Aleo,.\nCeneo il Lapita, che un tempo fu donna.\nCorono il Lapita, di Girtone in Tessaglia.\nEchione, figlio di Ermes, l'araldo.\nEracle di Tirinto.\nErgino di Mileto.\nEufemo di Tenaro, il lottatore.\nEurialo, figlio di Mecisteo, uno degli Epigoni.\nEuridamante il Dolopio, del lago Siniade.\nFalero, l'arciere Ateniese.\nFano, il figlio cretese di Dioniso.\nGiasone, il capo della spedizione.\nIdas, figlio di Afareo di Messene.\nIdmone l'Argivo, figlio di Apollo.\nIficle, figlio di Testio l'Etolo.\nIfito, fratello di re Euristeo di Micene.\nIla il Driope, scudiero di Eracle.\nLaerte, figlio di Acrisio l'Argivo, futuro padre di Odisseo (Ulisse).\nLinceo, fratello di Idas.\nMelampo di Pilo, figlio di Amitaone.\nMeleagro il Calidone.\nMopso il Lapita.\nNauplio l'Argivo, figlio di Posidone, famoso navigatore.\nOileo il Locrese, futuro padre di Aiace d'Oileo.\nOrfeo, il poeta Tracio.\nPalemone, figlio di Efesto, un Etolo.\nPeante, figlio di Taumaco il Magnesio.\nPeleo il Mirmidone, padre di Achille.\nPeneleo, figlio di Ippalcimo, il Beota.\nPericlimeno di Pilo, figlio di Neleo.\nPiritoo, Re dei Lapiti, figlio di Issione,.\nPolluce, pugile spartano, uno dei Dioscuri.\nPolifemo, figlio di Elato, l'Arcade.\nStafilo, fratello di Fano.\nTelamone, fratello di Peleo, futuro padre di Aiace Telamonio.\nTeseo, figlio del re Egeo l'ateniese.\nTifi il timoniere, di Sife in Beozia.\nZete, fratello di CalaideGiasone desiderava portare con sé uno dei figli di Pelia, onde evitare che il re indirizzasse le sue maledizioni sul viaggio della nave Argo. Per questo Giasone si recò a reclutare il prode Acasto, uno dei figli del re; ma fu lo stesso Acasto, desideroso di partire per l'avventura, a proporsi a Giasone, andandogli incontro e salutandolo come 'fratello'.\n\nAltri partecipanti.\nApollonio Rodio.\nLe Argonautiche aggiungono altri personaggi alla spedizione:.\n\nAnfidamante.\nAreio.\nClizio.\nErito.\nEulide.\nEurobote.\nFleias.\nLaocoonte.\nLeodoco.\nMenezio.\nTalao.\n\nPseudo-Apollodoro.\nAutolico.\nIalmeno.\nLeito, figlio di Alettore.\nPoias.\n\nArgonautiche orfiche.\nAttoride.\nEneio.\nErito.\nEtalide, altro nome di Echione.\nEuritone.\nLaodoco.\n\nIgino.\nNelle favole ritroviamo:.\n\nAgriamone, figlia di Perseone.\nDeucalione.\nFilottete.\nFoco.\nNeleo.\nPriaso, figlio di Ceneo.\nTeseo.\n\nIl viaggio.\nLa partenza.\nA comando della spedizione fu inizialmente proposto Eracle, in virtù della sua fama, ma il semidio rifiutò e propose la candidatura di Giasone che, benché giovane e inesperto, aveva organizzato il viaggio. Appena la nave ebbe preso il largo, gli Argonauti sacrificarono due buoi ad Apollo, per propiziarsi il viaggio. Mentre il fumo si alzava nel cielo gli Argonauti fecero festa; inebriati e resi violenti dal vino, gli eroi avrebbero sicuramente compromesso l'esito del viaggio, se non fosse intervenuto Orfeo che placò gli animi dei compagni con il dolce suono della sua lira.\n\nL'isola di Lemno.\nLa prima isola che gli Argonauti incontrarono lungo il viaggio fu Lemno, abitata da sole donne; queste, abili guerriere, erano state vittime di una maledizione di Afrodite, che le aveva indotte a sterminare tutti i loro uomini. Appena avvistarono l'imbarcazione decisero di attaccarla, pensando che fosse una nave nemica. Giasone decise allora di inviare come ambasciatore Echione che, con un bastone alla mano, riuscì a dissuaderle guadagnandosene l'ospitalità. Gli Argonauti furono quindi ben accolti dalle donne, che vollero giacere con loro per procreare una stirpe di eroi. Ipsipile offrì a Giasone il trono del piccolo regno, mentendogli sulle circostanze che avvolgevano la scomparsa degli uomini nell'isola, ma Giasone rifiutò, ricordandole lo scopo del suo viaggio, la conquista del vello d'oro.\nErgino, preso in giro dalle donne per la sua canizie, sfidò e vinse nei giochi Calaide e Zete, i due velocissimi figli di Borea, affermando poi che anche ai giovani crescono capelli grigi prima del tempo.In quelle notti furono concepiti molti figli, ma alla fine Eracle, stanco di restare solo a guardia alla nave, richiamò tutti gli Argonauti e li obbligò a riprendere il viaggio. Gli eroi partirono alla volta della Samotracia.\n\nRe Cizico.\nRipreso il viaggio, gli Argonauti si trovarono ad affrontare il terribile passaggio attraverso l'Ellesponto, sapendo che il re troiano Laomedonte non permetteva il libero transito alle navi greche. Attesero quindi la notte per costeggiare lentamente la Tracia, avvicinarsi al mar di Marmara e sbarcare su una penisola chiamata Arto.\nIl giovanissimo re dei Dolioni Cizico, figlio di Eneo, li accolse come eroi, invitandoli alla sua festa nuziale che si sarebbe celebrata di lì a poco. Nella notte gli Argonauti furono svegliati dall'attacco di giganti a sei braccia figli della terra, ma riuscirono ad avere la meglio.\nDopo avere consacrato la loro ancora ad Atena, partirono per il Bosforo, ma una tempesta li fece deviare e approdare su una buia spiaggia, dove furono assaliti da guerrieri bene armati. Gli Argonauti ancora una volta vinsero la battaglia, ma ben presto scoprirono chi erano i loro avversari: la sorte li aveva riportati sulla penisola di Arto contrapponendoli inconsapevolmente con i loro ospiti in uno scontro armato; e riconobbero tra gli altri i corpi senza vita dello stesso re e di Artace, il più noto dei suoi sudditi, grandissimo guerriero ed eroe.Nel dispiacere generale si celebrarono i riti funebri, durante i quali, all'improvviso, giunse un alcione che si poggiò sulla prua di Argo. Mopso, che aveva il dono di sapere interpretare i presagi, capì che quell'uccello era inviato da Gea, la dea della terra, quale segno della sua offesa per la sorte subita dai giganti a sei braccia, suoi figli. Gli eroi prima di riprendere il viaggio, eressero un simulacro della dea per placarne l'ira.\n\nSulle rive del fiume Chio.\nDurante questa parte del viaggio, gli Argonauti decisero di sfidarsi in una gara di resistenza: avrebbe vinto chi fosse riuscito a vogare più a lungo. Ben presto rimasero solo Giasone, Eracle e i Dioscuri. Giunti alla foce del fiume Chio anche i Dioscuri cedettero; Giasone svenne ed Eracle ruppe il remo. Decisero allora che era tempo di una pausa. Approdati su di un'isola, Eracle si allontanò andando in cerca di un nuovo remo; quando risalì sulla nave gli fu riferito che Ila, suo scudiero e amante, andato in cerca di acqua, non aveva ancora fatto ritorno. L'eroe si allontanò sulla spiaggia, seguito a breve da Polifemo, lanciandosi alla disperata ricerca del ragazzo. Ma la generosità dei due eroi era destinata all'insuccesso: il ragazzo era stato stregato da alcune ninfe che, invaghitesi di lui, lo imprigionarono per l'eternità. Il mattino seguente la giornata si presentava così ventilata che Giasone decise di fare vela senza i compagni perduti. Inutili furono le proteste di alcuni così come i tentativi di convincere Tifide a cambiare rotta, ma Giasone - appoggiato da Calaide e Zete - fu irremovibile.\nProseguendo il viaggio raggiunsero l'isola di Bebrico, dove regnava un re di nome Amico; figlio di Poseidone, che si vantava di essere un buon pugile. Egli volle mettere alla prova gli Argonauti, sfidando Polluce, il migliore tra loro. Fu il dioscuro a uscire vincitore, uccidendo l'avversario e scatenando la furia del popolo. Gli Argonauti ebbero facile sopravvento sulla folla inferocita e poterono saccheggiare il palazzo reale; poi, offerti in sacrificio venti tori per ingraziarsi Poseidone, ripresero l'avventura sul mare.\nUna volta giunti sul promontorio di Salmidesso, gli eroi incontrarono il figlio di Agenore, Fineo tormentato dalle Arpie. Calaide e Zete, figli del vento, poterono spiccare il volo e respingere i due mostri. Il re, per ricompensarli, profetizzò sul loro viaggio consigliando loro la rotta più sicura.\n\nSeguendo i consigli di Fineo.\nTutte le navi dirette verso il Bosforo dovevano fare i conti con le insidie delle rocce nascoste nella nebbia eterna, che puntualmente le faceva affondare. Tuttavia Eufemo, seguendo il consiglio di Fineo, fece volare una colomba: gli Argonauti la seguirono e, incoraggiati da Atena e dal suono della lira di Orfeo, riuscirono a evitare gli scogli. Dopo avere costeggiato la sponda meridionale, giunsero nell'isola di Tinia dove ebbero l'apparizione del divino Apollo, che mostrò rispetto per la loro avventura.\nArrivarono in seguito all'isola di Mariandine, dove dopo avere ricevuto l'avviso di Dimante a riguardo di Amico e averlo sconfitto, il re Lico, felice per la morte del suo rivale (Amico) offrì loro, in segno di gratitudine, suo figlio Dascilo come guida. Il giorno dopo gli Argonauti, in procinto di salire sulla nave, furono assaliti da un enorme cinghiale, che ferì Idmone alle gambe, affondandogli le zanne nella carne. Ida giunse in soccorso e uccise la bestia con la lancia, ma l'emorragia di Idmone risultò impossibile da arrestare. L'eroe morì dissanguato e gli Argonauti lo piansero a lungo.Tifide, che fino allora era stato il nocchiero, si ammalò e morì poco dopo lasciando la guida della nave ad Anceo il grande, che in quel ruolo si rivelerà la scelta migliore. Giasone, di fronte alla decimazione dei suoi uomini decise di fare una breve sosta a Sinope, in Paflagonia, la città che doveva il suo nome alla figlia di Asopo. Qui il comandante scelse tre nuovi membri, i fratelli Deileonte, Autolico e Flogio, vecchi amici di Eracle.Nuovamente in viaggio, gli Argonauti passarono accanto al paese dei Tibareni, un popolo che si distingueva per una singolare caratteristica: durante il parto, i mariti erano in preda alle doglie allo stesso modo delle consorti.\n\nL'isola di Ares.\nGli Argonauti arrivarono poi davanti alla piccola isola di Dia, sacra ad Ares, il dio della guerra. Subito stormi di uccelli si levarono da quel luogo infausto e attaccarono la nave. Questi uccelli combattevano alla loro particolare maniera, scagliando le proprie piume sugli avversari; fu in questo modo che Oileo rimase ferito alla spalla. Gli Argonauti si ricordarono allora dei consigli di Fineo, e di come questi aveva riferito dell'avversione di questi animali al rumore: indossati gli elmi dispersero lo stormo rivolgendo agli uccelli urla possenti. Metà di loro si diede a remare mentre gli altri li proteggevano sollevando gli scudi, e con il clangore che ottenevano percuotendone la superficie con le spade.Seguendo ancora i consigli del re sbarcarono sull'isola e misero in fuga ogni creatura mostruosa vi si nascondesse. Si scatenò quindi un violento nubifragio; al cospetto degli Argonauti apparve una piccola imbarcazione su cui erano quattro naufraghi, Citissoro, Argeo, Frontide e Melanione (o Mela), i figli di Frisso e di Calciope. Gli Argonauti furono ben lieti di trarli in salvo, e di cooptarli nella spedizione. Arrivati tutti insieme alla foce del fiume Fasi, che bagna la Colchide, Giasone convocò un'assemblea per decidere come recuperare il vello.\n\nLa conquista del Vello d'oro.\nGiasone dichiarò subito le sue intenzioni: accompagnato dai figli di Frisso, intendeva recarsi nella città di Ea, su cui regnava Eete, per rivendicare, con maniere gentili, il prezioso oggetto. Solo al rifiuto di Eete avrebbero attaccato battaglia. La proposta fu accolta con un applauso; a Giasone volle unirsi Augia, un fratellastro di Eete, convinto di potere avere un ruolo. Il gruppo avanzò attraverso il cimitero di Circe, dove si presentò ai loro occhi lo spettacolo dei cadaveri esposti sulle cime dei salici (l'usanza del luogo riservava la sepoltura alle sole donne, mentre i corpi dei maschi erano lasciati alla mercé degli uccelli).\n\nL'incontro con Calciope.\nMentre si avvicinava al palazzo, a Giasone apparve Calciope, moglie del defunto Frisso; ella era, con Medea, una delle figlie che Eete aveva avuto dalla prima moglie, la defunta ninfa Aterodea. Calciope, udendo la storia del salvataggio dei suoi figli, ringraziò il comandante.\nSopraggiunse allora Eete, che si infuriò nello scoprire che gli Argonauti avevano infranto il divieto imposto da Laomedonte. Chiese allora al suo nipote prediletto, Argeo, di spiegare il motivo di quella visita. Il ragazzo, senza perdersi d'animo, raccontò la storia del viaggio degli Argonauti, narrando anche di come fosse stato tratto in salvo dal naufragio insieme ai suoi fratelli.Ma Eete, cui un oracolo aveva predetto la fine del suo regno se il vello d'oro fosse stato sottratto, per tutta risposta si infuriò, burlandosi del comandante e dei suoi compagni. Disconobbe Augia come fratello e ordinò agli intrusi di fare ritorno ai loro luoghi d'origine, minacciandoli di torture se fossero rimasti.\nGiasone non rispose alla collera con l'ira: i suoi modi furono tanto educati che Eete quasi cambiò idea. Volle contrattare, ma le sue condizioni rimasero inaccettabili.\n\nLe condizioni di Eete.\nPer recuperare il vello d'oro Giasone avrebbe infatti dovuto:.\naggiogare all'aratro due feroci tori dagli zoccoli di bronzo e dalle narici fiammeggianti; fiere bestie di proprietà di Efesto, il dio dell'ingegno;.\ntracciare quattro solchi nel terreno chiamato Campo di Marte e seminarci dei denti di drago: quelli, pochi e perduti, che Cadmo aveva seminato tempo addietro a Tebe.Nell'udire le condizioni Giasone rabbrividì, ma in suo aiuto intervenne il favore degli dei: Eros, il dio dell'amore, fece sì che Medea si innamorasse del giovane comandante.\nIl dio era in realtà mosso da interessi personali, spinto dalla madre Afrodite ad agire per ottenere in cambio la pietra lucente che desiderava. La dea era in combutta con altre due divinità, Era e Atena, e insieme avevano cospirato alle spalle della ragazza.Medea a lungo cercò di contrastare quel sentimento affiorato così all'improvviso, chiedendosi il perché di tanto interesse verso una persona conosciuta da poco. Alla fine la donna, comprendendo che le prove imposte a Giasone l'avrebbero condotto a morte certa si risolse ad aiutarlo, convinta che se avesse agito diversamente sarebbe stata fredda come una pietra.Calciope intanto cercò l'appoggio di sua sorella e quando scoprì l'amore di lei per Giasone colse l'occasione e fece da tramite fra i due. Medea decise di aiutare Giasone, ma in cambio voleva diventare sua sposa.\n\nLa prova di Giasone.\nLa principessa, abile maga, diede al suo amato una pozione nella quale era infuso il sangue di Prometeo, fautore dell'emancipazione del genere umano, che lo avrebbe protetto dal fuoco dei due tori.\nArrivato il giorno atteso per la prova, molti erano gli spettatori che si riunirono per assistere all'evento, fra cui lo stesso re. I tori bruciavano l'erba con il fuoco; puntandolo con le loro corna d'acciaio, andarono incontro al figlio di Esone ma l'eroe, grazie alle arti magiche di Medea, non soffriva il calore. Giasone con grande fatica riuscì a domare le bestie e, soggiogatele, le costrinse ad arare per tutto il giorno.A notte iniziò a seminare i denti del drago, da ciascuno dei quali spuntò dalla terra.\nun guerriero; alla fine si formò un esercito che si rivolse contro di lui. Medea lanciò un altro potente incantesimo grazie al quale Giasone scagliò in mezzo a loro un enorme masso, creando una nube di polvere e molta confusione. I guerrieri iniziarono a uccidersi fra loro e continuarono a farlo fino a quando Giasone non ebbe eliminato personalmente i pochi sopravvissuti, superando così la prova.\n\nIl drago custode del vello d'oro.\nAnche se Giasone aveva superato queste prove impossibili, il re Eete si rimangiò la parola data, minacciando di dare fuoco alla nave Argo e di ucciderne l'equipaggio. Allora Medea guidò Giasone al luogo dove il vello era nascosto. Un enorme drago, immortale e dalle mille spire, faceva da guardia al tesoro. Il mostro, lungo più della loro nave, era figlio di Tifone, un gigante che in passato era stato ucciso a fatica da Zeus. Medea fece sfoggio di vari incantesimi, grazie ai quali riuscì ad ammaliare il drago fino a farlo addormentare. Giasone, approfittando del momento, staccò dai rami della quercia il vello d'oro e lo portò con sé nella fuga.\nIntanto, i sacerdoti di Ares avevano dato l'allarme e i Colchi erano scesi in battaglia contro gli Argonauti, ferendo Ifito, Argo, Atalanta, Meleagro e anche il loro comandante. Medea curò tutti con i suoi filtri magici, ma non fece in tempo a completare l'opera, tanto che Ifito morì comunque per le ferite ricevute.\n\nIl ritorno.\nDurante il ritorno, seguendo un altro dei saggi consigli di Fineo, gli Argonauti, inseguiti dalle galere di Eete, navigarono attorno al Mar Nero nel senso contrario al giro del sole.\nUna delle versioni riporta che, quando Eete raggiunse Giasone e i compagni alla foce del Danubio, Medea prese il piccolo Apsirto, il fratellastro che aveva portato come ostaggio, e lo fece a pezzi, gettandone i pezzi in mare. Eete, inorridito di fronte a tale orrore, costrinse le navi inseguitrici a fermarsi presso Tomi, per recuperare i brandelli del figlio dilaniato. Secondo altri autori, invece, Giasone riuscì a uccidere anche Eete.Secondo la versione più dettagliata, Apsirto, qui presentato come un giovane uomo, inseguì Giasone per ordine di suo padre, mentre gli Argonauti giunsero in un'isola sacra ad Artemide. Qui, una volta sbarcati, avrebbero aspettato il giudizio del re dei Brigi. Medea, che non voleva per alcun motivo essere abbandonata, inviò segretamente un messaggio al fratellastro, sostenendo di essere trattenuta con la forza e supplicandolo di venire a salvarla. La sera stessa Apsirto scese sull'isola, dove fu inseguito e colpito alle spalle da Giasone. Per evitare di essere perseguitato dalla sua ombra, leccò e sputò immediatamente alcune gocce del suo sangue e amputò gli arti del ragazzo. Quando Medea tornò sulla nave, gli Argonauti scesero in battaglia contro i soldati che, senza un comandante, fuggirono impauriti.\n\nLa rotta del ritorno.\nDopo la morte di Apsirto, gli Argonauti furono liberi di affrontare la rotta che li avrebbe ricondotti a casa. Fra i mitografi antichi e moderni non vi è accordo sulla rotta intrapresa:.\n\nalcuni affermano che invertirono la rotta passando per l'Oceano Indiano, entrando poi nel Mediterraneo dal lago Tritoni;.\naltri sostengono che la nave risalì il Danubio, per poi passare al Po, scendendo quindi fino all'Adriatico;.\naltri ancora raccontano che, risalito il Danubio, giunsero all'isola di Circe, passando per il Po e per il Rodano;.\naltri narrano che risalirono il Don e poi trasportarono l'Argo fino alle acque di un fiume che sfocia nel Golfo di Finlandia;.\naltri, infine, raccontano che, percorsi il Danubio e l'Elba, raggiunsero lo Jutland. Una volta giunti in quelle terre si diressero verso l'oceano a occidente, arrivando fino all'Irlanda e poi, superando le colonne d'Ercole, arrivarono all'isola di Circe.Tutte queste rotte sono frutto della fervida fantasia dei mitografi, ma in realtà impossibili da seguire: la nave Argo, probabilmente, ritornò semplicemente da dove era venuta, dal Bosforo superando l'Ellesponto senza però incontrare le difficoltà della prima volta visto che Eracle nel frattempo aveva attaccato e distrutto l'intera flotta troiana per poi giungere fino alla città, dove uccise Laomedonte e mise al suo posto l'ultimo dei suoi figli, Priamo (chiamato anche Podarce).\n\nMedea e Giasone.\nLa polena della nave, che aveva poteri oracolari, sentenziò che Giasone e Medea dovevano purificarsi per i delitti commessi. I due scesero dalla nave e andarono incontro alla zia di Medea, Circe, anch'essa maga. La donna, pur non avendo alcuna intenzione di intervenire, li purificò usando sangue di scrofa.\nNel frattempo i Colchi riuscirono a scoprire dove Giasone si nascondeva.\nUna volta arrivati a Corcira, a quei tempi chiamata Drepane, i Colchi si recarono dai regnanti locali, il re Alcinoo e sua moglie Areta. Reclamarono sia il vello che la testa di Giasone, ma il re decise di porre una condizione, che sarebbe stata riferita soltanto il giorno dopo. Areta, ormai amica di Medea, tenne sveglio il consorte tutta la notte, fino a farsi rivelare quale fosse la condizione per liberare, il giorno seguente, la sua amica Medea.\nLa condizione era che Medea fosse ancora vergine. Areta subito avvertì la donna di questo e Giasone sposò la strega la notte stessa nella grotta di Macride. Gli Argonauti banchettarono e il vello d'oro fu messo ai piedi dei due sposi. Il mattino seguente Alcinoo fece il suo proclama ma si sentì rispondere da Giasone che Medea era già sua sposa. I Colchi allora non poterono più eseguire gli ordini imposti e neanche tornare in patria; essi vagarono fondando nuove città. Solo un paio d'anni dopo Eete seppe tutta la verità.\n\nLa fine del viaggio.\nGiasone continuò il suo viaggio, fino a raggiungere l'isola delle Sirene. Gli Argonauti poterono udire il loro canto, ma la fatale melodia fu vinta da un suono ancora più dolce, quello della lira di Orfeo. Il solo Bute, incantato comunque dalle Sirene, non riuscì a resistere e cercò di raggiungerle gettandosi a mare. La sua morte sarebbe stata certa se Afrodite, obbedendo a un capriccio, non lo avesse salvato e portato con sé.\nGli eroi costeggiarono poi la Sicilia, dove videro Elio pascolare il suo favoloso gregge, ma riuscirono a tenere a freno i loro desideri e passarono oltre.\n\nAvventure nel deserto.\nAll'improvviso una forte burrasca travolse gli eroi, sollevando l'intera nave e gettandola contro le rocce della costa libica dove un deserto senza fine si parò davanti a loro. Stavano per perdere ogni speranza quando la triplice dea Libia apparve in sogno a Giasone. Rincuorato, il comandante decise di recuperare la nave e, sollevando e trasportando a spalla tutti insieme l'imbarcazione, in dodici giorni riuscirono a giungere fino al lago Tritonide. Durante questo lungo periodo scamparono alla sete solo grazie al ritrovamento della sorgente che Eracle aveva fatto scaturire in una delle sue fatiche.\nDurante il trasporto della nave, Canto, uno degli eroi, vide il gregge di Cafauro e, non riuscendo a resistere alla fame, cercò di rubare qualche capo; il pastore lo scoprì e infuriato lo uccise. Subito gli Argonauti lo vendicarono.\nDurante la cerimonia di sepoltura del loro amico, accadde a Mopso di venir morso al tallone da un serpente; una nebbia calò sui suoi occhi, atroci dolori si diffusero lungo il corpo, i capelli caddero e alla fine spirò. Gli Argonauti, celebrati anche i riti funebri per la scomparsa di Mopso, tornarono alla ricerca del lago.\nGiasone portava con sé due tripodi di bronzo avuti in dono dall'oracolo della Pizia. Grazie al consiglio di Orfeo, il comandante decise di offrirne uno alle divinità locali. Subito apparve Tritone che prese per sé il tripode; prima che potesse fare ritorno laddove era venuto, Eufemo, preso coraggio, gli si parò innanzi chiedendogli quale via portasse al Mediterraneo. Tritone in risposta gli donò una zolla di terra che avrebbe reso lui e i suoi discendenti sovrani di Libia, e quindi trascinò la nave degli Argonauti fino al mare.\n\nVerso casa.\nRipresa la navigazione gli Argonauti cercarono di avvicinarsi a Creta dove faceva buona guardia Talo, la sentinella di bronzo opera di Efesto. L'automa, non appena avvistò la nave, iniziò a bersagliare l'equipaggio con pietre, ma Medea ingannò il mostro e lo addormentò con una pozione. La strega si avvicinò poi al gigante e tolse il chiodo che turava la sua unica vena, facendolo morire dissanguato.Secondo altre versioni, invece, il gigante incantato dagli occhi della donna barcollò fino a ferirsi; o, secondo altre, fu ucciso da una freccia di Peante.\n\nLa morte di Esone.\nEsone, che già prima della partenza di Giasone si preoccupava per la sorte di suo figlio, della sua famiglia e del suo regno, fu rincuorato da Polimela.\n\nPoco dopo la partenza degli Argonauti, Pelia, incurante della promessa fatta a Giasone, scelse di sterminarne la famiglia. Il primo a cadere fu proprio Esone; dopo di lui il re frantumò la testa di Promaco, figlio di Esone. Polimela, disperata ma fiera, non si lasciò uccidere e scelse di morire per mano propria.\n\nLa morte di Pelia.\nUna sera di autunno gli Argonauti riuscirono ad approdare alla spiaggia di Pagase, presso Iolco, dove appresero che si era sparsa la voce della loro morte; seppero anche del massacro perpetrato da Pelia.\nUdite queste notizie, Giasone proibì a chiunque avesse visto l'attracco di parlarne; convocò quindi un consiglio nel quale tutti gli Argonauti furono d'accordo nell'uccidere il re. Ad Acasto, che non poteva certo uccidere il proprio padre, fu concesso di ritornare a casa. Molti tra gli Argonauti sostennero però l'impossibilità di compiere la vendetta, anche perché Iolco era una città molto ben munita. Di fronte al profilarsi di una rinuncia generale Medea assunse solo su se stessa l'intero compito di espugnare la città.\n\nIl piano di Medea.\nLa maga disse agli Argonauti di nascondersi in attesa di un suo cenno; trovò un simulacro cavo della dea Artemide; ordinò quindi alle sue ancelle di vestirsi in strano modo e di portarlo a turno. Medea si travestì da vecchia e, presentatasi alle porte di Iolco, offrì la fortuna di Artemide sulla città se solo le avessero aperto le porte. I guardiani non poterono rifiutare e, una volta entrate, le serve della strega ingannarono la gente inscenando finte crisi religiose.\nPelia, dubbioso, si rivolse allora alla vecchia chiedendole cosa volesse la dea da lui. La risposta fu che, se avesse creduto in Artemide e nel suo operato, avrebbe ricevuto in cambio eterna giovinezza. Il re non le volle credere e allora Medea prese un vecchio ariete, lo fece a pezzi, lo bollì e pregando la dea di assisterla e usando tutte le formule magiche a sua conoscenza, riuscì, con uno stratagemma, a fare credere che l'animale fosse ringiovanito.\nQuesto convinse il re, che si denudò e, sdraiatosi, si fece ipnotizzare. Medea chiese alle figlie del re, Alcesti, Evadne, e Anfinome, di tagliare a pezzi il proprio genitore. Dapprima rifiutarono ma la strega, usando altri inganni e piccoli incantesimi, riuscì a persuadere Evadne e Anfinome. I pezzi finirono nel calderone mentre, sempre su richiesta della finta vecchia, le due assassine agitavano delle torce: doveva essere un'invocazione rivolta alla dea luna, ma in realtà era il segnale convenuto per l'ingresso in città degli Argonauti, che poterono prendersi così la rivincita.\nGiasone, temendo la collera del figlio di Pelia, loro compagno di viaggio, non avanzò pretese sul trono: accettò l'esilio impostogli da Acasto lasciandogli anche il trono. Secondo l'antica usanza, alla morte del re furono dedicati dei giochi funebri, nei quali gli Argonauti ebbero occasione di dare prova della loro abilità, vincendo diverse prove.\n\nConfronto e note dopo le avventure.\nMolti dei reduci dall'impresa parteciparono anche alla cattura del cinghiale calidonio e alla guerra sostenuta dai Lapiti contro i centauri. Alcuni degli argonauti e molti dei loro figli, fra cui Achille e Odisseo, furono celebri eroi della guerra di Troia. Al di fuori di tali epopee gli Argonauti si incontrarono ancora e non furono mai episodi pacifici, con l'eccezione di quello che legò Atalanta e Melanione in un destino comune di innamorati. Nel caso delle duplice coppia di gemelli l'episodio che li vide ancora protagonisti fu perfino di sterminio. Dai vari racconti si comprende come il destino degli Argonauti fosse legato soprattutto a Giasone. L'episodio della morte del figlio di Zeus è l'unico collegabile alle avventure trascorse con i suoi compagni, perché sarà proprio la nave che li ha accompagnati per mille peripezie a causarne la fine.Di seguito un raffronto per ogni singolo Argonauta:.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nMolte sono le interpretazioni date al viaggio degli Argonauti. Tra le tante, spicca la rielaborazione in senso evemerista di Isaac Newton che, oltre a datarlo nel 937 a.C., lo considera il risultato di un'ambasciata greca in funzione anti-egizia, presso i coevi popoli del Mediterraneo. Guido Paduano sottolinea come Le Argonautiche di Apollonio Rodio avrebbero voluto rappresentare la più grande opera dei tempi del mito, ma fallirono in questo scopo, deludendo il lettore nell'evolversi delle vicende, affermando che la comparsa di Eracle serviva soltanto per fare vedere quanto gli altri partecipanti gli fossero inferiori, mentre Gilbert Lawall sottolinea la linea pessimistica dell'intera vicenda. Vale la pena di ricordare che questi commenti si riferiscono solo alla versione di Apollonio Rodio, non alla storia nella sua completezza.\nGiulio Guidorizzi invece individua nel recupero del vello d'oro una prova iniziatica che il ragazzo Giasone deve superare per diventare uomo.Robert Graves racconta che i partecipanti in realtà erano mercanti che dovevano stringere importanti rapporti nella regione del mar Nero, ecco il perché di molti nomi nei vari elenchi (Tzetze cita cento Argonauti), ogni città voleva un suo rappresentante per tutelare i suoi diritti nel commercio con le terre lontane. Graves inoltre esprime un giudizio comune a molti studiosi moderni, affermando che il nucleo della leggenda degli Argonauti è veramente esistito datando tale epopea nel corso del tredicesimo secolo a.C., prima della guerra di Troia.\n\nIl ruolo delle donne.\nAi tempi del mito il ruolo della donna era relegato all'idea di bellezza e di furbizia e in nessun caso si permetteva a queste di combattere. Esempio è il caso di Atalanta, unica donna tra gli Argonauti. Invece secondo alcuni autori minori si era solamente offerta di partecipare e Giasone, temendo per la reazione dei compagni, rifiutò la proposta.\n\nCenis era una bella donna che desiderava combattere e per questo venne trasformata in un uomo, lei per prima pensava che il corpo femminile fosse inadatto a combattere.\nDiversa considerazione avevano le streghe, ma in tal caso si rispettavano le arti magiche che si nascondevano dietro al loro potere, frutto di preghiere agli dei e dell'invocazione degli spiriti, non merito proprio. Per l'idea di profonda devozione e amore verso gli dei, che secondo i mitografi si nascondeva dietro a tali pratiche, le arti magiche ai tempi del mito erano quasi assoluta prerogativa delle donne.Eppure si racconta che Medea riuscì dove cinquanta uomini avevano fallito.\n\nIl ruolo degli dei.\nGli dei che sorvegliano dall'alto gli umani, in tutte le saghe eroiche, favorivano il proprio beniamino. Spesso sono loro stessi la causa di grandi avventure, come avverrà anche in altre occasioni.\nTutto iniziò per colpa di un oracolo: Era, moglie di Zeus, fu la prima a schierarsi perché Giasone fu l'unico a dare retta a lei quando aveva sembianze di una vecchia, inoltre aveva poca considerazione di Pelia che non la ricordava nei sacrifici. Andando avanti con la storia Afrodite, la dea della bellezza e Atena, dea della giustizia, all'inizio neutrali, decisero di intervenire, obbligando Medea a interessarsi a Giasone senza preoccuparsi delle tragiche conseguenze che questo loro gesto avrà in seguito, successivamente alla fine del viaggio.\n\nAntiche rivalità.\nDurante il viaggio degli Argonauti, così come nacquero molte nuove rivalità, così se ne placarono alcune, anche se solo momentaneamente:.\n\nI Dioscuri, Castore e Polluce, e gli altri due gemelli Ida e Linceo. La loro disputa iniziò prima della partenza. Durante tutto il viaggio non ci furono screzi fra loro ma, appena sbarcarono, l'odio si riaccese. Durante lo scontro finale, il solo Polluce rimase in vita.\nEracle e i due Boreadi, Calaide e Zete. Per colpa del loro comportamento durante il viaggio, Eracle li cercò a lungo fino a quando li raggiunse e li uccise.\nAnfiarao e Periclimeno. Il grande eroe Anfirao fu sconfitto proprio dall'altro Argonauta.\nAtalanta e Melanione. In questo caso si tratta di un rapporto che ha come fine lo sbocciare dell'amore fra i due, dopo una gara di corsa vinta da lui. Anche Meleagro aveva posto gli occhi sulla cacciatrice, ma tale passione sarebbe stata la causa della sua morte.\n\nIl ruolo di Eracle.\nPer rispondere alla chiamata di Giasone Eracle abbandonò le dodici fatiche, quando aveva appena compiuto la quarta, cioè dopo avere catturato il cinghiale Erimanto. Al termine della spedizione, Eracle riprese le sue prove da dove le aveva lasciate, ripulendo le stalle di uno degli Argonauti.\nSecondo alcune fonti, la sesta fatica di Eracle, quella riguardante gli uccelli stinfali, fu compiuta dagli stessi Argonauti e non da Eracle stesso.Eracle fu l'artefice del destino di molti degli eroi che presero parte al viaggio degli Argonauti. Uccise per vendetta Calaide e Zete, uccise per non avere ricevuto la ricompensa che si aspettava per la quinta fatica sia Augia che Attore, e anche Corono e Cefeo caddero per mano sua.\nPrima dell'inizio del viaggio, del resto, il semidio aveva già incontrato diversi Argonauti: aveva distrutto il regno di Ergino e per poco non lo aveva ucciso, mentre gli era sfuggito per poco Periclimeno, che cercava di vendicare i propri fratelli. Secondo alcune fonti, Eracle sarebbe stato ucciso a sua volta da uno di essi, grazie all'intervento di Peante o Filottete (citato nel novero degli Argonauti da Igino).\n\nSimilitudini e analogie.\nEsistono diversi miti simili nella mitologia celtica, fra cui le fatiche imposte a Kilhwych, l'eroe del Mabinogion. Egli vuole contrarre matrimonio con la maga Olwen, ma il padre gli impone, prima di consentire le nozze, diverse prove, affinché possa dimostrare il proprio coraggio. In particolare, queste prove appaiono molto simili a quelle sostenute da Giasone: per esempio Kilhwych deve aggiogare alcuni buoi e con essi arare un enorme campo, seminarvi il grano e raccoglierlo il giorno dopo.\nSomigliante al mito di Giasone e degli Argonauti è anche la leggenda di Peredur, figlio di Evrawc, narrata nei Mabinogion.\n\nLetteratura.\nLa storia della spedizione degli Argonauti è nota fin dai tempi dei poemi omerici: nel settimo e ventunesimo libro dell'Iliade si parla del figlio di Giasone. Il suo nome viene citato anche nel canto dodicesimo dell'Odissea. Esiodo, nella sua Teogonia, ricorda che Giasone andò a prendere Medea su ordine dello zio Pelia e che la maga gli partorì un figlio, Medeio, che fu educato da Chirone. La prima traccia della tradizione per cui Giasone fu mandato a recuperare il vello d'oro è nel poeta lirico Mimnermo, che probabilmente la raccontava per esteso. La prima trattazione giunta a noi integralmente è nella IV Pitica di Pindaro.\nIl mito degli Argonauti ispirò, successivamente, le Argonautiche di Apollonio Rodio in età ellenistica e gli Argonautica di Gaio Valerio Flacco in età flavia.\nGli Argonauti sono citati anche nel canto XXXIII de 'La Divina Commedia' di Dante, riprendendo la consuetudine medievale di indicare l'impresa come inizio della storia umana (datata 1223 a.C.).\n\nInfluenze nella cultura.\nCinema e televisione (parziale).\nNel corso dei tempi molti film e serie tv sono state dedicate al mito degli Argonauti:.\n\nThe Argonauts (1911, Stati Uniti).\nThe Argonauts of California (1916, Stati Uniti).\nArgonavtebi (Kolkheti) (1936, Unione Sovietica), cortometraggio.\nLe fatiche di Ercole (1957, Italia), regia di Pietro Francischi.\nI giganti della Tessaglia (Gli argonauti) (1960, Italia/Francia), regia di Riccardo Freda.\nGli Argonauti (Jason and the Argonauts, 1963) regia di Don Chaffey.\nGiasone e gli Argonauti (Jason and the Argonauts, 2000, Stati Uniti), regia di Nick Willing, miniserie televisiva.\nGreek Gods and Goddesses: Jason and the Argonauts, 2004, serie televisiva.\n\nVideogiochi.\nRise of the Argonauts (2008), videogioco ispirato al mito di Giasone e degli Argonauti.\n\nRadio.\nNel 1933, in Australia, è stato prodotto uno spettacolo radiofonico basato sulla storia di Giasone e gli Argonauti. The Argonauts' Club è stato trasmesso dal 1933 fino al 2 aprile 1972. L'autrice è stata Nina Murdoch.\n\nMusica.\nIl compositore austriaco Gustav Mahler attorno al 1880 scrisse un'opera, oggi perduta, intitolata Die Argonauten, ispirata da Franz Grillparzer.\nNell'album English Settlement del gruppo inglese XTC del 1982, la quarta traccia, intitolata Jason and the Argonauts e scritta da Andy Partridge, è appunto ispirata alla mitologia degli argonauti.\nPier Francesco Caletti Bruni (detto Francesco Cavalli) nel 1649 compose l'opera il Giasone (su testo di Giacinto Andrea Cicognini).
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### Titolo: Argonautica.\n### Descrizione: Gli Argonautica (Argonautiche) sono un poema epico in otto libri, opera del poeta epico di età flavia Gaio Valerio Flacco, ispirato all'omonimo poema di Apollonio Rodio già famoso presso i Romani nella versione di Publio Terenzio Varrone Atacino. L'opera di Valerio Flacco si inscrive perfettamente all'interno del clima culturale dell'età flavia, segnato dalla reazione classicistica alla letteratura epica di età neroniana, e dunque dall'abbandono del modello di Lucano e dalla ripresa delle tematiche mitiche di stampo virgiliano.\nIl mutato gusto letterario, di cui gli Argonautica sono espressione, si spiega con il carattere cortigiano delle opere letterarie, che, com'era avvenuto in età alessandrina per la letteratura greca, non di rado contengono elogi rivolti ai principi. Attraverso la narrazione di racconti mitici, peraltro, gli autori possono anche evitare di affrontare tematiche storiche, quali l'affermazione del sistema imperiale su quello repubblicano, che costituiva invece il nucleo dell'opera di Lucano.\n\nTrama.\nCome nell'opera di Apollonio Rodio, il poema ricalca il viaggio dell'eroe Giasone e dei suoi compagni Argonauti dalla Grecia, alla ricerca del Vello d'oro verso la Colchide.Giasone viene mandato lì dal crudele zio Pelia che spera muoia affinché il nipote non possa spodestarlo dal trono, che è di Giasone per diritto. Dopo aver approdato presso l'isola di Lemno, famosa perché presieduta soltanto da donne guerriere (le amazzoni), Giasone riprende il viaggio con i compagni e giunge nella terra dell'indovino cieco Fineo, perseguitato dalle Arpie, che gli impediscono di mangiare a seguito di una punizione divina. Giasone lo libera, e prosegue il viaggio nella terra del tiranno Amico, che sconfiggerà grazie ad una gara di pugilato con i campioni Castore e Polluce, che lo uccidono.\nGiunti nella terra della Colchide, governata da Eete, Giasone scopre che deve affrontare dure prove per poter accedere al bosco sacro dove è conservato il Vello d'Oro. Visto che le sfide sono quasi impossibili da vincere, la principessa Medea, che è una maga, perdutamente innamorata del giovane eroe grazie all'intervento della dea Giunone, fa in modo che Giasone vinca tutte le prove. Con le sue magie fa sconfiggere a Giasone tutti i mostri, e addormenta il drago sputa fuoco che è posto a custodia del Vello. Dopo che però Giasone e Medea rubano il vello, sono costretti a scappare, perché il re Eete vuole ucciderli entrambi, intendendo vendicarsi dell'offesa che i due hanno recato al dio Marte, depositario del vello. Medea riesce a salvare tutta la flotta degli Argonauti grazie ad un crudele espediente: uccidere il fratellino Apsirto che è fuggito con il gruppo, e tranciarne i pezzi del corpo, gettandoli man mano nel mare, di modo che Eete sia costretto a fermarsi ogni volta per raccogliere i brandelli della cadavere per rendere al ragazzo una degna sepoltura.In sostanza Medea, Giasone e gli Argonauti si salvano con il Vello, ma nuove sciagure minacciano la flotta.\nQui s'interrompe bruscamente il racconto del poema.\n\nCronologia e pubblicazione dell'opera.\nIl proemio, dedicato a Vespasiano, lascerebbe intendere che la pubblicazione dell'opera sia anteriore al 79, anno della morte dello stesso Vespasiano, e successiva al 70, anno della conquista di Gerusalemme da parte di Tito, cui si fa riferimento. Tuttavia, non si può affermare con certezza che l'opera non sia stata composta dopo la morte di Vespasiano, sotto l'impero di uno dei due figli, Tito e Domiziano, con l'intento di celebrare l'imperatore defunto, fondatore della dinastia dei Flavi nonché nume tutelare di Valerio Flacco. Peraltro, il riferimento ai versi con cui Domiziano celebra le imprese del padre e del fratello in Palestina sembrerebbe suggerire che Flacco abbia lavorato all'opera fino alla fine della sua vita, e che essa sia dunque stata pubblicata, forse postuma, sotto lo stesso Domiziano.L'opera sembra incompiuta, ma non è noto se la condizione in cui ci è giunta sia dovuta a un guasto della tradizione manoscritta o alla morte improvvisa dell'autore. Avvalora la prima ipotesi il confronto con il modello di Apollonio Rodio, in cui il racconto del ritorno degli Argonauti occupa il IV libro: si è dunque pensato che l'intento di Valerio Flacco fosse quello di raddoppiare il numero di libri del modello. Tuttavia, la presenza di numerose incongruenze all'interno dell'opera lascia pensare che essa sia rimasta incompleta e priva della revisione finale che l'autore avrebbe voluto darle.\n\nI modelli.\nSe il modello principale di Valerio Flacco nella narrazione del mito argonautico, peraltro antichissimo e notissimo, fu di certo l'opera di Apollonio Rodio, ripresa in ambito latino da Varrone Atacino nel I secolo a.C., egli poté giovarsi, in particolare per la costruzione e l'analisi psicologica del personaggio di Medea, della tragedia di Euripide, che aveva a sua volta ispirato, a Roma, le opere di Ovidio, Seneca e Lucano.Se la narrazione di Flacco segue quella apolloniana - cui egli, peraltro, apporta modifiche marginali e aggiunge il racconto del suicidio dei genitori di Giasone e della guerra combattuta dal re della Colchide, Eeta, con il fratello Perse - è tuttavia evidente, nella struttura e nello stile, l'influsso dell'Eneide di Virgilio: come nell'Eneide la prima esade è dedicata al racconto del viaggio di Enea verso Roma, e la seconda alla guerra contro Turno, così anche gli Argonautica sono nettamente divisi tra una prima parte, in cui si parla del viaggio degli Argonauti fino alla Colchide, e la seconda, incentrata sulle vicende belliche e sul superamento della prova imposta da Eeta a Giasone. A partire da questi dati, alcuni hanno pensato che l'opera dovesse originariamente constare, secondo il progetto dell'autore, di dodici libri. Dall'opera di Flacco, peraltro, risultano completamente assenti gli elementi del gusto alessandrino caratteristici di Apollonio, quali l'erudizione geografica ed etnografica e le digressioni eziologiche.\nIn linea con la politica culturale dei Flavi, l'opera di Valerio Flacco si allontana dalle caratteristica dell'epica lucanea, per tornare a contenuti di argomento mitico e al modello virgiliano: come Virgilio rispetto ad Enea, dunque, Flacco si preoccupa di attribuire un significato straordinario all'impresa di Giasone, e celebra la costruzione di Argo e il viaggio degli Argonauti come l'inizio della navigazione. Le gesta degli eroi greci sono inoltre affiancate alla spedizione di Claudio in Britannia, cui aveva partecipato lo stesso Vespasiano, che ha avuto come frutto la conquista di nuove terre al dominio romano e l'apertura di una nuova rotta nell'Oceano. Nel I libro, inoltre, per bocca di Giove, Valerio Flacco inserisce un riferimento alla gloria e alla grandezza futura di Roma: parlando dell'impresa argonautica come del momento in cui i Greci assumono il ruolo di popolo guida nei confronti di tutta l'umanità, egli non manca di profetizzare il successivo avvento del popolo romano, che avrà in sorte di dominare il mondo intero.Rispetto all'originale di Apollonio Rodio, inoltre, Valerio Flacco tende a enfatizzare l'importanza dell'intervento divino, che svolge un ruolo determinante tanto in occasione dell'innamoramento di Medea per Giasone quanto nello svolgimento delle vicende militari. Gli Argonautica, infine, rispetto al modello greco, vedono la presenza particolarmente accentuata di espedienti retorici, come avviene quando, in occasione dell'addio di Eracle alla spedizione, nel III libro, gli Argonauti pronunciano discorsi contrapposti sull'opportunità di continuare o meno l'impresa anche senza il più forte degli eroi.\n\nLo stile.\nLo stile degli Argonautica risente della tendenza neoclassica d'età flavia, e quindi prevede la ripresa del modello virgiliano - di cui Valerio Flacco impiega, talvolta, intere iuncturae - e l'accantonamento degli elementi enfatici propri dello stile lucaneo, nonché delle tragedie di Seneca. L'intento di Valerio Flacco, dunque, è quello di ricercare la compostezza del dettato; tuttavia, nonostante il programmatico rifiuto dell'epos d'età neroniana, di esso egli riprende, con fini di variatio, lo stile oscuro, complesso e artificioso, talvolta cupo ed esasperato, che, secondo il giudizio di Michael von Albrecht, costituisce il diretto antecedente dello stile di Tacito.
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### Titolo: Argonautiche orfiche.\n### Descrizione: Le Argonautiche orfiche (in greco antico: Ὀρφέως Ἀργοναυτικά?) sono un poema epico greco, databile al V-VI secolo d.C.\n\nStoria.\nL'autore è sconosciuto. Il poema andò perduto, ma nel XV secolo fu ritrovato e copiato in un manoscritto dallo studioso greco neoplatonico Costantino Lascaris. Si trova nei manoscritti sia da solo che insieme ad altri scritti, quali gli Inni orfici o gli Inni omerici. Un'altra opera correlata è il Lithica (che descrive le proprietà e il simbolismo di diverse pietre).\n\nContenuto.\nIl poema è narrato in prima persona da Orfeo, e racconta la storia di Giasone e degli Argonauti. La narrazione è sostanzialmente simile a quella di altre versioni della storia, come Le Argonautiche di Apollonio Rodio, su cui probabilmente è basato. Le principali differenze sono l'enfasi sul ruolo di Orfeo e una tecnica di narrazione più mitologica e meno realistica: ad esempio nel poema, a differenza che in altre versioni, si sostiene che l'Argo sia stata la prima nave mai costruita.
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### Titolo: Argone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Argone era il nome di uno dei discendenti di Eracle, uno degli Eraclidi.\n\nIl mito.\nSotto la definizione di Eraclidi rientrano tutti i discendenti di Eracle che ancora giovani furono perseguitati da Euristeo, il fratello dell'eroe che l'odiava ritenendolo favorito dalla sorte.\nArgone era figlio di Alceo, non l'Alceo figlio di Perseo, ma un altro.\nL'eroe, uno dei più attivi fra i figli dell'eroe, che più degli altri si distinse in guerra, alleatosi con i giovani compagni una volta sconfitto Euristeo, decisero il da farsi ed invasero il Peloponneso.
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### Titolo: Arimaspi.\n### Descrizione: Gli Arimaspi sono un popolo leggendario citato da autori greci e latini (tra i quali Plinio il Vecchio) abitanti in un territorio posto a nord-est della Grecia.\nAvevano la particolarità di avere un unico occhio e per questo venivano chiamati anche uomini monocoli. Fanno parte dei popoli mitologici ciclopi.\nSecondo Erodoto, che cita un poema sugli Arimaspi di Aristea di Proconneso, il loro territorio si trovava tra quelli degli Iperborei e degli Issedoni, probabilmente nel nord della Scizia e quindi tra i monti del Caucaso ed il Mar Nero.\nSono spesso rappresentati mentre combattono con i grifoni (guardiani delle miniere) per il possesso delle miniere d'oro.
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### Titolo: Arisbe.\n### Descrizione: Arisbe (in greco antico Ἀρίσβη) o Arisba ed a volte chiamata Ida è un personaggio della mitologia greca, figlia del veggente Merope di Percote.\nFu la prima moglie di Priamo.\n\nIl mito.\nLe origini.\nArisbe era la figlia di Merope Percosio, noto per la sua veggenza, ed ebbe per fratelli Adrasto e Anfio.\nSposò Priamo quando questi non era ancora re di Troia; subito dopo la nascita del loro figlio Esaco, Priamo la ripudiò. All'epoca del matrimonio, i due erano giovanissimi.\nDopo aver divorziato, Priamo scelse come sposa Ecuba, figlia di Dimante, re della Frigia, mentre Arisbe divenne moglie di Irtaco che la rese madre di due maschi, Asio (fondatore e primo re della città di Arisbe) e Niso.\nIrtaco e Arisbe appena sposati si stabilirono sul monte Ida dove allevarono i propri figli che divennero ottimi cacciatori; Asio e Niso avrebbero in seguito partecipato alla guerra di Troia con i due zii materni.\nNell'Eneide, Irtaco è detto anche padre di Ippocoonte, ma non che Arisbe sia la madre.\n\nDurante la guerra di Troia.\nIn seguito alla morte di Paride, dopo che Deifobo fu preferito ad Eleno come nuovo sposo di Elena, questi preferì rifugiarsi sul monte Ida presso Arisbe.
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### Titolo: Aristandro.\n### Descrizione: Aristandro (in greco antico Αρίστανδρος ο Τελμησσεύς, Aristandros) fu un indovino greco di Telmeso, in Caria. Accompagnò Alessandro Magno nei suoi viaggi, diventando il suo indovino personale. Secondo alcune fonti, avrebbe formato già parte della corte di Filippo il macedone da prima della nascita di Alessandro. Eforo di Cuma scrive di come Filippo avesse sognato di aver chiuso con un sigillo recante un leone il ventre di sua moglie Olimpia; Aristandro avrebbe interpretato correttamente il sogno, predicendo la gravidanza della regina ed il grande coraggio del nascituro.\nAnche se alcuni avvenimenti riguardanti Aristandro sono stati sfumati dalla storia o sono raccontati come fittizi, si trattò di una figura altamente influente nella vita di Alessandro ed una presenza fondamentale durante le sue campagne. Plutarco racconta che durante l'assedio di Tiro, giunti all'ultimo giorno del mese di agosto del 332 a.C., Aristandro predisse, interpretando i segni del cielo, la conquista della città entro la fine del mese; Alessandro quindi decise che quel giorno non era più il trenta ma il ventotto del mese. Alla fine di agosto le navi di Alessandro subirono un pesante attacco e molte affondarono. I Macedoni utilizzarono a quel punto varie tattiche: l'attacco ad entrambi i porti, un diversivo con una piccola unità navale e l'attacco decisivo alle mura; l'offensiva fu inizialmente guidata da Admeto, ammiraglio della nave del re, poi ucciso in quella battaglia, per cui successivamente l'attaccò fu guidato da Alessandro in persona e la città infine cadde.\nVi sono indizi indicanti che Aristandro abbia scritto diversi trattati di divinazione, ma è anche possibile che questi gli siano stati falsamente attribuiti.
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### Titolo: Aristeo.\n### Descrizione: Aristeo (in greco antico: Ἀρισταῖος?, Aristàios) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Apollo e della principessa Cirene, il cui padre era il re dei Lapiti Ipseo (in altre versioni è figlio di Cliene).\n\nIl mito.\nLa nascita di Aristeo avvenne in Libia. Ermes assistette al parto e le sue ninfe si presero cura dell'infante insegnandogli l'arte della pastorizia, come produrre il formaggio, l'apicoltura e la coltura dell'ulivo. Educato dal centauro Chirone alla guerra e alla caccia, egli dedicò la sua vita ad allevare api e a fare il pastore.\nUna volta diventato adulto, sposò Autonoe e da questa unione nacque Atteone. Si trasferì in Beozia dove apprese dalle Muse le tecniche di caccia, la medicina e come custodire le greggi. Amava così intensamente Euridice da tentare di farla sua poco prima che andasse in sposa a Orfeo: nell'inseguimento che seguì Euridice riuscì più volte a sfuggirgli, finché accidentalmente calpestò un serpente velenoso che la uccise con il proprio morso.\nPer vendetta, le altre ninfe distrussero i suoi alveari. Cirene, sua madre, consigliò allora ad Aristeo di placarne l'ira offrendo loro dei capi di bestiame, lasciandoli sul suolo e tornando sul luogo dopo nove giorni. Così fece ed al suo ritorno trovò uno sciame d'api nelle carcasse (secondo un fenomeno chiamato bugonìa) che lo ripagò ampiamente della perdita subita.\nDopo la tragica morte del figlio Atteone, divorato dai suoi cani, Aristeo si ritirò nell'isola di Coo su consiglio di un oracolo di Apollo. La trovò devastata dalla peste, per cui l'eroe fermò l'epidemia con un sacrificio a nome di tutti i Greci e si dedicò a farla ripopolare e a trasmettere le sue conoscenze alla popolazione. Egli stesso lasciò due figli a Cos: Charmos (Grazia) e Callicarpo (Bel frutto). Andò poi in Sardegna – passando dalla Libia – e fu il primo che la civilizzò; passò poi in Sicilia, dove portò anche lì la sua conoscenza della coltivazione dell'ulivo agli abitanti. Finalmente si trasferì in Tracia, ove Dioniso lo prese a benvolere e gli trasmise molte conoscenze e lo iniziò ai riti segreti. Infine si stabilì sul monte Emo per poi scomparire senza che se ne abbia più notizia.\nAristeo venne onorato come un dio in molte località della Grecia per aver insegnato agli uomini l'apicoltura, la produzione del formaggio e la pastorizia. Particolare onore aveva in Sicilia, dov'era una delle divinità campestri, con una statua eretta a Siracusa nel tempio di Bacco.\nVenne talvolta assimilato al dio Pan.\nIl culto di Aristeo era diffuso anche presso le popolazioni nuragiche della Sardegna, ciò lo dimostra una statuina raffigurante il dio rinvenuta a Dule, nel territorio di Oliena. È considerato il fondatore della città di Cagliari quando giunse in Sardegna dalla Beozia, come narra lo scrittore latino Gaio Giulio Solino. Aristeo introdusse in Sardegna l'arte di far il formaggio, l'olio, e il modo di allevare le api per averne il miele e la cera; riappacificò le popolazioni indigene in lotta fra di loro e fondò appunto la città di Caralis, sulla quale in seguito regnò. Secondo Sallustio e Pausania, Aristeo venne accompagnato in Sardegna da Dedalo, malgrado l'evidente anacronismo. Dedalo sarebbe l'artefice delle imponenti opere dedalee (i Nuraghe) presenti sull'isola.\n\nGenealogia.
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### Titolo: Aristodemo (mitologia).\n### Descrizione: Aristodemo (in greco antico: Ἀριστόδημος?, Aristòdemos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide ed era il padre dei primi due re di Sparta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Aristomaco, sposò Argia (figlia di Autesione) che lo rese padre dei gemelli Procle ed Euristene.\n\nMitologia.\nFu ucciso da Apollo con un fulmine per non aver consultato l'oracolo (oppure dai figli di Pilade ed Elettra) mentre con i suoi fratelli Temeno e Cresfonte si preparava a partire per l'invasione del Peloponneso.\nDopo la conquista del Peloponneso i suoi figli divennero i primi due re della Laconia e della città di Lacedomone che in seguito prese il nome di Sparta.
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### Titolo: Aristomaco (mitologia).\n### Descrizione: Aristomaco (in greco antico: Ἀριστόμαχος?, Aristómachos), è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide ed era il protagonista del terzo tentativo della conquista di Micene.\n\nGenealogia.\nFiglio di Cleodeo, fu il padre di Cresfonte, Temeno e Aristodemo.\n\nMitologia.\nCondusse un tentativo di catturare Micene durante il regno di Tisameno, ma dopo aver frainteso ciò che gli disse l'oracolo, fallì e morì durante la battaglia.
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### Titolo: Armeno (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Armeno secondo una delle versioni del mito era un argonauta compagno di avventure di Giasone.\n\nIl mito.\nArmeno, un tessalo del lago Bebe, secondo tale versione rispose all'appello lanciato da Giasone e partecipò come tanti altri eroi al viaggio sino alla Colchide per recuperare il vello d'oro.\nAll'inizio non si distinse per imprese o atti eroici, ma al ritorno abbandonò i compagni per fondare un vasto regno che poi chiamò il luogo intero a suo nome, Armenia. Armeno in seguito eresse alle porte di una città dei monumenti in onore di chi gli permise di realizzare questo suo sogno, Giasone.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nLe origini del Regno di Armenia e la loro relazione con la figura mitica di Armeno - così come riportate dallo storico e geografo antico Strabone (libro XI, 14, 12 e 13, 10) - sono state ampiamente approfondite dal prof. Giusto Traina (storico specializzato in storia antica) in numerosi seminari dedicati all'argomento [1].
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### Titolo: Armonia (divinità).\n### Descrizione: Armonìa (in greco antico: Ἁρμονία?, Harmonìā) è un personaggio della mitologia greca, secondo quanto riportato da Esiodo nella sua Teogonia, figlia di Ares e Afrodite.\nÈ nota anche come la dea dell'amore romantico, dell'armonia e della concordia (anche fra soldati nemici).\n\nMitologia.\nZeus diede Armonia in sposa al fondatore di Tebe, Cadmo. Tutti gli dei scesero a Tebe dall'Olimpo per celebrare le nozze. Secondo il mito queste furono le prime nozze della storia. Fra i doni recati dagli dei, avrà una parte importante nella storia di Tebe la collana forgiata da Efesto che Afrodite mise al collo della sposa, dotandola del potere di dare eterna giovinezza e bellezza a chiunque la indossasse.\nArmonia ebbe da Cadmo quattro figlie, Agave, Autonoe, Ino e Semèle; e un figlio, Polidoro.\nDopo la morte di Semele, folgorata da Zeus, e la distruzione da parte del dio Dioniso, figlio di Semele e Zeus, della casa reale di Penteo loro nipote, Armonia e Cadmo se ne andarono da Tebe con la figlia Agave, come narrato ne Le baccanti di Euripide. Il trono andò al parente Laio, nipote del figlio Polidoro, il padre di Edipo e marito di Giocasta e nuove sventure si abbatterono su Tebe.\nAl termine del loro viaggio raggiunsero la costa adriatica ed ebbero un altro figlio, Illirio, capostipite degli Illiri.\nIl vecchio Cadmo divenne re degli Illiri, ma successivamente, essendo un mortale, per sfuggire al destino, fu trasformato dagli dei in un serpente ed Armonia, nel suo dolore pregò Cadmo di recarsi da lei e mentre fu abbracciata dal serpente Cadmo gli dèi trasformarono in serpente anche lei.\nQuando morirono, il padre di Armonia, Ares, li portò entrambi sull'Olimpo dove vissero con gli dei.\n\nGenealogia.
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### Titolo: Armonide.\n### Descrizione: Nell'Iliade, Armonide è il patronimico di Tettone, un artigiano di Troia.\n\nIl mito.\nTettone Armonide era padre di Fereclo, un abilissimo costruttore di navi, veloci e robuste. Una di esse fu utilizzata da Paride per rapire Elena.
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### Titolo: Arneo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Arneo, chiamato anche Iro, era un mendicante di Itaca.\n\nIl mito.\nArneo, dalla sembianze simili a un piccolo gigante e di appetito superiore al loro era in realtà un mendicante buono e onesto di Itaca, l'isola di Odisseo (Ulisse) e dei Proci. Qui era solito frequentare le mense dei ricchi per ottenere un po' di cibo.\nAl ritorno di Odisseo non riesce a riconoscerlo e inizia a schernirlo, arrivando al punto di sfidarlo a un incontro di pugilato, da cui però esce sconfitto.
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### Titolo: Arpalione (figlio di Plimene).\n### Descrizione: Arpalione (in greco antico: Ἁρπαλίων?, Harpalíōn) era un personaggio della mitologia greca citato da Omero nell'Iliade.\n\nMitologia.\nFiglio di Pilemene (figlio di Bilsate, capo della città di Eneti in Paflagonia), uno dei comandanti alleati dell'esercito troiano, fu ucciso dall'acheo Merione durante la guerra di Troia, davanti alle mura della stessa città.\nSuo padre Pilemene alla notizia della morte del figlio ne recuperò il cadavere per onorarlo e farne le esequie.
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### Titolo: Arpia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le arpie (lett. 'le rapitrici', dal verbo greco ἁρπάζειν, harpázein, 'rapire') sono creature mostruose, con viso di donna e corpo d'uccello. L'origine del loro mito deve forse ricondursi a una personificazione della tempesta.\n\nCitazioni.\nLe arpie, Celeno, Ocipete ed Aello, figlie di Taumante ed Elettra e sorelle di Iride sono citate nell'Odissea di Omero (libro XX): in una preghiera ad Artemide Penelope ne parla come di procelle e ricorda che rapirono le figlie di Pandareo per asservirle alle Erinni.\nEsiodo parla di due arpie, Aello e Ocipete; di esse dice che avessero una magnifica capigliatura e che fossero potenti nel volo.\nNelle Argonautiche di Apollonio Rodio (libro III) le arpie, per ordine di Hera, perseguitano il re e indovino cieco Fineo, portandogli via le pietanze dalla tavola e sporcandogliela.\nVirgilio cita le arpie nell'Eneide, facendo il nome di una terza sorella, Celeno.\n\nDante Alighieri cita le arpie nel Canto XIII dell'Inferno: esse rompono i rami e mangiano le foglie degli alberi al cui interno si trovano le anime dei suicidi, che, in questo modo, provano dolore e hanno dei pertugi attraverso i quali lamentarsi.\n\nNell'Orlando furioso (canto XXXIII) Ludovico Ariosto riprende la storia di Fineo, e le Arpie insozzano la tavola del cieco re di Etiopia, identificato col Prete Gianni, e vengono scacciate da Astolfo.\n\nNella cultura di massa.\nUna famosa opera di Andrea del Sarto è la Madonna delle Arpie, conservata agli Uffizi, risalente al 1517.\nGiovanni della Robbia e Santi Buglioni realizzarono due arpie sugli spigoli del fregio dell'Ospedale del Ceppo di Pistoia nel 1525.\nNel linguaggio comune si usa il termina 'arpia' per indicare una persona che ricorrendo ad artifici e sotterfugi si intromette nelle vicende altrui per influenzarle negativamente, facendo sentire il destinatario sottoposto come all'attacco di un uccello predatore. Anche di persona dall'apparenza innocua che nasconde invece comportamenti predatori o intromissori.\nNel manga Monster musume no iru nichijō una delle protagoniste femminili è un'Arpia di nome Papi.\nNel manga e anime Devilman di Gō Nagai, uno dei nemici principali del protagonista è proprio l'arpia Silen.\nElzie Crisler Segar disegnò le arpie come nemiche di Braccio di Ferro in una serie di strisce quotidiane del 1938.\nAnche il cartoonist Carl Barks disegnò le arpie come antagoniste di Paperino e zio Paperone nella storia a fumetti del 1956 dal titolo Paperino e il Vello d'oro.\nNel gioco di ruolo cartaceo Vampiri: la masquerade e nelle sue espansioni l'Arpia è un rango della comunità vampirica.\nNe I Cavalieri dello zodiaco lo Specter Valentine ha un'armatura ispirata alle Arpie.\nIn She-Ra, la principessa del potere viene mostrata una tribù di Arpie.\nNel videogioco The King of Dragons le Arpie figurano tra i nemici comuni.\nHaunted Castle è un altro videogioco arcade dove sono presenti le Arpie, anche qui come nemici comuni.
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### Titolo: Arpina.\n### Descrizione: Arpina (in greco antico: Ἅρπινα?, Hàrpina) o Arpinna è un personaggio della mitologia greca. È una ninfa ed è l'eponimo della città di Arpina.\n\nGenealogia.\nFiglia di Asopo e Metope ebbe da Ares il figlio Enomao.\n\nMitologia.\nÈ l'eponimo della città Arpina, che sorgeva presso Pisa, Olimpia ed il fiume Alfeo.\nNelle tradizioni degli abitanti dell'Elide e di Fliunte, giacque con Ares e da lui ebbe il figlio Enomao e fu quest'ultimo a dare il nome della madre alla città.\nPausania scrive della sua presenza di una scultura di gruppo presente ad Olimpia e che fu donata dagli abitanti di Fliunte.\nCome ninfa fu a volte confusa con la ninfa pleiade Sterope che a sua volta è ritenuta la madre di Enomao.
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### Titolo: Arpiria.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Arpiria era una delle Arpie, creature mostruose metà donne e metà uccello, che tormentava gli esseri umani.\n\nIl mito.\nArpiria e sua sorella Erasia tormentavano Fineo ai tempi in cui gli Argonauti, un gruppo di avventurieri in cerca del vello d'oro, erano andati da lui per chiedere saggi consigli. Il re infastidito dal comportamento dei due mostri, chiese come condizione di essere liberato da loro, subito Giasone, il capo della spedizione ordinò a due suoi alleati, Calaide e Zete di cacciarle e loro muniti di ali fecero il proprio lavoro.
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### Titolo: Arpocrate.\n### Descrizione: Arpocrate (in greco antico: Ἃρποκράτης, -ους?, Arpokrátes, in latino Harpŏcrătēs, -is) è una divinità egizia appartenente alla religione dell'antico Egitto, corrispondente all'antichissimo dio Hor pa khred, ossia Horo il fanciullo e che identificava il figlio di Iside ed Osiride. Era anche la forma sincretica del dio Horo, del quale incarnava l'aspetto di figlio di due divinità.\n\nStoria e culto.\nCitato nei Testi delle piramidi, sviluppò il culto vero e proprio solo in Bassa Epoca e come erede terreno del padre divenne l'incarnazione della monarchia fin dal periodo predinastico.\nA partire dal Terzo periodo intermedio il suo culto divenne sempre più popolare e l'iconografia più diffusa lo rappresentava come un bambino stante o in braccio alla madre Iside, mentre si portava un dito alla bocca ad indicare che era il dio del silenzio. Jean-Pierre Corteggiani, nel suo libro L'Égypte ancienne et ses dieux dice che il dito sulla bocca non è che un atteggiamento tipico dell'infanzia che gli autori classici hanno frainteso, pensando in un invito al silenzio, legato ai misteri della dea madre Iside. In realtà il simbolo fatto con la mano altro non è che la rappresentazione del geroglifico bambino. Arpocrate fu scambiato dai greci come dio del silenzio ma in realtà è la rappresentazione di Horus bambino.\nIl mito egizio più diffuso descrive Horus quale figlio di Osiride, il re divino ucciso e smembrato dal fratello malvagio Seth, e concepito dopo che la madre Iside aveva recuperato le parti del corpo del marito, avvolgendole con le bende e inventando in tal modo la mummificazione. Iside nascose il bambino fra i papiri della palude del Delta del Nilo, un’area di confine fra la sfera umana e quella divina. Al riparo dal maligno Seth, Horus crebbe e riconquistò il trono del padre. Ma il piccolo, cui venne dato il nome Arpocrate, rimase nel suo “ruolo di base, per sempre un bambino, un riferimento e prototipo di tutti i bambini futuri”.Altro elemento tipico di Arpocrate era la sua testa completamente rasata, ad eccezione di una treccia che gli ricadeva sul suo lato destro. La sua statua si trovava all'ingresso di quasi tutti i templi, per indicare che in quel luogo si onoravano gli Dei col silenzio, ovvero, secondo Plutarco, gli uomini che avevano una imperfetta cognizione della Divinità non dovevano parlarne che con rispetto. Gli antichi portavano spesso scolpita nei loro sigilli una figura d'Arpocrate, ad indicare che il segreto delle lettere andava conservato fedelmente.\nL'immagine di Iside che allattava il figlio ispirò, secondo alcuni, successivamente i Copti nell'iconografia della Vergine con il bambino.\nAnche se di origini egiziane, soprattutto dell'area del Basso Egitto, il suo culto venne presto adottato anche nell'area greca e romana, dove rappresentò il dio del silenzio, con il dito alla bocca e cinto di un mantello cosparso di occhi e di orecchi.\n\nEtà moderna.\nIn età moderna, soprattutto nel corso del Seicento, molti eruditi, come ad esempio Ralph Cudworth, ripresero la figura di Arpocrate come esempio e metafora della discrezione in ambito politico e dell'approccio esoterico alla conoscenza.\n\nMito.\nNarra la mitologia, che il fanciullo fu punto da uno scorpione, guarì grazie alla magia della madre, divenendo così il simbolo delle guarigioni. L'amuleto che lo raffigurava in piedi, su un coccodrillo, mentre tiene in mano dei serpenti, era considerato di buon auspicio in caso di malattia.\nIl mito lo volle anche vendicatore del padre nei confronti di Seth.\n\nNella cultura di massa.\nArpocrate compare come uno degli dei ostaggi del triumvirato composto da Nerone, Commodo e Caligola nel romanzo fantasy La tomba del tiranno (della serie Le sfide di Apollo) di Rick Riordan.
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### Titolo: Artabatici.\n### Descrizione: Gli artabatici sono un popolo favoloso dell'Africa, citato anche da Plinio il Vecchio nella Naturalis historia. Secondo la tradizione mitologica, gli artabatici erano un popolo di uomini dall'andatura quadrupede:.
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### Titolo: Artace.\n### Descrizione: Artace è un personaggio della mitologia greca. In alcune traduzioni italiane il suo nome diventa Artaceo.\n\nIl mito.\nLe Argonautiche di Apollonio Rodio sono l'unica fonte conservatasi in cui si parla del nobile eroe Artace, ricordato come uno dei Dolioni rimasti uccisi insieme al loro giovanissimo sovrano Cizico (chiamato come la capitale del regno) nel tragico scontro armato che ebbero involontariamente con gli Argonauti da loro in precedenza ospitati: fatalità volle che Giasone e compagni, ributtati a causa di una tempesta sulle coste del regno dei Dolioni in una notte senza luna, venissero assaliti da Cizico e alcuni suoi uomini che li avevano scambiati per pirati. Nessun argonauta fu tra le vittime, contro le tredici dell'altra parte: il primo a cadere fu il re, per mano di Giasone, e l'ultimo Artace, vittima di Meleagro al pari di Itimoneo, del quale il poeta ricorda il coraggio:.\n\nAppurato il tragico errore, gli Argonauti resero omaggio al re e agli altri Dolioni morti tumulandoli in un unico, maestoso sepolcro, e con giochi funebri che vennero denominati Giochi Cizici.\n\nToponimi.\nErodoto riferisce dell'esistenza, al tempo delle guerre persiane, di una località chiamata Artace vicino alla città di Cizico; essa conservava tale nome ancora in epoca cristiana, secondo quanto afferma Procopio di Cesarea.
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### Titolo: Artemidoro di Daldi.\n### Descrizione: Artemidoro (in greco antico: Ἀρτεμίδωρος ὁ Δαλδιανός?, Artemídōros ho Daldianós; Efeso, dopo il 120? – dopo il 192?) è stato uno scrittore e filosofo greco antico.\nPrincipalmente, fu interprete di sogni e visioni con scopi scientifici e didattici. Trasmise l'arte divinatoria al figlio.\nNei suoi e altrui scritti è citato come Artemidoro di Daldi.\nScrisse gli Oneirocriticà, condensato del sapere antico sull'arte divinatoria e punto di riferimento fino a Freud per la interpretazione dei sogni ispirati. Secondo Suda, fu autore di opere minori sulla chiromanzia (Chiroscopica) e ornitomanzia (Oiônoscopica, interpretazione dei volatili).\n\nBiografia.\nArtemidoro nacque ad Efeso nel II secolo, in una delle città più importanti del Mediterraneo orientale.\n\nVisse a Daldi in Lidia, donde il soprannome di Daldiano, a cui tenne molto per ricordare il luogo di origine della madre, e soprattutto per distinguersi dal nome dei numerosi interpreti di sogni di Efeso, passati e contemporanei, fai i quali il celebre geografo ellenistico Artemidoro di Efeso. Nel suo libro, sono citati numerosi poeti antichi, le letture e i suoi viaggi, da cui si desume l'alto livello culturale (e benessere familiare).\nStando ai suoi scritti, divenne l'interprete di riferimento per gli abitanti di Daldi che tramite lui interrogavano il dio Apollo. Operò, probabilmente, anche a Roma, sotto il regno di Antonino Pio e Marco Aurelio, secondo le indicazioni che si possono trarre dalla sua stessa opera, i primi tre libri della quale furono dedicati a Massimo di Tiro, operante appunto sotto gli ultimi Antonini. Il terminus post quem per la sua biografia è derivato dal fatto che menziona un sogno di Plutarco in punto di morte: essendo Plutarco morto intorno al 120 d.C., si può presumere che egli sia nato dopo questa data.\nFu sicuramente un interprete di sogni professionista, avviando un'attività che trasmise al figlio, come si nota dagli ultimi due libri dell'opera, che scrisse per fornire un prontuario all'erede per l'esercizio dell'onirocritica.\n\nGli Ὀνειροκριτικά.\nArtemidoro è autore di uno dei pochi trattati del mondo greco a noi pervenutoci sull'interpretazione dei sogni, dal titolo Onirocritica (Ὀνειροκριτικά), in cinque libri. Le sue fonti dovevano essere molto ampie se, come egli stesso scrive, aveva letto sull'argomento tutto ciò che era disponibile al suo tempo, raccolto durante i suoi viaggi in Asia, Grecia e Italia. Fu pubblicato per la prima volta in greco a Venezia nel 1518 e più volte ristampato.\nIl libro primo e quarto iniziano con una esposizione sistematica del metodo. I primi tre libri, come detto, sono dedicati al sofista Massimo di Tiro. Preminente è l'attenzione, nel libro I, dedicata all'anatomia e all'attività del corpo umano: 82 capitoli interpretano la comparsa nei sogni di soggetti come la dimensione della testa, mangiare e l'attività sessuale. Il secondo libro tratta di oggetti ed eventi nel mondo naturale, come il tempo, gli animali, gli dei e il volo. Il terzo libro è di argomento vario. La seconda parte del trattato (libri IV-V), come detto, è dedicata al figlio dell'autore e comprende numerosi sogni con la loro spiegazione, ad uso pratico dell'interprete.\nIl trattato di Artemidoro rappresenta anche una grande enciclopedia della cultura materiale del mondo greco-romano: in questo genere, è uno dei testi più ricchi a nostra disposizione, così come la storia naturale di Plinio il Vecchio, i Deipnosofisti di Ateneo di Naucrati e le opere dei lessicografi come Giulio Polluce, tutte opere caratterizzate in una certa misura da un'ambizione enciclopedica. Si tratta, comunque, di una tappa essenziale nella tradizione greco-orientale nell'interpretazione dei sogni, preceduta dall'opera di Antifonte di Ramnunte e seguita (e più volte richiamata) in età bizantina dal trattato sui sogni dell'arabo e islamico Achmet: prima opera sul tema dei sogni in lingua araba, nota in tutto il Medioevo.\nScopo principale di Artemidoro è dimostrare che l'interpretazione dei sogni, come atto puramente conoscitivo, è possibile (tesi che trovava un suo fondamento nell'idea stoica della 'simpatia' universale). Terminato l'atto conoscitivo, e data quindi un'interpretazione dei sogni, Artemidoro non si azzarda a consigliare comportamenti futuri sulla base di tale interpretazione, discostandosi quindi da quelle pratiche magiche tanto in voga al suo tempo. Nell'opera Artemidoro, in uno stile semplice, ma al tempo stesso elegante, offre una panoramica completa della materia onirica, fornendo una sistemazione scientifica dei sogni, basata sugli episodi storici, e distinguendo in tal modo i sogni legati al passato ed al presente e quelli relativi al futuro, interpretati come profetici e simbolici. Del resto «Artemidoro, come molti dei suoi predecessori, è stoico, o almeno inverniciato di stoicismo: di più non abbiamo diritto di attenderci da un professionale della divinazione».\nLa fortuna dell'opera fu ampia, come testimoniato anche da una versione araba dei primi tre libri, risalente all'877, ad opera di Hunayn ibn Ishaq, e pubblicata da Toufic Fahd con traduzione francese nel 1964 con il titolo Le livre des songes [par] Artémidore d'Éphèse.
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### Titolo: Asbolo (centauro).\n### Descrizione: Asbolo è uno dei Centauri della mitologia greca, dotato di poteri di preveggenza.\nTentò inutilmente di dissuadere gli altri centauri dal recarsi alle nozze di Ippodamia avendo presagito lo scontro che ne sarebbe scaturito. Avvisò Nesso che sarebbe morto per una freccia scoccata da Eracle.Asbolo, sopravvissuto alla centauromachia, morì ucciso anch'egli da Eracle che lo crocifisse per punirlo della sua malvagità verso gli uomini e gli dei.
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### Titolo: Ascalafo (figlio di Acheronte).\n### Descrizione: Ascalafo è una figura della mitologia greca, era un demone figlio di Acheronte, il fiume degli inferi e di Gorgira o Orfne, che significa oscurità, ninfa d’Averno il fiume infernale.\n\nIl mito.\nQuando Ade concesse a Persefone di ritornare nel mondo dei vivi, le impose un'unica condizione: di non mangiare nulla. Ascalafo la vide rompere il giuramento e testimoniò presso Ade e Zeus che Persefone aveva mangiato i chicchi di melograno, cosa che la legò per sempre al regno dei morti.\nDemetra, infuriata per aver perso per sempre la figlia, si vendicò schiacciandolo sotto un masso. Egli tuttavia non morì e venne salvato in seguito da Eracle che riuscì a spostare quell'enorme macigno. Secondo altre leggende venne trasformato in un allocco o, da Persefone che gli gettò addosso dell’acqua dello Stige, in una civetta.
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### Titolo: Ascalafo (figlio di Ares).\n### Descrizione: Ascalafo (in greco antico: Ἀσκάλαφος?, Áskálaphos)) è un personaggio della mitologia greca ed un Argonauta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Ares e di Astioche (figlia di Attore), menzionato nell'Iliade e fratello gemello di Ialmeno.\n\nMitologia.\nFu tra i pretendenti di Elena e partecipò alla guerra di Troia, ponendosi a capo dell'esercito dei Mini, tra cui militavano anche Aspledonte e Orcomeno.\nQuando fu ucciso accidentalmente da Deifobo, suo padre Ares fu avvertito da Era e minacciò di scendere sul campo di battaglia per vendicarlo.\n\nPareri secondari.\nSecondo altre fonti Ascalafo partecipò alla spedizione degli Argonauti, gli avventurieri reclutati da Giasone per il recupero del vello d'oro e durante tali avventure, a quanto pare, non si distinse particolarmente.
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### Titolo: Ascanio.\n### Descrizione: Nella mitologia greca e romana Ascanio (in greco antico Ασκάνιος, in latino Ascanius) era figlio di Enea e Creusa, figlia di Priamo. Era chiamato anche Iulo dai Latini, mentre altre fonti gli attribuiscono il nome alternativo di Eurileone.\n\nIl mito.\nLa figura di Ascanio è del tutto sconosciuta all'Iliade; nel poema omerico il nome va a identificare un giovane condottiero frigio delle truppe che provengono dall'Ascania e uno dei suoi guerrieri, ma in realtà questi due personaggi di nome Ascanio non possiedono alcun collegamento con il figlio di Enea e della troiana Creusa.\n\nNell'Eneide di Virgilio sono molti i versi dedicati ad Ascanio. Durante la notte della caduta di Troia viene improvvisamente avvolto da una misteriosa lingua di fuoco che lo lascia indenne: chiaro segno di una protezione da parte degli dei. Enea riesce comunque a fuggire da Troia con il figlio e sbarca prima a Cartagine presso la regina Didone (che s'innamora di Enea per una freccia scoccata da Cupido che ha assunto l'aspetto di Ascanio), quindi nel Lazio, dove è accolto dal Re Latino, che gli promette in sposa la figlia Lavinia. Qui però Ascanio, durante una battuta di caccia, ferisce a morte accidentalmente la cerva domestica di un giovane cortigiano del re, Almone; troiani e latini passano dalle parole alle armi; Almone viene colpito alla gola da una freccia e si accascia morto al suolo. Scoppia così la guerra, nella quale Ascanio ucciderà Numano, cognato di Turno, re dei Rutuli. La guerra è vinta dai troiani; dopo la morte di Enea, Ascanio (o Iulo) fonda Alba Longa. Suoi discendenti saranno Romolo e Remo.\nTito Livio, nel suo Ab Urbe Condita, non chiarisce la maternità di Ascanio. Se infatti all'inizio del suo racconto, l'attribuisce a Lavinia, più avanti riporta che potrebbe essere figlio di Creusa. Di certo, conclude Livio, Enea ne è il padre.\n\nMorto Enea, Lavinia, incinta, si allontana dalla reggia per contrasti con Ascanio. Si rifugia in casa di Tirro, il padre dello sfortunato Almone, dove partorisce Silvio. Paventando il rischio di nuove tensioni con Tirro, che a lungo gli aveva serbato rancore per aver provocato la rissa in cui era morto il figlio, Ascanio fa richiamare Lavinia. Tito Livio gli attribuisce la fondazione di Alba Longa sul Monte Albano; Ascanio morì quattro anni dopo.Ascanio veniva inoltre chiamato Iulo (latino: Iulus), variante onomastica di 'Ilo'. Gli successe Silvio, suo fratellastro secondo l'Eneide, secondo Tito Livio, invece, Ascanio e Silvio erano padre e figlio. . In ogni caso da qui trasse origine la gens Iulia, a cui appartennero Gaio Giulio Cesare e Ottaviano Augusto. Con lui la gens assurse al rango di prima Dinastia Imperiale, divenendo in seguito nota come Dinastia Giulio-Claudia.\n\nAlbero genealogico.\nLa figura di Ascanio nell'arte.\nNell'arte romana Ascanio è raffigurato come un giovane vestito con abiti orientali, tipici della Frigia, come il berretto a punta e la corta clamide persiana.\nNell'Incendio di Borgo, affresco di Raffaello Sanzio nelle Stanze Vaticane, all'estrema sinistra sono rappresentati Enea, Anchise e Ascanio fuggenti da Troia in fiamme: Enea porta sulle spalle il vecchio padre, affiancato da Ascanio.\nL'episodio della fuga da Troia è stato immortalato anche da Gianlorenzo Bernini nel gruppo marmoreo Enea, Anchise e Ascanio.\nUno degli affreschi di Villa Valmarana ai Nani, realizzati da Giovanbattista Tiepolo, è Enea presenta Amore a Didone, nelle sembianze di Ascanio: si tratta di uno degli episodi che compongono la Sala dell'Eneide.\nIl personaggio appare come protagonista assoluto in Ascanio uccide la cerva di Almone, opera pittorica di Corrado Giaquinto.
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### Titolo: Assedio di Trioessa.\n### Descrizione: Il mitologico assedio di Trioessa avvenne durante la guerra tra i Pilii e gli Epei ai tempi dei re Neleo ed Augia, narrata dall'eroe Nestore in vari episodi dell'Iliade.\nSpecificamente tale evento viene narrato da Nestore a Patroclo nell'XI libro dell'Iliade.\n\nPrologo.\nDopo aver subito una pesante sconfitta contro Eracle, il regno di Pilio governato da Neleo è debole, e sottoposto alle angherie dei vicini Epei, chiamati anche Elei.\nRazzie, provocazioni, fino ad arrivare al furto dei cavalli da gara di Neleo da parte di Augia, portano i Pilii a non tollerare più tale atteggiamento, spingendoli a loro volta a reazioni.\n\nIl conflitto.\nCausa del conflitto.\nIl giovane figlio del re, Nestore, organizza con dei compagni una razzia contro i vicini.\nUccisi alcuni tra i guardiani e proprietari di bestiame, tra cui un certo Itimoneo ucciso dallo stesso Nestore, i Pilii si impadroniscono di un abbondante bottino.\nUna cinquantina di mandrie di bovini, altrettanti branchi di capre, lo stesso numero di gruppi di porci e di greggi di capre, oltre a centocinquanta cavalle femmine con molti puledri appresso.\nNeleo prese per sé trecento capi tra buoi e pecore, mentre il resto venne dato a tutti coloro che nel tempo avevano subito sopraffazioni.\n\nI preparativi.\nTre giorni dopo la spartizione del bottino, gli Epei si armarono e marciarono nella pianura arrivando alla città di confine Trioessa, cingendola d'assedio per conquistarla.\nAvvertiti del pericolo dalla dea Atena, il giorno dopo i Pilli si radunarono verso il fiume Minieo.\nAttesero fino a sera l'arrivo dei rinforzi delle varie città, rifocillandosi e sacrificando vittime a Zeus, un toro all'Alfeo, un toro a Poseidone ed una giovenca ad Atena.\nPreso il pasto serale divisi nei reparti e passata la notte sulle rive del fiume, il mattino dopo si presentarono a Trioessa.\n\nForze in campo.\nEntrambi gli eserciti erano di carattere Miceneo, con i membri dell'aristocrazia che combattevano su carri ed equipaggiati con costose armature in metallo, un nucleo di fanteria formato anch'esso da cittadini che potevano permettersi armi in bronzo, ed il resto dei soldati armati alla meglio.\nOmero cita Mulio al comando epeo dei combattenti col carro, quindi probabilmente svolgeva il ruolo di lawaghetas dell'esercito di Augia. Tra i combattenti sul carro troviamo anche due giovanissimi Molionidi, alla loro prima battaglia.\nNon viene citato invece il comandante delle forze di Pilio. Sappiamo che partecipò il giovane Nestore, che però si schierò tra le file dei fanti, dato che suo padre gli aveva nascosto i cavalli per non farlo partecipare alla sua prima battaglia.\nTenendo conto del Catalogo delle navi dell’Iliade, è possibile stimare che gli schieramenti erano composti dai 3.000 ai 4.000 soldati. Ma questa è solo un'ipotesi.\n\nDescrizione della battaglia.\nMolto probabilmente l'ordine di battaglia rispecchiava le classiche battaglie dell'epoca, con davanti i carri da guerra con il compito di disorganizzare le schiere nemiche, mentre la fanteria restava alle loro spalle.\nDopo l'invocazione da parte dei Pilii di Zeus e di Atena, le due schiere si affrontano.\nIl primo ad abbattere un avversario è proprio Nestore, che uccide proprio Mulio che gli si era presentato di fronte, impadronendosi in questo modo del suo carro e gettandosi tra le prime fila.\nAlla scomparsa del loro comandante, l'armata degli Epei viene atterrita ed i soldati rompono le file, permettendo in questo modo agli avversari di farne strage.\nLo stesso Nestore racconta di essersi impadronito di cinquanta cocchi, uccidendone i guerrieri.\nDurante lo scontro Nestore è sul punto di uccidere anche i Molionidi, ma l'intervento di Poseidone è propizio. Il dio riuscì a sottrarli avvolgendoli con una nuvola, togliendoli dalla vista dell'eroe vincitore.\nI Pilii vincitori inseguirono gli sconfitti per tutta la pianura fino alla città di Buprasio massacrandoli, per poi tornare indietro portando Nestore in trionfo, carichi di bottino che contava carri da guerra, cavalli, armi ed armature.\n\nSfondo storico.\nPurtroppo nulla ha dimostrato la storicità di questo assedio e del conflitto tra i due regni vicini.\nL'episodio viene raccontato solamente in quel verso dell'Iliade, e questo porta a catalogare tale conflitto tra gli eventi mitici.\nPossiamo però affermare che il racconto si muove in uno sfondo storico.\nLe razzie di bestiame erano all'ordine del giorno durante il periodo miceneo.\nI conflitti e gli scontri di minor portata tra le città ed i regni sono raccontanti in molti racconti, in miti, oltre ad essere immortalati in vasi ed altre testimonianze giunte fino ad oggi.\nAnche la geografia ha un certo peso, alcuni dei luoghi - come i fiumi - sono confermati.\nL'armamento e la tipologia della battaglia - carri da guerra, fanti armati di bronzo - rispecchiano la storicità dell'evento.\nInteressanti gli accenni all'attesa dell'arrivo dei vari reparti, della suddivisione del pasto serale in gruppi, dei sacrifici agli dei.\nQuindi sebbene possiamo catalogare il conflitto ed i suoi protagonisti e le gesta come miti, possiamo prendere questo episodio come un racconto di un generico scontro tra vicini dell'antico mondo miceneo.
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### Titolo: Asterio (figlio di Comete).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Asterio o Asterione era un figlio di Comete, figlio di Testio, e pertanto appartenente alla famiglia dei Pelopidi. Sua madre potrebbe essere stata Antigone, figlia di Fere.\nCome altri eroi, rispose all'appello di Giasone per viaggiare fino alla Colchide e recuperare il vello d'oro, ed è pertanto contato tra gli argonauti.\nNon va confuso con un altro Asterio, anch'egli a volte contato tra gli argonauti, figlio di Ippaso e fratello di Attore.
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### Titolo: Asterio (figlio di Tettamo).\n### Descrizione: Asterio (in greco antico: Ἀστέριος?, Astérios), o Asterione (Ἀστερίων, Asteríōn), è un personaggio della mitologia greca ed uno dei re dell'isola di Creta.\n\nMitologia.\nFu il primo re di Creta e 'Signore delle stelle', era il figlio di Tettamo, che a sua volta era figlio di Doro. Il padre Tettamo sposò la figlia di Creteo l'Eoliano, mentre Asterio ebbe come moglie Europa.Sposò Europa dopo che era stata sedotta da Zeus, ed adottò i tre figli che Europa aveva avuto da Zeus (Minosse, Sarpedonte e Radamanto), nominandoli così suoi eredi.\nGli succedette Minosse.
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### Titolo: Astianatte.\n### Descrizione: Astianatte (in greco antico: Ἀστυάναξ?, Astyánax, 're della città'; in latino Astyanax) o Scamandrio è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ettore, l'eroe troiano che combatté nella guerra di Troia prima di morire ucciso da Achille, distinguendosi come il campione tra i suoi compatrioti, e di Andromaca, figlia del re Eezione.\n\nMitologia.\nAlla nascita, il padre gli impose il nome di Scamandrio, quasi lo considerasse un dono del fiume Scamandro; ma i Troiani, memori delle imprese di Ettore, lo chiamarono Astianatte (che significa «signore della città»).Fu ucciso da Neottolemo, il figlio di Achille, che lo gettò dalle mura di Troia su consiglio di Ulisse, affinché la stirpe di Priamo non avesse discendenza; venne quindi seppellito da Ecuba, che ne pose il corpo sullo scudo che era appartenuto ad Ettore.\nSecondo altre versioni del mito, il piccolo fu salvato da un'ancella, e, una volta diventato adulto, avrebbe rifondato la città di Troia. Secondo altre versioni ancora, Neottolemo, innamorato di Andromaca e portatala a vivere come sua concubina, avrebbe risparmiato e portato con sé anche il bambino.\n\nInterpretazioni successive.\nLa cronaca di Fredegario contiene la più antica menzione di una leggenda medievale che collega i Franchi ai Troiani. Una leggenda, ulteriormente elaborata durante il Medioevo, stabilì Astianatte, sopravvissuto alla caduta di Troia e ribattezzato 'Franco', come il fondatore della dinastia merovingia e antenato di Carlo Magno.\nSecondo l'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (Libro III, Canto V), Andromaca avrebbe sostituito Astianatte con un altro bambino, che fu ucciso dai Greci al posto suo, lasciando il vero figlio nascosto in un bosco. Successivamente Astianatte sarebbe stato portato da un amico di Ettore in Sicilia, dove, prima di essere assassinato dal greco Egisto, concepì con la regina di Siracusa un figlio, Polidoro, dalla cui stirpe nacque il famoso Ruggero, da cui a sua volta discende la nobile casata degli Este.
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### Titolo: Astomi.\n### Descrizione: Nell'Induismo, gli Astomi sono un'antica razza leggendaria di persone che non hanno bisogno di mangiare o bere del tutto, e sopravvivono odorando mele e fiori.\nMegastene menziona questa gente nel suo Indica. Collocati alla foce del fiume Gange, sono descritti come esseri dai corpi rozzi, pelosi e senza bocca. Quando viaggiano sono soliti trasportare radici, fiori e mele da odorare. Possono morire a causa di odori sgradevoli.\nNe parlano Solino, Plinio e Gellio, oltre che, sulla loro scorta, Petrarca («s'alcun vive / Sol d'odore» in Canzoniere, CXCI 10-11).
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### Titolo: Atalanta (mitologia).\n### Descrizione: Atalanta (in greco antico: Ἀταλάντη?, Atalántē) è un'eroina della mitologia greca, nota per la sua maestria nella caccia. Del suo mito esistono diverse versioni: secondo quella arcadica era figlia di Iaso e di Climene, mentre per la tradizione beotica suo padre era Scheneo, figlio di Atamante.\n\nIl mito.\nIl mito racconta che il padre di Atalanta desiderasse un maschio, ed alla nascita di Atalanta, com'era costume in questi casi, la abbandonò sul monte Pelio. Artemide allora inviò un'orsa, che se ne prese cura allattandola e allevandola. Qualche tempo dopo, Atalanta fu trovata da un gruppo di cacciatori che la crebbero.\nLa sua propensione per la caccia si manifestò presto quando affrontò e uccise con l'arco i centauri Ileo e Reco, i quali avevano tentato di violentarla. In seguito, chiese di far parte degli Argonauti e partecipò alla spedizione, diventando l'unica donna a prendere parte all'impresa (secondo altre versioni del mito invece, Giasone, che temeva la presenza di una donna sulla nave Argo, rifiutò).\nAltra prova di destrezza nella caccia Atalanta la diede partecipando alla battuta per la cattura del cinghiale calidonio, che riuscì a ferire per prima. Meleagro, in segno di onore, le fece dono della pelle della preda.\nL'eco dell'impresa la rese tanto celebre che il padre infine la riconobbe. Le insistenze del padre affinché Atalanta si sposasse incontrarono la sua contrarietà: infatti, un oracolo le aveva predetto che, una volta sposata, avrebbe perduto le sue abilità.\nAtalanta, per accontentare il padre, sicura dei propri mezzi, promise di sposarsi solo con chi l'avesse battuta in una gara di corsa. La posta era altissima: ciascun pretendente che non ne fosse uscito vincitore, sarebbe stato ucciso.\nNessuno riuscì a batterla finché non arrivò Melanione (o Ippomene) che, profondamente innamorato, volle cimentarsi nella rischiosissima impresa chiedendo aiuto ad Afrodite. La dea diede allora a Melanione tre mele d'oro tratte dal Giardino delle Esperidi ed egli, seguendone il consiglio, lasciò che cadessero a una a una durante la corsa. Atalanta ne risultò irresistibilmente attratta e si fermò ogni volta a raccoglierle, perdendo così terreno prezioso e, infine, la gara stessa.\nAtalanta viene descritta come provocante, ma fermamente virtuosa. Cacciatrice infaticabile, venne talvolta assimilata ad Artemide.\n\nIl mito nella letteratura classica greca e latina.\nEuripide afferma che il padre di Atalanta fosse Menalo, figlio di Licaone, e che suo marito fosse Ippomene; alcuni autori ritengono invece che fosse figlia del re beota Scheneo.\nSecondo alcune leggende, Atalanta è madre di Partenopeo, avuto da Meleagro o da Melanione.\nNelle Metamorfosi di Ovidio, Venere narra ad Adone l'episodio della gara fra Atalanta ed Ippomene. Secondo questo racconto, la dea si adira con il vincitore che dimentica di ringraziarla dell'aiuto ricevuto e, per vendicarsi, pervade gli sposi di desiderio mentre sono in visita al tempio di Cibele. Quest'ultima, furiosa nel vedere il suo tempio profanato dalla passione dei due giovani, li trasforma in leoni e li condanna a trainare il suo carro.\nSempre nello stesso poema, viene citata come ''Atalanta di Tegea'', partecipante alla caccia al cinghiale calidonio (senza specificare che si tratti dello stesso personaggio).\nAppare inoltre evidente la somiglianza fra la figura di Atalanta e quella di Camilla, vergine guerriera dell’Eneide di Virgilio.\n\nNella cultura moderna.\nArte.\nGuido Reni nel 1618-1619 dipinge il mito di Atalanta e Ippomene.\nLa polena chiamata Atalanta, conservata nel Museo Tecnico Navale alla Spezia, è una misteriosa scultura lignea femminile, recuperata nel 1866 dalle acque dell’Oceano Atlantico e che si crede possa stregare con il suo fascino inquietante chi la guardi troppo a lungo.\n\nLetteratura.\nIl mito di Atalanta è ripreso e variato dall'alchimista, medico e musicista, Michael Maier (1566-1622), nel suo Atalanta fugiens.\nLa psicanalista junghiana Jean Shinoda Bolen, continuatrice della mitopsicologia, nel suo Artemide. Lo spirito indomito dentro la donna ha dedicato molto spazio all'interpretazione del mito di Atalanta come figura mitologica umana corrispondente dell'archetipo di Artemide. Una prima trattazione del mitema Atalanta era già presente nel suo precedente libro, Le dee dentro la donna. Una nuova psicologia femminile, traduzione pubblicata presso la medesima casa editrice Astrolabio.\nLa figura di Atalanta ha ispirato un racconto di Gianni Rodari, con illustrazioni di Emanuele Luzzati.\nÈ inoltre una delle dodici figure le cui vicende sono narrate da Rick Riordan in Percy Jackson racconta gli eroi greci.\n\nZoologia.\nIl suo nome è stato dato da Carl von Linné a una specie di farfalla: la Vanessa atalanta diffusa nelle zone temperate di Europa, Asia e Nord America.\n\nSport.\nCon ispirazione a questa figura mitologica, il 17 ottobre 1907 venne fondata a Bergamo la squadra dell'Atalanta Bergamasca Calcio. Nonostante Atalanta nella mitologia fosse una comune mortale e non una divinità, la squadra è detta in suo onore “La Dea”.\n\nManga, anime e videogiochi.\nUn'allegoria della dea Atalanta ha ispirato il cartone: 'C'era una volta Pollon'- Episodio 31-La corsa di Atalanta.\nAtalanta è presente nella serie di videogiochi Golden Sun, in Fate/Grand Order, nella light novel e nella serie anime di Fate/Apocrypha e in Rise of the Argonauts.
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### Titolo: Ate.\n### Descrizione: Ate (in greco antico: Ἄτη?, «rovina, inganno, dissennatezza») è una figura minore della mitologia greca.\n\nDescrizione.\nFrequentemente induce al peccato di ὕβρις (hýbris), la tracotanza che nasce dalla mancanza di senso della misura.\nAte non tocca il suolo: cammina leggera sul capo dei mortali e degli stessi dei, inducendoli in errore.\nLa seguono, senza riuscire mai a raggiungerla, le Litai, le rugose Preghiere, che si prendono cura di coloro cui Ate ha nuociuto nel suo cammino. Quando qualcuno si rivela sordo alle Preghiere, queste si rivolgono al padre Zeus perché faccia perseguitare da Ate chi le ha respinte.\nDue sono i miti principali sulle sue origini, differenti l'uno dall'altro:.\n\nIl primo è quello raccontato da Omero, secondo il quale è la figlia di Zeus. A lei Agamennone attribuisce la responsabilità degli eventi che portarono alla disputa con Achille. Lo stesso Agamennone narra che Zeus, quando suo figlio Eracle stava per nascere da Alcmena, si vantò con gli dei Olimpi che il suo prossimo discendente avrebbe regnato su tutti i vicini; sollecitato da Era, il dio ne fece giuramento, non sospettando che sulla sua testa si era in quel momento posata Ate. Era fece in modo che Euristeo, figlio di Stenelo, nascesse prima di Eracle, e questi fu dunque costretto a servire per molti anni il fratellastro. Quando Zeus scoprì l'accaduto, prese Ate per le trecce e la scagliò sulla terra, giurando che non avrebbe mai più rivisto l'Olimpo.Stando allo Pseudo-Apollodoro, Ate atterrò su una collina in Frigia, in una località che assunse il nome della dea. Nello stesso luogo Zeus scaraventò anche il Palladio, e Ilo vi fondò Troia;.\n\nIl secondo mito è quello di Esiodo, secondo il quale Ate è figlia di Eris, dea della Discordia, e strettamente imparentata a un'altra delle sue figlie, Ingiustizia. Questa seconda versione del mito è meno articolata della prima.Ate ed Eris sono talora confuse. Secondo alcuni non fu Eris, ma Ate, infuriata per non essere stata invitata alle nozze di Peleo e Teti, a lasciar scivolare durante il banchetto una mela d'oro recante la scritta 'alla più bella'. La mela della discordia generò una disputa fra Era, Atena e Afrodite, poi risolta in favore di quest'ultima con il giudizio di Paride, ponendo le premesse per la guerra di Troia.\nSecondo Nonno, Ate fu indotta da Era a convincere il giovane Ampelo, amato da Dioniso, a cavalcare un toro per impressionare il dio; Ampelo fu disarcionato e si ruppe il collo.
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### Titolo: Atena Itonia.\n### Descrizione: Atena Itonia o Itonia (greco antico Ἰτωνία, Ἰτωνίας or Ἰτωνίς) era un epiteto della dea greca Atena venerata con questo nome diffusamente in Tessaglia e altri luoghi della Grecia antica.\n\nEtimologia.\nIl nome deriva probabilmente dall'Itoni, un monte della Tessaglia presso Tebe, a sud della Ftiotide. Secondo un'altra tradizione, l'epiteto 'Itonia' deriverebbe da Itono, figlio di Anfizione, un antico re o sacerdote di Atene.\n\nCulto.\nIl culto di Atena Itonia associava misticamente Atena a quel dio degli Inferi che era chiamato Ade da Strabone, e che secondo Pausania il Periegeta sarebbe stato lo stesso Zeus. Forse Atena Itonia aveva qualcosa del carattere del suo primitivo culto ad Atene, come dea legata alla fertilità della terra e perciò affine alle divinità ctonie.\nSull'Itoni c'era un celebre santuario, a cui era associata una festa, donde l'attributo ad Atena 'incola Itoni' ('che risiede a Itoni)' Dall'Itoni il culto si diffuse in Beozia, dove Atena era la principale divinità della guerra e nella regione attorno al lago Copaide. Nel suo tempio, tra Fere e Larissa, furono appesi gli scudi dei Galati sconfitti nell'ultima vittoria dei Greci sui barbari, anche se un frammento di Bacchilide indica che Atena Itonia non era solo una dea guerriera, ma anche la protettrice di arti pacifiche, specialmente della poesia.\nIl tempio di Atena Itonia a Coronea era il luogo di incontro della Lega beotica, dove si celebravano le Pambeozie, in prossimità di un boschetto sacro ad Atena. Altri autori riferiscono che il culto di Atena Itonia fosse presente anche ad Atene e ad Amorgos, e che in suo onore si celebrava una festa a Crannone.
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### Titolo: Atena.\n### Descrizione: Atena (in greco antico: Ἀθηνᾶ?, Athēnâ; dialetto attico), o Pallade Atena (Παλλάς Ἀθηνᾶ), è la dea greca della sapienza, delle arti e della strategia in battaglia.\nDea guerriera e vergine, una delle più rispettate, ha varie funzioni: difende e consiglia gli eroi, istruisce le donne industriose, orienta i giudici dei tribunali, ispira gli artigiani e protegge i fanciulli. Ma quando è in collera, questa dea può diventare spietata.\nNella guerra tra Achei e Troiani era la protettrice dei Greci. Dea protettrice della città di Atene, le era dedicato il tempio detto Partenone (“della vergine”) sull'Acropoli della città, la cui gigantesca statua di culto crisoelefantina era opera di Fidia; inoltre di fronte ai Propilei era stata eretta una statua bronzea, i cui bagliori erano visibili dalle navi che arrivavano al Pireo; in suo onore si svolgevano ogni anno le feste panatenee. Come dea protettrice delle acropoli, aveva santuari sparsi in tutta la Grecia e nel mondo ellenistico (resti di templi di Atena sono stati scoperti nell'acropoli di Lindos, di Pergamo, a Roma, Paestum e in vari santuari minori).\nParticolarità del culto di Atena era la sua statuetta, in origine di legno poi divenuta di metallo, il Palladio, a cui si attribuivano poteri magici, poiché la statua era considerata simbolo dell'inespugnabilità della città. Proprio per questo, durante la guerra di Troia, Ulisse e Diomede compiono l'impresa di introdursi di notte nell'acropoli troiana per rubarne il palladio.\nLa statua ad Atena ogni anno riceveva durante le feste Panatenaiche una nuova veste ricamata dalle fanciulle ateniesi. Callimaco nel suo inno 'Per i lavacri di Pallade' narra di una cerimonia argiva, che consisteva nel portare il Palladio ogni anno al fiume Inaco per lavarlo e riallestirlo.\nLa dea viene rappresentata sempre vestita con peplo e spesso armata, attorniata dai suoi simboli sacri: la civetta Athene noctua, l'elmo, la lancia, lo scudo e l'Egida, ossia un mantello indistruttibile realizzato con la pelle della capra Amaltea, che aveva protetto e nutrito Zeus, sottratto a Crono dalla madre Rea. Suo albero sacro era l'ulivo, da lei creato come dono agli ateniesi, per divenire la loro divinità protettrice.\nAtena per le sue capacità profetiche e mediche era adorata anche nei santuari di Delfi e di Epidauro. Nelle Vite parallele di Plutarco (Pericle e Fabio Massimo), Atena appare a Pericle in sogno ordinando delle cure per un cittadino malato di Atene. Dopo questo episodio venne eretta una statua in bronzo in onore delle divinità Ermes e Atena. Minerva, dea della religione romana, veniva associata dai romani ad Atena.\n\nEtimologia e origini del nome.\nÈ possibile che il nome Athena sia di origine Lidia. Potrebbe trattarsi di una parola composta, derivata in parte dal Tirreno ati, che significa 'madre', e in parte dal nome della Dea hurrita Hannahannah che spesso è abbreviato in Ana. Sembrerebbe fare la sua comparsa in una singola iscrizione in lingua micenea nelle tavolette in scrittura Lineare B. In un testo facente parte del gruppo delle 'Tavolette della stanza del carro' rinvenute a Cnosso, la più antica testimonianza di scrittura lineare B, si trova 'A-ta-na-po-ti-ni-ja', '/Athana potniya/'. Sebbene questa frase venga spesso tradotta come 'Padrona Atena', letteralmente significa 'la potnia di At(h)ana', che probabilmente vuol dire 'La signora di Atene': non è comunque possibile stabilire con certezza se vi sia una connessione con la città di Atene. Si è rinvenuta anche la forma 'A-ta-no-dju-wa-ja', '/Athana diwya/', la cui parte finale è la scomposizione in sillabe in Lineare B di quella che in greco è conosciuta come Diwia (in miceneo di-u-ja o di-wi-ja), ovvero 'divina'- Atena, attributo della Dea della tessitura e delle arti.\nNel suo dialogo Cratilo, Platone fornisce un'etimologia del nome di Atena che rappresenta il punto di vista degli antichi Ateniesi sostenendo che derivi da 'A-theo-noa' (A-θεο-νόα) o 'E-theo-noa' (H-θεο-νόα), che significa 'la mente di Dio', in quanto Atena era nata dalla mente di Zeus:.\n\nPlatone ed Erodoto notarono anche che in Egitto, nella città di Sais, si adorava una dea della guerra il cui nome in egiziano era Neith e la identificano con Atena:.\n\nI nomi e gli appellativi di Atena.\nAtena glaukopis (glaucopide).\nDa Omero in poi, l'epiteto di Atena più comunemente usato in poesia è ”glaukopis” (γλαυκώπις), che viene solitamente tradotto come “con lo sguardo scintillante” o “dagli occhi lampeggianti”. Il termine è una combinazione di glaukos (γλαύκος, che significa 'lucente', 'argenteo' e, in epoche più tarde 'blu-verdastro' e 'grigio') e ops (ώψ, 'occhio' o talvolta 'viso').\nÈ interessante notare che glaux (γλαύξ, civetta) deriva dalla medesima radice, probabilmente per i particolari occhi di cui è dotato l'animale. La figura di quest'uccello notturno, capace di vedere nell'oscurità, è strettamente legata alla Dea della saggezza: a partire fin dalle prime raffigurazioni è dipinta con la civetta appollaiata sulla testa. In epoca arcaica Atena potrebbe essere stata una “dea-uccello” simile a Lilith o alla dea raffigurata con ali e artigli da civetta sul Rilievo Burney, un rilievo in terracotta mesopotamico degli inizi del secondo millennio a.C.\n\nAtena Tritogenia.\nNell'Iliade (4.514), negli Inni omerici, nella Teogonia di Esiodo e nella Lisistrata di Aristofane viene attribuito ad Atena il singolare epiteto di Tritogeneia, reso in latino come Tritonia Virgo.\nIl significato di questo termine non è chiaro; sembrerebbe voler dire “nata da Tritone”, forse riferendosi al fatto che secondo alcuni antichi miti suo padre è il Dio del mare o, ipotesi ancor più dubbia, che fosse nata nei pressi del lago Tritone che si trova in Africa.\nAltro possibile significato è “tre volte nata” o “terza nata”, riferendosi a lei come terza figlia di Zeus oppure alludendo al fatto che era nata da Zeus, da Meti e anche da sé stessa; varie leggende la indicano infatti come figlia nata successivamente ad Artemide e Apollo, al contrario di altre che ne parlano come della primogenita.\n\nPallade Atena.\nUn suo appellativo molto frequente è Pallade Atena (Παλλάς Αθηνά). L'origine e il significato di tale epiteto sono andati perduti, e non è facile ricostruirli. Pallade potrebbe derivare da πάλλω, 'scagliare', con riferimento alla lancia, oppure da παλλακίς, con il significato di 'giovane'.\nSecondo il mito prevalente, riportato nella Biblioteca, l'epiteto deriverebbe dal nome di una ninfa chiamata Pallade, una compagna di giochi della giovane Atena, che la uccise per errore mentre simulavano un combattimento. Atena prese quindi il nome di Pallade in segno di lutto per dimostrare il suo rimorso.Nell'Inno omerico a Ermes, Pallade era invece il padre della dea della luna Selene. In altre versioni si trattava di uno dei Giganti che Atena uccise nella Gigantomachia, o ancora il nome del padre di Atena. Le cose però potrebbero essere andate in maniera ancora diversa, e Atena avrebbe soppiantato una precedente mitica Pallade assorbendola nella sua figura in modo meno 'traumatico', quando questa divenne dapprima Pallas Athenaie, Pallade di Atene (come Hera di Argo era Here Argeie), e infine Pallade Atena, cambiando lentamente ma completamente identità.Per gli Ateniesi, d'altronde, ella era semplicemente “La Dea” (ἡ θεά, he theá), senz'altro un epiteto molto antico.\n\nAltri epiteti.\nAtena Ergane (“industriosa”): patrona di artisti e artigiani, ideatrice di strumenti come il flauto e dei lavori femminili come la filatura, tessitura, ecc.\nAtena Parthenos (“vergine”): nome con cui veniva adorata sull'Acropoli, con celebrazioni specifiche: le Panatenee.\nAtena Promachos (“prima in battaglia”): condottiera di eserciti in battaglia.\nAtena Polias (Atena della città): protettrice di Atene ma anche di altre città tra le quali Argo, Sparta, Gortyna, Lindos e Larissa. In tutte queste città il tempio di Atena era il più importante dell'acropoli.\nAtena Areia: per il suo ruolo di giudice al processo di Oreste (che viene assolto), per l'assassinio della madre Clitennestra, nonché per l'istituzione del tribunale per giudicare il comportamento degli uomini.\nAtena Itonia: da Itono, figlio di Anfizione. Le era dedicato un tempio a Coronea (Beozia) abbellito con statue di Agoracrito. In onore di Atena Itonia si celebravano le Pambeozie.\nAtena Atritonia: dal verbo greco tryo, 'logorare', 'distruggere', più alfa privativo e quindi 'l'instancabile' (cfr. per esempio «Ascolta anche me ora, figlia di Zeus, Atritonia»).\n\nIconografia.\nAtena nell'arte antica.\nNell'iconografia arcaica Atena è perlopiù raffigurata mentre avanza verso il combattimento o promachos (colei che sta nelle prime file) con il braccio levato, brandendo l'asta e lo scudo contro i nemici.\nL'iconografia classica di Atena prevede che sia ritratta in modo pacifico, in piedi mentre indossa l'armatura e l'elmo, tenuto alto sulla fronte; porta con sé una lancia e uno scudo sul quale è fissata la testa della Gorgone Medusa. Proprio in questa posizione è stata scolpita da Fidia nella sua famosa statua crisoelefantina, alta 11 metri – ora perduta – l'Athena Parthenos che si trovava nel Partenone. Spesso, poggiata sulla sua spalla, si trova la civetta, simbolo di saggezza.\nA prescindere dagli attributi tipici, a partire dal V secolo a.C. sembra esserci stata una sostanziale uniformità di vedute tra gli artisti su quale dovesse essere l'aspetto della Dea. Un naso importante con un alto ponte che sembra essere la naturale continuazione della fronte, occhi profondi, labbra piene, una bocca stretta e appena più larga del naso, il collo allungato ne tratteggiano una bellezza serena ma un po' distaccata.\n\nAtena nell'arte rinascimentale e barocca.\nLa riscoperta dei classici nel Rinascimento portò al recupero dell'iconografia di Atena, che viene raffigurata da grandi artisti come divinità positiva, di cui uno dei primi esempi è nel Salone dei Mesi dipinto a Palazzo Schifanoia: nel dipinto Marzo Atena-Minerva è raffigurata in trionfo su un carro di unicorni, circondata da sapienti e da donne industriose. Andrea Mantegna la raffigura nel Trionfo della Virtù sui vizi e Botticelli in Pallade e il centauro. Un esempio di arte cinquecentesca è la Minerva di Parmigianino.\nNel seicento e nel settecento le raffigurazioni di Atena sono numerose, ma in genere di carattere meramente allegorico, come il quadro Minerva protegge la Pace da Marte di Peter Paul Rubens.\n\nAtena nell'arte moderna.\nL'iconografia di Atena come protettrice delle arti e delle lettere favorì la diffusione di sue statue e raffigurazioni in università e biblioteche. Il classicismo vide la ripresa di raffigurazioni neoclassiche, in genere piuttosto accademiche e fredde, come l'Atena posta nella fontana di fronte al Parlamento di Vienna. Le correnti della secessione viennese invece preferirono esaltarne gli aspetti arcaici, più simbolici e oscuri come nel quadro ad olio di Pallade Atena di Gustav Klimt, dove la dea con una Nike nuda in mano riluce di riflessi d'oro. Il nome di Pallade fu dato nell'800 ad un asteroide e all'elemento chimico Palladio.\n\nPsicologia.\nAtena, la guerriera saggia e forte, rappresenta le qualità intellettuali, sia dell'uomo sia della donna (infatti la Dea era la protettrice delle arti femminili). Nella città di Atene erano gli uomini a prendere ogni decisione (anche riguardo alla vita delle proprie mogli o figlie), tuttavia la Dea Atena era considerata la custode del Tribunale, colei a cui spettava l'ultima parola, in caso di parità di voti. Tale prerogativa veniva fatta risalire al mitico giudizio di Oreste, accusato di matricidio.\nForse, il carattere della Dea va collegato all'idealizzazione delle donne di Sparta di condizione sociale elevata: dovevano essere atletiche, combattive, forti e sagge. La Dea è nata dal padre Zeus, è quindi 'tutta del padre', con un carattere bellicoso, al punto da saper maneggiare la folgore di Zeus, con la quale uccide Aiace Oileo. Tuttavia, per contrasto, il culto femminile di Atena è attestato in Grecia e Magna Grecia dai numerosi ex voto ritrovati presso i templi; la dea viene anche invocata come protettrice delle nascite e dei bambini, in collegamento con il mito di Erittonio, suo figlio adottivo. Ad Atene, nella processione annuale delle feste Panatenaiche veniva donato alla statua della dea un prezioso peplo tessuto dalle fanciulle della città.\n\nMitologia.\nLa nascita di Atena.\nTra gli dei dell'Olimpo Atena viene ritratta come la figlia prediletta di Zeus, nata già adulta e armata, dalla testa del padre o dal polpaccio secondo altri, dopo che lui ne aveva mangiato la madre Meti. Varie sono le versioni riguardo alla sua nascita; infatti una versione dice che Atena è solo figlia di Zeus. Quella più comune dice che Zeus si coricò con Meti, Dea della prudenza e della saggezza, ma subito dopo ebbe paura delle conseguenze che ne sarebbero derivate: una profezia diceva che i figli di Meti sarebbero stati più potenti del padre, fosse stato anche lo stesso Zeus. Per impedire che questo si verificasse, subito dopo aver giaciuto con lei, Zeus indusse Meti a trasformarsi in una goccia d'acqua oppure, a seconda della tradizione, in una mosca o in una cicala e la inghiottì, ma era ormai troppo tardi: la Dea aveva infatti già concepito un bambino. Meti cominciò immediatamente a realizzare un elmo e una veste per la figlia che portava in grembo, e i colpi di martello sferrati mentre costruiva l'elmo provocarono a Zeus un dolore terribile. Così Efesto aprì la testa di Zeus con un'ascia bipenne e Atena ne balzò fuori già adulta e armata, iniziando a fare una danza guerresca. Così Zeus uscì, malconcio ma vivo, dalla brutta disavventura.\nAlcuni frammenti attribuiti alla storia dal semi-leggendario Sanconiatone, che si dice essere stata scritta prima della guerra di Troia, suggeriscono che Atena sia invece la figlia di Crono, il re dei Titani, padre di Zeus, Dio del cielo, Poseidone, Dio del mare, e di Ade, Dio degli Inferi, fatto a pezzi dalla sua stessa arma per mano dei figli e gettato nel Tartaro (la parte più profonda degli Inferi).\n\nGenealogia (Esiodo).\nLeggende e racconti relativi ad Atena.\nGigantomachia.\nQuando i Giganti, i mostruosi figli di Gea, si ribellarono contro gli dei dell'Olimpo, cercando di prenderne il posto, ne scaturì una lotta furiosa, cui Atena prese parte con valore. La dea sconfisse vari giganti, tra cui Pallante, Encelado e Alcioneo. La lotta tra dei e Giganti è raffigurata nel fregio marmoreo dell'altare di Pergamo.\n\nErittonio.\nSecondo quanto racconta lo Pseudo-Apollodoro, il dio Efesto tentò di unirsi ad Atena ma non riuscì nell'intento. Il suo seme si sparse al suolo e fecondò Gea e così dalla terra nacque Erittonio, metà umano e metà serpente. Atena decise comunque di allevare il bambino come madre adottiva. Una versione alternativa dice che il seme di Efesto cadde sulla gamba della Dea, che se la pulì con uno straccetto di lana che gettò poi a terra: Erittonio sarebbe così nato dalla terra e dalla lana. Un'altra leggenda narra che Efesto avesse voluto sposare Atena ma che la Dea scomparve all'improvviso dal talamo nuziale, cosicché lo sperma di Efesto finì per cadere a terra. Atena chiuse dentro ad una cesta il bambino, che aveva la parte inferiore del corpo a forma di serpente e lo affidò alle tre figlie di Cecrope (Herse, Pandroso e Aglauro), avvisandole di non aprirla mai. Agraulo, curiosa, aprì ugualmente la cesta e la vista dell'aspetto mostruoso di Erittonio fece impazzire le tre sorelle che si uccisero lanciandosi giù dall'Acropoli, oppure secondo Igino, nel mare.\nUna versione diversa dice che, mentre Atena era andata a prendere una montagna per usarla per costruire l'Acropoli, due delle sorelle aprirono la cesta: un corvo vide la scena e volò a riferirlo alla Dea che accorse infuriata lasciando cadere la montagna, che ora è il Monte Licabetto. Herse e Pandroso impazzirono per la paura e si uccisero lanciandosi da una scogliera, e neppure il corvo fu risparmiato dall'ira di Atena che, si narra, fece diventare da allora nere le piume di quest'animale.\nErittonio diventò in seguito re di Atene e introdusse molti cambiamenti positivi nella cultura ateniese. Durante il suo regno Atena fu frequentemente al suo fianco per consigliarlo e proteggerlo.\n\nAglauro.\nIn un'altra versione del mito di Aglauro, narrata nelle Metamorfosi di Ovidio, Ermes si innamora di Herse. Quando le tre sorelle si recano al tempio per fare un'offerta sacrificale in onore di Atena, Ermes si avvicina ad Aglauro e le chiede il suo aiuto per sedurre Herse. Questa in cambio chiede a Ermes dei soldi e il Dio le dà il denaro che avevano sacrificato ad Atena. Atena, per punire l'avidità di Aglauro, ordina all'Invidia di possedere Aglauro: questa obbedisce e Aglauro ne resta pietrificata.\n\nPoseidone.\nAtena era in competizione con Poseidone per diventare la divinità protettrice della città capitale dell'Attica che, all'epoca in cui si svolge questa leggenda, ancora non aveva un nome. Si accordarono in questo modo: ciascuno dei due avrebbe fatto un dono ai cittadini e questi avrebbero scelto quale fosse il migliore, decidendo così la disputa. Poseidone piantò al suolo il suo tridente e dal foro ne scaturì una sorgente. Questa avrebbe dato loro sia nuove opportunità nel commercio che una fonte d'acqua, ma l'acqua era salmastra e non molto buona da bere. Atena invece offrì il primo albero di ulivo adatto ad essere coltivato. Gli Ateniesi scelsero l'ulivo e quindi Atena come patrona della città, perché l'ulivo avrebbe procurato loro legname, olio e cibo. Si pensa che questa leggenda sia sorta nel ricordo di contrasti sorti nel periodo Miceneo fra gli abitanti originari della città e dei nuovi immigrati. Alcuni credono che Atena avesse addirittura una relazione con Poseidone prima della contesa per la città.\nUna diversa versione della leggenda dice che Poseidone offrì in dono, anziché la sorgente, il primo cavallo, simbolo di guerra, che gli Ateniesi maschi preferivano, mentre le donne, che erano la maggioranza, scelsero il dono di Atena, simbolo di pace. Si può supporre che uno dei motivi per cui la scelta dei cittadini si orientò in questo senso, fu che Poseidone era considerato una divinità molto difficile da compiacere, come dio dei terremoti aveva causato distruzioni anche nelle città delle quali era patrono. Atena rappresentava quindi un'alternativa migliore.\n\nAracne.\nUna donna di nome Aracne un giorno si vantò di essere una tessitrice migliore di Atena, che di quest'arte era la Dea stessa. Atena andò così da lei travestita come una vecchia e consigliò Aracne di pentirsi della sua arroganza (hybris), ma la donna invece la sfidò ad una gara. Atena allora riassunse le sue vere sembianze e accettò la sfida. La Dea realizzò un arazzo che rappresentava gli Dèi che punivano gli uomini, in particolare lo scontro fra Poseidone e la città di Atene, mentre Aracne ne fece uno in cui si derideva Zeus e le sue numerose amanti. Secondo la versione di questo mito narrata nelle Metamorfosi di Ovidio, quando Atena vide che Aracne non solo aveva insultato gli Dèi ma aveva realizzato un arazzo più bello del suo, fu oltraggiata. Ridusse l'opera di Aracne in brandelli e la colpì in testa tre volte. Terrificata e umiliata, Aracne si impiccò. Al che la Dea decise di trasformarla in un ragno, obbligandola a tessere la sua tela per l'eternità e a tramandare il suo sapere ai suoi discendenti.\n\nPerseo e Medusa.\nAtena è al fianco di Perseo quando intraprende il viaggio al termine del quale affronterà Medusa, l'unica fra le tre Gorgoni ad essere mortale.\nAtena detestava la giovane Medusa, perché, fiera della propria splendida chioma, aveva osato competere con lei nella bellezza. Offesa, la dea aveva mutato Medusa in una creatura ripugnante e la sua chioma in un groviglio di serpi, cosicché chiunque ne avesse incrociato lo sguardo sarebbe rimasto pietrificato.\nAtena quindi istruisce Perseo a farsi cedere dalle tre Graie i tre oggetti prodigiosi che lo aiuteranno nell'impresa di decapitare la Gorgone la cui testa dovrà portare come dono nuziale a Polidette. L'eroe riceve da Ermes un affilatissimo falcetto adamantino, dalla stessa Atena riceve lo scudo lucente attraverso il quale potrà guardare senza restare pietrificato. Ottiene dalle Graie anche gli strumenti magici.\nCon l'elmo di Ade, che rende invisibili, i calzari alati e la bisaccia magica dove nascondere la testa di Medusa, Perseo giunge all'oceano attraverso la tetra foresta di statue che precede la dimora di Medusa. Atena è ancora al suo fianco e gli guida la mano. Perseo porta a compimento la propria impresa: si rende invisibile indossando l'elmo di Ade, si libra in aria grazie ai sandali alati e recide il capo di Medusa. Atena lo fisserà sulla sua ègida.\n\nLe Argonautiche.\nIn vista della spedizione degli Argonauti per recuperare il vello d'oro, Atena partecipò alla costruzione della nave Argo, ornando la prua con un intaglio di quercia di Dodona, sacra al padre Zeus. La dea seguì le imprese del suo protetto Giasone e dei suoi compagni.\n\nEracle.\nAtena era la dea protettrice del fratello semidivino Eracle e lo guidò e lo consigliò per tutta la vita. I due erano rispettivamente la figlia e il figlio preferiti da Zeus. In particolare, rilevante fu l'aiuto della dea in alcune delle fatiche di Eracle: nella prima fatica, dopo l'uccisione del leone di Nemea, Atena trasformata in anziana, consigliò Eracle su come scorticare la belva e gli suggerì di indossare la pelle come protezione invincibile agli attacchi dei nemici. Sempre Atena assistette il fratello nella sesta fatica di scacciare i letali uccelli del lago Stinfalo. Dopo aver fallito al primo tentativo, Eracle ricevette dalla dea due enormi sonagli di bronzo e con essi stordì gli uccelli, che fuggirono via liberando la popolazione vicina.\n\nTiresia e Cariclo.\nIn un mito si narra che il giovane Tiresia mentre andava a caccia, sorprese per caso Atena mentre faceva il bagno nuda con delle ninfe ed ella lo rese cieco. Sua madre, la ninfa Cariclo, la supplicò di ritirare la maledizione, ma Atena non aveva il potere di farlo e decise, come riparazione, di dotarlo del dono della profezia.\n\nMarsia.\nAtena creò con dei bastoncini forati il primo aulos (una specie di doppio flauto) e provò a suonarlo. Tuttavia la dea si arrabbiò, perché lo strumento deformava le sue gote e lo gettò via. Il satiro Marsia passava di li per caso e lo raccolse. Col tempo divenne abilissimo nel suonarlo, tanto da osare sfidare il dio Apollo, dio della musica, in una gara. Marsia fu sconfitto da Apollo e per punizione fu scorticato. La scena della dea che getta il flauto era raffigurata nel famoso gruppo scultoreo di Atena e Marsia, dello scultore Mirone, posto nell'Acropoli.\n\nGiudizio di Paride.\nTutti gli dei partecipavano alle nozze di Peleo e Teti nell'Olimpo. Eris, Dea della Discordia, gettò una mela d'oro al banchetto nuziale nell'Olimpo con incisa sopra la scritta 'alla più bella'. Per evitare contese fra le tre Dee maggiori, Zeus mandò Ermes con Atena, Afrodite ed Era sulla terra dove il giovane pastore troiano Paride dovette fare da giudice su chi fosse la Dea più bella tra loro. Ogni Dea promise un dono a Paride in caso di vittoria: Era di renderlo ricco e potente (donandogli l'Asia minore), Atena di farlo il più saggio degli uomini (o, secondo una versione diversa, di renderlo invincibile in guerra) e Afrodite di dargli in sposa la donna più bella del mondo, Elena, la figlia di Zeus e Leda. Paride scelse Afrodite, causando così involontariamente la guerra di Troia.\n\nL'Iliade.\nNella guerra di Troia gli dei si dividono a favore dei due schieramenti. Era e Atena decidono di combattere con i Greci contro i troiani, per vendicarsi dell'offesa di Paride. Quando Agamennone pretende la schiava di Achille, l'intervento invisibile di Atena, che lo trattiene per i capelli, impedisce all'eroe di uccidere Agamennone in un impeto d'ira. Durante gli scontri e i duelli Atena interviene spesso in modo decisivo in battaglia a sostegno di Achille, di Diomede e degli eroi greci. Durante uno scontro Atena, 'dea tremenda' si mette l'elmo di Ade per divenire invisibile, scaccia l'auriga e combatte con Diomede sul suo carro. I due assieme riescono a ferire gravemente al fianco Ares il dio della guerra, che si deve ritirare dallo scontro. L'astuta Atena inganna anche Ettore, assumendo la forma del fratello Deifobo, per incoraggiarlo ad affrontare Achille nello scontro, che gli sarà fatale.\n\nLa caduta di Troia.\nPoiché nella cittadella di Troia era custodito il Palladio, simulacro arcaico in legno della Dea a protezione della città, Ulisse e Diomede dovranno rubarlo nottetempo, col tacito consenso della dea, per poter espugnare la città. Secondo altre versioni del mito invece Enea avrebbe portato con sé il Palladio quando fuggì da Troia.\nQuando compare sulla spiaggia il cavallo di legno, Atena fa uscire dal mare due serpenti marini per uccidere il sacerdote troiano Laocoonte. Tuttavia in un'occasione Atena non fu dalla parte dei Greci: la profetessa troiana Cassandra si era rifugiata sull'altare di Atena, luogo sacro, per sfuggire ad Aiace Oileo ma questi la aveva raggiunta e presa brutalmente, profanando l'altare. Ciò scatenerà l'ira di Atena sull'eroe greco che sarà ucciso dalla dea con un fulmine del padre Zeus sulla via del ritorno in patria.\n\nL'Odissea.\nL'astuto e scaltro Odisseo aveva conquistato la benevolenza e la protezione di Atena. Questa però non aveva potuto aiutarlo nel viaggio di ritorno verso Itaca. Solo quando giunse sulla costa dell'isola di Scheria dove Nausicaa, figlia del re Alcinoo, stava lavando i suoi panni, Atena poté intervenire ed apparve in sogno alla principessa inducendola a soccorrere Odisseo e ad aiutarlo a ritornare in patria.\nAd Itaca, Atena si presenta a Odisseo sotto mentite spoglie e, mentendo, gli dice che sua moglie Penelope si è risposata perché lo si crede morto. Odisseo però riconosce la dea che, compiaciuta dalla risolutezza e sagacia dell'eroe, gli rivela la propria natura e gli spiega come fare per riconquistare il suo regno. A questo scopo muta le sembianze di lui in quelle di un vecchio mendicante, Iro, in modo che non venga riconosciuto dai Proci (i principi pretendenti alla mano di Penelope), che si sono insediati a palazzo ed assediano la regina. Lo aiuta poi a sconfiggerli, intervenendo a risolvere anche la disputa finale con i loro parenti. La dea guidò anche Telemaco, il figlio di Odisseo, nei suoi viaggi (Telemachia) assumendo la forma del precettore Mentore.\n\nNella cultura di massa.\nNelle serie di libri Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo di Rick Riordan la dea Atena è la madre della semidea Annabeth Chase e svolge, insieme ad altri dei, un importante ruolo nella sconfitta del Titano Crono. Nella serie Eroi dell'Olimpo si alterna con la sua controparte romana Minerva ed ha importanza per la pace tra greci e romani.\nLa figura di Atena compare nei film Scontro di titani e Immortals.\nIn Giappone è uscita una serie di manga e anime dal titolo I Cavalieri dello Zodiaco, dove un gruppo di cavalieri guidati dalla dea Atena combattono contro altre divinità come Poseidone, Ade o Odino.\nAtena appare come personaggio ricorrente in quasi tutti i giochi della saga videoludica di God of War.\nNel videogioco Shin Megami Tensei: Persona 3 Atena appare come evoluzione della Persona di Aigis, una dei coprotagonisti.\nAtena appare nel videogioco MOBA SMITE come dea greca giocabile, ricoprendo il ruolo di guardiana (Guardian), che fa da tank assorbendo i colpi nemici proteggendo la propria squadra.\nNella serie animata Winx Club, Athena, la pixie guardiana di Fonterossa, è ispirata all'Atena mitologica.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Ati (re di Lidia).\n### Descrizione: Ati (in greco antico: Ἄτυς?, Átys) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re di Lidia, in quei tempi conosciuta come Meonia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Mane o di Eracle e di Onfale, fu il padre di Lido e Tirreno (o Torebo).\n\nMitologia.\nIn seguito ad una grande carestia che durò per diciotto anni Ati dovette scegliere quale dei due figli tenere in patria e quale costringere ad emigrare assieme ad una parte della popolazione e così tenne Lido, mentre Tirreno fu inviato fuori dalla Lidia e condusse i suoi seguaci in Umbria dove si stabilirono e divennero noti come Tirreni.\nDionigi di Alicarnasso però cita Xanto Lidio il quale asserisce che i figli di Ati furono Lidio e Torebo e che i due si divisero il regno dopo la morte del padre e che nessuno dei due lasciò mai la Lidia.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Ati (semidio).\n### Descrizione: Ati (in latino Athis) è un personaggio della mitologia classica. L'unica fonte pervenutaci in cui si parla di lui sono Le Metamorfosi di Ovidio.\n\nIl mito.\nLe origini: un fanciullo guerriero.\nNel poema latino, Ati appare come un giovane semidio indiano, figlio di Limnee, una naiade del Gange che l'avrebbe generato nelle acque del fiume dopo l'accoppiamento con un mortale sconosciuto, di nobile lignaggio. Aveva preso parte a varie battaglie fin da fanciullo, distinguendosi per valore: in particolare egli era dotato di una mira infallibile sia come lanciatore di aste sia soprattutto come arciere, al punto da venire considerato il migliore di tutti a quel tempo. Ma Ati era noto anche per la sua dolcezza: aveva lasciato la terra di origine per stabilirsi a Tiro, in Fenicia (prendendo quindi a esibire l'abbigliamento proprio della popolazione locale, comprendente tra l'altro una clamide orlata d'oro, di cui andava molto orgoglioso, in bell'accostamento con il diadema della stirpe, posto sui capelli profumati di mirra), e probabilmente fu qui che conobbe Licabas, un guerriero assiro poco più grande di lui, col quale formò una coppia legata da un amore reciproco e autentico; dove andava l'uno, l'altro lo seguiva. A sedici anni, la fama che Ati si portava dietro era quella di un eroe giovinetto eccezionalmente bello d'aspetto, dunque caratterizzato da kalokagathia (integer, secondo il testo ovidiano, ossia 'integro', 'puro'); ma proprio allora commise l'errore che gli sarebbe stato fatale.\n\nLa morte.\nFineo, re d'Etiopia insieme al fratello Cefeo, avrebbe dovuto sposare la figlia di questo, Andromeda, ma non avendo fatto nulla per liberare la promessa sposa dal mostro marino che stava per ucciderla fu allontanato dal fratello, che assegnò Andromeda a Perseo, il semidio figlio di Zeus suo salvatore. Non accettando questa decisione, Fineo meditò un piano per riprendersi la ragazza. Stando alla fonte greca più antica, egli tentò di rapire Andromeda con l'aiuto dell'amico Abaride, un personaggio originario della zona del Caucaso: Perseo se ne accorse e convertì entrambi in pietra con la testa di Medusa. Ma secondo la versione più comune, ripresa da Ovidio, Fineo fece irruzione nella reggia con Abaride e molti altri uomini armati, provenienti in gran parte dall'Asia e dal Nordafrica, mentre era in corso il banchetto nuziale, con l'intenzione di eliminare Perseo e i suoi compagni lì presenti; l'eroe greco all'inizio uccise con varie armi alcuni nemici, tra cui Ati e Licabas, per poi estrarre la testa di Medusa con la quale pietrificò quelli che erano ancora in vita. Le Metamorfosi ovidiane sono il solo testo classico pervenutoci che menzioni Ati e Licabas tra i compagni di Fineo, tuttavia il poeta non spiega come mai i due giovani, che malvagi certo non erano (a differenza di molti loro commilitoni), avessero deciso di sostenere la causa del mancato sposo..\nLo scontro tra i due gruppi armati era appena iniziato, quando il sedicenne indiano estrasse il suo arco portandosi quindi al centro della sala. Stava per scoccare il primo dardo verso alcuni compagni di Perseo, ma senza accorgersi che l'eroe greco si era intanto silenziosamente avvicinato a lui, con un piccolo ceppo tra le mani; Perseo rapidissimamente colpì con esso il suo nemico presso la tempia. Il bellissimo volto di Ati venne per metà deformato dalla violenta percossa, il suo cranio fratturato; il giovane orientale cadde moribondo ai piedi di Perseo, fissando coi propri occhi il pavimento ricoperto di sangue. L'agonia fu breve. Mentre Ati esalava l'ultimo respiro, Licabas, che aveva visto tutto, giurò di vendicarlo: prese l'arco del compagno e scoccò una freccia in direzione di Perseo, che nel frattempo si era allontanato; ma troppo scosso per l'accaduto fallì. Anziché mirare un altro dardo contro Perseo, oppure fuggire, l'assiro, preso improvvisamente dal desiderio di seguire Ati nell'oltretomba, rimase immobile, aspettando la reazione del figlio di Zeus, che non ebbe pertanto alcuna difficoltà nel trafiggerlo al petto con la spada. Licabas si gettò sul corpo di Ati, morendo con un sorriso sulle labbra per essersi ricongiunto con l'amato, mentre Perseo corse ad affrontare altri nemici, e, dopo averne uccisi un gran numero, pietrificò con la testa di Medusa i superstiti, tra cui lo stesso Fineo.\n\nInterpretazione dell'episodio.\nNell'episodio ovidiano di Perseo e Fineo sono più i versi dedicati ad Ati e al suo compagno che non quelli con la descrizione della metamorfosi del re etiope. Fonti letterarie greche andate perdute dovevano evidentemente raccontare sia le gesta eroiche di Ati negli anni della fanciullezza sia il motivo che lo spinse a farsi seguace di Fineo.\nIl tenero amore-amicizia di Ati e Licabas, oltre a stridere fortemente con la volgarità dei loro commilitoni e di Fineo, ricorda quello caratterizzante molte altre coppie maschili mitologiche, Eurialo e Niso, Cidone e Clizio, ma soprattutto Achille e Patroclo: Ati infatti è semidio come Achille (entrambi hanno per madre una ninfa), e come lui è più forte rispetto al compagno pur essendo più giovane. Ma se Achille e Patroclo nell'Iliade sono presentati soprattutto come guerrieri, il poema ovidiano mette principalmente in rilievo l'intensa passione che lega i due seguaci di Fineo, in quella 'de-eroizzazione' che secondo Charles Segal caratterizzerebbe l'opera nel suo complesso: con una doppia morte descritta essenzialmente in versi più elegiaci che epici. C'è infine da parte di Ovidio uno sguardo rivolto alla pozza del loro sangue che intiepidisce quindi il suolo (ed è qui che scivoleranno Forbas e Anfimedonte, le due successive vittime di Perseo): come se ciò indicasse la discesa delle anime di Ati e Licabas nel mondo sotterraneo, coppia di nuovo riunita.\n\nAti nella cultura moderna.\nLa figura del semidio indiano, guerriero formidabile nonostante la giovanissima età e al tempo stesso eromenos di grande dolcezza, ha ispirato molti artisti e scrittori postclassici, alcuni dei quali hanno dato spazio più a lui - nonostante non sia oggetto di metamorfosi - che non a Fineo.\n\nNel dipinto di Jean-Marc Nattier Perseo, protetto da Minerva, pietrifica Fineo Ati e Licabas appaiono in primo piano, verso destra, già morti, quasi fossero i protagonisti dell'opera, con una raffigurazione di Ati fedelissima ai versi ovidiani (l'eroe indiano prono sul pavimento col diadema allacciato alla chioma intrisa di mirra, la ferita mortale sulla tempia, la guancia insanguinata), mentre la pietrificazione di Fineo è relegata sullo sfondo.\nNel cosiddetto Piatto con lotta tra Perseo e Fineo, eseguito da artista ignoto, Ati e Licabas occupano addirittura il centro della scena: vi si vede Licabas agonizzante che cade abbracciando il cadavere di Ati (non però prono bensì riverso, con una capigliatura curiosamente bionda, alquanto insolita per un indiano, e la parte sinistra del volto ricoperta di sangue scuro), laddove Perseo e i nemici da lui pietrificati sono qui personaggi assolutamente secondari.\nNell'opera pittorica Perseo affronta Fineo con la testa di Medusa di Sebastiano Ricci, Ati è facilmente riconoscibile nel giovane arciere che giace morto nell'angolo sinistro, mentre manca Licabas, essendo l'artista evidentemente poco interessato alle suggestioni dell'eros e concentrato soprattutto su Perseo che pietrifica Fineo e la maggior parte dei seguaci di costui.\nNella Sinfonia n.5 di Carl Ditters von Dittersdorf, rievocante lo scontro tra Perseo e Fineo, l'assalto di Ati e la sua morte costituiscono l' 'Allegro assai' che fa da secondo movimento alla composizione.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Atimnio (figlio di Cassiopea).\n### Descrizione: Atimnio (in greco antico: Ἀτύμνιος?, Atýmnios) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nEra figlio di Zeus o di Fenice e di Cassiopea.\nNon ci sono notizie al riguardo di spose o progenie.\n\nMitologia.\nAtimnio era un bel ragazzo di cui si erano innamorati i due fratelli Minosse e Sarpedonte.\nNella stessa parte della leggenda il protagonista potrebbe essere Mileto con cui poi Sarpedonte fuggì.\nEbbe culto eroico, che sembra essere stato praticato a Gortyna nell'isola di Creta insieme a quello di Europa.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Atimnio (licio).\n### Descrizione: Atimnio (in greco antico: Ἀτύμνιος) è un personaggio della mitologia greca, presente nell'Iliade di Omero.\nAtimnio era un giovane guerriero della Licia, figlio del nobile Amisodaro e fratello di Maride. Partecipò con quest'ultimo alla guerra di Troia in difesa della città assediata e venne ucciso in combattimento da Antiloco.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Atlantide.\n### Descrizione: Atlantide (AFI: /aˈtlantide/; in greco antico: Ἀτλαντὶς νῆσος?, Atlantìs nêsos, 'isola di Atlante') è un'isola leggendaria, il cui mito è menzionato per la prima volta nel IV secolo a.C. da Platone nei dialoghi Timeo (17a-27b) e Crizia.\nSecondo il racconto di Platone, oltre le Colonne d'Ercole ci sarebbe stata una serie di piccole isole che attraversavano un immenso mare fino a un grande continente a dirimpetto nel quale prosperava una potenza marittima denominata Atlantide che avrebbe conquistato anche molte parti mediterranee dell'Europa occidentale fino all'Etruria a nord e del Nordafrica fino all'Egitto a sud, novemila anni prima del tempo di Solone (cioè approssimativamente nel 9600 a.C.). Dopo avere fallito l'invasione di Atene, Atlantide sarebbe sprofondata 'in un singolo giorno e notte di disgrazia' per opera di Poseidone. Il nome dell'isola-continente deriva da quello di Atlante, leggendario governatore dell'oceano Atlantico, figlio di Poseidone, che sarebbe stato anche, secondo Platone, il primo re della potenza marittima.\nLa descrizione geografica apparentemente indica oltre all'isola Atlantide anche l'America, citata come un vero continente circondato da un vero mare, in contrapposizione al mar Mediterraneo, definito 'un porto di angusto ingresso'.Essendo una storia funzionale ai dialoghi di Platone, Atlantide è generalmente vista come un mito concepito dal filosofo greco per illustrare le proprie idee politiche. Benché la funzione di Atlantide sembri chiara alla maggior parte degli studiosi, essi disputano su quanto e come il racconto di Platone possa essere ispirato da eventuali tradizioni più antiche. Alcuni argomentano che Platone si basò sulla memoria di eventi passati come l'eruzione vulcanica di Thera o la guerra di Troia, mentre altri insistono che egli trasse ispirazione da eventi contemporanei come la distruzione di Elice nel 373 a.C. o la fallita invasione ateniese della Sicilia nel 415-413 a.C.\nLa possibile esistenza di un'autentica Atlantide venne attivamente discussa durante l'antichità classica, ma fu generalmente rigettata e occasionalmente parodiata da autori posteriori. Quasi ignorata nel Medioevo, la storia di Atlantide fu riscoperta dagli umanisti nell'era moderna. La descrizione di Platone ha ispirato le opere utopiche di numerosi scrittori rinascimentali, come La nuova Atlantide di Bacone. Al tema sono state dedicate alcune migliaia di libri e saggi. Atlantide ispira la letteratura contemporanea, soprattutto quella fantasy, ma anche la fantascienza, i fumetti, i film, i videogiochi, essendo divenuta sinonimo di ogni e qualsiasi ipotetica civiltà perduta nel remoto passato.\n\nI dialoghi di Platone.\nI dialoghi di Platone Timeo e Crizia, scritti intorno al 360 a.C., contengono i primi riferimenti ad Atlantide. Platone introduce Atlantide nel Timeo (17-27):.\n\nI quattro personaggi che compaiono in entrambi i dialoghi di Platone sono due filosofi, Socrate e Timeo di Locri, e due politici, Ermocrate e Crizia, benché il solo Crizia parli di Atlantide. Nelle sue opere Platone fa ampio uso dei dialoghi socratici per discutere di posizioni contrarie nel contesto di una supposizione.\nNel Timeo all'introduzione segue un resoconto della creazione e della struttura dell'universo e delle antiche civiltà. Nell'introduzione Socrate riflette sulla società perfetta, già descritta in Platone nella Repubblica (c. 380 a.C.), chiedendo se lui e i suoi ospiti possano ricordare una storia che esemplifica tale società. Crizia menziona un racconto storico che presumibilmente avrebbe costituito l'esempio perfetto e prosegue descrivendo Atlantide, come riportato nel Crizia. Nel suo racconto, l'antica Atene sembra costituire la 'società perfetta' e Atlantide la sua avversaria, che rappresentano l'antitesi dei tratti 'perfetti' descritti nella Repubblica.\nSecondo Crizia, le antiche divinità divisero la Terra in modo che ogni dio potesse avere un lotto; a Poseidone fu lasciata, secondo i suoi desideri, l'isola di Atlantide. L'isola era più grande dell'antica Libia (Nord Africa) e dell'Asia Minore (Anatolia) messe assieme, ma in seguito venne affondata da un terremoto e diventò un banco di fango impraticabile, impedendo di viaggiare in qualsiasi parte dell'oceano. Gli Egiziani, affermava Platone, descrivevano Atlantide come un'isola composta per lo più di montagne nella parte settentrionale e lungo la costa, 'mentre tutt'intorno alla città vi era una pianura, che abbracciava la città ed era essa stessa circondata da monti che discendevano fino al mare, piana e uniforme, tutta allungata, lunga tremila stadi [circa 555 km] sui due lati e al centro duemila stadi [circa 370 km] dal mare fin giù. [...] a una distanza di circa cinquanta stadi [9 km], c'era un monte, di modeste dimensioni da ogni lato [...] L'isola, nella quale si trovava la dimora dei re, aveva un diametro di cinque stadi' [circa 0,92 km].\nNel Timeo si racconta di come Solone, giunto in Egitto, fosse venuto a conoscenza da alcuni sacerdoti egizi di un'antica battaglia avvenuta tra gli Atlantidei e gli antenati degli Ateniesi, che avrebbe visto vincenti i secondi. Secondo i sacerdoti, Atlantide era una monarchia assai potente, con enormi mire espansionistiche. Situata geograficamente oltre le Colonne d'Ercole, politicamente controllava l'Africa fino all'Egitto e l'Europa fino all'Italia. Proprio nel periodo della guerra con gli Ateniesi un immenso cataclisma fece sprofondare l'isola nell'oceano, distruggendo per sempre la civiltà di Atlantide.\n\nNel dialogo successivo, il Crizia, rimasto incompiuto, Platone descrive più nel dettaglio la situazione geopolitica di Atlantide, collocando il tutto novemila anni prima.\nCrizia racconta che il dio Poseidone s'innamorò di Clito, una fanciulla dell'isola, e «recinse la collina dove ella viveva, alternando tre zone di mare e di terra in cerchi concentrici di diversa ampiezza, due erano fatti di terra e tre d'acqua», rendendola inaccessibile agli uomini, che all'epoca non conoscevano la navigazione. Rese inoltre rigogliosa la parte centrale, occupata da una vasta pianura, facendovi sgorgare due fonti, una di acqua calda e l'altra di acqua fredda. Poseidone e Clito ebbero dieci figli, il primo dei quali, Atlante, sarebbe divenuto in seguito il governatore dell'impero. La civiltà atlantidea divenne una monarchia ricca e potente e l'isola fu divisa in dieci zone, ognuna governata da un figlio del dio del mare e dai relativi discendenti. La terra generava beni e prodotti in abbondanza, e sull'isola sorgevano porti, palazzi reali, templi e altre maestose opere. Al centro della città vi era il santuario di Poseidone e Clito, lungo uno stadio (177 metri), largo tre pletri e alto in proporzione, rivestito di argento al di fuori e di oricalco, oro e avorio all'interno, con al centro una statua d'oro di Poseidone sul suo cocchio di destrieri alati, che arrivava a toccare la volta del tempio.Ognuno dei dieci re governava la propria regione di competenza, e tutti erano legati gli uni agli altri dalle disposizioni previste da Poseidone e incise su una lastra di oricalco posta al centro dell'isola, attorno a cui si riunivano per prendere decisioni che riguardavano tutti. Crizia descrive anche il rituale da eseguire prima di deliberare, che prevedeva una caccia al toro armati solo di bastoni e una libagione con il sangue dell'animale ucciso, seguita da un giuramento e da una preghiera. La virtù e la sobrietà dei governanti durò per molte generazioni, finché il carattere umano ebbe il sopravvento sulla loro natura divina. Caduti preda della bramosia e della cupidigia, gli abitanti di Atlantide si guadagnarono l'ira di Zeus, il quale chiamò a raccolta gli dei per deliberare sulla loro sorte.Le notizie che Platone narra di Atlantide provengono molto probabilmente dalla tradizione greca, da Creta e forse dall'Egitto e da altre fonti a noi perdute, il tutto reinterpretato letterariamente dal filosofo.È anzitutto evidente il punto di vista da cui viene narrato il mito, che pone al centro la città di Atene, simbolo di sobrietà e rigore, ma oltre all'immediato paragone con la polis corrotta dell'epoca di Platone, è riscontrabile nel dialogo una proposta utopica, che si esprime nella contrapposizione delle due città, a cui corrispondono due diverse concezioni del modello divino.\nSia l'Atene primitiva, suddivisa in aree da coltivare e abitata da contadini e artigiani, sia la ricca e potente Atlantide sono infatti rappresentazioni del modello divino tratteggiato nel Timeo, a cui la città 'storica' deve guardare nella sua organizzazione politica ed economica; la loro decadenza invece, sentenziata da cataclismi naturali e, nel caso di Atlantide, dovuta alla cupidigia degli uomini, è un palese richiamo alla corruzione degli Stati già descritta nella Repubblica. In analogia con la struttura del Timeo, la seconda parte del Crizia avrebbe dovuto descrivere la realtà intermedia tra il logos e il disordine, con un chiaro riferimento alla situazione delle poleis nel decennio tra il 360 e il 350 a.C., caratterizzata da scontri tra un centro e l'altro per il controllo dei traffici commerciali: decaduta anch'essa dopo la scomparsa della città rivale, l'Atene del mito avrebbe potuto salvarsi dall'inesorabile declino solo rivolgendosi a leggi ispirate al bene.\n\nRicezione e teorie.\nAntichità.\nAl di fuori dei dialoghi Timeo e Crizia di Platone, non esistono testimonianze concrete su Atlantide.\nNonostante alcuni nell'antichità avessero ritenuto un fatto storico il racconto riportato da Platone, il suo allievo Aristotele non diede peso alla cosa, liquidandola come un'invenzione del maestro. Ad Aristotele è infatti attribuita la frase 'L'uomo che l'ha sognata, l'ha anche fatta scomparire.'.\nAlcuni autori antichi videro Atlantide come frutto dell'immaginazione, mentre altri credettero fosse reale. Il primo commentatore di Platone, il filosofo Crantore da Soli, allievo di Senocrate, a sua volta allievo di Platone, è spesso citato come esempio di autore che ritenne la storia un fatto autentico, in quanto gli fu riferito di cronache su Atlantide scritte sulle stele dell'antico tempio di Sais in Egitto. Proclo riferisce in proposito: L'opera di Crantore, un commento al Timeo di Platone, è perduta, ma essa ci è nota grazie alla suddetta testimonianza di Proclo, che ne scrisse sette secoli dopo. Un altro filosofo dell'antichità che credette nell'esistenza del luogo mitico citato da Platone fu Posidonio di Rodi (II-I secolo a.C.), secondo quanto riferisce Strabone.Il racconto di Platone sull'Atlantide può inoltre avere ispirato imitazioni parodiche: scrivendo solo pochi decenni dopo il Timeo e Crizia, lo storico Teopompo di Chio narrò di una terra in mezzo all'oceano conosciuta come Meropide (ovvero terra di Merope). Questa descrizione era inclusa nel libro VIII della sua voluminosa Filippica, che contiene un dialogo tra re Mida e Sileno, un compagno di Dioniso. Sileno descrive i Meropidi, una razza di uomini che crescevano al doppio dell'altezza normale e abitavano due città sull'isola di Meropis (Cos?): Eusebes (Εὐσεβής, 'città pia') e Machimos (Μάχιμος, 'città combattente'). Egli inoltre scrive che un'armata di dieci milioni di soldati attraversarono l'oceano per conquistare Iperborea, ma abbandonarono tale proposito quando si resero conto che gli Iperborei erano il popolo più fortunato del mondo. Heinz-Günther Nesselrath ha argomentato che questi e altri dettagli della storia di Sileno sono intesi come imitazioni ed esagerazioni della storia di Atlantide, allo scopo di esporre al ridicolo le idee di Platone.Zotico, un filosofo neoplatonico del III secolo d.C., scrisse un poema epico basato sul racconto di Platone.Diodoro Siculo (I secolo a.C.) - confermato sostanzialmente da Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) - collocava la capitale di Atlantide a Kerne, avamposto cartaginese sulla costa atlantica dell'Africa fondato da Annone il Navigatore: probabilmente nel Río de Oro, ex Sahara spagnolo.Lo storico romano del IV secolo d.C. Ammiano Marcellino, dissertando sulle perdute opere di Timagene, uno storico attivo nel I secolo a.C., scrive che i Druidi della Gallia riferirono che parte degli abitanti di quella terra erano migrati lì da isole lontane. Alcuni hanno inteso che si parlasse di sopravvissuti di Atlantide giunti via mare nell'Europa occidentale, ma Ammiano in realtà parla di 'isole e terre oltre il Reno', un'indicazione che gli immigrati in Gallia vennero dal Nord (Britannia, Olanda o Germania).\nSecondo Diodoro Siculo, comunque, i Celti che venivano dall'oceano adoravano gli dei gemelli Dioscuri che apparvero loro provenienti dall'oceano.Durante il Medioevo l'argomento fu pressoché ignorato. Un trattato ebraico sull'astronomia computazionale datato al 1378-1379, apparentemente una parafrasi di una precedente opera islamica a noi ignota, allude al mito di Atlantide in una discussione concernente la determinazione dei punti zero per il calcolo della longitudine.\n\nEpoca moderna.\nRiscoperta dagli umanisti nell'era moderna, la storia di Platone ha ispirato le opere utopiche di numerosi scrittori dal Rinascimento in poi. La scoperta dell'America, inoltre, pose subito il problema di una qualche sua conoscenza previa, e dunque anche il problema della discendenza e dell'origine della umanità americana del tutto inaspettata nella cultura europea dell'epoca.\nBartolomé de Las Casas sostenne che la stessa impresa di Cristoforo Colombo era stata sollecitata dal desiderio di vagliare il mito dell'esistenza di Atlantide. Nel capitolo ottavo della sua Historia de las Indias, Las Casas scriveva che Colombo sperava di raggiungere le Indie anche appoggiandosi a isole che erano ciò che restava del mitico continente. In generale, con la scoperta dell'America il mito platonico venne utilizzato, con indirizzi diversi, per rispondere alla questione della legittimità dei possedimenti coloniali, nonché al problema dell'inquadramento storico delle popolazioni native. Agustín de Zárate (1514-1560; Historia del descubrimiento y conquista de la provincia del Perú, 1555) opinò che il racconto platonico andasse preso alla lettera e che, di conseguenza, Francisco Pizarro derivasse la propria autorità di governatore del Perù dalla corona spagnola e non da una cessione di diritti da parte dei capi indigeni. Ammettere l'autenticità del continente di Atlantide significava infatti concepire la possibilità di un passaggio, tramite esso, dei discendenti di Noè dall'Europa all'America. Viceversa, Francisco López de Gómara (1511-1566; Historia general de las Indias, 1552-1553), nell'intento di difendere la legittimità delle conquiste messicane di Hernán Cortés, identificava Atlantide con il Nuovo Mondo. Infatti, su terre così antiche poteva vantare un diritto dinastico solo chi le aveva conquistate. In tal modo, però, l'origine delle popolazioni che le abitavano risultava scarsamente ricollegabile al ceppo di Adamo ed Eva, e ciò lasciava spazio a un pericoloso poligenismo.La nuova Atlantide di Francesco Bacone del 1627 descrive una società utopica, chiamata Bensalem, collocata al largo della costa occidentale americana. Un personaggio del libro sostiene che la popolazione proveniva da Atlantide, fornendo una storia simile a quella di Platone e collocando Atlantide in America. Non è chiaro se Bacone intendesse l'America settentrionale o quella meridionale.\nLo scienziato Olaus Rudbeck (1630–1702) scrisse nel 1679-1702 Atlantica (Atland eller Manheim), un lungo trattato dove sostenne come la propria patria, la Svezia, fosse la perduta Atlantide, la culla della civiltà, e come lo svedese fosse la lingua di Adamo da cui si sarebbero evoluti il latino e l'ebraico.The Chronology of the Ancient Kingdoms Amended (1728, postumo) di Isaac Newton studia una varietà di collegamenti mitologici con Atlantide.\nVerso la fine del Settecento l'astronomo e letterato francese Jean Sylvain Bailly tornò a parlare di Atlantide, nelle sue opere più importanti, tra cui l′Histoire de l'astronomie ancienne (1775) e le Lettres sur l'Atlantide de Platon (1779). Egli unì la tradizione di Atlantide al mito di Iperborea, una leggendaria civiltà nordica di cui Erodoto e altri storici antichi avevano lasciato delle testimonianze. Bailly sosteneva infatti la tesi secondo cui un'Atlantide nordica fosse la civiltà originaria del genere umano, che essa avesse inventato le arti e le scienze e che avesse 'civilizzato' i Cinesi, gli Indiani, gli Egizi e tutti i popoli dell'antichità. Egli posizionò questo popolo primordiale nel lontano nord dell'Eurasia, nell'isola di Spitzbergen, nei pressi della Siberia, argomentando che quelle dovevano essere state le prime terre abitabili quando la Terra, originariamente incandescente e inospitale alla vita secondo le ipotesi paleoclimatiche teorizzate da Buffon e Mairan, aveva incominciato a raffreddarsi. Il costante raffreddamento della Terra le aveva però, successivamente, rese inabitabili e aveva seppellito l'ancestrale territorio di questa civiltà sotto delle lastre di ghiaccio, in modo da perdere completamente le tracce degli Atlantidei, e obbligando i loro discendenti a spostarsi più a sud per colonizzare le altre zone del globo.Alla metà e nel tardo Ottocento numerosi rinomati studiosi mesoamericani, a partire da Charles-Etienne Brasseur de Bourbourg, tra i quali Edward Herbert Thompson e Augustus Le Plongeon proposero l'idea che Atlantide fosse in qualche maniera correlata alla civiltà maya e alla cultura azteca.\n\nLa pubblicazione nel 1882 di Atlantis: the Antediluvian World di Ignatius Donnelly stimolò un notevole interesse popolare per Atlantide. Donnelly prese seriamente il resoconto di Platone su Atlantide e tentò di stabilire che tutte le antiche civiltà conosciute discendessero da questa progredita cultura del Neolitico.\nNegli antichi geroglifici del Tempio di Edfu dedicato al dio Horus é presente un racconto analogo alla leggendaria Atlantide, descritta da Platone nel Timeo e nel Crizia, basata su un'antica tradizione storica egizia udita dal suo lontano parente Solone. Le iscrizioni riportano ad un periodo arcaico, chiamato 'Età degli dei primordiali'. Questi dei non erano originariamente egizi, ma vivevano su un'isola sacra, la 'Patria dei Primordiali', nel mezzo di un grande oceano. In seguito, in un momento non specificato del passato un cataclisma con inondazioni e incendi colpì l'isola, dove vi erano le «più antiche dimore degli dei», distruggendola e uccidendo la maggior parte dei suoi divini abitanti. Le iscrizioni descrivono che il primo dio originario che governò l'isola era una «divinità morta, il Ka», che viene descritto come il 'Dio della Terra'. Il termine 'Ka' si trova nel papiro Leningrad 1115 del Museo dell'Ermitage a San Pietroburgo, risalente alla XII dinastia (ca. 2000 a.C.), che contiene un racconto in prosa, noto come Il racconto del naufrago.\nL'isola era conosciuta anche come la 'Casa di Ka', e che «questo Ka che abitava tra i canneti dell'isola». In particolare, nei geroglifici del tempio di Horus si legge di un canale circolare pieno d'acqua, che circondava il territorio sacro originario che si trovava al centro dell'isola, un anello d'acqua che aveva lo scopo di rafforzare e proteggere tale luogo consacrato Ciò é un parallelo diretto con Atlantide, dove il territorio sacro nel quale si ergeva il tempio e il palazzo del dio Poseidone era circondato da un anello d'acqua, posto al centro di altri anelli concentrici separati da anelli di terra, con lo scopo di fortificare e proteggere. Vi é anche un'altra correlazione tra l'inondazione dell'isola di Atlantide, replicato nell'inondazione della Patria dei Primordiali descritta nei testi del tempio di Edfu: «così violento che distrusse la sacra terra… L'acqua primordiale… sommerse l'isola… e l'isola divenne la tomba degli abitanti divini originari…… La Patria finì nell'oscurità al di sotto delle acque primordiali». Anche in questo caso é presente una somiglianza con l'opera di Platone che ci narra di 'terremoti e inondazioni di straordinaria violenza', citando i famosi passi «in un giorno e una notte terribili… l'isola di Atlantide venne… inghiottita dal mare e scomparve». Dopo il cataclisma essi «videro solo delle canne che galleggiavano sulla superficie dell'acqua». Vi era anche una grande quantità di fango, una scena che ricorda la descrizione dell'area attorno Atlantide dopo l'inondazione: «quell'area di mare é inaccessibile, essendo la navigazione impedita dal fango presente nei bassifondi, uniche vestigia dell'isola sprofondata».\n\nAtlantide nell'occultismo.\nNel corso della fine dell'Ottocento le idee sulla natura leggendaria di Atlantide si combinarono con storie di altre ipotetiche 'terre perdute' nate nel frattempo come Mu e Lemuria. La teosofa Helena Blavatsky, riprendendo parzialmente e sviluppando le tesi di Bailly, scrisse nel suo libro La dottrina segreta (1888) le informazioni contenute in un antico manoscritto perduto intitolato Le Stanze di Dzyan, tra cui le storie degli Atlantidei nordici che sarebbero stati eroi culturali (mentre Platone li descrive dediti principalmente alle arti militari), e che erano la quarta 'razza radicale' (Root Race) dopo quella polare, iperborea e lemurica, a cui sarebbe ora succeduta la quinta e attuale 'razza ariana': questa sarebbe dunque composta da persone che avrebbero già vissuto, in vite precedenti, su quel continente remoto.Le rivelazioni della Blavatsky e di altri teosofi come Annie Besant, Charles Webster Leadbeater, Rudolf Steiner, derivanti da indagini occulte nell'akasha condotte tramite presunte capacità chiaroveggenti, contribuirono a diffondere una concezione di Atlantide come del luogo primordiale della sapienza e della civiltà umane.\nTra i punti in comune delle loro tesi vi era la suddivisione della razza atlantidea in sette sotto-razze, a cui corrispondono sette epoche di sviluppo e di progressiva evoluzione del genere umano. Esse sono:.\n\nI Rmoahals, il cui nome deriva dal loro grido di guerra, furono la prima sotto-razza atlantidea: dominati da impulsi e sentimenti collettivi, i Rmoahals avevano una grande capacità mnemonica con cui compensavano la mancanza di pensiero logico. Animati da una profonda venerazione per la natura, erano capaci di utilizzarne le forze vitali per trasformarle in energie motrici. La condivisione delle memorie collettive portò i primi Atlanti allo sviluppo del linguaggio: la parola, originariamente dotata di potere magico e sacrale (in grado di far guarire dalle malattie e agire sulla crescita delle piante), fece così la sua comparsa tra gli uomini.\nI Tlavatli, succeduti ai Rmoahals, svilupparono ulteriormente la forza evocativa della memoria ma anche deviandola verso l'ambizione: si cominciarono a venerare gli antenati e le gesta delle persone ritenute valorose.\nI Tolteki, terza sotto-razza atlantidea, presero a unirsi in gruppi accomunati non più da simpatie naturali, ma dal ricordo dei propri eroi e condottieri, le cui qualità venivano trasmesse per via ereditaria ai discendenti. Nacquero fiorenti comunità, insieme con un nuovo culto della personalità, incoraggiata dai maestri delle scuole iniziatiche, che godevano allora di una venerazione sconfinata, essendo diretti portavoce degli dei. Lo splendore della civiltà tolteka è quella narrata nei dialoghi di Platone.\nI Turani primitivi svilupparono a tal punto l'ambizione da tramutarla in egoismo: la capacità atlantidea di dominare le forze della natura venne abusata con conseguenze nefaste. L'uso sfrenato del potere a fini personali degenerò in pratiche di magia nera che, opponendosi l'un l'altra, condussero alla distruzione di Atlantide in un solo giorno e una sola notte come riferito da Platone.\nI Protosemiti riuscirono in parte ad arginare i devastanti effetti delle forze scatenate dalla sotto-razza precedente grazie al primo sviluppo del pensiero logico, in grado di tenere a freno i desideri egoistici. Nacque la facoltà di giudizio, e l'impulso all'azione venne distolto dalla natura esterna, cominciando a essere vagliato interiormente, producendo il germe dell'umanità attuale.\nGli Accadi svilupparono ulteriormente la forza del pensiero, perdendo così il dominio sui poteri vitali delle piante, acquisendo soltanto il controllo su quelli minerali. L'ordine e l'armonia degli Stati non si ressero più su ricordi comuni, ma sull'elaborazione di leggi in grado di sottomettere il dispotismo individuale. Si dette importanza all'intelligenza e alla capacità di innovazione delle persone, anziché alla vividezza delle loro imprese passate.\nI Mongoli, settima e ultima sotto-razza di Atlantide, raggiunse uno sviluppo del pensiero in grado di connettersi con la potenza degli elementi vitali, su cui si era comunque perso ogni controllo. La caratteristica di abbandonarsi alle forze occulte della vita è quella che si sarebbe in parte mantenuta nelle attuali popolazioni asiatiche, secondo la Besant discendenti dei Turani primitivi che si erano rifugiati in Cina dopo la catastrofe.Le prime tre razze furono definite rosse, le altre quattro invece bianche. Da un piccolo gruppo della quinta sotto-razza Protosemita, inoltre, il supremo iniziato dell'Oracolo del Sole, conosciuto nella letteratura teosofica come Manu, avrebbe scelto alcuni individui particolarmente progrediti nel pensiero logico per separarli dagli altri e condurli all'interno dell'Asia, dove dare vita alla nuova razza-radicale dell'umanità, quella attuale.\nDopo la scuola teosofica, sarà il sensitivo americano Edgar Cayce a menzionare Atlantide per la prima volta nel 1923, asserendo in seguito che essa era collocata nei Caraibi e proponendo che fosse un'antica civiltà, altamente evoluta, ora sommersa, dotata di forze navali e aeree mosse da una misteriosa forma di cristallo di energia. Egli predisse inoltre che delle parti di Atlantide sarebbero riemerse nel 1968 o 1969. La Bimini Road, una formazione rocciosa sommersa con pietre rettangolari appena al largo di North Bimini Island, è stata descritta come una possibile prova di questa civiltà.Si è sostenuto che prima del tempo di Eratostene (250 a.C. circa), autori greci avessero collocato le Colonne d'Ercole nello stretto di Sicilia, ma non ci sono prove di tale ipotesi. Secondo Erodoto (c. 430 a.C.) una spedizione fenicia circumnavigò l'Africa con il benestare del faraone Necho II, navigando a sud sotto il mar Rosso e l'oceano Indiano e verso nord nell'Atlantico, facendo ritorno nel Mediterraneo attraverso le Colonne d'Ercole. La sua descrizione dell'Africa nord-occidentale rende molto chiaro che localizzò le Colonne d'Ercole precisamente dove sono oggi. Malgrado questo, la credenza che le Colonne fossero collocate nello stretto di Sicilia prima di Eratostene è stata citata in alcune ipotesi sulla collocazione di Atlantide.\nIl concetto di Atlantide attrasse anche i teorici nazisti. La 'teoria del ghiaccio cosmico' (1913) di Hanns Hörbiger (1860-1931) aveva infatti conquistato un vasto appoggio popolare in Germania e venne promossa dal regime nazista per le sue implicazioni razziali. Hörbiger riteneva che la Terra fosse soggetta a periodici cataclismi provocati dalla caduta di una serie di corpi celesti che da comete erano diventati satelliti; la sommersione di Atlantide e di Lemuria sarebbero state provocate dalla cattura dell'attuale satellite della Terra, la Luna. I periodi di avvicinamento dei satelliti avrebbero provocato (per diminuzione della gravità) la nascita di stirpi di giganti di cui parlano la varie mitologie. Alfred Rosenberg (Mito del XX secolo, 1930) parlò di una razza dominante 'nordico-atlantiana' o 'ariano-nordica'.\nNel 1938 l'alto ufficiale Heinrich Himmler (allora capo supremo delle forze dell'ordine del Terzo Reich) organizzò una ricerca in Tibet allo scopo di trovare le spoglie degli Atlantidei bianchi. Julius Evola, in Rivolta contro il mondo moderno (1934), riprendendo chiaramente le tesi di Bailly, identifica in Atlantide uno dei molti riferimenti presenti nelle opere antiche alla sede iperborea, luogo d'origine di esseri 'più che umani' regnanti durante l'età dell'oro, a sua volta ritenuta essere il polo nord, ancora non colpito da un clima rigido, ma anzi regione definita 'solare'.\nDa quando la deriva dei continenti divenne largamente accettata nel corso degli anni sessanta, la popolarità di buona parte delle teorie sul 'continente perduto' di Atlantide incominciò a svanire, mentre si cominciava ad accettare ampiamente la natura immaginaria degli elementi della storia di Platone.\nLa studiosa di Platone Julia Annas ha avuto modo di dire al riguardo:.\n\nKenneth Feder fa notare che la storia di Crizia nel Timeo fornisce un indizio importante. Nel dialogo, Crizia dice, riferendosi alla società ipotetica di Socrate:.\n\nFeder cita Alfred Edward Taylor, che scrive «Non ci potrebbe essere detto in modo più chiaro che l'intera narrazione della conversazione di Solone con i sacerdoti e la sua intenzione di scrivere il poema su Atlantide sono un'invenzione dell'immaginazione di Platone».\n\nAtlantide secondo Rudolf Steiner.\nL'esoterista Rudolf Steiner scrisse in merito ad Atlantide come del quarto grande periodo di evoluzione della Terra, precedente quello attuale. Egli la descrisse come un continente perennemente immerso dentro nebbie e vapori, per la costante presenza di anime in procinto di incarnarsi, e situabile all'incirca dove oggi si trova l'oceano Atlantico; le isole Canarie rappresenterebbero l'ultimo avamposto sopravvissuto dopo che esso sprofondò nel mare.\n\nGli Atlantidei avrebbero posseduto facoltà di chiaroveggenza oggi scomparse, in virtù del fatto che all'epoca il loro corpo fisico era piuttosto separato dalle altre componenti spirituali. Questa costituzione favoriva la possibilità che entità più progredite si incarnassero nei loro corpi per guidarli come maestri spirituali all'interno delle scuole iniziatiche, cosa che gli arcangeli mettevano in pratica agendo direttamente in questo modo, oppure che facessero la conoscenza di divinità superiori così come oggi si parla con un'altra persona. La percezione delle cose e pertanto il gusto erano diversi, tanto che allora la musica e il canto erano sviluppati su accordi di settima, all'epoca di Steiner ancora considerati da qualcuno come dissonanze da risolvere in consonanze (oggi invece sono di uso comune).Nei primi tempi, la consistenza particolarmente 'molle' del corpo umano consentiva loro, ad esempio, di allungare elasticamente un arto o le dita a loro piacimento, mentre la vista era meno sviluppata, consentendo di vedere gli oggetti con contorni poco definiti. Il pensiero logico non era ancora sviluppato, ma i suoi limiti erano compensati da un'incredibile memoria con cui gli Atlantidei tenevano a mente ogni dato di esperienza. Steiner fa l'esempio della capacità di risolvere semplici calcoli grazie alla memoria esperenziale.\n\nUn retaggio del modo in cui appariva un individuo di Atlantide, con la parte eterica della testa più evoluta, sovrastante l'aspetto fisico ancora animalesco, secondo Steiner sarebbe visibile tuttora nelle sculture delle Sfingi dell'antico Egitto: la Sfinge rappresenterebbe lo sviluppo incompiuto dell'essere umano, il cui corpo attende di essere modellato dalla testa già compiuta.\nGli Atlantidei vivevano a stretto contatto con la natura, le stesse abitazioni erano formate da oggetti naturali trasformati. L'uomo viveva in piccoli gruppi con un forte senso gerarchico dell'autorità e tenuti assieme da affinità di sangue. Essi possedevano dei veicoli che sfruttavano la combustione delle piante con cui trasformavano la forza vitale in energia in grado di far volare i velivoli. Tuttavia le condizioni in cui si realizzavano tali possibilità tecniche sarebbero state diverse da oggi in quanto sia la densità dell'aria sia la fluidità dell'acqua erano diverse e pertanto di difficile riproducibilità oggi.Atlantide sarebbe stata distrutta da catastrofi idriche e glaciali, tuttavia gruppi di Atlantidei sopravvissero tramite migrazioni partite dalle aree dell'attuale Irlanda verso sud. Steiner inoltre sostenne che un grande iniziato atlantideo scelse gli individui più progrediti ed emigrò in oriente nella regione dell'odierno Tibet.\n\nLe ipotesi sulla collocazione.\nSulla scorta di Aristotele e per la mancanza di fonti prima di Platone, si ritiene in genere che il mito di Atlantide sia solo una finzione letteraria, interamente elaborata dal filosofo greco a partire da riferimenti mitologici e dalle proprie idee politiche e filosofiche. Seppure Atlantide in quanto tale appaia solo raramente nei testi greci o latini (e solo come rielaborazione a partire dal racconto di Platone), miti e leggende di continenti o città sommersi sono ricorrenti e, come quello del diluvio universale, appartengono a numerose antiche civiltà e culture. La tradizione antica è in effetti piena di eventi catastrofici.Alcuni tuttavia hanno cercato di immaginare Atlantide come un luogo realmente esistito, o quantomeno di identificare gli elementi storici e geografici che possono avere originato il racconto di Platone.Dai tempi di Donnelly, ci sono state dozzine - o meglio centinaia - di proposte di localizzazione per Atlantide, al punto che il suo nome è divenuto un concetto generico, indipendente dal racconto di Platone. Questo è riflesso dal fatto che, in effetti, molti dei siti proposti non sono affatto nell'ambito dell'oceano Atlantico. Si tratta a volte di ipotesi di accademici o archeologi, mentre altre si devono a sensitivi o ad altri ambiti parascientifici. Molti dei siti proposti condividono alcune delle caratteristiche della storia originale di Atlantide (acque, fine catastrofica, periodo di tempo rilevante), ma nessuno è stato né può essere dimostrato come la 'vera' Atlantide storica o platonica.Le ipotesi sull'effettiva collocazione di Atlantide sono le più svariate. Se è vero che Platone nei suoi due dialoghi parla esplicitamente di 'un'isola più grande della Libia e dell'Asia Minore messe insieme' (cioè il Nord Africa conosciuto al tempo e l'Anatolia) oltre le Colonne d'Ercole (che si suppone fossero sullo stretto di Gibilterra), alcuni studiosi, vista l'effettiva difficoltà nell'immaginarsi un'isola-continente nell'Atlantico scomparsa in breve tempo senza lasciare pressoché nessuna traccia, hanno proposto collocazioni alternative.\n\nAfrica.\nSecondo lo scrittore Carlos Alberto Bisceglia, Atlantide era una penisola che partiva dal monte Atlante, in Marocco, fino ad arrivare in un territorio compreso tra Sahara Occidentale e Mauritania, bagnata a nord dal Mediterraneo a ovest dall'oceano Atlantico e a est dal fiume Tamanrasett, oggi scomparso. Il palazzo di Poseidone descritto da Platone sarebbe stato identificato nell''Occhio del Sahara' o 'Struttura di Richard', un cratere di cui non si conosce l'origine, dove sono stati trovati nel suo interno fossili di molluschi databili attraverso il radiocarbonio tra il 13 000 a.C. e il 4730 a.C. (tratto dal libro Homo Reloaded).\n\nAmerica.\nDapprima si è pensato all'America, che in effetti è un continente in mezzo all'oceano (Atlantico) che però ai tempi di Platone non era per nulla conosciuto e che, per quanto se ne sappia, non ha conosciuto cataclismi recenti.\nAlcuni hanno voluto vedere, male interpretando le mappe turche dell'America meridionale del primo Cinquecento come la mappa di Piri Reìs, la rappresentazione di Atlantide nell'estremo Sud, proprio dopo la Terra del Fuoco, fra l'America meridionale e l'Antartide. Secondo costoro infatti è probabile che l'Antartide, un tempo terra fertile e rigogliosa, sia stata la sede di Atlantide. I sostenitori di questa ipotesi parlano di resti di vegetazione datati all'analisi al carbonio 14 come risalenti a 50 000 anni fa, lasciando supporre che l'Antartide fosse sgombro dai ghiacci, ma questi dati sono riconosciuti come pseudoscientifici e mai replicati, anche perché tutta la ricerca sull'Antartide (e in particolare i carotaggi nei depositi glaciali) conferma come 50 000 anni fa il continente di ghiaccio fosse prossimo al picco glaciale, e quindi notevolmente più freddo di oggi. Tutta la ricerca storico-scientifica ha visto nelle stesse mappe solo delle rappresentazioni dell'America meridionale, con alcuni errori (anche voluti) assai ben spiegabili nella prassi dell'epoca. Infine altri ancora identificherebbero Atlantide con un altro ipotetico continente perduto, Lemuria, situato fra l'Africa e l'India.\nAlcuni, sulla base dell'assonanza dei nomi e di una somiglianza etimologica, hanno accostato Aztlán, la leggendaria terra d'origine degli Aztechi, all'Atlantide narrata da Platone. Il Codice Boturini descrive Aztlán come 'un'isola in mezzo a una distesa d'acqua'. La teoria, come molte altre analoghe, non ha avuto alcun riscontro scientifico.\nAltra ipotetica collocazione è, secondo alcuni tra cui il sensitivo Edgar Cayce, nel mar dei Sargassi: i Fenici, secondo lui, conoscevano le Azzorre e lungo la faglia atlantica non sono sconosciuti casi di emersione e affondamento di isole, anche in tempi storici recenti; si tratta comunque di piccole isole e non di continenti che potessero ospitare fiumi navigabili come nel racconto di Platone.\nIl geologo inglese Jim Allen sostiene che Atlantide si trovasse in Bolivia, nell'area dell'Altiplano, basandosi sulla presenza di una piana rettangolare corrispondente alle dimensioni specificate da Platone e di depressioni concentriche ad arco di cerchio subito a est della città di Pampa Aullagas, da lui identificate con i canali della capitale.\nIn Brasile l'archeologo e antropologo francese Marcel Homet indagò sui resti di un antico popolo che egli riteneva discendere dalla civiltà di Atlantide.\n\nPolo nord.\nIl primo a elaborare l'ipotesi di un'Atlantide nordica fu, molto probabilmente, lo svedese Olaus Rudbeck che, nel XVII secolo, posizionò - soprattutto per motivi nazionalistici - il continente perduto in Svezia. Le sue idee furono riprese, modificate e razionalizzate dall'astronomo e letterato francese Jean Sylvain Bailly che, nella seconda metà del Settecento, arrivò a posizionare Atlantide nelle remote regioni siberiane, in prossimità dell'isola di Spitzbergen.\n\nDopo aver descritto dettagliatamente il rapporto di Platone nel Timeo sul continente perduto di Atlantide, e dopo aver considerato quanto era stato detto su questo argomento sia da Sancuniatone, per quanto riguardava la storia dei Fenici, sia da Diodoro Siculo, per la storia greca, Bailly procedette nella sua indagine per dimostrare 'scientificamente' che Atlantide non si trovasse né su di un'isola opposta alle Colonne d'Ercole e immersa nell'oceano Atlantico (di cui le isole Madeira si supponeva fossero i resti) — come voleva la tradizione — né tra le Canarie e nemmeno nel continente americano. Il popolo atlantideo avrebbe invece abitato, secondo Bailly, le regioni brulle e ghiacciate della Siberia, che - a suo giudizio - in epoche remotissime dovevano essere moderatamente temperate e abbastanza fertili, mentre un caldo torrido affliggeva il resto del globo rendendolo praticamente inabitabile. Tutto questo era previsto dalle ipotesi paleoclimatiche di Mairan e Buffon, secondo cui in passato il clima era globalmente più caldo a causa della maggiore 'incandescenza' che la Terra doveva avere primitivamente. Questa 'incandescenza' primitiva era poi diminuita nel corso del tempo causando un lento e globale raffreddamento del pianeta. Bailly abbracciava questa teoria che, a suo giudizio, costituiva una prova infallibile alle sue ipotesi sul posizionamento di Atlantide.\n\nLa Siberia infatti, secondo l'ipotesi di Bailly, anticamente doveva essere ben più calda e quindi abitabile, mentre le zone equatoriali dovevano essere praticamente incandescenti, inabitabili e quindi inabitate. Perciò non poteva che ricercarsi a nord l'origine dell'umanità e dunque l'origine delle scienze.\nLe remote regioni tartariche, o quelle artiche furono di conseguenza la sede primitiva della scienza, la dimora della più antica razza umana, i celebri Atlantidei che, nei secoli successivi, discendendo a sud dalle pianure della Scizia, attraversarono le steppe caucasiche e portarono con loro nell'Asia meridionale i rudimenti delle arti e delle scienze e il culto del sole e del fuoco, che, come asseriva Bailly, poteva essersi originato soltanto in una zona dal clima freddo, e dunque nel «freddo impero della notte polare». Si capisce dunque perché Bailly individuasse negli Atlandidei anche la popolazione degli Sciti che abitava le zone settentrionali dell'Asia. Supporre altre possibilità, concepire ad esempio che questi culti si fossero originati in Persia, in India, o in altri regni orientali — dove il Sole anticamente «bruciava le foglie e consumava i vegetali» e dove il Sole stesso era raffigurato mentre «cavalcava un leone che nella sua furia divorava tutto ciò che gli capitava a tiro» — nell'opinione di Bailly era letteralmente «assurdo». Bailly finì dunque per unire in un tutt'uno mitologico la tradizione di Atlantide con quella della leggendaria terra nordica di Iperborea, narrata e tramandata da storici come Erodoto, Pindaro ed Esiodo.\nL'eredità lasciata da Bailly continuò a vivere anche dopo la sua morte. La sua tesi di una 'Atlantide Iperborea' era stata comunque sonoramente respinta in un primo momento. Ad esempio lo stesso Jules Verne in qualche modo voleva anche prendere in giro Bailly in Ventimila leghe sotto i mari (1869), quando i suoi personaggi scoprirono la 'vera' Atlantide nell'oceano Atlantico. Malgrado tutto, vi furono altri teorici che sostennero le stesse tesi di Bailly: ad esempio nel 1885 William Fairfield Warren, allora professore di teologia sistematica presso la Boston University, scrisse un libro, Paradise Found: The Cradle of the Human Race at the North Pole, per promuovere l'ipotesi secondo la quale il nucleo originario del genere umano provenisse anticamente dal polo nord. In questo lavoro Warren collocò Atlantide al polo nord, così come il giardino dell'Eden, il monte Meru, Avalon e Iperborea.Anche un'esoterista, Helena Blavatsky, prese molto sul serio le idee di Bailly. Blavatsky fu una delle teorizzatrici della teosofia, una dottrina mistico-filosofica, il cui credo era precisato nel suo libro La dottrina segreta (1888). In quest'opera ermetica, Blavatsky rispolverò la teoria di Bailly (citandolo addirittura ventidue volte), e incorporò l'ipotesi di una 'Atlantide Iperborea' all'interno di una pseudostoria (o storia fantastica) che coinvolgeva vari continenti e varie razze umane e semiumane. Atlantide era rappresentata da Blavatsky come un continente polare che si estendeva dall'attuale Groenlandia fino alla Kamčatka e il cui destino si legò indissolubilmente a quello di una razza particolarmente controversa: gli Ariani, che secondo Blavatsky erano una razza superiore, seconda in ordine cronologico tra le razze umane, costituita da giganti androgini dalle fattezze mostruose. Nell'ipotesi pseudostorica di Blavatsky, quando gli Ariani migrarono a sud verso l'India, scaturì da loro una 'sotto-razza', quella dei Semiti. Il mito di una 'Atlantide Iperborea' fece così ingresso all'interno delle ideologie ariane e antisemite della fine del XIX secolo.La teoria di Bailly-Blavatsky trovò sostegno tra alcuni degli ideologi ariani viennesi più fantasiosi. Furono proprio questi circoli, come la società Thule (che prendeva proprio il nome della mitica capitale di Iperborea), a derivare molte teorie antisemite e ariane dal lavoro mitologico di Blavatsky, e indirettamente da Bailly (il quale, in realtà, nei suoi lavori, mostrava chiare posizioni antirazziste). I membri della società Thule, in particolare, prestarono un aiuto fondamentale ad Adolf Hitler (che probabilmente aveva letto alcuni libri dei teosofi ariani viennesi quando viveva in Austria) nel fondare il NSDAP, il partito nazista. Uno di loro, Alfred Rosenberg, compagno vicino a Hitler durante gli anni in cui questi stette a Monaco di Baviera, aveva posto il mito di un'Atlantide Iperborea al cuore di un suo voluminoso tomo dottrinale: Il mito del XX secolo (Der Mythus des 20. Jahrhunderts), pubblicato nel 1930. Rosenberg, infatti, incominciò quest'opera assumendo come vera la passata esistenza di Atlantide nel lontano nord e riproponendo quasi integralmente la tesi baillyiana. La tesi di Bailly fu anche ripresa dal filosofo italiano Julius Evola il quale identificava, in Atlantide, un riferimento sulla sede di Iperborea.\nSebbene la maggior parte delle ipotesi su cui si fonda la tesi di un'Atlantide nordica siano ritenute pseudoscientifiche o palesemente inconsistenti sia dalla scienza sia dalla storiografia contemporanee, alcuni isolati scienziati e ricercatori, come il russo Valery Dyemin, Ph.D., ritengono che Iperborea «sia esistita davvero» nel circolo polare artico.\n\nNel Mediterraneo.\nLa maggior parte delle ipotesi avanzate di recente indicano la collocazione della mitica isola non più nell'oceano o in altri luoghi troppo remoti (ormai scartati per motivi geologici, cronologici e storici), ma più vicino, nel Mediterraneo o nei suoi immediati dintorni, dove Platone più probabilmente poteva avere tratto i vari elementi per costruire il suo racconto. Le conoscenze geografiche dei Greci all'epoca di Platone erano infatti molto vaghe e limitate al bacino del Mediterraneo, ed erano in realtà sufficientemente precise solo nell'ambito dell'Egeo.È stato ipotizzato che Platone potesse avere tratto qualche ispirazione dai terremoti e maremoti che non molti anni prima, nel 373 a.C., avevano ingoiato le isole di Elice e Bura. Fu distrutta anche un'isola di nome Atalante, vicino a Locri in Calabria.Altri studiosi hanno ravvisato somiglianze con il racconto omerico della guerra di Troia, tra i quali Eberhard Zangger che nel 1992 ha elaborato la tesi secondo cui la narrazione di Platone sarebbe un riassunto della storia di Troia dal punto di vista egiziano.Alcuni identificano con l'isola di Cipro i resti del continente di Atlantide.\nAltri hanno pensato al Sahara, che in periodi molto remoti (30 000 anni fa) non era desertico ma ricoperto da foreste lussureggianti e che fu abitato fin dalla preistoria, ma che non trova particolari corrispondenze nel racconto di Platone.\n\nCreta.\nUna tra le teorie più accreditate, studiata e approfondita nella prima metà del Novecento, e indirizzata negli ultimi anni anche in relazione a scavi archeologici condotti in Turchia, sostiene che il mito di Atlantide non sarebbe altro che la memoria deformata nel tempo, della civiltà minoica (civiltà cretese dell'età del bronzo), che ebbe fine intorno al 1450 a.C., in circostanze non ancora ben chiarite. La causa potrebbe essere l'esplosione del vulcano dell'isola di Tera o Thera, attualmente Santorini, eruzione “super-colossale”, classificata di livello 7 (su 8) nell’indice di esplosività vulcanica, una delle eruzioni più distruttive nella storia dell’umanità, che provocò lo sprofondamento parziale dell'isola e giganteschi terremoti: l'esplosione di Thera avrebbe propagato nel Mediterraneo un terrificante maremoto in grado di spazzare via gli insediamenti lungo le coste (le onde si sarebbero diffuse in tutto il bacino dell'Egeo in sole due ore, raggiungendo un'altezza di circa trenta metri), a cui sarebbero seguite entro due-tre giorni le ceneri riversate dall'esplosione vulcanica. Di recente sono stati portati alla luce i resti di un uomo ed un cane sulla costa turca nel sito archeologico di Çeşme-Bağlararası, causati da uno tsunami databile nello stesso periodo in cui esplose Thera. Uno studio recente ha inoltre evidenziato delle analogie letterarie tra il testo platonico su Atlantide e alcuni canti dell'Odissea di Omero. Altri studiosi ritengono comunque improbabile il riferimento al vulcano di Thera, perché mille anni sono troppi per mantenere il ricordo preciso di un evento.\n\nMonte Argentario.\nUlteriore teoria è stata avanzata da Costantino Cattoi ex colonnello della Regia Aeronautica, collaboratore di Gabriele D'Annunzio e stimato amico di Italo Balbo. Lo studioso, nel 1955, riportò alla luce una serie di opere pre-etrusche, fra le quali un'enorme roccia alta una decina di metri con i lineamenti del volto distintamente abbozzati e il classico copricapo egizio, ritenuta legata alla figura del dio Thot. I ritrovamenti, ritenuti importanti dagli esperti del settore, portarono Cattoi a collaborare con l'antropologo statunitense George Hunt Williamson, l'esoterico peruviano Daniel Ruzo e il francese Denis Saurat, che pur lavorando in modo autonomo, giunsero alle medesime conclusioni, collegando le sculture rupestri italiane, alle simili scoperte a Marcahuasi in Perù, rafforzando la loro convinzione sull'esistenza di un legame tra il promontorio dell'Argentario, quale parte superstite di Atlantide, e il lontano Perù.\n\nSardegna.\nUna teoria analoga è stata avanzata dal giornalista italiano Sergio Frau nel suo libro Le colonne d'Ercole (2002): le 'colonne' di cui parla Platone andrebbero identificate con il canale di Sicilia (che è assai turbinoso, come Platone descrive le Colonne), dunque l'isola di Atlantide sarebbe in realtà la Sardegna: il popolo che edificò gli oltre 7 000 nuraghi coinciderebbe allora con il misterioso popolo dei Shardana o Šerden (dai quali appunto si vorrebbe che la Sardegna abbia preso il nome), citati tra i 'popoli del Mare' che secondo le cronache degli antichi Egizi tentarono di invadere il Regno d'Egitto. Un passo della descrizione platonica si vuole coincida con la forma della Sardegna: 'Una pianura (il Campidano) che attraversa l'isola in senso longitudinale (ha coste a est e a ovest), situata tra due zone montuose a nord e a sud; le coste sono alte e rocciose, scoscese'. Del resto, la Sardegna possiede ancora oggi zone pianeggianti situate alcuni metri sotto il livello del mare e ciò farebbe pensare che, essendo una terra geologicamente troppo antica per subire o aver subito catastrofi naturali di dimensioni disastrose, possa invece esser stata soggetta in passato a cataclismi legati al mare, il cui territorio probabilmente non avrebbe potuto respingere a causa appunto dell'altezza della sua superficie rispetto a quella marina. Oltretutto la mancanza di terremoti avrebbe permesso una grande espansione edilizia all'interno dell'isola, che all'epoca sarebbe potuta apparire in maniera notevolmente diversa. La 'fine' di Atlantide viene anche fatta coincidere con la diffusione della malaria nell'isola. Nel gennaio 2021 Luigi Usai, ricercatore indipendente, ha diffuso una nuova ipotesi secondo la quale l'affondamento di Atlantide è da addebitare al repentino scioglimento dei ghiacci a seguito della glaciazione chiamata Würm. Ai geologi è noto infatti che il livello del mar Mediterraneo ha raggiunto -120 metri sotto il livello attuale circa 14 000 anni fa. È altrettanto nota la cosiddetta 'crisi della salinità del Messiniano', durante la quale Sardegna e Corsica erano congiunte a causa dell'abbassamento di oltre cento metri del livello del mare, e le si poteva percorrere a piedi. Nel periodo della guerra che divampò tra Atlantide e la Grecia, ossia nel 9600 a.C., cioè 11600 anni fa circa, è noto ai geologi che Sardegna e Corsica e una grande parte delle coste attualmente sommerse formavano quella che appariva come una grossa isola, che era chiamata nel terzo capitolo del Timeo e nel Crizia, da Platone, col nome di Atlantide. Al centro della pianura Atlantidea e racchiusa dall'attuale Pianura del Campidano, ci sarebbe quella che era la capitale di Atlantide, nota anch'essa col nome di Atlantide ma oggi conosciuta col nome di Sulcis, e che partiva da una collina nei pressi del piccolo paesino di Santadi e di Masainas e Teulada, formando cerchi concentrici di terra e di mare. È tuttora possibile notare come, a partire da Santadi, tutto il piano urbanistico si sviluppi per cerchi concentrici, persino porzioni di montagne. È inoltre presente una vasta toponomastica relazionata al mito di Atlantide. Infatti, come fa notare Usai, accanto a Santadi esistono molte località il cui nome richiama le fonti d'acqua calda e fredda create da Poseidone, che secondo Usai era un semplice uomo, probabilmente un Re, e non un Dio. Poseidone, mise nella Capitale di Atlantide una sorgente d'acqua calda e una d'acqua fredda. Infatti ancora oggi esistono delle frazioni di paesi chiamate ' Acquacadda.' (Acqua Calda, in lingua sarda campidanese), S'acqua callenti de basciu. (L'Acqua calda di sotto, in sardo campidanese) e S'Acqua Callenti de Susu (L'Acqua calda di sopra, anche questo in dialetto sardo campidanese, la variante dialettale della lingua sarda parlata nel meridione della Sardegna), mentre nel vicino paese di Siliqua è presente ancora oggi la fonte d'acqua fredda di Zinnigas. Sempre a Siliqua, piccolo paese anch'esso situato in provincia di Cagliari, esiste tuttora il 'Castello d'Acquafredda', attualmente noto per la celebre storia raccontata da Dante Alighieri relativa al Conte Ugolino, che vi aveva soggiornato secondo una leggenda tramandata per via orale. Il castello di Acquafredda prende il nome dalla cittadina medievale di Acquafredda, sparita alcuni secoli fa, il cui nome ricorda la fonte d'acqua fredda di Poseidone, mentre in provincia di Carbonia Caput Acquas insiste sul tema dell'acqua. Inoltre, segnala Usai, sono stati trovati i tridenti di Poseidone scolpiti nelle rocce neolitiche e paleolitiche trovate presso il paese di Laconi, in Sardegna. Accanto a Santadi c'è un paese chiamato Narcao, che ha due frazioni, dette 'Is Sais Superiore' e 'Is Sais Inferiore'; ciò è un chiaro riferimento secondo Usai, alla città di Sais in Egitto, nella quale il sommo sacerdote Sonchis rivelò la storia di Atlantide a Solone, il celebre politico greco. Inoltre, Sais è anche un cognome sardo. Esistono ancora altri due toponimi interessanti: Acqua Callentis (un altro modo di dire 'Acqua Calda' in dialetto campidanese e sulcitano sardo), nota anche col nome di 'Is Perdas' (ossia 'Le Pietre'): anche questa località ricorda le fonti d'acqua calda e fredda poste da Poseidone nel mito platonico; e la località di Terresoli (crasi di Terra De Soli, ossia Terra del Sole in Sardo campidanese e sulcitano) che richiama molto da presso il nome di Eliopolis, altra città legata al mito di Atlantide: infatti mentre Eliopolis in greco significa Città del Sole, Terresoli significa Terra del Sole. Anche la località di Piscinas si trova nel Sulcis e riprende il tema degli inondamenti d'acqua: in lingua sarda infatti si usa questo termine per indicare un luogo dove c'è stato un enorme ristagno d'acqua. La teoria di Usai, che prende nome di 'paradigma sardo corso atlantideo', afferma che la specie degli elefanti di cui parla Platone in Timeo e Crizia sia quella del Mammuthus Lamarmorai, presente nell'isola sardo-corsa attualmente semisommersa, e di cui sono stati trovati resti in almeno tre luoghi dell'attuale Sardegna: a Gonnesa, nel Sinis e ad Alghero. Alla fine del racconto di Atlantide, nel Timeo, Platone afferma che l'isola era circondata da fango che impediva la navigazione: questo sarebbe stato causato dall'erosione della piattaforma continentale sardo corsa ad opera di millenni di risacca. L'isola di Atlantide era la più grande di tutte, secondo Platone: effettivamente il blocco geologico sardo corso era un'isola di terra emersa ed è realmente la più grande di tutte quelle del Mediterraneo Occidentale, che secondo Usai era chiamato Oceano Atlantico ancora prima che venissero realizzati papiri e rotoli che trattassero la geografia, motivo per il quale non è rimasta memoria, ed in seguito la geografia è stata modificata. Ad Atlantide c'erano i vecchi più vecchi: effettivamente la Sardegna, che sarebbe solo un altopiano emerso di Atlantide, ancora oggi è famosa in tutto il mondo per il suo popolo di centenari, in particolare la popolazione della zona blu di Perdas De Fogu . Atlantide era ricca di minerali, ed effettivamente le miniere del Sulcis sono le più antiche d'Europa. Gli Atlantidei erano 'costruttori di torri' secondo i dialoghi platonici: e infatti sono presenti e studiati oltre 7000 nuraghi e centinaia di altri vengono continuamente scoperti ma non scavati. Usai afferma inoltre che l'antico testo letterario della Meropide tratti proprio dell'isola di Atlantide come blocco sardo-corso semisommerso: attualmente invece, tutti i testi ufficiali considerano la Meropide soltanto una parodia dei testi platonici. La scoperta nel riparo sottoroccia a Su Carroppu di Sirri di tre individui sardi antichi, di cui due hanno restituito la possibilità di analizzare il DNA antico, ha mostrato che questa popolazione del Sulcis non risale a 8000 anni fa come inizialmente creduto, bensì risale a 11000 anni fa , e la guerra tra Atlantide e la prima Grecia di cui si parla nel Timeo e nel Crizia divampò, secondo Platone, 11600 anni fa: ciò sembrerebbe essere una conferma della presenza di popolazione sarda nel periodo in cui è collocato il racconto di Atlantide. Il DNA ritrovato è differente dal DNA della popolazione neolitica che colonizzò l'isola di Sardegna circa tremila anni dopo, e l'analisi ha mostrato che queste popolazioni di 11000 anni fa predavano risorse marine, ossia si nutrivano di frutti di mare e vivevano lungo le coste, in conformità col paradigma atlantideo di Usai.\nPlatone afferma che ad Atlantide si costruiva facendo uso di pietre di tre colori: nere, rosse e bianche; le pietre nere sarebbero l'ossidiana , in particolare quella del Monte Arci, che la Sardegna ha esportato in tutta Europa per migliaia di anni e l'ardesia, le rocce rosse sarebbero quelle di Arbatax e di Carloforte e altre sommerse nelle paleocoste sardo-corse. Le Colonne d'Ercole sarebbero il Faraglione Antiche Colonne di Carloforte come proposto da Giorgio Saba, ancora esistente e di storia antichissima, e non lo Stretto di Gibilterra come fino ad ora creduto dalla maggior parte delle teorie: oltre le Colonne d'Ercole di Carloforte quindi, vi era un porto angusto, ossia il porticciolo formato dalle isole di Sant'Antioco e San Pietro, e fuori da questo porticciolo vi era il vero mare, chiamato in Timeo e Crizia anche Oceano Atlantico, ma oggi chiamato Mediterraneo Occidentale. Il paradigma sardo corso atlantideo propone che gli atlantidei popolassero la piattaforma continentale sardo-corsa attualmente semisommersa nel Mediterraneo, costretti poi a delle migrazioni quando il livello eustatico saliva drasticamente , forse a causa di ripetuti Meltwater Pulses , distribuiti su vari millenni. Queste migrazioni avrebbero poi preso vari nomi: Sumeri e Vasconi, tra gli altri, dando origine alla civiltà megalitica lungo le coste di tutta Europa. A sostegno di ciò Usai afferma che questi popoli hanno lingue semitiche agglutinanti, una caratteristica 'atlantidea'; i Baschi infatti hanno figure carnevalesche preistoriche simili a quelle sarde perché entrambi i popoli 'provengono da Atlantide', ossia dal blocco geologico sardo corso semisommerso: i Joaldun, i Mammutthones, i Boes e i Merdules. Inoltre i Baschi avrebbero portato la tradizione dei tori descritta da Platone in Timeo e Crizia, tori che ad Atlantide erano venerati e rispettati, a Pamplona nella Navarra l'uso dell'Encierro, che poi è mutata nella corrida spagnola.\n\nSicilia.\nTra i numerosi luoghi in cui viene collocata la formidabile minaccia marittima di Atlantide ve ne sono due che riguardano da vicino la Sicilia: l'omonimo canale e Malta. Questa vicinanza ha indotto il maltese Giorgio Grognet de Vassé - fautore della teoria che vede in Malta un residuo di Atlantide - ad asserire che nel museo di Siracusa si conservava un reperto di Atlantide: un capitello. Grognet de Vassé era infatti convinto che gli Atlantidei dopo la distruzione della loro isola si fossero divisi in colonie (lo stesso Antico Egitto, secondo il maltese, non era altro che una colonia atlantidea) e quel capitello richiamava il particolare stile egizio (a suo dire prova inconfutabile della presenza atlantidea in quei luoghi).\nAl capitello aggiungeva un idoletto, rinvenuto nei pressi di Scicli e una medaglia rinvenuta a Naxos; anch'essi di presunta provenienza atlantidea. Il maltese tuttavia è stato spesso coinvolto in falsificazioni di iscrizioni o travisamenti di reperti.\n\nParallelismi con la Siracusa dionisiana.\nAl dialogo Crizia avrebbe dovuto seguire l'Ermocrate; in ordine di successione il terzo protagonista del dialogo platonico. L'Ermocrate siracusano (i pareri intorno alla sua identificazione sono pressoché unanimi) viene accennato nel Crizia e gli sarebbe stato affidato un compito ancora da scoprire:.\n\nAlcuni studiosi hanno ipotizzato che la trilogia di Atlantide venisse elaborata da Platone durante il suo primo soggiorno alla corte di Dionisio I; suo mecenate. Il fine ultimo sarebbe stato un messaggio politico divulgato dinanzi alla società greca. Ma la morte del tiranno e la mancata organizzazione del festival culturale avrebbero bloccato la stesura della trilogia, rimasta per questo incompiuta. I dialoghi pervenuti vennero infine resi noti, in maniera postuma, dall'accademico Crantore di Atene.Siracusa viene presa in esame per dimostrare come il filosofo ateniese avesse modellato Atlantide e l'avesse idealizzata in base alla sua esperienza politica e sociale in Sicilia. Una conseguenza dei suoi viaggi in Sicilia.\n\nLo svedese Gunnar Rudberg, specialista platonico, agli inizi del XX secolo elaborò per primo tale teoria; seguito da numerosi altri studiosi. Ad esempio per Phyllis Young Forsyth solamente Siracusa e la Sicilia offrono dei convincenti parallelismi con Atlantide. Viceversa, Muccioli, autore di un'approfondita opera sul tempo di Dionisio II, ritiene più plausibile l'ipotesi secondo la quale Atlantide va identificata con la decadenza di Atene, mentre ritiene improbabile un'eco della crisi siracusana di IV sec. a.C.Konrad Gaiser appoggia l'identificazione di Forsyth ma non condivide l'ipotesi secondo cui lo scopo di Platone era di ammonire Dionisio II mostrandogli la cruenta fine di Atlantide: se egli non avesse attuato lo Stato ideale, alla sua città sarebbe toccato quell'infelice destino.Affine è il pensiero di Mary Louise Gill, la quale sostiene che la serie del Timeo-Crizia-Ermocrate (lasciata intenzionalmente incompiuta da Platone) doveva dare un forte messaggio politico alla società greca del suo tempo, ormai in declino: Atlantide e Atene degenerarono nella corruzione; anche Siracusa si sarebbe dovuta aspettare la punizione di Zeus, poiché era stata corrotta dal potere.A favore di tale identificazione vi sono molteplici coincidenze tra l'Atlantide platonica e la Siracusa dionisiana:.\n\nIl punto di forza di Atlantide era il controllo dei mari con le sue navi. Siracusa era temuta dai Greci per lo stesso motivo.\nAtlantide controllava l'Africa, bloccandosi al confine dell'Egitto, e l'Europa fino al mar Tirreno. La Siracusa dionisiana aveva fondato colonie sull'Adriatico e sul Tirreno. Sempre acceso fu inoltre il conflitto con le forze africane dei Punici.\nLa descrizione fisica dell'isola di Atlantide: vi era un vulcano identificabile con l'Etna; una fertile piana circondava la capitale, qui identificabile con la piana di Catania; la capitale di Atlantide si estendeva su quattro cerchi concentrici, allontanandosi dal palazzo del potere che era posto sull'isola centrale, così come la Siracusa dionisiana poneva il palazzo dei tiranni nell'isola di Ortigia e - pur senza cerchi concentrici - divideva la propria area urbana in quattro città diverse (Neapolis, Tiche, Acradina, Epipoli), ciascuna protetta da proprie fortificazioni.\nL'estrema varietà di armamenti e reparti militari che caratterizzavano l'esercito di Atlantide, sarebbe stata ispirata dall'esercito, prettamente mercenario, di Dionisio I, nel quale le milizie di ciascun popolo erano esortate a usare le armi tipiche dei propri Paesi di provenienza.La potenza di Atlantide trovò infine la sua nemesi in Atene (l'altra società perfetta di Platone); quando decise di conquistarla ne fu sconfitta. Atene fu la rivale di Siracusa (le due capitali della grecità; le due mete politiche di Platone) ma Atene cercò lo scontro con Siracusa, non venne da questa attaccata.\nMary Louise Gill (che non identifica una città precisa con Atlantide) intravede la possibile spiegazione nel terzo dialogo platonico (perduto o mai scritto) volto idealmente nell'epoca di Ermocrate: l'Atlantide corrotta rappresentava l'Atene di Alcibiade, mentre Siracusa rappresentava l'Atene ancora pura che sconfisse le mire espansionistiche di Atlantide. Ma come l'Atene antica, anche Siracusa si fece a sua volta corrompere dal potere, mettendo al comando i tiranni.\n\nSpagna.\nUna tra le molte teorie collocherebbe Atlantide in Spagna, precisamente in Andalusia, vicino a Cadice. È l'opinione dello studioso tedesco Rainer Kuehne che si avvale di rilevazioni satellitari, attribuite però a Georgeos Dìaz-Montexano. Qualcosa combacia, come la forma delle strutture rilevate e l'ambientazione vicino a montagne (in questo caso la Sierra Morena e la Sierra Nevada), come le descrizioni di Platone, in cui sono anche presenti ricche miniere di rame. Tuttavia, se avesse ragione Kuehne, non si tratterebbe di un'isola, come vuole la tradizione, e le dimensioni rilevate dal satellite non combaciano con quelle di Platone.\nUn'altra teoria vuole Atlantide nelle isole Canarie nell'oceano Atlantico (che sono effettivamente oltre le Colonne d'Ercole ovvero lo stretto di Gibilterra), malgrado la più antica civiltà di quell'arcipelago sia stata quella neolitica.\n\nAtlantide nella cultura di massa.\nAd Atlantide sono state dedicate alcune migliaia di libri e saggi. Un catalogo bibliografico incompleto della letteratura sull'Atlantide, compilato nel 1926 da J. Gattefossé e C. Roux, comprendeva 1 700 titoli.Una lista completa delle apparizioni di Atlantide nei mass media moderni è troppo estesa per poterla inserire qui. Questa è una selezione.\n\nNarrativa.\nIl classico di Jules Verne Ventimila leghe sotto i mari (1870) comprende una visita alle rovine sommerse di Atlantide. Scesi dal sottomarino Nautilus, il capitano Nemo conduce il professore Aronnax verso la città leggendaria in una delle tante passeggiate in scafandro del libro (nel capitolo IX della seconda parte del romanzo). La città sarebbe situata a 300 metri di profondità sul fondo dell'oceano Atlantico, al centro di un bosco sottomarino dietro a un promontorio sommerso.\nAtlantide è un romanzo fantastico avventuroso di Yambo (Enrico Novelli) del 1901; da esso lo stesso autore trasse il fumetto Gli uomini verdi (1935), una delle primissime storie italiane di fantascienza a fumetti.\nNel suo celebre romanzo L'Atlantide (1919), Pierre Benoît immagina i discendenti del continente perduto nel Sahara; il romanzo di Benoît ha ispirato la maggior parte dei film successivi sul tema.\nNel romanzo Aėlita (1922), Aleksej Nikolaevič Tolstoj fa ritrovare i superstiti degli Atlantidei sul pianeta Marte.\nIl romanzo breve di Arthur Conan Doyle L'abisso di Maracot (The Maracot Deep, 1929), tradotto anche come L'abisso di Atlantide, narra le avventure di tre scienziati che scoprono, con l'ausilio di un batiscafo ottocentesco, una civiltà ancora fiorente sul fondo dell'oceano Atlantico. Tale popolazione approverebbe i dialoghi di Platone.\nLost Continent., un racconto parte dei Libri di Aleister Crowley, offre un resoconto fantastico basato sulle idee di Crowley sulla civiltà ideale, con accenni di satira sociopolitica.\nNei racconti fantasy di Robert E. Howard su Conan il barbaro (1932) il popolo barbarico dei Cimmeri, di cui fa parte il protagonista titolare, sono i discendenti del popolo di Atlantide, che si sono devoluti dopo il cataclisma che ha inabissato il continente e a seguito di lunghe guerre contro diversi popoli ostili. Prima dell'ideazione di Conan, nel 1929 Howard aveva creato Kull di Valusia, guerriero atlantidese le cui avventure sono ambientate prima del cataclisma.\nNel romanzo Il nipote del mago (1955), di Clive Staples Lewis, che secondo la cronologia della trama è il primo del ciclo Le cronache di Narnia, lo zio Andrew riferisce al nipote Digory Kirke che gli anelli, che permettono di viaggiare fra mondi diversi, dispongono di questo potere perché sono stati trattati con una polvere magica che Andrew scoprì provenire da Atlantide.\nLa caduta dell'isola di Númenor ne Il Silmarillion (1977) di Tolkien ricorda molto da vicino il mito di Atlantide. Nella cornice dell'opera, l'evento viene ricordato come 'La Caduta' - che nella lingua elfica inventata da Tolkien diventa 'Atalantë'. Dato che l'opera di Tolkien intende descrivere una 'mitologia immaginaria' del nostro mondo, l'implicazione evidente è che Númenor sia di fatto Atlantide.\nLe luci di Atlantide (Web of Light - Web of Darkness, 1983; nelle successive edizioni: Fall of Atlantis) di Marion Zimmer Bradley.\nIn Buona Apocalisse a tutti! (1990) di Neil Gaiman e Terry Pratchett, il giovane Anticristo fa risorgere Atlantide dalle acque.\nIl romanzo fantascientifico Il codice di Atlantide (2001) di Stel Pavlou presenta Atlantide, situata al polo sud, come la città 'sopita' di un'antica civiltà molto avanzata, pronta però a risvegliarsi come una bomba a orologeria nel momento (previsto dagli Atlantidei con calcoli astronomici) in cui il Sole avrebbe messo in pericolo la Terra.\nClive Cussler, Atlantide (2002). Dirk Pitt (l'eroe creato dall'autore) è alla scoperta dei segreti degli Amenes tra mille pericoli nell'oceano Antartico.\nNel romanzo per ragazzi Nina e l'Occhio Segreto di Atlantide (2005) della scrittrice italiana Moony Witcher, Nina raggiunge Atlantide per liberare l'arcano dell'Acqua intrappolato dal conte Karkon.\nIn cerca di Atlantide (2007), thriller di Andy McDermott.\nCronache di Atlantide (2010), romanzo di Steve Coldwell, basato sul racconto platonico.\nNel romanzo di Anne Rice Prince Lestat and the Realms of Atlantis (2016), Amel, lo spirito a cui il vampiro Lestat è legato, si rivela essere stato il sovrano di Atlantide durante la propria vita mortale.\n\nAtlantide al cinema.\nAd Atlantide si è ispirato numerose volte il cinema, soprattutto quello di fantascienza e il filone fanta-mitologico:.\n\nL'Atlantide (1921) di Jacques Feyder, tratto dall'omonimo romanzo di Pierre Benoît.\nAėlita (Mežrobpom, 1924), film kolossal sovietico di Jakov Protazanov tratto dall'omonimo romanzo di Aleksej Nikolaevič Tolstoj.\nL'Atlantide (Die herrin von Atlantis, 1932) di Georg Wilhelm Pabst, seconda versione del romanzo di Benoît.\nAtlantide (Siren of Atlantis, 1949) di Gregg G. Tallas, terzo adattamento del romanzo di Benoît.\nTotò sceicco, commedia italiana del 1950 di Mario Mattoli, parodia di tutti i film ispirati alla storia di Benoît.\nIl continente scomparso (Lost Continent, USA 1951) di Sam Newfield.\nAtlantide, il continente perduto (Atlantis, the Lost Continent, 1961) di George Pal.\nAntinea, l'amante della città sepolta (1961) di Edgar G. Ulmer e Giuseppe Masini, quarto adattamento del romanzo di Benoît.\nErcole alla conquista di Atlantide (1961) di Vittorio Cottafavi.\nLe 7 città di Atlantide o I signori della guerra di Atlantide (Warlords of Atlantis) di Kevin Connor (1978).\nL'isola degli uomini pesce (1979) di Sergio Martino.\nI predatori di Atlantide (1983) di Ruggero Deodato.\nL'Atlantide, film del 1992 di Bob Swaim, quinto adattamento del romanzo omonimo di Benoît.\nGamera - Daikaijū kuchu kessen (1995) di Shūsuke Kaneko, in cui viene rivelato che gli Atlantidei crearono i mostri Gamera e Gaos.\nAtlantis - L'impero perduto (Atlantis: The Lost Empire, USA 2001), lungometraggio d'animazione prodotto dalla Disney e ispirato alle atmosfere di Verne.\nAtlantis - Il ritorno di Milo (Atlantis - Milo's return 2003), il seguito di Atlantis - L'impero perduto.\nViaggio nell'isola misteriosa (Journey 2: The Mysterious Island) di Brad Peyton (2012), basato su L'isola misteriosa di Verne.\nAquaman (Aquaman, 2018) di James Wan, basato sull'omonimo personaggio della DC Comics, è ambientato per buona parte nel regno di Atlantide, di cui una piccola parte era stata mostrata in Justice League (2017).\nGodzilla II - King of the Monsters (Godzilla: King of the Monsters), di Michael Dougherty. Godzilla, dopo la prima sconfitta subita da Ghidorah si ritira nella sua dimora situata negli abissi dell’oceano Atlantico coincidente appunto con la città di Atlantide.\nCold skin - La creatura di Atlantide. (2015).\n\nSerie TV.\nL'uomo di Atlantide (1977-1978), con Patrick Duffy che interpreta un sopravvissuto del continente perduto dotato di poteri sovrumani.\nIl segreto del Sahara (1988), miniserie di coproduzione italiana che, pur dichiarandosi 'ispirata all'opera di Emilio Salgari' (senza precisare quale), mostra evidenti influenze del romanzo di Benoît.\nStargate Atlantis, serie TV realizzata come spin-off di Stargate SG-1 e ambientata nella città di Atlantide riscoperta nella galassia di Pegaso.\nAtlantis, serie TV realizzata da BBC One a partire dal 2013 e ambientata in questa città leggendaria.\n\nFumetti e animazione.\nNell'universo DC, sia Aquaman sia Lori Lemaris proverrebbero da un'Atlantide sommersa; nel caso di Lori Lemaris il suo popolo sopravvisse trasformandosi in sirene e tritoni.\nNell'universo Marvel un popolo analogo, dalla pelle blu e branchiato, viene governato dal principe Namor il Sub-Mariner.\nIl disegnatore belga Edgar P. Jacobs ha ambientato ad Atlantide una delle avventure del ciclo Blake e Mortimer (L'enigma di Atlantide, 1955).\nAtlantide ha un ruolo centrale nelle avventure di Martin Mystère, il detective dell'impossibile ideato dall'italiano Alfredo Castelli nel 1982 per Sergio Bonelli Editore. Secondo le ricerche del prof. Mystère, Atlantide e Mu erano due imperi o civiltà rivali, tecnologicamente molto avanzate e in cui parte della popolazione era dotata di poteri telepatici o magici, che si autodistrussero a causa di un'arma muviana impazzita, dopo secoli di convivenza caratterizzati da periodi alterni di conflitto aperto e guerra fredda, ricacciando l'umanità nella barbarie. La capitale di Atlantide era Poseidonia, la 'città dei cinque anelli', mentre la capitale di Mu era Corinna, 'perla d'oriente'. Nel 1982, all'epoca dell'uscita della serie, era evidente il riferimento alla Guerra Fredda e alle due superpotenze USA e URSS che si spartivano l'influenza su diverse aree geografiche. Nella serie a fumetti, in particolare, la sfera d'influenza di Atlantide era il continente americano e l'Europa. Resti della stessa Atlantide compaiono, con importanza secondaria, anche in storie facenti parte dello stesso universo narrativo, ma su collane dedicate a differenti personaggi bonelliani (Zagor, Mister No e Nathan Never). La cosiddetta saga di Atlantide di Nathan Never (1996) narra dello scontro finale tra l'Agenzia Alfa e i signori di Atlantide, che stanno tentando di riportare sulla Terra da un limbo al di fuori dello spazio e del tempo il centro del perduto continente, unica zona sopravvissuta alla distruzione totale delle antiche civiltà di Mu e di Atlantide.\nIn Topolino e l'Atlantide continente perduto (sceneggiatura di Giorgio Pezzin, disegni di Massimo De Vita, 1987), facente parte del filone di storie sulla macchina del tempo del professor Zapotec, Topolino e Pippo assistono alla distruzione di Atlantide causata da un meteorite. Papersera.net - La ricerca I.N.D.U.C.K.S. - Dettaglio della storia. URL consultato il 28 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015)..\nSempre sull'albo Topolino è stata pubblicata una serie legata ad Atlantide con i vari capitoli dislocati nel corso degli anni e ideata da Casty, che vede Topolino, Pippo ed Eurasia Tost confrontarsi anche con la misteriosa Società delle Lepri Viola. Il primo racconto Topolino e il Colosso di Rodi (sceneggiatura di Casty, disegni di Cavazzano) è del 2005, il secondo Topolino e le miniere di Fantametallo (sceneggiatura e disegni di Casty) è del 2011 e il terzo Topolino ed il raggio di Atlantide (sceneggiatura e disegni di Casty) è del 2016.\nAnche Hugo Pratt, con Corto Maltese affronta il tema, correlandolo al mito di Mu. In Mu la città perduta (1988), l'ultima storia del ciclo di Corto, Atlantide sarebbe stata la potente colonia orientale ribellata all'impero di Mu.\nNella serie animata italiana Huntik - Secrets & Seekers (2009-2011), ad Atlantide si trova l'Amuleto della Volontà, un talismano che può richiamare il Titano dell'Immortalità Overlos. Nell'episodio in cui appare Atlantide è una città sommersa nel mar Mediterraneo, a cui si può accedere attraverso un passaggio segreto situato tra le rovine del tempio di Poseidone a Capo Sounion.\nAtlantis - C'Sir, Principessa Shardana e il mistero della Cassa Nuziale trafugata (2007), romanzo a fumetti di Enzo Marciante, riprende la teoria di Sergio Frau. Narra di un'isola meravigliosa in mezzo al Mediterraneo d'Occidente e delle peripezie di una principessa sfortunata, in un sogno-avventura nel mondo Shardana.\nIl mito è protagonista di un episodio della serie animata Ai confini dell'universo.\nAtlantide appare anche in un episodio di Tartarughe Ninja alla riscossa, in cui Shredder intende prendere il controllo del continente sprofondato, più un episodio della serie Tartarughe Ninja del 2003: alleati dei mutanti protagonisti diventano i sovrani delle due versioni animate, rispettivamente Ali-Sel-Malik e Versallia.\nIn una puntata di Transformers: Generation One (1986) i Decepticon scoprono l'esistenza di Atlantide, e si alleano con i suoi abitanti per sconfiggere gli Autobot.\nNelle prime puntate di Transformers: Cybertron, Vector Prime identifica nel simbolo di Atlantide, indossato su una maglietta da un personaggio umano, una reliquia cybertroniana chiamata lucchetto Omega.\nSi fa cenno ad Atlantide (Atlantean) anche in Zak Storm essendo la co-protagonista una principessa del mondo sottomarino.\nNell'ottava puntata della serie animata Netflix Inside Job (2021), viene rivelato che il continenete di Atlantide con l'immensa civiltà è tuttora esistente ed è visibile dallo spazio, venendo quindi celata dai servizi segreti.\n\nAnime e manga.\nNel manga (e poi anche anime) Fantaman (1964) il personaggio omonimo è un eroe atlantideo 'resuscitato'.\nNel manga e anime One Piece, il regno antico è un chiaro riferimento ad Atlantide. Viene descritto come un regno vasto, potente e prosperoso. Viene raffigurato come un'isola e viene fatto intendere che il governo mondiale l'abbia distrutto perché se si fosse saputa la storia del regno, avrebbe costituito una minaccia.\nToriton, protagonista del manga e anime omonimo è un membro della stirpe dei Tritoni, abitanti di Atlantide.\nIn Nadia - Il mistero della pietra azzurra (1990-1991), serie anime della Gainax liberamente ispirata a Ventimila leghe sotto i mari di Verne, la civiltà di Atlantide era una colonia fondata da alcuni alieni giunti sulla Terra, di cui alcuni dei protagonisti della storia sono gli ultimi discendenti.\nNell'anime tratto dal manga Yu-Gi-Oh! (poiché la storia nel manga originale è assente), Atlantide era un regno leggendario di pace e giustizia, dedito alla scienza e alla pacifica convivenza tra gli esseri umani e il regno ultraterreno dove dimoravano i ka generati dagli uomini. Questo fino al giorno in cui gli abitanti di Atlantide conobbero le emozioni negative, tramutandosi a loro volta in ka maligni divorati dall'oscurità. Dartz, il sovrano di Atlantide, tentò allora di risvegliare Leviathan, un dio caduto che sperava potesse purificare nuovamente il suo regno distruggendo tutti i ka (ma in realtà era stato proprio lui a portare l'oscurità su Atlantide), ricorrendo al potere proibito del Sigillo di Orichalcos. Suo padre e sua figlia tentarono di fermarlo radunando un esercito di ka benigni, ma pur venendo sconfitti riuscirono a far sì che i tre Cavalieri di Atlantide potessero sigillare Leviathan e far sprofondare la città nell'oceano. Diecimila anni dopo Dartz ritorna con un nuovo seguito di servitori per tentare nuovamente di risvegliare Leviathan, ma viene sconfitto da Yami Yugi.\nI cieli di Escaflowne (天空のエスカフローネ?, Tenkū no Esukafurōne, in inglese The vision of Escaflowne) (1996), anime da cui sono stati tratti due manga. Il protagonista maschile, principe Van Fanel, è discendente da parte di madre dai draconiani, discendenti a loro volta dai popoli di Atlantide, popolo per altro considerato funesto e dotato di ali bianche da angelo che all'avvicinarsi della morte diventano nere (come accade infatti a Folken Fanel, fratello maggiore di Van).\nAquarion (創聖のアクエリオン?, Sōsei no Akuerion, Aquarion della Sacra Genesi) è una serie anime del 2005 ideata da Shōji Kawamori dove i nemici dell'umanità sono gli Angeli delle Tenebre, residenti nella città di Atlandia (indicata in un episodio come Atlantis).\nNel manga I Cavalieri dello zodiaco - The Lost Canvas - Il mito di Ade (2006-2011) parte della storia si svolge ad Atlantide.\nNell'anime Moby Dick 5 una guerra nel lontano passato ha causato l'annientamento reciproco di Atlantide e Mu. Il regno di Atlantide, letteralmente scagliato nello spazio dal cataclisma, sta tornando per dominare il pianeta: a questa invasione si oppongono le reincarnazioni di alcuni guerrieri muviani, aiutate da una gigantesca balena robotica e dalla figlia cyborg del re di Mu.\n\nVideogiochi e giochi di ruolo.\nNell'ambientazione di Mystara del gioco di ruolo Dungeons & Dragons, l'impero di Alphatia è ispirato al mito di Atlantide. Nell'avventura La prova dei signori della guerra (CM1 - Test of the Warlords di Douglas Niles (1984)) ci si riferisce a esso addirittura con il nome di Atlantide, e il continente su cui è situato subisce infine la stessa sorte della leggendaria città, sprofondando nell'oceano. Sempre in Dungeons & Dragons, l'ambientazione Blackmoor, inizialmente stand-alone, venne poi integrata nell'ambientazione Mystara, assumendo l'identità di un'antica civiltà tecnologicamente molto avanzata, distrutta poi dalla furia degli dei, proprio come Atlantide.\nIl gioco di ruolo Rifts (1990).\nAtlantide è il soggetto di un videogioco d'avventura, Indiana Jones e il destino di Atlantide (Indiana Jones and The Fate of Atlantis, 1992) della LucasArts. Nel gioco, il protagonista lotta contro i nazisti per ritrovare Atlantide e per fermare la loro scoperta dei segreti del mitico oricalco.\nIn Eternal Champions (1993), della SEGA, il personaggio di Trident era stato creato dagli scienziati di Atlantide per combattere una guerra contro i Romani.\nNel primo episodio della saga di videogiochi di avventura di Tomb Raider (1996), la protagonista archeologa Lara Croft deve svelare un mistero riguardo a un oggetto magico che si trova in Atlantide, dove nell'ultima parte del gioco si recherà alla ricerca dell'artefatto (anche se, in effetti, arriva qui per distruggere il manufatto, lo Scion di Atlantide, pronuncia Schìon, rubatole da una ex-regina del regno perduto, Natla).\nNell'espansione del gioco strategico in tempo reale Signore dell'Olimpo - Zeus intitolata Signore di Atlantide - Poseidon (2001) il giocatore ha la possibilità di intraprendere delle missioni atte a espandere i domini atlantidei dalle Americhe sino al Medio Oriente. Il gioco s'ispira all'ipotesi fantastica per cui lo sviluppo culturale mondiale sia dovuto alle interazioni fra le popolazioni indigene e gli Atlantidei, e alla volontà di questi ultimi di rendere disponibili le proprie conoscenze, secondo intenzioni pacifiche.\nAtlantide è il luogo d'origine di Arkantos, protagonista del videogame di strategia in tempo reale Age of Mythology (2002); gli Atlantidei sono inoltre una delle quattro civiltà utilizzabili nell'espansione Age of Mythology: The Titans (2003): qui gli abitanti dell'isola vengono rappresentati come i protetti dei titani greci Gaia, Crono e Urano, in seguito a un'alleanza stretta fra Titani e popolo di Atlantide.\nIl gioco di ruolo Maghi: il risveglio (2005).\nIn Marvel: La Grande Alleanza (2006), un episodio prevede un viaggio del team in Atlantide, per soccorrere Namor dalle grinfie del ribelle Attuma che ha preso il potere.\nIn God of War: Ghost of Sparta (2010) per PlayStation Portable, il protagonista Kratos si reca ad Atlantide per trovare spiegazione ai sogni premonitori sulla madre scomparsa. Successivamente, uccidendo il mostro Scilla, viene compromesso il meccanismo che tiene a galla il continente, il quale affonda.\nIn Assassin's Creed: Odyssey Atlantide è un mondo collegato ai manufatti della Prima Civilizzazione (Le mele dell'Eden), e sorvegliato dal matematico Pitagora.\n\nMusica.\nAtlantis è un singolo del 1968 del cantautore britannico Donovan.\nAtlantide è un album del 1972 del gruppo musicale The Trip.\nAtlantis è una canzone del 1987 del cantante Tom Hooker.\nAtlantide è un gruppo musicale che nel 1976 ha inciso l'album Francesco ti ricordi.\nReturn To Atlantis è un brano di musica trance del 1999 prodotto dalla band Liquid Childs.\nAtlantide ha ispirato un brano strumentale dei The Shadows, degli album della band olandese Earth and Fire e della band black metal britannica dei Bal-Sagoth.\nAtlantide è una canzone di Francesco De Gregori contenuta nell'album Bufalo Bill.\nVisions of Atlantis sono una band di Symphonic metal austriaca formatasi nel 2000.\nAtlantide è citata nel brano Atlantis dell'album della band heavy metal Marshall intitolato Garden Of Atlantis.\nIl gruppo di neoprogressive Pallas ha inciso un concept album dal titolo The Sentinel, in cui si racconta una variante fantascientifica della storia della fine di Atlantide.\nIl mito di Atlantide ha ispirato un concept album della band progressive-power metal Symphony X intitolato V. Nella vicenda di quest'album si parla del figlio del Sole che raggiunge le coste d'Egitto.\nFranco Battiato si è ispirato al mito di Atlantide per l'omonima canzone contenuta nell'album Caffè de la Paix (1993).\nAtlantide è un tema ricorrente nei testi del gruppo Epic/Heavy Metal Manilla Road.\nAtlantis viene citata nel testo della canzone Faded di Alan Walker, il testo parla proprio della città e del senso di perdizione.\nMax Gazzè si è ispirato al mito di Atlantide per la canzone Il diluvio di tutti contenuta nell'opera elettronico-orchestrale Alchemaya (2018).\n\nAltre isole perdute.\nTra le altre ipotetiche terre perdute, le più famose sono le isole di Avalon e Thule, oltre agli ipotetici continenti di Lemuria e di Mu (entrambi 'nati' nella seconda metà dell'Ottocento). Il filosofo greco Evemero nelle sue opere narra di una simile isola leggendaria di nome Pancaia.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Atreo.\n### Descrizione: Atrèo (in greco antico: Ἀτρεύς?, Atrèus) è una figura della mitologia greca, figlio di Pelope e di Ippodamia, fratello di Tieste e padre di Agamennone e Menelao.\n\nEtimologia.\nIl nome potrebbe derivare dalle parole greche ateirés = 'indomabile', àtreston = 'intrepido', o ateròn = 'accecato dal male'. Il personaggio compare nell'Iliade.\n\nIl mito.\nAtreo, insieme a suo fratello Tieste, uccise il fratellastro Crisippo, attirandosi la maledizione paterna. Atreo e Tieste si rifugiarono presso i Danaidi che regnarono a Micene (Stenelo e poi Euristeo) e succedettero a essi dopo che furono sterminati dagli Eraclidi.\nUna versione vuole che Euristeo, re di Micene e nipote di Atreo, delegasse a quest'ultimo la reggenza durante la sua spedizione contro gli Eraclidi. Euristeo però morì in battaglia, e Atreo venne nominato re dai notabili della città. Un'altra versione racconta invece di un oracolo che avrebbe invitato i Micenei a scegliere un nuovo sovrano, dopo che Stenelo - il quale aveva fatto chiamare i cognati Atreo e Tieste - ed Euristeo erano morti.A questo punto Atreo dovette rispettare la promessa fatta ad Artemide di sacrificarle « il più bel capo del suo gregge ». Tuttavia, dopo aver ucciso l'agnello, ne nascose il vello dorato, vantandone pubblicamente il possesso. Erope, la moglie di Atreo, era segretamente innamorata di Tieste, e gli promise il vello per commettere adulterio con lui. Questi approfittò dell'occasione e così, quando nella Sala del Concilio Atreo era ormai sicuro di sedere sul trono, poiché il regno spettava al possessore del prezioso oggetto, si scoprì ingannato e perse la corona.Siccome Zeus nutriva una predilezione nei confronti del fratello defraudato, imbastì un nuovo trabocchetto per permettere ad Atreo di recuperare il trono. Gli mandò infatti Ermes per consigliargli di chiamare Tieste e farsi promettere il trono qualora il sole avesse mutato il proprio corso. Convinto di non dovere temere nulla, il sovrano accettò la proposta, ma quando Eris aiutò Apollo ad operare il prodigio, Tieste fu costretto a cedere lo scettro. Divenuto finalmente re di Micene, Atreo prima bandì Tieste, poi venne a sapere dell'adulterio e si infuriò. Fece richiamare il fratello fingendo una riconciliazione, ma durante una cena gli offrì in pasto Aglao, Callileonte e Orcomeno, i tre figli che Tieste aveva avuto con una ninfa. Poi lo esiliò nuovamente.Fuggito a Sicione, Tieste seguì il consiglio dell'oracolo, secondo cui doveva concepire un figlio con sua figlia Pelopia. Dalla loro unione nacque Egisto. In seguito Pelopia sposò lo zio Atreo, che allevò anche Egisto (credendo fosse figlio suo) finché non lo inviò a uccidere Tieste; il giovane, scoperto che la vittima designata era suo padre, uccise lo zio, prozio e patrigno.Agamennone e Menelao erano figli di Atreo e Erope o, secondo un'altra versione, di Plistene, figlio di Atreo a lui premorto.\n\nGenealogia.
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### Titolo: Atride.\n### Descrizione: Atrìde è il patronimico dei figli di Atreo: Agamennone e Menelao. Agamennone era maggiore di età e perciò era detto Atríde maggiore, mentre Menelao era l'Atríde minore. I due Atridi hanno un ruolo centrale nell'Iliade di Omero. Agamennone è il capo della spedizione dei Greci a Troia mentre Menelao è lo sposo di Elena la cui fuga con Pàride è la ragione della guerra.\nIn senso ampio, il termine 'Atridi' si riferisce ai discendenti di Atreo, quindi anche ai discendenti di Agamennone e Menelao.\n\nAtreo.\nAtrèo è una figura mitologica greca, figlio di Pèlope e Ippodamia.\nLa vita di Atreo era stata costellata da lutti: Atreo, insieme a suo fratello Tieste, uccise il fratellastro Crisippo, attirandosi la maledizione paterna. La rivalità tra i fratelli nacque dalla contesa per il titolo regale e fu esasperata dall'adulterio di Aèrope, moglie di Atreo, col cognato. Divenuto finalmente re di Micene, Atreo prima bandì Tieste, poi, richiamatolo, si vendicò dell'adulterio facendo con l'inganno mangiare al fratello i tre figli da lui avuti con una ninfa.\n\nAgamennone.\nAgamennone era una delle più importanti figure mitologiche greca, figlio di Atreo e della regina Erope.\n\nMenelao.\nMenelao è una figura mitologica greca, figlio di Atreo e della regina Erope. Fu re di Sparta e marito di Elena.
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### Titolo: Atteo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Atteo era un autoctono dell'Attica, dal quale la regione avrebbe preso il nome, e secondo una versione, ne sarebbe stato il primo re.\n\nNella mitologia.\nAtteo era il padre di Aglauro e diede il nome all'Attea, una parte dell'Attica.\nAtteo era anche l'epiteto che si utilizzava per chiamare diverse figure dell'olimpo, fra cui Zeus, il padre degli dei.\n\nPareri secondari.\nSecondo altre versioni non era Atteo il primo re dell'Attica ma il marito di Agraulo, Cecrope, l'essere per metà umano e per metà serpente.
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### Titolo: Attis.\n### Descrizione: Attis è il paredro di Cibele, il servitore autoeviratosi, che guida il carro della dea.\nIl centro principale del suo culto era Pessinunte, nella Frigia, da cui attraverso la Lidia passò approssimativamente nel VII secolo a.C. nelle colonie greche dell'Asia Minore e successivamente nel continente, da cui fu esportato a Roma nel 204 a.C.\n\nOrigini.\nSecondo la tradizione frigia, conservata in Pausania e in Arnobio, il demone ermafrodita Agdistis (un essere che si pone come intermediario fra il mondo divino e il mondo umano) sarebbe nato dallo sperma di Zeus caduto sulla pietra, mentre il dio cercava di accoppiarsi con la Grande Madre sul monte Agdistis chiamato anche Agdos.Gli dei dell'Olimpo spaventati dalla potenziale forza del figlio di Zeus, in cui si sommavano le caratteristiche del maschile e femminile, mandarono Dioniso, che lo evirò mentre dormiva e lasciandolo solo con i caratteri sessuali esterni femminili; il sangue sgorgato al momento dell'asportazione del membro virile del ragazzo generò un albero di mandorlo (o di melograno).\nLa figlia del fiume Sakarya (Sangarios), Nana, colse un frutto dall'albero e rimase incinta. Il figlio che nacque venne chiamato Attis, in quanto fu allattato da una capra (in frigio attagos), dopo essere stato cacciato sulle montagne per ordine di Sakarya.\nAttis crebbe allevato da alcuni pastori che lo avevano trovato fra i monti. Si distinse per la sua bellezza, cosicché CibeIe, la figlia di Macone re di Frigia che era stata anch'essa abbandonata ed allevata dai pastori, se ne innamorò e ne ebbe un figlio. Poco tempo dopo, Cibele fu riconosciuta e raccolta dal padre che, informato della sua relazione, fece uccidere Attis e Io lasciò insepolto. Cibele ne fu talmente afflitta che errò impazzita per la campagna.\nSecondo altri, la dea Cibele era invaghita di Attis, malgrado ciò egli si innamorò della ninfa chiamata Sangaride, figlia di Sangario fiume della Frigia. Cibele, scoperto questo segreto, fece morire Sangaride tagliando un albero al quale erano attaccati i suoi giorni, ed Attis, nel suo dolore, si mutilò in modo da non poter più corrispondere alle brame della Dea. Cibele considerò questo castigo troppo crudele e gli restituì il membro virile, prendendolo al suo servizio.\nSecondo un altro mito, Attis fu mandato a Pessinunte per sposare la figlia del re Mida. Durante la celebrazione del matrimonio, Agdistis, innamorato del giovane, fece impazzire tutti gli invitati e lo stesso Attis, che, sotto un pino, si amputò il pene. Dal suo sangue nacquero le viole mammole. Cibele, madre degli dei, ottenne che il giovane si salvasse e diventasse il cocchiere del suo carro.\nI poeti ed i mitologi variano moltissimo nel raccontare gli amori di Cibele e di Attis. Catullo ne compose un piccolo poema, mentre secondo Ovidio, Attis fu trasformato in un pino, rappresentato in molti antichi monumenti.\nAttis fu adorato in Frigia e chiamato il Dio di Pessinunte; alcuni autori dicono che Cibele lo trasformò in una quercia per cui questo albero fu a lei sacro, ma i più vogliono che l’albero sacro a Cibele fosse il pino, ed in pino fu da lei mutato Attis.\n\nCulto nella Roma antica.\nGià durante il I secolo a.C. le vicende del giovane erano ben note ai Romani come dimostra la reinterpretazione catulliana del mito nel carmen LXIII del Liber Catullianus. In epoca imperiale il ruolo di Attis, la cui morte e resurrezione simboleggiava il ciclo vegetativo della primavera, si accentuò gradualmente, dando al culto una connotazione misterica e soteriologica.Ad Attis erano dedicate un ciclo di festività che si tenevano fra il 15 e il 28 marzo, e che celebravano la morte e la rinascita del dio. Tra queste vi erano il Sanguem, celebrato dai Galli e l'Hilaria. Tracce di questi culti, che presero il nome di Attideia, sono presenti anche in colonie greco-romane (ad esempio quella di Egnazia in Puglia).\n\nDal suo mito l'imperatore Flavio Claudio Giuliano incomincerà a scrivere uno dei suoi più famosi testi l'Inno alla madre degli dei, in cui loda Cibele e indaga sul significato filosofico di Attis e della dea.\nSecondo lo storico ed etnografo Antonio Basile, il rito del sangue del dio Attis sopravvive tuttora in una manifestazione dei riti della settimana santa a Nocera Terinese in Calabria, dove i vattienti compiono il 'rito devozionale' della flagellazione consistente nel percuotersi cosce e gambe con tredici pezzi di vetro collocati su un pezzo di sughero denominato 'cardo'. Nella pubblicazione Folklore della Calabria, Basile asseriva che: «'[..] non è meraviglia che sopravviva ancora in un vecchio paese della Calabria il rito antichissimo del sangue: originario per la morte di Adone e per la sua resurrezione e per la morte e la resurrezione di Attis esso rimane in Nocera Terinese, ma adottato alla commemorazione della morte e della resurrezione del Cristo, come sopravvivenza o meglio reviviscenza'».\n\nCorrispondenze della divinità.\nIl dio Attis è associato dagli studiosi a tutte divinità legate agli antichi riti di propiziazione della fecondità della terra, trovando corrispondenza in Adone, nel mesopotamico Tammuz e in Sandan di Tarso di Cilicia.
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### Titolo: Attore (figlio di Ippaso).\n### Descrizione: Attore è un personaggio della mitologia greca. Viene contato tra gli Argonauti.\nDi lui si sa che era figlio di Ippaso, e che proveniva dalla città di Pellene, in Acaia. Come gli altri Argonauti, rispose all'appello di Giasone per partecipare al recupero del vello d'oro.\nNon si distinse particolarmente durante il viaggio e non è citato in altri contesti.
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### Titolo: Augia.\n### Descrizione: Augia (in greco antico: Αὐγείας?, Augèiās) è una figura della mitologia greca. Era un re dell'Elide.\nÈ conosciuto soprattutto per le sue stalle, protagoniste di una delle fatiche di Eracle.\n\nGenealogia.\nIgino lo indica come uno degli Argonauti e figlio di Elio e di Nausidame mentre Pausania lo indica come figlio di un re d'Elide di nome Eleo e di Nausidame. Apollodoro lo indica figlio di Poseidone o figlio di Forbante e Irmine.\ne fratello di Astidamia.\nNon sono pervenuti i nomi della moglie o delle mogli, ma tra i suoi figli ci furono Agastene, Fileo ed Eurito, e tra le figlie la maga Agamede ed Epicasta, rapita da Eracle..\n\nMitologia.\nAugia aveva ereditato moltissimo bestiame che, grazie all'origine divina, era immune dalle malattie e cresceva indefinitamente.\nAugia non puliva mai le stalle e le scuderie, tanto che il letame che continuava ad accumularsi creava seri problemi nei dintorni e il cielo era oscurato dagli sciami di mosche attirate dalla sporcizia.\nLa quinta impresa delle fatiche di Ercole consistette nella pulizia delle stalle in un solo giorno, su ordine di Euristeo così Ercole disse al re Augia che avrebbe ripulito lo sterco dalle sue enormi stalle prima del calar del sole e in cambio gli chiese un decimo di tutto il suo bestiame.\nIl re incredulo accettò la scommessa e i due giurarono sul loro accordo. Ercole aprì due brecce nei muri delle stalle e deviò il corso dei vicini fiumi Alfeo e Peneo e le acque impetuose invasero le enormi stalle e i cortili spazzando via lo sterco fino alle valli del pascolo.\nCosì Eracle compì la sua quinta fatica ripulendo l'intera terra dell'Elide senza nemmeno fare fatica.\nTerminato il lavoro Ercole chiese al re Augia la ricompensa promessa, ma questi rifiutò dicendo che non era stato Eracle a ripulire le stalle bensì i fiumi e sostenendo di essere stato da lui ingannato. Ercole chiese che la controversia fosse sottoposta a giudizio che però fu a suo svantaggio e venne scacciato dall'Elide. Infine Euristeo non considerò valida la fatica poiché Ercole ne avrebbe ricevuto un compenso.\nSecondo un'altra versione, la lite che seguì alla mancata ricompensa per il lavoro svolto portò a una guerra dove Ercole vinse e Augia fu ucciso.
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### Titolo: Ausia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ausia era una delle ninfe.\nFu l'amata sposa di Proteo, figlio di Oceano e della nereide Teti, da cui ebbe una figlia, chiamata Mera, dalla quale deriva il nome del fiume omonimo.
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### Titolo: Ausone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ausone o Ausonio era il re di un popolo italico, gli Ausoni.\n\nMito.\nIl padre di Ausone era Ulisse, l'eroe protagonista dell'Odissea, mentre la madre era la maga Circe oppure la ninfa Calipso.\nAusone in seguito ebbe un figlio chiamato Liparo (che avrebbe dato il nome all'Isola di Lipari).\n\nVersioni alternative.\nSecondo l'interpretazione del mito che lo volle figlio di Calipso, Ausonio venne in Italia e diede il suo nome ad una terra chiamata in seguito Ausonia.\nPer Strabone (VI 225 vg), Ausone avrebbe fondato la città di Temesa.
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### Titolo: Auspicia.\n### Descrizione: Gli Auspicia (plurale dal latino auspicium), secondo la religione romana, sono divinazioni tratte dall'osservazione di fenomeni considerati divini.\n\nStoria.\nNati come divinazioni tratte dall'augure dall'osservazione del volo degli uccelli, acquisite dagli Etruschi, nel tempo sono state tratte da altri tipi di osservazioni.\nTenuti in gran conto durante l'epoca Monarchica e per lungo tempo anche durante quella Repubblicana, gli Auspicia con il tempo andarono perdendo il loro carattere religioso, acquisendo quello di atto tradizionale, tanto che verso la fine della Repubblica, accadeva che gli auguri fossero pagati per trarre presagi positivi.\n\nTipi di auspicia.\nPresso i romani esistevano cinque diversi tipi di auspici.\n\nEx avibus (dagli uccelli).\nAnche se gli auspici spesso erano di questo tipo, non tutti gli uccelli del cielo erano considerati come portatori della volontà degli Dei. C'erano due classi di uccelli: gli Oscines, che esprimevano la volontà degli dei attraverso il loro canto, e gli Alites, che esprimevano gli auspici attraverso il volo. A seconda del movimento degli uccelli, del loro numero e da altri fattori, un augure tracciava dei segni immaginari nel cielo e poi li riportava, proiettandoli, sul pavimento, creando una specie di mappa.\n\nEx caelo.\nQuesto auspicio, una particolare forma di aeromanzia, comportava l'osservazione di tuoni e fulmini e spesso è stato visto come l'auspicio più importante. Ogni volta che un augure riferiva che Giove aveva mandato giù tuoni e fulmini, non si potevano tenere i comitia.\nI Romani consideravano come segno favorevole il lampo che balenava nel cielo da sinistra a destra, e sfavorevole il lampo che scorreva da destra a sinistra.\n\nEx tripudiis.\nQuesti auspici erano legati alle abitudini alimentari dei polli e generalmente sono stati utilizzati durante le spedizioni militari. I polli erano tenuti in una gabbia sotto la cura del pullarius; questi, quando doveva trarre gli auspici, liberava i volatili ai quali veniva lanciato qualche forma di pane. Se i polli si rifiutavano di uscire dalle gabbie o di mangiare, se battevano le ali o volavano via, l'auspicio era considerato sfavorevole.\n\nEx quadrupedibus (da quadrupedi).\nQuesti auspici, che non venivano utilizzati nelle funzioni pubbliche, venivano tratti dal cammino di un quadrupede, una volpe, lupo, cavallo, o un cane, che attraversava il percorso di una persona.\n\nEx diris (da presagi).\nA questa categoria di auspici apparteneva ogni altro evento o avvenimento che non rientra nelle altre categorie. Potevano essere accadimenti accidentali, come uno starnuto o un inciampo, che poteva essere preso come un segno degli Dei da interpretare.\n\nEsempi di auspicia.\nAscanio, figlio di Enea, trasse auspici favorevoli, nella forma di un lampo che scorreva da sinistra a destra, prima di scendere in battaglia contro Mezenzio.\nLa versione più accettata della Fondazione di Roma si basa sugli auspici tratti da Romolo e Remo dal volo degli uccelli per decidere chi tra loro sarebbe stato il primo Re di Roma.\nRomolo accettò la nomina solo dopo aver preso gli auspici favorevoli del volere degli dei, che si manifestò con un lampo che balenò da sinistra verso destra.Marco Valerio Corvo ebbe un segno da un corvo che si appollaiò sulla galea contro il nemico gallo di proporzioni gigantesche, quando iniziò il combattimento il corvo di levò sulle sue ali e si gettò con il rostro e gli artigli contro gli occhi del nemico, aiutando il tribuno a vincere. Battuto l'enorme gallo, la vittoria arrise ai romani.A retaggio o eredità delle tradizioni passate, da questi auspicia è nata la leggenda dei 'giorni della merla', con le sue molteplici varianti; oppure troviamo ancora viva la leggenda dei 'corvi della Torre di Londra'.
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### Titolo: Autoctono (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, un autoctono (dal greco αὐτός, autòs, stesso, e χθών, chthòn, suolo) era un essere nato spontaneamente dalla terra, senza l'intervento di genitori mortali o divini.\nMolti fondatori delle più antiche poleis greche erano considerati autoctoni. Il concetto si contrappone a quello di colono, che era invece un fondatore proveniente da un'altra regione.\n\nMitologia.\nIl fondatore e primo re di Atene, Cecrope, era considerato autoctono e nato con la parte inferiore del corpo a forma di serpente, che era considerato un simbolo della terra stessa. Anche altri re di Atene, tra cui Cranao e Anfizione, erano, in certe tradizioni, autoctoni. Il primo re della Laconia, Lelego, della Beozia, Ogigo, e dell'Arcadia, Pelasgo, erano parimenti considerati autoctoni.\nIl mito presenta alcune varianti, e alcuni autoctoni nascono dalla terra tramite un intervento umano o divino: Cadmo, il primo re di Tebe, fu aiutato nella fondazione della città dagli Sparti, esseri nati dai denti di un drago gettati nella terra. Nel mito di Deucalione e Pirra, la coppia gettò dei massi nella terra, e da quelli gettati da Deucalione nacquero gli uomini, mentre da quelli gettati da Pirra nacquero le donne. Erittonio, un altro re mitologico di Atene considerato autoctono, nacque in realtà dal seme di Efesto disperso sulla terra.\n\nInterpretazione.\nIl mito dell'autoctonia riflette la convinzione degli storici o delle tribù stesse di essere i primi umani ad abitare la loro terra, e fu probabilmente sviluppato per rafforzare l'autonomia delle poleis e il legame tra i cittadini e la loro patria.\nIl concetto sopravvisse all'ambito della mitologia, e fu applicato anche dagli storici antichi, in riferimento a vari popoli: il termine appare dal V secolo a.C., negli scritti di Erodoto e di Tucidide, e fu impiegato anche da Ellanico di Lesbo e Strabone.
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### Titolo: Autonoe (figlia di Cadmo).\n### Descrizione: Autonoe (in greco antico: Αὐτονόη?, Autonòē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Cadmo e di Armonia.\n\nMitologia.\nFu moglie di Aristeo, da cui ebbe un figlio, Atteone.\nSecondo il mito, durante una crisi estatica, la donna uccise Penteo, con Agave e Ino, poiché lo credeva una belva feroce.\n\nGenealogia.
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### Titolo: Auxesia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Auxesia era il nome di una divinità dedita alla fertilità, alla crescita.\n\nEtimologia.\nIl suo nome dervia dal greco áuxo, ovvero crescere.\n\nNel mito.\nSi tratta di una divinità venerata a Epidauro con Damia, si racconta anche della festa chiamata Lithobolia (festa del lancio delle pietre. I due nomi della divinità vengono anche considerati degli appellativi sia di Demetra, che di Bona e di Persefone.
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### Titolo: Aventino (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aventino era il nome di uno dei figli di Eracle e di Rea.\nDiventò re degli Albani. Si unì successivamente a Turno nella guerra contro Enea.\nDal nome di questo personaggio mitico potrebbe derivare quello del colle Aventino (Roma).
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### Titolo: Axto.\n### Descrizione: Axto è un personaggio minore del mito di Minosse e del Minotauro.\nMentre Pasifae si trovava nella vacca di bronzo costruita per lei da Dedalo perché potesse unirsi al Toro di Creta, fu vista da un contadino che lavorava nei campi, Axto.\nQuest'ultimo venne catturato e portato al cospetto del re, il quale lo fece torturare per tre giorni, fino a quando Axto rivelò ciò che aveva visto.
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### Titolo: Azoro.\n### Descrizione: Azoro (in greco antico: Ἀζωρος?) era una città dell'antica Grecia ubicata in Tessaglia.\n\nStoria.\nSi trovava nel distretto di Perrebia, nelle vicinanze di Dolice e Pitione tanto che queste tre città costituivano un'unità politica chiamata Tripolis. Strabone la sitaa a centoventi stadi da Ossinio.Durante la guerra romano-siriaca, Tripolis venne colpita da un esercito di soldati dell'Etolia comandati da Menipo nel 191 a.C. Viene citata nel corso della terza guerra macedone: le tre città si arresero all'esercito macedone comandato da Perseo di Macedonia nel 171 a.C., ma nello stesso anno i romani riconquistarono le tre città. Nel 169 a.C. vi giunse un esercito guidato dal console romano Quinto Marcio Filippo che si accampò tra Azoro e Dolice.Le tre città coniarono una moneta comune con la scritta «ΤΡΙΠΟΛΙΤΑΝ».
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### Titolo: Babi (mitologia greca).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Babi era il nome di uno dei figli di Meandro.\n\nIl mito.\nBabi, figlio di una delle divinità minore dei fiumi, in quanto nell'antica Grecia si credeva che ogni fiume avesse origini divine, fratello di Marsia, famoso per essere tanto abile nel suonare il flauto da sfidare il divino Apollo, quando il dio si vendicò della presunzione di Marsia stava per far esplodere la sua rabbia anche contro Babi, ma fu salvato dalle sue capacità scarsissime con il flauto.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nNell'antica Grecia tale storia diede origine a proverbi, ormai caduti in disuso come “suonare peggio di Babi”.
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### Titolo: Bacchiade.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Bacchiade (in greco antico: Βάκχις) era il nome di uno dei figli di Prumnide.\n\nIl mito.\nBacchiade discendente da Eracle, l'eroe famoso per le sue innumerevoli avventure, o di Dioniso il dio del vino, riuscì a creare una delle più importanti stirpi di eroi che diedero grande lustro alla città di Corinto, dove regnò con giustizia per molti anni. I suoi discendenti presero il nome di bacchiadi.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nCorinto era una città famosa all'epoca greca, maestosa e piena di potere, i mitografi vollero donare un alone di divinità alla loro stirpe, affermando una loro discendenza dal dio o dal più famoso degli eroi. Questo artificio era molto comune a quei tempi.
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### Titolo: Baia di Eleusi.\n### Descrizione: La baia di Eleusi è un'insenatura costiera di Eleusi, comune greco della prefettura dell'Attica Occidentale, e centro abitato già nell'antica Grecia, situato nel sito dove oggi sorge Elefsina, in Attica, davanti all'isola di Salamina, a circa 18 km a N-0 di Atene.\nSi trova all'estremità settentrionale del golfo di Saronico, o golfo di Egina (in greco: Σαρωνικός κόλπος, Saronikós kólpos), un ampio golfo sulla costa orientale della Grecia, aperto alle acque del mar Egeo, situato nel lato orientale dell'istmo di Corinto.\n\nVoci correlate.\nEleusi.\nMisteri eleusini.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Baia di Eleusi.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Sito ufficiale, su eleusina.gr.
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### Titolo: Baleo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Baleo era il nome di uno dei compagni di Eracle che lo aiutò nelle sue imprese.\n\nIl mito.\nEracle durante il compimento delle sue dodici fatiche fu aiutato da tantissimi amici che vedevano in lui un compagno ed un eroe su cui contare. Uno di loro fu Baleo, abile guerriero che aiutò il semidio durante la cattura della mandria di Gerione. Durante il lungo viaggio Baleo morì in una delle isole che dopo presero il nome da lui, le Baleari.
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### Titolo: Balio e Xanto.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Balio (Balios, dal significato di 'pezzato, pomellato') e Xanto (Xanthos, dal significato di 'giallo, fulvo, baio') erano due cavalli immortali nati dal vento dell'ovest Zefiro (oppure, secondo un'altra tradizione, da Zeus) e dall'Arpia Podarge. Entrambi avevano il dono della parola, concessogli da Era. Erano guidati da Automedonte, il cocchiere di Achille.\n\nIl mito.\nAlle nozze di Peleo e Teti, tutte le divinità fecero dono allo sposo di qualcosa di prezioso. Il dio Poseidone, re dei mari, gli donò i cavalli immortali Xanto e Balio.\nTroppo vecchio per partecipare alla guerra di Troia, Peleo fece quindi dono al figlio Achille di molti dei suoi tesori, fra cui i due formidabili cavalli. Tali animali fecero compagnia all'eroe fino alla fine dei suoi giorni. Xanto predisse ad Achille la sua morte imminente, facendolo infuriare.\nQuando nella famosa guerra Achille uccise Ettore, ne legò il cadavere al proprio cocchio ed istigò i cavalli Xanto e Balio.
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### Titolo: Bandiera della Sicilia.\n### Descrizione: La bandiera della Sicilia è la bandiera ufficiale della Regione Siciliana, regione a statuto speciale.\nLa bandiera, le cui origini risalgono al regno di Sicilia nel XIII secolo, è stata adottata ufficialmente, su proposta dell'allora presidente dell'Assemblea regionale siciliana Nicolò Cristaldi, con la legge regionale 4 gennaio 2000 n. 1, e viene esposta in tutti gli edifici pubblici siciliani.\n\nStoria.\nLa bandiera siciliana ha avuto sempre come simboli distintivi la triscele e il gorgoneion.\n\nOrigini della triscele.\nLa triscele, comunemente chiamata anche trinacria, è lo storico simbolo della Sicilia. Si tratta della raffigurazione di un essere con tre gambe (dal greco τρισκελής appunto). È un simbolo di origine Neolitica, e ha una storia articolata e complessa; essa è similare a simboli di altre civiltà antiche come i Celti, e di diverse aree geografiche del pianeta, dal centro America, alla Mesopotamia e all'India.\n\nDopo il ritrovamento di una triscele nella zona di Agrigento, a Palma di Montechiaro, sarebbe da accreditare in particolare l'ipotesi dell'origine minoica delle prime civiltà sull'isola, a conferma di quanto racconta Omero, e cioè che Minosse, partito da Cnosso all'inseguimento di Dedalo, sbarcò in Sicilia. Questa Triscele di terracotta è conservata presso il Museo Archeologico di Agrigento.\n\nIl gorgoneion.\nL'altro simbolo della bandiera intersecato con la triscele è il gorgoneion, ovvero la testa della Gòrgone (comunemente chiamata Medusa), i cui capelli erano serpenti.\nAltra versione della testa è quella di una donna dalla quale spuntano delle ali che simboleggiano il trascorrere del tempo, contornata da serpenti per indicare la saggezza. Furono poi aggiunte le spighe di grano dai Romani, sia come simbolo di fertilità sia perché la Sicilia infatti fu la prima provincia e 'granaio' di Roma.\n\nLa prima bandiera e usi successivi.\nLa bandiera venne utilizzata per la prima volta nel 1282 nella Rivoluzione del Vespro dai siciliani, volendo simboleggiare l'unità della Sicilia nello scacciare gli Angioini.\nIl significato dei colori, posizionati in ordine inverso rispetto alla odierna bandiera della Regione Siciliana, simboleggerebbe l'unione dei colori comunali di Palermo (capofila nelle ribellioni) e Corleone (in ordine, rosso e giallo), unitisi per primi nella rivoluzione che vedeva i Siciliani fronteggiare gli Angioini. Palermo era la capitale sin dal tempo dell'Emirato di Sicilia, Corleone era importante centro agricolo e civile dell'entroterra di Sicilia.Nel 1296, con l'ascesa di Federico III, sul trono di Sicilia, viene introdotta quella che sarà la bandiera del Regno di Sicilia fino al 1816. Il vessillo si presenta con una inquartatura in decusse, ovvero in croce di Sant'Andrea: al 1° e al 4° quarto sono poste le barre d'Aragona, mentre, al 2° e al 3° quarto, campeggiano, affrontate o rivolte verso il pennone, le aquile di Svevia-Sicilia.\nNella rivoluzione del 1848, precisamente il 27 maggio, la Trinacria, posta al centro del tricolore italiano, fu adottata quale simbolo dell'isola dal Parlamento siciliano:.\n\nLa triscele fu usata anche sull'elmetto della Guardia nazionale siciliana tra il 1848 ed il 1849.\nLo stesso simbolo fu poi brevemente riutilizzato dai comitati rivoluzionari, ed in seguito dalle amministrazioni dell'isola nel 1860 sotto l'amministrazione di Garibaldi, durante la spedizione dei Mille, ma venne sostituita un mese dopo dalla bandiera del Regno d'Italia con Decreto Dittatoriale n. 43 del 17 giugno 1860.\nNel 1944 il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia adottò una bandiera tagliata di rosso e di giallo, come simbolo del separatismo siciliano.\nL'Assemblea regionale siciliana nel 1990 approvò l'adozione di stemma e gonfalone, e nel 2000 dell'attuale bandiera.\n\nDescrizione.\nLa bandiera è costituita, secondo la legge, da 'un drappo di forma rettangolare che al centro riproduce lo stemma della Regione siciliana, con dimensioni pari a tre quinti dell'altezza della bandiera, formato da uno scudo alla francese raffigurante al centro la triscele color carnato, con il gorgoneion e le spighe. Il drappo ha gli stessi colori dello stemma: rosso aranciato e giallo'.\n\nGonfalone e stemma.\nLo stemma ed il gonfalone della Regione sono stati adottati con la legge regionale 28 luglio 1990 n. 12 approvata dall'Assemblea regionale siciliana, su proposta del parlamentare regionale e storico Giuseppe Tricoli.\nNel gonfalone sono presenti lo stemma normanno, quello svevo, la triscele e quello aragonese.\nLo stemma è costituito da uno scudo alla francese raffigurante al centro la triscele color carnato, con il gorgoneion e le spighe, in campo trinciato color rosso aranciato e giallo.\n\nGalleria d'immagini.
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### Titolo: Basilica di Paestum (tempio greco).\n### Descrizione: La Basilica (detta anche tempio di Hera) si trova nel sito archeologico di Poseidonia, città della Magna Grecia ribattezzata dai Romani Paestum. È ubicato nel santuario meridionale della città, dove si erge, parallelamente e pressoché allineato sul lato orientale, a breve distanza dal posteriore tempio di Nettuno.\nSebbene siano andate completamente distrutte le parti superiori della trabeazione, nonché le strutture murarie del naos (la cella) ed ampissime porzioni della pavimentazione, lo stato di conservazione è da considerarsi eccellente. La Basilica di Paestum è infatti l'unico tempio greco di epoca arcaica in cui la peristasi, qui composta da 50 colonne, è conservata integralmente.\n\nStoria.\nIl tempio fu edificato a partire dalla metà del VI secolo a.C., ma la sua costruzione dovette terminare solamente nell'ultimo decennio. Come lasciano ipotizzare i materiali votivi con dedica alla dea ritrovati nei suoi dintorni, il tempio era probabilmente dedicato ad Era, sposa di Zeus e principale divinità venerata a Poseidonia, l'importanza della quale è attestata dall'Heraion alla foce del Sele, il grande santuario extraurbano interamente dedicato alla dea, la cui costruzione fu avviata simultaneamente alla fondazione della città.\nLa denominazione 'Basilica', con la quale il tempio è più noto, gli venne attribuita nella seconda metà del XVIII secolo, quando la cultura architettonica neoclassica cominciò ad interessarsi a Paestum. La totale sparizione dei timpani e di gran parte della trabeazione, assieme all'anomalo numero dispari delle colonne sulla fronte, rese incerta l'identificazione funzionale, come tempio, dell'edificio; questo, interpretato come 'porticato' oppure come 'ginnasio o collegio', venne chiamato basilica, nel significato, proprio del termine romano, di struttura porticata adibita a sede di tribunale ed alle assemblee dei cittadini.\n\nStruttura planimetrica.\nÈ un tempio periptero enneastilo (cioè con nove colonne sulla facciata e sul retro) con diciotto colonne sui lati lunghi. ll rettangolo dello stilobate misura 24,50 x 54,24 m. L'edificio è orientato verso est come il vicino tempio di Nettuno, assieme al quale determina il grandioso aspetto monumentale del santuario meridionale di Poseidonia. Un grande altare, riportato alla luce durante gli scavi condotti da Vittorio Spinazzola agli inizi del secolo scorso, fronteggia ad est il tempio, a 29,50 m di distanza, in posizione perfettamente parallela alla fronte templare e simmetrica rispetto all'asse dell'antistante edificio.\nIl semplice rapporto proporzionale 1:2 si esprime dunque non nelle dimensioni lineari del rettangolo del tempio ma nel numero delle colonne (9 x 18). Queste sono intervallate da interassi di misura differente tra le fronti (interasse di ca. 2,86 m) e i fianchi (interasse di ca. 3,10 m). Dall'assenza di contrazione degli interassi angolari per la soluzione del conflitto angolare si deduce che le metope angolari erano allungate rispetto a quelle 'normali'.\nLa Basilica ha la particolarità di avere un numero dispari (9) di colonne sulla fronte, come conseguenza della disposizione, lungo l'asse dell'edificio, di un unico colonnato centrale all'interno della cella. La presenza di un colonnato interno in posizione assiale, certamente in funzione di supporto del colmo centrale della copertura a doppio spiovente, rappresenta un sicuro indicatore architettonico dell'archeicità del tempio. Tale soluzione planimetrica fu poi rifiutata dall'architettura greca del periodo classico (e da ogni stile classicista, nei vari secoli successivi), perché impediva l'accesso e la vista assiale verso il naos, negando un rapporto diretto con la sacralità del tempio.\n\nSpazi interni.\nLa cella (naos), profonda 9 interassi, era preceduta da un pronao, di 2 interassi di profondità, con tre colonne disposte tra due ante, dalle quali si originano i muri che la chiudevano lungo i lati. Coerentemente con la disposizione di una colonna esterna centrale in posizione assiale, la cella è bipartita da un colonnato interno centrale, formato da 7 colonne, di cui sono conservate le prime tre.\nDietro la cella è ricavato l'adyton, un ambiente chiuso e anch'esso profondo 2 interassi, introdotto in sostituzione dell'opistodomo (il corrispondente simmetrico del pronao sul retro) al termine di ripensamenti progettuali in corso d'opera, rilevati grazie ad indagini sulle fondazioni; queste hanno permesso di accertare tre fasi di progettazione, a conclusione delle quali, oltre alla sostituzione dell'opistodomo con un adyton, il colonnato centrale della cella venne ridotto da otto a sette elementi; è ipotizzabile che la motivazione di questi ripensamenti progettuali risieda in sopraggiunte modifiche alle pratiche di culto, che implicarono l'introduzione di rituali con processioni richiedenti una nuova configurazione degli spazi interni. Il vano dell'adyton, caratteristico dei templi greco-occidentali (Magna Grecia e Sicilia) nel periodo arcaico, era accessibile, attraverso porte che lo collegavano al naos, solo agli addetti al culto. Esso era probabilmente la sede del tesoro del tempio e del simulacro della divinità.\n\nLe colonne. Stile e decorazioni.\nLe colonne sono di tipo dorico e sono alte circa 6,48 m, hanno un fusto percorso dalle canoniche 20 scanalature e fortemente rastremato, con un diametro inferiore di circa 1,45 m ed uno superiore di circa 0,98 m. L'aspetto delle colonne è determinato innanzitutto dal caratteristico rigonfiamento nella zona mediana dovuto ad un'entasi assai evidente, con una 'freccia' di circa 4,8 cm. L'echino del capitello, come si addice a colonnati di età arcaica, è molto schiacciato ed espanso, e l'abaco molto largo.\nLo stile dorico in cui sono realizzate le colonne della Basilica presenta potenti tendenze decorative, che lo ricollegano a quello diffuso, in epoca arcaica, in altre colonie di fondazione achea; si tratta di uno stile che, sottoposto ad una razionalizzazione formale, ispirerà anche la realizzazione del successivo tempio di Athena, e di cui il tempio di Nettuno, costruito in uno stile dorico oramai 'canonico', segnerà a Poseidonia il definito abbandono.\n\nTre sono i fenomeni decorativi che interessano la Basilica. (1) I collarini di ciascuna colonna sono decorati con foglie baccellate di numero variabile.(2) Su alcune colonne della fronte occidentale le decorazioni interessano addirittura la parte inferiore dell'echino, immediatamente al di sopra degli anuli, sulla quale è scolpita in rilievo una fascia decorativa floreale differente in ciascuna colonna; tra queste spicca, per lo stato di conservazione e la sua bellezza, la decorazione realizzata sul capitello della colonna in posizione centrale, composta da un'alternanza di rosette e fiori di loto. (3) Questo stile decorativo raggiunge il suo culmine con l'ornamento floreale a rilievo (sequenze di fiori di loto e palmette), di cui non esistono altri esempi, che percorre l'intero corpo dell'echino delle sei colonne con capitello in arenaria disposte all'interno (le tre del pronaos e le prime due del colonnato centrale assiale) e all'angolo sud-est della peristasi; vivaci policromie, di cui rimangono tracce (rosso e blu), rivestivano queste decorazioni floreali.\n\nTrabeazione e tetto.\nDella trabeazione rimangono gli architravi e pochi altri elementi, che però, assieme ad importanti resti della copertura fittile del tetto, ne hanno consentito una ricostruzione quasi completa, il tetto e la trabeazione erano decorati con materiale litico di travertino locale e di marmo importato dall'Egeo.\nL'ordine delle strutture superiori del tempio, al di sopra degli architravi, si discosta profondamente da quello dorico 'canonico' ed è da ricollegare alla tradizione architettonica seguita nelle colonie achee durante il periodo arcaico. Invece del sistema di taenia e regulae sovrastante gli architravi, gli architetti della Basilica disposero una modanatura realizzata in arenaria, della quale rimangono ancora elementi. Questa struttura fungeva da base per il fregio, che nell'ordine dorico 'canonico' è invece direttamente collegato al sottostante colonnato. Grazie alle tracce di posizionamento presenti ed al loro andamento è stato infatti possibile arguire l'esistenza di un fregio dorico, costituito dall'usuale alternanza di triglifi, coordinati con gli assi delle colonne ed i centri degli architravi, e metope; è possibile che queste ultime, come quelle provenienti dall'Heraion di Foce Sele, fossero scolpite.\n\nL'alzato era privo di un geison orizzontale. Il suo coronamento non era in pietra ma composto da un rivestimento in terracotta policroma, con finte grondaie a testa di leone, delle quali riemersero numerosi frammenti (alcuni esposti al Museo Archeologico Nazionale di Paestum) durante gli scavi del 1912. I bordi della copertura terminavano con antefisse che, come è stato possibile comprendere grazie ai ritrovamenti, alternavano la forma di palmetta a quella di fiore di loto.
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### Titolo: Bassaride.\n### Descrizione: Bassaride (in greco antico: βασσαρίς, -ίδος?, bassarís, -ídos, 'volpe, baccante, cortigiana'; in latino: Bassăris, -ĭdis, «Baccante») è uno dei nomi con cui erano indicate le baccanti della Tracia e della Lidia, chiamate così perché nel culto dionisiaco si coprivano di pelli di volpe.\nIl termine greco deriva infatti dal vocabolo anario βασσάρα (bassàra) che indicava la volpe. In Egitto la volpe era chiamata con un nome simile ('wasar') e il Lepsius aveva trovato immagini in cui dei sacerdozi egizi indossavano pelli di volpe (Denkmäler aus Ägypten und Äthiopien, II, 112, 128). In Lidia e Tracia, ma non nell'Ellade rimanente, durante i riti le seguaci di Dioniso indossavano pelli di volpe lunghe fino ai piedi, e anche a Dioniso veniva dato l'appellativo di 'Bassàreo'. I riti consistevano in una specie di trance allucinatoria che culminava nel rito dello sparagmòs (in greco antico: σπαραγμός), cioè nell'uccisione di un giovane animale, nello smembramento e nella consumazione delle sue carni crude (in greco antico: ὠμοϕαγία?, omophagìa).\n\nOpere.\nLe Bassaridi (in greco antico: βασσάραι?, Bassàrai) - tragedia di Eschilo per noi perduta. Uno scolio ravennate alle Tesmoforiazuse di Aristofane (Thesm. 135) cita una perduta tetralogia di Eschilo intitolata Licurgea comprendente le tragedie Edoni, Bassaridi e Giovinetti e il dramma satiresco Licurgo. Licurgo era il re degli Edoni, nemico di Dioniso e delle bassaridi, il quale fu squartato dai suoi sudditi sul monte Pangeo. Tuttavia una citazione di Eratostene di Cirene riferisce che, «come dice Eschilo», Orfeo preferì a quello di Dioniso il culto di Apollo Elio e si recò sul Pangeo per onorarlo; irato, Dioniso gli scatenò contro le bassaridi le quali lo sbranarono. Non è chiaro pertanto quale fosse l'argomento della tragedia Bassaridi della tetralogia Licurgea. Non è infatti chiaro se la vicenda di Licurgo costituisse l'argomento della sola prima tragedia (Edoni), né che rapporto avesse la prima con la seconda tragedia (Bassaridi), salvo la presenza di Dioniso. Il frammento 18 superstite delle Bassaridi cita il monte Pangeo, ma questo potrebbe essere legato sia alla vicenda di Licurgo sia a quella di Orfeo.\nLe Bassaridi (The Bassarids), opera seria in un atto di Hans Werner Henze su libretto di W.H. Auden e Chester Kallman, tratto da Le Baccanti di Euripide. Penteo, il giovane re di Tebe, sdegnato contro la sfrenata licenza, vieta il nuovo culto di Dioniso, suscitando la tremenda vendetta del dio il quale fa uccidere Penteo dalla propria madre Agave.\nNell'Alessandra (Ἀλεξάνδρα), poema del IV secolo a.C. di Licofrone, fra le profezie di Alessandra, figlia di Priamo, vi è anche quella, alquanto sorprendente, di Penelope che accoglierebbe Ulisse, al suo ritorno a casa, come una lussuriosa bassaride, coperta di una pelle di volpe.
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### Titolo: Baubo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Baubo, o Baubò (in greco antico: Βαυβώ), era il nome della sposa di Disaule, un'antica divinità, definita dea dell'oscenità.\n\nIl mito.\nNon si hanno molte informazioni riguardanti la divinità, si può supporre che gli antichi greci si ispirarono a culture precedenti, soprattutto a quelle nelle quali erano presenti dee primitive, per così dire, archetipiche della sfera sessuale e della fertilità. Rammenta le divinità femminili neolitiche, misteriose nella loro incompiutezza corporale, talvolta manifestata da mutilazione negli arti e altre volte nel capo, ma indicanti segni di fertilità.Demetra, disperata per aver perso la figlia Persefone catturata e offerta come sposa al dio Ade, la cercava in continuazione triste e travestita in tutte le terre. Baubo, una vecchia, un giorno le apparve alla casa di Metanira e Celeo; offrì da bere alla dea e mostrò, alzandosi in piedi, il suo ventre alla dea. Di fronte a tale spettacolo Demetra rimase impassibile ma il figlio Iacco, che la accompagnava, rise di gusto riuscendo così a strappare alla madre di Persefone un sorriso, che fu il primo da quando la dea aveva perso la figlia.Secondo un'altra versione, Baubo era una donna magica molto particolare, perché era priva di testa e parlava tramite la vulva. Intrattenne Demetra, disperata per la perdita della figlia, ballando in un modo alquanto esilarante e raccontando storie licenziose, e inoltre collaborò, assieme all'anziana Ecate e al sole Elio, alla ricerca di Persefone, che alla fine fu rintracciata consentendo così al mondo di rifiorire nuovamente.Baubò ebbe due figlie, Protonoe e Nisa, e un figlio Eubuleo.\n\nPareri secondari.\nSecondo una versione minore, fra i suoi figli vi era anche Trittolemo, in altre versioni si associa il nome di Baubò a quello di Ecate.\n\nLetteratura e filosofia.\nNella prefazione alla seconda edizione de La gaia scienza, scritta nell'ottobre del 1886 a Ruta, frazione del comune di Camogli presso Genova, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche identifica la Verità con la dea Baubo:.\n\nRitrovamenti.\nUna statuetta femminile raffigurante la dea Baubò è stata rinvenuta nel 1961 durante gli scavi sull’acropoli di Gela, in Sicilia. Il ritrovamento del reperto, datato tra il 460 e il 450 a.C., restituisce sino a oggi la più antica immagine della divinità, immortalata nell'atto apotropaico dell’anasyrma (ἀνάσυρμα), il gesto di sollevare la veste ed esibire i genitali. La dea è ritratta in un lungo chitone con dei seni cadenti, un volto gonfio e delle rughe attorno alla bocca che delineano una figura femminile in età avanzata. La statua veniva adoperata nelle cerimonie in onore della dea Demetra Tesmofora presso il Thesmophorion di Bitalemi, uno dei luoghi di culto demetriaci più noti nella Sicilia greca, ubicato su una collinetta ad est dell'omonimo fiume della città siceliota. La combustione riscontrabile nella parte superiore del manufatto viene fatta risalire all’assedio cartaginese di Gela nell'estate del 405 a.C..
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### Titolo: Bellerofonte.\n### Descrizione: Bellerofonte (in greco antico: Βελλεροφῶν?, Bellerophṑn o Βελλεροφόντης, Bellerophóntēs; Bellerofonte, letteralmente 'uccisore di Bellero', era il soprannome che gli fu dato dopo che uccise Bellero, re di Corinto), o Ipponoo, è un personaggio della mitologia greca, un eroe la cui impresa più grande fu quella di uccidere la Chimera, un mostro che Omero descrisse con la testa di un leone, il corpo di una capra e la coda di serpente.Esiodo ed altri autori tragici hanno immaginato che l'eroe fosse seduto a cavallo di Pegaso, ma nell'Iliade di Omero (libro VI) viene raffigurato senza il celebre cavallo alato. Pindaro, nelle Olimpiche (la versione più nota), lo affianca nuovamente a Pegaso, assegnando a taluni personaggi nome diverso rispetto alle versioni dei suoi contemporanei.\n\nGenealogia.\nFiglio di Poseidone e di Eurimede sposò Filonoe (figlia di Iobate), e fu padre di Laodamia, Ippoloco e Isandro.\n\nMitologia.\nOrigini.\nA seconda delle versioni, Bellerofonte era uno dei discendenti della famiglia reale che a quell'epoca dominava Efira, l'odierna città di Corinto.\nIn realtà il nome con cui fu chiamato alla nascita era Ipponoo, ma egli non poté conservarlo a lungo a causa del crimine che avrebbe commesso di lì a pochi anni.\n\nIl nome di suo padre, secondo la versione più comune ed accettata, e anche quella riferita da Omero, è Glauco, il figlio di Sisifo, il quale aveva ricevuto alla morte dal padre il potere sulla città. Infatti Sisifo, il quale fu non solo il primo re di Corinto ma anche il suo fondatore, era stato punito dalle divinità a causa del suo comportamento di sfida e privo di timore degli dei.\nSua madre si chiamava invece Eurimede (o Eurinome, a seconda delle leggende), e passava per essere la figlia del re di Megara, Niso, il re al quale Atena aveva conferito tutta la sua arte, lo spirito e la saggezza.\nDiversa è l'ipotesi che dà invece Igino nelle sue Fabulae; egli infatti aggiunge nell'elenco dei figli di Poseidone anche il nome dell'eroe Bellerofonte, che il dio avrebbe avuto dalla stessa Eurinome, moglie di Glauco e figlia di Niso.\n\nLa stessa genealogia è riportata da Esiodo in suo frammento sui Cataloghi delle Donne: secondo il poeta greco il dio del mare giacque con la fanciulla nella casa del figlio di Sisifo, e qui la rese incinta dell'eroe.\n\nL'esilio.\nBellerofonte di Corinto, resosi colpevole dell'involontario omicidio del re di Corinto Bellero (ma secondo Apollodoro crf. Biblioteca II, 2-3) egli invece aveva ucciso per sbaglio il proprio fratello Deliade (o secondo alcuni Pirene o Alcimene), giunse ospite presso Preto, re di Tirinto, in grado di purificare le anime. Stenebea, moglie di Preto, si invaghì di lui, venendo però rifiutata.\nAssetata di vendetta, la Donna istigò il marito ad uccidere Bellerofonte, raccontandogli di essere stata sedotta da costui. Le leggi greche dell'ospitalità (la Xenia) impedivano però l'uccisione di un commensale; pertanto Preto inviò Bellerofonte da Iobate, re di Licia (e padre di Stenebea), con la scusa di consegnargli una lettera (che ne richiedeva, in realtà, l'uccisione). Anche Iobate però ospitò Bellerofonte, e per le solite leggi, non se la sentì di assassinarlo direttamente richiedendo, invece, al giovane di uccidere la Chimera, un mostro che sputava fiamme, con la testa di leone, il corpo di caprone e la coda di serpente.\n\nLa cattura di Pegaso.\nPolido disse a Bellerofonte che avrebbe avuto bisogno di Pegaso. Per ottenere i servizi del cavallo alato selvatico, Polido suggerì a Bellerofonte di dormire presso il tempio di Atena. Mentre Bellerofonte dormiva, sognò che Atena metteva una briglia d'oro accanto a lui, dicendo: «Dormi, principe della casa di Aiolo? Vieni, prendi questo incantesimo per il destriero e mostralo al Domatore tuo padre e come sacrificio ponigli un toro bianco». Quando si svegliò trovò effettivamente la briglia d'oro. Per catturarlo Bellerofonte avrebbe dovuto avvicinarsi a Pegaso mentre beveva da una fonte; Polido gli disse quale fonte, ossia quella di Pirene nella cittadella di Corinto, la città di nascita di Bellerofonte.\nAltri racconti dicono che Atena portò Pegaso già domato e imbrigliato, o che fu Poseidone come domatore di cavalli, segretamente il padre di Bellerofonte che gli portò Pegaso, come affermava Pausania.\n\nL'uccisione della Chimera.\nGrazie a Pegaso, riuscì a gettare del piombo nella gola della Chimera, che, fondendosi, soffocò il mostro. Iobate tentò nuovamente di mantenere la richiesta della missiva e chiese a Bellerofonte di combattere contro i Solimi e le alleate Amazzoni. Per mezzo di Pegaso, mise in fuga i nemici lanciando loro sassi.\nBellerofonte tornò da Iobate che, con ammirazione, gli mostrò il messaggio di Preto. Bellerofonte raccontò al re la verità. Il licio gli diede in sposa l'altra figlia, Filinoe, e divenne erede al trono. L'orgoglio si impossessò di Bellerofonte: il forte desiderio di raggiungere l'Olimpo portò l'eroe ad essere disarcionato da Pegaso. Gli dei infatti, infastiditi dalla sua vanità, mandarono un tafano a mordere Pegaso. Bellerofonte sopravvisse alla grave caduta, ma rimase solo e infermo fino alla morte.\n\nProgenie di Bellerofonte.\nDei suoi figli, Isandro morì giovanissimo, Laodamia divenne madre di Sarpedonte e Ippoloco fu padre di Glauco.
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### Titolo: Belone (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Belone era il nome di un inventore secondo quanto racconta Igino nelle sue Fabulae.\n\nIl mito.\nBelone scoprì l'uso dell'ago e lo diffuse nel mondo, tanto che - come afferma Igino sempre nel passo - lo stesso termine “ago” deriva in greco dal suo nome.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nIgino nel citato passo descriveva tutti i personaggi degni di nota che avevano costruito qualcosa che cambiò la vita delle persone dell'epoca. Il personaggio non viene citato in altri passi.
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### Titolo: Bendis.\n### Descrizione: Bendis, conosciuta anche come Bendi o Bendide (in greco antico: Βενδῖς?), era la dea della Luna e della caccia adorata in Tracia e, dal V secolo a.C. in poi, anche in Attica; gli Ateniesi, in base alle sue caratteristiche, la identificavano con Artemide 'Munichia'.\nIl culto di Bendis ha lasciato pochissime tracce in Tracia, e queste sono quasi sempre posteriori all'età classica. Si può invece affermare che in Attica il culto di Bendis fu uno dei più floridi in età classica: Bendis, infatti, è la divinità tracia citata col maggior numero di dettagli dagli scrittori greci (tra cui Platone, all'inizio del suo dialogo La Repubblica), e le vicende del suo culto furono strettamente legate alla turbolenta storia di Atene nel periodo della guerra del Peloponneso.\n\nCulto di Bendis in Tracia.\nDato che non si è conservata alcuna fonte scritta tracia, l'unica prospettiva per definire il culto di Bendis in Tracia è quella greca. Erodoto, quando menziona velocemente la religione tracia, non nomina Bendis, ma parla di Artemide: secondo gli studiosi moderni Erodoto, qui come in altri casi, identifica una divinità straniera (Bendis) colla corrispondente divinità greca (Artemide) al fine di farsi capire facilmente dal pubblico greco, al quale la sua opera era rivolta.Nessuno scrittore greco nomina espressamente il culto di Bendis in Tracia. Tito Livio menziona un tempio della dea nella regione, ma la sua testimonianza riguarda l'epoca romana; il tempio, di cui finora non sono emersi resti archeologici, si trovava vicino al fiume Evros, vicino all'odierna İpsala. Allo stesso modo, in Tracia non sono emersi resti di altri templi o santuari dedicati a Bendis.Neanche le iscrizioni danno informazioni riguardo al culto di Bendis: in cinque casi Bendis è attestato come nome proprio femminile, ma in nessuno di questi ci sono riferimenti all'omonima dea. Esistono alcuni antroponimi derivati da Bendis (Bendidoro, Bendidora, Bendifane, Bendizeta, Debabenzi…), attestati in Tracia, in Attica e in aree ad esse connesse (Eubea, Macedonia, Taso, Eno, Maronea, Bisanzio e nord della Turchia), ma nella maggior parte dei casi le iscrizioni che li citano sono di età ellenistica o successive.L'unica vera prova del culto di Bendis in Tracia potrebbe venire dall'isola di Samotracia: Claude Brixhe ritiene che alcune iscrizioni, debitamente ricostruite, possano restituire una dedica a Bendis e quindi provare la presenza di un suo santuario sull'isola. Al momento, però, non si dispone di prove decisive.\n\nIconografia in Tracia.\nIn Tracia sono stati ritrovati molti rilievi raffiguranti una divinità femminile: di solito vengono identificati con Artemide o con Bendis. Sono state distinte due categorie iconografiche:.\n\nLa prima categoria è l'Artemide-Bendis ellenizzata, presente in alcune tavolette votive del II/III secolo d.C. ritrovate nelle valli dello Strimone, del Vardar e del Mesta, nei Rodopi occidentali e presso Filippopoli. La dea presenta i tratti tipici di Artemide: indossa un vestito corto, degli stivali alti e un cappello di pelliccia, impugna una lancia o un arco, è accompagnata da dei cani o da un cervo. Artemide-Bendis viene adorata in quanto divinità protettrice dei bambini (in greco antico: κουροτρόφος?, 'allevatrice di bambini').\nLa seconda categoria è la Bendis-Grande Madre, di origine pre-greca: anche se non ci sono prove scritte, si nota una somiglianza colla Magna Mater latina, colla Potnia Theron greca e colla Cibele frigia. Bendis-Grande Madre è strettamente legata al culto della fertilità, al matrimonio, al parto dei bambini, e, più in generale, alla protezione degli animali, delle piante e di tutta la natura; questi tratti sono simili a quelli dell'Artemide arcaica e dell'Artemide basileia ('regina'), descritta da Erodoto quando parla del culto della fertilità praticato dalle ancelle trace e peonie. La dea spesso ha come attributi pigne e spighe di grano.A Bendis sono state legate anche alcune divinità della notte (Ecate, Cibele e Coti), associate al ciclo della vita e alla fertilità. In particolare, Bendis era legata alla Grande Dea dell'isola di Lemno, i cui adepti praticavano la magia nera e compivano sacrifici umani: un frammento di ceramica di età arcaica proveniente da Lemno, raffigurante una cacciatrice, attesta il legame tra le due dee.In molti templi e santuari Bendis, in base alle sue caratteristiche, era identificata con altre divinità greche: oltre alle già nominate Artemide ed Ecate, in alcune zone venivano adorate Parthenos (di solito identificata con Artemide o Atena) e Phosphoros ('portatrice di luce' o 'portatrice di torce', di solito identificata con Artemide).\n\nCulto di Bendis in Attica.\nAtene fu sempre molto interessata alla Tracia, territorio strategico per la sua posizione e le sue risorse naturali. Il primo scrittore a menzionare Bendis è Ipponatte (VI secolo a.C.), che la paragona a Cibele. Dato che viene nominata anche in due frammenti di Cratino e di Aristofane, probabilmente Bendis era molto nota ad Atene nella seconda metà del V secolo a.C. Grazie a Platone si sa che ad Atene le Bendidee (delle celebrazioni dedicate a Bendis) furono introdotte all'inizio di giugno 429 a.C., poco dopo la stipula di un'alleanza tra Atene e Sitalce, re degli Odrisi, il quale disponeva di un esercito di fanti e cavalieri ben addestrati: gli Ateniesi concessero la prossenia al genero di Sitalce, Ninfodoro di Abdera, e la cittadinanza ateniese a un figlio di Sitalce, Sadoco, e forse introdussero nella loro città il culto di Bendis per consolidare i loro legami colla Tracia. L'introduzione di una divinità straniera, che aveva motivazioni non religiose, ma politiche, era un atto senza precedenti per la polis attica.Secondo Christopher Planeaux il culto di Bendis in Attica si sviluppò gradualmente, non fu introdotto improvvisamente: fu introdotto da immigrati traci negli anni 440 a.C.; fu dotato di un tempio e di feste dedicate (le Bendidee) nel 429 a.C.; fu ufficializzato dallo stato nel 413 a.C.; prese interamente il controllo delle Bendidee in una data imprecisata tra il 413 e il 330 a.C.Un possibile terminus ante quem per l'introduzione ad Atene del culto di Bendis è il 429/428 a.C., periodo a cui risale un'iscrizione menzionante il tesoro della dea presso il Pireo. Questo, però, non significa automaticamente che le Bendidee siano state introdotte in quell'anno: alcuni studiosi, basandosi su un decreto riguardante alcuni aspetti dell'organizzazione delle Bendidee, non accettano come data dell'introduzione delle Bendidee il 429 a.C., ma la posticipano al 413 a.C. Contro questa ipotesi, è stato notato che nel 413 a.C. la Tracia aveva scarsissima importanza per Atene, mentre nel 429 a.C. era appena stata conclusa un'importante alleanza militare: nel 413 a.C. gli Ateniesi non avrebbero avuto alcun motivo cogente per introdurre una divinità straniera in patria. Inoltre, sarebbe difficile spiegare la ricchezza del tesoro di Bendis nel 423 a.C., ricavabile da un'iscrizione, se non si ponesse l'introduzione delle Bendidee nel 429 a.C.William Scott Ferguson espose una teoria che tuttora suscita opinioni contrastanti: le Bendidee sarebbero state introdotte nel 429 a.C. su ordine di Zeus per placare Bendis, che assieme ad Artemide, era ritenuta responsabile della buona salute, in particolare dei bambini (pur non essendo una divinità guaritrice in senso stretto), ritenuta responsabile della peste di Atene del 430 a.C.\nIn vari casi Bendis è associata all'eroe guaritore Delotte, che è in piedi al suo fianco in alcuni rilievi (l'IN 462 del Ny Carlsberg Glyptotek e il BM 2155 del British Museum). Si sa che Delotte, strettamente legato a Bendis, era raffigurato come Asclepio. Christopher Planeaux fa notare che, poiché il culto di Asclepio fu introdotto ad Atene solo dopo la pace di Nicia (421 a.C.), prima di quest'epoca il culto di Delotte probabilmente ebbe una notevole importanza nell'area del Pireo, dove era associato a quello di Bendis: questa considerazione potrebbe sostenere l'ipotesi di Ferguson e quindi avvalorare la tesi che pone l'introduzione delle Bendidee nel 429 a.C.\n\nLuoghi di culto di Bendis in Attica.\nA seguito di un responso dell'oracolo di Dodona che aveva richiesto agli Ateniesi di concedere alcuni terreni per l'edificazione di un tempio dedicato alle divinità tracie, alcuni immigrati traci eressero, nel territorio di Atene, un tempio dedicato a Bendis. I Traci potevano adorare Bendis secondo le loro usanze e nel rispetto delle leggi ateniesi. Inoltre si sa che nel 404 a.C. esisteva un santuario dedicato a Bendis nella parte orientale del Pireo, vicino al tempio di Artemide Munichia. Un altro santuario privato, più piccolo di quello del Pireo, fu costruito presso il Laurio alla fine del IV secolo a.C.Il fatto che il tempio di Bendis fosse vicino a quello di Artemide Munichia non era casuale. Artemide Munichia aveva attributi molto simili a quelli di Ecate, dea della Luna, visto che entrambe erano festeggiate il 16 munichione durante la luna piena e ad Ecate, durante la processione a Munichia, venivano offerti dei dolci rotondi con delle piccole torce corrispondente a quelle usate per la corsa dedicata a Bendis; il culto di Artemide Munichia era legato anche a quello di Artemide Brauronia, che conservava caratteristiche risalenti al Neolitico. Artemide Munichia, quindi, possedeva tratti un po' diversi da quelli comunemente attribuiti ad Artemide: proteggeva le donne in relazione ai cicli lunari, il matrimonio e la fertilità dell'uomo e della natura. Bendis, probabilmente, fu percepita dagli Ateniesi in modo simile: una divinità protettrice, strettamente legata alla natura e ai cicli vitali delle donne.Delle iscrizioni della metà del IV secolo a.C. attestano il culto di Bendis sull'isola di Salamina.Nelle miniere del Laurio, dove lavoravano molti Traci, sono state ritrovate delle statuette votive di Bendis e un'iscrizione a lei dedicata, del 300 a.C., sulla base di una statua.In base alle fonti disponibili, si può affermare che il culto di Bendis, dotato di tre templi e di celebrazioni annuali, fu uno dei più importanti nell'Attica dell'età classica. Le ultime prove relative al culto di Bendis risalgono al III secolo a.C.: dopo questo periodo esso scomparve dall'Attica per ragioni sconosciute.\n\nBendidee.\nLe Bendidee, celebrate il 19-20 targelione, facevano parte delle feste religiose organizzate dallo stato ateniese (forse a partire dal 413 a.C.), che stanziava dei fondi per la loro preparazione.L'evento più importante era la processione (in greco antico: πομπή?, pompé) della durata di un'intera giornata, alla quale partecipavano Ateniesi e Traci separatamente, che partiva dal Pritaneo e si concludeva presso il santuario della dea. Di sera c'erano delle corse notturne di portatori di torce a cavallo, citate da Platone all'inizio de La Repubblica:.\n\nLe celebrazioni e i sacrifici continuavano per tutta la notte presso il santuario del Pireo.\n\nIconografia in Attica.\nMolti vasi attici rappresentano Bendis assieme ad altre divinità: in essi viene raffigurata pronta per la caccia (per questo era non di rado identificata con Artemide), con un corto chitone con cintura, una pelliccia (zeira), un cappello di pelle di volpe (alopekis) e degli stivali; spesso porta due lance (Bendis era chiamata 'dalla doppia lancia', in greco antico: δίλογχος?) o delle altre armi, a volte ha in mano una patera o un altro tipo di vaso per raccogliere il sangue dei tori a lei sacrificati.
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### Titolo: Beroe (nutrice di Semele).\n### Descrizione: Beroe (in greco antico: Βερόη?, Beróē) è un personaggio della mitologia greca. Ninfa e nutrice di Semele, fu una delle amanti di Zeus.\n\nMitologia.\nUn giorno Zeus decise di sedurre Semele, quindi assunse l'aspetto di Beroe per potersi avvicinare senza destare sospetti.\nEra, quindi, si trasformò a sua volta in Beroe, per chiedere a Semele di far rivelare la sua vera forma alla prima finta Beroe (Zeus).\n\nVoci correlate.\nSemele.
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### Titolo: Biblide (Bouguereau).\n### Descrizione: Biblide (Biblis) è il nome di due dipinti del pittore francese William-Adolphe Bouguereau, entrambi realizzati nel 1884. La prima versione del dipinto è conservata nel museo Salar Jung di Hyderābād, in India, mentre la seconda si trova in una collezione privata.\n\nStoria.\nEntrambe le versioni dell'opera vennero realizzate a Parigi nel 1884 ed una delle due venne esposta al Salon dell'anno successivo.\n\nDescrizione.\nQuesti due dipinti raffigurano la ninfa Biblide, un personaggio della mitologia greca. Secondo la variante della leggenda riportata da Ovidio nelle sue Metamorfosi, Biblide si innamorò di suo fratello Cauno e si confessò a lui, ma questo la rifiutò e fuggì. Biblide allora si mise alla sua ricerca, ma alla fine, dopo aver attraversato vari paesi senza ritrovare il fratello, si arrese e morì esausta, versando molte lacrime. Gli dèi ebbero pietà di lei e, dato che era morta piangendo, decisero di trasformarla in una sorgente.\nLa scena si svolge presso un ruscello (il quale è più dettagliato nella seconda versione dell'opera), in un'ambientazione silvestre, e raffigura il momento nel quale Biblide scopre che Cauno è fuggito. La ninfa viene raffigurata nuda, dato che nelle Metamorfosi di Ovidio viene detto che Biblide viene colta da un attacco di follia dopo la fuga del fratello e si squarcia le vesti. Biblide è piegata verso il ruscello e poggia le sue braccia su una roccia. La ninfa viene raffigurata nell'atto di piangere, dato che presto morirà e verrà tramutata in una sorgente. Il movimento della donna risulta grazioso e il suo incarnato è delicato, tanto da sembrare morbido.
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### Titolo: Bidente (attrezzo).\n### Descrizione: Un bidente è un attrezzo costituito da una lunga asta terminante con due punte metalliche; è simile perciò a un forcone. Nella mitologia greca, il bidente è l'attributo di Ade/Plutone, il sovrano degli inferi.\nAllo stesso modo, il tridente è l'attributo di suo fratello Poseidone (assimilato dai Romani a Nettuno), dio dei mari e delle sorgenti, mentre il fulmine è un simbolo del loro fratello più giovane, Zeus (assimilato dai Romani a Giove ), re degli dei e del cielo.\n\nEtimologia.\nLa parola 'bidente' deriva dal latino bidens (al genitivo bidentis), che significa 'con due denti (o rebbi)'.\n\nUsi storici.\nGli antichi Egizi usavano un bidente come strumento da pesca, a volte attaccato a una lenza. Armi a due punte, principalmente di bronzo, compaiono nella documentazione archeologica dell'antica Grecia.\nNell'agricoltura romana, il bidens era una zappa a doppia lama o una zappa a due punte che serviva per dissodare e smuovere un terreno sassoso e duro. Il bidens è raffigurato su mosaici e altre forme di arte romana.\n\nNella mitologia.\nUna tegola rinvenuta a Urbs Salvia, nell'antico Picenum, raffigura un insolito Giove composito: un fulmine, un bidente e un tridente, che rappresentano i regni del cielo, della terra e del mare. Inizialmente, quindi, i due oggetti erano intercambiabili, come provano anche brani di Seneca.\n\nNell'arte.\nNel Rinascimento, il bidente si fissò definitivamente come attributo convenzionale di Plutone nell'arte. Plutone, con Cerbero al suo fianco, è raffigurato con in mano il bidente nel Concilio degli dei di Raffaello, nella Loggia di Psiche della Villa Farnesina (Roma), compiuto nel 1517-18.\nAnche Agostino Carracci raffigurò Plutone con un bidente in un disegno preparatorio per il suo dipinto Plutone (1592), in cui il dio detiene invece la sua caratteristica chiave.\nIn Giove, Nettuno e Plutone di Caravaggio (ca. 1597), un dipinto basato su un'allegoria alchemica, Plutone, con il suo cane a tre teste, Cerbero, tiene un bidente. Accanto a lui, Nettuno è mostrato invece con un tridente.
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### Titolo: Bienore (centauro).\n### Descrizione: Bienore è uno dei Centauri menzionato nell'episodio delle nozze di Ippodamia.\nDurante la battaglia che scoppiò a seguito del tentativo attuato dai Centauri di rapire la sposa e le altre donne presenti al festeggiamento morì ucciso da Teseo che dopo essergli saltato in groppa ne torse la testa e la colpì con un tronco di quercia.
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### Titolo: Blemmi.\n### Descrizione: I blemmi (in greco: Βλέμυες; in latino: Blemmyae) erano un'antica popolazione nomade della Nubia menzionata da alcune fonti storiche tardo-romane e bizantine. Altre fonti, greco-romane e soprattutto medioevali, ne forniscono invece una descrizione mitizzata; in questo secondo contesto, i blemmi sono un popolo mostruoso stanziato in un luogo imprecisato dell'Africa orientale: la Nubia, l'Etiopia, o più genericamente le terre a sud dell'Egitto.\n\nPopolo mostruoso.\nI blemmi mostruosi sono descritti come degli esseri acefali, con gli occhi e la bocca posti sul ventre o sul torace. Così li riassume, ad esempio, Plinio il Vecchio (23-79) nella sua Naturalis historia: «Si dice che i Blemmi non abbiano il capo, e che abbiano la bocca e gli occhi nel petto».Pomponio Mela nella sua Chorographia sostiene che i 'Blemyae non hanno teste, ma hanno le facce sul petto'.Jehan de Mandeville verso il 1371 scriveva:.\n\nShakespeare fa accennare a Otello, rivolto a Desdemona, di certi uomini 'le cui teste crescono sotto le spalle'.Anche nel canone pāli buddhista si trovano accenni ai Blemmi, sia nel Vinaya Piṭaka (iii, IV, 9.3) che nel Sutta Piṭaka (Majjhima Nikāya, III, 203). In questo caso è il discepolo Mogallana che narra al Buddha di una sua visione, in cui degli esseri rilasciati dagli inferni, già colpevoli di uccisioni, vagano in cerca di rifugio. Della lista che ne viene fatta, uno viene descritto come 'tassa ure akkhīni ceva honti mukhañca', privo di testa 'con occhi e bocca sul tronco'. Il Buddha lo chiama Hārika e lo identifica come un ex boia di Rajgir.\n\nPopolazione storica.\nProcopio di Cesarea (500-565), storico bizantino del VI secolo, cita i blemmi nel primo libro della sua opera in otto volumi sulle campagne militari di Giustiniano I contro i sasanidi in Persia, i vandali in Numidia e gli ostrogoti in Italia.\n\nSecondo Procopio, i blemmi abitavano la Nubia assieme ai nobati, e, come questi ultimi, adoravano le stesse divinità dei greci, oltre ad Iside e Osiride. Il loro territorio era delimitato ad ovest dal Nilo e ad est dal Mar Rosso, e si estendeva, da nord a sud, da Copto nell'Alto Egitto alla città di Axum, in Etiopia.Una fonte latina del IV secolo, la Historia Augusta, elenca i blemmi fra i popoli che onorarono il trionfo di Aureliano nell'anno 274. Nel III secolo, infatti, sia i blemmi che i nobati erano entrati in conflitto più volte con l'impero romano. I nobati, tuttavia, dopo aver subito una dura repressione da parte dall'imperatore Diocleziano nel 298, erano divenuti alleati dei romani (foederati) in Dodecascheno proprio contro i blemmi, anche se i governatori romani d'Egitto pagavano comunque ai nobati un tributo annuale in oro per prevenire possibili incursioni nel proprio territorio. I blemmi continuarono a rappresentare una minaccia per l'impero anche nel secolo successivo, come testimonia un'iscrizione in demotico del 373 che ricorda una loro incursione nell'oasi di Kharga, nel Deserto Libico-Nubiano.La loro localizzazione e il loro stile di vita hanno indotto alcuni storici contemporanei ad avanzare l'ipotesi che i blemmi fossero gli antenati dei begi, un gruppo etnico del Corno d'Africa.\n\nInflusso culturale.\nI Blemmi mostruosi sono menzionati in alcune opere di narrativa contemporanea: ad esempio, nel romanzo del 1919 di Pierre Benoît L'Atlantide: «...del resto sarei curioso - riprese con un'allegria un po' forzata - di entrare in contatto con questi geni e di verificare le informazioni di Pomponio Mela, che li ha conosciuti e li colloca effettivamente nelle montagne dei Tuareg. Lui li chiama Egipani, Blemmi, Ganfasanti, Satiri...» e nella voce I nesnas del Manuale di zoologia fantastica di Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero del 1957, dove sono descritti come essere «[...] capaci di linguaggio articolato; alcuni hanno la faccia nel petto come le blemmie, e cosa simile a quella della pecora.»I Blemmi sono citati, insieme agli Sciapodi e a molti altri esseri fantastici dei bestiari medioevali, nel romanzo Baudolino di Umberto Eco, che li colloca nel mitico regno del Prete Gianni; li cita, inoltre, Valerio Massimo Manfredi nel suo romanzo La torre della solitudine. Andrea Frediani li inserisce come nemici del giovane Costantino nei primi capitoli de Roma Caput Mundi: L'ultimo Pretoriano.\nLa fisionomia di un blemmo sembra poter esser stata inoltre la fonte d'ispirazione per il Pokémon Hitmonlee, la cui somiglianza con le raffigurazioni classiche è molto evidente.
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### Titolo: Boreadi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca i Boreadi sono i figli di Borea.\nI più noti sono i gemelli Calaide e Zete. Essi erano dotati di ali e svolgono un ruolo importante nel mito degli Argonauti, come vincitori delle Arpie. Furono uccisi da Eracle, ma secondo un'altra versione morirono al ritorno dalla lotta con le Arpie e dopo la loro morte furono trasformati in venti.\nGli altri figli di Borea sono Cleopatra e Bute.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Boreadi.
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### Titolo: Botaco.\n### Descrizione: Botachos (in greco Βώταχος) è un eroe eponimo della mitologia greca.\nBotachos è il figlio di Iokritos e il nipote di Licurgo. Secondo Pausania e Stefano di Bisanzio, fu nominato a capo del Demos di Botichidai in Tegea.
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### Titolo: Brachistomi.\n### Descrizione: I brachistomi (in lingua latina Homo brachystomus) sono uno dei popoli mostruosi.\nSono caratterizzati da una bocca molto piccola, una sorta di piccolo foro che permette loro di nutrirsi con l'ausilio di una lunga cannuccia.\nSono descritti e raffigurati da Kaspar Schott nella sua 'Physica Curiosa' nel paragrafo dedicato ad 'astomi' (popoli privi di bocca), 'brachiostomi' (con bocca piccola) ed 'elingui' (privi di lingua o del suo uso).\nSchott cita ampi stralci di Pomponio Mela e di Plinio i quali, descrivendo i popoli dell'Etiopia, parlano di genti con un solo foro sotto le narici che devono nutrirsi di singoli granelli di grano attraverso una cannuccia ('calamis avena').
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### Titolo: Branco di Mileto.\n### Descrizione: Branco (in greco antico: Βράγχος?, Bránchos) è un personaggio della mitologia greca. I suoi discendenti, i Branchidi, furono un influente clan di profeti.\n\nMitologia.\nFiglio di Apollo (oppure figlio di Smicro ed amante di Apollo), nacque da una donna di Mileto che, già incinta, disse di aver sognato che il sole le entrava dalla gola e le usciva dal ventre ed una volta divenuto grande il fanciullo avrebbe incontrato il padre che, dopo averlo abbracciato, gli avrebbe dato uno scettro e una corona.\nUn'altra leggenda vuole che Branco fosse soltanto un pastore di cui Apollo si era invaghito e a cui aveva dato il dono di profetizzare. In seguito il giovane mortale eresse ad Apollo un tempio a Didima e un santuario a Mileto.
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### Titolo: Bremusa.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Bremusa (in greco antico: Βρέμουσα) è un'Amazzone che faceva parte del contingente con il quale Pentesilea, regina delle Amazzoni, prestò soccorso ai Troiani dopo la morte di Ettore. È ricordata da Quinto Smirneo nel libro I del Posthomerica.\n\nIl mito.\nOrigini.\nBremusa era una delle dodici fanciulle guerriere che accompagnarono la loro sovrana Pentesilea, figlia di Ares, presso la città di Priamo, allorché la regina dovette purificarsi per l'omicidio involontario della sorella Ippolita. Pentesilea e il suo contingente di Amazzoni pervennero a Troia nel momento in cui in città vi era lutto per la morte di Ettore, abbattuto da Achille. Alla loro vista, l'anziano Priamo avvertì un leggero sentimento di sollievo che lo distrasse dalla perdita del figlio e provvide a ricompensare Pentesilea con grandi doni.\n\nNella guerra di Troia.\nDopo una notte di riposo nella reggia del sovrano, Pentesilea condusse le Amazzoni in campo aperto per affrontare gli Achei e ricacciarli verso le loro navi. Nello scontro che seguì, la regina delle Amazzoni fece strage di avversari, ma perdette una dopo l'altra tutte le compagne che facevano parte del suo contingente.\nBremusa, che pure si batteva con valore nella mischia, venne trafitta alla mammella destra dalla lancia di Idomeneo, che la privò così della vita; lanciando un ultimo gemito, l'Amazzone si accasciò al suolo rendendo l'anima, come, riporta Quinto Smirneo, un albero di frassino che è abbattuto dalla scure di un boscaiolo che cade con un secco rimbombo.
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### Titolo: Brento.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Brento era il nome di uno dei figli di Eracle e di Balezia.\n\nIl mito.\nEracle, l'eroe che compì le dodici fatiche, ebbe nella sua vita molte compagne e con loro ebbe molti figli, chiamati eraclidi. Fra essi vi fu Brento.\nBrento, come altri figli dell'eroe, decise di viaggiare alla volta dell'Italia diventando l'eroe e il fondatore di Brindisi.\n\nPareri secondari.\nBrento a volte viene confuso con Bretto, eroe dei Bretti.
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### Titolo: Brise.\n### Descrizione: Brise (in greco antico: Βρίσης?; in latino Brises) o Briseo (Βρισεύς) era un sacerdote di Apollo (o secondo altre versioni di Dioniso) residente a Lirnesso, una città dell'Asia Minore.\nÈ conosciuto soprattutto per essere il padre di Ippodamia, la quale proprio da lui ricevette il patronimico di Briseide.\n\nIl mito.\nLe origini.\nBrise era un sacerdote di Apollo al tempo della guerra di Troia e abitava a Lirnesso, un'antica città dell'Asia Minore, a quel tempo governata dai fratelli Minete ed Epistrofo, figli di Eveno. Era il fratello di Crise, un sacerdote troiano, ed era padre di due figli: Ippodamia e un certo Eezione (da non confondere con l'eroe omonimo). Una tradizione contrastante, riportata da Ditti Cretese, afferma che Brise era il re dei Lelegi, in Caria, e che da una moglie di cui non si conosce il nome aveva avuto un'unica figlia, Ippodamia oppure anche conosciuta come Briseide.\n\nLa morte.\nIl sacerdote viveva tranquillamente nella sua città, fino al tempo dello scoppio della guerra di Troia, nel momento in cui Enea, l'eroe troiano, inseguito da Achille, trovò rifugio a Lirnesso. L'eroe greco, inesorabile e deciso a uccidere il nemico, assediò la città e, in poco tempo, grazie al suo contingente di Mirmidoni, la conquistò e fece strage degli abitanti. Minete, il marito di Ippodamia, venne ucciso brutalmente dall'eroe, mentre il fratello Epistrofo subiva la sua stessa tragica sorte. Brise stesso oppose invano resistenza ad Achille ma, alla vista della sua casa ridotta in macerie, disperato, decise di impiccarsi. La figlia Ippodamia, presa in ostaggio dall'eroe, divenne in seguito la sua schiava preferita.
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### Titolo: Briseide condotta ad Agamennone.\n### Descrizione: Briseide condotta ad Agamennone è un affresco eseguito da Giambattista Tiepolo, nella Sala dell'Iliade di Villa Valmarana ai Nani, a Vicenza.\n\nDescrizione.\nL'opera fa parte di una serie di tre dipinti su muro, in cui vengono rappresentati altrettanti episodi relativi al primo libro del poema omerico sulla Guerra di Troia.
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### Titolo: Briseide.\n### Descrizione: Briseide (in greco antico: Βρισηίς?, Brisēís; in latino Briseis) è il patronimico usato da Omero nell'Iliade per Ippodamia, nativa di Lirnesso, figlia di Briseo, sacerdotessa troiana di Apollo.\n\nIl mito di Briseide.\nBriseide era una principessa di Lirnesso, figlia di Briseo, un sacerdote di Apollo. Sposò Minete, re di Cilicia e fratello di Epistrofo.\nDurante la guerra di Troia, Achille nella presa di Lirnesso, città alleata di Troia, si riservò Briseide nella divisione del bottino, facendone la sua schiava.A sua volta Agamennone catturò Criseide, figlia di Crise, un sacerdote di Apollo, ma quando il dio scatenò una pestilenza sul campo degli Achei i capi greci lo costrinsero a rendere Criseide. Agamennone accettò, ma volle in cambio Briseide.\nLo scambio provocò l'ira furibonda (l'ira funesta) di Achille, che abbandonò gli scontri. Agamennone tentò di restituire la schiava, insieme a del denaro, ma Achille non volle sentire ragioni e persistette in tale risoluzione nel corso di un anno intero, nonostante i progressi fatti dai Troiani in battaglia. Dopo la morte di Patroclo, Agamennone restituì Briseide ad Achille, carica di ricchi doni, giurando di averla rispettata. Ella pianse amaramente sul cadavere di Patroclo in quanto quest'ultimo l'aveva sempre trattata con gentilezza e le aveva promesso di farle sposare Achille (Iliade, XIX).\nSecondo la Bibliotheca Classica probabilmente Briseide (o forse invece Clitemnestra) diede a Agamennone un figlio, che fu chiamato Aleso.\n\nIn letteratura.\nLa disputa tra Achille e Agamennone per Briseide è narrata nell'Iliade di Omero.\nNelle Eroidi di Ovidio, Briseide scrive ad Achille una lunga lettera d'amore.\n\nNell'arte.\nPittore di Achille (anche detto 'Pittore di Briseide'), anfora attica a figure rosse con Scene del ratto di Briseide, ceramica dipinta, 450 a.C. circa.\nGiovambattista Tiepolo, Briseide condotta ad Agamennone, affresco, 1757.\nFelice Giani, Patroclo consegna Briseide agli araldi di Agamennone, affresco, inizio del XIX secolo.\nAntonio Canova, Briseide consegnata da Achille agli araldi di Agamennone, gesso, inizio del XIX secolo.
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### Titolo: Britomarti.\n### Descrizione: Britomarti (in greco antico: Βριτόμαρτις?) è un personaggio della mitologia greca, una delle compagne di caccia di Artemide, le teneva i cani al guinzaglio e con la sua inventiva creò le reti per cacciare, dea della fertilità, della caccia, della rete per la pesca, dell'uccellagione e della caccia di piccola selvaggina.\nNella versione più comune, Britomarti è figlia di Zeus e di Carme ma esistono versioni dove la madre è Latona.\n\nMitologia.\nMinosse, re di Creta, aveva avuto molte amanti nel corso della sua vita. La sua preferita era Britomarti. La ragazza fuggì dal re nascondendosi in un bosco pieno di querce e nella casa di Bize, ma per nove mesi Minosse non smise di darle la caccia per monti e per valli, fino a quando disperata si gettò a mare e venne salvata da un gruppo di pescatori.\n\nLa divinizzazione.\nEra considerata la dea della fertilità cretese. Essa appare anche collegata al culto della Luna, e viene identificata dai mitografi come una variante del mito della Dea Madre. La sua figura venne in seguito a confondersi con quella di Artemide, la dea della caccia.\n\nI nomi.\nArtemide divinizzò Britomarti con il nome di Dictinna (collegata a dictyon=rete), ad Egina invece venne chiamata Afea perché scomparve, infine a Cefalonia era ricordata come Lafria.\nBrite, invece, è un doppione della leggenda di Britomarti. Figlia di Ares (Marte) fuggì da Minosse e, gettatasi in mare, fu salvata da una rete di pescatori. L'oracolo, dopo lo scoppio di una epidemia di peste, rispose che per averne ragione, occorreva rendere onori divini a Diana Dittinna, l'Artemide della rete (Enciclopedia dei miti, Garzanti).\n\nIn letteratura.\nLa ninfa Britomarti figura come interlocutrice di Saffo in Schiuma d'onda, brano dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese.\nAppare inoltre anche Nella saga letteraria Le sfide di Apollo,scritta da Rick Riordan.
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### Titolo: Brizo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Brizo o Brizò era il nome delle divinità del sonno.\n\nIl mito.\nBrizo era il nome di una divinità minore del sonno venerata dalle donne di Delo. La dea forniva indicazioni precise in sogno sulla pesca e sulla navigazione. Per via di questa particolarità si pensava che fosse anche una dea protettrice della navigazione.\nCome doni alla dea le donne offrivano piccole creazioni manuali, dei piccoli modelli che raffiguravano delle imbarcazioni. Il suo significato è “colei che placa”.
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### Titolo: Bronte (mitologia).\n### Descrizione: Bronte (in greco antico: Βρόντης?, Bróntēs) è un figlio di Urano (il cielo) e di Gea (la terra).\n\nMitologia.\nEra un ciclope che viveva nell'Etna ed era colui che faceva rombare i tuoni.\nEsiodo lo descrive (insieme ai suoi fratelli Sterope e Arge) come una creatura prodigiosa e conoscitore dell'arte della lavorazione del ferro.\nCome i due fratelli forgiava i fulmini di Zeus. Nell'Inno ad Artemide di Callimaco tenne la giovane dea sulle gambe durante la fanciullezza ed ella per gioco e per dimostrare la propria forza, gli strappò il pelo del petto in un solo gesto.\nDa esso prende il nome il comune siciliano di Bronte.
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### Titolo: Brotea.\n### Descrizione: Brotea (in greco antico: Βροτέας?, Brotéas) o Broteo è un personaggio della Mitologia greca. Fu un cacciatore.\n\nGenealogia.\nFiglio di Tantalo di Lidia e di Eurinassa (figlia di Pattolo), fu secondo Pausania uno dei possibili padri di un secondo Tantalo, che lo stesso autore ipotizza anche essere figlio di Tieste.\n\nMitologia.\nBrotea era un famoso cacciatore che si era rifiutato di onorare Artemide, così la dea lo fece impazzire facendo sì che si autoimmolasse su un rogo, come sacrificio propiziatorio.\nUn frammento di Esiodo contenuto in un papiro di Ossirinco collega Dardano, Brotea e Pandione. Riguardo a questa tradizione però, non sono sopraggiunte altre fonti.\n\nLa scultura di Brotea.\nSi diceva che Brotea avesse scolpito l'immagine più antica della Grande Madre degli Dei (Cibele), un'immagine che ai tempi di Pausania il Periegeta (II secolo d.C.) che era ancora considerata sacra dagli abitanti di Magnesia ad Sipylum. L'immagine venne scavata nella parete rocciosa della rupe Coddino, a nord del massiccio del Sipilo, il cui demone era indicato da alcuni mitografi come nonno di Brotea.La scultura scavata nella parete rocciosa menzionata da Pausania fu identificata con il rilievo di Manisa nel 1881 da W. M. Ramsay e si può ancora vedere sopra la strada, a 6 o 7 km ad est di Manisa (la città moderna sorta sul sito dell'antica Magnesia ad Sipylum), sebbene la testa si sia parzialmente staccata, per cause naturali. La figura alta 8–10 m scolpita in una rientranza nella roccia a un centinaio di metri d'altezza sopra la pianura paludosa vicina al villaggio di Akpınar è stata confusa con una vicina formazione rocciosa naturale associata a Niobe, la 'Niobe del Sipilo' (la 'Roccia Piangente', in turco Ağlayan Kaya), menzionata anche da Pausania.A parte la testa gravemente danneggiata, la figura seduta molto probabilmente non fu fatta da un professionista. La dea, che indossa un copricapo detto polos, si tiene il seno con le mani; una vaga traccia di quattro geroglifici ittiti può essere vista in una sezione quadrata alla destra della sua testa. Il sito è ittita, risalente al II millennio a.C.\nVicino, anche altri siti archeologici tradizionalmente associati sin dall'antichità con la stirpe di Tantalo sono di fatto ittiti. A circa 2 km ad est di Akpınar ci sono altri due monumenti sul monte Sipilo, anch'essi menzionati da Pausania: la tomba di Tantalo (cristianizzata come 'tomba di San Caralambo') e il 'trono di Pelope', in realtà un altare roccioso.\n\nBroteo e l'invettiva rinascimentale.\nNella letteratura del Rinascimento e successiva Brotea è chiamato spesso 'Broteo' (Brotheus) e viene descritto come un figlio di Vulcano che si gettò tra le fiamme (a volte si specifica che si gettò nel cratere del monte Etna) a causa della sua deformità. La fonte immediata per il tropo rinascimentale di Broteo e della sua autoimmolazione è il poema di Ovidio Ibis, un erudito sfogo di macabre minacce che catalogava il destino di numerose figure mitiche e storiche. Il riferimento di Ovidio è brevissimo:.\n\nL'umanista Domizio Calderini (conosciuto anche col nome latino di Domitius Calderinus) aggiunse l'Ibis alla sua edizione annotata di Marziale (1474); la nota di Calderini dice che Broteo era il figlio di Vulcano e Minerva e che, disprezzato a causa della sua bruttezza, si gettò in una pira ardente (Calderini poi procede identificando Broteo con Erittonio.) Nello stesso anno, attingendo alle sue fonti classiche, Calderini pubblicò la Defensio adversus Brotheum ('Difesa contro Broteo'), un attacco ai suoi rivali letterari Angelo Sabino e Niccolò Perotti, chiamati rispettivamente Fidentino (Fidentinus), dal nome del plagiatore preso in giro nel I libro degli Epigrammi di Marziale, e Broteo (Brotheus). Questa faida letteraria è menzionata in diverse fonti, incluso il Giraldi, e la sua notorietà contribuì a stabilire la versione predominante del mito nei secoli XV-XVIII.Le idiosincratiche ma enormemente influenti Mythologiae di Natale Conti (1567) menzionano questa versione del mito in un capitolo sugli aspetti di Vulcano e della sua progenie: 'Broteo, che fu deriso da tutti a causa della sua apparenza malformata, si gettò nel fuoco, come per scappare alla diffamazione per mezzo della morte.' Questa descrizione è ripetuta molto simile in The Anatomy of Melancholy (1621) di Robert Burton, e ancora le versioni del dizionario della lingua inglese di Samuel Johnson risalenti all'inizio dell'Ottocento specificano che Broteo 'si gettò nel monte Etna'.
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### Titolo: Bucentauro.\n### Descrizione: Il Bucentauro è un animale mostruoso della mitologia greca dal corpo di bue e dal busto umano.\n\nAraldica.\nUn bucentauro femmina compare nello stemma del comune di Taormina.\n\nVoci correlate.\nCentauro.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Bucentauro.
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### Titolo: Bucolione.\n### Descrizione: Bucolione (in greco antico: Βουκολίων?, Būkolíōn) è un personaggio della mitologia greca. Fu un pastore.\n\nGenealogia.\nFiglio di Laomedonte e della ninfa Calibe, ebbe dalla naiade Abarbarea i gemelli Pedaso ed Esepo.\n\nMitologia.\nEra il figlio maggiore del re di Troia Laomedonte ma per motivi non chiari nacque in segreto e visse lontano dalla corte: divenuto un pastore, si unì alla Naiade Abarbarea dalla quale ebbe i due figli gemelli, che combatterono e furono uccisi nella guerra di Troia.\nNon si sa se Bucolione sopravvisse alla caduta della città.\n\nOmonimina.\nNon va confuso con l'omonimo guerriero acheo che durante la guerra di Troia fu ucciso da Euripilo.
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### Titolo: Bufago.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Bufago (in grecp antico: Βουφάγος) era il nome di uno dei figli di Giapeto e di Tornace.\n\nMitologia.\nBufago, il cui nome significa mangiatore di buoi, sposò Promne e curò, a dispetto dei suoi modi di fare quasi incivili, Ificle il fratello di Eracle, quando venne ferito in battaglia, anche se la sua morte avvenne lo stesso.\nIn seguito il suo carattere divenne ancora più insopportabile arrivando a importunare anche le divinità fra cui Artemide che infuriata lo uccise.\nSecondo un'altra versione del mito Bufago si era innamorato di Artemide.\n\nPareri secondari.\nBufago era anche uno degli epiteti di Eracle ed anche il nome di un affluente dell'Alfeo.
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### Titolo: Bugono.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Bugono o Bunomo era il nome di uno dei figli di Elena e di Paride.\n\nIl mito.\nDopo il rapimento della bella Elena ad opera di Paride, uno dei principi troiani, i due amanti ebbero diversi figli fra cui Bugono.\nBugono insieme ai suoi fratelli era ancora in fasce quando scoppiò la guerra di Troia, dove i greci reclamavano la donna, durante le varie battaglie la città fu scossa e durante una di esse il soffitto della casa dove Bugono risiedeva non resistette agli urti crollando e uccidendo l'infante.
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### Titolo: Buno.\n### Descrizione: Buno (in greco antico: Βοῦνος?, Bùnos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ermes e di Alcidamia.\n\nMitologia.\nEete affidò a Buno il trono di Efira (un antico nome di Corinto) quando decise di emigrare nella Colchide, pregandolo di tenerlo fino a quando i suoi figli fossero tornati. Si racconta che Buno abbia costruito un santuario per Era 'Bunia' sulla strada che portava all'Acrocorinto.\nDopo la morte di Buno, Epopeo di Sicione, giunto dalla Tessaglia, estese il suo regno fino ad includere Corinto; quando il suo ultimo successore (Corinto) morì a sua volta senza eredi, i Corinzi mandarono a chiamare Medea da Iolco per assegnare a lei il regno.
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### Titolo: Bute (figlio di Borea).\n### Descrizione: Bute (in greco antico: Βούτης) è un personaggio mitologico, semidio figlio di Borea.\n\nIl mito.\nBute era un principe tracio, che cercò di usurpare il trono al fratellastro Licurgo, venendo però cacciato; divenne allora un pirata e occupò l'isola di Stromboli facendone la base della sua attività. Durante una festa di Dioniso in Tessaglia, violando i doveri della xenia, ossia l'ospitalità rituale dei greci, stuprò Coronide, una menade, e la costrinse a sposarlo. Per punirlo, Coronide ottenne da Dioniso di farlo impazzire. Bute si gettò così in un pozzo e annegò. Secondo una versione era lui il padre di Ippodamia, che sposò Piritoo re dei Lapiti.
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### Titolo: Bute (figlio di Pandione).\n### Descrizione: Bute (in greco antico: Βούτης?, Bútēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Pandione e Zeusippe fu uno degli Argonauti.\n\nMitologia.\nBute era fratello di Eretteo (il suo gemello), Procne e Filomela ed era considerato il più grande apicoltore dell'antichità.\nQuando il padre morì, Bute scelse di officiare come sacerdote di Atena e Poseidone, mentre il potere andò a suo fratello. In seguito sposò la figlia di suo fratello Eretteo, Ctonia.\nDa lui derivò la stirpe sacerdotale dei Butadi.\n\nGli Argonauti.\nDurante la spedizione degli Argonauti, quando Giasone, recuperato il vello d'oro, stava per fare ritorno, si trovò ad affiancare l'isola delle sirene. Già il canto magico delle creature stava per ammaliare l'equipaggio quando Orfeo, il mitico cantore, intonò una melodia ancora più affascinante. Fra tutti, il solo Bute si gettò in mare, ma venne tratto in salvo da Afrodite, che, per ingelosire il bell'Adone, passò molte notti con lui sul Lilibeo, facendo di lui il suo amante.\nDa lui, Afrodite ebbe Erix, futuro ottimo pugile e re di Erice. Bute ebbe anche una figlia femmina, Didamia.
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### Titolo: Buzige.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Buzige (in greco antico: Βουζύγης) era un legislatore ateniese.\n\nMitologia.\nBuzige era un inventore che creò il giogo con il quale per primo riuscì a domare i tori e che trovò la maniera di aggiogare i buoi all’aratro. Diventò un legislatore e fra le leggi che stilò ci fu quella del divieto di uccidere gli animali che potevano essere preziosi per l'agricoltura, quali tori e buoi.\nDemoofonte gli diede il Palladio che gli era stato consegnato da Diomede, onde lo portasse ad Atene.
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### Titolo: Caanto.\n### Descrizione: Caanto (in greco antico: Κάανθος?, Káanthos) è un personaggio della mitologia greca, il cui mito è raccontato da Pausania. Era uno dei figli di Oceano, quindi presumibilmente un dio-fiume, e in quanto tale era anche il fratello della ninfa Oceanina Melia.\n\nMitologia.\nIl divino Oceano, non trovando più sua figlia Melia, ordinò a Caanto di ritrovarla. Lui si mise alla sua ricerca, trovandola alla fine a Tebe, in compagnia del dio Apollo. La sorella era infatti diventata una delle sue amanti. Spaventato nel dover affrontare un abitante dell'Olimpo, Caanto cercò di trovare un altro modo per separare i due amanti: decise quindi di bruciare il recinto cercando di distrarre il figlio di Zeus, ma non poté sfuggire all'ira della divinità e trovò la morte per mano di una freccia scoccata da Apollo.\nCaanto fu sepolto vicino a una sorgente del fiume Ismeno, e sul luogo fu eretto un tempio di Apollo. Pausania identifica la sorgente con la sorgente di Ares, dove secondo il mito Cadmo uccise il drago che la custodiva..\nAlla morte di Caanto, il ruolo di dio-fiume fu infine svolto da suo nipote Ismeno, figlio di Apollo e di Melia, che diede così il suo nome al fiume.
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### Titolo: Cabarno.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Cabarno (in greco antico: Κάβαρνος) era un abitante della città di Paro caro a Demetra.\n\nIl mito.\nLa divina Demetra aveva una figlia chiamata Persefone che non riusciva più a ritrovare, si mise alla sua ricerca nel mondo intero fin quando arrivata in un'isola Cabarno riuscì ad informarla della verità. Infatti egli aveva le prove che sua figlia era stata rapita in precedenza da un altro dio, Ade, la divinità degli inferi. La dea fu molto grata per l'informazione rendendo Cabarno suo sacerdote.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nDa Cabarno discendono i Cabarni, i sacerdoti di Paro che dovevano presenziare alle cerimonie in favore della dea, inoltre secondo altre fonti il nome della stessa isola cambiò nome in Kabarnis.
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### Titolo: Cabiri.\n### Descrizione: I Cabiri (in greco antico: Κάβειροι?, Kábeiroi) sono figure della mitologia greca oggetto di un culto misterico.\n\nGenealogia.\nFigli di Efesto e Cabeiro oppure di Cadmilo o Prometeo.\n\nNomi e quantità.\nA seconda dell'autore il numero dei Cabiri varia ma dalla somma dei nomi citati se ne ottengono cinque: Alcon, Eurimedone, Onnes, Aitinaio e Tonnes.\n\nMitologia.\nI Cabiri erano un gruppo di enigmatiche divinità dell'oltretomba, probabilmente di origine frigia o tracia e protettori dei marinai che in seguito furono importati nel rito greco, dove corrispondevano a dei nani figli del dio Efesto, che forgiavano i metalli nella sua fucina di Lemno insieme alla madre Cabeiro.\nSpesso erano anche identificati con i Cureti cretesi, i Dattili troiani ed i Coribanti frigi ma nella loro origine remota comunque, corrispondevano a divinità mistiche venerate o temute in varie parti del mondo antico e l'oscurità che incombe su di loro e le contraddizioni che si incontrano nei resoconti degli antichi stessi, hanno portato gli scrittori moderni a scrivere ognuno una propria teoria che spesso contrasta con le altre. È altresì incerta l'origine ed il significato del loro nome così come la loro reale origine o provenienza.\nSecondo alcuni erano due fratelli che presiedevano alle danze orgiastiche dei misteri di Samotracia anticamente svolti in onore delle dee Demetra, Persefone ed Eche.\nSecondo Pausania (vissuto nel II sec.d.C), nel luogo dove era situato il Kabirion a lui contemporaneo, esistevano una città e degli uomini chiamati Kabeiroi. Demetra si recò da uno di questi, chiamato Prometeo, e diede loro qualcosa da custodire, chiamato teleté. Al tempo degli Epigoni i Cabiri furono cacciati dalle loro case dagli Argivi.\nClemente Alessandrino (nato forse ad Atene intorno alla metà del II sec.d.C e morto in Oriente intorno al 215), ricorda di come i Cabiri fossero originariamente tre, ma di come due fratelli commisero un atto di fratricidio.\nNella tragedia Cabiri di Eschilo, le due figure accolgono gli Argonauti nella loro isola e li coinvolgono in riti orgiastici.\nGli dei gemelli vennero identificati anche con i Dioscuri specialmente nel mito degli Argonauti.\n\nErano venerati nell'isola di Samotracia come Grandi Dei in un culto misterico che aveva il suo centro nel Santuario dei Grandi Dei ed era strettamente collegato a quello di Efesto. Qui si racconta che il dio ebbe da Cabeiro il figlio Cadmilo e che a sua volta ebbe tre figli detti Cabiri e tre figlie dette le Cabridi.\nSecondo alcuni i Cabiri della Samotracia erano un gruppo più grande di divinità e comprendeva non solo i figli di Efesto ma anche diversi figli coribantici del dio Apollo ed entrambi i gruppi sono stati ritratti come dei rissosi guerrieri danzanti presenti nelle orge.\nCedalione infine, il servitore di Efesto che condusse il gigante Orione verso est era talvolta considerato come uno dei Cabiri.\n\nCulto.\nIl culto si diffuse rapidamente in tutto il mondo greco durante il periodo ellenistico ed in seguito fu adottato anche dai Romani.
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### Titolo: Cacia (mitologia).\n### Descrizione: Cacia (in greco: Kακία, Kakia; in latino: Cacia) è la dea greca dello spirito tentatore del vizio e del crimine. È raffigurata come una donna vana, grassoccia e pesantemente truccata. Cerca di invogliare gli esseri umani a diventare cattivi, e la sua più celebre tentazione è quella di traviare Eracle, il più grande e famoso degli eroi divini della mitologia greca.\nIl suo opposto è Areté (Αρετη), dea della virtù.\n\nCollegamenti esterni.\nTheoi Project: Kakia (with reference to Xenophon, Memorabilia 2.1.21).
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### Titolo: Cadmea.\n### Descrizione: Cadmea (in greco antico: Καδμεία?) era l'antica rocca di Tebe, capitale della Beozia (Grecia antica).\n\nIl mito.\nUna leggenda complessa, ma probabilmente tardiva, ne faceva derivare il nome da Cadmo, l'eroe mitologico fratello o zio di Europa, inviato in occidente dal re fenicio Agenore a cercare la fanciulla rapita da Zeus. Non riuscendo a ritrovarla, Cadmo avrebbe interrogato l'oracolo di Delfi il quale gli indicò di seguire una giovenca e stabilirsi dove questa si fosse fermata. Dal nome della giovenca la regione avrebbe preso il nome di Beozia mentre la rocca della città di Tebe avrebbe preso il nome dallo stesso Cadmo.\nSecondo la tradizione, il palazzo e le mura della Tebe micenea furono distrutti poco tempo prima della Guerra di Troia (circa 1200 a.C.) dagli epigoni, i figli dei 'Sette contro Tebe'. Diomede, figlio di Tideo e di Deipile, partecipò infatti sia alla conquista di Tebe che alla guerra di Troia.\n\nStoria.\nI più antichi resti archeologici indicano come la Cadmea fosse sicuramente abitata in età micenea (attorno al XVI secolo a.C.) Tuttavia nel cosiddetto Catalogo delle navi dell'Iliade, composto presumibilmente verso l'VIII-VII secolo a.C. e, secondo alcuni studiosi in Beozia, Tebe non compare: è menzionata invece la modesta Ipotebe, una località ai piedi della Tebe beotica.\nSi desume pertanto la rocca Cadmea, popolata in età micenea, fosse stata abbandonata dopo l'invasione beotica e non ancora ripopolata all'epoca della redazione del Catalogo delle navi. Tucidide data l'arrivo dei Beoti «sessant’anni dopo la fine della guerra di Troia».\nNell'età classica e in quella ellenistica, la Cadmea svolse una funzione simile all'Acropoli di Atene; vi erano situati molti edifici pubblici e si pensa che vi si svolgessero le riunioni della Lega beotica.\nNel 382 a.C. venne occupata con uno sleale colpo di mano dallo spartano Febida, che, aiutato dal polemarco Leonziade, instaurò in città un'oligarchia, abbattuta tre anni dopo da Pelopida e Gorgida.\nVenne occupata anche dalle truppe di Filippo II di Macedonia: dopo la sconfitta delle forze greche a Cheronea Tebe dovette infatti accettare un presidio macedone nella cittadella. Tre anni (335 a.C.) dopo la rocca fu distrutta: poiché Tebe e Atene si erano ribellate al dominio macedone, ingannati dalla falsa notizia della morte di Alessandro Magno, Alessandro ordinò che Tebe fosse distrutta e gli abitanti venduti come schiavi.\nTebe e la rocca vennero ricostruite da Cassandro I nel 316 a.C., ma il declino di Tebe fu tuttavia irreversibile, tanto che nel II secolo d.C. Pausania il Periegeta riferisce che Tebe e i territori circostanti erano ormai disabitati, e che solo poche persone abitavano nella rocca Cadmea.