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@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Amice.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Amice era la figlia del re di Cipro Salamino.\n\nIl mito.\nLa ragazza una volta cresciuta decise di fuggire dall'isola in cerca di nuove terre da conquistare e città da fondare. Nei suoi viaggi arrivò ad Antiochia, dove riuscì a portare numerosi compatrioti fondando una colonia e trascorrendovi diversi anni. Un giorno conobbe Caso, uno dei figli di Inaco, che aveva avuto una vita simile alla sua; anch'egli infatti, provenendo da un'isola (nel suo caso Creta), aveva fondato una colonia nelle vicinanze. I due decisero di sposarsi. Quando la donna morì la seppellirono in una città con il suo nome, Amice.
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### Titolo: Amico (figlio di Poseidone).\n### Descrizione: Amico (in greco antico: Ἄμυκος?, Ámykos in latino Amycus) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Poseidone e della ninfa Melia, nonché fratello di Migdone.\nSposò Teano, la sorella di Ecuba che gli diede un figlio di nome Mimante.\n\nMitologia.\nAmico si alleò con il fratello Migdone ed ebbe una lotta contro Lico re della Misia (al quale uccise i fratelli Priola ed Otreo), che a sua volta si alleò con Eracle che uccise Migdone, a quel tempo il re dei Bebrici.\nDopo la morte del fratello e la partenza di Eracle, Amico prese il potere riconquistando le terre che erano state del fratello.\n\nLa morte.\nIn seguito, quando gli Argonauti approdarono sulla sua terra, Amico, vantandosi con tono arrogante di essere un ottimo pugile sfidò il migliore fra loro, Polluce. All'inizio Polluce procedette con cautela ma, una volta capiti i punti deboli dell'avversario, iniziò a combattere sul serio, rompendo la sua guardia ed uncinandogli la mascella, per infine rompergli il naso con un potente sinistro.\nAmico, reso furioso dal dolore, agguantò l'avversario e, mentre stava per colpirlo con un montante destro, fu anticipato dall'avversario che gli fracassò la tempia, uccidendolo.\n\nDopo la morte.\nI suoi soldati insorsero contro gli argonauti ma vennero subito sconfitti. Suo figlio Bute fu costretto a fuggire via mare.\nGiasone, il loro comandante, per scusarsi con Poseidone sacrificò 20 tori.
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### Titolo: Amimone.\n### Descrizione: Amimone (in greco antico: Ἀμυμώνη?) è un personaggio della mitologia greca, è una delle cinquanta figlie del re Danao (Danaidi).\n\nMitologia.\nQuando il padre giunse a Lerna, nel golfo di Nauplia, per la mancanza di acqua incaricò la figlia Amimone di procurarsi dell'acqua per un sacrificio.\nMentre svolgeva il compito, la giovine svegliò involontariamente un satiro, che cercò di abusare di lei. La fanciulla invocò l'aiuto di Poseidone, che intervenne scagliando il proprio tridente in direzione del satiro, mancandolo. Il tridente si conficcò in una roccia e Poseidone concesse ad Amimone di estrarlo. Da quel punto sgorgò l'acqua della fonte Amimone. Questa è l'origine del fiume di Lerna. Dall'unione tra Amimone e Poseidone nacque Nauplio.\nDi questo mito trattava Eschilo nel dramma satiresco Amimone.\n\nSomiglianze con Ipermnestra.\nUna leggenda racconta che Amimone andò in sposa all'egittide Linceo, suo cugino e figlio di Egitto e che rifiutò di obbedire a suo padre quando ordinò alle proprie figlie di uccidere i loro mariti.\nIl fatto che Amimone fu l'unica a non uccidere il marito Linceo la rende identica ai miti dove la sposa che non uccise Linceo sia citata come Ipermnestra, il quale fa pensare ad uno scambio di nomi relativi alla stessa persona.
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### Titolo: Aminia.\n### Descrizione: Amìnia è una figura della mitologia greca, legata al mito di Narciso.\n\nIl mito.\nAminia era un giovane innamorato di Narciso, il vanitoso che venerava sé stesso. Secondo Conone,.\nNarciso respingeva tutti i suoi molti innamorati, sia donne avvenenti che giovani abbienti, fino a farli desistere. Solo Aminia non si dava per vinto. Narciso gli chiese di stargli lontano se veramente l'avesse amato, ma il ragazzo, tornato nuovamente, gli domandò un pegno d'amore. Narciso allora gli donò una spada, affinché si uccidesse. Aminia, prendendo in parola Narciso, si trafisse davanti alla sua casa, dopo però aver invocato gli dei per ottenere una giusta vendetta.La punizione fu che Narciso un giorno vide il suo riflesso in uno specchio d'acqua e s'innamorò perdutamente della propria immagine. Si strusse talmente in quest'amore impossibile, tanto da giungere col tempo a consumarsi lentamente fino a morirne.
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### Titolo: Amisodaro.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Amisodaro era un nobile licio, padre di Atimnio e di Maride.\n\nIl mito.\nAmisodaro, ricco cittadino della Licia, ebbe in tarda età due figli, Atimnio e Maride, che divennero durante la guerra di Troia compagni in armi del grande Sarpedonte. La guerra era scoppiata per via di un capriccio di amore voluto da Paride, che rapì Elena, moglie di Menelao. I due giovani persero insieme la vita in battaglia, per mano di un'altra coppia di fratelli, Antiloco e Trasimede.\nIl nome di Amisodaro è legato anche alla Chimera. Tale mostro, dotato di tre teste, una di leone, una di capra e una di serpente, fu infatti tenuto a bada proprio dal saggio e tranquillo Amisodaro che lo nutriva, quando gli era possibile, per evitare che arrecasse danni maggiori agli abitanti della Licia, fino al giorno in cui Bellerofonte uccise la creatura.
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### Titolo: Amore e Psiche (Canova).\n### Descrizione: Amore e Psiche è un gruppo scultoreo di Antonio Canova, realizzato tra il 1788 e il 1793 ed è conservato presso il museo del Louvre, a Parigi. Una seconda copia, realizzata per mano dello stesso Canova, si trova esposta al Museo statale Ermitage di San Pietroburgo in Russia.\n\nStoria.\nAntonio Canova ricevette la commissione di un gruppo raffigurante «Amore e Psiche che si abbracciano: momento di azione cavato dalla favola dell'Asino d'oro di Apuleio», per usare le sue stesse parole, nel 1788, dal colonnello John Campbell.\nIspirandosi all'iconografia a un affresco di Ercolano raffigurante una baccante abbracciata da un fauno, Canova iniziò l'ideazione del «modello grande» dell'opera il pomeriggio del 30 maggio 1787. La traduzione in marmo venne avviata già nel maggio 1788, come attestato dall'amico Quatremère de Quincy; il gruppo marmoreo come oggi lo conosciamo, tuttavia, fu portato a compimento solo nel 1793. Ciò malgrado, in quell'anno Campbell non era in grado di sostenere le esose spese di trasporto per l'Inghilterra, e l'opera fu acquistata nel 1800 per duemila zecchini da Gioacchino Murat, che la trasportò nel palazzo reale di Compiègne, nelle vicinanze di Parigi, in Francia. Nel 1808, quando i beni di Murat entrarono in possesso della Corona francese, Amore e Psiche passò insieme ad altre opere nelle collezioni del museo del Louvre, dove è tuttora esposto.L'opera non mancò di essere accolta freddamente in taluni ambienti artistici, dai quali fu ritenuta eccessivamente barocca, complessa, perfino manierista. Tra i critici più feroci dell'Amore e Psiche vi era Carl Ludwig Fernow, che nel 1806 scrisse in una dissertazione dove rimproverò Canova di non aver fornito «una visione appagante dell'opera, da qualunque parte si contempli», continuando affermando che «invano lo spettatore si affatica a ricercare un punto di vista da cui scorgere entrambi i volti, e nel quale ridurre a punto di convergenza centrale ogni raggio dell'espressione di tenerezza». Malgrado queste critiche (che comunque furono poche), l'opera fu un ulteriore successo nella fama europea di Canova: la risonanza del gruppo fu enorme, e furono in moltissimi, tra artisti, viaggiatori e eruditi, ad affluire nell'atelier di Canova per poter ammirare il marmo, a tal punto che lo scultore per difendersi dalla folla spesso andava a lavorare in un altro studio.\nTra gli ammiratori più entusiasti vi erano John Keats, che ispirato dall'Amore e Psiche canoviano scrisse una delle sue ode più celebri (Ode to Psyche, 1819: «Surely I dreamt to-day, or did I see the winged Psyche with awaken'd eyes?»), e il principe russo Nikolaj Jusupov, in visita a Roma nel 1794. Jusopov giunse in Italia per conto dell'imperatrice Caterina II di Russia, la quale voleva a tutti i costi il Canova al servizio della propria corte; lo scultore rifiutò, ma accettò ugualmente di realizzare su commissione dello Jusopov una seconda versione dell'Amore e Psiche. La gestazione di questa replica fu assai rapida: il modello fu completato nel 1795 e la statua in marmo, portata a compimento nel 1796, poté raggiungere la Russia nel 1802. Inizialmente esposta nel palazzo del principe a San Pietroburgo, nel 1810 l'opera fu trasferita nella villa dello Jusopov ad Arkhangelskoye, per poi tornare alla morte di quest'ultimo (1831) nuovamente a San Pietroburgo: dal 1929 l'opera è conservata nel museo dell'Ermitage, sempre in quella città.\nNumerose inoltre furono le repliche dell'Amore e Psiche, non realizzate dal Canova bensì dall'allievo prediletto Adamo Tadolini che, avendo ricevuto dal maestro il modello in gesso originale dell'opera e l'autorizzazione di trarne quante copie ne volesse, ne eseguì almeno cinque, con piccole variazioni. L'opera, ripresa anche in una scultura di Auguste Rodin, fu calorosamente accolta anche da Gustave Flaubert, il quale commentò:.\n\nDescrizione.\nMateria narrativa.\nCanova scolpì nel marmo la favola di Amore e Psiche. Psiche era una fanciulla incredibilmente seducente, e scatenò le gelosie della dea Venere che, invidiosa della bellezza di quella che alla fine era solo una mortale, decise di vendicarsi con l'aiuto del figlio Amore, il quale avrebbe dovuto farla innamorare di un uomo rozzo che non la ricambiasse.\nTuttavia, appena Amore prese visione della bellezza celestiale di Psiche, se ne invaghì perdutamente, e decise con l'aiuto di Zefiro di trasportarla nel proprio palazzo. Lì Psiche trascorse con Amore notti infuocate dall'amore e dalla passione, senza tuttavia poter guardare il volto dell'amante: Amore, infatti, non rivelò mai la propria identità, per evitare la furibonda ira della madre Venere. Con tutto ciò, eccitata dalle sorelle, Psiche venne meno al patto e vide il volto dell'uomo che le travolgeva i sensi: in seguito a ciò Amore, preso dall'indignazione, si allontanò da Psiche, che fu gettata nello sconforto più totale.\nPur di potersi ricongiungere con il divino consorte, Psiche si dichiarò disposta ad affrontare una serie di prove per ottenere l'immortalità, superandole brillantemente, malgrado la loro atroce difficoltà. D'altronde, erano state organizzate da Venere che, presa dall'ira, decise di sottoporre la fanciulla alla prova più difficile: discendere negli Inferi e chiedere alla dea Proserpina di concederle un po' della sua bellezza. Fu così che Psiche ricevette da Proserpina un'ampolla e, presa dalla curiosità, la aprì e, con suo grande sconcerto, scoprì che il vaso non conteneva bellezza, bensì un sonno infernale che la fece addormentare profondamente. Amore, una volta venuto a conoscenza del tragico destino dell'amante, si recherà presso Psiche e la risveglierà con un bacio: è proprio questo l'attimo che Canova ha voluto eternare nel marmo.\n\nAnalisi.\nL'opera raffigura, con un erotismo sottile e raffinato, Amore e Psiche nell'attimo che precede il bacio, preannunciato dall'atteggiamento dei corpi e degli sguardi che si contemplano l'un l'altro con una dolcezza di pari intensità: le loro labbra, pur essendo estremamente vicine, non sono ancora unite. Amore poggia il ginocchio sinistro a terra mentre con la spinta della gamba destra si china in avanti, inarcando il proprio torso e al contempo flettendo la propria testa così da avvicinarla al volto addormentato dell'amata, che sorregge delicatamente con la mano destra; quella sinistra, invece, sfiora in modo romantico il seno di lei, tradendo un desiderio innegabile ma non espresso. Nel tocco delle mani, il marmo diviene carne. Psiche, invece, è semidistesa, rivolge il viso verso l'alto ed alza quasi timidamente le braccia per accogliere il bacio di Amore, sfiorando con le sue dita i capelli di lui, che presenta le ali spiegate, come se fosse appena giunto per soccorrerla. I loro corpi adolescenziali, caratterizzati da una perfezione anatomica squisitamente neoclassica, sono completamente nudi, fatta eccezione per un drappo che vela appena le intimità di Psiche.\nCosì come in tutte le sue opere Canova qui si dimostra assai sensibile all'influenza della statuaria classica, mostrandosene debitore per l'equilibrio della composizione. Osservando il gruppo dal punto canonico di visione (ortogonale, ovvero 'davanti' alla scultura) si può cogliere come i corpi di Amore e di Psiche intersecandosi diano vita a una X morbida e sinuosa che fa librare l'opera nello spazio: il primo arco, in particolare, va dalla punta dell'ala destra di Amore e a quella del piede, mentre il secondo parte sempre dall'ala e si conclude nel corpo di Psiche. Il punto di intersezione tra queste due direttrici, che è anche il punto focale della composizione (quello verso il quale è proiettato lo sguardo dell'osservatore), è sottolineato dal delicato abbraccio dei due personaggi. Le braccia di Amore e Psiche, formando due cerchi intrecciati, danno infatti vita a un tondo che incornicia i due volti quasi congiunti ed accentua i pochi centimetri che dividono le loro labbra.\nLa visione frontale, malgrado sia quella più indicata in quanto consente di coglierne la complessa geometria compositiva, non esaurisce affatto le possibilità di godimento dell'opera, che è leggibile da tutte le visuali. È vedendo la scultura dal retro, infatti, che si scorgono la faretra di Amore, la fluente capigliatura di Psiche e il vaso di Proserpina che ha causato il suo svenimento: ruotando attorno all'opera, inoltre, variano all'infinito i rapporti reciproci tra i corpi dei due amanti, ed è solo così che ci si può rendere conto della complessità del marmo.Amore e Psiche, in ogni caso, risponde pienamente ai principi dell'estetica del Neoclassicismo. I gesti di Amore e Psiche, infatti, sono delicati ed espressivi, mentre i loro movimenti nello spazio sono equilibrati, continui e ben sincronizzati; analogamente, Canova comunica il loro trasporto amoroso in modo misurato ed equilibrato, sfumando la loro passione nella tenerezza e in un'affettuosa contemplazione. Alcuni degli aspetti dell'opera, tuttavia, già rimandano al Romanticismo: pensiamo alla sensualità che, seppur filtrata dal neoclassicismo canoviano, avvolge tutta la composizione, all'impiego di linee di tensione interne e al dinamismo spiraliforme che anima l'intera scultura.
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### Titolo: Amore e Psiche (Crespi).\n### Descrizione: Amore e Psiche è un dipinto a olio su tela realizzato dal pittore bolognese Giuseppe Maria Crespi. Si tratta dell'unica opera nota eseguita dall'artista sul tema di Amore e Psiche.\nProbabilmente realizzata nel 1709 su commissione di Ferdinando de' Medici, l'opera non compare però nell'inventario del 1713 delle collezioni di Ferdinando. Nel 1940 fu trasferita dagli Uffizi alla Villa medicea di Poggio a Caiano; l'opera rientrò agli Uffizi nel 1945 dopo essere stata portata in Germania.\nIl dipinto fu restaurato nel 1990 da Stefano Scarpelli.\n\nDescrizione.\nL'opera rappresenta il momento in cui Psiche può finalmente posare gli occhi su Cupido, nonostante le fosse stato da lui stesso impedito, svegliandolo facendo cadere sul suo corpo una goccia di olio bollente proveniente dalla lucerna che tiene in mano. Questa lucerna accende in parte le forme dei due personaggi e le pieghe dei tendaggi, che risaltano nella penombra che avvolge il volto e la parte superiore del corpo di Amore, il quale tende la mano verso Psiche, come abbagliato dalla luce che lo sta illuminando.\n\nMostre.\nL'opera fu esposta nelle seguenti mostre: Firenze 1922, Parigi 1935, Bologna 1948, Bologna 1990.
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### Titolo: Amore e Psiche (David).\n### Descrizione: Amore e Psiche (chiamato anche Cupido e Psiche) è un dipinto di Jacques Louis David; prodotto nel 1817 durante il suo periodo di esilio a Bruxelles dopo la caduta di Napoleone Bonaparte.Durante la sua prima esposizione pubblica ad una mostra svoltasi al museo di Bruxelles, la pittura sorprese i contemporanei anche a causa di un trattamento realistico e mai banale della figura di Cupido.Dipinto per il mecenate e collezionista Gian Battista Sommariva, la tela è oggi parte delle collezioni del Cleveland Museum of Art.\n\nStoria.\nDavid iniziò ad abbozzare Amore e Psiche a Parigi nel 1813, per poi completarlo durante l'esilio a Bruxelles, dopo la caduta di Napoleone. Fu il primo quadro che David finì in esilio. Luigi XVIII aveva offerto a David la grazia per le sue attività durante la rivoluzione, ma il pittore decise invece di esiliarsi a Bruxelles. Fino a quel momento, David era stato definito spesso un imitatore dell'arte antica. Il suo stile tipico era quello che lo storico dell'arte tedesco Winckelmann descriveva come il 'bello ideale'. Il suo stile si focalizzava su un'immagine idealizzata dei corpi. Lo stile di David era stato caratterizzato in precedenza per la sua semplicità, ma Amore e Psiche si allontana drammaticamente da questi tratti. Quando debuttò a Parigi, molti spettatori vi videro un simbolo dell'effetto negativo dell'esilio di David.Questo quadro venne realizzato per la collezione di Sommariva, che aveva guadagnato rapidamente molte ricchezze tramite delle operazioni finanziarie dubbie. Probabilmente Sommariva mise in piedi la sua collezione per mostrare la sua ricchezza e accrescere la sua reputazione.Secondo le lettere di David, egli si era interessato alla storia di Amore e Psiche e voleva dare una nuova svolta a un tema abusato attraverso il suo uso del realismo. James Gallatin, il figlio diciassettenne di un diplomatico statunitense, posò nudo per il dipinto, il che spiegherebbe l'aspetto adolescenziale e goffo di Cupido.\n\nDescrizione.\nIl dipinto ritrae Cupido che esce di soppiatto mentre Psiche dorme tranquillamente in secondo piano. L'ambientazione è decorativa e in disordine, come se David stesse cercando di comunicare le circostanze dell'imprigionamento di Psiche. I colori bui e profondi del baldacchino sovrastante contrastano con l'ambiente sullo sfondo. Il paesaggio, secondo Mary Vidal, simboleggia un 'viaggio, un rinnovamento e l'illuminazione', che contrasta con le circostanze di Psiche. I corpi di Amore e Psiche sono illuminati in contrasto con i colori scuri dello sfondo, evidenziando ulteriormente il loro aspetto non idealizzato.David iniziò l'opera prima del suo esilio e fece molti cambiamenti dopo essere arrivato a Bruxelles. Fece delle modifiche importanti dopo che il disegno venne trasferito sulla tela, che non era abituale per lui. Il cambiamento più grande fu la decorazione dell'interno in stile Impero, che sarebbe potuta servire a ricordare il tempo nel quale Napoleone era al potere.C'è un piccolo dettaglio di una farfalla sopra Psiche. La farfalla in volo simboleggia, secondo la storica dell'arte Issa Lampe, sia 'la morte che la trascendenza', fungendo da commento alla partenza di Cupido da Psiche ogni mattina.Il dettaglio che colpisce più di questo dipinto è la raffigurazione molto realistica del corpo di Cupido e della sua espressione. Lo studio originale di David mostra che egli aveva sempre avuto intenzione di dipingere Amore in questa maniera, anche prima dell'esilio. Le ali di Cupido continuano con questo stile, dato che sono consunte e brutte, facendo sembrare Amore parte del regno mortale piuttosto che di quello divino.\n\nAnalisi.\nLe analisi del quadro si concentrano tipicamente sulla raffigurazione di Cupido, che si allontana dal trattamento tradizionale del mito. L'Amore e Psiche di François Gérard del 1798 viene spesso citato come confronto. Nell'opera di Gérard, entrambi i personaggi sono dipinti in una maniera idealizzata che enfatizza la purezza dell'amore giovanile. Anche le raffigurazioni tradizionali del mito di solito non implicavano Amore e lo raffiguravano in gran parte innocente e bello. Gli storici dell'arte hanno comparato il quadro davidiano all'Amore e Psiche di François-Édouard Picot (1819), che raffigura lo stesso momento della partenza di Cupido, ma in una maniera idealizzata.Nella versione davidiana, Amore sembra essere sinistro mentre Psiche è vulnerabile, lasciando intendere una relazione leggermente perversa tra i due. Amore sembra quasi malsano; la sua carnagione è opaca, la sua espressione e il linguaggio del corpo non sembrano amorevoli, al limite dell'ostilità, e il suo corpo è scarno, ben lontano dai corpi idealizzati tipici dell'epoca. La postura e lo sguardo di Cupido rompono la separazione tra il soggetto e lo spettatore. Egli sembra voler uscire dal dipinto nella realtà e il suo sguardo è diretto verso lo spettatore. Questo, secondo la storica dell'arte Dorothy Johnson, crea una sensazione scomoda quando si guarda il dipinto, dato che 'rende gli spettatori dei complici in questa dinamica del potere' tra Amore e Psiche.La posa di Psiche è stata inoltre comparata alle raffigurazioni tizianesche e correggesche delle dee sdraiate. La sua espressione facciale è innocente e bella. Ella è ancora addormentata, sottolineando la sua vulnerabilità. Il contrasto tra la dolce Psiche e il Cupido volgare è importante per le novità che gli storici dell'arte hanno visto in questa tela.\n\nCritica.\nDue articoli che sostenevano il dipinto apparvero quando fu mostrato per la prima volta, ma probabilmente erano influenzati da David stesso. Entrambi si focalizzavano sul realismo, e un articolo diceva che era un approccio 'puramente storico' alla mitologia. Quando messo in contrasto con l'opera di Picot, il realismo fu plaudito ulteriormente da alcuni.La risposta schiacciante, però, fu negativa. La classe dirigente preferiva delle opere più idealizzate, dato che il realismo veniva visto come qualcosa di immorale per alludere a delle sfumature sessuali. Gros, che per il resto era un noto sostenitore di David, disse che 'la testa di Amore ha qualche carattere faunistico, le mani sono un po' scure e soprattutto non abbastanza rifinite.' Altri critici furono confusi dalla deviazione dall'aspetto tipico di Cupido ed erano turbati dalla sua distorsione.
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### Titolo: Amore e Psiche (Giovanni Maria Benzoni).\n### Descrizione: Amore e Psiche è un gruppo scultoreo realizzato da Giovanni Maria Benzoni esposto presso la Galleria d'Arte Moderna di Milano.\n\nStoria e descrizione.\nIl gruppo scultoreo, considerato tra le maggiori prove dello scultore Giovanni Maria Benzoni, fu eseguito nel 1845 durante il soggiorno romano dell'artista e fa parte dell'ampio filone di opere omaggio all'Amore e Psiche del Canova. Il gruppo fu commissionato da tale Antonio Bisleri, milanese, e venne donato da un erede nel 1923 alla galleria d'arte moderna dov'è oggi esposto. L'opera fu eseguita in otto copie, di cui una per Nicola I di Russia esposta oggi all'Ermitage.\nNonostante il modello di Amore e Psiche sia tra i più usati della statuaria classica, il Benzoni scelse un momento del mito raramente rappresentato, ovvero il momento successivo al risveglio di Psiche da parte di Eros dopo che questa aveva apertura il vaso contenente vapori infernali, dove Eros sta per andare ma viene trattenuto da Psiche. Oltre all'esplicito riferimento all'opera canoviana, la composizione presenta un fitto panneggio nelle vesti ed un certo virtuosismo nella resa delle capigliature dei soggetti mutuata dalla scultura neoclassica: non mancano tuttavia influenze barocche dichiarate dallo stesso Benzoni, in particolare verso la tecnica del Bernini. Nonostante il tema dichiaratamente classico in un ambiente sempre più influenzato dalle tematiche romantiche, la scultura riscosse all'epoca della sua esposizione moltissimi elogi e si aggiunse alla schiera delle opere scultoree ispirate allo stesso soggetto fra cui quelle di Salvatore Albano, Francesco Barzaghi, Serafino Ramazzotti, Giulio Branca, Lot Torelli e Sandro Macdonald.
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### Titolo: Amore e Psiche (film).\n### Descrizione: Amore e Psiche (L'Amour et Psyché) è un cortometraggio muto del 1908 diretto da Louis Feuillade.\n\nTrama.\nProduzione.\nIl film fu prodotto dalla Société des Etablissements L. Gaumont.\n\nDistribuzione.\nDistribuito dalla Société des Etablissements L. Gaumont, uscì nelle sale cinematografiche francesi nel 1908. In Italia venne distribuito dalla Pathé nel 1913/14.\n\nVoci correlate.\nFilmografia di Louis Feuillade.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Amore e Psiche, su IMDb, IMDb.com.\n(EN) Amore e Psiche, su Box Office Mojo, IMDb.com.
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### Titolo: Amore e Psiche (van Dyck).\n### Descrizione: Amore e Psiche è uno degli ultimi dipinti eseguiti da Antoon van Dyck e rappresenta la scena di Amore e Psiche tratta dal capolavoro di Apuleio Le metamorfosi. Fa parte della collezione reale inglese e oggi è conservato al palazzo di Kensington, a Londra.\n\nStoria.\nQuest'opera, che è una delle ultime del repertorio vandichiano, mostra i segni dell'influenza di Tiziano e si data al suo periodo come artista di corte presso Carlo I d'Inghilterra. Si tratta del suo unico dipinto mitologico di quel periodo a essere sopravvissuto e forse faceva parte di una serie di quadri sul tema di Amore e Psiche, commissionati per la Queen's House ('casa della regina') a Greenwich. Il progetto, al quale avrebbero partecipato anche Jacob Jordaens e il vecchio tutore di van Dyck, Pietro Paolo Rubens, non venne completato, e forse è per questo che l'opera non è del tutto finita e manca della cornice. Una seconda ipotesi ne vedrebbe la creazione per le celebrazioni del matrimonio tra la principessa Maria e Guglielmo II d'Orange nel 1641.\n\nDescrizione.\nIl quadro ritrae il momento esatto nel quale Amore (o Cupido) giunge in tempo per salvare Psiche, che dopo aver aperto un cofanetto proveniente dall'Ade è stata avvolta dal sonno della morte. La scena è ambientata sotto due alberi, uno rigoglioso e l'altro spoglio, che simboleggiano lo stato di Psiche, in bilico tra la vita e la morte. La corsa di Amore per raggiungere la sua amata è stata associata al concetto platonico dell'amore come desiderio mosso dalla bellezza. Psiche richiama la Venere di Urbino tizianesca e si pensa che possa avere le fattezze dell'amante di van Dyck, Margaret Lemon.
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### Titolo: Amore e Psiche stanti.\n### Descrizione: Amore e Psiche stanti è un’opera di Antonio Canova conservata nel Museo del Louvre a Parigi. La scultura è alta 145 cm ed è in marmo bianco, è stata scolpita fra il 1796 e il 1800.\n\nL’opera e il mito greco.\nQuesto gruppo scultoreo rappresenta una coppia celebre della mitologia greca. Il mito racconta che la straordinaria bellezza di una fanciulla di nome Psiche aveva suscitato l’invidia della stessa Venere, tanto che la dea le inviò il figlio Amore perché la facesse innamorare di un uomo bruttissimo. Il giovane dio però si invaghì lui stesso della bella fanciulla. Ebbe così inizio un amore tormentato che, dopo essere stato a lungo ostacolato da Venere e costellato da mille prove, durò per sempre.\nCanova rappresentò più volte le figure di Amore e Psiche, ma in questa scultura li rappresenta in piedi. Psiche offre una farfalla, simbolo della sua stessa anima, ad Amore.\n\nCommittente dell’opera.\nLa composizione scultorea è stata realizzata in due versioni, la prima fu commissionata dal colonnello Jhon Campbell e in seguito venduta a Gioacchino Murat; mentre la seconda, sempre realizzata da Canova, fu ceduta da Campbell a Josephine de Beauharnais.
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### Titolo: Amore e Psiche, bambini.\n### Descrizione: Amore e Psiche, bambini (titolo originale: L'Amour et Psyché, enfants, Salon del 1890, No. 330), è un dipinto a olio del 1890, 119.5x71 cm, del pittore William-Adolphe Bouguereau che si trova in una collezione privata e costituisce una delle opere più famose dell'autore. L'opera è erroneamente conosciuta come Il primo bacio.\nIl soggetto è tratto dalla storia di Amore e Psiche narrata da Apuleio nelle Metamorfosi.\nIl dipinto presenta Cupido, ritratto come un amorino, mentre bacia la piccola Psiche sulla guancia. I due eroti hanno le ali: Cupido-Amore le ha piumate, mentre Psiche ha ali da farfalla. Entrambi sono adagiati su una nuvola, seduti sopra un telo blu scuro.\n\nNome dell'opera errato.\nL'opera è anche erroneamente nota come Il primo bacio (1873). Tale errore è dovuto al fatto che la galleria virtuale Web Museum riporta, in modo errato, il dipinto sotto il titolo The First Kiss con la data del 1873 invece del 1890. Infatti se si guarda l'immagine del dipinto è possibile osservare in basso a destra la data del 1890 accanto alla firma dell'autore.\n\nAltri dipinti di Bouguereau su Amore e Psiche.\nBouguereau fu ispirato più volte dalla storia di Amore e Psiche:.\n\nPsiche e Amore (titolo originale: Psyché et l'Amour, Salon del 1889, No. 260; Esposizione universale del 1900, No. 242).\nPsiche (titolo originale: Psyché, 1892).\nIl rapimento di Psiche (titolo originale: Le ravissement de Psyché, Salon del 1895, No. 258).
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### Titolo: Amore e Psiche.\n### Descrizione: Amore e Psiche sono i due protagonisti di una nota storia narrata da Apuleio all'interno della sua opera Le Metamorfosi, anche se è considerata risalire ad una tradizione orale antecedente all'autore.\nNella vicenda narrata da Apuleio, Psiche, mortale dalla bellezza eguale a Venere, diventa sposa di Amore-Cupido, senza, tuttavia, sapere chi sia il marito, che le si presenta solo nell'oscurità della notte. Scoperta su istigazione delle invidiose sorelle la sua identità, è costretta, prima di poter ricongiungersi al suo divino consorte, a effettuare una serie di prove, al termine delle quali otterrà l'immortalità. Altre versioni, differenti da quella di Apuleio, narrano, invece, la morte della ragazza prima dell'ultima prova, altre ancora narrano che la ragazza abbia fallito l'ultima prova e che abbia, quindi, dovuto lasciare Amore-Cupido.\n\nStoria.\nIn un regno lontano, un re e una regina hanno tre bellissime figlie. La più giovane di esse, Psiche, è di una bellezza così eccezionale che la gente si prostra davanti a lei come se fosse la dea Venere. La devozione per la ragazza suscita la collera della dea, che chiede a suo figlio Amore di punire Psiche facendo in modo che si innamori di un mostro. Mentre sta per colpire la fanciulla con una delle sue frecce, però, il dio sbaglia mira e la freccia d'amore colpisce invece il proprio piede, cosicché egli si innamora perdutamente di lei. Intanto, i genitori di Psiche consultano un oracolo che risponde:.\n\nPsiche viene così portata a malincuore sulla cima di una rupe e lì viene lasciata sola. Con l'aiuto di Zefiro, Amore la trasporta al suo palazzo, dove la giovane viene accudita da servitori invisibili che provvedono a ogni sua necessità. Alla notte, Psiche viene raggiunta da Amore che si dimostra uno sposo innamorato, ma non le rivela la propria identità: dopo aver trascorso la notte con lei, la saluta avvertendola che anche in futuro i loro incontri avverranno sempre al buio, e che la ragazza non dovrà mai cercare di vederlo né conoscerne il nome.\n\nPassano così parecchi giorni: Psiche è felice e innamorata del misterioso sposo, ma desidera rivedere le sue sorelle. Amore, per quanto malvolentieri, acconsente a invitare le due donne nel palazzo. Qui le sorelle, colpite dal lusso in cui vive Psiche, concepiscono un’invidia bieca nei suoi confronti: insinuano così in lei il sospetto che lo sposo misterioso sia in realtà un mostro che prima o poi la ucciderà; le suggeriscono perciò di attendere la notte per trafiggerlo con un pugnale. Dopo molte riluttanze, una notte Psiche decide di agire. Armandosi con il pugnale ed una lampada ad olio, decide pertanto di scoprire chi realmente sia il suo amante, ma proprio quando sta per uccidere lo sposo, alla luce della lanterna le appare il bellissimo dio dell’amore. Mentre Psiche ne contempla l’abbagliante bellezza, una goccia d’olio cade sulla spalla del dio e lo scotta, svegliandolo:.\n\nFallito il tentativo di aggrapparsi alla sua gamba, una Psiche straziata dal dolore tenta più volte il suicidio, ma gli dei glielo impediscono. La ragazza inizia così a vagare per diverse città alla ricerca del suo sposo, si vendica delle avare sorelle e cerca di procurarsi la benevolenza degli dei, dedicando le sue cure a qualunque tempio incontri sul suo cammino. Arriva però al tempio di Venere e a questa si consegna, sperando di placarne l'ira per aver disonorato il nome del figlio.\nVenere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le è stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che provano pena per l'amata di Cupido. La seconda prova consiste nel raccogliere la lana d'oro di un gruppo di pecore. Ingenua, Psiche fa per avvicinarsi alle pecore, ma una verde canna la avverte e la mette in guardia: le pecore diventano infatti molto aggressive con il sole e lei dovrà aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta tra i cespugli. La terza prova consiste nel raccogliere acqua da una sorgente che si trova nel mezzo di una cima tutta liscia e a strapiombo. Qui viene però aiutata dall'aquila di Giove.\n\nL'ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli Inferi e chiedere alla dea Proserpina un po' della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio tentando di gettarsi dalla cima di una torre; improvvisamente però la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa ancora una volta dalla curiosità, apre l'ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina, che in realtà altro non è che il sonno più profondo. A correre in suo soccorso stavolta è lo stesso Amore, che pungendola lievemente con una freccia, la risveglia dal sonno infernale.\nIl dio poi corre da suo padre Giove, pregandolo di convincere Venere ad acconsentire al matrimonio. Giove, commosso, persuade Venere ad accettare le nozze, che vengono celebrate alla presenza di tutti gli dèi. Psiche diviene così la dea protettrice delle fanciulle e dell'anima, sposando Amore. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio Bacco fa da coppiere, le tre Grazie suonano e il dio Vulcano si occupa di cucinare il ricco pranzo.\nPiù tardi nasce una figlia, concepita da Psiche durante una delle tante notti d'amore dei due amanti prima della fuga dal castello. Questa viene chiamata Voluttà, ovvero Piacere.\n\nLe Metamorfosi o L'asino d'oro.\nAmore e Psiche è la più nota delle fiabe contenute nell'opera Le metamorfosi di Apuleio (Metamorphoseon libri XI), note anche come L'asino d'oro (Asinus aureus), un romanzo che racconta le ridicole avventure di un certo Lucio, che sperimenta con la magia e viene accidentalmente trasformato in un asino; e si estende per tre degli undici libri di cui è costituito il romanzo. La favola, come il resto de Le metamorfosi, ha nel libro un significato allegorico: Cupido - identificato con il corrispondente greco Eros, signore dell'amore e del desiderio -, unendosi a Psiche - ossia l'anima - le dona l'immortalità. Tuttavia questa, per giungervi, dovrà affrontare quattro durissime prove, tra cui quella di scendere agli Inferi per purificarsi.\nGià il nome Psiche (in greco ψυχή significa 'anima') allude al significato mistico della storia, e riconduce alle prove che la donna dovrà affrontare nel corso della storia, simbolo delle iniziazioni religiose al culto di Iside.\nAnche la posizione centrale della favola nel testo originale aiuta a capire lo stretto legame che lega questo racconto nel racconto con l'opera principale; è infatti facile scorgervi una 'versione in miniatura' dell'intero romanzo: come Lucio, protagonista del Le Metamorfosi, anche Psiche è una persona simplex et curiosa; inoltre, entrambi compiono un'infrazione, alla quale seguirà una dura punizione. Solo in seguito a molte peripezie potranno raggiungere la salvezza.\n\nUna fiaba berbera.\nApuleio non faceva mistero di essere mezzo numida e mezzo getulo, anche se la lingua in cui componeva le sue opere letterarie era il latino.\nLa fiaba di Amore e Psiche è indubbiamente debitrice al genere della fabula Milesia e i riferimenti letterari delle sue opere sono perlopiù relativi alla cultura greco-latina, ma è altrettanto indubbio che può essere riscontrato anche qualche elemento nordafricano.L'antropologia culturale ha oggi gli strumenti per tentare tale recupero a posteriori: in verità, della cultura letteraria indigena di quei tempi ben poco si sa, dal momento che si espresse prevalentemente a livello orale. Amore e Psiche, per la sua natura esplicitamente dichiarata di 'fiaba' (che nel romanzo viene raccontata da una vecchina), ha molte probabilità di riflettere aspetti di questa cultura orale.\nE difatti, numerosi elementi ricompaiono, identici o con minimi scarti, anche nelle fiabe di tradizione orale del Nordafrica raccolte e messe per iscritto in tempi recenti. Mouloud Mammeri ha più volte sottolineato l'affinità tra la fiaba di Apuleio e un racconto cabilo assai noto, L'uccello della tempesta. A sua volta, tale racconto ha forti affinità con un'altra trama nordafricana, diffusa soprattutto in Marocco, vale a dire Ahmed Unamir e come veicolo di lingue e culture (dove peraltro i generi sono invertiti: l'eroe è un maschio e la consorte misteriosa una femmina). Entrambe le fiabe si limitano alla prima parte del racconto, e si concludono quindi con la cacciata, senza più speranza di ritorno, del coniuge troppo curioso. Ma esistono anche versioni più 'complete', per esempio Fiore splendente, della Cabilia orientale, che prosegue fino al lieto fine conclusivo. Interessanti sono qui le congruenze con le peripezie dell'eroina in cerca dello sposo presso la suocera, che in questo caso non è la dea Venere, bensì l'orchessa Tseriel. Nel suo peregrinare, la fanciulla (Tiziri 'Chiaro di Luna') si imbatte, tra gli altri in alcuni pastori che le mostrano greggi che sarebbero state riservate a lei, se solo non fosse stata troppo curiosa. Questo dettaglio, perfettamente inserito nella fiaba odierna, potrebbe forse spiegare la presenza, abbastanza slegata dal contesto, del dio Pan (il dio pastore) nel punto corrispondente di Amore e Psiche.
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### Titolo: Amore e psiche (romanzo).\n### Descrizione: Amore e psiche è un romanzo di Raffaele La Capria pubblicato nel 1973. Esistente in tre versioni, di cui la prima inedita, è considerato il lavoro più tormentato e meno amato dall'autore.\n\nTrama.\nLa vicenda si svolge a Roma nell'arco di una giornata di un anno imprecisato, ma verosimilmente nei primi anni settanta: sono descritti infatti cortei e manifestazioni politiche violente tipiche degli anni di piombo. Il protagonista del romanzo, di cui si ignora il nome, è uno scrittore di mezza età, funzionario di un ente culturale («la scrivania è ingombra di manoscritti e copioni da leggere»), che vive in un appartamento in una zona residenziale con la moglie, una figlia, e una donna di servizio che si prende cura della casa. L'uomo sospetta la moglie di tradimento o quanto meno di scrivere lettere d'amore a qualcun altro. L'uomo, che soffre inoltre di problemi di vista e udito, cerca di risolvere con pacatezza crisi domestiche e familiari. Si rende conto che il suo matrimonio è in crisi, ritiene ormai inevitabile la separazione e non vorrebbe coinvolgere la figlia ancora bambina. L'uomo ha un amico, Gianni, originario di Napoli, uomo colto ma con gravi problemi psichici ed esistenziali. L'uomo sta scrivendo un romanzo, che tuttavia teme di non riuscire mai a portare a termine per difficoltà nel raccontare i propri sentimenti personali. Mentre si reca a prelevare la figlia dalla scuola pomeridiana, l'uomo resta coinvolto in una manifestazione politica violenta nel corso della quale si sorprende a lanciare un sasso a cui seguono un'esplosione immediata e la morte di Gianni. In un'atmosfera onirica l'uomo tenta di interpretare il significato della propria esistenza.\n\nGenesi dell'opera.\nLa versione di Amore e psiche del 1973, data della prima edizione, è in realtà una riscrittura: da una lettera di Raffaele La Capria a Geno Pampaloni datata 18 giugno 1973 sappiamo che c'era stata una prima versione del romanzo, molto più lunga rimasta inedita. Una terza versione, frutto di cancellazioni e riscritture, sarà ancora più breve e sarà pubblicata nel 1979 nella collana 'Tascabili Bompiani'. Nel romanzo si fa ricorso a tecniche (flusso di coscienza, monologo interiore, polifonia, tempo della memoria, tempo lineare, , ec.) e a motivi dell'avanguardia letteraria (il doppio, lo specchio, l'io diviso, l'alienazione, ecc.). La Capria rimarrà deluso dei risultati ottenuti soprattutto a causa dell'impalcatura tecnica da cui non è riuscito a liberarsi, «utilizzata per puro artificio letterario» e ha deciso di cambiare strada, innanzitutto non scrivendo più romanzi.\nAlcuni frammenti di Amore e psiche si troveranno, sotto forma di apologo, dapprima nella raccolta Fiori giapponesi (per esempio i racconti «Dolore», «La figura perduta», «Diario», «Gli acufeni») e successivamente nella raccolta Lo stile dell'anatra.\nNel 1973, all'epoca della pubblicazione della prima edizione, La Capria aveva 50 anni, si era separato dalla prima moglie, si era risposato, viveva a Roma e lavorava alla Rai. Come per altri lavori di La Capria, i critici hanno associato le vicende del romanzo a momenti vissuti dall'autore: «così, per esempio [...] scorgeva nel plot di Amore e psiche la sua prima moglie e la Roma degli anni Cinquanta», 'Gianni' è certamente ispirato al poeta Gianni Scognamiglio, un poeta di talento nato nel 1922 e morto in un manicomio di Venezia nel 1976, amico di La Capria fin dagli anni giovanili. Curiosamente Pasolini riteneva il personaggio di Gianni «preso dalla cronaca più retorica, di peso, senza necessità e senza nemmeno lo sforzo di una reinvenzione».\n\nCritica.\nA giudizio di Silvio Perrella «si può ben dire che tra i libri di La Capria, Amore e psiche sia il più tormentato e di sicuro il meno amato dall'autore». Il romanzo ha avuto giudizi favorevoli e fu finalista al Premio Campiello del 1973. Pier Paolo Pasolini, pur tra giudizi positivi («La Capria sa raccontare come pochi altri [...] la vita quotidiana [...] di una piccola famiglia della borghesia dell'élite intellettuale») accusò invece Raffaele La Capria di aver subito il ricatto della moda dell'avanguardia e di aver così prodotto un meta-romanzo «completamente, anche se non malamente, fallito». La Capria, in una lettera privata a Pasolini, respingerà l'accusa di aver cedute a una moda culturale. Tuttavia più tardi giudicherà Amore e psiche troppo «intellettualistico» affermando in un'intervista che «è l'unico libro che vorrei non aver scritto».\n\nEdizioni a stampa.\nIn lingua italiana.\nRaffaele La Capria, Amore e psiche, Coll. Letteratura moderna, Milano: Bompiani, 1973, 163 p.\nRaffaele La Capria, Amore e psiche, Collezione Tascabili Bompiani n. 172, Milano: Tascabili Bompiani, 1979, 135 p.\nRaffaele La Capria, «Amore e psiche». In: Tre romanzi di una giornata (Contiene: Un giorno d'impazienza; Ferito a morte; Amore e psiche), Coll. Supercoralli, Torino: Einaudi, 1982, ISBN 88-06-05383-3.\nRaffaele La Capria, «Tre romanzi di una giornata: Amore e psiche». In: Raffaele La Capria, Opere; a cura e con un saggio introduttivo di Silvio Perrella, Coll. I Meridiani, Milano: A. Mondadori, 2003, pp. 307-96, ISBN 88-04-51361-6.\n\nTraduzioni.\n(FR) «Amour et psyché»; traduzione di Michel Sager, Les Lettres Nouvelles nn. 3, 4, 5 novembre, Paris: Denoël, 1976.\n(EN) «This Has Nothing to Do with Me»; traduzione di Kathrine Jason. In: Name and Tears & Other Stories: Forty Years of Italian Fiction, Saint Paul (Minnesota): Greywolf Press, 1991.
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### Titolo: Ampelo.\n### Descrizione: Ampelo (AFI: /ˈampelo/; dal greco antico ἄμπελος?, ámpelos, 'cespo di vite') è una figura della mitologia greca.\nGiovane amato da Dioniso, morì accidentalmente, cadendo dal dorso di un toro imbizzarrito o da una vite sulla quale si era arrampicato per cogliere un grappolo d'uva, a seconda della versione del mito che si vuole accreditare. Nella prima variante, riportata da Nonno, Ampelo fu poi trasformato in vite, recando agli uomini il dono dionisiaco del vino.\nStando a Ovidio, invece, Dioniso lo tramutò nella stella detta Vindemiatrix in latino e in italiano «vendemmiatrice», della costellazione della Vergine; il riferimento pare essere in realtà invece ad una delle stelle della costellazione 'Vindemitor o Vindiatrix' (meglio conosciuto come Boote, la barca del cielo). Ampelose (singolare: Ampelos) erano anche una varietà di Amadriadi.\n\nMito.\nSecondo Nonno, Ampelo fu il primo amore di Dioniso. Il giovane, tenuto all'oscuro della natura divina del suo compagno, era coetaneo del dio e lo superava in bellezza. I due vivevano fra satiri e sileni presso il fiume Pattolo, in Lidia o forse in Frigia (Nonno confonde spesso le due regioni turche). Lo stesso Dioniso era incerto sulle origini del fanciullo: poteva appartenere alla stirpe dei satiri, tanto che aveva la coda, ma più probabilmente era figlio di Selene, dea della luna, ed Elio (divinità), il sole.Il dio era perdutamente innamorato di Ampelo, e di lui gelosissimo, ma temeva continuamente per la sua vita, presentendone un destino simile a quello di Ila, Giacinto e Ganimede, tutti giovinetti amati da divinità o semi-divinità, sottratti prematuramente alla vita terrena. I due compagni si confrontavano quotidianamente in una varietà di giochi, dalla lotta alla caccia, che Dioniso volentieri lasciava vincere al suo favorito. In occasione di una gara di corsa cui parteciparono Ampelo e due satiri, Cisso e Leneo, il dio intervenne per rallentare i rivali e garantire così la vittoria all'amato. Per colpire l'attenzione del suo amante, Ampelo si cimentava cavalcando tigri, orsi e leoni. Il dio, gli raccomandò però di guardarsi, nei suoi giochi, soprattutto dalle corna del toro.\nDioniso aveva infatti ricevuto un segno dell'imminente morte del giovane: al dio era apparso un drago cornuto, che scagliava un cerbiatto adagiato sul proprio dorso contro le pietre di un altare, uccidendolo. Intuendo nella apparizione un presagio del destino che attendeva il giovane, il dio fu sul punto di piangere per la futura perdita, ma alla vista del sangue che arrossava la pietra dell'altare, e che preannunciava il dono del vino, eruppe in un riso di gioia.\nSu richiesta di Era, matrigna di Dioniso, la dea Ate, l'Errore, che si trovava in Frigia da quando Zeus furibondo ve l'aveva scagliata, si presentò ad Ampelo sotto le spoglie di un giovane satiro e gli consigliò di provare a cavalcare un toro, persuadendolo che con ciò si sarebbe guadagnato la predilezione del dio e la possibilità di guidarne il cocchio, che era stato affidato a Marone.\n\nAmpelo allora si accostò a un toro che si abbeverava presso il Pattolo; dalle fauci dell'animale colava sul corpo del giovane un rivolo d'acqua, simbolo della fatica cui i buoi sarebbero stati costretti per irrigare le vigne. Ampelo ornò il capo del toro di narcisi e anemoni, fiori germogliati in seguito alla morte di Narciso e Adone, entrambi giovinetti che erano stati cari agli dei; infine gli montò in groppa.Mentre galoppava sul dorso del toro, vedendo la luna, si prese gioco di Selene, che per punizione mandò un tafano a pungere il toro; l'animale, imbizzarrito, disarcionò Ampelo, lo trafisse con le corna e lo scagliò contro delle rocce, finché la testa non si staccò dal corpo. Dioniso, disperato, asperse la ferita con l'ambrosia, il nettare degli dei, la cui dolcezza si sarebbe poi trasfusa nel vino. Eros, per consolarlo, raccontò al dio affranto la storia di un altro bellissimo fanciullo, Calamo, tramutatosi in canna a seguito di un amore sfortunato provato nei confronti di un altro ragazzo come lui.\nFrattanto le Ore, personificazione divina delle quattro stagioni, si recavano presso loro padre, Elio, custode delle profetiche tavolette di Armonia. Una di loro, Autunno, avrebbe presto avuto il capo adorno di tralci di vite, poiché era giunto il tempo del vino, previsto nell'ultima raffigurazione della terza tavoletta, che segnava l'avvento di una nuova era del mondo: vi era infatti rappresentata la Vergine, segno zodiacale di transizione fra l'estate e l'autunno, con in mano un grappolo d'uva.\nI lamenti di Dioniso giunsero a commuovere Atropo, una delle Moire, filatrici del destino di ogni creatura. Costei diede nuova vita al corpo di Ampelo, che subito mise radici e si trasformò in un tralcio di vite, scampando così al regno oscuro di Ade. Il dio strinse fra le mani un grappolo d'uva, e dal nuovo frutto stillò un succo che aveva la stessa dolcezza dell'ambrosia, e che donava l'ebbrezza: il vino, scaturito dal sangue versato dall'amato, aveva fatto la sua prima comparsa sulla terra.\nCisso, il satiro con cui Ampelo aveva gareggiato, si sarebbe trasformato nell'edera che si avvolge alla vite, mentre Calamo, la canna, l'avrebbe sostenuta contro il vento.\nOvidio, oltre a precisare che Ampelo era figlio di un satiro e di una ninfa, racconta una versione diversa del mito: Dioniso e il suo favorito vivevano sui monti Ismari, in Tracia; il dio aveva affidato ad Ampelo un rampicante che pendeva dalle foglie di un olmo. Il giovane, arrampicatosi sull'albero per cogliere il frutto del rampicante, perse l'equilibrio e morì nella caduta: la pianta prese così il nome di Ampelo, «vite». Dioniso, addolorato, tramutò il giovane nella stella Vindemiatrix.\nLa Vindemiatrix, appartiene alla costellazione della Vergine; la sua apparizione a oriente, subito prima dell'alba, segnalava un tempo l'inizio del periodo della vendemmia, a settembre; a causa della precessione degli equinozi oggi sono le stelle della costellazione del Leone a comparire in quella posizione all'inizio dell'autunno.\n\nOmaggi.\nIn suo onore è stato chiamato anche un asteroide, il 198 Ampella scoperto nel 1879.
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### Titolo: Amphilogiai.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Amphillogiai (greco antico: Ἀμφιλλογίαι; singolare: Amphillogia) erano le dee delle controversie. Teogonia di Esiodo le identifica come figlie di Eris e sorelle di Ponos, Lete, Limos, Algea, Hysminai, Makhai, Phonoi, Androktasiai, Neikea, Pseudea, Logos, Disnomia, Ate, e Horkos.
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### Titolo: Ampice.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ampice (in greco antico: Ἄμπυξ, Àmpüx) era un lapita figlio di Elato, padre di Mopso l'argonauta e probabilmente anche di Idmone.\n\nMitologia.\nAmpice sposò Cloride e da lei ebbe un figlio, Mopso, veggente e profeta, futuro Argonauta. Per tale discendenza Mopso è anche detto Ampicide.\nAmpice era uno dei lapiti che cercò di rapire Piritoo il giorno del suo matrimonio, quando cercò di rapire la sposa si imbatte nei centauri, combattendoli fino allo stremo.
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### Titolo: Anaideia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Anaideia (in greco antico: Ἀναίδεια?) è la personificazione dell'inverecondia. Gli ateniesi ne fecero una divinità, simboleggiata da una pernice.
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### Titolo: Anarada.\n### Descrizione: Lʾanarada è una creatura immaginaria, spesso di aspetto mostruoso, la cui credenza è diffusa nella Calabria greca (Bovesia).\n\nAspetto, origine ed etimologia.\nIl termine anarada o nadara è riconducibile al greco moderno νεράιδα (specie di fata) e alle forme dialettali ανεράδα e αναράδα. Il termine deriva dal greco classico νηρείς -δος indicante la ninfa marina (nereide), tuttavia la voce grecanica si riferisce ad una creatura ben diversa che si aggira nei boschi: un fantasma, ma anche un essere dall'aspetto di donna coi piedi di mula, inoltre secondo la tradizione si nutrirebbe divorando la gente. L'ambiente in cui si dice che queste creature vivano le avvicina piuttosto alle ninfe Oreadi e Orestiadi (delle montagne) o alle Driadi e le Amadriadi (degli alberi) che alle Nereidi.\n\nTestimonianze letterarie.\nTraduzione:.\n\nDa Testi neogreci di Calabria (TNC), pp. 300-301.
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### Titolo: Anassibia (figlia di Atreo).\n### Descrizione: Anassibia (in greco antico: Άναξίβια?, Anaxíbia) od anche Anasibia ed Astioche è un personaggio della mitologia greca, figlia del re miceneo Atreo e di Erope e sorella di Menelao ed Agamennone.\n\nMitologia.\nSposò Strofio un re della Fòcide e divenne madre di Pilade.\nIgino la chiama Clitemnestra.\n\nGenealogia.
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### Titolo: Anasso.\n### Descrizione: Anasso (in greco antico: Ἀναξώ?, Anaxó) e citata anche come Lisidice od Euridice, è un personaggio della mitologia greca, figlia di Alceo re di Tirinto e di Astidamia.\n\nMitologia.\nAnasso sposò Elettrione (suo zio, in quanto fratello del padre) e da lui ebbe dieci figli: Alcmena (la madre di Eracle), Anfimaco, Archelao, Stratobate, Gorgofone, Filonomo, Celeneo, Lisinomo, Chirimaco e Anattore.
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### Titolo: Anceo (figlio di Poseidone).\n### Descrizione: Anceo (in greco antico: Ἀγκαῖος?, Ankàios) è un personaggio della mitologia greca ed uno degli Argonauti.\n\nGenealogia.\nFiglio del dio Poseidone e di Astipalea (secondo Apollonio Rodio), o di Altea (secondo Igino) e fratello di Euripilo.\nSposò Samia, figlia di Meandro che gli diede i figli Perilao, Enudo, Samo, Aliterse e la figlia Partenope, quest'ultima divenne la madre di Licomede.\n\nMitologia.\nPartecipò alla spedizione degli argonauti e prendendo il posto di timoniere dopo la morte di Tifide dopo la sua morte.\nSamo, l'isola in cui viveva, era famosa per il suo vino così Anceo piantò una vigna sulle sue terre e un indovino gli predisse che di quei frutti non ne avrebbe mai assaggiato.\nAnceo si unì al viaggio degli Argonauti ed al suo ritorno dalla Colchide seppe che le sue uve erano già mature e che erano state trasformate in vino.\nConvocò il veggente e di fronte a di lui portò una tazza di vino alla bocca per assaggiarlo, ma prima lo derise e questi replicò 'C'è molto cammino tra la coppa e il labbro' (Πολλὰ μεταξὺ πέλει κύλικος καὶ χείλεος ἄκροu).\nSubito dopo si senti un allarme poiché un cinghiale (il Cinghiale calidonio) stava devastando la vigna e udendo ciò, Anceo lasciò cadere la coppa e andò a vedere.\nFu travolto ed ucciso dal cinghiale .
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### Titolo: Anceo il piccolo.\n### Descrizione: Anceo (in greco antico: Ἀγκαῖος?, Ankaîos) è un personaggio della mitologia greca, detto 'il piccolo' partecipò alla spedizione degli argonauti ed alla caccia al cinghiale calidonio dove trovò la morte.\n\nGenealogia.\nAnceo, cugino del suo omonimo e figlio di Poseidone Anceo, fu soprannominato 'il piccolo' per essere distinto da lui.\nFiglio del re di Arcadia Licurgo e di Cleophyle od Eurinome o di Antinoe, sposò Iotis che lo rese padre di Agapenore, il futuro comandante dell'esercito di Arcadia durante la guerra di Troia.\n\nMitologia.\nAnceo ascoltò l'appello degli araldi di Giasone che era cerca di eroi per il suo viaggio in Colchide e volle parteciparvi ma suo nonno Aleo, che si opponeva al viaggio, nascose le sue armi ed armature, così si vestì con la pelle di un orso e porto un'ascia a doppio taglio come arma.\nPartecipò anche alla caccia al cinghiale calidonio, dove all'inizio contestò la presenza di una donna (Atalanta) e poi intervenne gridando senza alcuna paura per affermare che il modo di cacciare degli altri non fosse quello giusto. Pensò di far vedere agli altri come si agisce e scagliò la sua lancia contro il mostro, ma il cinghiale lo colpì in pieno sventrandolo. Così Anceo cadde a terra e morì dopo pochi attimi.
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### Titolo: Anchise.\n### Descrizione: Anchise (in greco antico: Ἀγχίσης?, Anchísēs) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe di Dardania ed il suo nome significa 'curvo' oppure 'storto'.\nAnchise, oltre ad essere citato nella mitologia greca (ed essere il protagonista della leggenda in cui Zeus lo rese zoppo), è anche un personaggio della mitologia romana poiché viene indicato come padre di Enea.\n\nGenealogia.\nFiglio di Capi e di Temiste (oppure di Ieromnene), divenne padre di Enea e di Lirno (o Liro) avuti da Afrodite , nonché di Ippodamia (moglie di Alcatoo), quest'ultima avuta da Eriopide.\n\nMitologia.\nGiovinezza.\nEroe di Troia, era cugino di Priamo in quanto ambedue discendenti da Dardano. In gioventù partecipò alle campagne militari contro le Amazzoni.\nLa dea Afrodite s'innamorò di Anchise, allora giovane e bellissimo, che si stava recando a pascere le sue mandrie nei pressi di Troia e per convincerlo a corrispondere il suo amore aveva assunto le vesti di una principessa frigia. Poi, prima di procreare Enea, rivelò ad Anchise la sua vera identità e gli preannunziò che il nuovo arrivato avrebbe avuto fama eterna. L'amore della dea per Anchise è narrato nell'Inno omerico ad Afrodite. Secondo la leggenda, Anchise, ubriaco, osò vantarsi del suo amore con la dea durante una festa e Zeus per punirlo lo colpì con un fulmine rendendolo zoppo (cfr. anche Omero, Iliade II, 819 ss.; V, 3 11 ss.; Esiodo, Teogonia 1008 ss.).\nPrima che nascesse Enea, Anchise si era sposato con Eriopide, dalla quale ebbe numerose figlie, la maggiore delle quali si chiamava Ippodamia. Anchise non disdegnò nemmeno la compagnia di alcune schiave, che gli diedero alcuni figli, tra cui Elimo ed Echepolo. Per l'aggravarsi delle condizioni di salute affidò il piccolo Enea al genero Alcatoo perché se ne occupasse. La moglie Eriopide morì prima che scoppiasse la guerra di Troia.\n\nUltimi anni e morte.\nNella drammatica notte della caduta di Troia, Enea caricò Anchise sulle spalle, fuggendo quindi dalla città in fiamme. Anchise infatti secondo alcune fonti era anche diventato cieco, oppure, secondo altre, paralitico.\nAnchise morì a Drepano (l'odierna Trapani) e il figlio gli diede onorata sepoltura sul monte Eryx (dove ora sorge Erice) in cui vi era un tempio consacrato ad Afrodite. Oggi sulla spiaggia dove egli morì si può vedere la stele che ricorda l'evento. La stele, detta appunto stele di Anchise, si trova presso la contrada Pizzolungo, che fa parte del Comune di Erice.\nSecondo quanto afferma Virgilio, Enea, disceso vivo nell'aldilà con l'aiuto della Sibilla, incontra il padre che gli dà le profezie sulla grandezza di Roma.\n\nDiscendenza di Anchise.\nNell'arte.\nIncendio di Borgo, affresco di Raffaello Sanzio.\nEnea, Anchise e Ascanio, gruppo marmoreo di Gianlorenzo Bernini.\n\nOmaggi.\nIl comune di Roma gli ha intitolato una via.
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### Titolo: Androgeo (Eneide).\n### Descrizione: Androgeo è un personaggio dell'Eneide citato nel secondo libro.\n\nIl mito.\nAndrogeo è uno dei tanti condottieri achei che assediano Troia nella decennale guerra scoppiata in seguito al ratto della spartana Elena da parte di Paride. Muore con tutti i soldati del suo drappello durante la presa della città. Imbattutisi nei compagni di Enea, li scambiano tragicamente per commilitoni; si accorgono dell'errore quando ormai è troppo tardi, e vengono facilmente abbattuti. Corebo e Dimante, due compagni di Enea, spoglieranno Androgeo delle sue armi.
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### Titolo: Androktasiai.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Androktasiai (greco antico: Ἀνδροκτασίαι; singolare: Androktasia) erano le personificazioni femminili delle stragi.\n\nCollegamenti esterni.\nTheoi Project: Androktasiai, dee greche o spiriti di omicidio colposo.
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### Titolo: Andromaca (Euripide).\n### Descrizione: Andromaca (Ἀνδρομάχη) è una tragedia di Euripide. Il personaggio principale è Andromaca, della quale viene narrata l'esistenza da prigioniera negli anni successivi alla guerra di Troia.\n\nTrama.\nDopo l'uccisione del marito Ettore e del figlio Astianatte, Andromaca viene fatta prigioniera da Neottolemo, re dell'Epiro e figlio di Achille. Dopo aver avuto un figlio (chiamato Molosso) con il re, Andromaca incorre nella gelosia di Ermione, sposa di Neottolemo. Costretta a fuggire con il figlio, si rifugia nel tempio di Teti.\nUna schiava informa Andromaca del pericolo che corre, dato che Menelao, padre di Ermione, è partito alla sua ricerca con l'intenzione di ucciderla. Andromaca invia una schiava con un messaggio di aiuto per l'anziano re Peleo, nonno di Neottolemo e fa nascondere suo figlio presso degli amici. In questo momento arriva Ermione e accusa Andromaca di essere la causa della sua sterilità e, di conseguenza, dell'odio che suo marito le porta. Andromaca replica che la ragione di questo odio non dipende che dall'orgoglio di Ermione e dalle sue gelosie. Ermione, col fine di ucciderla, istiga Andromaca ad uscire dal recinto sacro. Menelao appare con il figlio di Andromaca e questa, per salvare la vita di Molosso, finalmente esce allo scoperto e viene catturata.\nArriva l'anziano Peleo, che prende le difese di Andromaca e di suo figlio. Ne scaturisce una discussione con Menelao, al quale rimprovera di essersi lasciato rubare una poco di buono come Elena e di aver scatenato per lei una guerra, di cui molte famiglie greche ancora portano il lutto. Menelao risponde che Andromaca è, a conti fatti, moglie di Ettore. Ma Peleo libera le mani di Andromaca dai legacci che le stringono e Menelao, lungi dall'impedirglielo, annuncia la sua partenza per Sparta, promettendo però di ritornare quando Neottolemo sarà in casa per potergli chiedere di castigare Andromaca.\nErmione, tra la partenza del padre e il timore di essere ripudiata una volta che Neottolemo saprà del suo tentativo di eliminare Andromaca, cerca di togliersi la vita. A questo punto arriva Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, che si dirige all'oracolo di Dodona. Di passo per Ftia, Oreste cerca notizie di Ermione, che gli era stata promessa da Menelao, prima che cambiasse opinione e la desse a Neottolemo. Ermione cerca e trova la sua protezione, mentre Oreste pianifica di far uccidere suo marito.\nLa notizia della morte di Neottolemo arriva con un messaggero che ne informa Peleo. Oreste aveva fatto circolare la voce tra la popolazione di Delfi che il figlio di Achille aveva l'intenzione di distruggere il tempio di Apollo. Quando Neottolemo arriva a Delfi per offrire sacrifici al dio, vi è trucidato dalla popolazione inferocita. Finalmente appare Teti che ordina a Peleo di farsi forza e di dedicarsi alla propria discendenza che riunisce il sangue di tre dinastie (quella di Zeus, di Ilio e di Peleo stesso). Il re andrà a Delfi per inumare suo nipote Neottolemo, Andromaca si sposerà con Eleno (un figlio di Priamo che era scampato al massacro di Troia) e andrà a vivere col figlio in Molossia. A Peleo viene annunciato che, quando finirà i suoi giorni, raggiungerà Teti in fondo al mare per essere assunto a divinità.\n\nDatazione.\nEsistono varie teorie riguardo alla datazione dell'opera: tradizionalmente la si colloca durante la guerra del Peloponneso nel periodo tra il 431 e il 424 a.C. adducendo come causa il tono antispartano che permea l'opera. Secondo altre ipotesi l'opera risalirebbe 428 a.C., anno dell'alleanza con i Molossi, oppure alla mancata restituzione di Anfipoli a seguito della pace di Nicia, attorno al 421/420 a.C. Altre date considerate possibili sono il 418 a.C. o il 411 a.C.\nLuciano Canfora ipotizza che l'opera sia stata scritta dopo la presa di Melo così come Le troiane. L'astio presente nell'opera nei confronti degli spartani non sarebbe infatti adducibile alla sola mancata restituzione della città tracica (furono infatti i suoi abitanti e non gli spartani a rifiutare di tornare nella lega) ma si riferirebbe al mancato aiuto di Sparta a Melo nel 416 a.C. Andromaca infatti sarebbe un riferimento alle donne di Melo che ricevettero la stessa sorte delle donne troiane del mito ed in particolare allo scandalo di Alcibiade, il quale prese una di queste schiave e la costrinse ad essere sua concubina così come Neottolemo fece con la principessa troiana. Ciò spiegherebbe l'astio verso gli spartani espresso da Andromaca e in particolare il verso 449 dell'opera che definisce gli Spartani 'troppo fortunati in Grecia' e pertanto evidenzia una voluta analogia tra i fatti presenti e l'opera.
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### Titolo: Andromaca (Paisiello).\n### Descrizione: Andromaca è un'opera lirica di Giovanni Paisiello. Alcune fonti attribuiscono il libretto a Giovanni Battista Lorenzi da Antonio Salvi.\nFu rappresentata al Teatro San Carlo di Napoli il 18 novembre 1797 con Giacomo David.\nUna copia della partitura si trova alla Biblioteca nazionale Marciana di Venezia.
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### Titolo: Andromaca (Zeno).\n### Descrizione: Andromaca è un libretto d'opera seria in cinque atti, scritto da Apostolo Zeno e musicato da Antonio Caldara.\nL'opera fu rappresentata al Teatro della Favorita di Vienna il 28 agosto 1724, il giorno del compleanno dell'imperatrice Elisabetta Cristina, con le scenografie di Antonio Galli da Bibbiena.\nIl testo recava in appendice una Licenza, panegirico in cui venivano magnificate le virtù della sovrana, « Augusta » tale che nel dipingerla « la lode al ver non giunge e ne dispera ».\nL'Andromaca fu musicata, dopo che dal Caldara, da vari compositori; tra le versioni è celebre quella di Francesco Feo (1730). Rispetto ad altri drammi dello Zeno, l'opera ebbe una minor fortuna musicale, ma fu tra le più stampate e antologizzate.Nell'Argomento posto come introduzione, l'autore rivela di essersi ispirato a due celebri omonime tragedie, quella di Euripide e quella di Racine, presentando tuttavia un dramma indipendente, con una trama e una struttura sensibilmente modificate.\n\nTrama.\nAtto primo.\nTroia, dopo la guerra: nella città in rovina vivono segretamente Astianatte e Telemaco, figli rispettivamente di Andromaca e Ulisse. A loro, Andromaca non ha mai rivelato la vera identità - Telemaco fu rapito in fasce all'inizio del conflitto -, cosicché entrambi riconoscono in lei la madre e disprezzano l'astuto eroe di Itaca, il quale sta giungendo per uccidere Astianatte e ottenere vendetta, accondiscendendo inoltre al volere dei Greci, timorosi di dover un giorno affrontare nel fanciullo un nuovo Ettore.\nPirro, figlio di Achille e re dell'Epiro, tiene Andromaca in schiava ed è in procinto di sposarsi con Ermione, figlia di Menelao, ma è innamorato della vedova di Ettore e non vuole acconsentire a un matrimonio impetrato da tutta la Grecia. Ermione, allora, si reca da Andromaca ponendola di fronte a un bivio: la fuga da Troia o la morte. La donna troiana, che mantiene piena fedeltà verso il defunto marito e rigetta l'amore del sovrano, rifiuta tuttavia l'ipotesi dell'allontanamento, preoccupata per la salvezza del figlio e ostile ad un atto di codardia. Il principe troiano Eleno, intanto, manda a chiamare Pirro, avvisandolo del pericolo in cui si trova l'amata; questi sopraggiunge in aiuto della sua prigioniera.\n\nAtto secondo.\nUlisse e Oreste giungono a Troia. Oreste spera di ottenere la mano di Ermione, che ama ricambiato, ma Ulisse cerca di distoglierlo dai suoi sogni, ricordando quali nozze voglia la Grecia. Il guerriero di Itaca si reca quindi da Pirro per esortarlo a compiere il suo dovere, ma il re dell'Epiro conferma le voci secondo cui egli ha disposto il rientro di Ermione in patria e il suo matrimonio con Andromaca.\nPirro, in seguito, rivela ad Andromaca di aver capito che Astianatte non è morto, come la madre vuole invece far credere; promette quindi di salvarlo dalla furia di Ulisse, qualora la donna ceda al suo amore. Andromaca si oppone tuttavia alle attenzioni del figlio di Achille - l'uccisore del marito - ed Eleno la convince a nascondere Astianatte e Telemaco nella tomba di Ettore.\n\nAtto terzo.\nErmione chiede ad Oreste di manifestarle il suo amore vendicando il rifiuto di Pirro, che offre al figlio di Agamennone la donna in sposa. Ulisse riesce a smascherare Andromaca, a scoprire che il figlio è vivo e ad individuarne il nascondiglio. Tuttavia, grande è la sua sorpresa quando dall'avello escono due fanciulli. Uno di essi, gli rivela Andromaca, è Telemaco - creduto morto dal padre -, ma Ulisse non ha modo di identificarlo, poiché entrambi gli rivolgono parole di disprezzo. Ulisse è in preda all'incertezza; si sente intrappolato in un dilemma senza soluzione, conscio di dover rinunciare alla vendetta o al figlio, incorrendo parimenti in un sacrificio inaccettabile.\n\nAtto quarto.\nUlisse, assistito dal fido Eumeo, riesce con uno stratagemma a smascherare Astianatte e, sotto gli occhi della madre disperata, ordina che il fanciullo sia condotto sulla torre di Ilio e fatto precipitare. Telemaco, però, è corso di nascosto ad avvertire Pirro, il quale giunge sulla scena minacciando di ucciderlo qualora Astianatte venga gettato dalla torre. Ulisse acconsente ad abbandonare i suoi propositi, purché Pirro sposi Ermione, relegando Andromaca e il ragazzo in terra desolata e lontana. Partito il re di Itaca, Pirro costringe Andromaca a convolare con lui a nozze, se non vuole essere privata del figlio.\n\nAtto quinto.\nErmione, indignata per il prossimo rifiuto, incarica Oreste di uccidere Pirro. Il figlio di Agamennone, seppur riluttante, accetta di accontentare l'amata. Andromaca, le cui nozze con Pirro si avvicinano, confida a Eleno di volersi togliere la vita subito dopo il matrimonio, sottraendosi così a un legame che profanerebbe la sua unione con Ettore e lasciando il figlio in buone mani. Eleno, segretamente innamorato della donna troiana, avverte il sovrano epirota delle sue intenzioni; questi, allora, capisce di non poter costringere Andromaca a un vincolo forzato, e la lascia partire in compagnia di Astianatte ed Eleno.\nPirro, che è a conoscenza del complotto di Ermione e Oreste, acconsente alle nozze con la promessa sposa - cosicché, per Oreste, la punizione coinciderà con la privazione della donna amata -, e rende Telemaco ad Ulisse. Ognuno riguadagna la propria patria, rallegrandosi del lieto scioglimento degli eventi. Il solo Oreste « nel gaudio comun » sospira.\n\nEdizione di riferimento.\nAposto Zeno, Andromaca, in Drammi scelti (a cura di M. Fehr), Bari, Laterza, 1929, pp. 191–248.
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### Titolo: Andromaca prigioniera (Leighton).\n### Descrizione: Andromaca prigioniera (Captive Andromache) è un dipinto a olio realizzato dal pittore inglese Frederic Leighton nel 1888 circa. Nel 1889 venne acquistato dal consiglio della città di Manchester per 4000 sterline e attualmente si trova alla galleria d'arte mancuniana.\n\nDescrizione.\nCome molte tele dell'artista, il soggetto è tratto dalla mitologia greca, in questo caso dal ciclo troiano. Da sinistra verso destra donne e fanciulle si recano ad attingere l'acqua da una fontana rettangolare. Al centro si staglia una donna avvolta da un manto nero, che guarda una famiglia alla fonte, in particolare una madre con un bimbo tra le braccia che accarezza il volto del padre. Quella donna è Andromaca, la vedova dell'eroe troiano Ettore e la madre del piccolo Astianatte, gettato dalle mura di Troia quando gli Achei espugnarono la città. In effetti, l'opera si rifà a un passo dell'Iliade nel quale Ettore pensa al fato di sua moglie nel caso fosse morto in battaglia, immaginandosela mentre porta dell'acqua a una fontana a lei aliena.Le donne nella parte destra del dipinto indossano vestiti con sfumature color pesca, rosa e bordò, mentre quelle nella parte sinistra indossano delle vesti blu, verdi e violacee. In basso a sinistra si trova una donna anziana che sta filando e che osserva la vedova troiana. Sullo sfondo è presente un paesaggio montuoso incorniciato da due file di alberi ai lati e pieno di nuvole. Se molte figure femminili sembrano distendersi come se fossero prive di ossa, l'anziana e alcune figure maschili presentano una fisionomia molto più realistica. Il formato orizzontale dell'opera dà alla composizione l'aspetto di un fregio, come quelli che decoravano i sarcofagi antichi.
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### Titolo: Andromaca.\n### Descrizione: Andromaca (in greco antico: Ἀνδρομάχη?, Andromáchē, 'colei che combatte gli uomini') è un personaggio della mitologia greca. Fu principessa di Tebe Ipoplacia.\nI miti e la tradizione hanno delineato un ritratto sconsolato, rammaricato ed eternamente perseguitato di Andromaca, una figura toccante per essere destinata a perdere tutti i suoi cari.\nIn contrasto con la relazione tra Elena e Paride, quella tra Andromaca ed Ettore coincide con l'ideale greco di un matrimonio d'amore felice e di reciproca fedeltà, che intensifica la tragedia che condivideranno. Andromaca è stimata dai troiani per la sua fedeltà coniugale, la sincerità e la bontà d'animo. Si sforza sempre per trovare una soluzione ai problemi, è una figura razionale e realista.\n\nGenealogia.\nFiglia di Eezione, sposò Ettore e fu madre di Astianatte, Laodamante e Ossinio; in seguito come concubina di Neottolemo divenne madre di Molosso Pielo e Pergamo.Da Eleno infine, ebbe un figlio, chiamato Cestrino.\n\nMitologia.\nAndromaca fu mandata dal padre a Troia per dare un erede ad Ettore in un matrimonio combinato, ma subito se ne innamorò. In altre fonti fu Ettore stesso ad andare a Tebe, portandole numerosi doni e chiedendole la mano.\nLa figura di Andromaca compare per la prima volta nell'Iliade (libro VI), mentre scongiura il marito Ettore di combattere rimanendo sulla difensiva contro Achille e di fermarsi all'albero di caprifico (fico selvatico), nel punto in cui le mura di Troia sono più deboli, ma egli riesce a farla desistere dai suoi intenti, ricordandole il suo ruolo di sposa e di madre, e di non abbattersi e lasciare le faccende riguardanti la guerra a lui, poiché Ettore, in qualità di principe ereditario, è costretto a combattere.\n\nCirca un anno dopo il suo arrivo a Troia, un'incursione achea contro gli alleati d'Ilio le aveva sterminato il padre Eezìone e tutti i fratelli maschi a eccezione di Pode. La casata di Priamo divenne quindi il suo unico supporto e la sua unica famiglia a cui far riferimento. Andromaca perse poi sia Pode che Ettore, uccisi nel decimo anno della guerra di Troia rispettivamente da Menelao ed Achille, ma le sue tragedie continuarono anche dopo che gli Achei conquistarono la città: il figlio Astianatte le fu strappato da Neottolemo, che seguendo il consiglio di Odisseo lo gettò dalle mura della città per evitare che la stirpe di Priamo avesse una discendenza.\nUna volta che la città fu rasa al suolo, gli Achei si spartirono le donne della casa reale ed Andromaca fu fatta schiava di Neottolemo che fece di lei la sua concubina. Ma Andromaca non dimenticò mai l'amore che provava per Ettore, e questo generò in Neottolemo una grande rabbia. La bellezza di Andromaca scatenò anche la gelosia di Ermione, la promessa sposa di Neottolemo. Dopo che fu abbandonata da Neottolemo sposò Eleno e divenne madre di Cestrino.Nell'Eneide virgiliana Enea incontra Andromaca che ha ritrovato la pace elevando un cenotafio al defunto Ettore e sposando in terze nozze Eleno, il fratello indovino di Ettore, che regna sulla rocca di Butrinto. Gli esuli vi hanno costruito una piccola Troia per ritrovare quella patria e quella famiglia dalla quale le vicende di una rovinosa guerra li avevano allontanati con violenza.\nNella tragedia di Jean Racine Andromaca, il mito di Andromaca ritrova la sua etica e il suo lirismo.\n\nTragedie.\nAndromaca di Euripide.\nAndromaca di Jean Racine.\nAndromaca di Pavel Katenin.\nLe troiane di Euripide.\nLe troiane di Lucio Anneo Seneca.\n\nPoesia.\nAndromaca è invocata da Charles Baudelaire nella sua poesia Il cigno, contenuta ne I fiori del male. Il poeta paragona a quella della principessa mitologica la propria sofferenza, nata dal trauma di una Parigi in frenetico cambiamento. Il componimento si apre con: Andromaca, è a te che penso!.\n\nOpere musicali.\nAndromaca di Antonio Caldara.\nAndromaca di Francesco Feo.\nAndromaca di André-Ernest-Modeste Grétry.\nAndromaca di Vicente Martín y Soler.\nAndromaca di Giovanni Paisiello.\nAndromaca di Antonio Maria Gaspare Sacchini.\nErmione di Gioachino Rossini.\n\nCinema.\nAndromaca è impersonata in una libera interpretazione cinematografica dell'Iliade, Troy di Wolfgang Petersen, dall'attrice Saffron Burrows.\nIl mito di Andromaca è reinterpretato in chiave moderna nel film The Old Guard, con Charlize Theron nel ruolo principale.
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### Titolo: Androne (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Androne era il nome del figlio di Anio e Dorippa.\n\nNella mitologia.\nAndrone, fratello delle Vignaiole, le tre ragazze che ebbero come dono da Dioniso il poter creare olio, vino e grano all'infinito, fu discepolo di Apollo per quanto riguarda l'arte mantica, come già suo padre. Divenne successivamente re di Andro.\nQuando le sue sorelle furono rapite da Odisseo, secondo una tradizione esse fuggirono trovando nel regno del fratello un rifugio sicuro. La versione più diffusa narra invece che vennero trasformate in colombe da Dioniso affinché appunto non cadessero di nuovo in mano agli Achei.
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### Titolo: Anello di Gige.\n### Descrizione: L'anello di Gige è un oggetto magico menzionato da Platone nel secondo libro del suo dialogo la Repubblica. Questo anello garantiva il potere di diventare invisibili.\nSi tenga presente che Platone è l'unico autore ad associare a Gige questo particolare anello magico, associazione del tutto assente nel resoconto fornitoci da Erodoto sull'omonimo personaggio.\n\nIl mito.\nGige, antenato del Lidio omonimo, era un bovaro al servizio del re di Lidia, Candaule. Dopo un nubifragio e un terremoto, nel luogo dove Gige stava pascolando il suo armento, si aprì una voragine; meravigliato e spinto dalla curiosità, il pastore entrò e scoprì che tra le meraviglie di quel luogo sotterraneo vi era anche un enorme cavallo di bronzo nel quale si trovava il cadavere di un individuo di proporzioni sovrumane con un bellissimo anello d'oro al dito, di cui si impadronì.\nUscito dalla caverna, nel metterlo, scoprì per caso che girando il castone dalla parte interna della mano, diventava invisibile a chiunque, effetto che scompariva quando di nuovo girava il castone verso l’esterno. Godendo del potere dell’invisibilità, riuscì a sedurre la regina, che lo aiutò ad uccidere Candaule e a divenire il nuovo Re della Lidia.\n\nLa morale.\nNella Repubblica, Platone mette la storia dell'anello di Gige in bocca a Glaucone, che la usa per dimostrare che nessun uomo è così virtuoso da poter resistere alla tentazione di compiere azioni anche terribili, se gli altri non lo possono vedere. Partendo da questo, Glaucone arriva a dire che la moralità è solo una costruzione della società, che l'uomo rispetta per paura delle conseguenze e delle sanzioni. Una volta che queste sono eliminate, quando nessuno può vedere ciò che fai, la morale viene meno, e l'uomo si rivela per quello che è in realtà.\nSecondo lui, infatti, se questo anello venisse dato a due uomini, uno giustissimo e l'altro empio, questi si comporterebbero alla stessa maniera, liberi dal peso di dover render conto a qualcuno delle loro azioni. Si è giusti solamente sotto costrizione, poiché l'ingiustizia e il non rispetto delle leggi è più utile e vantaggioso, singolarmente parlando.\n\nEffetto Gige.\nLa locuzione indica il dato psicologico per cui l'anonimato su Internet induce quella disinibizione del comportamento online che trasforma un utente in un troll. L''effetto Gige' trova la sua base teorica negli studi compiuti, all'inizio degli anni novanta, dagli psicologi Martin Lea e Russell Spears. I due studiosi elaborarono un modello (SIDE, Social Identity of Deindividuation Effects) che è tuttora usato per spiegare i fenomeni di aggressività in rete. Secondo questo modello, l'anonimato online fa agire l'utente non come individuo, ma come membro di una comunità. Questa perdita della consapevolezza di sé sarebbe all'origine della disinibizione che favorisce il comportamento ostile degli utenti di Internet.
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### Titolo: Anfesibena.\n### Descrizione: L'anfesibena o anfisbena è un mitico serpente dotato di due teste, una ad ogni estremità del corpo, e di occhi che brillano come lampade. Secondo il mito greco, l'anfisbena fu generata dal sangue gocciolato dalla testa della gorgone Medusa quando Perseo volò, stringendola in pugno, sopra il deserto libico.\nL'anfesibena come creatura mitologica e leggendaria è stata citata da Marco Anneo Lucano e Plinio il Vecchio. Viene citata, inoltre, da Dante nel canto 24 dell'Inferno, da Borges nei suoi Manuale di zoologia fantastica e Il libro di sabbia e da Giorgio Manganelli in Centuria e in Dall'inferno. È stata citata anche da Francesco Guccini nel suo ultimo album L'ultima Thule.\nIl nome deriva dal latino amphisbaena, greco ἀμϕίσβαινα, composto di ἀμϕι- «anfi-» e βαίνω «andare», quindi che significa 'che va in due direzioni'.\n\nAraldica.\nLa rappresentazione araldica ordinaria dell'anfesibena, detta più correntemente 'anfisbena', è quella di un serpente disposto a forma di 5 o di S, inanellato e con una seconda testa al termine della coda. Le due teste gli permettono di procedere sia in avanti che all'indietro senza differenza. Quando una testa dorme, l'altra resta sveglia in guardia.\nLe due teste sono abitualmente di smalto oro o argento, quella superiore, e nero, quella inferiore. Questa rappresentazione simboleggia la vittoria del Bene sul Male. Nella sua forma più completa l'anfisbena mostra la parte luminosa alata e quella oscura membrata, cioè con un paio di zampe scagliose. Quando è rappresentata con le due teste unite, queste non sono differenziate e, dunque, lo smalto non ha rilevanza.\nL'anfisbena può essere blasonata sia con gli attributi dei carnivori sia con quelli degli uccelli.
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### Titolo: Anfiarao.\n### Descrizione: Anfiarao (in greco antico: Ἀμφιάραος?, Amphiáraos, o Anfirao) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Oicle (o, secondo un'altra versione, di Apollo) e di Ipermnestra.\n\nMitologia.\nAnfiarao aveva avuto in dono da Apollo la preveggenza e diventò l'indovino della città di Argo e dove aveva sposato Erifile (la sorella del re Adrasto), che gli diede due figli, Anfiloco e Alcmeone. Grazie alle sue doti, Anfiarao previde il fallimento della spedizione dei Sette contro Tebe e rifiutò di accompagnarli ma la presenza di Anfiarao era necessaria, poiché serviva un'ultima persona fidata che presidiasse la settima porta di Tebe.\nAnfiarao si nascose in un luogo noto solo a sua moglie ma essa si fece corrompere da Polinice che in cambio della rivelazione del nascondiglio le promise la collana dell'eterna giovinezza, appartenuta ad Armonia.\nAnfiarao fu costretto a partire, ma prima di iniziare il fatale viaggio chiese a suo figlio Alcmeone di vendicare la propria morte uccidendo la madre.\nUna volta a Tebe, Anfiarao ebbe l'incarico di attaccare la porta di Omoloide, ma fu sconfitto e le sue truppe disperse. Anfiarao fu costretto alla fuga e solo l'intervento di Zeus impedì che venisse ucciso dai soldati tebani. Il dio decise di farlo precipitare in una fossa aperta con uno dei suoi fulmini, e fece sì che quel luogo diventasse sacro, con un oracolo. Anfiarao cadde nelle viscere della terra e precipitò direttamente nell'Oltretomba al cospetto di Minosse, che se lo vide arrivare con l'armatura e il carro da guerra.\nLa sua storia è raccontata da vari poeti, la versione più celebre è forse quella nella Tebaide di Stazio.\n\nOracolo.\nLa città di Oropo gli dedicò un santuario (Amphiareion), che ospitava il cosiddetto oracolo di Anfiarao, il quale dal V al I secolo a.C. ebbe in Grecia notevole importanza.\n\nDivina Commedia.\nDante Alighieri citò Anfiarao come primo esempio di indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno. Egli è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro, in contrappasso con il suo potere 'preveggente' in vita. Dopo di lui viene citato anche il suo rivale nell'assedio di Tebe, Tiresia, mago e astrologo tebano.\n\nBronzi di Riace.\nÈ stata formulata l'ipotesi che uno dei due Bronzi di Riace, custoditi presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, raffiguri proprio Anfiarao.
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### Titolo: Anfidamante (argonauta).\n### Descrizione: Anfidamante (in greco antico: Ἀμφιδάμας, Amphidàmās) era un eroe di Tegea, figlio di Aleo e di Neera e fratello di Auge, Cefeo e Licurgo (secondo alcuni autori) mentre secondo altri Anfidamante stesso è figlio di Licurgo re di Arcadia.\n\nMitologia.\nPadre di Antimache e di Melanione (un altro argonauta), partecipò secondo Apollonio Rodio alla spedizione di Giasone per il recupero del vello d'oro ed alla spedizione degli Argonauti.
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### Titolo: Anfiloco (figlio di Anfiarao).\n### Descrizione: Anfiloco (in greco antico: Ἀμϕίλοχος?, Amphílochos) è un personaggio della mitologia greca che partecipò alla guerra di Troia.\n\nMitologia.\nFratello di Alcmeone e figlio di Erifile, fu uno degli epigoni che parteciparono alla spedizione contro Tebe.\nFu anche uno dei partecipanti alla guerra di Troia e fu scelto come fiero combattente su cui credevano i greci, fino a farlo rinchiudere nel cavallo di Troia fatto costruire da Ulisse.\nAlcuni ritengono il figlio di Anfiarao uno dei responsabili della morte di Erifile sua madre (che fu uccisa da Alcmeone). Si racconta che in punto di morte lei maledisse il solo Alcmeone anche se in suo aiuto c'era suo fratello Anfiloco.\nL'eroe è anche ricordato per la sua abilità di veggente. A pari del padre, fu ucciso da Apollo.
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### Titolo: Anfinomo e Anapia.\n### Descrizione: Anfinomo e Anapia (in greco antico: Ἀμφίνομος?, Amphínomos e Ἀναπίας, Anapías), detti in latino Pii fratres ('fratelli pii') o fratres Catanenses ('fratelli catanesi'), sono due fratelli protagonisti di un racconto mitologico.\n\nMito.\nAnfinomo e Anapia vivevano nella città di Catania, ai piedi dell’Etna.\nIn una eruzione del vulcano, il fuoco raggiunse ed incendiò Catania. Mentre gli abitanti cercavano di salvare le proprie ricchezze, i due fratelli pensarono solamente a porre in salvo i loro genitori. L’uno caricò il padre, l’altro la madre sulle spalle, fuggirono attraverso le fiamme che divoravano tutte le case della loro strada. Gli Dei, mossi dalla pietà filiale di questi due fratelli, fecero sì che le fiamme non li toccassero, lasciando loro libero il passaggio.Anfinomo e Anapia si resero tanto celebri per tale azione, che vennero chiamati 'pii' e Siracusa e Catania iniziarono a disputarsi l’onore di aver loro dato culla e fecero gara nell'innalzare templi alla pietà filiale in memoria di tale avvenimento.L'episodio, narrato nell’Appendix Vergiliana, era ben noto nell'antichità come esempio di pietas, cioè la devozione filiale. Era considerato un vanto di Catania ed era spesso rappresentato in monete battute in questa città.\n\nRaffigurazioni numismatiche.\nOltre a due denari e alla moneta di bronzo di Katane, esiste anche un'altra moneta di Catania legata a questo episodio. Presenta al diritto Dioniso e al rovescio i pii fratres.
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### Titolo: Anfione.\n### Descrizione: Anfione (in greco antico Ἀμφίων Amphìōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Zeus e Antiope (a sua volta figlia di Nitteo di Tebe e di Polisso).\nSecondo la tradizione, è ricordato come gentile d'animo e cultore della musica e della poesia.\n\nMitologia.\nAntiope fu cacciata dal padre Nitteo, quando questi conobbe della gravidanza della figlia così si rifugiò allora a Sicione, presso lo zio Lico, dove fu trattata da prigioniera. Qui la ragazza diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto e quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che questi venissero abbandonati sul Monte Citerone dove li trovò un pastore che e li prese con sé. Antiope fu quindi riportata nella Cadmea, l'antica rocca di Tebe, dove Lico e sua moglie, Dirce, avevano occupato il trono lasciato vacante dalla morte di Nitteo. Anche qui Antiope fu trattata da schiava, ma riuscì a fuggire e ritornare dai suoi figli.\nDivenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico. Poi attaccarono Dirce ad un toro, che la trascinò via uccidendola. I fratelli divennero i nuovi re di Tebe, ma fu Anfione il vero governatore della città. Essi fondarono anche le mura della città, che fino ad allora aveva solo una rocca, detta Cadmea: Zeto portava le pietre, Anfione le sistemava grazie al suono magico della sua lira. Secondo la leggenda costruì con la musica le mura di Tebe, sia per la capacità di incantare gli animali selvaggi, sia per il potere ordinatore che costringeva i massi a prendere spontaneamente il loro posto nelle mura di una città. Anfione e Zeto governarono in accordo le due città. Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo ed ebbero quattordici figli, sette maschi e sette femmine; sua moglie si insuperbì per questo e osò paragonarsi alla dea Latona, la quale aveva solo due figli, Artemide ed Apollo, sentendosi superiore ad essa. Offesa, la dea ordinò ai suoi figli di sterminare la progenie dei sovrani. A seguito della strage dei suoi amati figli, Anfione impazzì e tentò di distruggere il tempio di Apollo, venendo ucciso dal dio stesso, mentre Niobe, distrutta dal dolore, fu mutata in pietra, per poi essere trasportata in Frigia sul monte Sipilo, dove ancora non cessa di piangere.
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### Titolo: Anfisso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Anfisso (in greco antico: Ἄμφίσσος) era il nome di uno dei figli di Apollo e di Driope.\n\nIl mito.\nApollo, dio dalle molte abilità, figlio di Zeus un giorno si giacque con Driope che custodiva un gregge, e per sedurla dovette trasformarsi in diversi animali, dalla loro unione nacque Anfisso.\nIl ragazzo una volta cresciuto diventò il fondatore della città di Eta, e subito per dimostrare riconoscenza al padre eresse nella città un grande tempio dedicato al dio. Sua madre divenne sacerdotessa proprio in quel tempio.
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### Titolo: Anfizione.\n### Descrizione: Anfizione (in greco antico: Ἀμφικτυών?, Amphiktyṑn) è un personaggio della mitologia greca, successe a Cranao divenendo il terzo mitologico re di Atene.\n\nGenealogia.\nSecondo figlio di Deucalione e Pirra, nonostante ci sia anche una tradizione che lo indica come autoctono (nato dalla terra) ed è anche descritto come figlio di Elleno, figlio di Deucalione e Pirra.\nPausania sostiene che sposò la figlia di Cranao, e che ebbe un figlio di nome Itono e taluni aggiungono che Anfizione ebbe un altro figlio, Fisco, da Ctonopatra, la figlia di suo fratello Elleno ma altri, al contrario, sostengono che Fisco fu nipote di Anfizione e figlio di Etolo.\nSempre Pausania scrive che ebbe anche una figlia, che divenne madre di Cercione e Trittolemo, anche se a entrambi sono assegnate anche diverse ascendenze. Robert Graves cita infine Metanira come figlia di Anfizione.\n\nMitologia.\nAnfizione era re delle Termopili e sposò una figlia di Cranao di Atene. Secondo alcuni resoconti questa figlia si chiamava Attide, nonostante ciò entri in conflitto con altre fonti che quest'ultima morì giovane e vergine non sposata.\nAnfizione si proclamò re di Atene nell'epoca conosciuta come Cecropia, (dopo il semiumano Cecrope e Cranao, quest'ultimo suo suocero e da lui deposto) e città su cui avrebbe regnato tra il 1497 a.C. e il 1487 a.C..\nAnfizione è ricordato anche come il capostipite delle genti greche assieme ad Elleno e per aver cambiato il nome della città (in Atene, in onore della dea Atena), una volta salito al trono.\nAnfizione regnò su Atene per dieci o dodici anni e fondò la Lega anfizionica, che nell'antichità si riuniva per tradizione alle Termopili. Si pensava che, durante il suo regno, Dioniso avesse visitato Anfizione ad Atene e gli avesse insegnato come diluire il vino con l'acqua nelle giuste proporzioni. Anfizione fu deposto da Erittonio, un altro re autoctono di Atene.
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### Titolo: Anfora panatenaica.\n### Descrizione: Le anfore panatenaiche sono anfore prodotte per contenere l'olio sacro che nell'antica Grecia veniva consegnato come premio agli atleti vincitori dei giochi panatenaici. Prodotte a partire dalla metà del VI secolo a.C. (nel periodo dei ceramografi Kleitias e Lido) e decorate con la tecnica a figure nere, questi vasi ufficiali mantennero tradizionalmente questo tipo di decorazione fino al II secolo a.C. Sono giunte sino a noi centinaia di anfore panatenaiche, la prima databile al secondo quarto del VI secolo a.C. (le gare di atletica sono state introdotte alle Panatenee nell'anno 566 a.C.), l'ultima all'età ellenistica. Era una commissione statale dunque molto remunerativa per il ceramista che la riceveva. Metà delle anfore giunte sino a noi è stata ritrovata in Attica, molte, data la loro preziosità, furono vendute e portate altrove.\nLa forma essenziale del vaso con il corpo ampio, il collo corto e sottile, la base affusolata e il piede piccolo rimase la stessa nel corso dei secoli, cambiò invece la parte decorativa che si adattava col tempo al cambiamento del gusto. I temi delle decorazioni rimasero gli stessi: sul fronte la figura di Atena, in atteggiamento bellicoso, tra due colonne sormontate da galli (le colonne potevano riferirsi al tempio della dea o forse erano solo un supporto per i galli, simbolo di spirito combattivo) e con l'iscrizione standard 'ton Athenethen athlon' ([io sono] dei Giochi Atenaici); sul retro veniva rappresentata una specialità dei giochi, quella in cui si era distinto il vincitore. A partire dal IV secolo a.C. queste opere recano la data della raccolta delle olive (indicata col nome dell'arconte), divenendo particolarmente utili per le datazioni; inoltre da questo momento solo le scene sul retro seguono l'evolversi dello stile mentre sul fronte la figura di Atena, a parte il cambiamento di profilo per cui inizia ad essere rivolta a destra anziché a sinistra, si allontana nel disegno dall'evoluzione stilistica contemporanea, seguendo una maniera tradizionale e arcaizzante, come accadde anche sulle contemporanee monete ateniesi.\n\nStoria e descrizione.\nL'Anfora Burgon (Londra B 130), così chiamata dal nome dello scopritore, è la prima anfora panatenaica giunta sino a noi; è stata vinta per una gara equestre e potrebbe essere antecedente al 566 a.C. È un vaso robusto e poco slanciato, una forma che si evolverà col tempo verso una maggiore eleganza la quale diverrà addirittura eccessiva nei modelli del tardo IV secolo a.C. L'immagine di Atena sull'Anfora Burgon è una figura massiccia con un peplo semplice, diritto e senza pieghe; la decorazione non è ancora canonica, non esistono le colonne ai lati della figura, non c'è la fascia di linguette sopra l'immagine e sul collo del vaso vi sono una sirena e una civetta invece del disegno floreale che diverrà canonico in seguito.\nUn'anfora panatenaica frammentaria conservata ad Halle, contemporanea dell'Anfora Burgon o leggermente posteriore, mostra sul retro una scena con tre velocisti robusti in un esempio di quell'atteggiamento nella corsa che appare per la prima volta in questo periodo, con la gamba davanti sollevata contemporaneamente al braccio corrispondente. Il disegno sul collo del vaso è floreale, ma non ancora di tipo canonico.\n\nIl successivo vaso completo è a Firenze e ancora non presenta le caratteristiche canoniche delle anfore di questa classe: assenza di colonne e iscrizione orizzontale sul retro, sulla parte anteriore del vaso un uomo nudo (il vincitore) si erge di fronte ad Atena come non avverrà più in seguito. Atena però ha già un tallone leggermente sollevato da terra, posizione che verrà mantenuta e che infonde un senso di movimento; la forma è ormai canonica anche per la fascia floreale sul collo che è del tipo a palmette in seguito comunemente accettato. L'anfora è stata attribuita a Lido: lo stile del disegno è molto simile al suo e specialmente ad una oinochoe tarda conservata a Berlino (Berlin 1732).\nCon l'anfora panatenaica del British Museum (London B 134) incontriamo il primo autore specializzato in questo tipo di produzione stando al notevole numero di queste anfore giunto sino a noi; viene chiamato Pittore di Euphiletos, dall'iscrizione kalos che su questa stessa anfora di Londra circonda la ruota del carro, emblema sullo scudo di Atena. L'Atena del Pittore di Euphiletos è una figura energica con molte pieghe nelle vesti che aumentano il senso del movimento e ha un elmetto meno semplice rispetto agli esempi precedenti. Il vaso era un premio per il pentathlon; le figure degli atleti sul retro del vaso appaiono slanciate e vivaci, ma ancora rigide nei movimenti.\n\nAlla fine del VI secolo a.C. appartengono le anfore panatenaiche del Gruppo di Leagros. L'Atena sul vaso di New York ha cambiato costume e indossa un chitone invece del peplo. Il bordo dello scudo non è più rosso, ma nero con punti rossi; l'emblema sullo scudo in tutte le anfore panatenaiche del Gruppo di Leagros è una sirena e da questo momento in poi ogni pittore tenderà a dipingerne uno unico e caratteristico.\nI due grandi pittori del periodo tardo-arcaico a figure rosse sono il Pittore di Kleophrades e il Pittore di Berlino. Un terzo artista a figure rosse che ha dipinto anfore panatenaiche è il Pittore di Eucharides. Del Pittore di Kleophrades ci sono giunte numerose anfore panatenaiche: l'emblema sui suoi scudi di Atena è sempre Pegaso. Le anfore panatenaiche del Pittore di Berlino appartengono al suo ultimo periodo, dopo il 480 a.C.; si tratta di una lunga serie di vasi premio, i primi attribuibili alla sua mano, quelli successivi ad un allievo e seguace, il Pittore di Achille. La prima delle anfore panatenaiche del Pittore di Berlino apparteneva alla collezione del marchese di Northampton presso Castle Ashby ed ora è a New York; mostra, nella scena della corsa sul retro, un esempio raro a questa data di movimento alternato braccio-gamba: in tutte e quattro le figure la gamba sinistra e il braccio destro vanno avanti insieme, e così la gamba destra e braccio sinistro.\nAlla fine del V secolo a.C. e all'inizio del IV lo stile attraversa una fase di decadenza. Ne è un esempio l'anfora del British Museum B 605 che è interessante però per l'emblema sullo scudo di Atena: rappresenta le statue in bronzo dei Tirannicidi eseguite da Crizio e Nesiote nell'anno 476 a.C. Lo stesso emblema si trova su due anfore panatenaiche dello stesso periodo ma eseguite da un pittore diverso. Si è pensato che la scelta di questo emblema commemorasse l'espulsione di altri tiranni, i Trenta, e il ripristino del regime democratico ad Atene, nell'autunno dell'anno 403 a.C; le anfore sarebbero state offerte come premi ai giochi panatenaici del 402 a.C.\nNel IV secolo a.C. inizia la pratica di inscrivere le anfore panatenaiche con il nome dell'arconte dell'anno in cui era avvenuta la raccolta dell'olio. Una delle più antiche anfore panatenaiche di questa nuova serie è l'anfora di Berlino (n. inv. 3980) che è stata datata, malgrado il pessimo stato di conservazione dell'iscrizione, al 392/1 a.C. (arconte Philokles). Le proporzioni di Atena, dopo una fase di assottigliamento eccessivo, tornano ad essere normali e il panneggio torna ad essere piano. I galli sono stati sostituiti da 'simboli', ovvero piccoli disegni che spesso riproducono una statua, che cambiano di anno in anno e possono essere paragonati ai 'simboli' presenti sulle monete.\nTra il 359 e il 348 a.C. viene introdotto un cambiamento nella figura di Atena dando inizio ad una nuova serie. La dea si volta ora a destra invece che a sinistra mostrando la parte interna dello scudo. La gonna si allunga e l'egida si riduce ad una semplice fascia incrociata con un piccolo gorgoneion al centro. Un mantello a coda di rondine viene indossato sopra le spalle; la coda di rondine non corrisponde a nulla di arcaico, ma diviene una caratteristica dei lavori arcaistici dall'inizio del IV secolo a.C. in poi. Da questo momento il verso delle anfore panatenaiche varia nello stile e nella composizione, ma il lato frontale si riduce ad uno schema.\nL'ultimo nome di arconte che appare, su un piccolo frammento, sulle panatenaiche esistenti, è Polemone, 312/311. Non si sa per quanto tempo ancora la pratica fosse rimasta in uso, le anfore panatenaiche ellenistiche portano i nomi di magistrati minori le cui date sono raramente note. Nel periodo ellenistico non solo lo stile, ma anche la qualità tecnica delle anfore diminuisce.
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### Titolo: Angelia (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Angelia (in greco:Ἀγγελία), figlia di Ermes era lo spirito di messaggi, notizie e proclami.
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### Titolo: Aniceto (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aniceto (in greco antico: Ἀνίκητος) era il nome di uno dei figli di Eracle e di Ebe.\n\nIl mito.\nPrima che Eracle bruciasse sul rogo, Zeus impietosito prelevò il suo corpo e se lo portò con sé sull'Olimpo dove venne accolto benevolmente da tutti gli dei compresa Era. La sua rinascita e quindi la conquista dell'immortalità gli permette di unirsi in matrimonio con la dea della giovinezza, la bella Ebe, coppiera degli dei, figlia dello stesso Zeus ed Era. Da tale unione nacquero Alessiare o Alexiare e Aniceto.
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### Titolo: Anima gemella.\n### Descrizione: Nell'amore romantico, per anime gemelle si intendono due persone fra cui esiste un'affinità spirituale e sentimentale talmente profonda da poter essere interpretata come segno che tali persone fossero predestinate ad amarsi. Nel linguaggio comune, lo stesso concetto viene comunemente espresso facendo riferimento alla metafora della 'mezza mela', per cui le due anime gemelle sono complementari come le due parti ottenute tagliando di netto una mela a metà. Il concetto di 'anima gemella' è in genere associato all'implicazione che esista un solo partner amoroso predestinato per ciascuna persona, e quindi è affine e correlato a quello di vero amore.\n\nIl Simposio.\nUna delle immagini classiche associate all'idea di 'anima gemella' è quella riportata nel Simposio di Platone, in cui viene riportato ed elaborato il mito greco degli androgini. Secondo questo mito, all'origine dei tempi gli esseri umani non erano suddivisi per genere, e ciascuno di essi aveva quattro braccia, quattro gambe e due teste. Col tempo gli ermafroditi cominciarono ad essere insolenti nei confronti degli dei e questi, per punizione, li separarono in due parti con un fulmine, creando da ogni essere umano primordiale un uomo e una donna. Come conseguenza, ogni essere umano cerca di ritrovare la propria iniziale completezza cercando la propria metà perduta. Secondo il mito però, gli esseri umani erano una coppia che poteva essere formata sia da due uomini sia da due donne.
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### Titolo: Anio (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Anio era il nome di uno dei figli di Apollo, e Creusa o Reo. Appare in diversi testi tra cui l' Eneide e le Metamorfosi.\n\nIl mito.\nNascita.\nAnio era il figlio del dio Apollo che generò con Reo figlia di Stafilo. Il padre avendo scoperto la figlia incinta la rinchiuse in un cofano e la gettò nel mare. Grazie ad Apollo il bimbo nacque e rimase in vita.\n\nRegno.\nAnio era primo sacerdote di Delo, grazie a suo padre, in seguito per eredità di Radamanto, divenne re della stessa città. Quando Menelao giunse da lui Anio predisse che la guerra che dovevano intraprendere sarebbe durata 10 anni. Per mezzo di lui 'fasciato alle tempie di bende e alloro', nell'Eneide (III, v. 80 e ss.), Enea e Anchise possono ascoltare a Delo l'oracolo di Apollo di 'seguire l'antica madre', l'antica terra di Dardano, avo dei Troiani (...antiquam exquirite matrem).\n\nDiscendenza.\nDa Dorippa, ebbe tre figlie, Elaide, Spermo e Eno, che « dedicò [...] a Dioniso, pensando fosse bene avere due dèi come protettori della famiglia »: in cambio, Dioniso donò alla prima il potere di trasformare in olio tutto ciò che toccava, alla seconda di tramutare tutto in grano, alla terza in vino. Per questo vennero chiamate le Vignaiole od Oinotrope. Grazie a loro Anio poté rifornire con le suddette provviste i greci che partivano per la guerra di Troia.\nAgamennone volle allora portare le Oinotrope con sé, ma Anio rispose a Menelao e Odisseo, ambasciatori giunti a Delo per conto del condottiero miceneo, che gli dèi avrebbero permesso la capitolazione di Troia solo dopo dieci anni. Gli Achei allora tentarono di rapire le fanciulle, che fuggirono e furono infine trasformate in colombe da Dioniso. Da quel momento Anio iniziò a parteggiare per i Troiani; ospitò tra l'altro Enea durante il suo viaggio verso l'Italia.\nAnio ebbe anche un figlio maschio, chiamato Androne, che divenne re di Andro ed ebbe come il padre poteri divinatori.
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### Titolo: Anite di Tegea.\n### Descrizione: Anite di Tegea (in greco antico: Ἀνύτη Τεγεᾶτις?, Anýtē Tegeâtis; Tegea, fine del IV secolo a.C. – III secolo a.C.) è stata una poetessa greca antica.\n\nBiografia.\nAnite, proveniente da Tegea, in Arcadia, fu autrice di epigrammi ed epitaffi, nonché, a quanto pare, di componimenti di ispirazione epica, tanto che l'epigrammista Antipatro di Tessalonica la inserì tra le nove muse terrene, definendola 'Omero donna'.Secondo molte fonti era a capo di una scuola di poesie e letteratura nel Peloponneso, di cui potrebbe essere stato allievo Leonida di Taranto, sicché ben si comprende come i suoi concittadini le avessero eretto una statua nel 290 a.C..\n\nEpigrammi.\nDiciannove dei suoi epigrammi, scritti in dialetto greco dorico, sono tramandati nel corpus dell'Antologia Palatina; altri due sono di attribuzione incerta.Singolari sono i toni epici della sua poesia, ispirata alle leggende dell'Arcadia, ma è ricordata soprattutto per la sensibilità dei suoi epigrammi funebri.\nTalvolta Anite evoca un paesaggio agreste, dipingendo vividamente la natura selvatica. Per prima sperimentò la fortunata commistione tra l'epigramma funebre e quello bucolico, dando vita a epitaffi delicati e patetici in cui narra l'ingiusta morte di animali, tema poi ripreso anche da Catullo nel Carme III del suo Liber.\n\nLa personalizzazione dell’epigramma è una delle più grandi innovazioni introdotte dalla poetessa: l'epitaffio passa dalla pietra alla letteratura trasformandosi in un genere soggettivo.\nTra le tematiche affrontate non manca l’attenzione per il mondo femminile, tipica di Saffo e poi anche di Nosside di Locri, e manifestata negli epitaffi dedicati alle fanciulle decedute poco prima delle nozze.\n\nPer concludere, non si può escludere che la poetessa si sia spostata dall’Arcadia, principalmente perché nei suoi epigrammi dimostra di conoscere la realtà marina, quando descrive una statua che guarda il mare. Questo dettaglio potrebbe far rientrare Anite nel novero delle 'poetesse vaganti' che si spostavano da una sede all'altra del mondo greco per diffondere i loro canti:.\n\nIn letteratura.\n\nAnite di Tegea poesia della scrittrice italiana Sabrina Gatti, tratta dalla raccolta La pioggia sui vetri, Sabrina Gatti, LDS Edizioni.
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### Titolo: Antagora.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Antagora (in greco antico: Ἀνταγόρας) era il nome di uno dei figli di Euripilo.\n\nIl mito.\nAntagora, un semplice pastore di Coo, un giorno incontrò Eracle, gettato dalla burrasca sull'isola. Entrambi desideravano un ariete che passava vicino e decisero di disputare una gara di lotta per decidere a chi dovesse andare. Antagora fu aiutato da una schiera di Meropi e alla fine sopraffece Eracle, che dovette fuggire con abiti femminili, recuperati a casa di una donna, una certa matrona tracia.\nIn seguito, si rifocillò a dovere, si riposò e pieno di energie affrontò di nuovo i suoi avversari e li sconfisse duramente, purificandosi in seguito con il loro sangue.\n\nPareri secondari.\nSecondo altri autori l'ariete era del pastore ed Ercole propose di comprarla.
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### Titolo: Antela.\n### Descrizione: Antela (in greco antico: Ἀνθήλη?) era un villaggio dell'antica Grecia, di cui racconta lo storico Erodoto nelle sue Storie.\n\nIl mito.\nSi racconta che tale villaggio sorgesse a metà strada fra il fiume Fenice e le Termopili. Vicino alla cittadina scorreva l'Asopo e si festeggiava Demetra Anfizionide.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nAnfizione era uno dei figli di Deucalione. Un mito racconta che il re fondò una lega che coinvolse 12 popoli dell'epoca. Tale consiglio si radunava due volte all'anno: a Delfi ed a Antela (in autunno). Tale modello in seguito verrà studiato anche da Dionisio di Alicarnasso.
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### Titolo: Antemione.\n### Descrizione: Antemione (in greco antico: Ἀνθεμίων) è un pastore troiano menzionato nel IV libro dell’Iliade.\nEra il padre dell'eroe Simoesio, giovanissimo guerriero troiano che morì eroicamente durante uno dei tanti scontri nel decennale assedio della città, trafitto con la lancia da Aiace Telamonio.\n' Qui fu che Aiace Telamonio il figlio.\nd'Antemion percosse, il giovinetto.\nSimoesio, cui scesa dall'Idee.\ncime la madre partorì sul margo.\ndel Simoenta, un giorno ivi venuta.\nco' genitori a visitar la greggia;.\ne Simoesio lo nomâr dal fiume. '.\n(Omero, Iliade, libro IV, traduzione di Vincenzo Monti).\nNulla si sa sul destino di Antemione.\n\nVoci correlate.\nSimoesio.
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### Titolo: Antenore.\n### Descrizione: Anténore è un personaggio della mitologia greca il cui nome è legato a vari miti.\n\nI miti.\nFiglio del re Dardano, Capi (oppure di un troiano di nome Aesiete), Antenore viene descritto nell'Iliade come un vecchio eminente e saggio troiano che implora i suoi concittadini affinché essi restituiscano Elena al marito, Menelao, per scongiurare il conflitto con gli Achei. Tale richiesta resterà inascoltata, per il prevalere del partito favorevole alla guerra, riunitosi intorno all'altro consigliere di Priamo, Antimaco.\nAntenore sposò Teano, adottando Mimante, il bimbo nato da un precedente matrimonio della moglie, dalla quale ebbe poi numerosi figli, tutti maschi, che presero parte alla difesa di Troia: a Coone, il maggiore, seguirono Glauco, Agenore (padre di Echeclo, pure lui guerriero benché ancora giovinetto), Archeloco, Acamante, Achelao, Eurimaco, Elicaone, Demoleonte, Laodamante, Laodoco, Anteo, Polibo, e Ifidamante, l'ultimogenito. Una versione lo dice padre pure di Laocoonte.\nSi unì anche ad una schiava, dalla quale ebbe un figlio di nome Pedeo, allevato con affetto dalla sua moglie legittima. Nei cinquanta giorni di guerra narrati nell'Iliade, Antenore perde sette figli e il nipote Echeclo.\nDa molti autori classici e medievali Antenore è indicato come un traditore. Ad esempio secondo le versioni di Ellanico, Servio Mario Onorato o Ditti Cretese, Antenore tradì i Troiani, consegnando ad Ulisse e Diomede il Palladio, talismano della invincibilità troiana, avendo in cambio salva la vita per sé e la propria famiglia. Dopo la distruzione di Troia, Antenore raggiunse il nord Italia (è considerato il fondatore di Padova e il capostipite dei Veneti). Secondo Tito Livio, invece, Antenore ottenne la libertà dagli Achei grazie al ruolo moderato che avrebbe svolto durante la guerra. Comunque siano andate le cose, egli giunse nel Veneto con la moglie, i figli superstiti e alcuni alleati dei Troiani (i Meoni di Mestle e i Paflagoni rimasti senza guida dopo la morte del loro comandante Pilemene), e fondò Antenorea, denominata in seguito Padova, dove poi morì. Qui sorgerebbe anche la sua tomba.\n\nProgenie di Antenore.\nLetteratura postclassica.\nDante Alighieri nominò Antenora la zona dell'Inferno (IX girone) dove sono puniti i traditori della patria prendendo spunto da leggende medievali legate al suo nome.
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### Titolo: Anteros.\n### Descrizione: Nelle religioni dell'antica Grecia, Anteros (in greco antico: Ἀντέρως?, Antérōs) è il dio dell'amore corrisposto, e dell'amore che reclama e rivendica giustizia quando il sentimento d'amore viene tradito.\n\nIl mito.\nAnteros fa parte della schiera di Eroti, le divinità greche dell'amore. Secondo il mito, era nato spontaneamente dall'amore che il dio dei mari Poseidone e il suo auriga Nerito, unico figlio maschio del vecchio dio marino Nereo, nutrivano reciprocamente. Stando a un'altra versione - attestata per la prima volta solo in epoca tardo bizantina - era fratello di Eros, e dunque figlio di Afrodite: un giorno la dea andò a lamentarsi con Prometeo del fatto che il piccolo Eros non crescesse, così lo scaltro dio le rispose che Eros non sarebbe mai cresciuto finché non avesse avuto l'amore di un fratello. Afrodite diede così alla luce Anteros e da quel momento i due fratelli crebbero insieme. Questo tenero e pedagogico racconto insegna che l'amore (Eros) per crescere ha bisogno di essere corrisposto (Anteros).\nUna storia raccontata da Pausania rappresenta invece il lato oscuro del nome di Anteros. Un tempo, nella città di Atene, vivevano il cittadino Melete e il meteco Timagora. Quest'ultimo era perdutamente innamorato di Melete, che tuttavia sprezzava l'incondizionato sentimento del povero straniero. Un giorno Melete liquidò lo spasimante dicendogli di gettarsi da una rupe; ma quando venne a sapere che Timagora, disperato, aveva eseguito il volere dell'amato, preso dal rimorso si buttò giù dalla stessa rupe. Così, in ricordo di Timagora, i meteci eressero un altare e lo dedicarono all''Amore vendicato' (Anteros).
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### Titolo: Antica Libia.\n### Descrizione: Il nome Libia (in greco antico: Λιβύη?, Libyē; in latino Libia) si riferiva in antichità alla regione ad ovest del Nilo, corrispondente grosso modo al moderno Maghreb. Era conosciuta come 'Tjehenu' dagli antichi egizi.\nNel periodo ellenistico, i berberi erano conosciuti come libici. Le loro terre erano chiamate 'Libia' e si estendevano dal Marocco moderno ai confini occidentali dell'antico Egitto. L'Egitto moderno contiene l'oasi di Siwa, che faceva parte dell'antica Libia. La lingua siwi, una lingua berbera, è ancora parlata nella zona.\nPiù strettamente, il toponimo faceva riferimento al paese immediatamente ad ovest dell'Egitto, vale a dire la Marmarica (Libia Inferiore) e la Cirenaica (Libia Superiore). Il Mar Libico o Mare Libycum era la porzione del Mar Mediterraneo a sud di Creta, tra Cirene ed Alessandria d'Egitto.
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### Titolo: Antifate (Iliade).\n### Descrizione: Antifate (in greco antico: Ἀντιφάτης) è un personaggio della mitologia greca, menzionato nell'Iliade di Omero.\nAntifate era un guerriero troiano che combatté per la difesa della sua città assediata dagli Achei. Fu ucciso dal lapita Leonteo.
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### Titolo: Antifo (figlio di Tessalo).\n### Descrizione: Antifo (in greco antico: Ἄντιφος?, Ántiphos) era un personaggio della mitologia greca. Acheo e figlio di Tessalo (un discendente di Eracle) e di Calciope figlia di Euripilo re di Coo.\n\nMitologia.\nAntifo parti per Troia assieme al fratello Fidippo (in quel periodo re di Coo) e dopo aver raccolto gli eserciti della loro città e quelli di Calimno, Scarpanto, Caso e Nisiro i due proseguirono al comando di trenta navi. Nei combattimenti Antifo venne ucciso da Ettore, o secondo altri autori da Sarpedonte.Di Antifo altri autori raccontano che riuscì a sopravvivere alla guerra e nel ritorno a casa una tempesta lo dirottò in una terra che in seguito chiamò con il nome di suo padre Tessaglia.
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### Titolo: Antigone (figlia di Edipo).\n### Descrizione: Antigone (in greco antico: Ἀντιγόνη?, Antigónē) è un personaggio della tragedia greca, figlia del rapporto incestuoso tra Edipo, re di Tebe, e sua madre Giocasta. Antigone era sorella di Ismene, Eteocle e di Polinice.\nLa storia di Antigone inizia laddove termina la tragedia di Sofocle Edipo re, ovvero quando Edipo va in esilio. Quando Edipo si rese conto di ciò che aveva compiuto e cioè di avere ucciso il padre e avere sposato la madre, Giocasta, si accecò e, scacciato da Tebe, peregrinò per tutta l'Attica accompagnato dalle figlie Antigone e Ismene. Quando giunse presso il bosco sacro alle Eumenidi, nel quale era vietato l'ingresso ai profani, egli decise di entrarvi e perciò le Eumenidi stesse, irate, fecero strazio del suo corpo. Antigone a questo punto decise di ritornare a Tebe, dove era appena iniziata la guerra dei Sette contro la città, causata da discordie fra i suoi fratelli Eteocle e Polinice, che vicendevolmente si erano uccisi. Quando vi giunse Creonte, il nuovo re di Tebe, fratello di Giocasta, emanò un bando che proibì la sepoltura di Polinice poiché si era alleato per la battaglia contro il fratello con la città di Argo, lasciando il suo corpo giacente in pasto ai cani.\nAntigone decise di disobbedire agli ordini di Creonte e seppellire degnamente suo fratello Polinice. Chiese allora aiuto alla sorella Ismene, che però rifiutò per paura di essere scoperta e punita. Antigone diede un'onorata sepoltura al fratello ma venne scoperta. Il re diede così ordine di murarla viva in una grotta.\nIl promesso sposo di Antigone, Emone si recò da Tiresia, l'indovino cieco, che individuò la prigione-tomba dove venne rinchiusa, ma una volta aperta la fanciulla al suo interno era già morta. Alla vista del corpo, Emone, figlio di Creonte, si tolse la vita. In seguito, però, anche la madre di Emone, Euridice, decise di uccidersi, provocando così la disperazione di Creonte che rimase solo.\nAntigone è anche il personaggio principale della tragedia Antigone di Sofocle, la quale ispirò numerose successive tragedie omonime.\n\nGenealogia.\nAdattamenti.\nAntigone, una delle tragedie del Ciclo tebano di Sofocle (497 a.C. – 406 a.C.) - La versione più conosciuta.\nAntigone, tragedia di Euripide (ca. 480 – 406 a.C.) perduta ad eccezione di alcuni frammenti.\nAntigona tragedia perduta di Accio.\nAntigone, traduzione poetica del testo sofocleo di Luigi Alamanni (1520-1527).\nAntigona, opera di Tommaso Traetta, libretto di Marco Coltellini (1772).\nAntigone, tragedia di Vittorio Alfieri (1783-1789).\nAntigona, opera di Josef Mysliveček, libretto di Gaetano Roccaforte (1774).\nAntigone tragedia di Jean Cocteau (1889–1963).\nAntigone, opera di Arthur Honegger (1892–1955).\nAntigone, opera di Carl Orff (1895–1982).\nAntigone, di Walter Hasenclever (1917).\nΑντιγόνη (Antigone), opera di Mikīs Theodōrakīs (B. 1925).\nAntigone (1990/1991), opera di Ton de Leeuw (B. 1926).\nAntígona Furiosa (Antigone furiosa), tragedia di Griselda Gambaro (b. 1928), tradotta nel saggio di Ettore Mazzocca Antigone furiosa (2016).\nLa Pasión Según Antígona Pérez (The Passion according to Antigone Pérez), adattamento da Sofocle di Puerto Rican e Luis Rafael Sánchez (B. 1936), updated to 20th century Latin America.\nAntígona, tragedia di Salvador Espriu (1939).\nAntigone (1941-1943) dramma in un atto unico di Jean Anouilh.\nTegonni, An African Antigonedi Femi Osofisan (B. 1946).\nAntigone, adattamento da Sofocle dello scrittore peruviano José Watanabe (B. 1946).\nAntigone, adattamento di Bertolt Brecht della tragedia di Sofocle basato sulla traduzione di Friedrich Hölderlin e pubblicato con il titolo Antigonemodell 1948.\nAntigone, opera di Mark Alburger (B. 1957).\nAntigone, opera buffa di David Hopkins (B. 1977).\nAntigone di Henry Bauchau.\nAntígona Vélez (1950), adattamento da Sofocle dell'argentino Leopoldo Marechal (1900–1970).\nAntigonai (2009), opera incentrata su tre cori, più Antigone, diretta dall'argentino Carlos Stella.\n\nAltri progetti.\nWikiquote contiene citazioni di o su Antigone.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Antigone.\n\nCollegamenti esterni.\nMoreno Morani, L'Antigone di Sofocle e le sue letture moderne, Nuovo Areopago, n. 3, autunno 1982, su rivistazetesis.it.
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### Titolo: Antileone (personaggio mitologico).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Antileone (in greco antico: Ἀντιλέων) era uno dei figli di Eracle e di Procri.\n\nIl mito.\nEracle, famoso eroe greco, celebre per aver compiuto le dodici fatiche, un giorno ebbe una relazione con la figlia maggiore di Tespio, re di Tespie, marito di Megamede, figlia a sua volta di Arneo, che volendo assicurarsi un degno erede, forte e di discendenza divina riuscì a far giacere l'eroe greco con tutte le sue cinquanta figlie.\nL'unione nacque con l'inganno poiché Eracle era convinto che ogni volta giacesse con la sola Procri.\nDa tale unione nacquero Antileone e il suo gemello Ippeo, in compagnia di altri 49 fratelli.\nFu Antileone, essendo il figlio della sorella maggiore di tutte e cinquanta ed anche il primo nato fra i vari figli ad essere il successore del nonno con l'aiuto del gemello.
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### Titolo: Antiloco.\n### Descrizione: Antiloco (in greco antico: Ἀντίλοχος?, Antílochos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Nestore (quindi il suo patronimico era Nestoride) e di Anassibia, figlia a sua volta di Cratieo, o secondo altre leggende di Euridice.Fu un valoroso guerriero acheo amico di Achille; nel suo affetto veniva subito dopo Patroclo.\n\nIl mito.\nGiovinezza.\nAntiloco venne esposto sin da neonato sul monte Ida per volontà della madre, ma qui venne miracolosamente allattato da una cerbiatta. Essendo troppo giovane al tempo dello scoppio della guerra di Troia, egli non si imbarcò col padre durante la riunione ad Aulide, ma raggiunse gli Achei alcuni anni dopo, portando con sé da Pilo venti navi. Quando Nestore, adirato, scoprì che il figlio era giunto in Troade, Antiloco supplicò Achille di aiutarlo nel risolvere la questione. L'eroe riuscì a placare l'anziano re di Pilo, e infine presentò egli stesso il giovane Antiloco ad Agamennone.Nestore venne a conoscenza di un oracolo che lo metteva in guardia dall'esporre Antiloco agli Etiopi, alleati dei Troiani; per evitare la sua morte, l'anziano re assegnò al figlio uno scudiero, Calcone, il quale, tuttavia, si rivelò inutile a causa del suo tradimento.\n\nNella guerra di Troia.\nBello, agile nella corsa e in battaglia, Antiloco si distinse fra i combattenti achei contro Troia, uccidendo numerosi avversari. Nell'Iliade di Omero, Antiloco è il primo ad abbattersi sui troiani, scagliando contro di loro la sua lancia. Colpì alla fronte Echepolo, un giovane eroe troiano, trapassandogliela. Più tardi, alla vista dell'uccisione di due forti eroi achei, per mano di Enea, Antiloco accompagnò Menelao nella sua vendetta. Scagliò una pietra contro il giovane Midone, l'auriga di Pilemene (capo dei Paflagoni), colpendolo al gomito. Poi balzò su di lui e lo uccise con un colpo di spada alla tempia. Dopodiché, salì sul cocchio delle vittime (Pilemene era stato ucciso da Menelao) e lo portò via come bottino.\nQuando Ettore abbandonò la battaglia per tornare nella sua città, Antiloco uccise un altro troiano, Ablero, trafiggendolo con la lancia. Più tardi, nei combattimenti presso le navi, Poseidone, assunto l'aspetto di Calcante, l'indovino greco, incitò Antiloco insieme a tutti gli altri capi achei a respingere gli assalitori. Rinvigorito dalle sue parole, il giovane ritornò a combattere valorosamente e, quando Idomeneo uccise il giovane condottiero nemico Asio che aveva osato affrontarlo, Antiloco inseguì l'auriga della vittima e lo sventrò con un colpo di lancia, portandosi quindi via i suoi destrieri.\nNella battaglia che si tenne presso le navi achee con l'obiettivo da parte dei troiani di incendiarle per costringere i greci a ripartire subito, Antiloco osservò attentamente le mosse del nemico Toone, agile avversario, aspettò che si voltasse e gli recise con la spada la vena che corre lungo la schiena, così violentemente che la testa venne spiccata di netto e schizzò per aria insieme al sangue. Spogliò delle armi il caduto ma venne sorpreso dai nemici, che l'avrebbero sicuramente ucciso se non fosse intervenuto Poseidone salvandolo dalle loro lance. Solo la lancia di Adamante riuscì a fermare Antiloco, traforandogli però solo lo scudo. Allontanatosi per un certo tempo dalla battaglia, l'eroe vi ritornò uccidendo altri due guerrieri troiani, Falche e Mermero.\nPiù tardi, mentre si combatteva accanitamente tra le schiere per salvare o incendiare le navi degli Achei, Menelao spronò Antiloco per reagire al furioso attacco dei Troiani. Il figlio di Nestore si sollevò indignato, brandendo l'asta e palleggiandola davanti agli avversari. Mentre tutti fuggivano temendo la morte, l'eroe la scagliò, cogliendo al petto, vicino alla mammella, un fortissimo eroe troiano, figlio di Icetaone, Melanippo. Subito balzò sul suo cadavere per spogliarlo delle armi, ma quando vide Ettore correre verso di lui per vendicare il morto (che era suo cugino) si diede alla fuga. Antiloco uccise poi un giovane guerriero licio, Atimnio.\nAlla morte di Patroclo, Menelao ordinò all'eroe di portare la notizia della sua morte ad Achille nella sua tenda.\n\nLa morte.\nIn seguito, Antiloco combatté contro altri alleati dei Troiani, come le Amazzoni e gli Etiopi. Quando il re Priamo chiese aiuto al nipote Memnone, re degli Etiopi, questi subito giunse in Troade per venire in soccorso degli alleati. L'etiope si distinse in battaglia, uccidendo alcuni guerrieri nemici, fino a scontrarsi con Nestore che si trovava in un cocchio insieme al suo auriga. Memnone colpì dapprima il cavallo e poi il cocchiere. Nestore allora invocò l'aiuto del figlio Antiloco, il quale giunse appena in tempo per distrarre gli avversari dal padre e farlo fuggire. Tuttavia, Memnone avanzò per primo e gli attraversò il petto con un colpo di giavellotto, riuscendo anche ad impossessarsi del suo corpo. Il cadavere di Antiloco venne infatti spogliato dai nemici e sarebbe stato esposto ai cani se Achille non si fosse vendicato e lo avesse recuperato, uccidendo Memnone e disperdendo il suo esercito.\nSecondo altre leggende, Antiloco cadde ucciso in combattimento da Ettore (anche se stranamente l'Iliade non fa riferimento a ciò) oppure caduto contemporaneamente ad Achille, trafitto da una fatale freccia di Paride. Il corpo di Antiloco, arso su una pira funeraria insieme a quello di Memnone come avveniva per i funerali eroici, venne poi rinchiuso nell'urna contenente le ceneri di Achille e di Patroclo.
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### Titolo: Antimaco.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Antimaco era il nome di un eminente troiano vissuto al tempo di Priamo, del quale era consigliere.\n\nMito.\nAntimaco, ricordato nell'Iliade quale padre dei giovani troiani Pisandro e Ippoloco, era famoso per il suo odio verso gli Achei.\nPrima di dichiarare guerra ai Troiani per il ratto di Elena, compiuto da Paride figlio di Priamo i Greci avevano cercato una soluzione pacifica inviando a Troia due illustri ambasciatori, Menelao ed Odisseo, abili a negoziare. Antimaco esortò i suoi concittadini a opporsi alle richieste degli Achei, avendo partita vinta sull'altro consigliere di Priamo, Antenore, contrario alla guerra. Sembra anche che Paride fosse in ottimi rapporti di amicizia con Antimaco e i suoi due figli.\nDurante la guerra di Troia, Pisandro e Ippoloco, che combattevano insieme su un carro, vennero fatti prigionieri da Agamennone e da lui massacrati senza pietà nonostante le loro suppliche di aver salva la vita.\n\nInterpretazione dell'episodio.\nNell'Iliade la figura di Antimaco è contrapposta a quella di Antenore: lo stesso vale per i loro figli. I due rampolli di Antimaco hanno ereditato i suoi sentimenti antiachei, ma moriranno da vigliacchi. I vari Antenoridi, invece, combattono da eroi pur disapprovando la linea intrapresa da Priamo. E dopo aver descritto la fine di Ippoloco che tenta invano di fuggire senza far nulla per salvare il corpo del fratello morto, Omero fa seguire un bellissimo esempio di amore fraterno che ha per protagonisti due dei tanti figli di Antenore, Ifidamante e Coone, con quest'ultimo che cercherà disperatamente di vendicare la morte dell'altro, venendo ucciso a sua volta.\n\nOmonimia.\nSempre nell'Iliade è menzionato un altro troiano di nome Antimaco, padre del guerriero Ippomaco, che fu ferito in battaglia da Leonteo.
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### Titolo: Antinoe (figlia di Pelia).\n### Descrizione: Antìnoe era, nella mitologia greca, una delle tre figlie di Pelia, re di Jolco, e di Anassibia. Ebbe parte nella morte di suo padre.\nPelia venne infatti ucciso a causa dei perfidi consigli di Medea, la quale avea promesso ad Antinoe di risuscitarlo giovane.
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### Titolo: Antioco (figlio di Eracle).\n### Descrizione: Antioco (in lingua greca Ἀντίοχος Antìochos) era un personaggio della mitologia greca e figlio di Eracle e di Meda che a sua volta era figlia di Filante, il re dei Driopi.\n\nMitologia.\nPadre di Filante (figlio a cui diede il nome del nonno), Antioco fu l'eponimo della decima delle dieci tribù di Atene istituite dalla riforma di Clistene e che da loro prese il nome di Antiochia.
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### Titolo: Antiope (figlia di Nitteo).\n### Descrizione: Antiope (in greco antico Ἀντιόπη Antiòpē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di una divinità fluviale del fiume Asopo in Beozia secondo Omero o del re di Tebe Nitteo e di Polisso secondo altri.\n\nMitologia.\nAntiope fu sedotta da Zeus che le si presentò con le sembianze di satiro. Quando si accorse di essere incinta, per sfuggire alle ire del padre, si rifugiò presso Epopeo, il re di Sicione, dove ella partorì i due gemelli Anfione e Zeto. I due gemelli furono esposti ma presto raccolti e allevati da un pastore impietosito. Nitteo morì di dolore, lasciando l'incarico di andarla a riprendere al proprio fratello Lico. Questi fece guerra a Epopeo, lo uccise, riportò Antiope prigioniera a Tebe e ne abbandonò i figli sul monte Citerone.\nAntiope venne incatenata e maltrattata dallo zio Lico e da Dirce sua moglie, ma riuscì un giorno a fuggire incontrando i figli che, a sua insaputa, erano sopravvissuti allevati da un pastore. Essi vendicarono la madre uccidendo Lico e Dirce. Dioniso per questo punì Antiope facendola impazzire. Fu poi risanata da Foco, figlio di Ornizione, che divenne suo sposo.\nUn'altra versione del mito la vede riconosciuta, dopo la sua fuga, dalla zia Dirce, la quale si era recata sul Citerone per prendere parte ad una festa bacchica, ed ordinò a due pastori di ucciderla legandola sulle corna di un toro infuriato. Questi erano Anfione e Zeto che, quando riconobbero la madre, inflissero la morte designata per Antiope alla stessa Dirce. Una volta morta, il suo cadavere venne gettato in una fonte presso il Tebe e che da lei venne chiamata Dircea. I due gemelli sono anche noti come i 'Dioscuri Tebani', per differenziarli da Castore e Polluce.\nAntiope viene anche chiamata col patronimico Nitteide.\nLa sua storia era narrata nell'Antiope del tragediografo latino Marco Pacuvio, che a sua volta aveva tratto la sua opera da un originale greco, giunto a noi soltanto in maniera frammentaria, di Euripide.
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### Titolo: Antipodi (mitologia).\n### Descrizione: Gli Antipodi o Abarimoni, nella mitologia romana, sono un leggendario popolo mostruoso con caratteristiche fisiche particolari. Vengono descritti da Plinio il Vecchio come esseri dotati di piedi capovolti, con il calcagno avanti e le dita dietro.\nQuesto popolo viveva secondo la leggenda in una grande valle chiamata Abarimo sul monte Imao (l'odierna Himalaya).\nLa loro particolarità fa degli Antipodi creature mostruose, forse utilizzate dagli antichi come simbolo del rovesciamento del mondo.
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### Titolo: Antro coricio.\n### Descrizione: L'antro coricio è situato alle falde del Parnaso nella Focide, regione della Grecia centrale.\nUna profonda gola divide le due rupi Fedriadi, e dentro vi scorre un torrente che al tempo delle piogge riversa cascate di acqua nel fiume Pleistos.\n\nLa grotta.\nDalla rupe orientale, detta anticamente Hyampea e oggi denominata Phlempukos scaturisce la fonte Castalia che si versa gorgogliando in una vasca scavata nella roccia davanti al peribolo del tempio dell'oracolo di Delfi, affinché lì potessero fare le abluzioni e purificarsi coloro che intendevano entrare nel tempio.\nNella rupe occidentale dell'acrocoro si trovava la grotta o antro coricio, in greco Κωρύκιον ἄντρον sacra a Pan e alle ninfe, ricca di figure formate dalle stalattiti, con un ingresso dell'altezza di circa due metri e mezzo, mentre all'interno è alta 34 metri e profonda 70 metri.\nSi tramanda che questa era l'abitazione del mostro Tifone, in greco Τυφωεύς o Τυφώς o Τυφὰων o Τυφών, che volle contendere con Zeus il comando del mondo e per questo, privato dei tendini delle mani e dei piedi, fu gettato nell'antro.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Antro coricio.
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### Titolo: Apate.\n### Descrizione: Apate era la divinità dell'inganno, uno degli spiriti contenuti nel vaso di Pandora, figlia di Nyx ed Erebo. La sua controparte maschile era Dolos, mentre il suo opposto era Aletheia, dea della verità e faceva parte dei Pseudologoi. Nella mitologia romana è identificato con Fraus.\n\nMitologia.\nLa dea appare nel mito della nascita di Dioniso. Egli era figlio di un tradimento di Zeus, che con un aspetto umano voleva congiungersi con la mortale Semele, e perciò Era furiosa per l'ennesimo tradimento del marito si rivolge proprio ad Apate la quale le presta un cinto somigliante a quello portato da Afrodite che era in grado di far sembrare veritiere le menzogne all'ascoltatore; quindi Era si dirige a Tebe ornata di tale cinto sotto l'aspetto della vecchia nutrice di Cadmo. Era, in tal modo dissimulata, consiglia Semele di chiedere a Zeus una prova della sua identità di dio del suo amore per lei, a questo punto Semele è preda della gelosia che alberga in Era e vuole unirsi a Zeus in forma divina, e non travisato come fa con tutte le sue altre amanti mortali. Ma l'amore con un dio è un fuoco e come tale la brucia mentre Ermes salva il feto immaturo di Dioniso, frutto dell'amplesso, dal rogo. Semele verrà poi accolta nell'Olimpo sotto il nome di Tione, in quanto la vendetta ha placato Era.\n\nCollegamenti esterni.\n\nApate, su sapere.it, De Agostini.\n(EN) Apate, su Theoi Project.
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### Titolo: Apeliote.\n### Descrizione: Apeliote (in greco antico: Ἀπηλιώτης?, Apēliṑtēs) è una figura della mitologia greca, era figlio di Astreo e di Eos, e fratello di Borea, Euro, Calcias, Noto, Lips, Zefiro e Sciron.\n\nIl mito.\nCome i suoi fratelli, era la personificazione di un vento, in particolare, era il dio del vento dell'Est. Veniva considerato portatore di pioggia, benefica per i raccolti, ed era per questo adorato soprattutto dai contadini. Veniva per questo motivo rappresentato come un giovane dai tratti infantili, con una fluente chioma ricciuta, vestito di verde, e con in mano frutta, grano e fiori.\nEra comunque un dio minore, ed il suo culto veniva spesso fatto coincidere con quello di Auros o Euro, il vento dell'Est.
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### Titolo: Apesante (con Eracle).\n### Descrizione: Apesante era un personaggio della mitologia greca che assistette all'impresa di Eracle di uccidere il leone di Nemea.\n\nMitologia.\nEracle, punito per la sua pazzia, dovette sottostare a dodici prove, che una volta superate l'avrebbero aperto la strada per l'Olimpo. Una di queste era la cattura o l'uccisione del leone di Nemea, un mostro terribile e creatura magica invulnerabile.\nApesante, un giovane del luogo, era lì vicino quando l'eroe affrontò il mostro che, prima di essere annientato, lo uccise.\nAd Apesante fu dedicato il monte dove il leone, alla fine, si dovette arrendere e morì.
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### Titolo: Apheleia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Apheleia (in greco:Ἀφέλεια), era lo spirito e la personificazione della semplicità e primitività positiva. Secondo Eustazio, aveva un altare presso l'Acropoli di Atene ed è stata onorata come infermiera di Atena.
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### Titolo: Apisaone Fausiade.\n### Descrizione: Apisaone Fausiade, (greco, Ἀπισάων Φαυσιάδης), figura mitologica dell'Iliade (XI, vv. 578, 582), fu un guerriero troiano.\nApisaone fu ucciso dall'acheo Euripilo in un'azione bellica descritta nel libro XI dell'Iliade relativo alle Gesta di Agamennone.
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### Titolo: Apisaone Ippaside.\n### Descrizione: Apisaone Ippaside, (greco, Ἀπισάων Ἰππασίδης), figura mitologica dell'Iliade (XVII, v. 348), fu un guerriero peone alleato dei troiani.\n\nBiografia.\nAbilissimo in battaglia, tra tutti i guerrieri provenienti dalla Peonia era secondo soltanto ad Asteropeo, di cui era grande amico. L'eroe greco Licomede, mentre combatteva contro Enea, gli si ritrovò di fronte e lo colpì al fegato, uccidendolo. Asteropeo vide il compagno caduto e cercò invano di vendicarlo.\nL'azione bellica è descritta nel libro XI dell'Iliade, relativo alle Gesta di Menelao.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Apollo nelle arti.\n### Descrizione: La figura di Apollo nelle arti è un tema comune sia nell'arte greca sia nell'arte romana, ma anche nell'arte rinascimentale. La prima parola che gli antichi Greci hanno utilizzato per indicare una statua è ἄγαλμα-agalma, che significa 'ornamento del tesoro, simulacro del divino, immagine informe'. Gli scultori arcaici e classici hanno cercato di creare forme che avessero ispirato una tale visione guida, quella cioè di un'immagine divina che facesse da ornamento.\nLa scultura greca mette fin dal principio Apollo, il dio della luce, della guarigione e della poesia, al più alto livello di potenza estetica che si potesse immaginare, dovendo egli rappresentar il concetto esemplare della Bellezza del 'dio giovane' per eccellenza. Gli artisti hanno derivato le proprie figure a partire da osservazioni compiute sugli esseri umani, ma anche giungendo ad incorporare in forma concreta i concetti più ideali, le questioni della filosofia e della religione che rimanevano al di là del pensiero ordinario.\n\nNudità divina.\nI corpi nudi delle statue sono stati presto associati con un effettivo culto del corpo, del fisico giovane maschile, soprattutto in campo sportivo (vedi nudità atletica) ma anche militare (vedi nudo eroico); tutte attività ricollegate in qualche modo alla 'moralità' della Polis: aveva di fatto una funzione essenzialmente religiosa.\nI petti e gli arti muscolosi in combinazione con una vita sottile indicano il desiderio Greco per la salute e le capacità fisiche in senso lato, qualità necessarie nel duro ambiente di vita del mondo antico. Le statue di Apollo desiderano incarnare la perfezione assoluta data dall'armonia e dall'equilibrio, fino al punto da ispirar soggezione di fronte al 'senso del Bello' che emanano.\n\nArte e filosofia.\nIl terzo degli inni omerici è dedicato espressamente ad Apollo.\nL'evoluzione dell'arte ellenica sembra andare in parallelo con le concezioni della filosofia greca, che si è trasformata dall'iniziale filosofia naturale di Talete alla teoria più metafisica di Pitagora. Talete era alla ricerca di una semplice forma materiale direttamente percepibile dai sensi, quale principio del mondo che sta dietro l'apparenza delle cose; teoria ricollegabile in certo qual modo all'ancestrale animismo. Questo si è verificato parallelamente anche nell'arte della scultura la quale va dalla rappresentazione massima della vira vigorosa attraverso forme innaturalmente semplificate.\nPitagora credeva che dietro all'apparenza delle cose vi fosse il principio permanente della matematica e che le forme si basavano pertanto su una relazione matematica trascendentale. Le forme terrene sono imitazioni imperfette (εἰκόνες, eikones-immagini) di un mondo sovraterreno composto dai numeri e dalle loro leggi. Le sue idee hanno avuto una grande influenza sull'arte post-arcaica,con gli architetti e gli scultori nella perenne ricerca di trovare la relazione matematica esatta interna alle cose materiali, un canone estetico il quale avrebbe portato alla perfezione realizzativa delle opere.\nAnassagora ha affermato che una ragione divina, una mente superiore, ha prodotto i semi dell'universo, in seguito Platone ha esteso la credenza greca nei riguardi delle forme ideali nella sua teoria metafisica, la dottrina dell'idea: le forme terrene, nessuna esclusa, sono duplicati imperfetti delle idee celesti intellettuali. I termini οἶδα, oida-sapere, ed εἶδος-eidos, hanno la stessa radice della parola ἰδέα-idea, il che indica come la mente Greca ne abbia via via spostato il significato dai sensi ai principi che stanno oltre ad essi.\nGli artisti del tempo di Platone si allontanarono presto dalle sue teorie, creando opere che sono una miscela di naturalismo e stilizzazione; gli scultori greci hanno considerato esser i sensi molto più importanti delle idee e le proporzioni sono state usate per unire il sensibile con l'intellettuale.\n\nStoria.\nL'evoluzione della scultura, dalla scultura greca arcaica alla scultura ellenistica può anche essere osservata nelle raffigurazioni del dio solare, dal tipo formale e quasi statico, ieratico, del Kouros (κοῦρος-ragazzo) del primo periodo arcaico, fino alla rappresentazione del movimento in un insieme maggiormente armonico del periodo successivo dato stile severo.\nNella Grecia classica l'enfasi non è più data alla realtà immaginativa illusoria rappresentata dalle forme più ideali, bensì dalle analogie ed interazioni delle varie parti prese singolarmente col tutto; una metodologia di lavorazione che risale alla scuola di Policleto e tramandata tramite il celebre canone di Policleto sulle proporzioni dell'anatomia umana.\nInfine Prassitele sembra aver liberato definitivamente la forma artistica (quindi anche e soprattutto le immagini degli dèi) dalla conformità religiosa, con opere che sono una miscela di naturalismo e stilizzazione.\n\nScultura arcaica.\n'Kouroi-giovani maschi' è il termine collettivo moderno che viene dato a quelle raffigurazioni di giovani maschi nudi in piedi che appaiono nel primo periodo arcaico greco. Questa tipologia di statuaria serviva ad alcuni bisogni religiosi ed è stato proposto che fossero inizialmente pensate per essere raffigurazioni di Apollo. Già nei loro primi esempi, la formalità della posizione sembra essere correlata con la precedente arte egizia (braccia penzoloni lungo i fianchi e gambe divaricate) e ciò è accettato come esser stato fatto di proposito.\nGli scultori hanno avuto in mente chiara l'dea di ciò che rappresentasse al meglio la giovinezza, incarnandolo con lo stile ieratico della statuaria faraonica, aggiungendovi di proprio il cosiddetto sorriso arcaico indice di buone maniere, il passo fermo ed elastico, l'equilibrio del corpo che emana la dignità e felicità giovanile caratteristiche di Apollo; quando hanno cercato di descrivere le qualità più stabili dell'uomo, lo hanno fatto per mostrare le radici comuni con gli dèi immortali ed immutabili.\nL'adozione di un tipo riconoscibile standard per un lungo periodo di tempo, si è probabilmente verificata in quanto in natura sopravvive di preferenza chi si adatta maggiormente e più favorevolmente al proprio ambiente di appartenenza, ma anche a causa della credenza generale greca che il mondo tutto si esprima in forme ideali che si possano immaginare ed attraverso ciò venir rappresentate. Le forme esprimono immortalità/immutabilità, equilibrio ed ordine, tutti ideali apollinei; il suo principale santuario di Delfi, che condivideva con Dioniso durante la stagione invernale, aveva nel suo frontone d'ingresso le iscrizioni che recitavano γνῶθι σεαυτόν (gnōthi seautón-conosci te stesso); μηδὲν ἄγαν (mēdén ágan-niente in eccesso) e ἐγγύα πάρα δ'ἄτη (eggýa pára d'atē-fare una promessa è quasi malizia).\nNelle prime raffigurazioni su larga scala durante il periodo arcaico precoce (640-580 a.C.) gli artisti hanno cercato di attirare l'attenzione dello spettatore verso uno sguardo per così dire interno del viso e del corpo i quali non erano mai rappresentati come semplici masse di materia prive di vita, bensì come esseri che ne erano ricolmi. Gli antichi Greci hanno mantenuto, fino alla loro civiltà più tarda, un'idea quasi animistica nei confronti delle statue, che in un certo senso consideravano vive: questo incarnava la convinzione che l'immagine era in qualche modo a realtà spirituale dell'uomo o del dio stesso.\nUn bell'esempio di tali convinzioni è costituito dal cosiddetto kouros della porta sacra, ritrovato nel cimitero nei pressi di Dipylon, il futuro Ceramico ad Atene; la statua viene qui ad essere la 'cosa in sé', il suo viso magro con gli occhi profondi esprime una sorta di 'eternità intellettuale'. Secondo la tradizione greca il ceramografo e vasaio detto maestro del Dipylon era conosciuto anche sotto il nomignolo di Dedalo in quanto nelle figure da lui realizzate gli arti parevano quasi librarsi liberati dal resto del corpo, dando così la netta impressione che potessero muoversi; si ritiene inoltre sia stato lui a creare l'esemplare conservato a New York il quale è la più antica statua del tipo kouros conservatasi integralmente e che pare esser l'incarnazione stessa del dio.\nL'idea animistica di rappresentazione della realtà immaginativa è ufficializzata sa nell'opera poetica di Omero che della totalità della mitologia greca, ma anche nei miti relativi alla civiltà minoica, quelli del dio Efesto (realizzatore delle armature divine) e di Dedalo (il costruttore del labirinto) i quali avrebbero dato vita alle immagini create (vedi scultura dedalica). Questo tipo di arte risale ad un periodo in cui il tema principale è stato la rappresentazione del movimento in un dato momento; queste statue, in una posizione eretta e senza alcun sostegno di sorta, erano solitamente in marmo, ma la loro forma poteva esser ben resa anche in pietra calcarea, bronzo, avorio e terracotta.\nI primi esempi di statue a grandezza naturale di Apollo, possono essere considerati le due immagini presenti all'interno del santuario del dio sull'isola di Delo.\n\nScultura classica.\nFrontoni e fregi.\nEllenismo.\nDurante il periodo ellenistico Apollo viene spesso raffigurato come un bel giovane ancora del tutto imberbe con un arco o una cetra tra le mani, solitamente appoggiato al tronco di un albero; si tratta della tipologia detta dell'Apollo citaredo, conosciuto anche attraverso le sue varianti di Apollo sauroctono e Apollo Licio.\nIl celebre Apollo del Belvedere è una scultura marmorea rinvenuta nella seconda metà del '400; per secoli ha riassunto gli ideali dell'antichità classica per gli europei, dal Rinascimento fino a tutto il XIX secolo: la statua di marmo è una copia romana di epoca ellenistica di un originale in bronzo eseguito da Leocare tra il 350 e il 325 a.C.\n\nNella modernità.\nApollo è stato un soggetto rappresentato spesso nell'arte e nella letteratura post-classica.\n\nScultura e incisione.\nIl David-Apollo è una scultura marmorea di Michelangelo Buonarroti risalente a circa il 1530, ma rimasta incompiuta.\n\nJacopo Caraglio ha creato alcune incisioni su alcuni episodi della vita del dio, come quello riguardante il suo amore nei confronti del principe spartano adolescente Giacinto.\nNel 1591 l'artista fiorentino Pietro Francavilla realizza 'Apollo vittorioso su Pitone' raffigurante la prima vittoria del dio quando uccise a colpi di freccia il temibile serpe Pitone che infestava i dintorni di Delfi, intravisto mentre giace morto ai suoi piedi.\nNel 1623 Gian Lorenzo Bernini scolpisce il suo Apollo e Dafne.\nWilliam Blake nel 1809 illustrò l'ode di John Milton On the Morning of Christ's Nativity ('Mattina del Natale di Cristo', 1629) con un acquerello che ritrae 'Il rovesciamento di Apollo e dei pagani'; la figura del dio è una combinazione tra l'Apollo Belvedere e il personaggio di Laocoonte.\n\nPittura.\nDel 1470-80 circa è Apollo e Dafne attribuito a Piero del Pollaiolo o in alternativa al fratello Antonio del Pollaiolo.\nDel 1483 è Apollo e Dafni (titolo tradizionale Apollo e Marsia) del Perugino.\nDel 1508 è l'affresco Apollo e Marsia di Raffaello Sanzio e facente parte della decorazione della volta della Stanza della Segnatura nei Musei Vaticani.\nDel 1507-09 è il Giudizio di Mida tra Apollo e Marsia di Cima da Conegliano.\nIl tramonto del sole di François Boucher (1752).\n\nPoesia e musica.\nIl poeta romantico inglese Percy Bysshe Shelley compose nel 1820 un Inno rivolto ad Apollo.\nApollo et Hyacinthus è un intermezzo di Wolfgang Amadeus Mozart del 1767.\nLa nascita del dio e le istruzioni da lui date alle Muse sono stati oggetto del balletto neoclassico di Igor' Stravinskij intitolato Apollon musagète del 1928.\n\nFilosofia e psicologia.\nIn una discussione più generale sulle arti, talvolta viene fatta una distinzione tra l'apollineo e dionisiaco; il primo si occupa d'imporre una qual certo ordine intellettuale agli impulsi umani, mentre il secondo li utilizza ancor grezzi per produrre una creatività maggiormente caotica. Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, nella sua riflessione sullo spirito dionisiaco, sosteneva che una fusione delle due concezioni di vita fosse più che mai desiderabile.\nPer Carl Gustav Jung l''archetipo di Apollo' rappresenta quello che viene inteso come disposizione delle persone ad un'iper-intellettualizzazione, mantenendo al contempo una forte distanza emotiva.
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### Titolo: Apollo.\n### Descrizione: Apollo (in greco antico: Ἀπόλλων?, Apóllōn; in latino Apollo) è, nella religione greca e romana, il dio della musica, delle arti mediche, delle scienze, dell'intelletto e della profezia. Nonché colui che traina il carro del sole, scortando la stella ardente attraverso la volta celeste.\nIl suo simbolo principale è la lira. Suo figlio Asclepio è il dio della medicina. In quanto dio delle arti, Apollo è il capo delle Muse. Viene anche descritto come un provetto arciere in grado di infliggere, con la sua arma, terribili pestilenze ai popoli che lo osteggiavano. In quanto protettore della città e del tempio di Delfi, Apollo è anche venerato come dio oracolare capace di svelare, tramite la sacerdotessa, detta Pizia, il futuro agli esseri umani; anche per questo era adorato nell'antichità come uno dei più importanti Olimpi.\n\nCulto di Apollo.\nApollo in Grecia.\nApollo era uno degli dei più celebri e influenti nell'antica Grecia; ed erano due le città che si contendevano il titolo di luoghi di culto principali del dio: Delfi, sede del già citato oracolo, e Delo. L'importanza attribuita al dio è testimoniata anche da nomi teoforici come Apollonio o Apollodoro, comuni nell'antica Grecia, dalle molte città che portavano il nome di Apollonia, dall'ideale del koûros (κόρος, 'giovane'), che gli appartiene e dà il 'suo carattere peculiare alla cultura greca nel suo complesso'. Il dio delle arti veniva inoltre adorato in numerosi siti di culto sparsi, oltre che sul territorio greco, anche nelle colonie disseminate sulle rive africane del Mediterraneo, nell'esapoli dorica in Caria, in Sicilia e in Magna Grecia.\nCome divinità greca, Apollo è figlio di Zeus e di Leto (Latona per i Romani) e fratello gemello di Artemide (per i Romani Diana), dea della caccia e più tardi una delle tre personificazioni della Luna (Luna crescente), insieme con Selene (Luna piena) ed Ecate (Luna calante).\nNella tarda antichità greca Apollo venne anche identificato come dio del Sole, e in molti casi soppiantò Elio quale portatore di luce e auriga del cocchio solare. Nella Religione romana, non aveva nessuna controparte, e il suo culto venne introdotto a Roma circa nel 421 a.C. In ogni caso, presso i Greci Apollo ed Elio rimasero entità separate e distinte nei testi letterari e mitologici dell'epoca, ma non nel culto, dove Apollo era ormai stato assimilato con Elio.\nIn Grecia e nel mondo ellenistico il culto del dio è attestato dalla diffusione dei nomi Apollodoro (dono di Apollo) ed Eliodoro (dono di Helios).\n\nApollo a Roma.\nA differenza di altri dei, Apollo non aveva un equivalente romano diretto: il suo culto venne importato a Roma dal mondo greco, ma fu mediato anche dalla presenza nel pantheon etrusco di un dio analogo, Apulu. Ciò avvenne in tempi piuttosto antichi nella storia romana, infatti fonti tradizionali riferiscono che il culto era presente già in epoca regia. Nel 431 a.C. ad Apollo fu intitolato un tempio in una località dove già sorgeva un sacello o un'area sacra di nome Apollinar come scrive Livio III, 63, 7, in occasione di una pestilenza che afflisse la città. Durante la seconda guerra punica, invece, vennero istituiti i Ludi Apollinari, giochi in onore del dio. Il culto venne incentivato poi, in epoca imperiale, dall'imperatore Augusto, che per consolidare la propria autorità asserì di essere un protetto del dio, che avrebbe anche lanciato un fulmine nell'atrio della sua casa come presagio fausto per la sua lotta contro Antonio; tramite la sua influenza Apollo divenne uno degli dei romani più influenti. Dopo la battaglia di Azio l'imperatore fece rinnovare e ingrandire l'antico tempio di Apollo Sosiano, istituì dei giochi quinquennali in suo onore e finanziò anche la costruzione del tempio di Apollo Palatino sull'omonimo colle dove fu conservata la raccolta di oracoli detta Libri sibillini. In onore del dio, e per compiacere il suo imperatore, il poeta romano Orazio compose inoltre il celebre carmen saeculare.\nIn epoca imperiale lentamente si arrivò all'identificazione tra Apollo-Elio e l'imperatore stesso, di cui la testimonianza più notevole era il celebre colosso di Nerone che poi diede il nome al vicino anfiteatro Flavio o Colosseo. In epoca tarda il culto di Apollo tornò a separarsi da quello di Elio o Sole, che divenne un culto sincretistico: il Sol Invictus, compagno dell'imperatore, che regnava sul cielo, così come l'altro regnava in terra. In epoca tarda il culto è ancora vivo fino ai primi anni di regno di Costantino I, che, prima della sua conversione al cristianesimo, si faceva raffigurare nelle statue onorarie come il Sole. Gli stessi cristiani d'occidente utilizzarono l'iconografia di Apollo-Sole per le prime raffigurazioni di Cristo, che era raffigurato come un tipo apollineo, giovane, imberbe, con un nimbo di luce sul capo.\n\nApollo presso gli Etruschi.\nNella religione etrusca è possibile trovare un corrispettivo di Apollo nel dio dei tuoni Aplu o Apulu. Tuttavia non è ancora chiaro se l'immagine del dio etrusco sia derivata dal dio greco. Quale dio della profezia presso gli Etruschi però trovava un corrispettivo anche in Suri.\n\nOrigini del culto.\nLe origini del culto apollineo si perdono nella notte dei tempi. È comunque opinione comune e consolidata tra gli studiosi che il culto del dio sia relativamente recente e che, precedentemente ad Apollo, il santuario di Pito avesse una sua antichissima religione ctonia, legata al culto della Dea Madre. Lo stesso racconto di Eschilo su Apollo che riceve il santuario da Gea, Febe e Temi, tenderebbe a confermarlo. Una teoria però, basata sulla decifrazione degli enigmatici e tanto discussi documenti greci di Glozel (Vichy, Francia), tenderebbe ad ampliare il quadro mitico-storico interessante l'oracolo e collegherebbe la nuova, non identificata divinità, alla vicenda cadmea di Europa e a quella dell'alfabeto portato dallo stesso Cadmo in Beozia in periodo premiceneo. Divinità semitica che di quell'alfabeto, di provenienza siro-palestinese, era l'assoluta detentrice. Il santuario ctonio di Pito era stato dunque occupato, in qualche modo, da una divinità non greca (yh: da cui il noto successivo grido di IE, per Apollo 'IEIOS') la quale però, a sua volta, venne grecizzata, secondo quanto fa intendere il noto racconto erodoteo (Historiae, I,61-62) sulla cacciata dei Cadmei, ovvero dei semiti, da parte degli Argivi. Tuttavia la divinità inglobata nella sfera della cultura greca manteneva alcuni dei caratteri orientali della divinità, come ad esempio l'ineffabilità, la figura androgina, l'aspetto di dio cacciatore e inseguitore del lupo (da cui Apollo Liceo), le qualità di dio ambiguo od obliquo (Lossia) ma, per chi sapeva capirlo rettamente, salvatore e liberatore. Con la calata dei Dori (XII-XI secolo a.C.), una volta annientati i Micenei, il santuario, verosimilmente, subì l'umiliazione e la distruzione dei vincitori e solo verso il IX-VIII secolo a.C. fu riaperto e si risollevò, ma con un Lossia del tutto trasformato e in linea con la nuova religione. Il potentissimo dio androgino di origine semitica entrerebbe così a far parte della sacra famiglia olimpica, sdoppiandosi in Apollo e Artemide e diventando figlio di Zeus e di Leto. Sempre secondo questa teoria, supportata da accertati documenti, la famosa E apud Delphos (la lettera alfabetica epsilon posta tra le colonne nell'ingresso del santuario apollineo) di cui scrive Plutarco, la 'E' che stava alla base dell'epifonema esprimente 'acuto dolore' (Esichio) dei fedeli, potrebbe fornire la prova che il nome di Apollo (mai sufficientemente compreso e spiegato dagli studiosi: Farnell, Kern, Hrozny, Nilsson, Cassola, ecc.) fosse derivato da un A/E -pollòn (il grido di dolore 'ah!, eh!' esclamato più volte, così come testimoniano la letteratura greca tragica e paratragica).\nNell'età del bronzo greca non esistono attestazioni (almeno nelle tavolette di lineare B note) ad Apollo. Ne esistono invece numerose per il dio Paean (Παιών-Παιήων), un epiteto di Apollo in età classica, noto in lingua achea come pa-ja-wo-ne (e collegato con numerosi santuari antichi di Apollo). Paean è il guaritore degli dei, e il dio della magia e del canto (da cui peana) magico-profetico. Come dio della cura Paean compare anche nell'Iliade, dove, significativamente, non è completamente sovrapposto con Apollo (che parteggia esclusivamente per i troiani).\nInfatti esisteva un importante dio anatolico (forse connesso con l'antica religione indoeuropea, e simile al dio vedico Rudra o meglio alla coppia Rudra-Shiba), noto come Aplu (stranamente lo stesso nome dell'Apollo etrusco) che è un dio terribile, legato alla malattia, ma anche alla cura, e un potente arciere, forse anche un protettore della caccia e degli animali selvatici. Per gli Ittiti e gli Hurriti Aplu era il dio della peste e della fine della pestilenza (come nell'Iliade). Per gli Hurriti soprattutto andava collegato agli dei mesopotamici Nergal e Šamaš. Molti culti anatolici sono legati alla profezia e alle sacerdotesse (o anche ai sacerdoti) che cadono in trance mistica per profetizzare, proprio come le sacerdotesse di Apollo a Delfi. Apollo, come già ricordato, è uno degli dei che parteggiano per l'asiatica e anatolica città di Troia nell'Iliade, forse elemento che nasconde una reminiscenza micenea, ovvero un dio che durante la fine dell'età del bronzo non sarebbe ancora greco, ma decisamente anatolico, e sarebbe aggiunto agli olimpi solo in un momento successivo a quella guerra (si veda anche di seguito).\nSempre in età arcaica, con probabili connessioni al periodo miceneo, esistono dei riferimenti ad Apollo Smintheus, il dio 'ratto' legato all'agricoltura (forse una divinità pre-indeuropea, assunta a epiteto del dio Apollo), e in particolare ad Apollo Delfino. Questo epiteto di Apollo, molto venerato a Creta e in alcune isole egee, potrebbe essere un dio marino minoico. Ma Apollo poteva trasformarsi in tutti gli animali, fra cui proprio nei delfini, sovente raffigurati nell'arte minoica. Delfino (Delphinios) è un'etimologia alternativa a grembo (Delphyne) per il principale santuario del dio a Delfi. Sempre nella, per ora pressoché sconosciuta, religione minoica esisteva una signora degli animali, collegabile ad Artemide-Diana, o anche a Britomarti/Diktynna (nome a sua volta presumibilmente di etimologia minoica), che presumibilmente avrebbe dovuto avere un doppio maschile. E se la divinità femminile è antesignana di Artemide, quella maschile è da porsi in riferimento ad Apollo. Inoltre i sacerdoti di Apollo a Delfi si definivano Labryaden, nome che a sua volta rimanda alla doppia ascia e al labirinto, simboli religiosi importanti per i Cretesi. Tutti questi riferimenti secondo questa meticolosa ma discutibile analisi portano a ipotizzare che nell'Apollo classico siano confluiti uno o più dei minoici o comunque pre-indeuropei della Grecia e almeno un dio anatolico.\n\nAttributi ed epiteti.\nApollo è normalmente raffigurato coronato di alloro, pianta simbolo di vittoria, sotto la quale alcune leggende volevano che il dio fosse nato e anche in virtù dell'epilogo del suo infatuamento per Dafne (che in greco significa lauro, alloro). Suoi attributi tipici sono l'arco, con le sue portentose frecce, e la cetra. Altro suo emblema caratteristico è il tripode sacrificale, simbolo dei suoi poteri profetici. Animali sacri al dio sono i cigni (simbolo di bellezza), i lupi, le cicale (a simboleggiare la musica e il canto), e ancora i falchi, i corvi, i delfini, in cui spesso il dio amava trasformarsi e i serpenti, questi ultimi con riferimento ai suoi poteri oracolari, e il gallo. Altro simbolo di Apollo è il grifone, animale mitologico di lontana origine orientale.\nCome molti altri dei greci, Apollo ha numerosi epiteti, atti a riflettere i diversi ruoli, poteri e aspetti della personalità del dio stesso. Il titolo di gran lunga maggiormente attribuito ad Apollo (e spesso condiviso dalla sorella Artemide) era quello di Febo, letteralmente 'splendente' o 'lucente', riferito sia alla sua bellezza sia al suo legame con il sole (o con la luna nel caso di Artemide). Quest'appellativo venne mutuato e utilizzato anche dai Romani.\nAltri epiteti del dio sono:.\n\nAkesios o Iatros, dal comune significato di guaritore e riferiti al suo ruolo di protettore della medicina, in quanto padre di Esculapio. In questo senso, i Romani gli diedero invece l'epiteto di Medicus, e un tempio della Roma antica era dedicato appunto all'Apollo Medico.\nAlexikakos' o Apotropaeos, entrambi significanti 'colui che scaccia - o tiene lontano - il male'. Un simile significato ha anche l'appellativo di Averruncus che gli diedero i Romani. Questi appellativi si riferivano, oltre che al suo già citato ruolo di patrono dei medici, al suo potere di scatenare - e dunque anche di tener lontane - malattie e pestilenze.\nAphetoros (dio dell'arco) e Argurotoxos (dio dall'arco d'argento), in quanto patrono degli arcieri e provetto tiratore lui stesso. I Romani lo definivano invece Arcitenens, 'colui che porta l'arco'.\nArchegetes, 'colui che guida la fondazione', in quanto patrono di molte colonie greche oltremare.\nLyceios e Lykegenes, che possono essere sia un riferimento al lupo, animale a lui sacro, sia alla terra di Licia, la regione nella quale alcune leggende riportavano che Apollo fosse nato.\nLoxias (l'oscuro) e Coelispex (colui che scruta i cieli) con riferimento alle sue capacità oracolari.\nMusagete (guida delle Muse) in quanto fu lui a convincerle ad abbandonare la loro antica dimora, il monte Elicona, portandole a Delfi e divenendo il loro protettore.\nPhoebus (il luminoso), l'epiteto più usato dai Greci e Romani.\nTargelio in quanto apportatore del fecondo calore che matura i prodotti della terra.\n\nMito.\nNascita.\nApollo nacque, come sua sorella gemella Artemide, dall'unione extraconiugale di Zeus con Leto. Quando Era seppe di questa relazione, desiderosa di vendetta, proibì alla partoriente di dare alla luce suo figlio su qualsiasi terra, fosse essa un continente o un'isola. Disperata, Leto vagò fino a giungere sull'isola di Delo, appena sorta dalle acque e, stando al mito, ancora galleggiante sulle onde e non ancorata al suolo. Essendo, perciò, Delo non ancora una vera isola, Leto poté darvi alla luce Apollo e Artemide, precisamente ai piedi del Monte Cinto.\nAltri miti riportano che la vendicativa Era, pur di impedirne la nascita, giunse a rapire Ilizia, la dea del parto. Solo l'intervento degli altri dei, che offrirono alla regina dell'Olimpo una collana di ambra lunga nove metri, riuscì a convincere Era a desistere dal suo intento. I miti riportano che Artemide fu la prima dei gemelli a nascere, e che abbia in seguito aiutato la madre nel parto di Apollo. Questi nacque in una notte di plenilunio, che fu da allora il giorno del mese a lui consacrato: nel momento in cui nacque il dio, cigni sacri vennero a volare sopra l'isola, facendone sette volte il giro, poiché era il settimo giorno del mese.\nAncora altri dicono che Era avesse mandato un serpente sulla Terra per seguire Leto tutta la vita, impedendo, così, a chiunque di ospitarla e darle un rifugio. Leto vagò per molto tempo ma Poseidone, impietosito dalla sua situazione, lasciò che si rifugiasse in mare (dato che letteralmente non era terra) visto che lui, essendo il fratello di Zeus, poteva permettersi di sfidare Era.\n\nGenealogia (Esiodo).\nGiovinezza: l'uccisione di Pitone e istituzione dell'Oracolo di Delfi.\nPoco più che bambino, Apollo si cimentò nell'impresa di uccidere il drago Pitone, colpevole di aver tentato di stuprare Leto mentre questa era incinta del dio. Partito da Delo, Apollo subito si diresse verso il monte Parnaso, dove si celava il serpente Pitone, nemico di sua madre, e lo ferì gravemente con le sue frecce forgiate da Efesto. Pitone si rifugiò presso l'oracolo della Madre Terra a Delfi, città così chiamata in onore del mostro Delfine, compagna di Pitone; ma Apollo osò inseguirlo anche nel tempio e lo finì dinanzi al sacro crepaccio.\nLa Madre Terra, oltraggiata, ricorse a Zeus che non soltanto ordinò ad Apollo di farsi purificare a Tempe, ma istituì i giochi pitici in onore di Pitone, e costrinse Apollo a presiederli per penitenza. Apollo, invece di recarsi a Tempe, andò a Egialia in compagnia della sorella Artemide, per purificarsi; e poiché il luogo non gli piacque, salpò per Tarra a Creta, dove re Carmanore eseguì la cerimonia di purificazione. Al suo ritorno in Grecia, Apollo andò a cercare Pan, il dio arcade dalle gambe di capra e dalla dubbia reputazione, e dopo avergli strappato con blandizie i segreti dell'arte divinatoria, si impadronì dell'oracolo delfico e ne costrinse la sacerdotessa, detta pitonessa o la Pizia, a servirlo.\n\nApollo e Tizio.\nLeto si era recata con Artemide a Delfi, dove si appartò in un sacro boschetto per adempiere a certi riti. Era, per vendicarsi di Leto suscitò un forte desiderio al gigante Tizio, che stava tentando di violentarla, quando Apollo e Artemide, udite le grida della madre, accorsero e uccisero Tizio con nugolo di frecce: una vendetta che Zeus, padre di Tizio, giudicò atto di giustizia. Nel Tartaro Tizio fu condannato alla tortura con le braccia e le gambe solidamente fissate al suolo e due avvoltoi gli mangiavano il fegato.\n\nApollo, Marsia e i figli di Niobe.\nAltre azioni che gli sono state attribuite dai miti durante la giovinezza, non furono così nobili: il dio sfidò il satiro Marsia (o, secondo altre fonti, venne da questi sfidato) in una gara musicale di flauto; in seguito alla vittoria, per punire l'ardire del satiro, che si era impudentemente vantato di essere più bravo di lui, lo fece legare a un albero e scorticare vivo. Un altro mito racconta invece come si vendicò terribilmente di Niobe, regina di Tebe, la quale, eccessivamente fiera dei suoi quattordici figli (sette maschi e sette femmine), aveva deriso Leto per averne avuti solo due. Per salvare l'onore della madre, Apollo, insieme con sua sorella Artemide, utilizzò il suo terribile arco per uccidere la donna e i suoi figli, risparmiandone solo due, Amicla e Clori, i quali riuscirono a ottenere la pietà dei fratelli divini.\n\nApollo e Admeto.\nQuando Zeus uccise Asclepio, figlio di Apollo, come punizione per aver osato resuscitare i morti con il suo talento medico, il dio per vendetta massacrò i ciclopi, che avevano forgiato i fulmini di Zeus. Stando alla tragedia di Euripide Alcesti, come punizione per questo suo gesto Apollo venne costretto dal padre degli dei a servire l'umano Admeto, re di Fere, per nove anni. Apollo lavorò dunque presso il re come pastore, e venne da costui trattato in modo tanto gentile che, allo scadere dei nove anni, gli concesse un dono: fece sì che le sue mucche partorissero solo vitelli gemelli. In seguito, il dio aiutò Admeto a ottenere la mano di Alcesti, che per volere del padre sarebbe potuta andare in sposa solo a chi fosse riuscito a mettere il giogo a due bestie feroci: Apollo gli regalò dunque un carro trainato da un leone e un cinghiale.\n\nApollo e Orfeo.\nOrfeo era un suonatore di cetra. Perse sua moglie Euridice, per cui tentò di salvarla dagli Inferi ma non ci riuscì. Sedusse Persefone con la sua musica e in cambio chiese di riportare in vita Euridice e lei acconsentì a un solo prezzo: non avrebbe dovuto guardare sua moglie finché non fossero stati all'uscita degli Inferi. Ma lui, quasi alla fine del corridoio che conduceva alla salvezza, si girò e lei morì per sempre. Disperato tentò il suicidio e distrusse la sua cetra. Così Apollo, lo prese con sé e lo portò sull'Olimpo.\n\nApollo ed Ermes.\nUn mito degli inni omerici racconta dell'incontro tra il giovane Ermes e Apollo. Il dio dei ladri, appena nato, sfuggì infatti alla custodia della madre Maia e incominciò a vagabondare per la Tessaglia, fino a imbattersi nel gregge di Admeto, custodito da Apollo. Ermes riuscì con uno stratagemma a rubare gli animali e, dopo essersi nascosto in una grotta, usò gli intestini di alcuni di essi per confezionarsi una lira; un'altra leggenda a questo proposito parla invece di un guscio di tartaruga. Quando Apollo, infuriato, riuscì a rintracciare Ermes e a pretendere, con l'appoggio di Zeus, la restituzione del bestiame, non poté fare a meno di innamorarsi dello strumento e del suo suono, e accettò infine di lasciare a Ermes il maltolto, in cambio della lira, che sarebbe diventata da allora uno dei suoi simboli sacri. Divenne quindi il dio della musica, mentre Ermes venne considerato anche come il dio del commercio. La lira poi passò a Orfeo; alla morte di questi, Apollo decise di tramutarla in cielo nell'omonima costellazione.\n\nApollo e Oreste.\nApollo ordinò a Oreste, tramite il suo oracolo di Delfi, di uccidere sua madre Clitennestra; per questo suo crimine Oreste venne a lungo perseguitato dalle Erinni.\n\nApollo durante la guerra di Troia.\nL'inizio dell'Iliade di Omero vede Apollo schierato a fianco dei Troiani, durante la guerra di Troia. Il dio era infatti infuriato con i Greci, e in particolare con il loro capo Agamennone, per il rapimento da questi perpetrato di Criseide, giovane figlia di Crise, sacerdote di Apollo. Per vendicare l'affronto, il dio decimò le schiere achee con le sue terribili frecce, fino a che il capo dei Greci non acconsentì a rilasciare la prigioniera, pretendendo in cambio Briseide, schiava di Achille. Questo fatto provocò l'ira dell'eroe Mirmidone, che è uno dei temi centrali del poema.\nApollo continuò comunque a parteggiare per i Troiani durante la guerra: in un'occasione salvò la vita a Enea, ingaggiato in duello da Diomede. Da non dimenticare, infine, l'importantissimo aiuto che il dio offrì a Ettore e a Euforbo nel combattimento che li vedeva avversari del potente Patroclo, amante e allievo del valoroso Achille; il dio infatti, oltre ad aver stordito il giovane, che i Troiani avevano scambiato per il re mirmidone, vista l'armatura che indossava, lo privò di quest'ultima sciogliendola come neve al sole. Distrusse perfino la punta della lancia con cui Patroclo stava mietendo vittime tra le file troiane.\nFu infine Apollo a guidare la freccia scoccata da Paride che colpì Achille al tallone, l'unico suo punto debole, uccidendolo.\n\nAmori di Apollo.\nApollo e Daphne.\nUn giorno, Cupido, stanco delle continue derisioni di Apollo, che vantava il titolo di dio più bello, di essere il dio della poesia nonché un arciere migliore di lui, colpì il dio con una delle sue frecce d'oro, facendolo cadere perdutamente innamorato della ninfa Daphne. Allo stesso tempo però, colpì anche la ninfa con una freccia di piombo arrugginita e spuntata in modo che rifiutasse l'amore di Apollo e addirittura rabbrividisse per l'orrore alla sua vista. Perseguitata dal dio innamorato, la ninfa, piangendo e gridando, chiese aiuto al padre Penéo, dio del fiume omonimo, che la tramutò in una pianta di lauro (alloro). Apollo pianse abbracciando il tronco di Daphne, che ormai era un albero. Per questo il lauro divenne la pianta prediletta da Apollo con la quale era solito far ornare i suoi templi e anche i suoi capelli.\n\nApollo e Giacinto.\nUno dei miti più conosciuti riferiti al dio è quello della sua triste storia d'amore con il principe spartano Giacinto, mito narrato, fra gli altri, da Ovidio nelle sue Metamorfosi. I due si amavano profondamente, quando un giorno, mentre si stavano allenando nel lancio del disco, il giovane venne colpito alla testa dall'attrezzo lanciato da Apollo, spintogli contro da Zefiro, geloso dell'amore fra i due. Ferito a morte, Giacinto non poté che accasciarsi tra le braccia del compagno che, impotente, lo trasformò nel rosso fiore che porta il suo nome, e con le sue lacrime tracciò sui suoi petali le lettere άί (ai), che in greco è un'esclamazione di dolore.\nSaputo che Tamiri, un pretendente 'scartato' da Giacinto, reputava di superare le muse nelle loro arti, il dio andò dalle sue allieve per riferire tali parole. Le muse, allora, privarono Tamiri, reo di presunzione, della vista, della voce e della memoria.\n\nApollo e Cassandra.\nPer sedurre Cassandra, figlia del re di Troia Priamo, Apollo le promise il dono della profezia. Tuttavia, dopo aver accettato il patto, la donna si tirò indietro, rimangiandosi la parola data. Il dio allora, sputandole sulle labbra, le diede sì il dono di vedere il futuro, ma la condannò a non venir mai creduta per le sue previsioni. La previsione più tragica e inascoltata di Cassandra fu la caduta di Troia.\n\nApollo e Marpessa.\nApollo amò anche una donna chiamata Marpessa, che era contesa fra il dio e l'umano chiamato Ida. Per dirimere la contesa tra i due intervenne addirittura Zeus che decise di lasciare la donna libera di decidere; questa scelse Ida, perché consapevole del fatto che Apollo, essendo immortale, si sarebbe stancato di lei quando l'avesse vista invecchiare.\n\nApollo e Melissa.\nSecondo un altro mito, Apollo s'innamorò della ninfa Melissa. Fu un amore profondo e incondizionato, e il dio lasciò spazio soltanto alla fedele e totale devozione per la fanciulla piuttosto che adempiere i suoi doveri da divinità del Sole. Il carro del Sole venne quindi sempre meno guidato e trasportato, e il mondo cadeva sempre più nelle tenebre. Allora, per un decreto di entità superiori, Apollo venne punito e la ninfa venne trasformata in un'ape regina. Fu così che la meschina ragione infranse il cuore del dio.\n\nFigli di Apollo.\nCome tutti gli Dèi greci, le leggende riportano come Apollo ebbe molti figli, da unioni con donne mortali e non.\nDa Cirene, ebbe un figlio di nome Aristeo.\nDa Ecuba, moglie di Priamo e regina di Troia, ebbe un figlio di nome Troilo, che venne ucciso da Achille.\nIl figlio più noto di Apollo è però certamente Asclepio, dio della medicina presso i Greci. Asclepio nacque dall'unione fra il dio e Coronide; quest'ultima però, mentre portava in grembo il bambino, si innamorò di Ischi e fuggì con lui. Quando un corvo andò a riferire l'accaduto ad Apollo, questi dapprima pensò a una menzogna, e fece diventare il corvo nero come la pece, da bianco che era. Scoperta poi la verità, il dio chiese a sua sorella Artemide di uccidere la donna. Apollo salvò comunque il bambino, e lo affidò al centauro Chirone, perché lo istruisse alle arti mediche. Come ricompensa per la sua lealtà, il corvo divenne animale sacro del dio e venne dotato da Apollo del potere di prevedere le morti imminenti. In seguito Flegias, padre di Coronide, per vendicare la figlia diede fuoco al tempio di Apollo a Delfi, e venne per questo ucciso dal dio e scaraventato nel Tartaro.\n\nAmanti e figli di Apollo.\nAcacallide - Figlia di Minosse.\nNasso - Insediato nell'isola.\nMileto - Fondatore della città.\nAnfitemi - Pastore libico.\nCalliope - Musa della Poesia epica.\nOrfeo - Celebre musico.\nIalemo - Dio del canto nuziale.\nImeneo - Dio del matrimonio.\nChione - Principessa della Focide.\nFilammone - Poeta e musico.\nCirene - Ninfa tessala.\nAristeo - Dio del miele, del formaggio e dell'olio.\nIdmone - Veggente e Argonauta.\nClimene - Ninfa oceanina.\nFetonte - Guidò il carró di Apollo, ma morì nell'impresa.\nCoricia - Ninfa del Parnaso.\nLicoreo - Re di Licorea.\nCoronide - Ninfa Lapita.\nAsclepio - Dio della medicina.\nCreusa - Violentata dal dio.\nIone - Sacerdote di Delfi.\nDanaide - Ninfa.\nCureti - Popolo Etolo.\nDia - Figlia di Licaone.\nDriope - Re dei Driopi.\nDriope - Amadriade.\nAnfisso - Fondatore di Eta.\nEcuba - Regina troiana.\nEttore - Eroe troiano (secondo alcune fonti).\nPolidoro - Ucciso da Polimestore (secondo alcune fonti).\nTroilo - ucciso da Achille.\nEubea.\nAgreo.\nEvadne - Figlia di Poseidone.\nIamo - Indovino di Olimpia.\nFtia - Eponima della regione.\nDoro.\nLaodoco.\nPolipete - Ucciso da Etolo.\nManto - Indovina, figlia di Tiresia.\nMopso - Celebre indovino.\nMelaina - Ninfa (o Tia o Celeno).\nDelfo - fondatore di Delfi.\nProcleia - Troiana.\nTenete - Eroe di Tenedo.\nEmitea - Principessa di Tenedo.\nPsamate - Principessa di Argo.\nLino - Sbranato da cani.\nReo - Discendente di Dioniso.\nAnio - Sovrano di Delfi.\nRodope - Ninfa.\nCicone - Capostipite dei Ciconi.\nTalia - Musa della Commedia.\nCoribanti - Seguaci di Dioniso.\nTiria - Figlia di Anfinomo.\nCicno - Abitante dell'Etolia.\nUrania - Musa dell'Astronomia e della geometria.\nLino - Notevole musico.\nDa madre ignota.\nErimanto.\nMelaneo.\nCariclo.\n\nApollo nell'arte.\nParnaso - affresco di Raffaello Sanzio (1511).\nApollo e Dafne - gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini (1625).\nTramonto del sole di François Boucher (1752).\nApollo et Hyacinthus - operina di Wolfgang Amadeus Mozart.\nApollon musagète o Apollo balletto neoclassico in due quadri musicato da Igor' Fëdorovič Stravinskij.\n\nNella cultura di massa.\nIl celebre progetto spaziale Apollo della NASA, che negli anni sessanta portò l'uomo sulla luna, deve il suo nome proprio al dio greco, in quanto protettore delle colonie e dei pionieri.\nFamosa è la filastrocca popolare dedicata ad Apollo e al suo fantomatico 'figlio' Apelle (tra l'altro, un pittore realmente esistito):.\nNel manga e anime di Record of Ragnarok, Apollo è uno degli dei che combatte al torneo del Ragnarok. Scende in campo al nono round affrontando Leonida.\nNell'anime C'era una volta... Pollon, Apollo è il padre della protagonista Pollon.\nNell'anime UFO Diapolon (1976), il nome del robot è Daiapolon, ovvero 'Grande Apollo' in giapponese.\nApollo compare varie volte nelle serie di libri Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo,Eroi dell'Olimpo e nel racconto extra Percy Jackson and the Singer of Apollo (pubblicato per Guys Read: Other Worlds, inedito in italiano) di Rick Riordan. Sotto forma di mortale e con lo pseudonimo di Lester Papadopoulos, è il protagonista della serie Le sfide di Apollo, sempre di Riordan.
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### Titolo: Apriate.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Apriate (in greco antico: Άπριάτη) era il nome di una fanciulla di Lesbo.\n\nIl mito.\nEuforione di Calcide, nel poema 'Thrax', racconta una delle versioni della storia di Apriate: secondo il poeta alessandrino, Trambelo, figlio di Telamone, si innamorò di questa fanciulla, che, però, non lo ricambiava. Egli decise, dunque, di rapirla, mentre la ragazza si dirigeva in un possedimento paterno, vicino al litorale dell'isola di Lesbo. Siccome, però, lei lottava strenuamente per proteggere la propria virginità, Trambelo la gettò nel mare più profondo.\nSecondo un'altra versione, forse riconducibile ad Aristocrito di Mileto, sarebbe stata lei stessa ad annegarsi, pur di mantenersi illibata.\nTrambelo, del resto, sarebbe stato punito di lì a poco dal destino: incontrò, infatti, Achille, che lo uccise e poi pianse amaramente sulle sue spoglie, venuto a sapere il suo nome e le sue origini.
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### Titolo: Apsirto.\n### Descrizione: Apsirto (in greco antico: Ἄψυρτος?, Ápsyrtos, in latino Absyrtus, -i), conosciuto anche come Assirto o Absirto, è un personaggio della mitologia greca, figlio di Eete e di Asterodea, nonché fratello di Medea.\n\nMitologia.\nVengono date due versioni del mito concernente questo personaggio. Secondo la Medea di Seneca, Apsirto era un bimbetto che seguiva passo passo la sorella. Questa, innamorata di Giasone, mentre si apprestava a fuggire con l'amante sopra la nave Argo, recando con sé il favoloso vello d'oro, fu inseguita dal padre e i suoi uomini; per dissuaderlo dall'inseguimento, Medea, ignorando i lamenti e le suppliche del fratellino, lo uccise e ne smembrò il corpo gettandone i pezzi tra le onde in direzione del padre Eete, che si fermò a raccoglierli in modo da poter dare degna sepoltura al figlio.\nCiò permise a Giasone e Medea di fuggire senza essere disturbati. Ma Zeus mandò sulla nave una tempesta per l'atroce crimine commesso da Giasone e Medea e gli Argonauti furono infine gettati sull'isola della maga Circe, zia di Medea, che purificò i due assassini.\nL'Argo infine, poté riprendere la regolare navigazione.\nIn altre versioni, come nella Medea di Euripide, Apsirto è un giovane adulto. Eete mandò il figlio ad inseguire la nave Argo. Medea avrebbe, quindi, attirato il fratello in una trappola e facendogli credere che Giasone si fosse impossessato di lei con la forza, lo invitò ad un appuntamento in un luogo sacro, dove Giasone gli tese un'imboscata e lo uccise.\nSecondo una tradizione locale, l'origine etimologica di Tomi, una città della Grecia, deriverebbe proprio da questo evento poiché in lingua greca antica τέμνω indica il verbo 'tagliare'.
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### Titolo: Aracne.\n### Descrizione: Aracne (in greco antico: Ἀράχνη; era detta anche Aragne) è una figura mitologica. Ovidio narra la sua storia nel VI libro delle Metamorfosi, ma pare che il personaggio, già citato nelle Georgiche virgiliane, sia d'origine greca.\n\nMito.\nAracne viveva a Colofone, nella Lidia. La fanciulla, figlia del tintore Idmone e sorella di Falance, era abilissima nel tessere, tanto che girava voce che avesse imparato l'arte direttamente da Atena, mentre lei affermava che fosse la dea ad aver imparato da lei. Ne era tanto sicura che sfidò la dea a duello.\nDi lì a poco un'anziana signora si presentò ad Aracne, consigliandole di ritirare la sfida per non causare l'ira della dea. Quando lei replicò con sgarbo, la vecchia uscì dalle proprie spoglie rivelandosi come la dea Atena, e la gara iniziò.\nAracne scelse come tema della sua tessitura gli amori degli dei e le loro colpe; il suo lavoro era così perfetto ed ironico verso le astuzie usate dagli dei per raggiungere i propri fini che Atena si adirò, distrusse la tela e colpì Aracne con la sua spola.\nAracne, disperata, cercò di impiccarsi, ma la dea la trasformò in un ragno costringendola a filare e tessere per tutta la vita dalla bocca, punita per l'arroganza dimostrata (hýbris) nell'aver osato sfidare la dea.\nEsiste anche una versione minore del mito, molto diversa da quella sopra narrata. In questa Aracne, insieme al fratello Falance, era allieva di Atena, lei nella tessitura e lui nelle arti belliche. I due, tuttavia, furono sorpresi dalla dea mentre consumavano un amore incestuoso, e per questo puniti con la metamorfosi lei in ragno e lui in vipera.\n\nLetteratura.\nAracne è citata da Virgilio nelle Georgiche, da Ovidio nelle Metamorfosi, da Dante nell'Inferno (Canto XVII) nel Purgatorio (Canto XII), da Boccaccio nel De mulieribus claris, da Torquato Tasso nella Gerusalemme liberata e da Giambattista Marino nella poesia Donna che cuce.\nIl ragno nero (Die schwarze Spinne), è una novella o romanzo breve scritto dallo svizzero Jeremias Gotthelf (1841), che tratta questi argomenti, riprendendo una tradizione popolare simile presente tra i contadini del bernese, il luogo delle sue origini.\n\nArti visive.\nLe raffigurazioni antiche del mito di Aracne scarseggiano: potrebbe riferirsi a lei ad esempio un fregio marmoreo del foro di Nerva a Roma.\n\nRaffigurazioni della gara tra Aracne e Atena.\nFrancesco del Cossa, 1467-1470, Palazzo Schifanoia, Ferrara.\nTintoretto (1575 circa, Galleria degli Uffizi di Firenze).\nRubens, Pallade e Aracne, (1636).\nDiego Velázquez, Le filatrici (La favola di Aracne) (1657 circa).\nLuca Giordano (1695, Museo del Prado di Madrid).\nHermann Posthumus, Aracne è trasformata in ragno (1542).\nPerin del Vaga, Palazzo del Principe, Genova, 1527.\n\nRaffigurazioni a carattere politico.\nTaddeo Zuccari, affresco a Palazzo Farnese di Caprarola (1560 circa).\nLambert Sustris, affreschi nella Burg Trausniz presso Landshut (1574).\nJohann Hans Bocksberger il vecchio e Ludwig Refinger, ciclo di affreschi nella residenza cittadina di Lodovico X di Baviera a Landshut (1540), benché in questo caso l'ammonimento ai sudditi a non voler gareggiare con i potenti sia un elemento che rimane sullo sfondo dell'opera.\n\nIncisioni e illustrazioni.\nBernard Salomon (1557).\nAntonio Tempesta (1555).\nanonimo in Greek and Roman Mytholgy A to Z di Kathleen N. Daly (proprietà della New York Public Library Picture Collection).\nJean-Jacques-François Le Barbier, L'epifania di Athena guarda l'immagine.\nJohannes Baur, Minerva e Aracne guarda l'immagine.\nBullfinch, Atena colpisce Aracne (1667) guarda l'immagine.\nSusan Seddon Boulet, Aracne guarda l'immagine.\nGiovanni Caselli, Aracne nel The Illustrated Bulfinch's Mythology: Legends of Charlemagne, the Age of Chivalry, the Age of Fable.\nGustave Doré, illustrazione al XII canto del Purgatorio di Dante; le illustrazioni delle favole di La Fontaine, nello specifico 'La rondine e il ragno'; rilievo scultoreo di urna (dopo il 1871);.\nRaphael Regius (1509).\nLudovico Dolce (1558).\nKupferstich (1667).\nJohann Ulrich Krauss (1690).\n\nMusica.\nIl tema di Aracne è stato rappresentato in due balletti di Roussel (1944) e Alfred Koerppen (1968).
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### Titolo: Arai (divinità).\n### Descrizione: Le Arai erano, nella mitologia greca, le tre dee della vendetta. Ogni volta che qualcuno veniva sconfitto sulla Terra e lanciava una maledizione al suo assassino, le Arai si occupavano di dare al colpevole la lezione che si meritava. La loro reggia era nelle viscere del Tartaro. Secondo Esiodo erano figlie della divinità primordiale Notte.\n\nInfluenza culturale.\nLe Arai compaiono nella saga Eroi dell'Olimpo. In Eroi dell'Olimpo: la casa di Ade Percy Jackson e Annabeth Chase le incontrano nel Tartaro e scagliano maledizioni ai due mezzosangue.\n\nVoci correlate.\nTartaro (mitologia).\nEroi dell'Olimpo.\nEroi dell'Olimpo: la casa di Ade.\nPersonaggi di Percy Jackson.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Arai, su Theoi Project.
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### Titolo: Arcadia (poesia).\n### Descrizione: L'Arcadia (in greco: Ἀρκαδία) è una regione storica della Grecia, nella penisola del Peloponneso (cfr. l'attuale omonima unità periferica) che, nel corso della storia della letteratura, è stata elevata a topos letterario, in quanto percepita come un mondo idilliaco. Si presenta infatti come una regione montuosa, disabitata per via della sua topografia: prevalentemente occupata da pastori, ha assunto nella poesia e nella mitologia i connotati di sogno idilliaco, in cui non era necessario lavorare la terra per sostenersi, perché una natura generosa provvedeva già a donare all'uomo il necessario per vivere. Ha una diversa connotazione dal concetto di utopia.\n\nArcadia nella letteratura.\nSecondo la mitologia greca, l'Arcadia del Peloponneso era un possedimento di Pan, la deserta e vergine casa del dio della foresta e la sua corte di driadi, ninfe e spiriti della natura. Viene spesso identificata come una sorta di paradiso terrestre, abitato però solamente da entità sovrannaturali, non un luogo in cui le anime si rifugiassero dopo la morte.\n\nVirgilio e lo stile bucolico.\nL'Arcadia è rimasta un soggetto artistico sin dall'antichità, sia nelle arti visuali, sia in letteratura. Le immagini di bellissime ninfe che giocano e corrono in una rigogliosa foresta sono state frequenti fonti di ispirazione per pittori e scultori.\nLa stessa mitologia greca è fonte di ispirazione per il poeta romano Virgilio nello scrivere le sue Bucoliche, una serie di poemi la cui ambientazione è molto simile a quella dell'Arcadia.\nIl risultato poi dell'influenza virgiliana nella letteratura medioevale, come ad esempio lo è nella Divina Commedia, l'Arcadia è diventato il simbolo della semplicità dello stile di vita dei pastori, del loro attaccamento alla Natura.\n\nIl Rinascimento: l'Arcadia in Europa.\nGli scrittori rinascimentali europei infatti rivisitarono spesso questo tema, che divenne ben presto simbolo di un luogo idilliaco. Importanti autori che si rifecero a questa tradizione furono per esempio Garcilaso de la Vega, in Spagna o Torquato Tasso, in Italia, nella sua favola pastorale Aminta.\nCome è evidente, il termine 'utopia', coniato da Tommaso Moro, non ha la stessa connotazione del termine Arcadia: non riprende una società ed una Natura idealizzata dall'uomo secondo le sue esigenze; l'Arcadia rappresenta il risultato spontaneo della vita vissuta naturalmente, lontano dalla corruzione della civiltà.\nNel 1502, Jacopo Sannazaro pubblicò il suo poema Arcadia, che fissò la nuova concezione dell'Arcadia come un mondo perduto, di felicità perfetta e duratura, raccontato come un ricordo lontano e felice. Anche l'opera Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare è ambientata entro i limiti di un regno con le stesse caratteristiche dell'Arcadia, governato da un re fatato e una regina. Nell'ultimo decennio del XVI secolo, Sir Philip Sidney fa circolare delle copie di un suo poema eroico The Countess of Pembroke's Arcadia, stabilendo l'Arcadia come un modello del Rinascimento.\nIl tema dell'Arcadia fu in gran voga anche nel XVIII secolo: celebre è il villaggio costruito a Versailles, dove la regina Maria Antonietta, smessi i panni di sovrana, aveva l'occasione di essere una felice contadinella in un mondo fatato ed idilliaco.\n\nL'Arcadia nel panorama della letteratura italiana.\nL'Accademia dell'Arcadia rappresenta, oltre ad un circolo letterario, un vero e proprio movimento letterario, fondato a Roma il 5 ottobre 1690. I suoi fondatori sono 14 letterati e intellettuali, tutti appartenenti al circolo della regina Cristina di Svezia, che risiedette nello Stato Pontificio dopo aver abdicato al trono, dal 1655 alla morte (1689). Il nome, oltre a ricollegarsi idealmente alla classicità e al poema di Jacopo Sannazaro, rievoca il carattere evasivo dell'attività poetica svolta all'interno dell'Arcadia. Era ancora viva, infatti, all'interno dell'accademia l'abitudine di matrice seicentesca, al 'travestimento': ogni accademico si sceglieva un nome tra quelli dei pastori protagonisti delle opere di carattere bucolico greco-latine (ad esempio Opico Erimanteo era il soprannome di Gian Vincenzo Gravina e Artino Corasio quello di Pietro Metastasio), la sala riunione venne rinominata Bosco Parrasio, l'archivio 'Serbatoio', l'insegna 'sampogna di Pan' (il dio Pan era il protettore dei pastori e delle greggi) e a capo dell'organismo vi era un custode che svolgeva attività analoghe a quelle dell'odierno presidente di un circolo culturale. Tra i custodi che si sono succeduti durante la vita dell'Arcadia è necessario ricordare Gian Vincenzo Gravina. In tale accademia entrarono a far parte filosofi, storici, scienziati appartenenti alla scuola galileiana.\nTappa finale dell'Arcadia era teorizzare una via alternativa al 'cattivo gusto' barocco. La sua volontà era di impedire alla poesia di divenire mero artificio retorico. Per questo suo fine ultimo, l'accademia è stata spesso definita come una coscienza di decadenza, ovvero come la consapevolezza che la letteratura avesse raggiunto il suo apice nel periodo classico greco-latino e nel Petrarca. Si svilupparono in tale prospettiva due filoni interni all'Arcadia: quello 'petrarcheggiante', i cui massimi esponenti furono Giambattista Felice Zappi e Paolo Rolli e quello 'classicheggiante', il cui massimo esponente fu Pietro Metastasio.\nNonostante le copiose teorizzazioni estetiche ad opera dell'accademia, essa ebbe un carattere non-rivoluzionario, e la sua influenza rimase circoscritta al territorio italiano. L'accademia soffrì infatti di tre gravi limiti:.\n\nLa mancanza di ideali nuovi, più freschi e meno anacronistici;.\nLa mancanza di concretezza, l'accademia aveva assunto, infatti, i caratteri di una realtà alternativa e fittizia, poco attenta alle strade letterarie intraprese nel resto d'Europa,.\nLa mancanza di 'verità': la produzione Arcadica era sì caratterizzata da una grande raffinatezza formale, ma era frutto di una concezione manieristica della poesia, alla rielaborazione di già ben noti topoi letterari.Tali limiti appena citati hanno aggiunto al termine Arcadia un significato figurato e quello di una riunione di persone o una corrente culturale che tratti futilmente di cose senza importanza.\n\nLetteratura contemporanea.\nVi è un riferimento ad Arcadia anche nella serie di romanzi di Ulysses Moore, scritta da Pierdomenico Baccalario. Essa è infatti uno dei paesi immaginari raggiungibili dalle Porte del Tempo o dal Labirinto d'Ombra, che la collega agli altri porti dei sogni. Parte dell'ottavo, del nono e del dodicesimo libro della serie è ambientata ad Arcadia.
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### Titolo: Arcandro.\n### Descrizione: Arcandro (in greco antico: ?) è un personaggio della mitologia greca, figlio, oppure nipote (a seconda delle fonti) di Acheo e fratello di Architele.\n\nMitologia.\nInsieme al fratello Architele combatté una guerra contro Lamedonte, re di Sicione, e ne furono sconfitti.\nSi trasferì dalla sua città natale Ftia ad Argo, (la città bianca), capitale dell'Argolide. Da tale luogo in seguito riuscì a prendere il comando del regno e aumentò il suo potere arrivando a regnare anche sulla Laconia. Secondo il mito lui fu il primo a chiamare Achei gli abitanti di quei luoghi.\nArcandro sposò una delle figlie di Danao, la giovane Scaia e suo fratello scelse un'altra figlia dello stesso padre, chiamata Automata.
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### Titolo: Archefonte.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Archefonte era un giovane eroe innamorato di Arsinoe, la figlia di Nicocreonte.\n\nMitologia.\nArchefonte amava con tutto se stesso la donna ma lei continuava a rifiutarlo, fino a quando lui disperato decise di uccidersi.\nDi fronte a tale spettacolo Arsinoe non diede alcun segno di dispiacere ed Afrodite piena d'ira vedendo un cuore tanto freddo, decise di trasformarla in pietra.
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### Titolo: Archelao (figlio di Temeno).\n### Descrizione: Archelao (in greco antico: Ἀρχέλαος?, Archélaos) è un personaggio della mitologia greca. Fu il fondatore della città di Ege.\nIgino scrive che sia un antenato di Alessandro Magno.\n\nGenealogia.\nFiglio di Temeno.\nNon sono noti nomi di spose o progenie.\n\nMitologia.\nEsiliato dai suoi fratelli, abbandonò la città di Argo e si trasferì presso il regno di Cisseo, in Macedonia che, trovandosi con una guerra in atto ed in difficoltà, colse l'occasione di schierare Archelao al suo fianco promettendogli in cambio la mano della figlia ed il regno.\nCisseo però, si rimangiò la parola data e fece scavare una fossa piena carbone a cui diede fuoco prima di celarla con una copertura di fronde e cercando di fare in modo che Archelao ci cadesse dentro, ma Archelao fu avvisato da un servo e così, dopo aver chiesto di conferire con Cisseo, lo gettò nella sua stessa fossa uccidendolo.\nArchelao poi, interrogò un oracolo che gli consigliò di abbandonare il regno seguendo il cammino di una capra di nome Ege ed in seguito fondò una città che chiamò con lo stesso nome della capra.
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### Titolo: Archemaco di Eubea.\n### Descrizione: Archemaco di Eubea (in greco antico: Ἀρχέμαχoς?, Archémachos; Eubea, ... – ...; fl. III secolo a.C.) è stato uno storico greco antico.\n\nBiografia e opere.\nDi Archemaco abbiamo notizia che avrebbe composto almeno tre libri che trattavano della sua isola nativa (Eubea).\nÈ incerto se questo Archemaco sia stato l'autore dell'opera grammaticale I cambiamenti di nome (Aι Μετωνυμιαι),.
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### Titolo: Archia (ecista).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Archia (in greco antico: Ἀρχίας) era il nome del mitico fondatore (ecista) di Siracusa.\n\nL'origine e l'esilio.\nDiscendenza.\nSi narra che Archia fu figlio d'Evageto; costui era il decimo discendente dell'eraclida Temeno, il quale era a sua volta figlio di Aristomaco - discendente di Illo; figlio d'Ercole e fondatore del popolo degli Illiri - insieme ai due fratelli, Cresfonte e Aristodemo, conquistò e invase il Peloponneso. Avendone scacciato gli Achei, a Temeno toccò la città di Argo - mentre i suoi due fratelli si insediarono presso la Messenia e la Laconia - divenendone reggente.\nFu dal mito di questa discendenza che Archia si disse, oltre che eraclide e bacchiade, anche argivo, poiché suo padre traeva radici genealogiche da quel Temeno signore d'Argo. Il nome di Evageto è attestato nel Marmor Parium, e tuttavia non si è certi della piena affidabilità di tale frammento scolpito.\nArchia era un componente della famiglia dei Bacchiadi; era tra i membri più influenti e autorevoli. Tale stirpe viene fatta risalire al ramo dei Dori, e il suo primo esponente fu Alete, il dorico eraclida che occupò Corinto governandola con la sua discendenza fino a Bacchi di Prumnide, e da questi la famiglia mutò il suo nome da Eraclidi in Bacchiadi. Secondo altre versioni invece l'origine del nome sarebbe derivato da Bacchia figlia del dio Bacco.\nDa re alle più alte cariche, i Bacchiadi controllavano la vita sociale, militare e politica di Corinto.\n\nI Bacchiadi e Atteone.\nL'esilio di Archia è dovuto alla tragica vicenda dell'argivo giovane Atteone, figlio di Melisso, il quale, secondo diverse versioni discordanti, venne ucciso dai Bacchiadi.\n\nLa narrazione di Plutarco.\nPlutarco - colui che ci ha fornito la versione più dettagliata - narra che tutto ebbe inizio quando Fidone, re di Argo - e discendente di Temene - decise di voler conquistare Corinto per poi farne la propria sede principale dalla quale porre l'avvio all'intera conquista del Peloponneso. Tale Fidone aveva chiesto con una scusa 1.000 giovani corinzi, tra i più fiorenti e coraggiosi, ma il suo reale intento non era amichevole, egli infatti voleva uccidere questi giovani per privare Corinto delle sue forze migliori. Il suo piano fallì a causa del tradimento dei comandanti argivi Dessandro e Abrone; quest'ultimo per fuggire dalle ire di Fidone prese la sua famiglia e si portò con essa al riparo dentro le mura di Corinto. Qui fu ben accolto avendo salvato la città dalle mire argive.\nAbrone ebbe un figlio che chiamò Melisso, il quale a sua volta fu genitore di Atteone. Questo giovane, narra Plutarco, era per virtù e bellezza il primo fra i corinzi. Ma egli per queste sue qualità aveva dietro una schiera di spasimanti che volevano sedurlo, dei quali il più ardimentoso era proprio Archia dei Bacchiadi.\n\nArchia venne più volte rifiutato dal giovane Atteone, e non volendo rassegnarsi decise allora che avrebbe usato la forza per averlo. Con altri Bacchiadi della sua famiglia si presentò presso la casa di Melisso, deciso a rapire e portare con sé il giovane argivo. Ma egli e i suoi complici incontrarono la decisa resistenza del padre, Melisso, il quale chiamando altri suoi amici voleva impedire il ratto del figlio.\nNella gran foga che si creò, Atteone venne strattonato dagli uni e dagli altri, finendo lacerato, ucciso in questa maniera. Di tale tragedia Melisso invocò giustizia. Recante il corpo del figlio, si portò in pubblica piazza e qui pronunciò parole d'astio e rammarico verso i corinzi, i quali, dimentichi del bene fatto da suo padre Abrone, lasciavano che i Bacchiadi restassero impuniti per tale crimine commesso ai danni della sua prole.\nEgli voleva giustizia contro Archia, ma i corinzi temevano l'ereclida a causa della potente fama di cui erano stati insigniti i Bacchiadi. Vedendo che né Senato e né popolo osava parlare contro il colpevole, durante i giochi dell'Istimo, salì sul Tempio di Poseidone - o Nettuno - e maledicendo i Bacchiadi e invocando il nome di tutti gli dei, afflitto dal profondo dolore, si gettò da un dirupo, non sopravvivendo così al figlio.\n\nDopo la sua morte incominciò un lungo periodo di carestia e pestilenza presso Corinto. Disperati gli abitanti andarono a consultare l'Oracolo delfico - il più importante tra gli oracoli dei greci - e questi rispose loro che l'ira del dio Poseidone era stata scatenata, e non si sarebbe mai placata fino a quando la morte di Atteone non sarebbe stata vendicata.\nArchia, che faceva parte della delegazione di corinzi mandati presso l'oracolo, udendo tali parole decise di auto-esiliarsi. Per i sensi di colpa che gli vennero nei confronti dell'intera città, o per il timore che l'ira funesta di Poseidone potesse abbattersi contro di lui se fosse rimasto a Corinto.\n\nAltre narrazioni.\nLa narrazione tramandata negli scoli ad Apollonio Rodio è invece differente da quella di Plutarco. Non vi è un Abrone argivo, ed è Melisso ad aiutare la città di Cortinto contro le mire espansionistiche di Argo. Inoltre Atteone non venne ucciso dalla foga di Archia che lo strattonava, ma piuttosto furono colpevoli tutti i Bacchiadi.\nMelisso venne a chiedere vendetta, ma non contro il singolo Archia, bensì contro tutta la stirpe dei Bacchiadi. Poiché essi, ritenuti eredi di Bacco, dimostrarono di non poter convivere pacificamente a Corinto, a causa della loro genetica che li rendeva pericolosi. Il responso dell'Oracolo delfico fu quindi l'esilio forzato per tutto il genos dei Bacchiadi.\nLo Scolio di Apollonio nomina solamente Chersicrate, come esponente della famiglia bacchiade. Ed informa che questi andò a fondare Corcira. In questo caso Archia sarebbe stato espulso da Corinto al pari degli altri componenti.\nMa le versioni sull'esilio dei Bacchiadi sono discordanti; Strabone ci informa che Archia venne cacciato insieme a Chersicrate - e non si nomina l'auto-esilio di cui rende testimonianza Plutarco - mentre il resto della famiglia bacchiade rimase in Corinto fino all'avvento della tirannia di Cipselo.\n\nVi sono dunque due date differenti tra l'abbandono di Archia e il resto della famiglia: Archia andò via da Corinto - insieme al bacchiade Chersicrate - verso la metà del VII sec. a.C., mentre il resto del genos rimase nella città peloponnesiaca fino all'anno 658-657 a.C., ovvero fino a quando Cipselo - per metà bacchiade anche lui - con una scusa mandò i più illustri membri della famiglia a consultare l'oracolo di Delfi e una volta fuori non li fece più rientrare, costringendoli tutti all'esilio.\nIn altre versioni ancora, a uccidere Atteone non furono i Bacchiadi, ma i devoti di Bacco, i quali durante le feste ad esso dedicate, si resero protagonisti del violento rito dionisiaco, per cui dilaniarono il povero Atteone.\nInfine nella narrazione di Diodoro Siculo sparisce qualsiasi riferimento all'argivo Fidone, Abrone o alla collera di Melisso, poiché lo storico d'Agira si concentra solamente sulla vicenda dell'Archia invaghito dell'Atteone.\n\nE così conclude:.\n\nIl traduttore di Diodoro, Campagnoni - come altri storici - informa inoltre che secondo Massimo di Tiro Atteone non era figlio di Melisso ma di Eschilo.\n\nL'Oracolo di Delfi e la fondazione di Siracusa.\nDiscendenza.\nArchia ebbe due figli, Ortigia e Siracusa.\n\nL'Archia argivo e il borgo di Tenea.\nStorici come Eugenio Manni, considerando la non indifferente quantità di indizi che collegano in un modo o nell'altro (attraverso l'archeologia e attraverso le fonti antiche) Argo a Siracusa, hanno ipotizzato che la leggenda che vuole Archia un corinzio di nascita e dunque un Bacchiade-Eraclide, fosse in realtà da rivedere in chiave argiva. Per questo motivo, alcuni sostengono che il Marmor Parium si fosse equivocato stabilendo che Archia era un Bacchiade di Corinto, mentre in realtà egli era solamente in stretti rapporti con tale nobile famiglia; ciò spiegherebbe anche l'anomalia del comportamento di Melisso, padre di Atteone, che non aveva voluto concedere suo figlio ad un nome tanto importante come quello degli Eraclidi. Il borgo di Tenea - il più esteso della regione corinzia - sarebbe stato in origine appartenente all'Argolide, e solo dopo la sconfitta del re argivo Fidone, sarebbe passato alle insegne corinzie. Dunque Archia, che avrebbe risieduto in Tenea - dal quale preleverà il maggior numero dei suoi coloni - era un argivo e come lui lo erano tutti i teneati che, proprio a causa della sconfitta di Fidone e dell'annessione della loro terra a Corinto, furono costretti all'esilio. Col passare del tempo la situazione politica corinzia si stabilizzò, ed essendo la metropoli divenuta ben più nota del suo borgo i coloni di Siracusa si dissero solamente corinzi, così come solamente corinzia si disse la sua origine: dimenticando l'importante componente argiva che l'aveva fondata. Ciò rimane ovviamente solo una delle tante ipotesi che girano intorno al periodo meno noto e più arcaico di Siracusa.
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### Titolo: Areio.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Areio secondo una delle versioni del mito era uno dei partecipanti alla spedizione dedita al recupero del vello d'oro.\n\nIl mito.\nAreio rientra nell'annovero posto da Apollonio Rodio, di coloro che spinti dall'entusiasmo di Era, la moglie di Zeus, risposero all'appello degli araldi mandanti in tutta la Grecia per il recupero dell'oggetto sacro. Fu dunque uno degli argonauti, ubbidì silente al loro comandante Giasone e non si distinse nel viaggio per impresa o altro.
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### Titolo: Areo (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Areo era il nome di uno dei figli di Biante.\n\nNella mitologia.\nAreo era il fratello di Talao e di Leodoco.\nSecondo Apollonio Rodio, quando Giasone dovette partire per la conquista del vello d'oro (incarico affidatogli da Pelia quale impresa per riscattare la propria famiglia), Areo fu uno degli eroi che insieme ai fratelli rispose all'appello. Durante il viaggio degli argonauti, questo il nome del gruppo di eroi, non si distinse in maniera particolare.\nAreo regnò a Preto come ricompensa del re per aver salvato dalla follia le figlie del re.
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### Titolo: Areopago.\n### Descrizione: L'Areòpago, o Areopàgo, (in greco antico: Ἄρειος Πάγος?, 'collina di Ares') è una delle colline di Atene (Grecia) situata tra l'agorà e l'acropoli.\n\nStoria.\nNel periodo monarchico dell'antica Grecia vi si riuniva il collegio delle supreme magistrature dello Stato presiedute dal re (governo dei 9 arconti), mentre intorno al 624 a.C. tale termine venne utilizzato per indicare l'assemblea degli anziani (ex arconti). La principale funzione di tale assemblea era quella di occuparsi della custodia delle leggi contro ogni violazione e della giurisdizione sui delitti di sangue. Il suo orientamento fu del tutto conservatore e la sua composizione, formata da membri provenienti dall'aristocrazia eletti per anzianità o per principi ereditari, accentuava il suo indirizzo moderato e sanciva il suo ruolo decisivo nella custodia delle leggi, della pubblica moralità e dei culti cittadini.\nL'Areopago perse lentamente il controllo della vita pubblica col sorgere delle prime forme di democrazia, che si affermarono subito rispetto alle leggi arcaiche dell'arcontato, i cui membri erano addirittura eletti a vita, senza possibilità di rinnovo del consiglio.\nA partire dal 487 a.C. si assistette al declino dell'Areopago, grazie alla rivoluzione democratica già avviata nel 508/7 a.C. da Clistene, la cui costituzione assegnò il potere a una Boulé composta da cinquecento membri, sorteggiati da una lista di candidati delle tribù ateniesi.\nFurono Efialte e Pericle nel 462/61 a limitare definitivamente i poteri dell'Areopago, che passò a occuparsi solamente dei reati relativi al sacrilegio e all'omicidio volontario. L'organismo riacquistò importanza col declino della democrazia e il sorgere della civiltà ellenistica.\n\nEtimologia.\nEtimologicamente Areopago deriva da Ares, dio della guerra greco e i motivi del nome sono due:.\n\nSecondo la leggenda, il dio sarebbe stato accusato di omicidio da Poseidone, dio del mare greco, e Ares sarebbe stato giudicato da dodici giurati proprio su quella collina;.\nStoricamente sulla collina sorgeva un tempio dedicato ad Ares.Nell'epoca classica comunque l'Areopago si riteneva presieduto dalla dea Atena.\n\nReligione.\nFamoso è il Discorso dell'Areopago di san Paolo in Atti degli apostoli (17,22-34) agli areopagiti, per annunciare loro la morte e la resurrezione di Cristo. Il versetto 21 menziona che 'tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare'. Paolo, predicatore dalla sua conversione, iniziò a testimoniare riguardo a Dio e all'uomo che Dio 'ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti'. Paolo prese occasione dal simulacro ivi dedicato al 'Dio ignoto', identificato da Paolo con il Dio cristiano, proclamando che Dio è creatore di tutte le cose e che ha dato prova, risuscitandolo dalla morte, che il Figlio Gesù Nazareno detto Cristo, morto e risorto, è colui che un giorno giudicherà il mondo con giustizia. Paolo rinforzò il suo dire evocando un verso del poeta ellenistico, Arato di Soli, che cita: 'di Lui noi siamo la stirpe' (17,28). Ma gli areopagiti, filosofi scettici, lo licenziarono dicendogli: 'Su questo ti sentiremo un'altra volta', perché non credevano al risorgere dai morti in quanto contrario alla contrapposizione greca tra puro spirito e la materia meno pura. La predicazione di Paolo tuttavia fece dei proseliti secondo quanto riportato negli Atti degli Apostoli (17,34) dove si specifica che 'alcuni divennero credenti, fra questi anche Dionìgi membro dell'Areopago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro'.
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### Titolo: Arestore.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Arestore o secondo alcuni Arestoride, era il padre di Argo Panoptes (Argo dai cento occhi).\n\nIl mito.\nArestore a seconda delle varie tradizioni risulta essere padre o fratello di Argo, non il fondatore della città ma del guardiano di Io, che secondo una tradizione minore fu il figlio a chiamarsi per tale discendenza con l'epiteto di Arestoride.\n\nDiscendenza.\nSecondo Igino, da Niobe e Zeus nacque Argo il fondatore della città, da lui ed Evadne nacquero Arestore e Argo.
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### Titolo: Aretaone.\n### Descrizione: Aretaone (in greco Ἀρετάων) è una figura mitologica dell'Iliade (VI, v. 31); fu un guerriero troiano.\nAretaone fu ucciso da Teucro in un'azione bellica descritta nel libro VI dell'Iliade relativo all'incontro di Ettore e Andromaca.\n\nOmonimia e paternità.\nNel poema omerico il nome identifica anche il padre dei tre guerrieri frigi Ascanio, Forci, Mori e Palmi.\n\nSecondo Apollodoro, Aretaone è il padre di Ascanio e Forci.\nOmero invece, riferisce solo che Forci era figlio di Fenope, il che fa sì che questo personaggio si possa ricondurre allo stesso del padre di Ascanio (Aretaone).
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### Titolo: Arete (moglie di Alcinoo).\n### Descrizione: Arete (in greco antico: Ἀρήτη?, Arḕtē) è un personaggio della mitologia greca, sposa e nipote di Alcinoo re dei Feaci e madre di Nausicaa e Laodamante.\n\nMitologia.\nLegata ad una vicenda narrata da Omero nel libro V dell'Odissea e riguardante uno dei naufragi di Ulisse.\nIn terra dei Feaci Ulisse trova ospitalità e ottiene, grazie all'intermediazione di Arete verso il marito, i mezzi per riprendere il suo viaggio di ritorno a Itaca.\nArete è anche famosa per aver aiutato MedeaSecondo Esiodo Arete sarebbe anche una sorella di Alcinoo.
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### Titolo: Argalo.\n### Descrizione: Argalo (in greco antico: Ἄργαλος?) è un personaggio della mitologia greca, terzo re di Sparta.\nArgalo era figlio primogenito ed erede del re di Sparta Amicla e, presumibilmente, di sua moglie Diomeda. I suoi fratelli erano Cinorta, Giacinto, Polibea, Laodamia, (o Leanira) e secondo altre versioni, Dafne.Argalo non ebbe figli e per questo motivo il suo successore sul trono di Sparta fu il fratello Cinorta. Secondo altre versioni, invece, Argalo ebbe come figlio Ebalo, che divenne anch'egli re di Sparta, ma non immediatamente dopo il padre, bensì come sesto re.
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### Titolo: Arge.\n### Descrizione: Arge (in greco antico: Ἄργης?, Árgês) o Arges è un personaggio della mitologia greca, figlio di Urano (il cielo) e di Gea (la terra).\nViene chiamato Piracmone da Virgilio e Acmonide (in latino Acmŏnĭdēs, -ae, lett. 'figlio dell'incudine') da Ovidio nei Fasti.\n\nMitologia.\nSecondo Esiodo era un ciclope ed aveva due fratelli (Sterope e Bronte), sapeva lavorare il ferro e costruire mura. Prestava all'inizio aiuto al dio Efesto nel preparare i fulmini di Zeus. In seguito Arge divenne una guardia di Zeus e sposò una ninfa ed ebbe dei figli che incontrarono Ulisse molti anni dopo.\n\nLa morte.\nApollo voleva molto bene a suo figlio Asclepio e quando venne a sapere che Zeus lo aveva ucciso si volle vendicare uccidendo a sua volte i tre ciclopi e quindi Arge. Si racconta che la sua ombra vaga alle pendici del vulcano Etna.\n\nCuriosità.\nUn minerale è stato dedicato a questo ciclope: l'acmonidesite.
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### Titolo: Argeio.\n### Descrizione: Argeio (in greco antico: Άργεῖος), un personaggio della mitologia greca, uno dei figli di Licimnio e di Perimede.\n\nMitologia.\nAveva due fratelli Eono e Mela.\nAmico e compagno di guerra insieme a Mela di Eracle andò a combattere Eurito il re di Ecalia trovandovi la morte insieme al fratello.\nIl semidio, loro lontano parente li seppellì entrambi.
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### Titolo: Argenno.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Argenno o Arginno era il nome di uno dei giovani della Beozia, noto per la sua bellezza.\n\nIl mito.\nArgenno era un ragazzo dalla grande bellezza. Un giorno egli si trovava nell'Aulide dove la flotta achea aspettava di poter salpare per raggiungere Troia che avevano giurato tra loro di distruggere. Il capo supremo dell'armata, Agamennone, notò, in quei luoghi, Argenno e si innamorò perdutamente di lui. Raggiunse il ragazzo presso le rive del fiume Cefiso, cercò di sedurlo, ma non vi riuscì perché il giovane, determinato a sfuggirgli, morì annegando nelle sue acque. Agamennone addolorato, eresse in suo nome un tempio solenne dedicato ad Afrodite.
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### Titolo: Argeo (re di Argo).\n### Descrizione: Argeo (in greco antico: Ἀργεύς?) era un re mitologico di Argo nell'antica Grecia, figlio di Megapente forse fu padre di Anassagora.
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### Titolo: Argeo.\n### Descrizione: Argeo (in greco antico: Ἀργεῖος?, Arghêios) è un personaggio della mitologia greca ed uno dei figli di Frisso e Calciope e fu fratello di Frontide, Citissoro e Mela.\n\nMitologia.\nPrese parte con i suoi fratelli al viaggio verso la Colchide ed in seguito si unì agli Argonauti.\nSecondo alcuni morì nella spedizione di Eracle contro Laomedonte; secondo altri, insieme a suo fratello Mela, morì nella conquista di Ecalia. Eracle, avendo promesso a suo padre di riportarglielo a casa, ne riportò le ceneri.
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### Titolo: Argia (mitologia).\n### Descrizione: Argia o Argea (in greco antico: Ἀργεία?, Arghèiā), è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglia di Adrasto e di Anfitea (figlia di Pronace) o Demonassa, sposò Polinice e fu madre di Tersandro.\n\nMitologia.\nFu la prima nata fra le tre sorelle e una volta adulta partecipò con altre donne ai funerali di Edipo, di cui in seguito sposò il figlio Polinice. Dopo la morte del marito, caduto a Tebe nella celebre guerra, si recò in quella città per recuperarne il corpo: lì venne sorpresa dalle guardie di Creonte, ma riuscì a fuggire.\nArgia è citata da Giovanni Boccaccio nell'opera De mulieribus claris.
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### Titolo: Argiope (figlia di Teutrante).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Argiope (Ἄργιόπη) era la figlia del re Teutrante di Misia, che secondo una versione fu la prima moglie di Telefo, al quale diede i figli Tarconte e Tirreno. Forse i due generarono insieme anche Ciparisso.
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### Titolo: Argiope (ninfa).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Argiope (Ἄργιόπη) era una ninfa che abitava sul Parnaso e dalla unione con Filammone aveva generato Tamiri celebre cantore che si vantò di essere superiore alle stesse Muse ma che venne da queste accecato.\n\nFonti.\nBiblioteca (Apollodoro), 1, 3, 3.
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### Titolo: Argo (cane).\n### Descrizione: Argo (in greco antico: Ἄργος?, Árgos) è il cane di Odisseo (Odissea, XVII, 290-327).\n\nAllevato come cane da caccia dall'eroe prima di partire per Troia, nel poema di Omero compare in un passo, ad Itaca, soltanto nella terza e ultima parte: ormai vecchio, disteso «su cumuli di letame di muli e buoi addossato dinanzi all'ingresso», tormentato dalle zecche; ugualmente, vede subito il padrone Odisseo (travestito da mendicante) dopo averlo lungamente atteso nonostante la prolungata assenza, e agita la coda, abbassa le orecchie, non avendo la forza di avvicinarsi a lui. Argo allora viene «preso dalla nera morte per sempre, dopo essere riuscito a rivedere alla fine Odisseo dopo vent'anni», e Odisseo si asciuga di nascosto una lacrima (l'unica che versa dopo il suo ritorno ad Itaca), senza che Eumeo se ne accorga. Il cane Argo rappresenta la fedeltà nei confronti del padrone.\n\nArgo riconosce o no Odisseo?.\nIn merito alla questione del riconoscimento da parte di Argo di Ulisse, la esegesi di Vincenzo Di Benedetto riportata nelle note del testo dice :.\n\nBensì Argo non riconosce inizialmente Ulisse ma riconosce il padrone solo dopo che Eumeo entrò nel palazzo circondato dai Proci.
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### Titolo: Argo (città antica).\n### Descrizione: Argo è un'antica città dell'Argolide, in Grecia, importante polis al centro di molteplici eventi storici e mitologici.\n\nNome.\nLa regione di Argo è conosciuta come Argolide (Argolis o Argeia). Gli abitanti di Argo sono detti Ἀργεῖοι Arghèioi in greco e Argīvī in latino.\nIl nome della città può avere origine pregreca ('pelasgica') mentre lo è sicuramente il nome della sua acropoli, Larissa. La città deriva il suo nome dal mitico fondatore Argo, figlio di Zeus e Niobe, figlia di Foroneo, che successe allo zio Api come re di Foronea, che ribattezzò dandole il suo nome. Secondo un racconto, sposò Evadne, figlia di Strimone e Neera, ed ebbe come figli Ecbaso, Peiranto, Epidauro e Criaso.\nSecondo un'altra versione, sua moglie era senza nome, e i suoi figli furono Peiranto, Forbante, e Tirinto.\nSe il nome è di origine indoeuropea probabilmente è collegato alla radice arg- che significa 'brillante' o 'splendente' o simili (per esempio argyros, argento).\n\nStoria.\nPeriodo greco antico.\nOrigini e fondazione.\nLa città sorge ai piedi di una catena montuosa che chiude a nord l'omonima pianura e che a sud termina nel golfo di Nauplia. Inserita lungo importanti vie di comunicazione che collegavano il Peloponneso all'Attica ed alla Beozia, la città poteva contare sulle produzioni agricole della pianura circostante e sui commerci marittimi che si svolgevano nel vicino porto di Nauplia.\nAd est ed a ovest della città sorgono due colline, Larissa e Aspis. La prima fu la sede dell'agglomerato e della rocca micenea, sulla seconda sorgeva un tempio dedicato ad Apollo Liceo (Lyceios) ed altri dedicati a Diomede ed Atena.\nSulla collina dell'Aspis inoltre si trova un insediamento miceneo databile tra il 2000 e il 1600 a.C. La collina ebbe una frequentazione successiva anche in epoca classica.\n\nEdificata durante l'età del bronzo fu probabilmente rifondata nel 1000 a.C. come gli altri centri dell'Argolide fu abitata dagli Ioni, poi scacciati dai Pelasgi, che a loro volta furono sostituiti dai Pelopidi, la stirpe di Agamennone, re di Micene. Quindi, nel X secolo a.C. i Dori giunsero nella regione e si mescolarono alle genti che si erano qui stabilite.\n\nL'egemonia di Argo.\nLa città fu nella Grecia antica la seconda città del Peloponneso ed 'una delle più importanti terze forze nel quadro internazionale greco'.\nDell'Argo dell'epoca micenea restano ben poche vestigia. La città, insieme a Micene e Tirinto, doveva far parte dell'organizzazione difensiva palaziale micenea, che si è persa nei secoli successivi.\nDopo secoli bui, caratterizzati dalla decadenza dei palazzi micenei e da un brusco calo della popolazione del Peloponneso, Argo si riformerà per sinecismo di alcuni piccoli centri situati ai piedi delle due colline espandendosi poi fino a raggiungere la massima estensione nell'VIII secolo a.C.\n\nPersonaggio fra mito e storia di questo periodo fu il tiranno Fidone. Sotto la sua guida, fra l'VIII ed il VI secolo a.C. Argo raggiunse l'apice della sua potenza arrivando a controllare la maggior parte del Peloponneso, a dirigere i giochi Olimpici strappando Olimpia dal controllo degli Elei e consegnandola ai suoi alleati Pisiati, ad imporre un diverso sistema di misure (più piccole di quelle ateniesi e dette appunto fidoniane) ed infine a possedere l'esercito più potente grazie alla introduzione della falange oplitica. La supremazia militare di Argo nel Peloponneso e su Sparta si mantenne fino al 600 a.C.\nL'espansione si consolidò con la schiacciante vittoria a Isie nel 669 a.C. contro Sparta, dopo tale scontro le due città furono eterne nemiche.\nEstendendo il suo dominio sull'Argolide e su parte del Peloponneso, in questo periodo espanse la sua influenza alle oramai decadute città micenee di Tirinto e Micene, occupando Nauplia e il suo porto, espandendosi ad ovest verso l'Arcadia e a sud lungo il fiume Parnone riducendo gli occupati, definiti orneati in una condizione di semilibertà simile a quella dei perieci spartani.\nNon dobbiamo infatti dimenticare che la stirpe argiva era dorica, come gli Spartani, e quindi con una impostazione politica simile. Ciò che è interessante nella storia di questa città è l'evoluzione originale che ebbero le sue forme di governo, sulla spinta delle ricorrenti crisi demografiche, causate dallo stato di guerra continua, ben descritto da Isocrate:.\n\nAnche la città di Corinto e l'isola di Egina subirono per un certo periodo la supremazia argiva.\n\nLa decadenza.\nDopo il periodo fidoniano Argo comincia gradatamente a perdere il proprio predominio. A Nord, nelle città di Sicione e Corinto si affermarono due dinastie di tiranni, gli Ortagoridi di Sicione e i Cipselidi di Corinto, fortemente ostili ad Argo che contrastarono non solo il dominio politico e commerciale argivo ma anche quello culturale (il tiranno ortagoride Clistene (ca.600 a.C. - 570 a.C.) vieterà la lettura dell'Iliade perché esaltava troppo le glorie degli eroi argivi).\n\nArgo così, con l'andare del tempo, vide diminuire la sua area di influenza su territori via via più importanti strategicamente, come le città di Epidauro, Trezene ed Ermione e successivamente l'isola di Egina. Trovandosi in tale difficoltà nel Peloponneso, Argo dovette cercare alleanze al di fuori di questa regione. Gli argivi perciò cominciarono ad interessarsi alle vicende ateniesi ed infatti un contingente di mercenari argivi aiutarono Pisistrato a divenire tiranno di Atene nel 549 a.C..\nIn particolare fu l'intervento di Sparta a ridimensionare definitivamente la potenza argiva fino ad impedirle il controllo della stessa pianura circostante. Sparta infatti strappò la città di Tirea al dominio argivo nel 545 durante la cosiddetta battaglia dei campioni che vide gli spartani vittoriosi, se pur con notevoli perdite. In seguito a questa battaglia numerose poleis più piccole si posero sotto la tutela spartana.\nDopo aver vinto i Corinzi che assediavano l'alleata Megara, Argo subì altre gravi sconfitte ad opera degli spartani durante il regno del potente re spartano Agiade, Cleomene I. La prima nel 510 a.C. quando Argo fu salvata dalle donne che scesero in armi a difendere la città sotto il comando della poetessa Telesilla. La seconda e più grave nel 494 a.C., con la battaglia di Sepeia, nei pressi di Tirinto (gli spartani ebbero qui l'appoggio della flotta di Sicione ed Egina), nella quale le perdite argive furono così gravi da provocare una tale crisi demografica che la città dovette essere governata per un lungo periodo dagli orneati (perieci) dando origine a quel complesso ed instabile equilibrio politico che caratterizzerà tutta la successiva storia di Argo.\nErodoto e Pausania forniscono indicazioni sulla situazione politica interna di Argo durante queste vicende: a Fidone succedette il figlio Leocede che fu accusato di debolezza e considerato responsabile delle sconfitte subite e dovette dimettersi, stessa sorte subì suo figlio Melta la cui scacciata sancì la fine della monarchia ereditaria ad Argo.\nIl potere politico venne controllato dall'Assemblea, dalla Boulè (un'assemblea ristretta riservata ai più anziani) ed a varie magistrature come quella dei Damiurghi. Rimarrà ancora la figura del re ma sarà elettiva e con poteri molto limitati (sacerdotali e militari, probabilmente presiedeva la Boulè).\nLa sconfitta di Sepeia (Sepia) con la successiva strage di opliti avversari operata del re spartano Cleomene I causerà una gravissima crisi demografica in Argo (Erodoto parla di 6000 caduti). Dell'antica aristocrazia dorica restavano solo vecchi, donne e bambini, fu necessario coinvolgere nell'amministrazione della città i perieci. Non vi fu un vero e proprio mutamento istituzionale ma molte persone nuove entrarono nelle strutture di potere della polis. L'antica aristocrazia dovette accettare questo mutamento, conservando il controllo della Boulè, in attesa che i bambini crescessero ed una nuova generazione di nobili fosse disponibile. Argo comunque non venne distrutta (e di questo gli spartani accusarono Cleomene I), non dovette entrare nella lega del Peloponneso e poté mantenere l'indipendenza.\n\nLa complicata situazione politico sociale creatasi ad Argo durante questo periodo è dimostrata anche dal comportamento ambiguo che la città ebbe durante la guerra fra Egina ed Atene nel periodo fra la prima e la seconda guerra persiana. Argo negò l'appoggio agli Egineti in quanto questi avevano partecipato alla battaglia di Sepia come alleati degli Spartani, ma poi inviò un contingente di mille volontari al comando di Euribate, un campione olimpico del pentathlon antico.\nQuando nel 480 a.C., dopo il consiglio dell'istmo, alla vigilia dello scoppio della seconda guerra persiana, ambasciatori della greci confederati contro la Persia vennero a chiedere l'aiuto di Argo, la Boulè argiva chiese una pace trentennale con Sparta ed il comando di almeno la metà dell'esercito per partecipare all'impresa (si voleva guadagnare tempo per permettere alla nuova generazione argiva di divenire adulta). Era una richiesta non accoglibile che nascondeva anche l'incapacità della polis a radunare un esercito efficace in quel periodo.\nIl mutamento sociale ad Argo è ulteriormente testimoniato dall'introduzione di una nuova tribù nella suddivisione del corpo cittadino: alle tre classiche doriche dei Dimani, degli Illei e dei Panfili viene aggiunta quella degli Irnati che comprendeva la maggior parte dei nuovi venuti. Le tribù erano suddivise in dodici fratrie. Ogni fratria eleggeva un magistrato (consiglio dei dodici) con funzioni probabilmente finanziarie (magistratura interna alle tribù). Ciascuna tribù eleggeva un magistrato con funzioni sacerdotali: gli ieromnemoni.\nDal 474 a.C. al 470 a.C. sarà in Argo l'ateniese Temistocle che, ostracizzato da Atene per le sue idee antispartane, tenta da qui di organizzare una lega antispartana. La presenza del grande stratega e politico ateniese probabilmente favorì ulteriormente il processo di democratizzazione della città.\nIl mutamento della politica estera ateniese sotto il dominio di Cimone, con il concetto delle due sfere di influenza e la fine della ostilità verso Sparta, lascerà sconcertati gli argivi che infatti non parteciparono alla battaglia di Dipea a fianco degli Arcadi contro gli Spartani. Ciò favorì una ripresa del partito oligarchico nel 468 a.C. Quando i figli degli aristocratici giunti alla maggiore età ripresero il controllo della città scacciando gran parte dei nuovi venuti che si rifugiarono a Tirinto conquistandola. Per un qualche tempo fra le due città regnò la pace ma poi gli esuli tentarono di riconquistare Argo (Erodoto racconta che furono in questo consigliati da un certo Cleandro proveniente dall'Arcadia) e furono definitivamente sconfitti. Nel 464 a.C. Argo non approfittò della debolezza spartana causata da un forte terremoto e non scese in guerra a fianco dei Messeni probabilmente a causa degli accennati problemi interni. Ma il processo di democratizzazione era ormai avviato perché i giovani aristocratici erano cresciuti in una città diversa dal passato ed avevano ammirazione per la democratica, Atene, nemica di Sparta ed anche perché stava crescendo una nuova generazione di meticci fra i vecchi e nuovi cittadini. Il potere dell'assemblea (che raccoglieva tutti i cittadini adulti) continuò a crescere e le nuove magistrature (come gli artini) ridussero ulteriormente il potere regio fino alla sua scomparsa.\n\nL'alleanza con Atene.\nCon la caduta del partito filospartano ad Atene e l'ostracismo di Cimone a favore di Efialte e Pericle si avrà un riavvicinamento fra Atene ed Argo con la firma di un nuovo trattato di alleanza ed una ripresa del partito democratico argivo (462 a.C.). Le aspettative sia di Atene che di Argo su questa nuova alleanza erano notevoli ma i risultati non furono quelli sperati perché Argo non riuscì mai a mettere in seria crisi la supremazia militare spartana nel Peloponneso, anzi, negli anni successivi, l'ostilità sia di Argo che di Atene sembrano spostarsi più su Corinto che non Sparta e questa fu la causa della cosiddetta prima guerra del Peloponneso.\nDurante la seconda guerra sacra Argo sarà fedele alleata di Atene, subendo anch'essa la sconfitta di Tanagra in Beozia per il tradimento della cavalleria tessala (i caduti argivi vennero seppelliti ad Atene) e contribuendo alla successiva vittoria Ateniese sui Beoti a Enofita sconfiggendo i rinforzi spartani a Enoe, sulla importante via diretta da Argo a Mantinea.\nDal 451 al 421 a.C. Argo mantenne una politica estera ambigua. Nel 446 a.C. firmerà insieme ad Atene il trattato di pace trentennale con Sparta e rimarrà neutrale durante la prima fase della guerra del Peloponneso. È da notare però che, per la strategia militare adottata da Pericle in questa fase (solo difendersi a terra ed attaccare per mare), un contributo argivo alla guerra non era necessario e poi gli argivi erano legati ancora al trattato di pace trentennale con Sparta che gli ateniesi avevano infranto. Tucidide però annota la presenza dell'argivo Pollide (se pur in qualità di privato) fra i membri della missione diplomatica inviata dai peloponnesiaci al gran re di Persia (per chiederne l'appoggio contro Atene) e che fu intercettata in Tracia nel 430 a.C.. Tutti questi fatti ed anche la presenza come privato di Pollide nella missione diplomatica verso la Persia sembrano indicare uno stato di instabilità politica e dissidi in Argo almeno fino al 421 a.C.\nNel 421 a.C., allo scadere del trattato trentennale con Sparta, Argo rifiutò di rinnovare il trattato adducendo come scusa la mancata restituzione del territorio della Cinuria che gli Spartani avevano assegnato agli esuli di Egina nel 431 a.C. e che gli Argivi reclamavano come loro. La potenza spartana si trovava infatti in difficoltà per i mancati successi nella guerra del Peloponneso ed Argo intendeva approfittarne. Sparta tentò di isolare internazionalmente Argo stringendo un vero patto di alleanza cinquantennale con Atene, ma il malumore di Corinto e di altri alleati di Sparta verso la cessazione delle ostilità contro Atene diede ad Argo nuove possibilità.\nGli ambasciatori di Corinto proposero un'alleanza con Argo incitandola a divenire la città guida del Peloponneso al posto di Sparta. All'alleanza aderirono Mantinea, gli Elei, ma non i Beoti. Al rifiuto di adesione alla nuova lega anche di Tegea, Corinto abbandonò Argo e tornò all'alleanza con Sparta. Nel frattempo però i rapporti fra Sparta ed Atene erano tornati a peggiorare ed il partito della guerra in Atene, ora diretto da Alcibiade, spingeva per la rottura del patto con gli Spartani e per un nuovo trattato con Argo. Fu così che Atene aderì alla lega degli Argivi.\nIl primo scontro importante fra l'esercito della nuova lega argiva e quello della lega del Peloponneso avvenne nei pressi di Tegea nel 418 a.C. e si risolse in una sconfitta argiva non grave tanto dal punto di vista militare quanto dal punto di vista politico. In Argo infatti prese il potere un governo oligarchico filospartano che trattò prima una tregua e poi una vera e propria alleanza con Sparta ed intimò agli ex alleati Ateniesi di rientrare in Attica. Anche Mantinea fu costretta a sottoscrivere l'alleanza con Sparta. Nell'anno successivo i democratici filoateniesi riprendono il potere approfittando del periodo delle Gimnopedie (feste sacre spartane durante le quali l'esercito non combatteva). Con l'aiuto di maestranze ateniesi gli Argivi tentano anche di prolungare le mura fino al porto onde permettere i rifornimenti via mare anche in caso di assedio, ma l'intervento militare spartano, al comando del re Agide II, se pur tardivo, riesce ad impedire il progetto. L'estate successiva lo stratega Alcibiade con una flotta ateniese sbarca in città per deportare gli ultimi partigiani del partito filospartano. Termina così anche queste ennesima guerra civile in Argo con il ritorno della città nell'alleanza con Atene.\nNel 415 a.C. un contingente di opliti scelti di Argo parteciperà alla disastrosa spedizione ateniese in Sicilia. Saranno proprio questi opliti ad ottenere la prima vittoria sulle truppe siracusane. Molti Argivi perderanno poi la vita in Sicilia prigionieri dei Siracusani nelle cave di pietra. Sempre un nutrito contingente di Argivi sarà poi a fianco degli Ateniesi nel fallito assedio di Mileto che nel 412 a.C. si era alleata con Sparta.\n\nMito.\nIl mito attribuisce la sua fondazione ad Argo i cui discendenti regnarono per nove generazioni fino al re Gelanore. Questi fu detronizzato da Danao (nipote di Poseidone e gemello di Egitto), che divenne così il decimo re di Argo.A questi succedette Linceo (che sposò Ipermnestra) ed a questi il figlio Abante che fu marito di Aglea e che fu il padre dei gemelli Acrisio e Preto e di Idomenea e di Lirco, quest'ultimo un figlio bastardo.\nI due gemelli essendo entrambi figli maggiori e pretendendo entrambi alla successione lottarono a lungo, fino a quando Preto non venne sopraffatto, e Acrisio poté salire al trono della città di Argo. Preto si rifugiò a Tirinto e divenne re di questa città.\nSecondo il mito, dal matrimonio del re Acrisio con Euridice nacque una figlia: Danae.\n\nPerseo.\nDanae è la protagonista del celebre mito, che ha ispirato molti pittori fra cui Tiziano e Gustav Klimt. Il racconto è questo: un oracolo predisse al re Acrisio che sarebbe stato ucciso per mano del figlio di sua figlia. Dato che sua figlia Danae, bellissima ragazza, non aveva ancora figli, Acrisio pensò bene di rinchiuderla in un appartamento sotterraneo, o forse in una torre di bronzo; ma Zeus se ne innamorò e la raggiunse sotto forma di pioggia d'oro. Dalla loro unione nacque Perseo. Quando il re Acrisio seppe della nascita del nipote fece rinchiudere Danae e Perseo in una cassa che fu poi abbandonata in mare.\nNonostante i molti ostacoli e pericoli, con l'aiuto di Poseidone, Perseo e Danae riuscirono a tornare a casa, approdando sull'isola di Serifo. Acrisio, appena apprese la notizia del loro ritorno, abbandonò la città e si rifugiò nella rocca di Larissa. Nonostante tutte queste precauzioni, ciò che era stato predetto si avverò: Perseo fu chiamato a Larissa per partecipare a dei giochi funebri e lanciando il disco, colpì involontariamente Acrisio, che morì.\n\nGli altri re.\nPerseo divenne così re di Argo, ma, non sentendosi degno di succedere a un re che aveva involontariamente ucciso, propose al cugino Megapente, succeduto al padre Preto come re di Tirinto, di scambiarsi i regni. Poi fondò Micene, facendo costruire ai Ciclopi delle mura invincibili come quelle di Tirinto. Micene divenne la capitale del regno.\nA Megapente succedette prima il figlio maggiore Ifianira e poi l'altro figlio Anassagora. Quando le donne argive impazzirono, per colpa di Dioniso, la loro furia venne scatenata durante il regno di Anassagora. Il re allora chiese aiuto all'indovino Melampo e a suo fratello Biante che riuscirono a riportarle alla ragione, grazie alle loro tecniche mediche. Essi però chiesero in cambio al re un terzo del regno. Quando il re si rifiutò di accontentarli, le donne tornarono a impazzire e Anassagora dovette richiamarli e pregarli di guarirle di nuovo, ma questa volta la richiesta fu di un terzo del regno a testa e il matrimonio con le figlie del re. Anassagora acconsentì, tenendo per sé solo il terzo del regno comprendente la città di Argo. Seguirono dunque alcune generazioni in cui i re furono tre: i discendenti di Anassagora e quelli di Melampo e quelli di Biante.\nAd Anassagora succedette il figlio Alettore, poi Ifi. Ifi lasciò il regno a un nipote Stenelo (figlio di suo fratello Capaneo) che fu uno degli Epigoni nel secondo mitico assedio di Tebe e partecipò alla guerra di Troia come auriga di Diomede. Questa famiglia regnò più a lungo di quella di Biante e quella di Melampo, e così il regno fu riunito sotto Cilarabe.\nA Melampo succedette il figlio Antifate, poi il figlio di questi Oicle che accompagnò Eracle nella sua guerra contro Troia. A Oicle succedette il figlio Anfiarao che ereditò i poteri di Melampo divenendo indovino e che morì durante il primo assedio a Tebe (è probabile che uno dei due bronzi di Riace, quello detto il vecchio, provenga da Argo e rappresenti proprio Anfiarao). Il casato di Melampo terminò con i figli di Anfiarao, Alcmeone che morì dopo la guerra degli Epigoni e Anfiloco che dopo la guerra degli Epigoni partecipò alla guerra di Troia e fu uno dei guerrieri chiusi con Ulisse nel cavallo, aveva capacità di veggente e fu ucciso da Apollo.\nA Biante succedette il figlio Talao, e a questi il figlio Adrasto che fu l'ideatore della prima e disastrosa mitica impresa contro Tebe, coinvolgendovi anche Anfiarao. Adrasto lasciò il regno al figlio, Egialeo, che morì durante la guerra degli Epigoni. Adrasto appresa questa notizia morì a sua volta di crepacuore. Essendo il figlio di Egialeo ancora piccolo, divenne re Diomede, nipote di Adrasto attraverso il genero Tideo e la figlia Deipile e fu re di Argo durante la guerra di Troia. Ultimo re di questa casata fu Cianippo, figlio di Egialeo, salito al trono subito dopo l'esilio di Diomede e morto senza eredi.\nDopo il regno di Cianippo il trono venne occupato da Agamennone, re di Micene e, dopo il suo assassinio, dal figlio Oreste. Il trono passò poi a Tisameno, figlio di Oreste, fino alla conquista degli Eraclidi, che posero Temeno, discendente di Eracle, alla guida della città.\nDurante il medioevo ellenico, Argo scompare dalla storia, per ricomparire nel X-XI secolo a.C.