italian
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Egli conosce il danno del suo maggior peccato | Di sua maggior magagna conosce il danno |
allora presi l'abitudine di visitarli | ond’io a visitarli presi usata |
Ora sai dove, quando e come furono creati questi amori : cosicché già tre tuoi desideri sono stati appagati | Or sai tu dove e quando questi amori furon creati e come: sì che spenti nel tuo disio già son tre ardori |
Poi le zampe posteriori del serpente, attorcigliate assieme, divennero il membro che l'uomo nasconde, mentre il dannato aveva il suo diviso in due | Poscia li piè di retro, insieme attorti, diventaron lo membro che l’uom cela, e ’l misero del suo n’avea due porti |
Anche se mi strapperai tutti i capelli, non ti dirò chi sono e non mi mostrerò nemmeno se mi colpirai sul capo mille volte | Perché tu mi dischiomi, né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti, se mille fiate in sul capo mi tomi |
La materia di queste creature e l'influsso celeste non sono uguali | La cera di costoro e chi la duce non sta d’un modo |
Perché ti abbagli per vedere una cosa che non è qui | Perché t’abbagli per veder cosa che qui non ha loco |
La mia guida salì sulla barca e poi mi fece salire dopo di lui | Lo duca mio discese ne la barca, e poi mi fece intrare appresso lui |
allora dissi: | per ch’i’ dissi: |
Si potrebbero vedere i dannati che giacciono nelle tombe | La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder |
Vidi entrambe le sponde del Mediterraneo fino alla Spagna, al Marocco e alla Sardegna, e alle altre isole bagnate da quel mare | L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, e l’altre che quel mare intorno bagna |
perciò la mia risposta ha lo scopo di farsi sentire da colui che piange al di là del fiume, perché il dolore sia commisurato alla colpa | onde la mia risposta è con più cura che m’intenda colui che di là piagne, perché sia colpa e duol d’una misura |
ma mi misi in viaggio in alto mare solo con una nave e con quei pochi compagni dai quali non fui abbandonato | ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto |
Dunque la mia penna salta questa parte e non ne parlo: infatti la nostra fantasia è colore troppo vivace per raffigurare certe pieghe, e così le nostre parole | Però salta la penna e non lo scrivo: ché l’imagine nostra a cotai pieghe, non che ‘l parlare, è troppo color vivo |
essi venivano gridando: | venian gridando: |
Ormai puoi giudicare la condotta di quelli che ho accusato prima e le loro colpe, che sono causa di tutti i vostri mali | Omai puoi giudicar di quei cotali ch’io accusai di sopra e di lor falli, che son cagion di tutti vostri mali |
Essenze della mia anima, quando mi vedete così sofferente perché non mandate via dalla mia mente tutte queste parole intrise di pianto, di dolore e di triste consapevolezza? | Deh, spiriti miei, quando mi vedite con tanta pena, come non mandate fuor della mente parole adornate di pianto, dolorose e sbigottite? |
e poi che mi strinse tutto al suo petto, risalì per la via da cui era sceso | e poi che tutto su mi s’ebbe al petto, rimontò per la via onde discese |
Allora dissi: | Ond’io: |
non devi fare altro che dirmi quello che vuoi | più non t’è uo' ch'aprirmi il tuo talento |
Io iniziai: | Comincia’ io: |
Ormai si erano svegliati e si avvicinava l'ora in cui solitamente ci veniva dato il cibo, anche se ognuno ne dubitava per il suo sogno | Già eran desti, e l’ora s’appressava che ’l cibo ne solea essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava |
Dal giorno in cui l'arcangelo Gabriele disse 'Ave' a Maria, fino a quello in cui mia madre, che ora è santa, mi partorì, questo pianeta si è ricongiunto alla costellazione del Leone volte, riscaldandosi sotto la sua zampa | Da quel dì che fu detto ‘Ave’ al parto in che mia madre, ch’è or santa, s’alleviò di me ond’era grave, al suo Leon cinquecento cinquanta e trenta fiate venne questo foco a rinfiammarsi sotto la sua pianta |
E io a lui: | E io a lui: |
E ti chiedo, in nome di ciò che tu desideri di più, se mai andrai in Toscana, che tu ripari la mia reputazione presso i miei congiunti | E cheggioti, per quel che tu più brami, se mai calchi la terra di Toscana, che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami |
E' un desiderio che mi porto dietro sin dalla nascita, cresciuto insieme a me giorno dopo giorno, e ho paura che esso si esaurirà solo al momento della mia morte: un unico sepolcro calerà su entrambi. | Questo d' allor ch' i' m' addormiva in fasce venuto è di dí in dí crescendo meco, e temo ch' un sepolcro ambeduo chiuda. |
Come un allievo che risponde al maestro con prontezza e buona volontà in ciò in cui è esperto, per manifestare la sua conoscenza, io dissi: | Come discente ch’a dottor seconda pronto e libente in quel ch’elli è esperto, perché la sua bontà si disasconda, diss’io: |
ma c'è una mancanza da parte tua, poiché non hai ancora la vista pronta a osservare tali spettacoli | ma è difetto da la parte tua, che non hai viste ancor tanto superbe |
dunque, se desideri avere dei chiarimenti su di noi, domanda pure senza esitare | e però, se disii di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia |
Perciò ti metto in guardia, se mai tu sentissi altre versioni sull'origine della mia terra, affinché nessuna menzogna offuschi la verità | Però t’assenno che, se tu mai odi originar la mia terra altrimenti, la verità nulla menzogna frodi |
o mi rivolsi a Beatrice e lei capì prima che parlassi, e mi sorrise con un cenno che fece crescere le ali al mio desiderio | Io mi volsi a Beatrice, e quella udio pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno che fece crescer l’ali al voler mio |
Allorché torno in me stesso mi trovo il petto bagnato di lacrime di commiserazione, e allora dico: | Poi ch' a me torno, trovo il petto molle de la pietate, ed alor dico: |
e questa nostra mancata conoscenza è tanto dolce, per noi, in quanto la nostra gioia si affina in Paradiso sempre di più e vogliamo solo quanto è voluto da Dio | ed ènne dolce così fatto scemo, perché il ben nostro in questo ben s’affina, che quel che vole Iddio, e noi volemo |
Se egli fu tanto bello quanto ora è brutto, e nonostante questo osò ribellarsi al suo Creatore, è giusto che da lui derivi ogni male | S’el fu sì bel com’elli è ora brutto, e contra ’l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui proceder ogne lutto |
Subito la salutai amorevolmente e le domandai se fosse accompagnata. | D'amor la saluta' immantenente e domandai s'avesse compagnia |
E il mio maestro aprì le mani, prese un po' di terra e la gettò coi pugni pieni nelle fauci fameliche del mostro | E ’l duca mio distese le sue spanne, prese la terra, e con piene le pugna la gittò dentro a le bramose canne |
I tuoi santi pensieri, i tuoi atti pietosi e puri fecero della tua verginità per quanto fecondata un vivo tempio e consacrato a dio. | Santi penseri, atti pietosi e casti al vero dio sacrato e vivo tempio fecero in tua verginità feconda. |
Beatrice, mentre io tacevo pur volendo parlare, mi condusse al centro della rosa eterna, che digrada verso il basso e si estende ed emana un profumo di lode al sole che fa sempre primavera, e mi disse: | Nel giallo de la rosa sempiterna, che si digrada e dilata e redole odor di lode al sol che sempre verna, qual è colui che tace e dicer vole, mi trasse Beatrice, e disse: |
dunque è necessario che io mi armi di buona prudenza, così che, se sarò allontanato dal luogo a me più caro, io non perda gli altri a causa dei miei versi | per che di provedenza è buon ch’io m’armi, sì che, se loco m’è tolto più caro, io non perdessi li altri per miei carmi |
Possa realizzarsi ciò che le tue parole hanno richiesto grazie all'azione spontanea, o spirito imprigionato: ti prego ancora di dirci come l'anima si lega a questi tronchi, | Se l’om ti faccia liberamente ciò che ’l tuo dir priega, spirito incarcerato, ancor ti piaccia di dirne come l’anima si lega in questi nocchi |
Son già passati più di mille anni da che sono morte quelle anime nobili che l'avevano innalzata a quel grado di potenza e di gloria a cui era giunta. | Passato è già piú che 'l millesimo anno che 'n lei mancâr quell'anime leggiadre che locata l'avean là dov' ell'era. |
E affinché tu ti stupisca meno delle mie parole, pensa al vino che è prodotto dal calore del sole unito all'umore che cola dalla vite | E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sole che si fa vino, giunto a l’omor che de la vite cola |
Non appena io e Virgilio fummo sulla barca, essa ripartì fendendo l'acqua più di quanto non sia solita fare con altri | Tosto che ’l duca e io nel legno fui, segando se ne va l’antica prora de l’acqua più che non suol con altrui |
Così la pelle bianca diventa scura al primo apparire dell'Aurora, figlia di Iperione, colui che porta il mattino e fa cessare la sera | Così si fa la pelle bianca nera nel primo aspetto de la bella figlia di quel ch’apporta mane e lascia sera |
Nella sua profondità vidi che è contenuto tutto ciò che è disperso nell'Universo, rilegato in un volume:sostanze, accidenti e il loro legame, quasi unificati insieme, in modo tale che ciò che io ne dico è un barlume di verità | Nel suo profondo vidi che s’interna legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume, quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch’i’ dico è un semplice lume |
e vidi molte anime, mentre camminavano, che si accorgevano di quell'indizio | e pur a tanto indizio vidi molt’ombre, andando, poner mente |
Edificarono una città sopra il suo sepolcro | Fer la città sovra quell’ossa morte |
Se questo non si spenge in mezzo alle nuvole, finisce per ardere rapidamente ciò che gli si para davanti. | Se non more 'n venire in nuviloso loco, arde immantenenti ciò che dimora loco. |
Il troppo spendere e il troppo risparmio ha tolto loro il Paradiso, e li ha posti a questa contesa: non uso altre parole per descrivere la loro pena | Mal dare e mal tener lo mondo pulcro ha tolto loro, e posti a questa zuffa: qual ella sia, parole non ci appulcro |
Ma quelle anime, che erano nude e prostrate, cambiarono colore e batterono i denti, appena udirono le sue parole crude | Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che ’nteser le parole crude |
Benedetta sia tu tra le figlie di Adamo, e benedette siano in eterno le tue bellezze | Benedicta tue ne le figlie d’Adamo, e benedette sieno in etterno le bellezze tue |
La natura, ogni qual volta trova le condizioni esterne discordi, produce cattivi effetti come un seme caduto in un terreno non adatto a quella specie | Sempre natura, se fortuna trova discorde a sé, com’ogne altra semente fuor di sua region, fa mala prova |
Ora che risiede al di là del fiume infernale non può più commuovermi, in forza di quella legge che fu emanata quando io ne uscii fuori | Or che di là dal mal fiume dimora, più muover non mi può, per quella legge che fatta fu quando me n’usci’ fora |
e perciò colei alla quale nessun mio pensiero poteva essere nascosto, rivolta a me, tanto lieta quanto era bella, mi disse: | e però quella cui non potea mia cura essere ascosa, volta ver’ me, sì lieta come bella, mi disse: |
così quelle ruote che danzavano in tondo, con velocità diverse, mi permettevano di valutare la loro maggiore o minore beatitudine | così quelle carole, differentemente danzando, de la sua ricchezza mi facieno stimar, veloci e lente |
In quel seggio che si trova nel terzo ordine, siede Rachele sotto Eva, accanto a Beatrice come puoi vedere | Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, siede Rachel di sotto da costei con Beatrice, sì come tu vedi |
Mentre stavo riflettendo e osservando le stelle | Sì ruminando e sì mirando in quelle, mi prese il sonno |
La creatura umana possiede tutte queste doti | Di tutte queste dote s’avvantaggia l’umana creatura |
non hai desiderio di startene con chi è estraneo a tali argomenti. | Di star con l'altre tu non hai talento. |
Voi, signori d'italia, ai quali la fortuna ha dato il governo sulle belle regioni d'italia, per le quali sembra non proviate nessun senso di compassione, che fanno qui tante milizie straniere? | Voi cui fortuna à posto in mano il freno de le belle contrade, di che nulla pietà par che vi stringa, che fan qui tante pellegrine spade? |
Erano già presenti i Gualterotti e gli Importuni | Già eran Gualterotti e Importuni |
infatti, come Monteriggioni è coronata di torri sulla cerchia tonda di mura, così gli orribili giganti, cui Giove minaccia ancora dal cielo quando emette i tuoni, svettavano come torri sull'argine che circonda il pozzo, emergendo dalla cintola in su | però che come su la cerchia tonda Montereggion di torri si corona, così la proda che ’l pozzo circonda torreggiavan di mezza la persona li orribili giganti, cui minaccia Giove del cielo ancora quando tuona |
e Beatrice aggiunse: | e da Beatrice: |
Ma affinché tu comprenda ancora più chiaramente, rivolgi a me la tua attenzione e avrai qualche buon frutto dalla nostra sosta | Ma perché più aperto intendi ancora, volgi la mente a me, e prenderai alcun buon frutto di nostra dimora |
E me lo spieghi tu stesso, iniziando l'alto annuncio da qui alla Terra, superando ogni altro messaggio | Sternilmi tu ancora, incominciando l’alto preconio che grida l’arcano di qui là giù sovra ogne altro bando |
non so se fu per mio volere, o per destino o fortuna | se voler fu o destino o fortuna, non so |
Affinché tu porti a compimento nel modo dovuto il tuo viaggio, cosa per cui la preghiera di Beatrice e il suo santo amore mi hanno inviato qui, spingi il tuo sguardo lungo la rosa | Acciò che tu assommi perfettamente il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi, vola con li occhi per questo giardino |
alcuni battono i chiodi da prora o da poppa | chi ribatte da proda e chi da poppa |
E come le gru emettono i loro lamenti, formando in cielo una lunga riga, così vidi venire sospirando delle anime, trasportate da quella tempesta | E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’io venir, traendo guai, ombre portate da la detta briga |
ma il tuo popolo risponde sollecito senza essere chiamato, e grida: | ma il popol tuo solicito risponde sanza chiamare, e grida: |
Prendeva l'altra e le strappava la veste sul davanti, mostrandomi il ventre | L’altra prendea, e dinanzi l’apria fendendo i drappi, e mostravami ‘l ventre |
E come la rana gracida col muso a pelo d'acqua d'estate, quando la contadina sogna spesso di spigolare | E come a gracidar si sta la rana col muso fuor de l’acqua, quando sogna di spigolar sovente la villana |
Dopo che le anime finivano di cantare quell'inno, gridavano forte: 'Non conosco uomo' | Appresso il fine ch’a quell’inno fassi, gridavano alto: ‘Virum non cognosco’ |
Tutti urlarono: | Tutti gridaron: |
l'amore mi ha fatto venire qui a parlarti | amor mi mosse, che mi fa parlare |
Tendiamo le reti, così che io possa catturare la leonessa e i leoncini | Tendiam le reti, sì ch’io pigli la leonessa e ’ leoncini al varco |
Come il nostro cielo fa cadere in basso i fiocchi di neve, quando il corno della capra del cielo, così io vidi il Cielo diventare brillante e fioccare verso l'alto i beati trionfanti che si erano trattenuti qui con noi | Sì come di vapor gelati fiocca in giuso l’aere nostro, quando ’l corno de la capra del ciel col sol si tocca, in sù vid’io così l’etera addorno farsi e fioccar di vapor triunfanti che fatto avien con noi quivi soggiorno |
Sull'orlo di un'alta riva dove c'erano molte rocce ammucchiate in cerchio, giungemmo in prossimità del Cerchio successivo | In su l’estremità d’un’alta ripa che facevan gran pietre rotte in cerchio venimmo sopra più crudele stipa |
Tra Sestri Levante e Chiavari scende a valle un bel fiume, e la mia casata pone il suo nome sulla parte alta del suo stemma nobiliare | Intra Sestri e Chiaveri s’adima una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima |
Tu dici che il padre di Silvio, ancora in vita, andò nell'Aldilà in carne e ossa, con tutto il corpo | Tu dici che di Silvio il parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente |
a lui importò così poco | sì poco a lui ne calse |
Guarda bene il modo in cui io procedo verso la verità che desideri, così che poi saprai giungere da solo alla conclusione | Riguarda bene omai sì com’io vado per questo loco al vero che disiri, sì che poi sappi sol tener lo guado |
Ora rifletti, figlio: questo muro ti divide da Beatrice | Or vedi, figlio: tra Beatrice e te è questo muro |
Quando raggiungemmo l'orlo superiore dell'alta parete, dove il pendio era più spazioso | Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo de l’alta ripa, a la scoperta piaggia, |
Io fui uno degli agnelli del santo gregge che san Domenico conduce per il cammino, dove ci si arricchisce di beni spirituali se non si devia dalla regola | Io fui de li agni de la santa greggia che Domenico mena per cammino u’ ben s’impingua se non si vaneggia |
Tu mi hai riempito la mente di tanto dolore, che sembra l'anima non lo possa più sopportare e i sospiri che emette il cuore dolente, rivelano alla vista che non si può continuare a soffrire oltre. | Tu m'hai sì piena di dolor la mente, che l'anima si briga di partire e li sospir che manda il cor dolente mostran a li occhi che non pòn soffrire. |
Il fondo era così scuro che non avevamo modo di vedere senza salire sul punto più alto dell'arco, dove il ponte sovrasta maggiormente il fossato | Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta |
Io sono qui a causa loro: essi mi spinsero a coniare i fiorini che avevano tre carati di metallo vile | Io son per lor tra sì fatta famiglia: e’ m’indussero a batter li fiorini ch’avevan tre carati di mondiglia |
Non aver paura, rassicurati, infatti siamo a buon punto | Non aver tema, fatti sicur, ché noi semo a buon punto |
E ormai l'anima di quella santa luce si era rivolta al Sole che la ricolma come quel bene che è più grande di qualunque cosa | E già la vita di quel lume santo rivolta s’era al Sol che la riempie come quel ben ch’a ogne cosa è tanto |
Signori, considerate come il tempo passa velocemente, e come la vita fugge, e la morte è già alle nostre spalle. | Signor', mirate come 'l tempo vola e sí come la vita fugge, e la morte n' è sovra le spalle. |
mentre lui, tenendo lo sguardo a terra, rifletteva sul cammino da intraprendere, e io guardavo in alto intorno alla roccia, vidi da sinistra arrivare un gruppo di anime che camminavano verso di noi, e non sembrava neppure tanto procedevano lentamente | E mentre ch’e’ tenendo ‘l viso basso essaminava del cammin la mente, e io mirava suso intorno al sasso, da man sinistra m’apparì una gente d’anime, che movieno i piè ver’ noi, e non pareva, sì venian lente |
infatti, parlando con accento toscano, sembra che tu non sappia nulla del buon Gherardo | ché, parlandomi tosco, par che del buon Gherardo nulla senta |
E lui a me: | Ed elli a me: |
dunque diteci dov'è il passaggio più vicino | però ne dite ond’è presso il pertugio |
Maestro mio, se puoi, fa' in modo che io sappia chi è lo sventurato che è caduto nelle mani dei suoi avversari | Maestro mio, fa, se tu puoi, che tu sappi chi è lo sciagurato venuto a man de li avversari suoi |
Egli mi si fece incontro e io mi avvicinai: o nobile giudice Nino, quanto fui lieto di vedere che non eri tra i dannati | Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei: giudice Nin gentil, quanto mi piacque quando ti vidi non esser tra ‘ rei |
Io tacevo, ma il mio desiderio era dipinto sul mio viso e insieme ad esso la mia domanda, ancora più evidente che se non avessi parlato | Io mi tacea, ma ‘l mio disir dipinto m’era nel viso, e ‘l dimandar con ello, più caldo assai che per parlar distinto |
Come il toro che si libera dai lacci nel momento in cui ha ricevuto il colpo mortale, e non riesce a camminare ma barcolla qua e là, così vidi che faceva il Minotauro | Qual è quel toro che si slaccia in quella c’ha ricevuto già ’l colpo mortale, che gir non sa, ma qua e là saltella, vid’io lo Minotauro far cotale |
Dunque passo al momento in cui mi svegliai, e dico che il mio sonno fu interrotto da uno splendore e dal richiamo: | Però trascorro a quando mi svegliai, e dico ch’un splendor mi squarciò ‘l velo del sonno e un chiamar: |