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« SPIRITUALITÀ SPERIMENTALE »
Collana diretta da Gianpaolo Fiorentini
15
© 1998: Promolibri Magnanelli, Torino
Stampa: M.S./ Litografia, Torino
I N D I C E
Introduzione
9
Prima lettera
13
Prima risposta
19
Seconda lettera
23
Seconda risposta
27
Terza lettera
31
Terza risposta
35
Quarta lettera
39
Quarta risposta
42
Quinta lettera
47
Quinta risposta
50
Sesta lettera
53
Sesta risposta
56
Settima lettera
61
Settima risposta
64
Ottava lettera
67
Ottava risposta
69
Nona lettera
15
Nona risposta
78
Decima lettera
81
Decima risposta
84
Undicesima lettera
87
Undicesima risposta
91
Postfazione
93
L'Alchimia è la sorella della Profezia
Ja'far al-Sadiq
Noi siamo i Sapienti che impartiscono l'insegnamento,
i nostri shi'iti sono i destinatari del nostro insegnamento.
Il resto, ahimè, è la schiuma trascinata dal torrente.
'Ali ibn Abi Tàlib
Lieto
giacevo nel cuore della perla;
finché, sferzato dalle tempeste,
la vita mi agitò come un'onda.
Il segreto del mare
feci suonare con voce di tuono.
Come nuvola esausta sulla spiaggia
mi addormentai. Non mi svegliai più.
Rumi
INTRODUZIONE
Questa primavera, nella mia professione
di no-
taio, fui chiamato da un cliente per un problema
singolare. Era questi l'ultimo rappresentante
di
un'antica famiglia che possedeva ancora qualche ric-
chezza e i cui antenati avevano svolto un ruolo
importante nella storia locale. Mi chiedeva di rag-
giungerlo in una vecchia villa al di là delle colline
che fronteggiano la città, dove il fiume si arresta un
attimo a formare un piccolo lago per poi proseguire.
Vi viveva con una coppia di domestici lo zio,
uomo stravagante e solitario. Qualcuno lo ricordava
giovane buontempone che amava belle donne e bel
vivere, e vecchi amici descrivevano feste, balli e cene
allegre nella villa illuminata e rumorosa. Anni pri-
ma, si raccontava, tornato da un viaggio si era rin-
chiuso in casa, scoraggiando ogni contatto con rispo-
ste scontrose sinché nessuno lo aveva più cercato.
Dopo il mio arrivo ci sedemmo in un comodo
salottino e il mio cliente chiamò i domestici a riferi-
re quello che era avvenuto, mi parve però con una
curiosa reticenza, come per qualche fedeltà o timore.
Il racconto fu breve: all'inizio di aprile il padrone
li aveva quasi cacciati, costretti a forza a una vacan-
za di un mese con l'imposizione di non farsi vivi pri-
ma della scadenza, per nessun motivo. Al ritorno
avevano trovato villa vuota, proprietario scomparso,
una lettera per loro e una per il nipote, entrambe in
bella vista sul tavolo di cucina.
Il contenuto era semplice e conciso: confermava
una partenza definitiva, senza indicazioni, e dava
brevi istruzioni con delega al nipote per la gestione
del patrimonio. Era per quest'ultima parte, eviden-
temente, che era stata richiesta la mia presenza.
Esaminammo la villa. Nello studio un caminetto
colmo di cenere e frammenti di carta testimoniava che
si erano bruciati molti documenti. Di un grosso qua-
derno era rimasta parte della copertina mezza con-
sumata: era ancora possibile leggere «Diar.. d.. lab..».
Girando per casa in cerca di indizi
scendemmo
nel seminterrato. Qui, con mio grande stupore, sta-
va un vasto laboratorio ben attrezzato per esperi-
menti di chimica e metallurgia: forni, vecchi alam-
bicchi, pestelli e mortai di tutte le dimensioni, cro-
gioli usati in gran quantità. Nessun materiale. Sem-
brava ci si fosse dati gran pena per ripulire tutto.
Solo, in bella vista su un tavolo, uno splendido lin-
gottino giallo che un orefice confermò poi essere di
oro purissimo.
Una porta laterale conduceva in uno studio con
pareti ricolme di libri. Sulla scrivania, legate da un
nastro verde, delle lettere con un biglietto enigma-
tico che diceva: «Queste si possono
mostrare».
Concluse le incombenze
legali il giovane
volle
affidare a me le lettere perché le esaminassi e ne
decidessi la sorte. In effetti sapeva che amavo studi
esoterici, e pensava che ne potessi dare un giudizio.
Dopo una prima scorsa, fu evidente che non rap-
presentavano se non la minima parte di uno scam-
bio epistolare molto più ampio, certamente più det-
tagliato. Era stato cancellato con cura tutto ciò che
poteva indicare nome e luogo dell'interlocutore mi-
sterioso, con tutte le date.
Ero in buona amicizia con uno studioso di isla-
mismo, ne chiesi il parere. Riporto qui il commento
sintetico con cui le restituì:
Caro amico,
si tratta certamente di una documentazione notevole. Il
maestro dell'Islam è molto probabilmente un sufi di
scuola shi'ita. Lo dimostra certo linguaggio: per esem-
pio «situazione» e «stato» così come sono usati nella
sesta risposta corrispondono sicuramente a maqàm e a
hai, e sono termini tecnici della letteratura sufi. Mentre
l'accenno all'amicizia con Dio, la walàyat, è tipica del
pensiero shi'ita.
Le ritengo di grande interesse.
Perciò le ho tradotte, erano in inglese, cercando
di comprendere
il senso delle frasi talvolta molto
oscure, e lasciandole nello stesso ordine in cui sta-
vano, sino all'ultima brevissima comunicazione. Le
ho poi sottoposte a un editore, che ha accettato di
pubblicarle.
Così facendo spero di aver bene interpretato la
volontà di chi me le ha inconsapevolmente
affidate,
dovunque si trovi ora.
PRIMA LETTERA
Caro Maestro,
da voi il silenzio, e nel silenzio la pace. Qui tut-
to è rumore, e nel rumore la paura. Presso di voi
il frutto, qui nulla se non la vita elementare, con
tutte le sue fatiche.
Che vi posso dire di più. Volevate conoscere il
mio mondo e i miei problemi. Guardate un for-
micaio: l'attività è frenetica, furia cieca della natu-
ra che spinge a crescere, procreare, senza altro
scopo che esistere.
Ascoltate un alveare: operosità continua in un
ronzio ininterrotto, senza un attimo di quiete.
Mi dite che spesso siete nel deserto a meditare
e studiare: immaginate un mondo senza deserti,
dove la solitudine sia un dono impossibile, il silen-
zio un ricordo appannato e la vita un affannarsi
insensato, una corsa senza punto di arrivo, fatta a
spintoni e gomitate per conquistare un premio che
non esiste.
Mi chiedete cosa sto cercando: userò parole
non mie. Da poco è morto un Papa, e ne hanno
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Damasco, mitica città di studiosi e traduttori,
in un'incisione occidentale.
eletto un altro. Il nuovo è un uomo dolcissimo,
che non pare di questo mondo, dall'aria svagata
come si trovasse per caso su una sedia un po' osti-
le, un po' estranea. Pochi giorni fa diceva che se
anche siamo mescolati alla confusione e al rumo-
re, dobbiamo affermare: "Oltre un certo punto voi
non esistete per me, ed io mi ritiro in me, nel mio
giardino di quiete e di delizie, unito al mio Dio, in
pace". Ricordava un facchino che aveva visto dor-
mire tranquillo in una stazione, circondato dal
baccano di treni e uomini e bagagli. Questa, ha
detto, è la Grande Disciplina, da non confondere
con la Piccola Disciplina che consiste solo nel
seguire le regole esteriori cui tutti ci dobbiamo
adattare.
Vorrei conoscere questa Grande Disciplina.
Vorrei la pace di quel facchino, qualunque cosa
essa sia.
Così, caro Maestro, ho scoperto l'Alchimia, di
cui tanto vi ho parlato, il motivo per cui chiedo
aiuto e guida.
Mi chiedete come vi sono giunto. L'ho incon-
trata in un libro, come capita sempre, come è ine-
vitabile qui, in Occidente, dove i Templi non esi-
stono più, dove i Maestri stanno silenti e nascosti,
dove restano solo libri di pietra e carta per legge-
re di antiche sapienze.
L'ho letto, il libro di cui vi parlo, in un momen-
to di disperazione, di rifiuto totale per questo
mondo, per il suo rumore, per il suo nulla fatico-
sissimo, per la paura che lo avvolge come una cap-
pa di tempesta imminente. Mi sentivo come dice
un filosofo che voi non conoscete, che non appar-
tiene e non potrebbe appartenere al deserto. Mi
sentivo «come una puttana che vaga in una città
senza marciapiedi». A mezzo tra sofferenza e
oblio, drogato dallo stesso esistere di questo ru-
more senza fine.
Così è incominciata la mia ricerca. Per caso. Ho
letto un libro e mi sono innamorato del silenzio
che vi abitava. Ho avuto l'intuizione di un luogo di
pace, un ricordo, una nostalgia. Un richiamo al
deserto, al secco, non arido, deserto che non ho
mai conosciuto.
Ho letto, e non ho capito. Ho sentito qualcosa
che si agitava, l'embrione informe, minuscolo,
impreciso, di una nascita possibile. Il nucleo invi-
sibile di una parola silenziosa, splendente.
Non so dirvi di più. Mi pare di aver capito, que-
sto sì, che nella materia, proprio in quella fisicità
che sembra orrenda, spiacevole, ignobile, proprio
in quella stia in qualche modo la chiave per qual-
cosa che potrei chiamare il divino, se solo avessi
ancora una religione.
Anche di questa mi avete chiesto. Non saprei
cosa rispondervi. Noterò solo un segno. Un tem-
po i nostri sacerdoti officiavano guardando ad
Oriente, alla vita e al suo sorgere. Oggi guardano
ad Occidente, alla morte e al suo approssimarsi.
Prima volgevano le spalle all'uomo e guardavano
a Dio. Oggi volgono le spalle a Dio e guardano
l'uomo.
Mi sembra semplice simbolo di un mondo, non
morente, già morto. La convulsa attività che mani-
festa non proviene da eccesso di vita, ma da de-
composizione cadaverica, quando nella corruzione
corporea tutto si muove, vermicola, gonfia, erutta,
emana.
L'anima è persa, fuggita con la vita e il respiro.
Resta ancora un oscuro fervore psichico ad emet-
tere le fetide esalazioni che i demoni amano e da
cui sono abbondantemente nutriti.
Sembra un'opera alchemica in atto: corruptio
unius est generatio alterius, dicevano i vecchi mae-
stri. Dunque inutile piangere su ciò che è finito,
aspettiamo con curiosità e speranza quello che
verrà. In effetti la morte, qui lo abbiamo dimenti-
cato, è un momento ineluttabile di questa manife-
stazione, e non è detto sia sempre un male...
Proprio qui, comunque, devo incominciare la
mia ricerca, e proprio qui, in questo stato sepol-
crale, occorre una guida perché i primi passi
abbiano la corretta direzione. Qualche secolo fa
un alchimista ha scritto:
La nostra pratica in effetti è un cammino nelle sabbie,
dove ci si deve guidare con la stella del Nord, piuttosto
che con le orme che vi si vedono impresse. La confu-
sione delle tracce, che un numero quasi infinito di per-
sone vi ha lasciato, è così grande, e vi si trovano così
tanti sentieri diversi, che conducono quasi tutti in
orrendi deserti, che è quasi impossibile non deviare
dalla vera via, che solo i saggi favoriti dal Cielo hanno
saputo fortunatamente scoprire, e riconoscere.
Tra queste sabbie, in questi deserti disperati,
così diversi dai vostri, non cerco i misteri delle
operazioni, gli arcani segreti dell'Arte. Cerco l'in-
dicazione primordiale, la parola iniziale, la traccia
del primo passo.
Rispettosamente.
PRIMA RISPOSTA
Caro studioso,
Dio dice nel suo santo Qur'an:
Il tuo Signore trasse dai lombi dei figli di Adamo i loro
discendenti e li fece testimoniare verso se stessi. "Non
sono il vostro Signore?". "Sì, l'attestiamo", risposero.
Questo perché non possiate dire il giorno della Resur-
rezione: "Noi non ne sapevamo nulla". O perché non
diciate: "I nostri padri prima di noi hanno accolto falsi
dei. Noi siamo i loro discendenti. Ci vuoi dunque far
perire per le azioni di uomini vani?" (Sura VII, 171-
172, Al A'ràj., il Purgatorio).
Dio si fa conoscere per mezzo della sua parola,
e ogni versetto è una manifestazione.
La parola ha il suo limite nella manifestazione,
e la manifestazione è la parola che sale sino al vol-
to di chi la pronuncia.
Dio ha posto la sua parola sui discendenti di
Adamo quando erano ancora atomi. Ha detto:
"Non sono il vostro Signore?" ed essi sentirono
chiaramente. Perciò anche gli atomi hanno fede e
pregano. I loro movimenti sono un prostrarsi in
atteggiamento di umiltà, ed essi lo fanno anche
quando non sono ancora corpi completi.
Questa è la fede innata, quella per cui gli atomi
si muovono intimamente.
Dopo di questo, quando si formano i corpi, non
esiste più sapienza ma esiste il potere. Allora la
parola e la visione sono velate al di là del mondo
della non visione, e i movimenti intimi degli atomi
si colmano di oscurità.
Il cammino mistico si muove in senso contrario
a questo. Chi è su questo cammino si purifica e
rasserena per mantenere in se stesso il mondo del
potere fuori dal mondo della sapienza, per scopri-
re la visione penetrante della sapienza e poter udi-
re: "Non sono io il vostro Signore?". Allora questa
parola si rivela e supera nella sua unicità le fasi di
oscurità con la luce della visione.
Io ho manifestato ogni cosa in modo che essa mi
veli e non guidi sino a me.
Unirsi a me è la cosa più elevata che io abbia
manifestato, ma l'unirsi a me è un velo.
Quando io appaio, tu non vedi nulla. La parola
in alto è un limite per ciò che sta in basso, ma non
c'è limite per ciò che sta in alto.
Io sono la causa dell'apparizione
di ciò che si
manifesta, e sono la causa per cui appare in ciò che
io voglio che appaia.
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Ciò che è compiuto è compiuto, ciò che ho stabi-
lito è stabilito, ciò che è stabilito è compiuto in quel-
lo che tutto abbraccia.
Caro studioso, ascolta le lingue dei mondi nelle
manifestazioni spirituali. Essi dicono: "Dio! Dio!".
Ed egli dice: "Non li sente chi sta in loro, o chi cer-
ca in loro delle testimonianze".
Caro studioso, se tu aderirai a ciò che ti è stato
assegnato tra questi due mondi, allora sarai un
amico di Dio.
La pace sia con te.
SECONDA LETTERA
Caro Maestro,
credo che si diventi alchimisti come ci si in-
namora: misteriosamente e incomprensibilmente.
All'inizio, una predisposizione, un essere già inna-
morati senza oggetto d'amore, inconsapevolmente:
è un sentimento che si unisce a disperazione quie-
ta, non malvagia o triste, piuttosto melanconica.
Nasce dalla nostalgia di qualcosa di perso, di ab-
bandonato, di un posto che ci apparteneva, che
non sappiamo più trovare. Il sentimento di chi ha
perso la propria patria e non sa come raggiungerla.
Nel tempo mi sono chiesto se non sia questo il
fondamento dell'essere ebrei: la ricerca di una
Terra Promessa, che non si traduce mai in realtà,
che rende stranieri dovunque si sia. Nei secoli
qualcuno ha cercato di realizzare il sogno: credo
che non vi sia peggiore illusione di quella di voler
tradurre in pratica, di voler corporificare, un sim-
bolo che per sua natura non è di questo mondo.
Ogni alchimista è un ebreo della diaspora: que-
sto significa la frase, riportata da Zosimo, di Maria
Profetessa: "Stai lontano dall'Arte, tu che non sei
della nostra razza, perché tu non sei del sangue di
Abramo!"
Dobbiamo essere del sangue di Abramo, se vo-
gliamo perseguire questa via, se pensiamo di esser-
vi predestinati o chiamati. Perché di vocazione si
tratta, che deve nascere da una mancanza, nostal-
gia della patria smarrita.
La patria diventa facilmente donna. La nostal-
gia si traduce in amore.
Trovo questo richiamo all'amore in tutti i
Maestri dell'Arte, sin dal nome che danno a se
stessi e ai loro fratelli: Innamorati della
Dottrina.
La Dottrina, la Sapienza, la Sofia degli gnostici,
non qualcosa di intellettuale, razionale, nel senso
comune della parola. La Dottrina come vita e
gioia, felicità ritrovata, dolcezza e riposo, virtù e
potenza, patria e donna amata. La Dottrina come
bellezza inimmaginabile.
Tutti sono innamorati. Tutti i poeti iniziati lo
raccontano. Innamoramento che sorge in una sta-
gione singolare, in uno stesso mese, quello di No-
stra Signora, di Maria, Maia, la madre di Mercurio.
Non ci si innamora in un momento qualsiasi:
Ce fut au temps de mois de May
qu'on doibt foui'r dueil et esmay
qu'i'entray dedans un vergier
dont Zephirus fut iardinier.
E Dante, l'innamorato per eccellenza dell'Occi-
dente:
Avvenne una die che, sedendo io pensoso in alcuna
parte, ed io mi sentio cominciare un tremuoto nel cuo-
re, così come se io fosse stato presente a questa donna.
Allora dico che mi giunse una immaginazione di Amore
E poco dopo io vidi venire una gentile donna, la quale
era di famosa bieltade e [...] per la sua bieltade impo-
sto l'era nome Primavera; e così era chiamata.
In primavera, come dice
...li Romans de la Rose
ou l'art d'Amors est toute enclose
che racconta:
En may estions, si songoie
ou temps amorous plain de joie...
Si vaneggia? Ricordo una fiaba, sempre la stes-
sa. Un cavaliere, l'eroe, deve affrontare un orren-
do drago. Lo uccide dopo infinite peripezie e peri-
coli. Una fanciulla bellissima e dolcissima è libera-
ta, diventa il suo premio onorevole e meritato.
Quella fanciulla, si narra, solo i veri Filosofi pos-
sono vedere e contemplare nuda in tutta la sua
splendida venustà, senza morire o essere inceneri-
ti dalla Belle Dame sans mercy. E ancora Dante a
dirlo concisamente:
e qual soffrisse di starla a vedere
diverria nobil cosa, o si morria.
Tutto questo suona un po' retorico e troppo
intelligente. Eppure dal Cantico dei Cantici ai ro-
manzi del Graal, dai miti greci a Goethe, dalle me-
lanconiche pagine del triste cavaliere della Mancia
ai momenti più ispirati di Melville, tutti cantano
questo amore, questa nostalgia, e tutti dicono che
soltanto chi giunge alla Terra Promessa sta in pace
ed è felice.
Io cerco l'oggetto del mio amore perché questa
passione, che ora è sofferenza, disperazione, logo-
rio della mente e dell'anima, si quieti.
Rispettosamente.
SECONDA RISPOSTA
Caro studioso,
l'amore di cui tu parli, è innanzitutto amore di
Dio, per Dio. La donna è la sua Sapienza e la
Maestà del suo Trono. Rivolgiti a lui e digli: "O
Signore, fa' che il mio amore per te sia più profon-
do del mio amore per me stesso, per il mio udito,
per la mia vista, per la mia gente, per i miei averi".
Il puro speciale amore di Dio è l'amore che ine-
bria lo spirito. E una scelta divina per colui che
adora, perché è un dono di Dio e non è amore di
un'entità. Questo amore viene con gli impulsi del-
la fede: è divino amore che ricambia la vicinanza.
L'adoratore si prostra sull'orlo dell'abito della
maestà divina, come in uno stato sublime, e que-
sto può avvenire soltanto per coloro il cui sé sale
nella luce dello spirito, perché la sua ebbrezza è
sopraffacente e la forza di inclinazione altamente
efficace.
Quando l'adoratore ridiventa sobrio, torna al
suo stato di bisogno e alla privazione del fidanza-
mento. Ma quando si sono completate le facoltà
che vengono dalla vicinanza con l'emancipazione
dello spirito, per mezzo della completezza della pri-
vazione, che non permette più che si parli, quando
la porzione della vicinanza si accumula e mantiene
il senso di fidanzamento del sé, allora questo è un
dono, e si può dire: "Oh Signore Iddio!".
Allora ascolta:
Nulla è più vicino a me di qualunque altra cosa, e
nulla è più lontano da me di ogni altra cosa ad ecce-
zione di quanto lo stabilisco in vicinanza e lonta-
nanza.
La lontananza è resa nota dalla vicinanza, e la
vicinanza è resa nota dall'esperienza spirituale: io
sono colui che la vicinanza non cerca, e che l'espe-
rienza spirituale non raggiunge.
Il minimo delle scienze della mia vicinanza è che
tu dovresti vedere gli effetti del mio sguardo in ogni
cosa, e che esso dovrebbe prevalere sopra la tua gno-
si di esso.
Tu non conosci la vicinanza, e tu non conosci la
mia vicinanza e non conosci la mia condizione come
io la conosco.
Io sono il vicino, non come una cosa è vicina ad
un'altra: io sono il lontano, ma non come una cosa
è lontana da un'altra.
La tua vicinanza non è la tua lontananza e la tua
lontananza non è la tua vicinanza: io sono il vicino
e il lontano, con una vicinanza che è lontananza e
una lontananza che è vicinanza.
La vicinanza che tu conosci è misurabile, è una
distanza: e la lontananza che tu conosci è misurabi-
le, è una distanza.
Io sono il vicino e il lontano senza misura.
Io sono più vicino alla lingua del suo discorso
quando parla.
Chi mi contempla non si raccoglie in meditazio-
ne e chi medita su di me non contempla. Come per
il contemplativo che medita, se ciò che contempla
non è realtà, egli è velato da ciò su cui medita. Non
tutti i meditativi sono dei contemplativi: ma ogni
contemplativo è un meditativo.
10 rivelo me stesso e tu non mi conosci: questa è
lontananza.
11 tuo cuore mi ha visto e non mi ha visto: questa
è lontananza.
Tu mi trovi e non mi trovi: questa è lontananza.
Tu mi descrivi e non mi cogli dalla descrizione:
questa è lontananza.
Tu ascolti i miei discorsi come se venissero dal
tuo cuore, mentre vengono da me: questa è lonta-
nanza.
Sebbene tu veda te stesso, io sono più vicino a te
della tua visione di te stesso: questa è lontananza.
Caro studioso, questo amore si manifesta nelle
tenebre, ed esce come una luce dall'oscurità. Dal
nero esce il bianco splendente dell'amore divino,
e dall'ignoranza e dal silenzio esce la parola di vita
e di gnosi che tu stai cercando. Tu non devi
confondere, e tu devi stare attento agli inganni.
Ascolta il Profeta, Dio benedica il suo nome:
Dio è la fiaccola che illumina i cieli e la terra. La sua
luce assomiglia a quella che sfugge da una nicchia di
cristallo dove brilla una fiamma inestinguibile. Il cri-
stallo è una stella di perle il cui splendore viene da un
ulivo benedetto che non è né d'Oriente né d'Occi-
dente. Il suo olio illumina senza contatto col fuoco. Vi
è là luce su luce. E Dio accorda la sua Luce a chi gli
piace. (Sura XXIV)
La pace sia con te.
TERZA LETTERA
Caro Maestro,
mi interrogate sugli obiettivi, tenterò una ri-
sposta.
Tre doni si dice procuri la Pietra Filosofale,
quelli che i re Magi portarono al bambino divino,
Pietra vivente e miracolo celeste.
Per primo l'Oro, la ricchezza mondana. È l'uni-
co descritto senza velamenti, con estrema preci-
sione.
Si prende la Pietra, si aggiunge in proporzioni
ben determinate a oro o argento in fusione, si
ottiene così 'a «Polvere di Proiezione», medicina
capace di curare o tingere i metalli imperfetti per
transmutarli in preziosi.
Mi chiedo perché sia posto tanto in evidenza:
non dovrebbe interessare il filosofo. Ci si è sforza-
ti di trovarvi un significato recondito, più nobile.
Quell'oro è diventato spirituale, mistico, simbolo
di cambiamenti umani; si è negata ogni realtà alla
transmutazione metallica e all'acquisto di dovizie.
Curiosamente la nostra epoca, tutta tesa alla ric-
chezza materiale e ai piaceri che questa può pro-
curare, ama esaltare quella miseria che in pratica
aborre. Non fu sempre così. Guardando le grandi
figure bibliche: Abramo si arricchisce con modi
ambigui, Giacobbe inventa trucchi per farsi un
gregge numeroso - aveva già dato prova di abilità
ulissiache per conquistare la primogenitura - di
Salomone si esaltano ricchezza e possessi.
Resta comunque un dono dall'aria perversa e
insoddisfacente. Non credo valga tanti sforzi, ci
sono modi più semplici per arricchire.
Seconda la Mirra, «Elisir di lunga vita», l'im-
mortalità fisica, l'eterna giovinezza al riparo da
ogni male. E il dono di Mefistofele, la fonte di
Ponce de Leon, la sorgente di ogni piacere e di
ogni dolcezza in vita.
Così sarebbe se non avesse in sé il suo veleno:
l'eterna vita in questo mondo.
Davvero questa sarebbe l'estrema beffa. Solo un
folle potrebbe voler restare un attimo più del do-
vuto. Già pesa il divieto di fuggirne, certo non
interessa restarci.
Ho il dubbio che sia qualcosa di diverso, forse
addirittura il suo opposto simbolico, la certezza di
non vivere, di non vivere più, non la Medicina Uni-
versale, ma il veleno perfetto, la perfetta morte.
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Mi*-
Manoscritto alchemico
arabo.
Infine l'Incenso, la completa sapienza, essere
come Salomone, conoscere tutti gli arcani del
mondo, i più reconditi recessi della Natura, i
misteri dell'Alto e del Basso. Questo davvero sem-
bra il giusto obiettivo di un filosofo, di un inna-
morato della Dottrina-, ritrovare la Parola Perduta,
la vera pronunzia del Nome, riscoprire la perla
nascosta, sembra l'unico scopo che valga.
Sin dalla prima operazione, perciò, la nostra
Magnesia deve richiamare, attrarre l'Angelo della
Conoscenza, perché è scritto:
Non è dato all'uomo che Dio gli parli altro che per una
comunicazione da dietro un velo, oppure gli invia un
Angelo. (Sura XLII, 50-51)
Lo spirito celeste di saggezza deve scendere
dall'Alto - l'incorporeo si deve corporificare - per
impregnare ciò che sta in Basso. Allora la nostra
Materia diventa Specchio della Natura e potremo
apprendere tutti i segreti del macrocosmo e del
microcosmo e gli arcani dell'umano e del divino.
L'obiettivo vero è la Gnosi, e il segreto del-
l'Opera consiste in una terra benedetta, la Terra
Santa, che permette all'angelo della gnosi di scen-
dere e di manifestarsi a noi per insegnarci la cono-
scenza perfetta.
Rispettosamente.
TERZA RISPOSTA
Caro studioso,
non dire mai che la conoscenza sta nel celestia-
le: nessuno discende con essa. Non dire nemmeno
che sta nei limiti del terrestre: nessuno ascende
con essa. Essa sta nei cuori.
Chi sei tu e chi sono io? E io vedo il sole e la
luna, le stelle e tutte le luci. Ed egli mi disse: Non
rimane alcuna luce nella corrente del mio mare, che
tu non hai visto.
E ogni cosa venne a me sinché non rimase nul-
la. E ogni cosa mi baciò tra gli occhi e si offrì ai
miei sensi e restò nell'ombra.
Ed egli mi parlò. Ed io vidi tutto di lui connes-
so al mio abito, cioè alla mia apparenza corporea,
e non connesso a me.
Ed egli mi disse: Questo è il mio servizio. Ed il
mio abito si inchinò, ma io non mi inchinai. E
quando il mio abito si inchinò, egli mi disse: Chi
sono io? E il sole e la luna si oscurarono, e le stel-
le caddero dal cielo e le luci impallidirono e le
tenebre coprirono ogni cosa, eccetto lui.
E tutte le cose parlarono e dissero: "Dio è gran-
dissimo".
E tutte le cose vennero da me, portando una
lancia in mano. Ed egli mi disse: Fuggi. Ed io dis-
si: "Dove debbo fuggire?". Ed egli mi disse: Cadi
nelle tenebre. E mi osservò. Ed egli mi disse:
Non dovrai mai più osservare altri che te stesso,
e non dovrai mai più allontanarti dalle tenebre da
adesso per sempre: ma quando io ti caccerò da esse,
io ti mostrerò me stesso e tu mi vedrai. E quando
mi avrai visto sarai più lontano da me di tutti colo-
ro che sono lontani.
L'etica della gente dello spirito cerca di impe-
dire ai sé di correre dietro ciò che vogliono, ma ciò
non può avvenire se non per coloro che hanno
saputo, ascoltato e si sono dedicati al divino per
prendere il vero dal vero, per dire il vero e per sta-
re in silenzio nel vero.
Se tu non mi vedi, non lasciare il mio nome.
Quando tu stai davanti a me, ogni cosa ti chiama:
fa' attenzione a non ascoltarla con il tuo cuore, per-
ché se tu l'ascolti è come se le rispondessi.
Quando la conoscenza ti chiama, con tutte le sue
condizioni, al tempo della preghiera, e tu le rispon-
di, tu sei separato da me.
Quando io guardo il tuo cuore, nessun'altra cosa
vi entra.
Se tu mi vedi nel tuo cuore, sei capace di soppor-
tarmi.
I miei amici sono quelli che non hanno nessuna
opinione
personale.
II tuo corpo dopo la morte sta nel posto del tuo
cuore prima della morte.
Quando tu stai di fronte a me, nessun altro starà
con te eccetto te.
Quando l'alterità diventa un pensiero biasimevo-
le, Paradiso e Inferno svaniscono.
La pace sia con te.
Il maestro e l'allievo, in un antico codice siriaco.
QUARTA LETTERA
Caro Maestro,
ho letto a lungo, con attenzione, come mi avete
suggerito, Jàbir, quello che ho potuto trovare in
traduzione: II piccolo libro della Clemenza, Il libro
della Misericordia, Il libro dei Settanta, Il libro del-
la Concentrazione, Il libro del fuoco della Pietra, Il
libro delle Bilance - su questo vorrei fare un di-
scorso a parte.
Per quanto riguarda il problema su cui mi inter-
rogo, ho trovato queste affermazioni:
Se tu, uomo intelligente, esamini tutte queste cose,
vedrai che lo scopo da raggiungere non si ottiene se non
con l'aiuto di cose diverse, cioè delle quattro nature.
Occorrono forze diverse, spirituali e corporali. Queste
forze debbono essere convergenti e non divergenti,
come forma e come colore.
Le forze spirituali e corporali devono avere delle affi-
nità tra loro, in modo da potersi aiutare reciprocamen-
te. Devono darsi sostegno, perché hanno bisogno una
dell'altra per la combinazione che si opera parte con
parte. Non devono essere opposte una all'altra, perché
bisogna che una volta mescolate non si separino una
dall'altra.
Tu devi operare in una sola volta, in maniera continua,
senza interruzione, per realizzare la mescolanza delle
parti, le une con le altre. Dovrà esserci equilibrio per
quanto riguarda la natura, la quantità e il peso.
L'operazione dovrà essere rigorosa, senza che si possa
sostituire una sostanza a un'altra.
L'elemento corporale è dominato dall'elemento spiri-
tuale in seguito all'operazione vera che lo trasforma in
elemento spirituale. L'elemento spirituale è ugualmen-
te dominato dall'elemento corporale e trasformato in
elemento corporale, sebbene in realtà non vi sia oppo-
sizione completa tra questi due elementi.
La massa delle cose corporali è soltanto il luogo di sog-
giorno e rifugio delle cose spirituali, e non ha di per sé
né forza né utilità quando la forza agente ha cessato di
agire in lei.
Il corpo che resta come sostrato non è che il luogo di
soggiorno e il rifugio dello spirito che ne è uscito, e non
ha forza se non per lo spirito che può uscire da lui.
Sono bloccato su questi passi, che da un lato mi
appaiono chiari, dall'altro non so tradurre in pra-
tica.
E vero che sempre in Jabir leggo:
Ho visto in effetti moltiplicando il numero dei miei
libri, allungandoli e riempiendoli di fatti, che nessuno
potrà arrivare ad estrarne la verità a meno di consa-
crarvi tutta la propria vita, di avere un'intelligenza
superiore, di dedicarvi tutto il proprio studio, di veglia-
re notte e giorno e di rinunciare a frequentare i propri
amici, privandosi del completo benessere.
Quindi non posso che rendermi conto che le
difficoltà che incontro sono inevitabili. Leggo pe-
rò anche:
Fatevi aiutare dalle persone intelligenti che si occupa-
no di questi lavori, perché i libri sono inchiavardati, e
le chiavi dei loro catenacci sono nei petti degli uomini.
Non posso che rivolgermi a voi per avere que-
ste chiavi.
Rispettosamente.
QUARTA RISPOSTA
Caro studioso,
Si dice che Jàbir abbia incontrato l'Imam Ja'far
al-Sàdiq quando aveva circa vent'anni in uno dei
suoi nascondigli, presso la tribù degli Azid nello
Yemen, e che diventò suo discepolo sin da allora.
La sua personalità perciò si formò religiosamente,
politicamente, scientificamente ed eticamente co-
me guardiano della dottrina dell'Imam.
Di conseguenza ecco Jàbir l'adoratore, lo gno-
stico Sufi, il lottatore politico e il ben informato
maestro di Alchimia.
L'Imam Ja'far, come maestro di setta e di pen-
siero, e uomo di miracoli e poteri occulti della
discendenza del Profeta, era l'oppositore politico
del potere Abbaside da quando si era posto come
guardiano dei valori islamici e dei loro concetti.
Si può percepire il tipo di relazione e di intimità
spirituale di meravigliose visioni e profondità tra
l'Imam Abi Abdullah e il suo discepolo Jàbir. Gli
aspetti di questo legame sono numerosi e ovvia-
mente diversi nei suoi scritti, nel suo stile, nella
sua mentalità e nella sua metodologia. Si può rico-
noscere la presenza dell'Imam Ja'far potentemen-
te dietro ogni riga scritta da Jàbir, e nessuno dei
suoi trattati fa eccezione. Questa presenza si cela
nel testo come metodo scientifico-mistico ed è in-
dicazione armoniosa della convergenza dell'esso-
terico e dell'esoterico. E un profondo amore spiri-
tuale in tutto il significato sublime e in tutte le
dimensioni, mescolato a senso di gratitudine e glo-
rificazione per il suo grande maestro che ha svela-
to l'occulto segreto della conoscenza e fatto ribol-
lire le meravigliose tacite fontane della genesi e
della creazione davanti ai suoi occhi.
Dice Jàbir:
I gradi dell'Elixir devono stare sulla linea della bilancia,
questo si deve sapere. Nell'onorevole diritto del mio
maestro, io giuro che questo è senza simboli e senza
prolissità.
In un altro passo, Jàbir dice che il suo maestro
gli ordinò:
Prepara un libro di piena maturità e profondità con più
essenza e meno prolissità sull'alchimia, e poi mostra-
melo.
La risposta di Jàbir fu l'obbedienza, ed egli disse:
L'ho fatto nel diritto pieno di grazia del mio maestro,
ho rivelato cose, le ho ridotte all'essenza. Ho mostrato
alla gente la giusta via.
Jàbir dichiara anche che il maestro gli donò la
visione penetrante della bilancia, e diffuse la sua
parola su questo dicendo:
Così parla il maestro, e così egli mi ordinò di scrivere e
classificare.
Molte volte egli menziona le direttive del suo
maestro e parla del Mercurio:
Il mio maestro mi raccontò tutto intorno ai suoi padri,
uno ad uno.
Questo tipo di pensiero raggiunge il suo sommo
e la sua presenza sublime una volta che si ricordi
il messaggio che l'Imam Ja'far dettò a Jàbir, suo
discepolo favorito, sul segreto della natura e sulle
più piccole cose della saggezza universale che pos-
sono essere riassunte come espressioni dell'Opera.
La visione dei fatti taciti dell'esistenza attraverso la
contemplazione esoterica. Il principio della bilan-
cia come si deduce dalla giustizia divina e dal sen-
so Qur'anico del mondo:
Ed Egli ha fatto sorgere alto il firmamento, ed Egli ha
fissato la Bilancia [di giustizia], (Sura LV, 7)
Secondo Jabir la realizzazione totale della pro-
fessione alchemica viene attraverso due percorsi:
l'esterno essoterico e l'interno esoterico.
Il primo cammino è la realizzazione del ragio-
namento e dei tratti delle leggi generali e dello sta-
to di unione di natura, mente e anima.
Il secondo cammino, l'esoterico, è legato alla
conoscenza delle leggi e degli stati impegnati ver-
so il divino. Questo cammino può essere stabilito
mantenendo i grandi fatti universali e la purifica-
zione di se stessi e dei propri fini, insieme a chia-
rezza e sincerità interiori.
Le grandi rivelazioni, come la conoscenza del-
l'interiore, Jàbir le ottenne attraverso il suo mae-
stro Ja'far Abi Abdullah Al-Sàdiq, perché le fon-
tane essoteriche sono le ombre di quelle esoteriche
che fluiscono dalla luce divina latente nello spiri-
to dell'uomo.
L'Imam Sàdiq indicò a Jàbir il profondo senso
di soddisfazione, quiete e tranquillità e gli rivelò i
cammini per visualizzare il tacito, e l'innata attra-
zione verso la conoscenza del vero senza veli.
Inoltre Jàbir asserisce il significato della bilan-
cia come conoscenza del numero, del rapporto di
quantità e delle leggi degli elementi di natura e dei
composti, ai quali si riferisce nei trattati che seguo-
no il criterio dell'analogia.
Esoterico ed essoterico, secondo Jàbir, simbo-
leggiano l'alternata apparizione e scomparsa del-
l'Imam Ja'far al-Sàdiq.
Caro studioso, non mi fraintendere, si sta medi-
tando sul compendio della saggezza.
La pace sia con te.
QUINTA LETTERA
Caro Maestro,
ho finito la lunga preparazione dei materiali: li
ho purificati, esaltati, predisposti con cura per il
primo incontro.
E primavera, tra poco inizierò la quarantena
sacra. La materia è nel suo nido, ne attendo con
ansia il risveglio. Attendo, come dice Boehme, che
scendano gli angeli.
Lavorando quietamente, la riflessione sulle qua-
lità e le preparazioni della materia conduce a quel-
le òdi'artista.
I maestri danno poche indicazioni, insoddisfa-
centi. Il tema sembra o poco importante o sconta-
to. Si sottolinea la necessità di buoni caratteri fisi-
ci: salute e integrità di corpo. Si aggiungono
facoltà intellettive: memoria, comprensione, facile
apprendimento. Si cita dedizione allo studio e al
lavoro, paziente costanza. Pietas, timor di Dio,
innocenza, sono ricordati pudicamente.
Riassume tutto molto concisamente Geber la-
tino:
Diciamo pertanto, che se non avrà ingegno naturale, e
una mente che scruti sottilmente i principi naturali, e i
fondamenti della natura, non troverà la vera radice di
questa preziosissima scienza. Inoltre ne abbiamo trova-
to molti, che hanno una mente che crede facilmente a
qualsiasi fantasia. Ma il vero che credono di aver tro-
vato, è affatto fantastico, aberrante, e pieno di errori e
lontanissimo dai principi naturali, poiché il loro cervel-
lo, colmo di molte fumosità, non può accogliere il vero
intento delle cose naturali. Altri ancora sono schiavi del
denaro: desiderano questa scienza, affermano che essa
è meravigliosa e vera, ma temono le spese. Pertanto,
sebbene ne siano convinti, e la indaghino correttamen-
te, tuttavia non giungono all'esperienza dell'opera per
avarizia di denaro. Pertanto a tutti questi non giunge la
nostra scienza.
Siamo nell'ovvietà. Stupisce la mancanza di sof-
ferenze meritorie, quelle che sono norma per qual-
siasi cammino di perfezione, fatte di sacrifici, asce-
si, rinunce, digiuni: ci si purifichi, immersi nel do-
lore, se appena si vuole ottenere qualcosa.
Sono disarmato di fronte a questo silenzio. Pare
manchi qualcosa, un vuoto da colmare che cerco
di soddisfare con altri insegnamenti, riversando
sensi simbolici in frasi dall'apparenza innocua.
L'Opera è essenzialmente arte del fuoco, e l'al-
chimista proprio per questo può diventare philo-
sophus per ignem, filosofo per mezzo del fuoco.
Leggo perciò con una certa preoccupazione Jàbir
quando afferma:
Il fuoco aumenta le virtù del saggio e la corruzione del
perverso.
Un problema dunque si pone, che voi avete più
volte definito come necessità dell'«etica della te-
stimonianza», ed io chiedo praticamente dove
conduca. Perché siamo affamati di precetti, di leg-
gi da seguire.
Una norma tuttavia esiste, misteriosa e incom-
prensibile: «Siate veridici». Sottolineata come vir-
tù singolare e significante, è difficile coglierne il
valore. Non si trova come regola di santità, am-
mettendo che santità sia strumento di misura. Non
è difficile da praticare nella sua formulazione più
evidente.
Proprio per questo temo abbia significati più
profondi, difficili da decifrare.
Rispettosamente.
QUINTA RISPOSTA
Caro studioso,
tu devi capire che esiste una veracità della lin-
gua, e una veracità del cuore, e che è della secon-
da che noi parliamo.
La prima consiste nel fatto che la tua lingua non
dovrebbe mentire. La seconda consiste nel fatto
che il tuo cuore non dovrebbe mentire.
La menzogna della lingua consiste nel soffer-
marsi su ciò che non è stato detto, e nel dire e non
fare. La menzogna del cuore consiste nel credere
e non fare. La menzogna del cuore consiste nel
dare ascolto ad una menzogna.
Ogni menzognero è altro da me.
La verità autentica è la mia voce: se io voglio fac-
cio parlare con essa una pietra o un uomo.
Qualunque cosa ti lega a me è il mio discorso che
proviene dalla mia voce.
Il desiderio è una menzogna del cuore. Il deside-
rio è il seme del Nemico in ogni cosa.
Io ti ho reso inadatto ad ogni cosa e ho fatto si
che questo fosse un velo tra te e questo. Non lace-
rare il velo prestando attenzione alle cose, perché io
manderei su di te la loro umiliazione. Se tu fossi sta-
to adatto ad ogni cosa, io non ti avrei rivelato il mio
volto.
Quando ti capita qualcosa con la sua tentazione,
considera l'origine della sua creazione e vedrai che
questa la condurrà via da te. Se tu non vedi l'origi-
ne della sua creazione, allora considera il fine del
suo manifestarsi, e vi cercherai religiosità
dentro,
ma tu non la vedrai.
L'origine è forza, il fine è debolezza:
chiedimi
perdono per una debolezza su cui hai potere per
mezzo di una debolezza.
La pace sia con te.
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]dbir, il Maestro dei Maestri, chiamato Gcber dai latini
Caro Maestro,
la primavera è passata immersa nell'operosità.
L'essoterico risponde alle attese: i fenomeni sono
stupefacenti e meravigliosi, i colori splendidi, i ri-
sultati prodigiosi.
L'esoterico non appaga: manca qualcosa di es-
senziale, compaiono immagini di illusione.
Un vecchio maestro di Francia scriveva:
Ecco il segreto.
Sappi che tutti parlano allo stesso modo in due modi,
di cui uno è vero e l'altro falso.
Il vero è tale da non poter essere inteso che dai soli
Illuminati che camminano rettamente e secondo natu-
ra, ed è tuttavia coperto da paragoni ed esempli, sotto
nomi ed equivoci che non appartengono alla dottrina
ma ne sono significanti, perché in lei non occorre che
una sola cosa, un solo modo di operare, per una via
semplice e naturale, senza perdersi nella pluralità delle
cose contrarie al nostro unico lievito.
Il falso è questa confusione di regimi e droghe cattive,
sebbene il tutto sia significante di qualcosa che appar-
tiene alla dottrina, tuttavia non si deve considerare la
qualità, perché la Natura è semplice e non opera che
semplicemente.
53
È il momento del dubbio e dell'incertezza, mo-
mento fatale e pericoloso, forse inevitabile. Il con-
fine tra vero e falso, tra inganno e realtà, è molto
più sottile di quel che si possa immaginare, e lo
stesso operare a questo punto è causa di ulteriore
incertezza.
Tutti hanno opinioni sulFAlchimia. Due ipotesi
riassumono i pensieri sulla Grande Opera.
Una dice che le operazioni descritte sembrano
chimiche, mentre in realtà sono spirituali, o men-
tali: descrizioni psicologiche dell'evoluzione inte-
riore, atti dell'immaginare o della volontà, visioni
che nascono dall'intimo.
L'altra assimila il forno al corpo fisico dell'uo-
mo, e la materia a un'energia sottile che deve cre-
scere, salire, cuocere nei suoi intimi recessi.
Entrambe leggono l'Opera come simbolo, anzi
come allegoria di diverse verità.
Attraggono e respingono: entrambe suonano
difettose nella loro estrema ragionevolezza.
Ricordo un passo che mi avete insegnato:
Noi proponemmo il deposito dei nostri segreti ai Cieli,
alla Terra, ai Monti: tutti rifiutarono di assumerlo, tut-
ti tremarono al pensiero di riceverlo. Ma l'uomo ac-
cettò di incaricarsene: è un violento, un incosciente.
(Sura XXXIII, 72)
Sento che si devono scoprire pensieri insensati,
vedere cose irragionevoli, sentire stridori inaccet-
tabili: scopro che nell'Opera si può vedere e non
vedere, conoscere e non conoscere. Gli stessi
occhi nascondono le cose, le orecchie cancellano i
suoni, la mente ricompone tutto a sua immagine,
la caligine infittisce di fronte al meraviglioso, come
se volesse proteggerlo in una deformazione appro-
priata all'osservatore.
Tutto appare chiaro e comprensibile, e questa
stessa sensatezza, tanto gradevole, tanto conve-
niente, genera perplessità e angoscia. Manca l'eso-
terico dell'esoterico.
Distinguere tra il vero e il falso di cui parla il
vecchio maestro sembra impossibile.
Rispettosamente.
SESTA RISPOSTA
Caro studioso,
la verità è ciò da cui non ti allontaneresti, anche
se tutto il popolo del cielo e della terra te ne allon-
tanasse. La falsità è ciò che non accetteresti, anche
se tutto il popolo del cielo e della terra ti invitasse
a farlo. Ora, per comprendere meglio quanto sto
per dirti, devi imparare a distinguere tra stato e
situazione. Il primo è un dono di Dio, la seconda
è il risultato della tua opera.
Stato e situazione sembra siano la stessa cosa
perché differiscono solo minimamente a causa del-
la loro intercambiabilità, ma una situazione è una
fase durante un cambiamento, mentre lo stato è
tale per la sua stabilità.
Una situazione si muove per diventare stato,
come l'emissione di un dubbio da parte dell'ado-
ratore si concretizza tacitamente nella richiesta
della verifica.
La struttura ricorrente dell'apparire e scompa-
rire del dubbio è il risultato di un conflitto nell'a-
rena del sé. Questa è una situazione.
Il superamento del dubbio, sostenuto da fede
profonda che trascende il sé, diventa uno stato.
La situazione della verifica viene dopo, perché
colui che ha lo stato del dubbio, vorrebbe avere la
situazione della verifica.
La situazione della verifica va e viene con pie-
nezza di mente e mancanza di mente nel profon-
do dell'essenza dell'adoratore, sino a quando la
nebbia della mancanza di mente scompare soste-
nuta dal sostegno di Dio per rendere la verifica
uno stato.
Lo stato del dubbio non si fissa mai a meno che
la situazione della verifica non si sostanzi, e questo
stato non si fissa sinché non avviene la situazione
della vista.
Con i doni della vista, la verifica si fissa come
stato, dopo essere stata una situazione.
L'avvento della vista diventa una situazione che
va e viene con un velame. Allora diventa uno
stato:
E il suo sole libera dall'eclissi, dal velame e dalla
nebbia.
La visione della verità scende nelle profondità
del cuore per essere la situazione più alta della
visione.
Il nostro Profeta Mohammad - la pace su di
lui - dice: "O Signore, io ti prego di farmi avere
un dono di fede che penetri il mio cuore".
Conoscimi con la gnosi della certezza rivelata, fa
noto il tuo sé al tuo Maestro per mezzo di certezza
rivelata. Scrivi il modo della mia autorivelazione a
te per mezzo della gnosi della certezza rivelata, scri-
vi come io ho fatto sì che tu fossi testimone e come
tu abbia reso testimonianza. Questo può essere un
ricordo per te e uno stabilirsi per il tuo cuore.
Sappi che i doni di Dio Onnipotente sono sen-
za limiti, e situazione e stato sono doni correlati
alle parole di Dio che sono troppo numerose per
essere scritte anche avendo l'inchiostro di tutti i
mari, e sono più innumerevoli dei granelli di tutte
le sabbie.
Dio è il misericordioso dispensatore e donatore.
Egli mi pose nella verità della gnosi e mi disse:
Come per questo momento c'è un sopra e un sot-
to, tutti i fenomeni sono questo mondo e tutto que-
sto insieme e tutto ciò che contiene sta in attesa
dell'Ora. Sopra di lui e sopra tutto ciò che contiene
ho scritto la fede, e l'essenza della fede è: "Non c'è
nulla come lui".
Chiama a testimoniare Gabriele e Michele,
chiama a testimoniare il Trono e i portatori del
Trono, chiama a testimoniare ogni angelo e ogni
possessore di gnosi, e vedrai la realtà della sua
fede, mentre dice e dà testimonianza che non c'è
nulla come lui.
Tu vedrai che conoscenza di questo è esperien-
za, e che esperienza di questo è conoscenza.
Tu vedrai che questo è il limite della gnosi,
vedrai che quella è l'autentica verità, vedrai che
quella è la vera conoscenza della visione, non la
visione in sé.
Osservali: ciascuno di loro veglia in attesa del-
l'Ora. Attendono che si alzi il velo, attendono il
levarsi della copertura.
Ma non si possono sopportare le condizioni di
realtà di colui che sta dietro al velo, se non per suo
mezzo.
Come sarà quando il velo sarà strappato? Per-
ché il velo sarà strappato e in questo strappo sta
un assalto che non può essere sostenuto dalla
natura delle cose create.
Se il velo fosse alzato e non strappato, colui che
sta sotto di lui troverebbe riposo. Ma è strappato
e quando questo avviene la gnosi dello gnostico
sarà dimenticata. Nel dimenticare sarà rivestita da
una luce, che farà sì che si possa sopportare ciò
che si manifesta dopo lo strappo. E questo dimen-
ticare è un bene perché con la gnosi non si potreb-
be sopportare ciò che viene manifestato.
La pace sia con te.
Carovana di pellegrini
musulmani.
SETTIMA LETTERA
Caro Maestro,
l'unione delle Nature è un mistero che non si
riesce a penetrare. La congiunzione degli opposti
richiede un Mediatore che pare più divino che
umano. Credo sia del genere di cui parla Jàbir nel
Libro della Misericordia:
Quante cose ci sono in questo mondo, spirituali e sot-
tili, che i sensi non possono percepire e che non si pos-
sono conoscere che per intelligenza!
Mentre riprendo molto umilmente e paziente-
mente le materie per predisporle all'Opera, stu-
dio, medito, cerco di capire. In effetti capire non è
verbo da usarsi, perché questo arcano lo credo
occultato dalla sua stessa assurdità. Per la realiz-
zazione si deve concepire qualcosa di inesplicabi-
le, e questa non sarà una comprensione, può esse-
re una visione.
Torno, ai libri con maggior prudenza. Ho letto
il racconto di Khalid, il principe alchimista:
Sappi che il mio discepolo Musa, il più onorevole di
tutti presso di me, studiò molto sui libri (dei Sapienti)
e faticò molto nell'opera del magistero, ma non riuscì a
conoscere il modo della composizione.
Allora, supplice e umile, me ne chiese una spiegazione
e un consiglio. Io non gli detti risposta né indicazioni,
ma gli prescrissi di leggere i libri dei Filosofi e di cer-
care in quelli ciò che aveva chiesto a me.
Egli allora, andatosene, lesse più di cento libri, tutti
quelli che potè trovare: libri certamente veridici, segre-
ti, dei più nobili Filosofi, ma non vi potè trovare ciò che
cercava, e rimase attonito e quasi stravolto.
Penso che l'errore più ovvio consista nel ricon-
durre tutto alle operazioni, alle esperienze fatte, in
una interpretazione ingenuamente tecnica. Mi ri-
peto le parole di un antichissimo filosofo musul-
mano:
Quest'arte non è forse Cabalistica e piena di grandissi-
mi segreti? E tu, stupido pazzo, tu credi che noi inse-
gniamo chiaramente i segreti dei segreti? E prendi le
parole secondo il loro suono letterale?
Sappi per certo che chiunque prende le parole dei
Filosofi secondo il significato volgare e ordinario, sba-
glia enormemente.
Ho ripreso il Libro delle Bilance, e mi perdo in
infiniti giochi di cabala, che stupiscono per l'e-
strema sottigliezza delle analogie. Con queste ten-
to di penetrare nel contenuto delle lettere, di
vedere ciò che queste racchiudono, la sostanza,
non il vaso.
Mi smarrisco in innumerevoli esercizi, correla-
zioni, scomposizioni minuziose e calcoli labirinti-
ci. Lascio il senso letterale e ne scopro mille occul-
ti che svelano e ri-velano, come statuine russe che
sembrano non dover mai finire in un continuo
rimpicciolirsi.
Jabir voleva insegnarci a pesare lo Spirito, capi-
sco che il mio strumento non è corretto, le misu-
razioni si perdono in un'analisi sterile nella sua
apparente, mostruosa, fecondità.
La materia è silente. Temevo la sua voce, ora il
suo silenzio mi offende.
Rispettosamente.
SETTIMA RISPOSTA
Caro studioso,
considera la lettera e ciò che contiene dietro di
sé. Se presti attenzione alla lettera, vi cadrai den-
tro. Se presti attenzione a quello che contiene,
cadrai in quello che contiene.
Non disperare: la generosità di Dio è più grande
della lettera di cui trovi la teoria e della lettera di
cui conosci la teoria, della lettera di cui non trovi
la teoria e della lettera di cui non conosci la teoria.
Quando tu stai con Dio, vedi cosa scende e cosa
sale, e ogni lettera viene da te con tutto ciò che
contiene, e ogni cosa si rivolge a te nella sua lin-
gua e ogni esposizione si spiega per te secondo la
sua esposizione.
La guida appartiene per natura al velo, e il velo
è la punizione. Perciò se la tua guida è della natu-
ra del velo, sarai velato dalla realtà di ciò verso cui
sei guidato:
Io sono il velo del mio gnostico, e sono la guida
del mio gnostico. Io faccio conoscere me stesso ed egli
mi conosce e sa che io faccio conoscere me stesso. Io
velo me stesso, ed egli mi conosce e sa che io velo me
stesso.
Caro studioso, colui la cui guida non è Dio, non
è unito a Dio. Ascolta:
Quando tu conosci la conoscenza che procede da
me, io ti punisco se segui coloro che non sanno, e ti
punisco anche se segui coloro che sanno.
L'uomo che è sotto l'effetto del sé, sta sotto il
velo della tenebra a causa della sua esistenza mate-
riale. Ma quando il suo cuore esce dal suo velo,
allora raggiunge la vicinanza senza l'effetto del sé.
L'ignoranza è il velo della visione e la cono-
scenza è il velo della visione. Egli è il manifesto
senza velo e il nascosto senza svelamento.
Colui che conosce il velo è vicino allo svela-
mento. Il velo è uno, le cause per mezzo delle qua-
li si manifesta sono diverse, e queste sono vari veli.
Ascolta l'Imam Ja'far:
La nostra causa è un segreto dentro un segreto, il segre-
to di qualcosa che resta velato, è un segreto che solo un
altro segreto può spiegare, è un segreto su un segreto
che si appaga di un segreto.
La pace sia con te.
jabir tra i grandi Maestri dell'Alchimia
occidentale.
OTTAVA LETTERA
Caro Maestro,
un quesito si impone, continuo, a chi è sulla
Via, che si ripete ad ogni grado in forme rinnova-
te eppure costanti.
Si può tradurre molto semplicemente. Consiste
nella necessità, e nell'impossibilità, di conciliare
l'esistenza banale, terrena, quotidiana, con la sa-
cralità dell'Opera e con le sue manifestazioni spi-
rituali.
Chi non abbandoni per un eremitaggio o una
cella la vita che conduce nel mondo, soffre di que-
sta antinomia persecutrice e non sa, o non può,
risolverla. Rischia di essere incapace nell'uno e
nell'altro luogo, zoppo per avere un piede qui e
uno altrove, instabile nella più assoluta precarietà.
Un alchimista cinese insegnava:
La ricerca non è complicata. Basta fare alcune cose.
L'unico problema è che quasi sempre la volontà non è
ferma e la fede non è confermata.
Perché trascurare gli interessi umani? Il vero artista rie-
sce senza difficoltà ad occuparsi degli affari e del-
l'Opera. Mentre in privato osserva rigorosamente la
Via, pubblicamente è impegnato negli affari mondani.
In tal modo raggiunge una grande perfezione perché è
tenuto a controllarsi.
Una tale persona è eccellente.
Scriveva secoli fa. Sorge il dubbio che inserito
in una società, come si suol dire, tradizionale,
potesse sostenere onestamente opinioni che oggi
non è dato immaginare.
La sofferenza più grande consiste nella perdita
quando si è ricondotti alla discesa nel profano. Ne
viene un inevitabile senso di fastidio per tutto ciò
che ci vuole immobili nel mondo, una profonda
insofferenza. Ma quello che davvero appare insop-
portabile è il timore di non poter tornare nel luo-
go da cui siamo stati strappati, di aver perso il
Dono per mancanza di consuetudine, peggio, per
distrazione.
Stupisce che l'acquisito si possa perdere con
tanta facilità, e lo stupore diviene ansia di ritorno,
angoscia di aver perso la strada.
La domanda perciò si complica. Diventa richie-
sta di una guida nel comportamento, di un modo
per non abbandonare la visione, di un metodo che
renda laboratorio ogni atto del vivere e permetta di
continuare senza interruzioni.
Mi chiedo se sia possibile.
Rispettosamente.
OTTAVA RISPOSTA
Caro studioso,
un seminatore seminò una manciata di semi, ma
egli non aveva ancora raggiunto la strada, che li
uccelli li avevano mangiati. Alcuni altri semi creb-
bero su una roccia liscia su cui c'era poca sabbia e
poca rugiada: le loro radici soffocarono nella soli-
da roccia e furono spazzate via. Alcuni altri semi
crebbero in una buona terra, ma questa era piena
di rovi che li soffocarono e distrussero. Altri semi
crebbero in una buona terra senza rocce né rovi e
si trasformarono in buona forma e frutti.
Il seminatore è come parlare della rettitudine, e
ciò che avviene per strada è come un uomo che tro-
va il racconto dell'ascoltare inutile: appena l'avrà
ascoltato, il diavolo lo strappa via sinché lo dimen-
tica.
I semi sulla roccia liscia sono come un uomo
che trova il discorso degno di essere ascoltato,
eppure questo raggiunge un cuore che non vuole
comprenderlo a fondo, e così la parola declina.
I semi nella terra dei rovi sono come un uomo
che trova la parola degna di essere ascoltata, eppu-
re i piaceri si sono stabiliti nel petto intorno al
cuore, la materia non può essere compresa a fon-
do per i suoi pregiudizi e la sua volubilità.
I semi che crescono sulla terra buona, senza
rocce né rovi, sono come il discorso che raggiun-
ge un cuore e vi resta per essere compreso a fon-
do. E come un albero con i rami nel terrestre e le
radici profondamente stabilite nel celeste. Il suo
frutto è gustoso, bello a vedersi e aromatico, e atti-
ra gli uomini da ogni parte del mondo.
II mio nome e i miei nomi sono posti dentro di
te: non cacciarli o io mi allontanerò dal tuo cuore.
Egli stava dentro di me e mi disse:
La conoscenza è più dannosa dell'ignoranza per
colui che mi vede.
Una buona opera vale dieci per colui che non mi
vede, ma è danno per colui che mi vede.
Quando tu mi vedi, la tua sicurezza è più grande
nell'omissione che nel servizio. Quando tu non mi
vedi, la tua sicurezza è più grande nel servizio che
nell'omissione.
Quando tu mi vedi, ogni cosa che tu vedi altra da
me con il tuo occhio e il tuo cuore, ti separa da me.
Chiedi il mio perdono per l'atto del cuore, e io ti
libererò dalla mutevolezza.
L'atto del cuore è la radice dell'atto del corpo:
considera quindi cosa hai seminato e considera qua-
le frutto porta la semenza.
La mia mano è sul cuore. Perciò se tu trattenessi
da esso la sua propria mano, né prendendo con essa
né dando, tu semineresti la mia autorivelazione per
mezzo di esso, ed esso produrrebbe il frutto di ve-
dermi.
Temi una buona azione che demolisce le buone
azioni, e temi un peccato che erige i tuoi peccati.
Quando tu mi vedi e ottieni da me i mezzi del-
l'indipendenza, io non sarò assente da te.
La tribolazione è la tribolazione di colui che mi
vede. Egli non può sopportare la mia persistenza, e
non può sopportare la sua interruzione. Mentre io
sono al centro di questo, srotolandolo e arrotolandolo.
Neil'arrotolare sta la morte, nello srotolare sta la vita.
Io sono l'obiettivo dei miei amici cari. Quando
essi mi vedono, essi trovano riposo in me. Chi non
mi vede, egli è il proprio obiettivo.
Consulta colui che non mi vede per i tuoi affari
di questo mondo e del prossimo. Segui l'esempio di
colui che mi vede e non consultarlo. La consulta-
zione è per la liberazione dall'errore, e il consiglio è
un assalto. Chi mi vede, dove non assalirà?
Accompagna colui che non mi vede, ed egli ti sor-
reggerà e tu sorreggerai lui. Non cercare la compa-
gnia di colui che mi vede, o ti sarà teso un agguato
da ciò in cui hai riposto la massima fiducia.
Quando tu vedi me e vedi colui che non mi vede,
velami da lui per mezzo della saggezza: se tu non lo
fai ed egli si smarrisce, io ti punirò per lui.
Quando tu non mi vedi e vedi colui che mi vede,
conserva le tue limitazioni, perché tu non mi vedrai
attraverso la sua visione.
Quando tu mi vedi e vedi colui che mi vede, allo-
ra io sono tra voi due, ascoltando e rispondendo.
Coloro che perseverano per il proprio vantaggio,
sono coloro che mi vedono.
Quando io ero assente, velarono gelosamente
i
loro occhi, per non associare nulla a me nella loro
visione.
La gelosia non è giusta finché distrugge la divi-
sione, e la divisione non è distrutta mentre io sono
assente.
In verità Noi li guideremo sulle Nostre vie. Noi
sveleremo loro in ogni cosa i posti su cui cade il
Nostro sguardo.
Noi diamo ordini ad una cosa quando vogliamo,
e facciamo sì che essa testimoni la gnosi. E quando
possiede la gnosi, Noi diciamo ad essa "Sii", ed essa
è, in risposta al nostro comando.
La descrizione di tutto ciò, nella visione del tuo
cuore e del tuo intelletto, è che nel profondo tu
dovresti essere testimone di ogni mondo e di ogni
paradiso, di ogni cielo e di ogni terra, di ogni ter-
reno e di ogni mare, e di ogni notte e di ogni gior-
no, e di ogni profeta e di ogni angelo, e di ogni
conoscenza e di ogni gnosi, e di ogni parola e di
ogni nome, e di tutto ciò che è in quello e di tutto
ciò che è tra quello, dicendo: "Non c'è nulla come
Lui!". Allora sarai all'estremo della conoscenza e
alla fine della gnosi.
Possedendo la gnosi della gnosi, tu conosci e sco-
pri che sei uno dei tuoi animali: allora rendi la tua
esistenza fenomenica, nella sua totalità, una delle
tue vie.
Quando hai fatto sì che l'esistenza fenomenica
sia una delle tue vie, questa sarà un guadagno che
proviene da una via.
La cosa principale è che ora tu dovresti sapere
cosa sei, se un eletto o un uomo comune. Perché
se un eletto non agisce in base al principio di esse-
re un eletto, perisce, mentre con la semplice cono-
scenza dell'uomo comune questi è quasi condotto
alla salvezza.
All'eletto appare una manifestazione di Dio che
è salvaguardata da altri che non siano lui, ma non
da lui. Per quanto riguarda l'uomo comune, non
c'è nulla tra lui e Dio eccetto la sua confessione di
fede, mentre l'eletto è colui che rivolge tutta la sua
attenzione a Dio.
La pace sia con te.
Le necessarie virtù fisiche, psichiche e spirituali
per compiere l'Opera.
NONA LETTERA
Caro Maestro,
un mondo oscuro e tenebroso, nero e fetido,
emette miasmi velenosi e putrescenti. Intorno, un
oceano di fuoco dai bagliori di smeraldo si agita
ribollendo in mille schiume. Sento squittii pauro-
si e tintinnii angelici confusi in stridula armonia.
La luce si mescola alle tenebre, il rumore al silen-
zio nei baratri dell'Universo. Questo è il primo
mistero incomprensibile.
L'Angelo folgora con spada di fiamme, rompe
l'ingresso proibito, frantumandolo in mille parti-
cole che sfuggono come scintille impazzite di ani-
me dannate e riprese, in un perdono maledetto ed
eterno di redenzione malvagia e ingannatrice. La
Luce erutta da un vulcano diabolico, sale, ricrolla,
si rapprende, sovrasta, raggrumata in un cristallo
di magnifico fulgore che il marchio segna: manife-
sta l'inconoscibile perfezione dell'Immacolata Di-
vina, fuori dal tempo, dallo spazio, dall'errore in-
sensato. E il secondo mistero.
Lo raccolgo immerso nell'aroma di balsamo: si
apre la visione dove tutto si tace, i colori si fon-
dono, la quieta pace silente domina il mostro
schiacciato, domato, non ancora ucciso. E il terzo
mistero.
Un flusso ancora putrido di rosso sangue bru-
nastro comincia a rapprendersi, le squame si in-
frangono per la passione dell'anima che vuole li-
bertà alla ricerca di un nuovo corpo, morbido e in-
corruttibile.
L'Angelo mi guarda e tace. Riprende la spada,
indica un cammino, breve e lunghissimo, scoglio
del mare verde, vulcano innevato ancora senza cie-
lo nel torpore del mondo.
L'operazione è finita sotto il velo di tenebra che
ancora ricopre il meraviglioso. L'Angelo è svanito.
Restano i corpi maldestri che maneggio con cura
rammentando la vita che celano. La materia parla,
grida, strepita, risuona e nella confusione elemen-
tare si confonde la mente che non sa più distin-
guere il proprio suono dall'altro.
Queste sono le immagini e le loro direzioni.
Quando cessa la visione, il sonno è profondo, il
corpo spossato, non c'è turbamento di sogno, fal-
so o verace. La nostalgia si acutizza al risveglio e i
ricordi si fondono. L'Angelo torna nell'invisibile,
la memoria si distrae in mille voci discordi.
Reiterare l'operazione è una necessità che attira
e ripugna, spaventa nella sua inevitabilità. La spe-
ranza sta nel non ritorno, nel poter proseguire. Il
timore che la visione non si ripresenti terrorizza.
In questo andare e tornare, oscillando tra i mon-
di, la prova si manifesta in tutta la sua difficoltà.
Con chi misurarsi?
Rispettosamente.
NONA RISPOSTA
Caro studioso,
recentemente ho meditato a lungo sulle tue let-
tere e da queste ho acquisito una conoscenza più
profonda delle tue attitudini, delle tue tendenze e
dei tuoi segni.
Per me i tuoi segni sono divini, anche se con
situazioni di pura materia.
L'assoluto non è mai limitato, perché la sua
bontà è infinita, ma la materia è l'opposto, perché
la materia è nascosta solo nel divino, e perciò la
tua Opera deve essere del divino, nel divino, fuo-
ri dal divino e per il divino, proporzionalmente
sdoppiata con le opere mondane.
Del primo polo, del cammino divino, devi
ascoltare la voce con il velo delle sue descrizioni e
dei suoi tratti, nel vero dal vero, una volta che tu
abbia meritato ascolto e conoscenza. Ma colui che
ha il sé ossessionato e il cui intimo è sopraffatto
dalla voce del sé non può udire nulla.
Udito e ispirazione richiedono una struttura di
esistenza che è data al conoscitore in una situazio-
ne di sobrietà, mentre il cuore realizza il vero per
mezzo dell'esaltazione.
Tu devi possedere la vista, cioè la penetrazione,
che è stordimento che mescola vista e udito, e devi
mantenere sobrietà, non mescolando vista e udito,
controllando il tuo stato e la tua situazione. Allora
capirai attraverso la tua stessa esistenza, e posse-
derai completa prontezza per acquisire quella rea-
lizzazione che è fonte di ispirazione.
Questo è l'ascolto del cuore, cui tutto si sotto-
mette in silenzio.
L'assenza di visione è la patria del ricordo.
Quando ti manca la visione, e sei assente, chiama
e invoca e supplica Dio, ma non chiedere di lui.
Perché se tu chiedi di lui a uno che è assente,
non ti guiderà a Dio. e se tu chiedi a uno che vede,
non ti informerà.
La pace sia con te.
Il Profeta visita Jàbir.
DECIMA LETTERA
Caro Maestro,
L'ascolto è incostante, la visione va e viene
come un pendolo oscillante. Sperimentando il
profondo si scopre che ad ogni passaggio da un'o-
pera all'altra l'esoterico di una è essoterico per la
successiva, e l'esoterico di questa è essoterico per
la più elevata.
Fatto esterno l'interno, alto il basso, interno l'e-
sterno, basso l'alto, fisso il volatile, volatile il fisso,
nella successione dei mondi sta un susseguirsi di
realtà che non si appartengono, eppure sono un'u-
nica visione che penetra in modo diverso le mate-
rie e gli spiriti.
Vanno fissate. Si devono bloccare i fuggevoli
enti che spingono per tornare all'oriente, con un
mercurio d'occidente che li fermi per sempre.
Il vaso è quasi pronto, ma instabile, oscilla
anch'esso tra un cosmo e l'altro, apparendo e
scomparendo dietro un fumo ingannevole che a
volte dirada, a volte ispessisce, senza che si possa
mai prevedere la forma o il colore.
Tutto è in movimento, ruota intorno al centro
che volteggia senza un momento di quiete, e que-
sto agitarsi che va catturato è come la danza irre-
sistibile dei mondi universali, il roteare delle sfere
eccentriche, dove il centro racchiude la periferia,
l'interno è più elevato del punto più esterno, il
punto minuscolo pesa più di tutto l'insieme.
Ormai la luce pervade tutto il cosmo, il baglio-
re non acceca, pare piuttosto un'oscurità lumino-
sa pervasa di stelle sanguigne.
Ricordo passi di un antichissimo testo:
A lungo era durato l'intervallo di inattività e di cela-
mento e la materia continuava ad essere sterile. Dio sor-
rise e disse "Che la Natura sia!" e un oggetto femmini-
le di totale bellezza sgorgò dalla sua voce, e Dio la
chiamò Natura e le ordinò di essere feconda.
Avendo preso dal proprio soffio quanto bastava e aven-
dolo unito intelligentemente al fuoco, lo rimestò con
certe sostanze sconosciute. Poi dopo aver unificato il
tutto, ogni elemento con ogni altro, accompagnando
con certi incanti segreti, agitò fortemente tutta la mistu-
ra, sinché ribollì alla superficie della miscela una specie
di materia più sottile, più pura e più trasparente degli
ingredienti di cui era fatta: questa era traslucida e solo
l'operatore la vedeva. Ed essa non si fondeva al calore,
perché era estratta dal fuoco, e non si raffreddava, per-
ché era estratta dal soffio.
Da questa crosta Dio fece nascere miriadi di anime.
E le cose in basso emisero gemiti, prese da timore per
la meravigliosa bellezza e l'eterna permanenza delle
cose in alto.
Vedo la causa di tutto ciò, il suo eterno ritorno,
la legge che lo governa, la mancanza di fine.
Vedo la Bilancia e l'oscillazione continua alla
ricerca del punto di impossibile equilibrio.
Come fermare tutto ciò?
Rispettosamente.
DECIMA RISPOSTA
Caro studioso,
il cuore è sempre in ascolto, il sé è sempre atten-
to e non riposa mai: qualsiasi cosa chiuda le porte
dell'ascolto del cuore proviene dall'attenzione del
sé, mentre i piaceri si librano costantemente intor-
no al cuore degli uomini per impedire la visione
dei regni celestiali.
L'intuizione di coloro che intuiscono, le cono-
scenze di coloro che conoscono, le luci degli scien-
ziati devoti, le vie degli antichi vincitori, il conti-
nuo inizio e l'eternità, e tutti gli eventi che vi sono
compresi, sono per colui che è un ascoltatore del
cuore.
Egli mi sostenne nella sua realtà, ed io vidi gli
scintillìi come tenebra, e l'acqua come una roccia
pietrosa. Ed egli mi disse:
Colui che non vede questo non è circondato dal-
la mia realtà, ma colui che vede questo, è stato cir-
condato dalla mia realtà. Chi è circondato dalla mia
realtà e si rivolge ad altri che me, è infedele.
Ogni limitazione è un velo, dietro al quale io non
appaio, e non c'è nulla nella visione della mia real-
tà, a parte la visione di esso.
Ed io vidi ciò che non cambia mai, ed egli mi
dette una condizione mutevole, ed io vidi tutto ciò
che non fu mai creato. Ed egli mi disse:
Non fare eccezioni. Ciò che è creato non persiste.
E la visione si divise in due parti, oculare e men-
tale: tutto l'insieme non si muoveva né si esprime-
va. Ed egli mi disse:
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Il drago ermetico ucciso e fatto a pezzi.
Come lo vedevi prima della visione della mia
realtà?
Dissi: "Si muoveva ed esprimeva". Ed egli:
Sappi la differenza, che tu non possa perderti.
E mi distolse dalla sua realtà, e non vidi più nul-
la. Ed egli:
Tu vedi tutto e tutto ti obbedisce, e la tua visio-
ne di tutto è una prova, e l'obbedienza di tutte le
cose a te è una prova.
E mi distolse da tutto ciò. E mi disse:
Io non guardo tutto ciò. Perché non è adatto
per me.
La pace sia con te.
UNDICESIMA LETTERA
Caro Maestro,
le fatiche di Ercole sono concluse, è giunto il
momento del piccolo riposo, in attesa di quello
grande e definitivo.
La certezza che l'esilio è prossimo al termine, in
un modo o nell'altro, ha quietato ogni affanno,
anche se resta la speranza del Dono, qui ed ora.
Aspetto la Settimana delle Settimane, come la
chiamavano gli antichi maestri latini, quando i
giorni della Creazione scorreranno nel nero a pro-
durre colori angelici.
Ho trovato una splendida preghiera, attribuita
tradizionalmente a un grande maestro francese del
tardo medioevo. Non credo che la conosciate, e ve
la voglio proporre:
Dio onnipotente in eterno, padre del lume celeste, da
cui inoltre provengono tutti i doni buoni e perfetti:
Preghiamo la tua infinita misericordia perché tu ci per-
metta di conoscere rettamente la tua eterna Sapienza,
che sta immediatamente prossima al tuo Trono, e per
mezzo della quale tutto è stato creato e fatto, ed anche
ora è retto e conservato.
Inviala a noi dal tuo Santo Cielo e dal Trono della tua
Gloria, affinché stia e lavori insieme a noi, perché essa
è maestra di tutte le arti celesti ed occulte, ed inoltre sa
e comprende tutto.
Fa' che ci accompagni con misura in tutte le nostre ope-
re, affinché per mezzo del suo spirito noi si apprenda,
con certezza e senza alcun errore, il vero significato ed
il processo infallibile di questa Nobilissima Arte, cioè la
Pietra miracolosa dei Sapienti, che hai nascosto al mon-
do, e sei solito rivelare almeno ai tuoi eletti, cosicché
innanzitutto incominciamo rettamente e bene la somma
opera che qui dobbiamo compiere, progrediamo con
costanza in essa e nella sua fatica, e infine la completia-
mo beatamente e ne fruiamo in eterno con gaudio, per
mezzo di quella Pietra Angolare e miracolosa, celeste
e fondata dall'eternità, Gesù Cristo, che con te, Dio
Padre, insieme allo Spirito Santo, vero Dio, in una in-
dissolubile divina essenza, impera e regna, triunico Dio,
sommamente lodato nei secoli sempiterni.
Così sia.
Vi ho meditato a lungo, mentre riflettevo su
questi anni di lavoro e di studio, sulle mie incom-
prensioni, sui vostri insegnamenti, su quello che
potrei dire a chi si inoltrasse su questa via.
C'è un avverbio curioso nel latino originale,
moderate, che ho tradotto: con misura. Mi sembra
un atteggiamento di quieta prudenza, tanto diver-
so da quello con cui ho incominciato. Forse que-
sto si potrebbe insegnare all'inizio: la necessità di
non avere fretta, di non essere avidi, nemmeno di
conoscenza, nemmeno di amore. Ogni cosa ha il
suo tempo, e il Tempo vero non passa, arriva.
In realtà siamo così lenti, che una sola vita non
basta per chiudere il cerchio delle transmutazioni
necessarie al compimento dell'Opera. Quando ini-
ziamo il cammino passeggiamo sulle nostre stesse
orme, ripercorriamo sentieri già visti, talvolta ripe-
tiamo gli stessi errori, da cui è tanto difficile libe-
rarsi.
Mitezza, e specialmente pazienza, sono prere-
quisiti indispensabili. Specialmente pazienza. Per
un paradossale gioco della legge ineluttabile che ci
sfugge, eppure regge ogni cosa, tutto viene dato a
chi ha già: la Pace è data ai pacifici, agli altri sarà
tolto anche quel poco che ne possiedono.
Continuo a scoprire l'infinita ricchezza della
semplicità: la verità è semplice, come la natura, si è
detto, aggiungendo: e non bisogna dirla che alle
persone per bene.
Vago tranquillo, lasciandomi trasportare da
questi pensieri, nella mia pacifica attesa, senza
ansia, scrutando il Velo e sperando che si squarci
senza dolore. Talvolta mi faccio accarezzare dai
versi di un poeta alchimista cinese di tanti, tanti
secoli fa:
Se tu mi chiedessi, con aria quasi di scherno,
perché vivo nascosto fra i verdi monti,
io ne sorriderei piano piano,
l'anima mia è serena, caro amico,
i fiori di pesco seguono l'acqua che scorre,
vi è un altro cielo e un'altra terra
al di là del mondo degli uomini.
Rispettosamente.
UNDICESIMA RISPOSTA
Caro studioso,
cerca la rettitudine, e non un miracolo perché il
tuo Dio chiede rettitudine e il tuo sé chiede un
miracolo, che è un segreto di cui molti non sono
mai stati memori.
Si può accusare la propria fede quando non si
vedono miracoli, perché la saggezza non serve,
non rivela potenza in caso di rettitudine, e non dà
il piacere di un miracolo.
Sono stato in semitotale isolamento, studiando
fotocopie di antichi manoscritti dei nostri Imam.
Ora partirò per Al-Najaf Al-Ashraf in Iraq per
incontrare alcuni studiosi e per vedere alcuni
manoscritti di comune interesse sulla disciplina
mistica.
Sarà un viaggio di due anni.
La pace sia con te.
Manoscritto alchemico arabo.
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POSTFAZIONE
Il piccolo epistolario si chiudeva così, bruscamen-
te. In fondo, ho ancora trovato un foglio di appun-
ti. Conteneva alcune brevi frasi e un disegno, li
riporto qui senza cercarne spiegazione.
Del misterioso filosofo alchimista non si è avuta
più traccia. La villa è stata venduta, il contenuto
disperso.
In paese è rimasto comunque il ricordo del curio-
so personaggio, ne è nata qualche leggenda. Corre
voce che si sia visto qualche volta vagare per il paese,
a tarda sera, un uomo che gli somiglia, anche se di età
decisamente più giovane. Scende da una grossa mac-
china nera, cammina assorto per le vecchie stradine
che si affacciano a un laghetto, resta fermo a fissarne
le acque, poi riparte evitando qualunque incontro.
Le frasi del foglio, scritte frettolosamente,
dice-
vano.
Una sola cosa, una sola via, un solo vaso, una sola
disposizione.
Chi saprà fare l'Opera col solo Mercurio, quello avrà
trovato la via regia.
.Dio ti dia grassezza di terra e rugiada dal cielo.
La pazienza è la scala dei filosofi, e l'umiltà la porta del
loro giardino, perché a chiunque persevererà senza
invidia e senza orgoglio, Dio farà misericordia.
Il disegno, con un piccolo cartiglio, chiudeva la
pagina, come chiude questo libretto affidato al de-
stino.