italian
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Zefiro ritorna e riporta il bel tempo e i fiori e l'erba, suo dolce seguito, ed il garrire delle rondini ed il canto dell'usignolo e la primavera limpida e dai colori vividi. | Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena e i fiori e l' erbe, sua dolce famiglia, e garrir progne e pianger filomena, e primavera candida e vermiglia. |
Costui muore senza battesimo e privo della fede: che giustizia è quella che lo condanna | Muore non battezzato e sanza fede: ov’è questa giustizia che ‘l condanna |
Ma dimmi se vedi qualcun altro degno di nota tra i dannati che procedono | Ma dimmi, de la gente che procede, se tu ne vedi alcun degno di nota |
lungo e fioco | lungo e roco |
allora Virgilio, Stazio e io, stretti alla parete del monte, andammo oltre | per che Virgilio e Stazio e io, ristretti, oltre andavam dal lato che si leva |
Si concede tanto più, quanto più trova l'ardore di carità cosicché, quanto si estende la carità di ognuno, tanto più aumenta in lui l'eterno bene | Tanto si dà quanto trova d’ardore sì che, quantunque carità si stende, cresce sovr’essa l’etterno valore |
Qui per noi tu sei una fiaccola lucente di carità e sulla Terra, fra i mortali, sei una viva fonte di speranza | Qui se’ a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ‘ mortali, se’ di speranza fontana vivace |
Ormai l'aria si faceva scura, ma non al punto che tra il nostro reciproco sguardo non diventasse manifesto ciò che prima era celato | Temp’era già che l’aere s’annerava, ma non sì che tra li occhi suoi e ‘ miei non dichiarisse ciò che pria serrava |
Laura mi tiene prigioniero, in modo tale che non mi libera né rende completa la prigionia ricambiando il mio amore. | Tal m' à in pregion, che non m'apre né serra, né per suo mi riten né scioglie il laccio. |
e se tu avessi compreso la preghiera contenuta in esso, conosceresti la vendetta divina che vedrai prima di morire | nel qual, se ‘nteso avessi i prieghi suoi, già ti sarebbe nota la vendetta che tu vedrai innanzi che tu muoi |
Da qui vado in alto per non essere più cieco | Quinci sù vo per non esser più cieco |
So come dovrebbe essere una vita buona e virtuosa, ma, incapace di cambiare, continuo a seguire le mie erronee passioni. | E veggio 'l meglio, ed al peggior m' appiglio. |
Quanto più mi avvicino al giorno della morte che è solito rendere breve la misera esistenza umana, tanto più vedo scorrere il tempo veloce ed impalpabile, e scorgo falsa e vana la mia speranza. | Quanto piú m'avicino al giorno estremo che l'umana miseria suol far breve, piú veggio il tempo andar veloce e leve e 'l mio di lui sperar fallace e scemo. |
Ora guarda | Or vedi |
il fumo cessò | e ’l fummo resta |
E pur essendo causa dei miei pianti e della mia debolezza, il mio destino mi porta a continuare a vederla: e so che la mia natura renderà inevitabile che io resti bruciato. | Però con gli occhi lagrimosi e 'nfermi mio destino a vederla mi conduce, e so ben ch' i' vo dietro a quel che m'arde. |
quello del Sole, che, deviando, fu bruciato per le preghiere della Terra devota, quando Giove fu giusto in modo misterioso | quel del Sol che, sviando, fu combusto per l’orazion de la Terra devota, quando fu Giove arcanamente giusto |
e siamo così pieni d'amore che, per compiacerti, non ci sarà meno dolce restare fermi per un po' | e sem sì pien d’amor, che, per piacerti, non fia men dolce un poco di quiete |
e la mia donna, piena di gioia, mi disse: | e la mia donna, piena di letizia, mi disse: |
Chi ha maggior quantità di queste milizie, quello è circondato da più nemici. | Qual piú gente possede, colui è piú da suoi nemici avolto. |
Poi aggiunse: | Poi disse: |
così che io venni meno a causa del turbamento, proprio come se morissi | sì che di pietade io venni men così com’io morisse |
E la povera gente sgomenta ti mostra i propri dolori a migliaia, così da impietosire i nemici di roma e perfino annibale. | E la povera gente sbigottita ti scopre le sue piaghe a mille a mille, ch' anibale, non ch'altri, farian pio. |
ma dove si può andare in tutta Europa senza che esse siano note | ma dove si dimora per tutta Europa ch’ei non sien palesi |
Nel tuo grembo si riaccese l'amore tra Dio e l'uomo, grazie al cui ardore nella pace eterna è germogliato questo fiore | Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore |
Poi, quando fu vicino il tempo in cui il Cielo volle far diventare tutto il mondo sereno a sua immagine, Cesare assunse il segno dell'aquila per volere di Roma | Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle redur lo mondo a suo modo sereno, Cesare per voler di Roma il tolle |
né che le chiavi che mi furono concesse diventassero simbolo su vessilli usati per combattere gente battezzata | né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse |
Ma ciò che il segno di cui parlo aveva fatto in precedenza e avrebbe fatto dopo per il regno mortale che gli è sottomesso, diventa poca cosa in apparenza se lo si paragona a ciò che fece col terzo imperatore, se si guarda con chiarezza e sincerità | Ma ciò che ‘l segno che parlar mi face fatto avea prima e poi era fatturo per lo regno mortal ch’a lui soggiace, diventa in apparenza poco e scuro, se in mano al terzo Cesare si mira con occhio chiaro e con affetto puro |
e quello attorcigliò la coda otto volte attorno alla schiena dura | e quelli attorse otto volte la coda al dosso duro |
Noi ci voltammo subito e Virgilio rispose con un conveniente cenno di saluto | Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio rendéli ‘l cenno ch’a ciò si conface |
Quale fortuna o destino ti porta quaggiù prima della tua morte | Qual fortuna o destino anzi l’ultimo dì qua giù ti mena |
E non appena fu sentita la mia risposta, lui e Sordello si trassero indietro come gente improvvisamente smarrita | E come fu la mia risposta udita, Sordello ed elli in dietro si raccolse come gente di sùbito smarrita |
Nel vostro meraviglioso aspetto risplende qualcosa di divino che vi rende diversi da come eravate in vita:per questo non fui rapido nel ricordare | Ne’ mirabili aspetti vostri risplende non so che divino che vi trasmuta da’ primi concetti: però non fui a rimembrar festino |
Erano le prime ore del mattino, e il sole stava sorgendo insieme a quella costellazione che era con lui il giorno della Creazione, quando l'amore divino mosse per la prima volta quelle belle cose | Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle |
Io e i miei antenati nascemmo nel luogo dove oggi chi corre il palio annuale incontra per primo l'ultimo sestiere | Li antichi miei e io nacqui nel loco dove si truova pria l’ultimo sesto da quei che corre il vostro annual gioco |
Se io sorridessi, tu diventeresti tale quale divenne Semele quando fu incenerita | S’io ridessi, tu ti faresti quale fu Semelè quando di cener fessi |
Quegli altri esseri angelici che gli girano intorno e che fin dalla loro creazione chiusero la prima gerarchia, si chiamano Troni dell'aspetto divino | Quelli altri amori che ‘ntorno li vonno, si chiaman Troni del divino aspetto, per che ‘l primo ternaro terminonno |
e cosa sia quel lago lo vedrai, quindi non ne parliamo qui | e qual sia quello stagno tu lo vedrai, però qui non si conta |
Allo scoccare dell'arco giunse velocemente il dardo che la mia anima si risvegliò tremando, vedendo il cuore morto nel mio lato sinistro. | Si giunse ritto 'l colpo al primo tratto, che l'anima tremando si riscosse veggendo morto 'l cor nel lato manco. |
Oh gente, che dovresti essere devota e lasciare che Cesare sieda sulla sella, se capisci bene la parola di Dio, guarda come è diventata ribelle questa bestia per non essere tenuta a bada dagli sproni, dal momento che la conduci a mano per le briglie | Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar seder Cesare in la sella, se bene intendi ciò che Dio ti nota, guarda come esta fiera è fatta fella per non esser corretta da li sproni, poi che ponesti mano a la predella |
Fiori, ramoscelli, erbe, insenature, onde, dolci venti, valli chiuse, alte colline e luoghi sereni, rifugio delle mie fatiche d'amore, delle mie alterne e dolorose vicende. | Fior' frondi erbe ombre antri onde aure soavi, valli chiuse, alti colli e piagge apriche, porto de l' amorose mie fatiche, de le fortune mie tante e sí gravi. |
Ma chi è quel Gherardo che tu dici che è rimasto come esempio dell'antico popolo, come rimprovero del secolo decaduto | Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio di’ ch’è rimaso de la gente spenta, in rimprovèro del secol selvaggio |
E il vecchio e il nuovo mastino da Verrucchio, che fecero strage di Montagna dei Parcitati, usano i denti come succhiello là dove sono soliti farlo | E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio, che fecer di Montagna il mal governo, là dove soglion fan d’i denti succhio |
E dopo che i due rabbiosi sui quali avevo tenuto gli occhi se ne furono andati, rivolsi lo sguardo sugli altri peccatori | E poi che i due rabbiosi fuor passati sovra cu’ io avea l’occhio tenuto, rivolsilo a guardar li altri mal nati |
e quell'essere si allontanò a passi lenti | e tal sen gio con lento passo |
del secondo taci, mentre del primo dici che è prodotto da questa pioggia di lacrime | ché de l’un taci, e l’altro di’ che si fa d’esta piova |
ma con gioia perdono a me stessa la causa di questa mia sorte e non me ne rammarico | ma lietamente a me medesma indulgo la cagion di mia sorte, e non mi noia |
e io vidi un centauro pieno d'ira, che lo chiamava: | e io vidi un centauro pien di rabbia venir chiamando: |
Infatti la paura di nuovi tormenti mi prese allora così crudelmente e acutamente, che l'anima gridò | E una paura di novi tormenti m'aparve allor, sì crudel' e aguta, che l'anima chiamò |
Volano nell'aria uccelli di forme diverse e hanno diversi comportamenti, né tutti volano e osano allo stesso modo. | Volan ausel' per air di straine guise ed han diversi loro operamenti, né tutti d'un volar né d'un ardire. |
Sebbene io non sia degno di abitare là dove solo voi ne siete degna. | Avegna ch' i' non fora d'abitar degno ove voi sola siete. |
E io: | E io: |
E perché tu non mi parli ancora, sappi che io fui Camicione de' Pazzi | E perché non mi metti in più sermoni, sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi |
per questo fui arso vivo | per ch’io il corpo sù arso lasciai |
E lui rispose: | Ed elli a lui: |
Diana non piacque di più al suo amante, quando per un caso simile al mio la vide tutta nuda in mezzo alle acque gelide, di quanto sia piaciuta a me la pastorella selvaggia e spietata, intenta a bagnare un bel velo, con il quale ella era solita coprire i biondi e bei capelli, proteggendoli dal vento leggero. | Non al suo amante piú diana piacque quando per tal ventura tutta ignuda la vide in mezzo de le gelide acque, ch' a me la pastorella alpestra e cruda posta a bagnar un leggiadretto velo, ch' a l'aura il vago e biondo capel chiuda. |
tu invece chi sei, che sei reso irriconoscibile | ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto |
Come il pellegrino che giunge forse dalla Croazia per vedere a Roma il velo della Veronica, e che non riesce a soddisfare la sua antica brama ma dice fra sé | Qual è colui che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l’antica fame non sen sazia, ma dice nel pensier, fin che si mostra |
E il dannato, che sentì, non si nascose ma anzi alzò il viso verso di me e si dipinse tristemente di vergogna | E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse, ma drizzò verso me l’animo e ’l volto, e di trista vergogna si dipinse |
Non ti chiesi cosa avessi come fa quello che guarda con l'occhio corporeo che non vede, quando il corpo giace esanime | Non dimandai che hai per quel che face chi guarda pur con l’occhio che non vede, quando disanimato il corpo giace |
e ciò iniziò dal giorno in cui Pallante morì per assicurargli un regno | e cominciò da l’ora che Pallante morì per darli regno |
e quando ci raggiunsero, iniziarono a camminare tutti e tre in cerchio | e quando a noi fuor giunti, fenno una rota di sé tutti e trei |
Dunque si mostrarono in tutto trentacinque lettere, tra vocali e consonanti | Mostrarsi dunque in cinque volte sette vocali e consonanti |
Come i miei occhi, protetti dall'ombra, hanno già visto un prato fiorito illuminato dai raggi del sole che filtravano attraverso le nubi | Come a raggio di sol che puro mei per fratta nube, già prato di fiori vider, coverti d’ombra, li occhi miei |
La fortuna è colei che è tanto criticata anche da coloro che dovrebbero elogiarla, e che invece la biasimano e insultano a torto | Quest’è colei ch’è tanto posta in croce pur da color che le dovrien dar lode, dandole biasmo a torto e mala voce |
quindi si rivolsero alla luce eterna di Dio, nella quale non bisogna credere che alcuna altra creatura, umana o angelica, possa penetrare lo sguardo altrettanto chiaramente | indi a l’etterno lume s’addrizzaro, nel qual non si dee creder che s’invii per creatura l’occhio tanto chiaro |
lei mi disse: | E quella a me: |
Ci condusse dove la roccia era tagliata | Menocci ove la roccia era tagliata |
Sono mescolate a quell'insieme spregevole degli angeli che non si ribellarono a Dio, né gli rimasero fedeli, ma furono neutrali | Mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro |
Maestro, chi è quel dannato che soffre e scalcia più degli altri suoi compagni di pena, e che è consumato da una fiamma più rossa | Chi è colui, maestro, che si cruccia guizzando più che li altri suoi consorti e cui più roggia fiamma succia |
e il mio amore si rivolse a Lui a tal punto che si dimenticò totalmente di Beatrice | e sì tutto ‘l mio amore in lui si mise, che Beatrice eclissò ne l’oblio |
Vergine unica al mondo, senza confronti, che con le tue bellezze hai fatto innamorare dio, della quale né la prima né la seconda fu simile a te. | Vergine sola al mondo, senza essempio, che 'l ciel di tue bellezze innamorasti, cui né prima fu simil, né seconda. |
Le ho ricevute da san Pietro | Da Pier le tegno |
qui mi colpì la fronte con le ali | quivi mi batté l’ali per la fronte |
Così me ne andai tutto solo sull'estremo orlo di quel VII Cerchio, dove sedevano i mesti dannati | Così ancor su per la strema testa di quel settimo cerchio tutto solo andai, dove sedea la gente mesta |
Tutti i coperchi erano aperti e puntellati, e ne uscivano lamenti così miseri che parevano proprio di anime dannate | Tutti li lor coperchi eran sospesi, e fuor n’uscivan sì duri lamenti, che ben parean di miseri e d’offesi |
Voglio perciò porre fine alla composizione delle mie poesie d'amore: non ho più ispirazione, il mio canto poetico è trasformato in pianto. | Or sia qui fine al mio amoroso canto: secca è la vena de l' usato ingegno e la cetera mia rivolta in pianto. |
E lei mi rispose con dolcezza che andava da sola per il bosco, e disse | ed ella mi rispose dolzemente che sola sola per lo bosco già e disse |
e che sembra muovere verso di noi | e pare inver’ noi esser mosso |
Da questo deriva il fatto che la luminosità degli astri è differente, non dalla diversa densità | Da essa vien ciò che da luce a luce par differente, non da denso e raro |
lasciali pure digrignare i denti come vogliono, poiché fanno così per i dannati immersi nella pece | lasciali digrignar pur a lor senno, ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti |
Maestro, se non ci nascondiamo entrambi in fretta, ho paura dei Malebranche | Maestro, se non celi te e me tostamente, i’ ho pavento d’i Malebranche |
ai piedi del Casentino scorre un torrente chiamato Archiano, che nasce in Appennino presso l'Eremo di Camaldoli | a piè del Casentino traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano, che sovra l’Ermo nasce in Apennino |
e sarai poi con me per sempre cittadino di quella Roma di cui Cristo è degno abitante | e sarai meco sanza fine cive di quella Roma onde Cristo è romano |
Ed ecco nascere tutto intorno, di uguale lucentezza, un chiarore in aggiunta a quello che già c'era, simile ad un orizzonte che si rischiara | Ed ecco intorno, di chiarezza pari, nascere un lustro sopra quel che v’era, per guisa d’orizzonte che rischiari |
Quindi tornò nella tomba | Indi s’ascose |
ora sono giunto in un luogo dove molta sofferenza mi colpisce | or son venuto là dove molto pianto mi percuote |
e questo lo sa bene il tuo maestro | e ciò sa ’l tuo dottore |
E quanta più gente lassù si ama, tanto più bene vi è da amare e tanto più si ama, e l'amore si riflette dall'uno all'altro come la luce da uno specchio | E quanta gente più là sù s’intende, più v’è da bene amare, e più vi s’ama, e come specchio l’uno a l’altro rende |
Sarebbe lungo spiegarti come l'ho condotto fin qui | Com’io l’ho tratto, saria lungo a dirti |
Questo superbo volle sperimentare la sua forza contro il sommo Giove, per cui ha un tale merito | Questo superbo volle esser esperto di sua potenza contra ’l sommo Giove, ond’elli ha cotal merto |
e a tale fede non solo prove fisiche e metafisiche, ma anche la verità che si diffonde da qui attraverso i libri dell'Antico Testamento, i Vangeli e i libri del Nuovo Testamento, che voi Apostoli scriveste dopo essere stati ispirati dallo Spirito Santo | e a tal creder non ho io pur prove fisice e metafisice, ma dalmi anche la verità che quinci piove per Moisè, per profeti e per salmi, per l’Evangelio e per voi che scriveste poi che l’ardente Spirto vi fé almi |
per cui ebbi paura e mi strinsi un poco al mio maestro | però m’accostai, temendo, un poco più al duca mio |
Quindi da lassù comincio a misurare con gli occhi le cause del mio dolore, e intanto mi sfogo piangendo liberando dal cuore i pensieri dolorosi che mi offuscano la mente, ed è allora che osservo e penso quanto spazio mi separa dal bel viso di laura che mi è sempre così vicino nella mente e nel cuore e così lontano nella realtà. | Indi i miei danni a misurar con gli occhi comincio, e 'ntanto lagrimando sfogo di dolorosa nebbia il cor condenso, allor ch' i' miro e penso quanta aria dal bel viso mi diparte, che sempre m' è sí presso e sí lontano. |
Io udivo già alla mia destra la cascata che faceva un orribile scroscio sotto di noi, per cui sporsi la testa in basso e guardai | Io sentia già da la man destra il gorgo far sotto noi un orribile scroscio, per che con li occhi ’n giù la testa sporgo |
Ma vedo i miei capelli diventare bianchi e sento dentro di me attenuarsi i desideri sensuali. | Ma variarsi il pelo veggio e dentro cangiarsi ogni desire. |
Non vedi laggiù Farinata che si è sollevato | Vedi là Farinata che s’è dritto |
Non senti l'angoscia del suo pianto | non odi tu la pieta del suo pianto |
Ritorni da solo lungo la strada che ha percorso follemente, se ne è capace: | Sol si ritorni per la folle strada: pruovi, se sa |
Silenziosi e soli, senza altri insieme a noi, andavamo uno dietro l'altro, come i frati minori che vanno per strada | Taciti, soli, sanza compagnia n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo, come frati minor vanno per via |