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306 | Caesar Antonii exercitu coniuncto deducta Orico legione, quam tuendae orae maritimae causa posuerat, temptandas sibi provincias longiusque procedendum existimabat et, cum ad eum ex Thessalia Aetoliaque legati venissent, qui praesidio misso pollicerentur earum gentium civitates imperata facturas, L. Cassium Longinum cum legione tironum, quae appellabatur XXVII, atque equitibus CC in Thessaliam, C. Calvisium Sabinum cum cohortibus V paucisque equitibus in Aetoliam misit; maxime eos, quod erant propinquae regiones, de re frumentaria ut providerent, hortatus est.Cn. Domitium Calvinum cum legionibus duabus, XI et XII, et equitibus D in Macedoniam proficisci iussit; cuius provinciae ab ea parte, quae libera appellabatur, Menedemus, princeps earum regionum, missus legatus omnium suorum excellens studium profitebatur. | Cesare, unitosi all'esercito di Antonio, dopo avere ritirato da Orico la legione che qui aveva posto per difendere la costa, giudicava di dovere mettere alla prova le province e avanzare oltre; ed essendo a lui giunti dalla Tessaglia e dall'Etolia ambasciatori a promettere che, se fosse stato mandato un presidio, le cittadinanze di quei popoli avrebbero eseguito gli ordini, mandò in Tessaglia L. Cassio Longino con la legione di reclute chiamata la ventisettesima e con duecento cavalieri e in Etolia C. Calvisio Sabino con cinque coorti e pochi cavalieri; li esortò, in modo particolare, a provvedere all'approvvigionamento, poiché quelle regioni erano vicine. Ordinò a Cn. Domizio Calvino di partire per la Macedonia con due legioni, la undicesima e la dodicesima, e con cinquecento cavalieri; Menedemo, mandato come ambasciatore dalla zona di quella provincia, che era chiamata libera, e che di quelle regioni era il capo, assicurava uno straordinario favore di tutti i suoi verso Cesare. |
171 | Lesbia mi dicit semper male nec tacet umquamde me: Lesbia me dispeream nisi amat.Quo signo? quia sunt totidem mea: deprecor illamassidue, verum dispeream nisi amo. | Lesbia mi parla sempre male e non smette mai di parlaredi me: che io possa andare in malora se Lesbia non mi ama.Da quale indizio (lo deduco)? Poiché identica è la mia situazione: impreco contro di leicon assiduità, ma che io possa andare in malora se non la amo. |
266 | Disertissime Romuli nepotum, quot sunt quotque fuere, Marce Tulli, quotque post aliis erunt in annis, gratias tibi maximas Catullus agit pessimus omnium poeta, tanto pessimus omnium poeta, quanto tu optimus omnium patronus. | O tu, Marco Tullio, che sei il più eloquente tra i discendenti di Romolo, tra quelli che sono, tra quelli che ci sono stati e tra quelli che poi ci saranno in altri periodi, Catullo ti ringrazia moltissimo, il peggiore poeta tra tutti, tanto quanto tu il migliore avvocato tra/di tutti. |
1,000 | Eodem fere tempore Caesar, etsi prope exacta iam aestas erat, tamen, quod omni Gallia pacata Morini Menapiique supererant, qui in armis essent neque ad eum umquam legatos de pace misissent, arbitratus id bellum celeriter confici posse eo exercitum duxit; qui longe alia ratione ac reliqui Galli bellum gerere coeperunt. Nam quod intellegebant maximas nationes, quae proelio contendissent, pulsas superatasque esse, continentesque silvas ac paludes habebant, eo se suaque omnia contulerunt.Ad quarum initium silvarum cum Caesar pervenisset castraque munire instituisset neque hostis interim visus esset, dispersis in opere nostris subito ex omnibus partibus silvae evolaverunt et in nostros impetum fecerunt. Nostri celeriter arma ceperunt eosque in silvas repulerunt et compluribus interfectis longius impeditioribus locis secuti paucos ex suis deperdiderunt. | Quasi contemporaneamente Cesare, sebbene l'estate stesse ormai per finire, condusse l'esercito nei territori dei Morini e dei Menapi: era convinto di poter concludere rapidamente le operazioni contro di essi, gli unici due popoli che, in tutta la Gallia ormai pacificata, ancora erano in armi e non gli avevano mai mandato ambascerie per chiedere pace. I nemici adottarono una tattica ben diversa rispetto agli altri Galli. Avevano visto che, in campo aperto, nazioni molto potenti erano state respinte e battute dai Romani; perciò, visto che nei loro territori si trovavano selve e paludi a non finire, vi si radunarono con tutti i loro averi. Cesare giunse sul limitare di quei boschi e cominciò a fortificare il campo senza che si scorgesse l'ombra del nemico. Di colpo, mentre i nostri, sparpagliati, erano intenti ai lavori, i nemici sbucarono da ogni anfratto della foresta e li assalirono. I Romani presero rapidamente le armi e li respinsero nelle boscaglie, uccidendone molti. Ma, protratto eccessivamente l'inseguimento, finirono in luoghi più intricati e subirono perdite di lieve entità. |
885 | Eo de media nocte Caesar isdem ducibus usus qui nuntii ab Iccio venerant, Numidas et Cretas sagittarios et funditores Baleares subsidio oppidanis mittit; quorum adventu et Remis cum spe defensionis studium propugnandi accessit et hostibus eadem de causa spes potiundi oppidi discessit. Itaque paulisper apud oppidum morati agrosque Remorum depopulati, omnibus vicis aedificiisque quo adire potuerant incensis, ad castra Caesaris omnibus copiis contenderunt et a milibus passuum minus duobus castra posuerunt; quae castra, ut fumo atque ignibus significabatur, amplius milibus passuum VIII latitudinem patebant. | Cesare, nel cuore della notte, di rinforzo agli abitanti manda truppe della Numidia, arcieri cretesi e frombolieri delle Baleari, sotto la guida dei messi inviati da Iccio. L'arrivo dei Romani riaccese le speranze dei difensori e la loro voglia di combattere, mentre per lo stesso motivo gli assedianti disperarono di poter prendere Bibrax. Perciò, rimasero per un certo periodo nei pressi della città, devastando i campi dei Remi e incendiando tutti i villaggi e gli edifici che avevano potuto raggiungere, poi, al gran completo, puntarono sul campo di Cesare e posero le tende a meno di due miglia di distanza. Il loro accampamento, a giudicare dal fumo e dai fuochi accesi, si estendeva per più di otto miglia. |
113 | Quae se laudari gaudent verbis subdolis,serae dant poenas turpi paenitentia.Cum de fenestra corvus raptum caseumcomesse vellet, celsa residens arbore,vulpes invidit, deinde sic coepit loqui:‘O qui tuarum, corve, pinnarum est nitor!Quantum decoris corpore et vultu geris!Si vocem haberes, nulla prior ales foret’.At ille, dum etiam vocem vult ostendere,lato ore emisit caseum; quem celeriterdolosa vulpes avidis rapuit dentibus.Tum demum ingemuit corvi deceptus stupor. | Chi gode nel sentirsi lodare con parole subdolegeneralmente paga l’errore con vergognoso pentimento.Un corvo aveva rubato un pezzo di formaggio su una finestrae voleva gustarselo appollaiato su un alto albero.Una volpeche lo vide così dolcemente gli parlò: «O corvo, quale èla lucentezza di codeste tue penne! Quale bellezza mostrinel corpo e nel volto! Se tu avessi voce, nessun pennuto sarebbesuperiore a te». Ma quello sciocco volendo ostentareil suo canto lasciò cadere dalla bocca il pezzodi formaggio, che rapidamente quella volpaccia afferròcon avidi denti. Solo allora l’ottusocorvo, ingannato, proruppe in lacrime. Questafavola prova quanto vale l’ingegno; vincesempre la saggezza sulla virtù. |
1,014 | Huius munitionis duplex erat consilium. Namque et operum magnitudinem et timorem suum sperabat fiduciam barbaris allaturum, et cum pabulatum frumentatumque longius esset proficiscendum, parvis copiis castra munitione ipsa videbat posse defendi. Interim crebro paucis utrimque procurrentibus inter bina castra palude interiecta contendebatur; quam tamen paludem nonnumquam aut nostra auxilia Gallorum Germanorumque transibant acriusque hostes insequebantur, aut vicissim hostes eadem transgressi nostros longius summovebant.Accidebat autem cotidianis pabulationibus (id quod accidere erat necesse, cum raris disiectisque ex aedificius pabulum conquireretur), ut impeditis locis dispersi pabulatores circumvenirentur; quae res, etsi mediocre detrimentum iumentorum ac servorum nostris adferebat, tamen stultas cogitationes incitabat barbarorum, atque eo magis, quod Commius, quem profectum ad auxilia Germanorum arcessenda docui, cum equitibus venerat; qui, tametsi numero non amplius erant quingenti, tamen Germanorum adventu barbari nitebantur. | Lo scopo di tale fortificazione era duplice. Sperava, appunto, che la mole dei lavori e la sua simulata paura infondessero fiducia ai barbari; inoltre, vedeva che, grazie appunto alle opere di fortificazione, era possibile difendere il campo anche con pochi uomini, quando occorreva allontanarsi troppo in cerca di foraggio e di grano. Frattanto, piccoli gruppi dei due eserciti davano luogo a frequenti scaramucce tra gli accampamenti, che pure erano separati da una palude. Talvolta, comunque, o le nostre truppe ausiliarie, Galli e Germani, attraversavano la palude e incalzavano con maggior vigore i nemici, o erano i barbari, a loro volta, a superarla e a ricacciare i nostri, costringendoli al ripiegamento. Poi, durante le quotidiane spedizioni in cerca di foraggio, accadeva l'inevitabile, dato che la ricerca avveniva per casolari sparsi e isolati: i nostri soldati, disuniti, venivano circondati in zone difficilmente praticabili. Il che ci procurava solo la perdita di pochi animali e servi, ma alimentava gli stolti pensieri dei barbari, tanto più che Commio, partito per chiedere aiuti ai Germani, come ho già detto, era rientrato con un contingente di cavalieri. Non erano più di cinquecento, tuttavia l'arrivo dei Germani esaltò i barbari. |
732 | At Caesar biduum in his locis moratus, quod haec de Vercingetorige usu ventura opinione praeceperat, per causam supplementi equitatusque cogendi ab exercitu discedit; Brutum adulescentem his copiis praeficit; hunc monet, ut in omnes partes equites quam latissime pervagentur: daturum se operam, ne longius triduo ab castris absit. His constitutis rebus suis inopinantibus quam maximis potest itineribus Viennam pervenit. Ibi nactus recentem equitatum, quem multis ante diebus eo praemiserat, neque diurno neque nocturno itinere intermisso per fines Aeduorum in Lingones contendit, ubi duae legiones hiemabant, ut, si quid etiam de sua salute ab Aeduis iniretur consili, celeritate praecurreret.Eo cum pervenisset, ad reliquas legiones mittit priusque omnes in unum locum cogit quam de eius adventu Arvernis nuntiari posset. Hac re cognita Vercingetorix rursus in Bituriges exercitum reducit atque inde profectus Gorgobinam, Boiorum oppidum, quos ibi Helvetico proelio victos Caesar collocaverat Aeduisque attribuerat, oppugnare instituit. | Ma Cesare si trattiene nella regione degli Arverni due giorni: prevista la mossa di Vercingetorige, si allontana col pretesto di raccogliere rinforzi e cavalleria. Affida il comando al giovane Bruto e lo incarica di compiere in ogni direzione scorrerie con la cavalleria, il più lontano possibile: dal canto suo, avrebbe fatto di tutto per rimaner lontano dal campo non più di tre giorni. Impartite tali disposizioni, contro le attese dei suoi si reca a Vienna, forzando al massimo le tappe. Sfrutta la cavalleria fresca lì inviata molti giorni prima e, senza mai interrompere la marcia né di giorno, né di notte, attraversa il territorio degli Edui verso i Lingoni, dove svernavano due legioni: così, se gli Edui gli avessero teso qualche insidia, li avrebbe prevenuti con la rapidità del suo passaggio. Appena giunto, invia messi alle altre legioni e le raccoglie tutte in un solo luogo, prima che gli Arverni potessero sapere del suo arrivo. Quando ne è informato, Vercingetorige riconduce l'esercito nei territori dei Biturigi e, da qui, raggiunge e comincia a stringere d'assedio Gorgobina, una città dei Boi, popolo che Cesare aveva qui stanziato sotto la tutela degli Edui dopo averlo sconfitto nella guerra contro gli Elvezi. |
893 | Eodem die equitum magnam partem flumen traiecit. Qui inopinantes pabulatores et sine ullo dissipatos timore aggressi magnum numerum iumentorum atque hominum intercipiunt cohortibusque cetratis subsidio missis scienter in duas partes sese distribuunt, alii ut praedae praesidio sint, alii ut venientibus resistant atque eos propellant, unamque cohortem, quae temere ante ceteras extra aciem procurrerat, seclusam ab reliquis circumveniunt atque interficiunt incolumesque cum magna praeda eodem ponte in castra revertuntur. | Nello stesso giorno fece passare il fiume a una gran parte dei cavalieri. Costoro, assaliti i foraggiatori avversari che non se l'aspettavano e quelli che stavano qua e là sparsi senza alcun timore, prendono un grandissimo numero di giumenti e di uomini e, quando vengono mandate in aiuto le coorti cetrate di Afranio, abilmente si dividono in due gruppi, gli uni per presidiare la preda, gli altri per fare resistenza a quelli che sopraggiungevano e per respingerli. E una coorte che temerariamente davanti a tutte era avanzata oltre la linea di combattimento, isolata dalle rimanenti, viene circondata e distrutta. I soldati di Cesare, incolumi, ritornano con una grande preda nell'accampamento attraverso il medesimo ponte. |
530 | In omni Gallia eorum hominum, qui aliquo sunt numero atque honore, genera sunt duo. Nam plebes paene servorum habetur loco, quae nihil audet per se, nullo adhibetur consilio. Plerique, cum aut aere alieno aut magnitudine tributorum aut iniuria potentiorum premuntur, sese in servitutem dicant nobilibus: in hos eadem omnia sunt iura, quae dominis in servos. Sed de his duobus generibus alterum est druidum, alterum equitum. Illi rebus divinis intersunt, sacrificia publica ac privata procurant, religiones interpretantur: ad hos magnus adulescentium numerus disciplinae causa concurrit, magnoque hi sunt apud eos honore.Nam fere de omnibus controversiis publicis privatisque constituunt, et, si quod est admissum facinus, si caedes facta, si de hereditate, de finibus controversia est, idem decernunt, praemia poenasque constituunt; si qui aut privatus aut populus eorum decreto non stetit, sacrificiis interdicunt. Haec poena apud eos est gravissima. Quibus ita est interdictum, hi numero impiorum ac sceleratorum habentur, his omnes decedunt, aditum sermonemque defugiunt, ne quid ex contagione incommodi accipiant, neque his petentibus ius redditur neque honos ullus communicatur. His autem omnibus druidibus praeest unus, qui summam inter eos habet auctoritatem. Hoc mortuo aut si qui ex reliquis excellit dignitate succedit, aut, si sunt plures pares, suffragio druidum, nonnumquam etiam armis de principatu contendunt. Hi certo anni tempore in finibus Carnutum, quae regio totius Galliae media habetur, considunt in loco consecrato. Huc omnes undique, qui controversias habent, conveniunt eorumque decretis iudiciisque parent. Disciplina in Britannia reperta atque inde in Galliam translata esse existimatur, et nunc, qui diligentius eam rem cognoscere volunt, plerumque illo discendi causa proficiscuntur. | In tutta la Gallia ci sono due classi (= genera) di uomini che godono di (lett.= che sono per) un certo potere e dignità . Infatti si ritiene che la plebe (lett. i plebei quasi a luogo di servi), che nulla decide per sé e non si adopera per nessuna decisione. E la maggior parte si dedica alla servitù, quando sono oppressi dai debiti (= aere alieno), dall’eccessività dei tributi o dai soprusi dei potenti. Tutti i diritti che spettano ai (lett. = sono ai)i nobili su di loro sono gli stessi che (sott. spettano) ai padroni sui servi. Ma di queste categorie una è quella dei druidi e l’altra è quella dei cavalieri. I primi (= quelli) partecipano ai riti religiosi, si occupano dei sacrifici pubblici e privati e eseguono le pratiche del culto. Pressi si loro accorre un gran numero di giovani per la disciplina e questi i druidi) sono presso di loro (i giovani) sono (sott. fonte) di grande onore. Infatti essi decidono in merito a quasi tutte le controversie pubbliche e private, sia che sia stato commesso un reato, o un delitto, sia in caso di una controversia riguardo l’eredità o riguardo un terreno, decidono ugualmente, assegnano premi e punizioni. Se un privato o tutto il popolo non obbedisce (lett.=sta) ad un loro decreto, gli interdicono i sacrifici. Per loro questa punizione è gravissima. Così a chi ha ricevuto l’interdizione, (lett. a coloro che è l’ interdizione), sono reputati empi e scellerati, tutti si allontanano da loro, evitano di avvicinarsi e parlargli (lett. = l’avvicinamento e la conversazione) al fine di non ricevere un danno dal contatto, affinché non sia resa giustizia a loro che la chiedono e affinché non sia attribuita loro (lett. = non prenda parte a) nessuna carica. Di tutti i druidi ce n’è uno che ha la massima autorità su tutti. Morto costui, se qualcuno ha meriti eccezionali per la (lett. = eccelle in) dignità, gli succede, oppure, se ce ne sono molti in pari, il druido è eletto tramite votazione; qualche volta si contendono il potere anche con le armi. Questi per un certo numero di anni si stabiliscono in un luogo sacro nel territorio dei Carnuti, che si ritiene sia una regione al centro dell’intera Gallia. Qui convergono da ogni parte tutti coloro che hanno delle controversie e obbediscono ai loro decreti e sentenze. Si crede che quella dottrina sia stata scoperta in Britannia e da lì sia passata in Gallia, e adesso chi vuole conoscerla in modo più approfondito, deve dirigersi spesso verso quel luogo per impararla. |
343 | His rebus cognitis, exploratores centurionesque praemittit qui locum castris idoneum deligant. Cum ex dediticiis Belgis reliquisque Gallis complures Caesarem secuti una iter facerent, quidam ex his, ut postea ex captivis cognitum est, eorum dierum consuetudine itineris nostri exercitus perspecta, nocte ad Nervios pervenerunt atque his demonstrarunt inter singulas legiones impedimentorum magnum numerum intercedere, neque esse quicquam negotii, cum prima legio in castra venisset reliquaeque legiones magnum spatium abessent, hanc sub sarcinis adoriri; qua pulsa impedimentisque direptis, futurum ut reliquae contra consistere non auderent.Adiuvabat etiam eorum consilium qui rem deferebant quod Nervii antiquitus, cum equitatu nihil possent (neque enim ad hoc tempus ei rei student, sed quicquid possunt, pedestribus valent copiis), quo facilius finitimorum equitatum, si praedandi causa ad eos venissent, impedirent, teneris arboribus incisis atque inflexis crebrisque in latitudinem ramis enatis [et] rubis sentibusque interiectis effecerant ut instar muri hae saepes munimentum praeberent, quo non modo non intrari sed ne perspici quidem posset. His rebus cum iter agminis nostri impediretur, non omittendum sibi consilium Nervii existimaverunt. | Avute tali informazioni, mandò in avanscoperta alcuni esploratori e centurioni con l'incarico di scegliere una zona adatta per accamparsi. Al seguito di Cesare c'erano parecchi Belgi che avevano giurato sottomissione e altri Galli. Alcuni di essi, come si seppe in seguito dai prigionieri, dopo aver osservato l'ordine di marcia fin lì tenuto dal nostro esercito, di notte raggiunsero i Nervi e riferirono che tra le singole legioni procedeva un gran numero di salmerie, per cui non era affatto difficile assalire la prima legione non appena fosse giunta al campo, mentre le altre erano lontane e i soldati ancora impacciati dagli zaini. Una volta messa in fuga la prima legione e saccheggiate le salmerie, le rimanenti legioni non avrebbero osato opporre resistenza. Un altro elemento giocava a favore del piano degli informatori: fin dai tempi più antichi i Nervi non avevano contingenti di cavalleria (neppure ai giorni nostri si preoccupano di averne, ma tutta la loro forza risiede nella fanteria); così, per ostacolare, in caso di razzia, i cavalieri dei popoli limitrofi, incidevano gli alberi ancora giovani e li piegavano, costringendo i rami a crescere, fitti, in senso orizzontale; tra gli alberi, poi, piantavano rovi e arbusti spinosi in modo che le siepi formassero una barriera simile a un muro, impedendo non solo il passaggio, ma anche la vista. Dato che il nostro esercito avrebbe trovato sulla sua strada tali ostacoli, i Nervi ritennero di non dover scartare il piano proposto. |
285 | Huc est mens deducta tua mea, Lesbia, culpaatque ita se officio perdidit ipsa suo,ut iam nec bene velle queat tibi, si optima fias,nec desistere amare, omnia si facias. | A questo punto, Lesbia mia, la tua colpa mi ha fatto cambiare idea (lett: ha così trascinato la mente) e ha portato me stesso alla rovina con la propria fedeltà, così da non potere né volerti bene se tu diventassi la migliore (delle donne), né smettere di amarti, qualunque cosa (tu) faccia. |
212 | Vides ut alta stet nive candidum Soracte, nec iam sustineant onus silvae laborantes, geluque flumina constiterint acuto. Dissolve frigus ligna super foco large reponens atque henignius deprome quadrimum Sabina, o Thaliarche, merum diota: permitte divis cetera. Qui simul stravere ventos aequore fervido deproeliantis, nec cupressi nec veteres agitantur orni. Quid sit futurum cras fuge quaerere et quem Fors dierum cumque dahit lucro appone, nec dulcis amores sperne puer neque tu choreas, donec virenti canities ahest morosa.Nunc et campus et areae lenesque sub noctem susurri composita repetantur hora, nunc et latentis proditor intimo gratus puellae risus ab angulo pignusque dereptum lacertis aut digito male pertinaci. | Vedi come il Soratte si erge bianco per l’alta neve, né ormai i boschi affaticati ne sostengono il peso e (vedi come) i fiumi si siano fermati per il gelo acuto. Sciogli il freddo ponendo abbondantemente legna sul fuoco e versa più benevolmente il vino vecchio di quattro anni nell’anfora sabina biorecchiuta, o Taliarco: lascia il resto agli dei, che una volta che hanno abbattuto i venti che combattono sul mare in tempesta, né i cipressi né gli olmi vecchi si agitano. Evita di chiedere cosa accadrà domani e qualunque giorno il Caso ti darà, consideralo un guadagno e non disprezzare i dolci amori, o fanciullo, né la danze, finché la vecchiaia brontolona è lontana da te che sei giovane. Ora si ricerchino il Campo Marzio, le piazze e i lievi sussurri nella notte all’ora stabilita, ora si ricerchino il gradito sorriso della fanciulla traditore da un da un angolo nascosto e il pegno strappato dalle braccia o dal dito che oppone poca resistenza. |
575 | At in castris Curionis magnus omnium incessit timor animis. Is variis hominum sermonibus celeriter augetur. Unusquisque enim opiniones fingebat et ad id, quod ab alio audierat, sui aliquid timoris addebat. Hoc ubi uno auctore ad plures permanaverat, atque alius alii tradiderat, plures auctores eius rei videbantur. Civile bellum; genus hominum, cui liceret libere facere et sequi, quod vellet; legiones eae, quae paulo ante apud adversarios fuerant, nam etiam Caesaris beneficium mutaverat consuetudo, qua offerrentur; municipia etiam diversis partibus coniuncta, namque ex Marsis Pelignisque veniebant ei qui superiore nocte: haec in contuberniis commilitesque nonnulli graviora; sermones militum dubii durius accipiebantur, nonnulli etiam ab eis, qui diligentiores videri volebant, fingebantur. | Ma nel campo di Curione un grande timore assalì tutti gli animi; in breve tempo esso viene accresciuto dai diversi discorsi dei soldati. Infatti ognuno metteva in piedi delle congetture e a ciò che aveva sentito dire da un altro aggiungeva qualcosa del proprio timore. Quando una diceria, pure essendo frutto di uno solo, si propaga a più persone, e uno la trasmette a un altro, le fonti di essa sembrano essere diverse. †Era una guerra civile, un genere di uomini che è lecito agiscano liberamente e seguano il loro volere, queste le legioni che poco prima erano state nel campo avverso ... infatti anche la consuetudine con la quale venivano concessi aveva mutato il beneficio di Cesare ... anche i municipi erano uniti a partiti diversi ... e infatti non da Marsi e Peligni venivano come coloro che nella notte precedente nelle tende e alcuni commilitoni ... discorsi dei soldati, cose troppo gravi, dubbiose più dubbiosamente venivano accolte†. Infatti alcune cose venivano inventate da coloro che volevano apparire i più informati. |
497 | Interea, dum haec geruntur, hostium copiae ex Arvernis equitesque qui toti Galliae erant imperati conveniunt. Magno horum coacto numero, cum Caesar in Sequanos per extremos Lingonum fines iter faceret, quo facilius subsidium provinciae ferri posset, circiter milia passuum decem ab Romanis trinis castris Vercingetorix consedit convocatisque ad concilium praefectis equitum venisse tempus victoriae demonstrat. Fugere in provinciam Romanos Galliaque excedere.Id sibi ad praesentem obtinendam libertatem satis esse; ad reliqui temporis pacem atque otium parum profici: maioribus enim coactis copiis reversuros neque finem bellandi facturos. Proinde agmine impeditos adorirantur. Si pedites suis auxilium ferant atque in eo morentur, iter facere non posse; si, id quod magis futurum confidat, relictis impedimentis suae saluti consulant, et usu rerum necessariarum et dignitate spoliatum iri. Nam de equitibus hostium, quin nemo eorum progredi modo extra agmen audeat, et ipsos quidem non debere dubitare, et quo maiore faciant animo, copias se omnes pro castris habiturum et terrori hostibus futurum. Conclamant equites sanctissimo iureiurando confirmari oportere, ne tecto recipiatur, ne ad liberos, ne ad parentes, ad uxorem aditum habeat, qui non bis per agmen hostium perequitasset. | Nel frattempo, mentre accadevano tali fatti, giungono le truppe degli Arverni e i cavalieri che tutta la Gallia doveva fornire. Mentre raccoglievano, così, ingenti truppe, Cesare attraversa i più lontani territori dei Lingoni alla volta dei Sequani, allo scopo di portare aiuto con maggior facilità alla provincia. Vercingetorige si stabilisce a circa dieci miglia dai Romani, in tre distinti accampamenti. Convoca i comandanti della cavalleria e spiega che l'ora della vittoria è giunta: i Romani fuggivano in provincia, lasciavano la Gallia; al momento era sufficiente a ottenere la libertà, ma per il futuro non garantiva pace e quiete; i Romani avrebbero raccolto truppe più consistenti, sarebbero ritornati, non avrebbero posto fine alla guerra. Perciò bisognava attaccarli in marcia, quando erano impacciati dai bagagli. Se i legionari soccorrevano gli altri e si attardavano, non potevano proseguire la marcia; se abbandonavano le salmerie e pensavano a salvare la vita - e sarebbe andata così, ne era certo - perdevano ogni bene di prima necessità e, insieme, l'onore. Quanto ai cavalieri nemici, nessuno avrebbe osato nemmeno uscire dallo schieramento, non c'era dubbio. E perché muovessero all'attacco con maggior ardimento, avrebbe tenuto dinnanzi al campo tutte le truppe e atterrito il nemico. I cavalieri galli acclamano: bisognava giurare solennemente che si negava un tetto e la possibilità di avvicinare figli, genitori o moglie a chi, sul proprio cavallo, non attraversava per due volte le linee nemiche. |
36 | Galli se omnes ab Dite patre prognatos praedicant idque ab druidibus proditum dicunt. Ob eam causam spatia omnis temporis non numero dierum sed noctium finiunt; dies natales et mensum et annorum initia sic observant ut noctem dies subsequatur. In reliquis vitae institutis hoc fere ab reliquis differunt, quod suos liberos, nisi cum adoleverunt, ut munus militiae sustinere possint, palam ad se adire non patiuntur filiumque puerili aetate in publico in conspectu patris adsistere turpe ducunt.Viri, quantas pecunias ab uxoribus dotis nomine acceperunt, tantas ex suis bonis aestimatione facta cum dotibus communicant. Huius omnis pecuniae coniunctim ratio habetur fructusque servantur: uter eorum vita superarit, ad eum pars utriusque cum fructibus superiorum temporum pervenit. Viri in uxores, sicuti in liberos, vitae necisque habent potestatem; et cum paterfamiliae illustriore loco natus decessit, eius propinqui conveniunt et, de morte si res in suspicionem venit, de uxoribus in servilem modum quaestionem habent et, si compertum est, igni atque omnibus tormentis excruciatas interficiunt. Funera sunt pro cultu Gallorum magnifica et sumptuosa; omniaque quae vivis cordi fuisse arbitrantur in ignem inferunt, etiam animalia, ac paulo supra hanc memoriam servi et clientes, quos ab eis dilectos esse constabat, iustis funeribus confectis una cremabantur. | I Galli sostengono di essere tutti discendenti di Plutone, e dicono che ciò sia stato tramandato dai Druidi. Per questa ragione calcolano (definiscono) le lunghezze di tutto il tempo non col numero dei giorni, ma delle notti; in tal modo osservano gli inizi sia degli anni che dei mesi e i giorni natalizi in modo che il giorno segua alla notte. Nelle altre cose della vita intraprese in questo generalmente differiscono, per il fatto che non tollerano che i propri figli siano vicini a loro in pubblico, se non quando sono cresciuti, tanto da poter affrontare il servizio militare e per il fatto che ritengono vergognoso che un figlio in età fanciullesca stia in pubblico al cospetto del padre.I mariti, quanto denaro hanno ricevuto dalle mogli, a titolo di dote, tanto mettono in comune dai propri beni, dopo averne fatta valutazione con le doti. E’ tenuta l’amministrazione di tutto questo denaro congiuntamente e sono conservati gli interessi che ne vengono; a chi dei due sia sopravvissuto, spetta la parte di entrambi (chi dei due è rimasto in vita, a lui spetta la parte di entrambi, con gli interessi dei tempi precedenti).I mariti hanno potere di vita e di morte verso le mogli come verso i figli, e quando il padre di famiglia di origine alquanto nobile muore, si radunano i suoi parenti; e se sorge qualche sospetto riguardo la morte (e se la cosa sulla morte viene in sospetto), fanno un’indagine sulle mogli con la procedura servile (con la procedura usata per gli schiavi) e se si è scoperto (qualcosa), le uccidono dopo averle tormentate con il fuoco e con ogni tortura. I funerali son splendidi e sontuosi in rapporto alla civiltà dei Galli; tutte le cose che pensano furono care ai vivi (a loro quando erano in vita) gettano nel fuoco, anche animali, e fino a poco tempo fa i sudditi e i servi, che era manifesto fossero da essi amati, completate le rituali cerimonie pubbliche (essendo state completate le regolari esequie) erano cremati insieme. |
823 | Postero die omnem exercitum intra fossam continet et, quod longius erat agger petendus, in praesentia similem rationem operis instituit singulaque latera castrorum singulis attribuit legionibus munienda fossasque ad eandem magnitudinem perfici iubet; reliquas legiones in armis expeditas contra hostem constituit. Afranius Petreiusque terrendi causa atque operis impediendi copias suas ad infimas montis radices producunt et proelio lacessunt, neque idcirco Caesar opus intermittit confisus praesidio legionum trium et munitione fossae.Illi non diu commorati nec longius ab infimo colle progressi copias in castra reducunt. Tertio die Caesar vallo castra communit; reliquas cohortes, quas in superioribus castris reliquerat, impedimentaque ad se traduci iubet | Il giorno dopo trattiene tutto l'esercito al di qua del fossato e, poiché si doveva cercare alquanto lontano materiale per la trincea, ordina per il momento lavori simili a quelli del giorno prima; assegna alle singole legioni la fortificazione dei singoli lati dell'accampamento e dà ordine che si scavino fosse della medesima larghezza. Afranio e Petreio, per seminare scompiglio e impedire i lavori, fanno avanzare le loro milizie fino alle più basse pendici del monte e provocano a battaglia; ma nemmeno per questo Cesare interrompe i lavori, confidando nell'aiuto delle tre legioni e nella difesa della fossa. Quelli, dopo essersi fermati non a lungo e senza spingersi troppo lontano dai piedi del colle, riconducono le milizie nell'accampamento. Il terzo giorno Cesare fortifica l'accampamento con una palizzata e dà ordine che siano ivi condotti i bagagli e le coorti che aveva lasciato nell'accampamento precedente. |
701 | His rebus cognitis Marcius Rufus quaestor in castris relictus a Curione cohortatur suos, ne animo deficiant. Illi orant atque obsecrant, ut in Siciliam navibus reportentur. Pollicetur magistrisque imperat navium, ut primo vespere omnes scaphas ad litus appulsas habeant. Sed tantus fuit omnium terror, ut alii adesse copias Iubae dicerent, alii cum legionibus instare Varum iamque se pulverem venientium cernere, quarum rerum nihil omnino acciderat, alii classem hostium celeriter advolaturam suspicarentur.Itaque perterritis omnibus sibi quisque consulebat. Qui in classe erant, proficisci properabant. Horum fuga navium onerariarum magistros incitabat; pauci lenunculi ad officium imperiumque conveniebant. Sed tanta erat completis litoribus contentio, qui potissimum ex magno numero conscenderent, ut multitudine atque onere nonnulli deprimerentur, reliqui hoc timore propius adire tardarentur. | Conosciuti tali fatti, il questore Marco Rufo, lasciato da Curione nel campo, esorta i suoi a non perdersi d'animo. Quelli lo pregano e lo scongiurano di riportarli in Sicilia con le navi. Lo promette e ordina ai comandanti delle navi di tenere, sul fare della sera, tutte le lance ancorate presso il lido. Ma il terrore di tutti fu così grande che gli uni dicevano che le truppe di Giuba erano vicine, gli altri che Varo era addosso con le legioni e già scorgevano la polvere di quelli che sopraggiungevano, mentre non accadeva proprio nulla di tutto ciò, altri ancora supponevano che la flotta nemica in breve tempo sarebbe giunta al volo. E così, poiché erano tutti sconvolti, ognuno pensava a se stesso. Coloro che erano sulle navi da guerra acceleravano la partenza. La loro fuga istigava i comandanti delle navi da carico; solo poche barchette si radunavano per eseguire il loro compito, come era stato ordinato. E sul lido affollato tanta era la gara a chi, in tale moltitudine, per primo riuscisse a imbarcarsi, che alcune imbarcazioni affondavano per il peso della gente, altre tardavano ad avvicinarsi, temendo la stessa fine. |
909 | Locus erat castrorum editus et paulatim ab imo acclivis circiter passus mille. Huc magno cursu contenderunt, ut quam minimum spatii ad se colligendos armandosque Romanis daretur, exanimatique pervenerunt. Sabinus suos hortatus cupientibus signum dat. Impeditis hostibus propter ea quae ferebant onera subito duabus portis eruptionem fieri iubet. Factum est oportunitate loci, hostium inscientia ac defatigatione, virtute militum et superiorum pugnarum exercitatione, ut ne unum quidem nostrorum impetum ferrent ac statim terga verterent.Quos impeditos integris viribus milites nostri consecuti magnum numerum eorum occiderunt; reliquos equites consectati paucos, qui ex fuga evaserant, reliquerunt. Sic uno tempore et de navali pugna Sabinus et de Sabini victoria Caesar est certior factus, civitatesque omnes se statim Titurio dediderunt. Nam ut ad bella suscipienda Gallorum alacer ac promptus est animus, sic mollis ac minime resistens ad calamitates ferendas mens eorum est. | L'accampamento si trovava in cima a un lieve pendio di circa mille passi. I nemici mossero all'attacco per non dare ai Romani il tempo di radunarsi e di prendere le armi, ma così giunsero senza fiato. Sabino, esortati i suoi, impazienti ormai di combattere, dà il segnale e ordina di piombare repentinamente dalle due porte sui nemici impacciati dal carico delle fascine. Risultò che, per la posizione a noi vantaggiosa, per l'inesperienza e la stanchezza degli avversari, per il valore e l'addestramento dei nostri nelle battaglie precedenti, i nemici non ressero neppure al primo assalto e volsero subito le spalle. I nostri, ancora freschi, li raggiunsero mentre erano in difficoltà e ne fecero strage; i superstiti li inseguirono, i cavalieri e se ne lasciarono sfuggire ben pochi. Così, contemporaneamente, Sabino venne informato della battaglia navale e Cesare della vittoria del suo legato. Immediatamente, tutti gli altri popoli si sottomisero a Titurio. Infatti, lo spirito dei Galli è entusiasta e pronto a dichiarare guerra, ma il loro animo è fragile e privo di fermezza nel sopportare le disgrazie. |
704 | [Caesar] certior factus ab Titurio omnem equitatum et levis armaturae Numidas, funditores sagittariosque pontem traducit atque ad eos contendit. Acriter in eo loco pugnatum est. Hostes impeditos nostri in flumine adgressi magnum eorum numerum occiderunt; per eorum corpora reliquos audacissime transire conantes multitudine telorum reppulerunt primosque, qui transierant, equitatu circumventos interfecerunt. Hostes, ubi et de expugnando oppido et de flumine transeundo spem se fefellisse intellexerunt neque nostros in locum iniquiorum progredi pugnandi causa viderunt atque ipsos res frumentaria deficere coepit, concilio convocato constituerunt optimum esse domum suam quemque reverti, et quorum in fines primum Romani exercitum introduxissent, ad eos defendendos undique convenirent, ut potius in suis quam in alienis finibus decertarent et domesticis copiis rei frumentariae uterentur.Ad eam sententiam cum reliquis causis haec quoque ratio eos deduxit, quod Diviciacum atque Haeduos finibus Bellovacorum adpropinquare cognoverant. His persuaderi ut diutius morarentur neque suis auxilium ferrent non poterat. | Cesare, informato della situazione da Titurio, portò tutta la cavalleria, i Numidi armati alla leggera, i frombolieri e gli arcieri al di là del ponte e marciò contro il nemico. Lo scontro fu violento. I nostri li assalirono mentre stavano attraversando il fiume ed erano in difficoltà. Ne uccisero la maggior parte e respinsero con un nugolo di frecce gli altri che, con estrema audacia, tentavano di passare sui corpi dei caduti, circondarono con la cavalleria e uccisero i primi giunti sull'altra sponda. I nemici si resero conto di non aver più speranze di espugnare la città, né di attraversare il fiume e videro che i nostri non avanzavano, per dare battaglia, su un terreno sfavorevole. Perciò, dato che anche le loro scorte di grano incominciavano a scarseggiare, convocarono l'assemblea e decisero che la cosa migliore era tornare tutti in patria. Sarebbero accorsi in difesa del primo popolo attaccato dai Romani: così avrebbero combattuto nei propri territori, non in quelli altrui, e si sarebbero serviti delle scorte di grano che avevano in patria. Giunsero a tale decisione, tra l'altro, perché avevano saputo che Diviziaco e gli Edui si stavano avvicinando ai territori dei Bellovaci. E non si poteva convincere questi ultimi ad attardarsi e a non soccorrere i loro. |
102 | Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos mercatores saepe commeant atque ea quae ad effeminandos animos pertinent important, proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt.Qua de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum aut suis finibus eos prohibent aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt. Eorum una, pars, quam Gallos obtinere dictum est, initium capit a flumine Rhodano, continetur Garumna flumine, Oceano, finibus Belgarum, attingit etiam ab Sequanis et Helvetiis flumen Rhenum, vergit ad septentriones. Belgae ab extremis Galliae finibus oriuntur, pertinent ad inferiorem partem fluminis Rheni, spectant in septentrionem et orientem solem. Aquitania a Garumna flumine ad Pyrenaeos montes et eam partem Oceani quae est ad Hispaniam pertinet; spectat inter occasum solis et septentriones. | Tutta la Gallia è divisa in tre parti, di cui una abitano i Belgi, un'altra gli Aquitani, una terza coloro che nella loro lingua si chiamano Celti, nella nostra Galli. Tutti questi differiscono tra loro per la lingua, istituzioni, leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, il fiume Marna e la Senna li dividono dai Belgi. Tra tutti questi i Belgi sono i più forti, per il fatto che sono estremamente distanti dalla cultura e dalla civiltà della provincia e raramente i mercanti si recano da loro e vi importano quelle merci che servono a effeminare gli animi e sono molto vicini ai Germani che abitano oltre il Reno e con i quali combattono continuamente. E per questo motivo gli Elvezi anche sono superiori agli altri Galli per forza, poiché si scontrano con i Germani con combattimenti quasi quotidiani sia quando li respingono dal proprio territorio, sia quando essi stessi portano la guerra nei loro confini. Una parte di questi che si è detto occupano i Galli, inizia dal fiume Rodano, è delimitata dal fiume Garonna, dall'oceano, dai confini dei Belgi, tocca anche dalla parte dei Sequani e dagli Elvezi il fiume Reno, si estende verso settentrione. I Belgi hanno inizio dagli estremi confini della Gallia, si estendono fino alla parte inferiore del fiume Reno, guardano a settentrione e a Oriente. L'Aquitania si estende dal fiume Garonna fino ai monti Pirenei e a quella parte dell'Oceano che è vicino alla Spagna, guarda ad occidente e a settentrione. |
1,009 | Haec cum animadvertisset, convocato consilio omniumque ordinum ad id consilium adhibitis centurionibus, vehementer eos incusavit: primum, quod aut quam in partem aut quo consilio ducerentur sibi quaerendum aut cogitandum putarent. Ariovistum se consule cupidissime populi Romani amicitiam adpetisse; cur hunc tam temere quisquam ab officio discessurum iudicaret? Sibi quidem persuaderi cognitis suis poslulatis atque aequitate condicionum perspecta eum neque suam neque populi Romani gratiam repudiaturum.Quod si furore atque amentia impulsum bellum intulisset, quid tandem vererentur? Aut cur de sua virtute aut de ipsius diligentia desperarent? Factum eius hostis periculum patrum nostrorum memoria Cimbris et Teutonis a C. Mario pulsis [cum non minorem laudem exercitus quam ipse imperator meritus videbatur]; factum etiam nuper in Italia servili tumultu, quos tamen aliquid usus ac disciplina, quam a nobis accepissent, sublevarint. Ex quo iudicari posse quantum haberet in se boni constantia, propterea quod quos aliquam diu inermes sine causa timuissent hos postea armatos ac victores superassent. Denique hos esse eosdem Germanos quibuscum saepe numero Helvetii congressi non solum in suis sed etiam in illorum finibus plerumque superarint, qui tamen pares esse nostro exercitui non potuerint. Si quos adversum proelium et fuga Gallorum commoveret, hos, si quaererent, reperire posse diuturnitate belli defatigatis Gallis Ariovistum, cum multos menses castris se ac paludibus tenuisset neque sui potestatem fecisset, desperantes iam de pugna et dispersos subito adortum magis ratione et consilio quam virtute vicisse. Cui rationi contra homines barbaros atque imperitos locus fuisset, hac ne ipsum quidem sperare nostros exercitus capi posse. Qui suum timorem in rei frumentariae simulationem angustiasque itineris conferrent, facere arroganter, cum aut de officio imperatoris desperare aut praescribere viderentur. Haec sibi esse curae; frumentum Sequanos, Leucos, Lingones subministrare, iamque esse in agris frumenta matura; de itinere ipsos brevi tempore iudicaturos. Quod non fore dicto audientes neque signa laturi dicantur, nihil se ea re commoveri: scire enim, quibuscumque exercitus dicto audiens non fuerit, aut male re gesta fortunam defuisse aut aliquo facinore comperto avaritiam esse convictam. Suam innocentiam perpetua vita, felicitatem Helvetiorum bello esse perspectam. Itaque se quod in longiorem diem conlaturus fuisset repraesentaturum et proxima nocte de quarta, vigilia castra moturum, ut quam primum intellegere posset utrum apud eos pudor atque officium an timor plus valeret. Quod si praeterea nemo sequatur, tamen se cum sola decima legione iturum, de qua non dubitet, sibique eam praetoriam cohortem futuram. Huic legioni Caesar et indulserat praecipue et propter virtutem confidebat maxime. | Cesare, messo in allarme, riunì il consiglio di guerra e convocò anche i centurioni di ogni grado. Li rimproverò aspramente, perché, soprattutto, avevano la presunzione di chiedersi e di rimuginare dove li portasse e con quali intenzioni. Sotto il suo consolato, Ariovisto aveva ricercato con molta ansia l'amicizia del popolo romano: chi poteva immaginarsi che sarebbe venuto meno ai propri doveri così avventatamente? Dal canto suo, era convinto che Ariovisto, conosciute le richieste e constatata l'equità dei patti proposti, non avrebbe respinto l'appoggio di Cesare e del popolo romano. E se, spinto da un demenziale impulso, avesse mosso guerra ai Romani, che cosa mai dovevano temere? Che motivo c'era di non aver più fiducia nel valore dei soldati o nella sua efficienza di generale? Ai tempi dei loro padri avevano già affrontato il pericolo rappresentato da quei nemici, quando i Cimbri e i Teutoni erano stati sconfitti da C. Mario e l'esercito si era meritato non meno gloria del comandante stesso; un pericolo simile lo avevano corso, e non erano passati molti anni, anche in Italia con la rivolta degli schiavi, che però si erano avvalsi della pratica e della disciplina imparate dai Romani. Tali esempi permettevano di giudicare come sia positiva in sé la fermezza d'animo: proprio il nemico, temuto a lungo e senza motivo quando era privo d'armi, lo avevano successivamente sconfitto quando era armato e già vincitore. Infine, i Germani erano lo stesso popolo con il quale gli Elvezi si erano più volte scontrati, non solo nei propri territori, ma anche nei loro, riportando la vittoria nella maggior parte dei casi. E gli Elvezi non erano riusciti a tener testa all'esercito romano. Chi era rimasto scosso perché i Galli erano stati sconfitti e messi in fuga, avrebbe scoperto, se si fosse informato, che Ariovisto aveva logorato i suoi avversari con una guerra di attesa, tenendosi per molti mesi in un accampamento tra le paludi, senza esporsi mai. Poi, quando ormai i Galli disperavano di poter combattere e si erano disuniti, li aveva assaliti, riuscendo, così, a sconfiggerli grazie ai suoi calcoli e ai suoi piani più che al suo valore. Ma se c'era spazio per questi calcoli contro dei barbari privi di esperienza militare, neppure Ariovisto stesso si illudeva di poter così sorprendere il nostro esercito. Chi esprimeva il proprio timore, fingendo di essere preoccupato per le scorte di grano e per la strada molto stretta, era un insolente, perché osava negare il senso del dovere del comandante o addirittura voleva impartirgli delle direttive. I suoi compiti di comandante erano di indurre i Sequani, i Leuci e i Lingoni a fornire il grano, ormai maturo nei campi; quanto alla strada, avrebbero giudicato tra breve essi stessi. Se si mormorava che i soldati non avrebbero eseguito gli ordini, né levato il campo, non se ne curava affatto: conosceva, infatti, casi di disobbedienza da parte delle truppe, ma si trattava di comandanti che avevano fallito un'impresa ed erano stati abbandonati dalla fortuna dei quali era stato scoperto qualche misfatto e dimostrata l'avidità. Ma tutta la sua vita comprovava la sua onestà, la guerra contro gli Elvezi la sua fortuna. Perciò, avrebbe dato subito l'ordine che voleva rimandare a più tardi: avrebbe levato le tende la notte successiva, dopo le tre, per accertarsi al più presto se in loro prevaleva la vergogna, unita al senso del dovere, oppure la paura. E se, poi, nessuno lo avesse seguito, si sarebbe messo in marcia, comunque, con la sola decima legione, su cui non aveva dubbi: sarebbe stata la sua coorte pretoria. Nei confronti della decima legione Cesare aveva avuto una benevolenza particolare e in essa riponeva la massima fiducia per il suo valore. |
422 | Caesari omnia uno tempore erant agenda: vexillum proponendum, quod erat insigne, cum ad arma concurri oporteret; signum tuba dandum; ab opere revocandi milites, qui paulo longius aggeris petendi causa processerant arcessendi; acies instruenda; milites cohortandi; signum dandum. Quarum rerum magnam partem temporis brevitas et incursus hostium impediebat. His difficultatibus duae res erant subsidio, scientia atque usus militum, quod superioribus proeliis exercitati quid fieri oporteret non minus commode ipsi sibi praescribere quam ab aliis doceri poterant, et quod ab opere singulisque legionibus singulos legatos Caesar discedere nisi munitis castris vetuerat.Hi propter propinquitatem et celeritatem hostium nihil iam Caesaris imperium expectabant, sed per se quae videbantur administrabant. | Cesare era costretto a dare ordini simultaneamente : sollevare il vessillo, che era il segnale di correre alle armi; far squillare le trombe; richiamare i soldati dal lavoro, far rientrare quelli che si erano di poco allontanati in cerca di materiale; schierare l’esercito; esortare i soldati; dare il segnale dell’attacco. La mancanza di tempo e l’incursione dei nemici impedivano di eseguire la maggior parte di queste operazioni. In questa situazione cruciale due cose erano di sostegno, la perizia e l’esperienza dei soldati che, addestrati nelle precedenti battaglie erano in grado di darsi da soli gli ordini necessari non meno opportunamente di quanto altri avrebbero potuto indicare, e l’obbligo fatto da Cesare ai singoli legati di non allontanarsi dalla propria legione prima del termine dei lavori di fortificazione. Data la vicinanza e la rapidità dei nemici, questi non attendevano gli ordini di Cesare, ma prendevano autonomamente i provvedimenti opportuni. |
666 | Iamque frumenta maturescere incipiebant, atque ipsa spes inopiam sustentabat, quod celeriter se habituros copiam confidebant; crebraeque voces militum in vigiliis colloquiisque audiebantur, prius se cortice ex arboribus victuros, quam Pompeium e manibus dimissuros. Libenter etiam ex perfugis cognoscebant equos eorum tolerari, reliqua vero iumenta interisse; uti autem ipsos valetudine non bona, cum angustiis loci et odore taetro ex multitudine cadaverum et cotidianis laboribus insuetos operum, tum aquae summa inopia affectos.Omnia enim flumina atque omnes rivos, qui ad mare pertinebant, Caesar aut averterat aut magnis operibus obstruxerat, atque ut erant loca montuosa et aspera, angustias vallium sublicis in terram demissis praesaepserat terramque aggesserat, ut aquam contineret. Itaque illi necessario loca sequi demissa ac palustria et puteos fodere cogebantur atque hunc laborem ad cotidiana opera addebant; qui tamen fontes a quibusdam praesidiis aberant longius et celeriter aestibus exarescebant. At Caesaris exercitus optima valetudine summaque aquae copia utebatur, tum commeatus omni genere praeter frumentum abundabat; quibus cotidie melius succedere tempus maioremque spem maturitate frumentorum proponi videbant. | E ormai il frumento incominciava a maturare e la speranza stessa aiutava a sopportare la carestia, poiché i nostri confidavano di avere entro breve tempo abbondanza di cibo; e durante le veglie e nei dialoghi si sentiva dire spesso dai soldati che, piuttosto che lasciarsi sfuggire di mano Pompeo, avrebbero mangiato la corteccia degli alberi. Con piacere venivano anche a sapere dai disertori che i cavalli dei nemici venivano tenuti in vita, ma che il restante bestiame era tutto morto e che i nemici stessi non erano più in buona salute, tormentati come erano dalla mancanza di spazio, dal puzzo nauseabondo proveniente da una moltitudine di cadaveri, dalle fatiche quotidiane, loro che non erano avvezzi a lavorare, e dall'assoluta mancanza di acqua. Infatti tutti i fiumi e i ruscelli che si dirigevano al mare Cesare o li aveva fatti deviare o li aveva sbarrati con grandi lavori ed essendo le valli, a causa delle asperità dei luoghi, strette e di difficile transito, egli le aveva sbarrate, piantando per terra dei pali e ammassando contro di essi della terra per trattenere l'acqua. E così i nemici erano per necessità costretti a cercare luoghi bassi e paludosi ove scavare dei pozzi e questa fatica si aggiungeva ai lavori quotidiani. Ma quelle sorgenti si trovavano troppo lontane da alcuni presidi e, inoltre, per il caldo velocemente si prosciugavano. Al contrario l'esercito di Cesare godeva ottima salute, aveva acqua in grande abbondanza e vettovaglie di ogni genere, ad eccezione del frumento, in grande quantità. Stando così le cose, vedevano ogni giorno la situazione migliorare e, col maturare del grano, aumentare la speranza. |
564 | Cum iam amplius horis sex continenter pugnaretur, ac non solum vires sed etiam tela nostros deficerent, atque hostes acrius instarent languidioribusque nostris vallum scindere et fossas complere coepissent, resque esset iam ad extremum perducta casum, P. Sextius Baculus, primi pili centurio, quem Nervico proelio compluribus confectum vulneribus diximus, et item C. Volusenus, tribunus militum, vir et consilii magni et virtutis, ad Galbam accurrunt atque unam esse spem salutis docent, si eruptione facta extremum auxilium experirentur.Itaque convocatis centurionibus celeriter milites certiores facit, paulisper intermitterent proelium ac tantum modo tela missa exciperent seque ex labore reficerent, post dato signo ex castris erumperent, atque omnem spem salutis in virtute ponerent. | Si combatteva, ininterrottamente, ormai da più di sei ore e ai nostri venivano a mancare, oltre alle forze, anche le frecce. I nemici, premendo con impeto ancora maggiore sui legionari, sempre più spossati, avevano iniziato ad abbattere il vallo e a riempire il fossato. La situazione era ormai agli estremi. P. Sestio Baculo, centurione primipilo - abbiamo prima ricordato che, durante la guerra con i Nervi, aveva riportato numerose ferite - e anche C. Voluseno, tribuno militare, uomo di grande saggezza e valore, si precipitano da Galba per dirgli che restava un'unica speranza: tentare una sortita come ultimo rimedio. Così, convocati i centurioni, Galba dà rapidamente ordine ai legionari di sospendere per il momento lo scontro e di limitarsi a evitare i dardi nemici e a riprendere fiato: poi, al segnale, dovevano erompere dall'accampamento e porre ogni speranza di salvezza nel proprio valore. |
697 | Dictatore habente comitia Caesare consules creantur Iulius Caesar et P. Servilius: is enim erat annus, quo per leges ei consulem fieri liceret. His rebus confectis, cum fides tota Italia esset angustior neque creditae pecuniae solverentur, constituit, ut arbitri darentur; per eos fierent aestimationes possessionum et rerum, quanti quaeque earum ante bellum fuisset, atque hac creditoribus traderentur. Hoc et ad timorem novarum tabularum tollendum minuendumve, qui fere bella et civiles dissensiones sequi consuevit, et ad debitorum tuendam existimationem esse aptissimum existimavit.Itemque praetoribus tribunisque plebis rogationes ad populum ferentibus nonnullos ambitus Pompeia lege damnatos illis temporibus, quibus in urbe praesidia legionum Pompeius habuerat, quae iudicia aliis audientibus iudicibus, aliis sententiam ferentibus singulis diebus erant perfecta, in integrum restituit, qui se illi initio civilis belli obtulerant, si sua opera in bello uti vellet, proinde aestimans, ac si usus esset, quoniam aui fecissent potestatem. Statuerat enim prius hos iudicio populi debere restitui, quam suo beneficio videri receptos, ne aut ingratus in referenda gratia aut arrogans in praeripiendo populi beneficio videretur. | Cesare in qualità di dittatore convoca i comizi elettorali; vengono eletti consoli Giulio Cesare e Publio Servilio; era infatti questo l'anno in cui, secondo le leggi, gli era concesso di diventare console. Ciò compiuto, dal momento che in tutta Italia il credito era in grave crisi e non venivano pagati i debiti, dispose che fossero nominati degli arbitri e che per mezzo di essi si facesse la stima dei beni mobili ed immobili per sapere quanto valesse, prima della guerra, ciascuno di questi beni, e che essi fossero consegnati ai creditori. Stimò che questo provvedimento fosse molto opportuno sia per fugare o diminuire il timore di nuovi libri dei conti, cosa che quasi sempre suole accadere dopo guerre e discordie civili, sia per tutelare la fiducia verso i debitori. Parimenti, a mezzo di proposte di legge sottoposte al popolo dai pretori e dai tribuni della plebe, reintegrò in tutti i loro diritti parecchi cittadini condannati in forza della legge di Pompeo sui brogli, al tempo in cui Pompeo aveva in città il presidio delle legioni, quando si svolgevano in un solo giorno processi in cui alcuni giudici ascoltavano, altri emettevano la sentenza. Questi cittadini all'inizio della guerra civile si erano offerti a Cesare, se egli voleva avvalersi dei loro servigi in guerra, perciò li giudicò come se se ne fosse servito, dal momento che si erano messi a sua completa disposizione. Aveva infatti stabilito che costoro dovessero venire reintegrati per giudizio popolare piuttosto che sembrare riabilitati per suo favore, per non apparire o ingrato nel dimostrare la propria riconoscenza o arrogante nel sottrarre al popolo un suo privilegio. |
598 | Caesari cum id nuntiatum esset eos per provinciam nostram iter facere conari, maturat ab urbe proficisci et quam maximis potest itineribus in Galliam ulteriorem contendit et ad Genavam pervenit. Provinciae toti quam maximum potest militum numerum imperat - erat omnino in Gallia ulteriore legio una -; pontem qui erat ad Genavam iubet rescindi. Ubi de eius adventu Helvetii certiores facti sunt, legatos ad aum mittunt nobilissimos civitatis, cuius legationis Nammeius et Verucloetius principem locum obtinebant, qui dicerent sibi esse in animo sine ullo maleficio iter per provinciam facere, propterea quod aliud iter haberent nullum; rogare ut eius voluntate id sibi facere liceat.Caesar, quod memoria tenebat L. Cassium consulem occisum exercitumque eius ab Helvetiis pulsum et sub iugum missum, concedendum non putabat; neque homines inimico animo, data facultate per provinciam itineris faciendi, temperaturos ab iniuria et maleficio existimabat. Tamen, ut spatium intercedere posset, dum milites quos imperaverat convenirent, legatis respondit diem se ad deliberandum sumpturum. | Dopo che ciò fu annunciato a Cesare, che essi si sforzavano di marciare attraverso la nostra provincia, si affretta a partire dalla città e si dirige, con quante più marce possibili verso la Gallia più lontana e giunge a Ginevra. A tutta la provincia ordina il massimo numero di soldati (nella Gallia più lontana c'era in tutto una legione); ordina che il ponte che si trovava verso Ginevra venga tagliato. Quando gli Elvezi furono informati della sua venuta, mandarono presso di lui gli ambasciatori più nobili della città, affinché dicessero che avevano intenzione di marciare attraverso la provincia senza alcun inganno, per il fatto che non avevano nessun altro percorso. Cesare, poiché si ricordava che il console L. Cassio era stato ucciso, e che il suo esercito era stato cacciato dagli Elvezi e messo al giogo, non riteneva che fosse da concedere; e riteneva che gli uomini di animo ostile non avessero intenzione di trattenersi dalla violenza e dall'inganno, data la possibilità di marciare attraverso la provincia. Tuttavia, perché uno spazio potesse intercedere, rispose agli ambasciatori di avere intenzione di prendere tempo per decidere, mentre i soldati che aveva ordinato si radunavano. |
433 | Cognita militum voluntate Ariminum cum ea legione proficiscitur ibique tribunos plebis, qui ad eum profugerant, convenit; reliquas legiones ex hibernis evocat et subsequi iubet. Eo L. Caesar adulescens venit, cuius pater Caesaris erat legatus. Is reliquo sermone confecto, cuius rei causa venerat, habere se a Pompeio ad eum privati officii mandata demonstrat: velle Pompeium se Caesari purgatum, ne ea, quae rei publicae causa egerit, in suam contumeliam vertat.Semper se rei publicae commoda privatis necessitudinibus habuisse potiora. Caesarem quoque pro sua dignitate debere et studium et iracundiam suam rei publicae dimittere neque adeo graviter irasci inimicis, ut, cum illis nocere se speret, rei publicae noceat. Pauca eiusdem generis addit cum excusatione Pompei coniuncta. Eadem fere atque eisdem verbis praetor Roscius agit cum Caesare sibique Pompeium commemorasse demonstrat. | Cesare, conosciuta la disposizione d'animo dei soldati, si dirige con quella legione a Rimini e qui incontra i tribuni della plebe che presso di lui erano venuti a trovare rifugio; richiama dagli accampamenti invernali le rimanenti legioni con l'ordine di seguirlo. Lì giunge il giovane L. Cesare, il cui padre era luogotenente di Cesare. Costui, terminato il discorso su altri argomenti, per i quali era venuto, dichiara di avere per lui da parte di Pompeo messaggi di carattere privato: dice che Pompeo vuole scusarsi dinanzi a Cesare, che non prenda per offesa personale le azioni che egli ha compiuto per il bene dello stato; dice che alle amicizie personali egli ha sempre anteposto l'interesse pubblico. Anche Cesare, in considerazione della sua posizione, deve per il bene dello stato sacrificare il proprio interesse e il proprio risentimento e non adirarsi con gli avversari così violentemente da risultare, sperando di danneggiarli, di danno allo stato. Aggiunge poche considerazioni del medesimo tono che unisce alle scuse di Pompeo. Il pretore Roscio presenta a Cesare quasi i medesimi argomenti e con le medesime parole, dimostrando di essere stato ben istruito da Pompeo. |
403 | Repentino adventu Caesaris accidit, quod imparatis disiectisque accidere fuit necesse, ut sine timore ullo rura colentes prius ab equitatu opprimerentur quam confugere in oppida possent. Namque etiam illud vulgare incursionis hostium signum, quod incendiis aedificiorum intellegi consuevit, Caesaris erat interdicto sublatum, ne aut copia pabuli frumentique, si longius progredi vellet, deficeretur, aut hostes incendius terrerentur. Multis hominum milibus captis perterriti Bituriges; qui primum adventum potuerant effugere Romanorum, in finitimas civitates aut privatis hospitiis confisi aut societate consiliorum confugerant.Frustra: nam Caesar magni sitineribus omnibus locis occurrit nec dat ulli civitati spatium de aliena potius quam de domestica salute cogitandi; qua celeritate et fideles amicos retinebat et dubitantes terrore ad condiciones pacis adducebat. Tali condicione proposita Bituriges, cum sibi viderent clementia Caesaris reditum patere in eius amicitiam finitimasque civitates sine ulla poena dedisse obsides atque in fidem receptas esse, idem fecerunt. | Al repentino arrivo di Cesare accadde l'inevitabile per gente colta alla sprovvista e sparpagliata: mentre i nemici, senza timore alcuno, attendevano ai lavori nei campi, vennero sopraffatti dalla cavalleria prima di potersi rifugiare nelle città. Infatti, per ordine di Cesare, era stato eliminato anche l'indizio più comune di un'incursione nemica, ovvero il fuoco appiccato agli edifici, sia perché in caso di ulteriore avanzata non venissero a mancare foraggio e grano, sia perché i nemici non fossero messi in allarme dagli incendi stessi. Dopo la cattura di molte migliaia di uomini, chi tra i Biturigi, in preda alla paura, era riuscito a sfuggire al primo attacco dei Romani, era riparato presso i popoli vicini, fidando o in vincoli personali d'ospitalità oppure nell'alleanza comune. Invano: a marce forzate Cesare accorre dappertutto e non lascia a nessun popolo il tempo di pensare alla salvezza altrui più che alla propria. Con la rapidità della sua azione teneva a freno gli alleati fedeli, con il terrore costringeva alla pace i titubanti. Di fronte a tale situazione, i Biturigi, vedendo che la clemenza di Cesare lasciava spazio per un ritorno all'alleanza con lui e che i popoli limitrofi non avevano subito pena alcuna, ma dietro la consegna di ostaggi erano stati accolti sotto la sua protezione, ne seguirono l'esempio. |
526 | Fit deinde senatus consultum, ut ad bellum Parthi cum legio una a Cn. Pompeio, altera a C. Caesare mitteretur; neque obscure duae legiones uni detrahuntur. Nam Cn. Pompeius legionem primam, quam ad Caesarem miserat, confectam ex delectu provinciae Caesaris, eam tamquam ex suo numero dedit. Caesar tamen, cum de voluntate minime dubium esset adversariorum suorum, Pompeio legionem remisit et suo nomine quintam decimam, quam in Gallia citeriore habuerat, ex senatus consulto iubet tradi.In eius locum tertiam decimam legionem in Italiam mittit quae praesidia tueretur, ex quibus praesidiis quinta decima deducebatur. Ipse exercitui distribuit hiberna: C. Trebonium cum legionibus quattuor in Belgio collocat, C. Fabium cum totidem in Aeduos deducit. Sic enim existimabat tutissimam fore Galliam, si Belgae, quorum maxima virtus, Aedui, quorum auctoritas summa esset, exercitibus continerentur. Ipse in Italiam profectus est. | Il senato, in seguito, decise che per la guerra contro i Parti Cn. Pompeo e C. Cesare inviassero una legione a testa; ma è chiaro che le due legioni sono sottratte a uno solo. Cn. Pompeo, infatti, diede, come proveniente dalle sue, la prima legione, da lui inviata a Cesare dopo averla arruolata nella provincia di Cesare stesso. Quest'ultimo, tuttavia, benché non ci fossero dubbi sulle intenzioni dei suoi avversari, restituì la legione a Pompeo e, a proprio titolo, rispettando la delibera del senato, invia la quindicesima, dislocata in Gallia cisalpina. Al posto di questa, invia in Italia la tredicesima legione, a protezione dei posti di difesa evacuati dalla quindicesima. Assegna all'esercito i quartieri d'inverno: situa C. Trebonio in Belgio con quattro legioni e con altrettante invia C. Fabio nelle terre degli Edui. Pensava che, così, la Gallia sarebbe stata veramente sotto controllo, se le truppe avessero tenuto a bada i Belgi, che erano i più valorosi, e gli Edui, che godevano di grandissimo prestigio. Dal canto suo, parte per l'Italia. |
621 | Recepto Caesar Orico nulla interposita mora Apolloniam proficiscitur. Cuius adventu audito L. Staberius, qui ibi praeerat, aquam comportare in arcem atque eam munire obsidesque ab Apolloniatibus exigere coepit. Illi vero daturos se negare, neque portas consuli praeclusuros, neque sibi iudicium sumpturos contra atque omnis Italia populusque Romanus indicavisset. Quorum cognita voluntate clam profugit Apollonia Staberius. Illi ad Caesarem legatos mittunt oppidoque recipiunt.Hos sequnntur Bullidenses, Amantini et reliquae finitimae civitates totaque Epiros et legatis ad Caesarem missis, quae imperaret, facturos pollicentur. | Capitolata Orico, Cesare si dirige senza alcun indugio ad Apollonia. Alla notizia del suo arrivo L. Staberio, che qui comandava, cominciò a fare portare acqua nella rocca e a fortificarla e a richiedere ostaggi dagli abitanti di Apollonia. Ma questi dissero che non glieli avrebbero dati e che non avevano intenzione di chiudere le porte al console né di assumere deliberazioni contrarie a quelle dell'intera Italia [il popolo romano]. Conosciuto il loro parere, Staberio fugge di nascosto da Apollonia. Gli abitanti mandano ambasciatori a Cesare e lo accolgono in città. Seguono il loro esempio gli abitanti di Billide, di Amanzia e le altre città vicine e tutto l'Epiro; mandati ambasciatori a Cesare, promettono di eseguire i suoi ordini. |
355 | Postero die Caesar contione advocata temeritatem cupiditatemque militum reprehendit, quod sibi ipsi iudicavissent quo procedendum aut quid agendum videretur, neque signo recipiendi dato constitissent neque ab tribunis militum legatisque retineri potuissent. Euit quid iniquitas loci posset, quid ipse ad Avaricum sensisset, cum sine duce et sine equitatu deprehensis hostibus exploratam victoriam dimisisset, ne parvum modo detrimentum in contentione propter iniquitatem loci accideret.Quanto opere eorum animi magnitudinem admiraretur, quos non castrorum munitiones, non altitudo montis, non murus oppidi tardare potuisset, tanto opere licentiam arrogantiamque reprehendere, quod plus se quam imperatorem de victoria atque exitu rerum sentire existimarent; nec minus se ab milite modestiam et continentiam quam virtutem atque animi magnitudinem desiderare. | L'indomani Cesare ordinò l'adunata e rimproverò l'avventatezza e la smania dei soldati: da soli avevano giudicato fin dove si doveva avanzare o come bisognava agire, non si erano fermati al segnale di ritirata, né i tribuni militari, né i legati erano riusciti a trattenerli. Spiegò quale peso avesse un luogo svantaggioso e quali erano state le sue considerazioni ad Avarico, quando, pur avendo sorpreso i nemici privi di comandante e di cavalleria, aveva rinunciato a una vittoria sicura per evitare anche il minimo danno nello scontro, e tutto perché la posizione era sfavorevole. E quanto ammirava il loro coraggio - né le fortificazioni dell'accampamento, né l'altezza dei monte, né le mura della città erano valsi a frenarli - tanto biasimava la loro insubordinazione e arroganza, perché credevano di saper valutare circa la vittoria e l'esito dello scontro meglio del comandante. Da un soldato esigeva modestia e disciplina non meno che valore e coraggio. |
131 | Ecce altera quaestio, quomodo hominibus sit utendum. Quid agimus? Quae damus praecepta? Ut parcamus sanguini humano? Quantulum est ei non nocere cui debeas prodesse! Magna scilicet laus est si homo mansuetus homini est. Praecipiemus ut naufrago manum porrigat, erranti viam monstret, cum esuriente panem suum dividat? Quando omnia quae praestanda ac vitanda sunt, dicam? Cum possim breviter hanc illi formulam humani officii tradere: omne hoc quod vides, quo divina atque humana conclusa sunt, unum est: membra sumus corporis magni.Natura nos cognatos edidit cum ex isdem et in eadem gigneret. Haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit. Illa aequum iustumque composuit, ex illius constitutione miseries est nocere quam laedi: ex illius imperio paratae sint iuvandis manus. Ille versus et in pectore et in ore sit:Homo sum, humani nihil a me alienum puto.Haec habeamus: in commune nati sumus; societas nostra lapidum fornicationi simillima est quae casura nisi invicem ostarent, hoc ipso sustinetur. | Ecco un’altra questione, in che modo ci si debba relazionare con gli uomini. Cosa facciamo? Quali insegnamenti diamo (oppure: quali cose diamo come insegnamenti)? Che risparmiamo sangue umano? Quanto poca cosa è non nuocere a colui al quale si dovrebbe far bene! E’ senza dubbio un gran merito se un uomo è mite con un uomo. Insegneremo a porgere la mano al naufrago, o mostrare la via a colui che erra, a dividere il proprio pane con chi ha fame? Perchè dovrei dire tutto ciò che è da fare e da evitare? Potendo brevemente trasmettere a quello questa formula del dovere umano: tutto ciò che vedi, nel quale sono racchiuse le cose divine ed umane, è una cosa sola: siamo le membra di un grande corpo. La natura ci ha creati parenti, creandoci dalle medesime cose e per i medesimi fini. Questa ci ha infuso amore reciproco e ci ha reso socievoli.Quella stabilì l’equità e la giustizia, e sulla norma di quella è cosa più misera il nuocere che l’essere lesi: dal suo comando siano pronte le mani per coloro che si devono aiutare. Quel famoso verso (n.d.t verso di Terenzio) sia nel cuore e nella bocca:Sono un uomo e niente di umano ritengo estraneo da me.Queste cose teniamo presenti: siamo nati per la società; la nostra società è molto simile ad una volta di pietre, che cadrebbe se non se non si sorreggessero a vicenda, da ciò stesso è sostenuta. |
516 | Caesar etsi ad spem conficiendi negotii maxime probabat coactis navibus mare transire et Pompeium sequi, priusquam ille sese transmarinis auxiliis confirmaret, tamen eius rei moram temporisque longinquitatem timebat, quod omnibus coactis navibus Pompeius praesentem facultatem insequendi sui ademerat. Relinquebatur, ut ex longinquioribus regionibus Galliae Picenique et a freto naves essent exspectandae. Id propter anni tempus longum atque impeditum videbatur.Interea veterem exercitum, duas Hispanias confirmari, quarum erat altera maximis beneficiis Pompei devincta, auxilia, equitatum parari, Galliam Italiamque temptari se absente nolebat. | Cesare, pur ritenendo di grande importanza per il compimento della sua impresa riunire una flotta, attraversare il mare e inseguire Pompeo prima che costui potesse fare affidamento su aiuti di oltre mare, temeva tuttavia la lentezza di quella operazione, che necessitava di gran tempo, poiché Pompeo gli aveva tolto per il momento la possibilità di inseguirlo avendo egli già fatto incetta di tutte le navi. Non rimaneva che attendere le navi provenienti dalle più lontane regioni della Gallia e del Piceno e dallo stretto di Messina. E, data la stagione, la cosa sembrava lunga e difficile. Inoltre Cesare non voleva che, durante la sua assenza, si rinforzassero l'esercito veterano di Pompeo e le due Spagne, una delle quali era molto legata a Pompeo per i grandissimi favori ricevuti, che venissero organizzate truppe ausiliarie e una cavalleria e che si cercasse di sollevare l'Italia e la Gallia. |
11 | Erant in quadam civitate rex et regina. Hi tres numero filias forma conspicuas habuere, sed maiores quidem natu, quamvis gratissima specie, idonee tamen celebrari posse laudibus humanis, credebantur, at vero puellae iunioris tam praecipua, tam praeclara pulchritudo nec exprimi ac ne sufficienter quidem laudari sermonis humani penuria poterat. Multi denique ciivium et advenae copiosi, quos eximii spectaculi rumor studiosa celebritate congregabat, inaccessae formonsitatis admiratione stupidi et admoventes oribus suis dexteram, primore digito in erectum pollicem residente, ut ipsam prorsus deam Venerem venerabantur religiosis adorationibus.Iamque proximas civitates et attiguas regiones fama pervaserat deam, quam caerulum profundum pelagi peperit et ros spumantium fluctuum educavit, iam numinis suis passim tributa venia in mediis conversari populi coetibus, vel certe rursum novo caelestium stillarum germine non maria, sed terras Venerem aliam virginali flore praeditam pullulasse. | C'erano in una certa città un re ed una regina. Questi ebbero tre figlie belle d'aspetto, ma le maggiori, sebbene di aspetto gradevolissimo, tuttavia si credeva che potessero essere celebrate adeguatamente con lodi umane, invece la bellezza tanto notevole e meravigliosa della fanciulla più giovane non poteva essere né espressa né lodata sufficientemente per la povertà del linguaggio dell'uomo. Quindi, molti cittadini e numerosi stranieri che la fama di quello spettacolo straordinario riuniva in una folla impressionante, sbigottiti per l'ammirazione di una bellezza inaccessibile e portando la mano destra alla bocca, con il primo dito piegato sul pollice disteso, la veneravano con atti devoti come (se fosse stata) la dea Venere in persona. Ormai si era diffusa la voce, nelle città più vicine e nelle regioni limitrofe, che la dea, che la profondità azzurra del mare generò e che la rugiada dei flutti spumeggianti nutrì, dopo aver concesso dappertutto il favore della sua divinità, si aggirava in mezzo alle riunioni del popolo, o anche che, per un nuovo seme di stille celesti, non i mari ma le terre avevano generato un'altra Venere adorna del fiore virginale. |
593 | Hoc proelio facto, reliquas copias Helvetiorum ut consequi posset, pontem in Arari faciendum curat atque ita exercitum traducit. Helvetii repentino eius adventu commoti cum id quod ipsi diebus XX aegerrime confecerant, ut flumen transirent, illum uno die fecisse intellegerent, legatos ad eum mittunt; cuius legationis Divico princeps fuit, qui bello Cassiano dux Helvetiorum fuerat. Is ita cum Caesare egit: si pacem populus Romanus cum Helvetiis faceret, in eam partem ituros atque ibi futuros Helvetios ubi eos Caesar constituisset atque esse voluisset; sin bello persequi perseveraret, reminisceretur et veteris incommodi populi Romani et pristinae virtutis Helvetiorum.Quod improviso unum pagum adortus esset, cum ii qui flumen transissent suis auxilium ferre non possent, ne ob eam rem aut suae magnopere virtuti tribueret aut ipsos despiceret. Se ita a patribus maioribusque suis didicisse, ut magis virtute contenderent quam dolo aut insidiis niterentur. Quare ne committeret ut is locus ubi constitissent ex calamitate populi Romani et internecione exercitus nomen caperet aut memoriam proderet. | Dopodiché, per poter raggiungere le rimanenti truppe degli Elvezi, Cesare ordina di costruire un ponte sulla Saona e, così, trasborda sull'altra riva le sue truppe. Gli Elvezi, scossi dal suo arrivo repentino, quando si resero conto che per attraversare il fiume a Cesare era occorso un giorno solo, mentre essi avevano impiegato venti giorni di enormi sforzi, gli mandarono degli ambasciatori. Li guidava Divicone, già capo degli Elvezi all'epoca della guerra di Cassio. Divicone parlò a Cesare in questi termini: se il popolo romano siglava la pace con gli Elvezi, essi si sarebbero recati dove Cesare avesse deciso e voluto, per rimanervi; se, invece, continuava con le operazioni di guerra, si ricordasse sia del precedente rovescio del popolo romano, sia dell'antico eroismo degli Elvezi. Aveva attaccato all'improvviso una sola tribù, quando gli uomini ormai al di là del fiume non potevano soccorrerla: non doveva, dunque, attribuire troppo merito, per la vittoria, al suo grande valore, o disprezzare gli Elvezi, che avevano imparato dai padri e dagli avi a combattere da prodi più che con l'inganno o gli agguati. Perciò, non si esponesse al rischio che il luogo dove si trovavano prendesse il nome e tramandasse alla storia la disfatta del popolo romano e il massacro del suo esercito. |
782 | His rebus cognitis Caesar Gallorum animos verbis confirmavit pollicitusque est sibi eam rem curae futuram; magnam se habere spem et beneficio suo et auctoritate adductum Ariovistum finem iniuriis facturum. Hac oratione habita concilium dimisit. Et secundum ea multae res eum hortabantur, quare sibi eam rem cogitandam et suscipiendam putaret, in primis quod Aeduos, fratres consanguineosque saepenumero a senatu appellatos, in servitute atque in dicione videbat Germanorum teneri eorumque obsides esse apud Ariovistum ac Sequanos intellegebat; quod in tanto imperio populi Romani turpissimum sibi et reipublicae esse arbitrabatur.Paulatim autem Germanos consuescere Rhenum transire et in Galliam magnam eorum multitudinem venire populo Romano periculosum videbat, neque sibi homines feros ac barbaros temperaturos existimabat, quin, cum omnem Galliam occupavissent, ut ante Cimbri Teutonique fecissent, in provinciam exirent atque inde in Italiam contenderent , praesertim cum Sequanos a provincia nostra Rhodanus divideret; quibus rebus quam maturrime occurrendum putabat. Ipse autem Ariovistus tantos sibi spiritus, tantam arrogantiam sumpserat, ut ferendus non videretur. | Essendo state queste cose da lui conosciute, Cesare rassicurò con parole gli animi dei Galli e promise che tale cosa sarebbe stata a lui a cuore: egli aveva grande speranza che Ariovisto, mosso e dal beneficio suo e dalla sua autorità, avrebbe posto fine alle offese. Dopoché questo discorso fu tenuto, congedò l'adunanza. E oltre a quelle cose, molte considerazioni lo spingevano perché egli reputasse che egli dovesse meditare e preoccuparsi di una tale situazione, principalmente perché vedeva che gli Edui, chiamati spesso dal senato fratelli e congiunti, erano tenuti nella schiavitù e nella dipendenza dei Germani, e comprendeva che i loro ostaggi erano presso Ariovisto e i Sequani; il che giudicava essere cosa vergognosissima per sé e per la repubblica in una potenza sì grande del popolo Romano. Vedeva poi pericoloso per il popolo romano che i Germani s’avvezzassero a poco a poco a passare il Reno e che un gran numero di loro si recasse in Gallia, né riteneva che quegli uomini feroci e barbari, qualora avessero occupata tutta la Gallia, si sarebbero trattenuti dall’uscire, come i Cimbri e i Teutoni avevano fatto prima nella provincia, e dall’avviarsi di là verso l'Italia, soprattutto perché solo il Rodano divideva i Sequani dalla nostra provincia; a tali cose stimava di doversi avviare al più presto; Ariovisto stesso poi, aveva preso e se sì gran superbia, sì grande arroganza, che non sembrava che non dovesse essere da sopportare. |
290 | Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa.illa Lesbia, quam Catullus unamplus quam se atque suos amavit omnes,nunc in quadriviis et angiportisglubit magnanimi Remi nepotes. | O Celio, la mia Lesbia, quella Lesbia, proprio quella Lesbia, che Catullo amò lei sola più di sé stesso e di tutti i suoi, ora scortica nei quadrivi e nei bordelli i discendenti del magnanimo Remo (più libero.: "fa la puttana") |
34 | Ni te plus oculis meis amarem,iucundissime Calue, munere istoodissem te odio Vatiniano:nam quid feci ego quidue sum locutus,cur me tot male perderes poetis?isti di mala multa dent clienti,qui tantum tibi misit impiorum.quod si, ut suspicor, hoc nouum ac repertummunus dat tibi Sulla litterator,non est mi male, sed bene ac beate,quod non dispereunt tui labores.di magni, horribilem et sacrum libellum!quem tu scilicet ad tuum Catullummisti, continuo ut die periret,Saturnalibus, optimo dierum!non non hoc tibi, false, sic abibit.nam si luxerit ad librariorumcurram scrinia, Caesios, Aquinos,Suffenum, omnia colligam uenena.ac te his suppliciis remunerabor.uos hinc interea ualete abiteilluc, unde malum pedem attulistis,saecli incommoda, pessimi poetae. | Se non t'amassi più dei miei occhi,piacevolissimo Calvo, per codesto regalot'odierei di odio Vatiniano:cosa ho fatto e cosa ho detto,perché mi rovinassi con tanti poeti?Gli dei diano molti mali a questo cliente,che ti spedì così tanto di empi.Che se, come sospetto, questo strano e geniale donote lo dà il maestrucolo Silla,non mi va male, ma bene e deliziosamente,perché le tue fatiche non vanno in malora.O dei grandi, che orribile ed esecrando libretto!E tu naturalmente lo spedisti al tuo Catullo.Perché crepasse subito il giorno dei Saturnali, il migliore dei giorni!No, questo non passerà così, falsaccio.Se verrà giorno,correrò agli scaffali dei librai,i Cesi, gli Aquini, il Suffeno,raccoglierò tutti i veleni.Ma ti ripagherò di queste torture.Voi intanto addio, di qui andatevene la,da dove moveste il passo sciagurato,rovine del secolo, pessimi poeti. |
42 | Servi mehercule mei si me isto pacto metuerent, ut te metuunt omnes cives tui, domum meam relinquendam putarem; tu tibi urbem non arbitraris? et, si me meis civibus iniuria suspectum tam graviter atque offensum viderem, carere me aspectu civium quam infestis omnium oculis conspici mallem; tu cum conscientia scelerum tuorum agnoscas odium omnium iustum et iam diu tibi debitum, dubitas, quorum mentes sensusque volneras, eorum aspectum praesentiamque vitare? Si te parentes timerent atque odissent tui neque eos ulla ratione placare posses, ut opinor, ab eorum oculis aliquo concederes.Nunc te patria, quae communis est parens omnium nostrum, odit ac metuit et iam diu nihil te iudicat nisi de parricidio suo cogitare; huius tu neque auctoritatem verebere nec iudicium sequere nec vim pertimesces? | Se, perbacco, i miei schiavi avessero di me lo stesso timore che hanno di tè tutti i tuoi concittadini, riterrei inevitabile lasciare la mia casa: tu non ritieni altrettanto inevitabile per tè lasciare Roma? Ancora: se io mi vedessi esposto a torto a gravissimi sospetti e all'odio dei miei concittadini, preferirei sottrarmi alla loro vista, piuttosto che vedermi addosso gli sguardi così pieni di ostilità di tutti; tu, invece, pur riconoscendo, consapevole come sei delle tue scelleratezze, la giustezza dell'odio generale che da tanto tempo hai meritato, esiti ancora a fuggire la vista e la presenza di persone che tu ferisci nel loro spirito e nei loro sensi? Se i tuoi genitori provassero per tè timore e odio e tu non riuscissi a trovare il modo di rabbonirli, ti allontaneresti, immagino, dalla loro vista andandotene in un luogo qualunque. Ora è la patria, la madre comune di tutti noi, che ti odia e ti teme, ed è già un pezzo che, a suo avviso, tu non pensi ad altro che ad assassinare proprio lei che è tua madre: e della patria tu non rispetterai l'autorità, non ti piegherai al giudizio che ha di tè, non paventerai la forza? |
441 | Illi adhibita audacia et virtute administrantibus M. Antonio et Fufio Caleno, multum ipsis militibus hortantibus neque ullum periculum pro salute Caesaris recusantibus nacti austrum naves solvunt atque altero die Apolloniam praetervehuntur. Qui cum essent ex continenti visi, Coponius, qui Dyrrachii classi Rhodiae praeerat, naves ex portu educit, et cum iam nostris remissiore vento appropinquasset, idem auster increbuit nostrisque praesidio fuit. Neque vero ille ob eam causam conatu desistebat, sed labore et perseverantia nautarum etiam vim tempestatis superari posse sperabat praetervectosque Dyrrachium magna vi venti nihilo secius sequebatur.Nostri usi fortunae beneficio tamen impetum classis timebant, si forte ventus remisisset. Nacti portum, qui appellatur Nymphaeum, ultra Lissum milia passuum III, eo naves introduxerunt (qui portus ab Africo tegebatur, ab austro non erat tutus) leviusque tempestatis quam classis periculum aestimaverunt. Quo simulatque introitum est, incredibili felicitate auster, qui per biduum flaverat, in Africum se vertit. | I Cesariani danno prova di audacia e coraggio e, sotto il comando di Marco Antonio e Fufio Caleno, per incitamento degli stessi soldati che non si tiravano indietro di fronte a nessun pericolo per la salvezza di Cesare, approfittando del vento australe, salpano e il giorno dopo passano davanti ad Apollonia e Durazzo. Avvistatili dalla terraferma, Coponio, che a Durazzo comandava la flotta di Rodi, fa uscire dal porto le navi e, quando già si era avvicinato alle nostre navi favorito da un vento piuttosto debole, l'Austro cominciò a soffiare in modo violento e fu di aiuto ai nostri. Egli, invero, non demordeva per questo dal suo tentativo, ma con lo sforzo e la fatica dei marinai sperava di potere vincere la violenza della burrasca e di inseguire non di meno i nostri che pure avevano oltrepassato Durazzo grazie alla grande forza del vento. I nostri, pur favoriti dalla Fortuna, tuttavia temevano l'attacco della flotta nemica nel caso che il vento si fosse calmato. Trovandosi di fronte il porto, chiamato Ninfeo, a tre miglia da Lisso, vi fecero entrare le navi (questo porto era protetto dall'Africo, ma non riparato dall'Austro), giudicando il pericolo della tempesta minore di quello della flotta avversaria. Non appena furono entrati, per un incredibile colpo di fortuna, l'Austro che aveva soffiato per due giorni si mutò in Africo. |
431 | Probata re atque omnibus iureiurando adactis postero die in tres partes distributo equitatu duae se acies ab duobus lateribus ostendunt, una primo agmine iter impedire coepit. Qua re nuntiata Caesar suum quoque equitatum tripertito divisum contra hostem ire iubet. Pugnatur una omnibus in partibus. Consistit agmen; impedimenta intra legiones recipiuntur. Si qua in parte nostri laborare aut gravius premi videbantur, eo signa inferri Caesar aciemque constitui iubebat; quae res et hostes ad insequendum tardabat et nostros spe auxili confirmabat.Tandem Germani ab dextro latere summum iugum nacti hostes loco depellunt; fugientes usque ad flumen, ubi Vercingetorix cum pedestribus copiis consederat, persequuntur compluresque interficiunt. Qua re animadversa reliqui ne circumirentur veriti se fugae mandant. Omnibus locis fit caedes. Tres nobilissimi Aedui capti ad Caesarem perducuntur: Cotus, praefectus equitum, qui controversiam cum Convictolitavi proximis comitiis habuerat, et Cavarillus, qui post defectionem Litavicci pedestribus copiis praefuerat, et Eporedorix, quo duce ante adventum Caesaris Aedui cum Sequanis bello contenderant. | La proposta viene approvata e tutti prestano giuramento. Il giorno seguente dividono la cavalleria in tre gruppi: due compaiono sui fianchi del nostro schieramento, la terza comincia a contrastarci il passo all'avanguardia. Appena glielo comunicano, Cesare divide la cavalleria in tre parti e ordina di affrontare il nemico. Si combatteva contemporaneamente in ogni settore. L'esercito si ferma, le salmerie vengono raccolte in mezzo alle legioni. Se in qualche zona i nostri sembravano in difficoltà o troppo alle strette, lì Cesare ordinava di muovere all'attacco e di formare la linea. La manovra ritardava l'inseguimento nemico e rinfrancava i nostri con la speranza del sostegno. Alla fine, i Germani all'ala destra respingono i nemici, sfruttando un alto colle: inseguono i fuggiaschi sino al fiume, dove Vercingetorige si era attestato con la fanteria, e ne uccidono parecchi. Appena se ne accorgono, gli altri si danno alla fuga, temendo l'accerchiamento. È strage ovunque. Tre Edui di stirpe assai nobile vengono catturati e condotti a Cesare: Coto, il comandante della cavalleria. che aveva avuto nell'ultima elezione un contrasto con Convictolitave; Cavarillo, preposto alla fanteria dopo la defezione di Litavicco; Eporedorige, sotto la cui guida gli Edui avevano combattuto contro i Sequani prima dell'arrivo di Cesare. |
389 | Caesar, quo facilius equitatum Pompeianum ad Dyrrachium contineret et pabulatione prohiberet, aditus duos, quos esse angustos demonstravimus, magnis operibus praemunivit castellaque his locis posuit. Pompeius, ubi nihil profici equitatu cognovit, paucis intermissis diebus rursus eum navibus ad se intra munitiones recipit. Erat summa inopia pabuli, adeo ut foliis ex arboribus strictis et teneris harundinum radicibus contusis equos alerent (frumenta enim, quae fuerant intra munitiones sata, consumpserant); cogebantur Corcyra atque Acarnania longo interiecto navigationis spatio pabulum supportare, quodque erat eius rei minor copia, hordeo adaugere atque his rationibus equitatum tolerare.Sed postquam non modo hordeum pabulumque omnibus locis herbaeque desectae, sed etiam frons ex arboribus deficiebat, corruptis equis macie conandum sibi aliquid Pompeius de eruptione existimavit. | Cesare, per immobilizzare più facilmente la cavalleria di Pompeo presso Durazzo e impedirle il foraggiamento, sbarrò con grandi opere di fortificazione i due accessi, che, come abbiamo detto, erano molto stretti e innalzò qui dei fortilizi. Pompeo, dopo alcuni giorni, quando s'accorse che la cavalleria non gli era di alcun vantaggio, la fece di nuovo rientrare con le navi presso di sé all'interno delle fortificazioni. La penuria di foraggio era grandissima, così che nutrivano i cavalli con foglie raccolte dagli alberi e tenere radici di canna pestate; infatti avevano consumato tutto il frumento che era stato seminato entro le fortificazioni. Erano costretti a fare giungere frumento da Corcira e dall'Acarnania con un lungo tragitto per mare, e, poiché la quantità era inferiore al bisogno, erano costretti ad aggiungere orzo e a nutrire i cavalli in questo modo. Ma quando vennero a mancare non solo l'orzo e il foraggio e l'erba tagliata in tutti i campi, ma anche le foglie sugli alberi e i cavalli erano consunti dalla magrezza, Pompeo giudicò di dovere fare un tentativo di sortita. |
624 | Iam Caesar a Gergovia discessisse audiebatur, iam de Aeduorum defectione et secundo Galliae motu rumores adferebantur, Gallique in colloquiis interclusum itinere et Ligeri Caesarem inopia frumenti coactum in provinciam contendisse confirmabant. Bellovaci autem defectione Aeduorum cognita, qui ante erant per se infideles, manus cogere atque aperte bellum parare coeperunt. Tum Labienus tanta rerum commutatione longe aliud sibi capiendum consilium atque antea senserat intellegebat, neque iam, ut aliquid adquireret proelioque hostes lacesseret, sed ut incolumem exercitum Agedincum reduceret, cogitabat.Namque altera ex parte Bellovaci, quae civitas in Gallia maximam habet opinionem virtutis, instabant, alteram Camulogenus parato atque instructo exercitu tenebat; tum legiones a praesidio atque impedimentis interclusas maximum flumen distinebat. Tantis subito difficultatibus obiectis ab animi virtute auxilium petendum videbat. | Era già corsa voce della partenza di Cesare da Gergovia e giungevano notizie sulla defezione degli Edui e sui successi dell'insurrezione; nei loro abboccamenti, i Galli confermavano che Cesare si era trovato la strada sbarrata dalla Loira e che aveva ripiegato verso la provincia, costretto dalla mancanza di grano. I Bellovaci, poi, che già in passato di per sé non si erano dimostrati alleati fedeli, alla notizia della defezione degli Edui avevano cominciato la raccolta di truppe e scoperti preparativi di guerra. Allora Labieno, di fronte a un tale mutamento della situazione, capiva di dover prendere decisioni ben diverse dai suoi piani e non mirava più a riportare successi o a provocare il nemico a battaglia, ma solo a ricondurre incolume l'esercito ad Agedinco. Infatti, su un fronte incombevano i Bellovaci, che in Gallia godono fama di straordinario valore, sull'altro c'era Camulogeno con l'esercito pronto e schierato. Inoltre, un fiume imponente separava le legioni dal presidio e dalle salmerie. Con tante, improvvise difficoltà, vedeva che era necessario far ricorso a un atto di coraggio. |
245 | Lesbia mi praesente viro mala plurima dicit:haec illi fatuo maxima laetitia est.mule, nihil sentis? si nostri oblita taceret,sana esset: nunc quod gannit et obloquitur,non solum meminit, sed, quae multo acrior est res,irata est. hoc est, uritur et loquitur. | Lesbia dice moltissime cose di male a me in presenza del marito:queste cose per quello sciocco sono (motivo di) massima gioia.O mulo, non capisci niente? Se, dimentica di me, tacesse,sarebbe guarita: ora poiché brontola e parla male,non solo si ricorda, ma, cosa che è molto più grave,è arrabbiata. Cioè, parla e brucia. |
563 | Cum maiore in dies contemptione Indutiomarus ad castra accederet, nocte una intromissis equitibus omnium finitimarum civitatum quos arcessendos curaverat, tanta diligentia omnes suos custodiis intra castra continuit, ut nulla ratione ea res enuntiari aut ad Treveros perferri posset. Interim ex consuetudine cotidiana Indutiomarus ad castra accedit atque ibi magnam partem diei consumit; equites tela coniciunt et magna cum contumelia verborum nostros ad pugnam evocant.Nullo ab nostris dato responso, ubi visum est, sub vesperum dispersi ac dissipati discedunt. Subito Labienus duabus portis omnem equitatum emittit; praecipit atque interdicit, proterritis hostibus atque in fugam coniectis (quod fore, sicut accidit, videbat) unum omnes peterent Indutiomarum, neu quis quem prius vulneret, quam illum interfectum viderit, quod mora reliquorum spatium nactum illum effugere nolebat; magna proponit eis qui occiderint praemia; summittit cohortes equitibus subsidio. Comprobat hominis consilium fortuna, et cum unum omnes peterent, in ipso fluminis vado deprehensus Indutiomarus interficitur, caputque eius refertur in castra: redeuntes equites quos possunt consectantur atque occidunt. Hac re cognita omnes Eburonum et Nerviorum quae convenerant copiae discedunt, pauloque habuit post id factum Caesar quietiorem Galliam. | Mentre Induziomaro, di giorno in giorno, si avvicinava al campo con maggior sicurezza, Labieno una notte fece entrare i cavalieri richiesti a tutte le genti limitrofe; grazie alle sentinelle, riuscì a trattenere tutti i suoi all'interno del campo così bene, che in nessun modo la notizia poté trapelare o giungere ai Treveri. Nel frattempo Induziomaro, come ogni giorno, si avvicina all'accampamento e qui trascorre la maggior parte del giorno: i suoi cavalieri scagliano frecce e provocano i nostri a battaglia con ingiurie d'ogni sorta. I nostri non rispondono e gli avversari, quando lo ritengono opportuno, al calar della sera, si allontanano a piccoli gruppi, disunendosi. All'improvviso Labieno, da due porte, lancia alla carica tutta la cavalleria: dà ordine e disposizione che, dopo aver spaventato e messo in fuga i nemici (prevedeva che sarebbe successo, come in effetti capitò), tutti puntino solo su Induziomaro e non colpiscano nessun altro prima di averlo visto morto: non voleva che, mentre si attardavano a inseguire gli altri, il Gallo trovasse una via di scampo. Promette grandi ricompense a chi l'avesse ucciso; invia le coorti in appoggio ai cavalieri. La Fortuna asseconda il piano dell'uomo: tutti si lanciano su Induziomaro, lo catturano proprio sul guado del fiume e lo uccidono; la sua testa viene portata all'accampamento; i cavalieri, nel rientrare, inseguono e massacrano quanti più nemici possono. Avute queste notizie, tutte le truppe degli Eburoni e dei Nervi, che si erano lì concentrate, si disperdono: dopo questa battaglia Cesare riuscì a tenere un po' più tranquilla la Gallia. |
695 | Germani desperata expugnatione castrorum, quod nostros iam constitisse in munitionibus videbant, cum ea praeda quam in silvis deposuerant trans Rhenum sese receperunt. Ac tantus fuit etiam post discessum hostium terror ut ea nocte, cum Gaius Volusenus missus cum equitatu ad castra venisset, fidem non faceret adesse cum incolumi Caesarem exercitu. Sic omnino animos timor praeoccupaverat ut paene alienata mente deletis omnibus copiis equitatum se ex fuga recepisse dicerent neque incolumi exercitu Germanos castra oppugnaturos fuisse contenderent.Quem timorem Caesaris adventus sustulit. | I Germani, persa la speranza di espugnare il campo, poiché vedevano i nostri ormai ben saldi sui baluardi, si ritirarono oltre il Reno con il bottino che avevano nascosto nelle selve. E anche dopo la partenza dei nemici, i nostri rimasero così atterriti, che C. Voluseno, quando giunse, quella notte stessa, al campo con la cavalleria, non riuscì a far credere che Cesare stesse arrivando con l'esercito indenne. Il panico si era impadronito degli animi di tutti al punto che erano quasi usciti di senno: dicevano che l'esercito era stato annientato e che la cavalleria era riuscita a salvarsi fuggendo, sostenevano che, se l'esercito non fosse stato distrutto, i Germani non avrebbero attaccato il nostro campo. L'arrivo di Cesare dissolse ogni paura. |
38 | Servi mehercule mei si me isto pacto metuerent, ut te metuunt omnes cives tui, domum meam relinquendam putarem; tu tibi urbem non arbitraris? et, si me meis civibus iniuria suspectum tam graviter atque offensum viderem, carere me aspectu civium quam infestis omnium oculis conspici mallem; tu cum conscientia scelerum tuorum agnoscas odium omnium iustum et iam diu tibi debitum, dubitas, quorum mentes sensusque volneras, eorum aspectum praesentiamque vitare? Si te parentes timerent atque odissent tui neque eos ulla ratione placare posses, ut opinor, ab eorum oculis aliquo concederes.Nunc te patria, quae communis est parens omnium nostrum, odit ac metuit et iam diu nihil te iudicat nisi de parricidio suo cogitare; huius tu neque auctoritatem verebere nec iudicium sequere nec vim pertimesces? Quae tecum, Catilina, sic agit et quodam modo tacita loquitur: 'Nullum iam aliquot annis facinus exstitit nisi per te, nullum flagitium sine te; tibi uni multorum civium neces, tibi vexatio direptioque sociorum inpunita fuit ac libera; tu non solum ad neglegendas leges et quaestiones, verum etiam ad evertendas perfringendasque valuisti. Superiora illa, quamquam ferenda non fuerunt, tamen, ut potui, tuli; nunc vero me totam esse in metu propter unum te, quicquid increpuerit, Catilinam timeri, nullum videri contra me consilium iniri posse, quod a tuo scelere abhorreat, non est ferendum. Quam ob rem discede atque hunc mihi timorem eripe; si est verus, ne opprimar, sin falsus, ut tandem aliquando timere desinam. | Per Ercole se i miei servi a queste condizioni temessero me come tutti i tuoi concittadini temono te, io dovrei ritenere di dover abbandonare la mia casa; tu non ritieni di dover abbandonare la città? E se vedessi me stesso sospetto di tradimento da parte dei miei cittadini e anche tanto gravemente offeso, preferirei privarmi della vista dei cittadini piuttosto che essere osservato dagli occhi ostili di tutti; una volta che tu, con la consapevolezza dei tuoi delitti riconosca che l’odio di tutti è giusto e già da tempo meritato, dubiti, di potere evitare lo sguardo e la presenza di coloro di cui tu feristi le menti ed i sensi? Se i tuoi parenti ti temessero e ti odiassero e se tu non potessi placarli in nessun modo, come credo, te ne andresti in qualche luogo lontano dai loro occhi. Dunque la tua patria, la quale è la genitrice comune di tutti noi, ti odia e ti teme, e già da tempo giudica che tu pensi a nient’altro che al sul suo matricidio; di questa tu non temerai l’autorità non ti atterrai al suo giudizio non temerai la sua forza? Questa, o Catilina, con te si comporta in questo modo e in un certo qual modo tacita dice: “Già da alcuni anni non viene realizzato nessun delitto, se non per opera tua; nessuna scelleratezza senza di te; per te solo l’uccisione di molti cittadini, per te il maltrattamento e il saccheggio degli alleati furono impuniti e permessi; tu sei stato capace non solo di trascurare le leggi e le cause giudiziarie, ma anche in verità di rovesciarle e di infrangerle. Quelle azioni che hai commesso in passato, benché non dovessero essere tollerate, tuttavia, io le ho sopportate come ho potuto; ora in verità non si deve sopportare che io sia totalmente nel terrore solo a causa tua, che qualunque cosa faccia rumore, Catilina debba essere temuto, e che nessun piano possa essere ordito contro di me, che sia estraneo alla tua malvagità. Perciò vattene e liberami così da questo timore; se è vero, (vattene) affinché io non sia oppressa, se è falso che io smetta una buona volta di temere”. |
107 | Ego minus saepe do ad vos litteras, quam possum, propterea quod cum omnia mihi tempora sunt misera, tum vero, cum aut scribo ad vos aut vestras lego, conficior lacrimis sic, ut ferre non possim. Quod utinam minus vitae cupidi fuissemus! Certe nihil aut non multum in vita mali vidissemus. Quod si nos ad aliquam alicuius commodi aliquando recuperandi spem fortuna reservavit, minus est erratum a nobis; si haec mala fixa sunt, ego vero te quam primum, mea vita, cupio videre et in tuo complexu emori, quoniam neque di, quos tu castissime coluisti, neque homines, quibus ego semper servivi, nobis gratiam rettulerunt. | Io vi invio lettere meno spesso di quanto potrei, proprio perché da una parte tutti i tempi sono a me infelici, dall’altra perché quando o vi scrivo o leggo (le vostre lettere) mi consumo dalle lacrime, tanto che non riesco a sopportarlo. Volesse il cielo che fossimo stati meno desiderosi della vita. Certamente durante la vita non avremmo visto niente di male. Perché se la sorte ci ha riservato per qualche speranza di recuperare un giorno un qualche vantaggio, io ho sbagliato di meno; se queste sventure sono immutabili, io in verità desidero vederti quanto prima, vita mia, e morire tra le tue braccia, dal momento che né gli dei, che tu hai venerato assai pienamente, né gli uomini, ai quali io ho sempre servito, ci hanno mostrato gratitudine. |
178 | Omnis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit. Sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est; animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, alterum cum beluis commune est. Quo mihi rectius videtur ingeni quam virium opibus gloriam quaerere et, quoniam vita ipsa qua fruimur brevis est, memoriam nostri quam maxume longam efficere.Nam divitiarum at formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur. Sed diu magnum inter mortalis certamen fuit vine corporis an virtute animi res militaris magis procederet. Nam et prius quam incipias consulto et, ubi consuleris, mature facto opus est. Ita utrumque per se indigens alterum alterius auxilio eget. | Conviene a tutti gli uomini che aspirano ad essere superiori a tutte le altre creature sforzarsi con ogni mezzo, affinché non trascorrano una vita nell’oblio come le pecore che la natura modellò prone e sottomesse al ventre. Ma tutto il nostro valore si trova nell’animo e nell’anima; usiamo più l’animo come guida ed il corpo come schiavo; uno ci rende simile agli dei, l’altro alle bestie per la qual cosa mi sembra più giusto ottenere la fama con le risorse dell’intelligenza che con quelle della forza, e poiché la vita stessa nella quale ci dilettiamo è breve, e rendere il ricordo di noi il più durevole possibile. Infatti la gloria della ricchezza e della ricchezza è instabile e fragile, il valore si ha eterno e famoso. Ma ci fu a lungo una discussione tra gli uomini se fosse migliore l’arte militare, la forza del corpo o il valore dell’animo. Infatti è necessario sia prima di iniziare a riflettere non appena decidete, ed è necessario agire presto. Così ognuna non sufficiente di per sé stessa necessità l’una dell’altra. |
342 | Hunc Labienus excepit et, cum Caesaris copias despiceret, Pompei consilium summis laudibus efferret, "noli," inquit, "existimare, Pompei, hunc esse exercitum, qui Galliam Germaniamque devicerit. Omnibus interfui proeliis neque temere incognitam rem pronuntio. Perexigua pars illius exercitus superest; magna pars deperiit, quod accidere tot proeliis fuit necesse, multos autumni pestilentia in Italia consumpsit, multi domum discesserunt, multi sunt relicti in continenti.An non audistis ex eis, qui per causam valetudinis remanserunt, cohortes esse Brundisi factas? Hae copiae, quas videtis, ex dilectibus horum annorum in citeriore Gallia sunt refectae, et plerique sunt ex coloniis Transpadanis. Ac tamen quod fuit roboris duobus proeliis Dyrrachinis interiit." Haec cum dixisset, iuravit se nisi victorem in castra non reversurum reliquosque, ut idem facerent, hortatus est. Hoc laudans Pompeius idem iuravit; nec vero ex reliquis fuit quisquam, qui iurare dubitaret. Haec cum facta sunt in consilio, magna spe et laetitia omnium discessum est; ac iam animo victoriam praecipiebant, quod de re tanta et a tam perito imperatore nihil frustra confirmari videbatur. | Dopo di lui prese la parola Labieno e, guardando le truppe di Cesare, portando alle stelle il progetto di Pompeo, disse: "Non credere, o Pompeo, che questo sia l'esercito che ha vinto la Gallia e la Germania. In tutte quelle battaglie fui presente e non espongo alla leggera una cosa sconosciuta. Una piccola parte di quell’esercito sopravvive, la maggior parte è andata perduta, cosa che fu inevitabile che accadesse in tanti combattimenti, la pestilenza autunnale ha consumato molti (veterani) in Italia, molti sono andati a casa; molti sono rimasti sul continente. O non avete sentito da quelli che sono rimasti a causa di una malattia che le coorti sono state reclutate a Brindisi? Queste truppe che vedete ora, sono costituite con nuove leve di questi anni (raccolte) nella Gallia Citeriore e sono per la maggior parte da colonie transpadane. E tuttavia ciò che nell'esercito vi fu di forza perì con due battaglie a Durazzo". Dopo aver detto ciò, giurò che non sarebbe ritornato nell'accampamento se non da vincitore, ed esortò gli altri a fare lo stesso. Pompeo lodando ciò giurò lo stesso; e in verità non vi fu nessuno degli altri che esitasse a giurare. Dopo aver fatto queste cose nell'assemblea, ci si ritirò (nelle tende) con grande speranza e felicità; e già nell’animo pregustavano la vittoria, poiché sembrava che non fossero rincorati invano in una materia tanto importante e da un generale tanto esperto. |
734 | Caesar acceptis litteris hora circiter XI diei statim nuntium in Bellovacos ad M. Crassum quaestorem mittit, cuius hiberna aberant ab eo milia passuum XXV; iubet media nocte legionem proficisci celeriterque ad se venire. Exit cum nuntio Crassus. Alterum ad Gaium Fabium legatum mittit, ut in Atrebatium fines legionem adducat, qua sibi iter faciendum sciebat. Scribit Labieno, si rei publicae commodo facere posset, cum legione ad fines Nerviorum veniat.Reliquam partem exercitus, quod paulo aberat longius, non putat exspectandam; equites circiter quadringentos ex proximis hibernis colligit. | Cesare, ricevuta la lettera verso le cinque di pomeriggio, invia immediatamente nelle terre dei Bellovaci un messaggero al questore M. Crasso, il cui campo invernale distava circa venticinque miglia; gli ordina di mettersi in marcia con la legione a mezzanotte e di raggiungerlo in fretta. Crasso lascia il campo con l'emissario. Cesare ne invia un altro al legato C. Fabio e gli comunica di guidare la legione nei territori degli Atrebati, da dove sapeva di dover transitare. Scrive a Labieno di venire con la legione nelle terre dei Nervi, se la sua partenza non era di danno per gli interessi di Roma. Ritiene di non dover aspettare il resto dell'esercito, stanziato un po' troppo lontano; dai campi invernali più vicini raccoglie circa quattrocento cavalieri. |
53 | Invenit calvus forte in trivio pectinem.Accessit alter aeque defectus pilis."Heia!" inquit,"in commune quodcumque est lucri".Ostendit ille praedam et adiecit simul:"Superum voluntas favit; sed fato invidocarbonem, ut aiunt, pro thesauro invenimus".Quem spes delusit, huic querela convenit. | Un calvo trovò per caso un pettine.Gli si accostò un altro ugualmente senza capelli."ehy" disse, "facciamo a metà qualunque sia il guadagno".Mostrò a lui il bottino e aggiunse nello stesso momento:"La volontà dei supremi fu favorevole; ma per un destino avverso,come dicono, invece di un tesoro trovammo il carbone".Tale lamento si addice, a colui che la speranza deluse. |
278 | Paene insularum, Sirmio, Insularumqueocelle, quascumque in liquentibus stagnismarique vasto fert uterque neptunus,quam te libenter quamque laetus inviso,vix mi ipse credens Thyniam atque Bithynosliquisse campos et videre te in tuto.O quid solutis est beatius curis,cum mens onus reponit, ac peregrinolabore fessi venimus larem ad nostrum,desideratoque acquiescimus lecto?Hoc est quod unum est pro laboribus tantis.Salve, o venusta Sirmio, atque ero gaudegaudente; vosque, o Lydiae lacus undae,ridete quidquid est dome cachinnorum. | Sirmione, perla delle penisole e delle isole,di tutte quante, sulla distesa di un lago trasparente o del maresenza confini, offre il Nettuno delle acque dolci e delle salate,con quale piacere, con quale gioia torno a rivederti;a stento mi persuado d'avere lasciato la Tinia e le contrade di Bitinta,e di poterti guardare in tutta pace.Ma c'è cosa più felice dell'essersi liberato dagli affanni,quando la mente depone il fardello e stanchidi un viaggio in straniere regioni siamo tornati al nostro focolaree ci stendiamo nel letto desiderato?Questa, in cambio di tante fatiche, è l'unica soddisfazione.Salve, amabile Sirmione, festeggia il padrone,e voi, onde del lago di Lidia, festeggiatelo:voglio da voi uno scroscio di risate, di tutte le risate che avete. |
891 | His tum cognitis rebus amici regis, qui propter aetatem eius in procuratione erant regni, sive timore adducti, ut postea praedicabant, sollicitato exercitu regio ne Pompeius Alexandriam Aegyptumque occuparet, sive despecta eius fortuna, ut plerumque in calamitate ex amicis inimici exsistunt, his, qui erant ab eo missi, palam liberaliter responderunt eumque ad regem venire iusserunt; ipsi clam consilio inito Achillam, praefectum regium, singulari hominem audacia, et L.Septimium, tribunum militum, ad interficiendum Pompeium miserunt. Ab his liberaliter ipse appellatus et quadam notitia Septimii productus, quod bello praedonum apud eum ordinem duxerat, naviculam parvulam conscendit cum paucis suis: ibi ab Achilla et Septimio interficitur. Item L. Lentulus comprehenditur ab rege et in custodia necatur. | Allora, venuti a conoscenza di queste cose, gli amici del re che per la giovane età del fanciullo avevano la reggenza del regno, sia perché spinti dal timore, come poi andavano dicendo, che Pompeo, sobillato l'esercito regio, occupasse Alessandria e l'Egitto, sia per disprezzo della sorte di Pompeo, infatti in genere nella disgrazia gli amici diventano nemici, risposero ai messi inviati da Pompeo con apparente cortesia, invitandolo a venire dal re. Ma, tenuto un consiglio segreto, inviarono Achilla, prefetto regio, uomo di singolare audacia, e L. Settimio, tribuno militare, a ucciderlo. Pompeo, avvicinato in modo cortese da costoro e incoraggiato da un certo rapporto di confidenza con Settimio, poiché durante la guerra piratica costui aveva guidato un reparto del suo esercito, salì con pochi dei suoi su una piccola nave; qui viene ucciso da Achilla e da Settimio. Parimenti L. Lentulo viene fatto catturare dal re e ucciso in carcere. |
690 | Reversus ille eventus belli non ignorans unum, quod cohortes ex statione et praesidio essent emissae, questus ne minimo quidem casu locum relinqui debuisse, multum fortunam in repentino hostium adventu potuisse iudicavit, multo etiam amplius, quod paene ab ipso vallo portisque castrorum barbaros avertisset. Quarum omnium rerum maxime admirandum videbatur, quod Germani, qui eo consilio Rhenum transierant, ut Ambiorigis fines depopularentur, ad castra Romanorum delati optatissimum Ambiorigi beneficium obtulerunt. | Appena rientrato, Cesare, ben sapendo come vanno le cose in guerra, si lamentò solo di un fatto, che le coorti fossero state spedite fuori dalla guarnigione e dal presidio: non bisognava lasciare al caso il benché minimo spazio. Giudicò determinante il ruolo della Fortuna nel repentino attacco nemico, ma ancor più nel respingere i barbari quasi dal vallo e dalle porte dell'accampamento. Tra tutte le circostanze, però, la più singolare gli parve che i Germani, varcato il Reno con l'intenzione di saccheggiare i territori di Ambiorige, si fossero, poi, volti contro l'accampamento dei Romani, rendendo ad Ambiorige stesso il beneficio più desiderato. |
801 | Tunc duces principesque Nerviorum qui aliquem sermonis aditum causamque amicitiae cum Cicerone habebant colloqui sese velle dicunt. Facta potestate eadem quae Ambiorix cum Titurio egerat commemorant: omnem esse in armis Galliam; Germanos Rhenum transisse; Caesaris reliquorumque hiberna oppugnari. Addunt etiam de Sabini morte: Ambiorigem ostentant fidei faciendae causa. Errare eos dicunt, si quidquam ab his praesidi sperent, qui suis rebus diffidant; sese tamen hoc esse in Ciceronem populumque Romanum animo, ut nihil nisi hiberna recusent atque hanc inveterascere consuetudinem nolint: licere illis incolumibus per se ex hibernis discedere et quascumque in partes velint sine metu proficisci.Cicero ad haec unum modo respondit: non esse consuetudinem populi Romani accipere ab hoste armato condicionem: si ab armis discedere velint, se adiutore utantur legatosque ad Caesarem mittant; sperare pro eius iustitia, quae petierint, impetraturos. | Allora i capi e i principi dei Nervi, che avevano possibilità di contatto con Cicerone per ragioni di amicizia, gli chiedono un colloquio ed egli lo concede. Descrivono la situazione negli stessi termini in cui Ambiorige l'aveva presentata a Titurio: tutta la Gallia era in armi; i Germani avevano attraversato il Reno; il campo di Cesare e tutti gli altri erano sotto assedio. Riferiscono anche la morte di Sabino: la presenza di Ambiorige ne costituiva la prova. Sarebbe stato un errore aspettare rinforzi da chi disperava della propria situazione; tuttavia, contro Cicerone e il popolo romano non avevano alcun risentimento, solo non accettavano più quartieri d'inverno nei loro territori e non intendevano che tale abitudine si radicasse; concedevano ai Romani la possibilità di lasciare il campo sani e salvi e di recarsi, senza alcun timore, dovunque volessero. A tali parole Cicerone risponde semplicemente che non era consuetudine del popolo romano accettare condizioni da un nemico armato; se avessero acconsentito a deporre le armi, prometteva il suo appoggio per l'invio di messi a Cesare: sperava, dato il senso di giustizia del comandante, che avrebbero viste esaudite le loro richieste. |
496 | Caesar, etsi discessum hostium animadvertere non poterat incendiis oppositis, tamen id consilium cum fugae causa initum suspicaretur, legiones promovet, turmas mittit ad insequendum; ipse veritus insidias, ne forte in eodem loco subsistere hostis atque elicere nostros in locum conaretur iniquum, tardius procedit. Equites cum intrare fumum et flammam densissimam timerent ac, si qui cupidius intraverant, vix suorum ipsi priores partes animadverterent equorum, insidias veriti liberam facultatem sui recipiendi Bellovacis dederunt.Ita fuga timoris simul calliditatisque plena sine ullo detrimento milia non amplius decem progressi hostes loco munitissimo castra posuerunt. Inde cum saepe in insidiis equites peditesque disponerent, magna detrimenta Romanis in pabulationibus inferebant. | Cesare, anche se non aveva potuto vedere la ritirata dei nemici per le fiamme che gli si paravano dinnanzi, sospettava comunque che lo stratagemma servisse a una fuga. Perciò, fa avanzare le legioni e lancia all'inseguimento gli squadroni di cavalleria. Temendo, però, un'imboscata, nel caso che i nemici fossero rimasti nella loro posizione e cercassero solo di attirare i nostri in una zona svantaggiosa, procede con una certa lentezza. I cavalieri non osavano spingersi nella densissima cortina di fumo e di fiamme; se qualcuno vi era entrato per l'eccessivo slancio, vedeva a stento la testa del proprio cavallo; temendo, dunque, un agguato, lasciarono che i Bellovaci si ritirassero senza difficoltà. Così, dopo una fuga dettata dal timore, ma al contempo piena di astuzia, senza aver subito alcuna perdita, i nemici procedettero per non più di dieci miglia e si attestarono in una zona ben munita. Da lì, appostandosi di continuo con i cavalieri e i fanti, infliggevano gravi perdite ai Romani in cerca di foraggio. |
680 | In omni Gallia eorum hominum, qui aliquo sunt numero atque honore, genera sunt duo. Nam plebes paene servorum habetur loco, quae nihil audet per se, nullo adhibetur consilio. Plerique, cum aut aere alieno aut magnitudine tributorum aut iniuria potentiorum premuntur, sese in servitutem dicant nobilibus: in hos eadem omnia sunt iura, quae dominis in servos. Sed de his duobus generibus alterum est druidum, alterum equitum. Illi rebus divinis intersunt, sacrificia publica ac privata procurant, religiones interpretantur: ad hos magnus adulescentium numerus disciplinae causa concurrit, magnoque hi sunt apud eos honore.Nam fere de omnibus controversiis publicis privatisque constituunt, et, si quod est admissum facinus, si caedes facta, si de hereditate, de finibus controversia est, idem decernunt, praemia poenasque constituunt; si qui aut privatus aut populus eorum decreto non stetit, sacrificiis interdicunt. Haec poena apud eos est gravissima. Quibus ita est interdictum, hi numero impiorum ac sceleratorum habentur, his omnes decedunt, aditum sermonemque defugiunt, ne quid ex contagione incommodi accipiant, neque his petentibus ius redditur neque honos ullus communicatur. His autem omnibus druidibus praeest unus, qui summam inter eos habet auctoritatem. Hoc mortuo aut si qui ex reliquis excellit dignitate succedit, aut, si sunt plures pares, suffragio druidum, nonnumquam etiam armis de principatu contendunt. Hi certo anni tempore in finibus Carnutum, quae regio totius Galliae media habetur, considunt in loco consecrato. Huc omnes undique, qui controversias habent, conveniunt eorumque decretis iudiciisque parent. Disciplina in Britannia reperta atque inde in Galliam translata esse existimatur, et nunc, qui diligentius eam rem cognoscere volunt, plerumque illo discendi causa proficiscuntur. | 1. In tutta la Gallia (ci) sono due caste di uomini, che sono stimati in qualche conto e considerazione (che sono in qualche conto e considerazione). Infatti la plebe è considerata quasi come gli schiavi (quasi a titolo di schiavi), che non osa niente da sé (che non prende iniziative da sola), che non è ammessa a nessuna decisione.2. I più (la maggior parte dei plebei) quando sono oppressi o da debiti o dalla pesantezza dei tributi (le tasse) o dalla prepotenza dei più potenti, si riducono (da sé) in schiavitù (“sese”come rafforzativo di “se”). Tutti i nobili hanno gli stessi diritti (“tutti i diritti sono ai nobili” → uso del dativo di possesso) verso questi, che i padroni hanno (“che sono ai padroni” → ancora uso del dativo di possesso) nei confronti degli schiavi.3. Dunque tra queste due classi una è quella dei Druidi e l’altra è quella dei cavalieri.4. I Druidi (quelli) partecipano ai riti divini (cose religiose), provvedono ai sacrifici pubblici e privati, spiegano la religione. Un gran numero di giovani accorre da questi (sottointeso “I druidi”) per l’apprendimento (liberamente “per apprendere”, sotto forma di finale) e questi sono di grande onore (“sono tenuti in grande onore”) presso di loro.5. Infatti generalmente prendono decisioni (come giudici) riguardo controversie pubbliche e tra cittadini privati, e se c’è dibattito sull’eredità, sui confini, se qualcosa (“quod “ sta per “aliquod”) fu un crimine commesso, se un’uccisione fu compiuta, i Druidi decidono, determinano i risarcimenti e le pene.6. Se qualcuno non si attiene alla loro decisione, o privato cittadino o popolo, lo escludono dai sacrifici. Questa pena è gravissima presso i Galli.7. Coloro che son stati così interdetti, questi sono prontamente considerati come degli scellerati ed empi, da questi tutti si allontanano, (tutti) evitano il loro incontro e conversazione, per non ricevere qualche cosa di dannoso dal contatto (con questi), né la legge restituisce (la giustizia) a quelli, se la chiedono, né viene conferita loro alcuna carica.8. Su tutti questi druidi, poi, uno è a capo, il quale tra loro (tutti) ha la massima autorevolezza.9. Quando questo muore (Essendo questo morto: sottinteso “Il capo dei Druidi) o, se qualcuno spicca tra i rimanenti in dignità, ne prende il posto o, se ci sono diversi pari (per grado o dignità), (la successione) è decisa dal voto dei Druidi; talvolta anche con le armi lottano per il primato.10. I Druidi in un periodo dell’anno stabilito entro i confini dei Carnuti, che è ritenuta la regione che è il centro della Gallia, si radunano (in assemblea) in un bosco sacro (in un luogo consacrato). Qua tutti quelli che hanno controversie, accorrono da ogni parte e obbediscono alle loro (dei Druidi) sentenze e ai loro giudizi.11. La dottrina (dei Druidi) che si pensa sia stata inventata in Britannia e poi (sia stata) trasportata in Gallia,12. e tuttora chi la (la disciplina) vuole conoscere, per lo più, per apprenderla, va in Britannia. |
961 | Ipse hibernis peractis contra consuetudinem in Italiam quam maximis itineribus est profectus, ut municipia et colonias appellaret, quibus M. Antoni quaestoris sui, commendaverat sacerdoti petitionem. Contendebat enim gratia cum libenter pro homine sibi coniunctissimo, quem paulo ante praemiserat ad petitionem, tum acriter contra factionem et potentiam paucorum, qui M. Antoni repulsa Caesaris decedentis gratiam convellere cupiebant. Hunc etsi augurem prius faetum quam Italiam attingeret in itinere audierat, tamen non minus iustam sibi causam municipia et colonias adeundi existimavit, ut eis gratias ageret, quod frequentiam atque officium suum Antonio praestitissent, simulque se et honorem suum sequentis anni commendaret, propterea quod insolenter adversarii sui gloriarentur L.Lentulum et C. Marcellum consules creatos qui omnem honorem et dignitatem Caesaris spoliarent, ereptum Ser. Galbae consulatum, cum is multo plus gratia suffragiisque valuisset, quod sibi coniunctus et familiaritate et consuetudine legationis esset. | Alla fine dell'inverno, contro la sua abitudine, si diresse a marce forzate in Italia, per rivolgersi ai municipi e alle colonie, a cui aveva raccomandato la candidatura al sacerdozio di M. Antonio, suo questore. Da un lato, ben volentieri faceva valere tutto il suo prestigio per un uomo a lui così legato, che poco prima aveva mandato a presentare la sua candidatura; dall'altro voleva colpire duramente il potente partito di quei pochi che, con una sconfitta elettorale di M. Antonio, desideravano minare l'autorità di Cesare, allo scadere della sua carica. E anche se durante il viaggio, prima di giungere in Italia, aveva saputo che M. Antonio era stato eletto augure, stimò di avere, nondimeno, un buon motivo per visitare i municipi e le colonie, perché voleva ringraziarli di aver accordato ad Antonio il loro favore con un'affluenza davvero massiccia. Allo stesso tempo voleva raccomandare la propria candidatura per il consolato dell'anno successivo, visto che i suoi avversari con insolenza menavano vanto sia per l'elezione di L. Lentulo e C. Marcello, creati consoli, al solo scopo di spogliare Cesare di ogni carica e dignità, sia di aver sottratto il consolato a Ser. Galba, che, nonostante godesse di maggior credito e avesse raccolto più voti, era stato escluso per i suoi vincoli di parentela con Cesare e la lunga militanza come suo legato. |
792 | Nacti vacuas ab imperiis Sardiniam Valerius, Curio Siciliam, cum exercitibus eo perveniunt. Tubero cum in Africam venisset, invenit in provincia cum imperio Attium Varum; qui ad Auximum, ut supra demonstravimus, amissis cohortibus protinus ex fuga in Africam pervenerat atque eam sua sponte vacuam occupaverat delectuque habito duas legiones effecerat, hominum et locorum notitia et usu eius provinciae nactus aditus ad ea conanda, quod paucis ante annis ex praetura eam provinciam obtinuerat.Hic venientem Uticam navibus Tuberonem portu atque oppido prohibet neque adfectum valetudine filium exponere in terra patitur, sed sublatis ancoris excedere eo loco cogit. | Approfittando dell'assenza di governo, con l'esercito Valerio sbarca in Sardegna, Curione in Sicilia. Quando Tuberone giunge in Africa, trova al governo di questa provincia Azzio Varo; costui, perse le truppe presso Osimo, come si è detto, subito dopo la fuga era sbarcato in Africa e, trovatala senza governatore, di sua testa se ne era impadronito e, fatte le leve, aveva messo insieme due legioni; esperto com'era dei luoghi e degli uomini, pratico della provincia trovò facilmente il modo di intraprendere tali imprese, poiché pochi anni prima, dopo la pretura, ne aveva ottenuto il governo. Varo impedisce l'accesso al porto e alla città a Tuberone che con le navi si avvicinava a Utica, non gli consente neppure lo sbarco del figlio malato, ma lo costringe a levare le ancore e ad allontanarsi da quella zona. |
68 | Omnis homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit. sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est: animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, alterum cum beluis commune est. quo mihi rectius videtur ingeni quam virium opibus gloriam quaerere et, quoniam vita ipsa, qua fruimur, brevis est, memoriam nostri quam maxume longam efficere.nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur. Sed diu magnum inter mortalis certamen fuit, vine corporis an virtute animi res militaris magis procederet. nam et prius quam incipias consulto, et ubi consulueris mature facto opus est. Ita utrumque per se indigens alterum alterius auxilio eget. | Tutti gli uomini che mirano ad emergere sugli altri esseri animati devono impegnarsi con il massimo sforzo, se non vogliono trascorrere l'esistenza oscuri, come delle pecore, che la natura ha creato prone a terra e schiave del ventre. Nell'uomo, peraltro, le facoltà risiedono tanto nell'animo quanto nel corpo: il primo serve da guida, il secondo da strumento, poiché l'animo l'abbiamo in comune con gli dei, il corpo con gli esseri bruti. Perciò mi sembra più giusto cercare la gloria con le doti dell’ intelletto che con la forza fisica e, poiché il tempo che abbiamo da vivere è tanto breve, far si che duri più possibile a lungo avere memoria di noi. Fugace e fragile è la rinomanza che deriva dalla ricchezza e dai pregi del volto, ma la nobiltà dell’ animo splende di vivo lume per sempre. Molto s'è dibattuto e a lungo tra i mortali se la scienza militare dipenda dal vigore fisico o dall'intelletto. A ben guardare, prima d'intraprendere un'azione è necessario riflettere e poi agire prontamente; sicché sia al pensiero sia all'azione che soli, sono inadeguati, ed è necessario l'ausilio reciproco. |
370 | Prima luce, cum summus mons a Labieno teneretur, ipse ab hostium castris non longius mille et quingentis passibus abesset, neque, ut postea ex captivis comperit, aut ipsius adventus aut Labieni cognitus esset, Considius equo admisso ad eum accurrit, dicit montem, quem a Labieno occupari voluerit, ab hostibus teneri: id se a Gallicis armis atque insignibus cognovisse. Caesar suas copias in proximum collem subducit, aciem instruit. Labienus, ut erat ei praeceptum a Caesare, ne proelium committeret, nisi ipsius copiae prope hostium castra visae essent, ut undique uno tempore in hostes impetus fieret, monte occupato nostros expectabat proelioque abstinebat.Multo denique die per exploratores Caesar cognovit et montem a suis teneri et Helvetios castra movisse et Considium timore perterritum, quod non vidisset, pro viso sibi renuntiavisse. Eo die quo consuerat intervallo hostes sequitur et milia passuum tria ab eorum castris castra ponit. | Alla prima luce, quando la sommità del monte era occupata da Tito Labieno, egli stesso era lontano dall'accampamento dei nemici non più di mille e cinquecento passi, né la venuta o di lui stesso o di Labieno era stata sospettata, come seppe successivamente dai prigionieri, Considio accorre a lui a cavallo lanciato (a briglia sciolte), dice che il colle che avrebbe voluto che fosse occupato da Labieno, era occupato dai nemici: che aver capito ciò dalle armi e dalle insegne gallici. Cesare ritira le sue truppe sul colle vicino, ordina lo schieramento di battaglia. Labieno, come era stato ordinato a lui da Cesare, che non attaccasse battaglia, se le sue truppe non fossero state viste già vicino all'accampamento dei nemici, affinché l’impeto si facesse contro i nemici da tutte le parti ad un tempo, dopoché il monte era stato occupato, attendeva i nostri e si asteneva dal combattere. Finalmente, a giorno già molto inoltrato, Cesare seppe mediante gli esploratori che il monte era occupato dai suoi, che gli Elvezi avevano mosso il campo, e che Considio, sconvolto dalla paura, aveva riferito a lui per cosa veduta ciò che non aveva veduto. In quel giorno (Cesare) tiene dietro ai nemici alla distanza cui era solito, e pone il campo tre miglia dal campo di quelli. |
592 | Eo cum de improviso celeriusque omnium opinione venisset, Remi, qui proximi Galliae ex Belgis sunt, ad eum legatos Iccium et Andebrogium, primos civitatis, miserunt, qui dicerent se suaque omnia in fidem atque potestatem populi Romani permittere, neque se cum reliquis Belgis consensisse neque contra populum Romanum coniurasse, paratosque esse et obsides dare et imperata facere et oppidis recipere et frumento ceterisque rebus iuvare; reliquos omnes Belgas in armis esse, Germanosque qui cis Rhenum incolant sese cum his coniunxisse, tantumque esse eorum omnium furorem ut ne Suessiones quidem, fratres consanguineosque suos, qui eodem iure et isdem legibus utantur, unum imperium unumque magistratum cum ipsis habeant, deterrere potuerint quin cum iis consentirent. | Il suo arrivo fu improvviso e più rapido di ogni previsione. I Remi, il popolo belga più vicino alla Gallia, gli inviarono in veste di ambasciatori Iccio e Andocumborio, i più insigni tra i cittadini: si ponevano con tutti i loro beni sotto la protezione e l'autorità del popolo romano; non avevano condiviso i sentimenti degli altri Belgi, né aderito alla lega contro Roma; erano pronti a consegnare ostaggi, a eseguire gli ordini, ad accogliere i soldati romani nelle loro città. a rifornirli di grano e di tutto il necessario; gli altri Belgi erano già in armi e a essi si erano uniti i Germani stanziati al di qua dei Reno; li aveva presi tutti una smania e follia tale, che i Remi non erano riusciti a dissuadere neanche i Suessioni, dei fratelli, dei consanguinei: eppure avevano in comune leggi e diritto, dipendevano da un unico comandante militare e magistrato civile. |
169 | Vides ut alta stet nive candidumSoracte, nec iam sustineant onussilvae laborantes, geluqueflumina constiterint acuto.Dissolve frigus ligna super focolarge reponens atque benigniusdeprome quadrimum Sabina, o Taliarcopermitte divis cetera, qui simulstravere ventos aequore fervidodeproeliantis, nec cupressinec veteres agitantur orni.Quid sit futurum cras fuge quaerere etquem Fors dierum cumque dahit lucroappone, nec dulcis amoressperne puer neque tu choreas,donec virenti canities abestmorosa.Nunc et campus et areaelenesque sub noctem susurricomposita repetantur hora,nunc et latentis proditor intimogratus puellae risus ab angulopignusque dereptum lacertisaut digito male pertinaci. | Vedi come sta bianco per la neveil Soratte e non sostengono più il peso della nevele selve sofferenti, e per il geloi fiumi si sono fermati.Allontana il freddo ponendo abbondantemente legno sul fuocoversa il vino di quattro anni dell’anfora sabina o Taliarcolascia agli dei tutto il resto, loro che appenahanno abbattuto i venti che infuriavano sul mare ribollentené i cipressiné i vecchi sono più agitati.Evita di chiedere cosa accadrà domaniqualsiasi giorno dia la sorte consideralo un guadagnonon disprezzare finchè sei giovanedolci amori e danzefinchè la vecchiaia brontolona è lontana dai tuoi anni virenti.Ora si cerchi il campo marzio e le piazzeall’ora stabilita e i sussurri leggerisul far della notteora si cerchi il sorriso graditoche dall’angolo più appartato tradisce la ragazza nascostae il pegno strappato da un braccioo da un dito che non resiste sul serio. |
203 | Recognosce tandem mecum noctem illam superiorem; iam intelleges multo me vigilare acrius ad salutem quam te ad perniciem rei publicae. Dico te priore nocte venisse inter falcarios (non agam obscure) in M. Laecae domum; convenisse eodem complures eiusdem amentiae scelerisque socios. Num negare audes? quid taces? Convincam, si negas. Video enim esse hic in senatu quosdam, qui tecum una fuerunt.O di inmortales! ubinam gentium sumus? in qua urbe vivimus? quam rem publicam habemus? Hic, hic sunt in nostro numero, patres conscripti, in hoc orbis terrae sanctissimo gravissimoque consilio, qui de nostro omnium interitu, qui de huius urbis atque adeo de orbis terrarum exitio cogitent! Hos ego video consul et de re publica sententiam rogo et, quos ferro trucidari oportebat, eos nondum voce volnero! Fuisti igitur apud Laecam illa nocte, Catilina, distribuisti partes Italiae, statuisti, quo quemque proficisci placeret, delegisti, quos Romae relinqueres, quos tecum educeres, discripsisti urbis partes ad incendia, confirmasti te ipsum iam esse exiturum, dixisti paulum tibi esse etiam nunc morae, quod ego viverem.Reperti sunt duo equites Romani, qui te ista cura liberarent et sese illa ipsa nocte paulo ante lucem me in meo lectulo interfecturos [esse] pollicerentur. Haec ego omnia vixdum etiam coetu vestro dimisso comperi; domum meam maioribus praesidiis munivi atque firmavi, exclusi eos, quos tu ad me salutatum mane miseras, cum illi ipsi venissent, quos ego iam multis ac summis viris ad me id temporis venturos esse praedixeram. | Rievochiamo insieme i fatti dell’altra notte: capirai subito che sono più risoluto io nel vegliare sulla sicurezza dello Stato che tu sulla rovina. Dico che l’altra notte ti sei recato in via dei Falcarii (non parlerò senza chiarezza) in casa di Leca, dove convennero parecchi complici della stessa follia e scelleratezza. Osi forse negarlo? Te lo dimostrerò, se neghi. Vedo, infatti, che sono qui in senato alcuni che furono insieme a te. O Dei immortali, in che parte del mondo ci troviamo? In che città viviamo? Che governo è il nostro? Qui sono in mezzo a noi, senatori, in questa assemblea che è la più sacra, la più autorevole della terra, quelli che meditano sulla morte di tutti noi, la rovina di questa città e persino del mondo intero. Io, console, li vedo e chiedo il loro parere sui problemi dello stato e non ferisco neppure con la voce coloro che sarebbe stato necessario trucidare con la spada. Dunque, Catilina, ti trovasti presso Leca quella notte; spartisti l’Italia; decidesti dove ti sembrava opportuno che ognuno andasse; scegliesti chi lasciare a Roma, e chi condurre con te; scegliesti le zone della città per gli incendi; confermasti tu stesso che te ne saresti andato ormai; dicesti che avresti aspettato ancora un po’ in quanto ero in vita. Furono trovati due cavalieri romani tali che ti liberassero da questa preoccupazione e promettessero che mi avrebbero ucciso nel mio letto quella stessa notte, poco prima dell’alba. Ho saputo tutto non appena avete sciolto la riunione. Allora ho protetto, difeso casa mia con misure più efficaci; non ho fatto entrare quelli che tu, al mattino, avevi inviato a salutarmi, poiché quelli stessi erano venuti, quelli che avevo già predetto a molti autorevoli cittadini che sarebbero venuti per quell’ora. |
547 | Iam vero eo magis illi maturandum iter existimabant. Itaque duabus auxiliaribus cohortibus Ilerdae praesidio relictis omnibus copiis Sicorim transeunt et cum duabus legionibus, quas superioribus diebus traduxerant, castra coniungunt. Relinquebatur Caesari nihil, nisi uti equitatu agmen adversariorum male haberet et carperet. Pons enim ipsius magnum circuitum habebat, ut multo breviore itinere illi ad Hiberum pervenire possent. Equites ab eo missi flumen transeunt et, cum de tertia vigilia Petreius atque Afranius castra movissent, repente sese ad novissimum agmen ostendunt et magna multitudine circumfusa morari atque iter impedire incipiunt. | Allora invero più che mai i nemici pensavano di dovere affrettare la partenza. E così lasciate due coorti ausiliarie di guardia a Ilerda, con tutte le milizie attraversano il Sicori e si uniscono alle due legioni che l'avevano passato nei giorni precedenti. A Cesare non rimaneva che molestare e assalire con la cavalleria la schiera nemica. Infatti il passaggio sul suo ponte prevedeva un lungo giro, mentre i nemici potevano giungere all'Ebro con un tragitto più breve. I cavalieri inviati da Cesare attraversano il fiume e, quando intorno alla mezzanotte Afranio e Petreio iniziano la marcia, si mostrano all'improvviso alla retroguardia nemica e, sparsisi in gran numero all'intorno, incominciano a creare ostacoli e a impedire la marcia. |
401 | At Drappes unaque Lucterius, cum legiones Caniniumque adesse cognoscerent nec se sine certa pernicie persequente exercitu putarent provinciae fines intrare posse nec iam libere vagandi latrociniorumque faciendorum facultatem haberent, in finibus consistunt Cadurcorum. Ibi cum Lucterius apud suos cives quondam integris rebus multum potuisset, semperque auctor novorum consiliorum magnam apud barbaros auctoritatem haberet, oppidum Vxellodunum, quod in clientela fuerat eius, egregie natura loci munitum, occupat suis et Drappetis copiis oppidanosque sibi coniungit. | Ma Drappete e Lucterio, appreso l'arrivo di Caninio e delle legioni, convinti di non poter entrare in provincia senza andar incontro a una sicura disfatta - tanto più che li inseguiva l'esercito romano - e di non aver più la libera possibilità di spostarsi e di compiere razzie, si fermano nei territori dei Cadurci. Un tempo, quando le cose erano tranquille, Lucterio aveva presso i suoi concittadini grande potere e anche adesso, instancabile fautore di piani di rivolta, godeva tra i barbari di grande autorità. Perciò, con i soldati suoi e di Drappete, occupa la città di Uxelloduno, molto ben protetta per posizione e che era già stata in passato sotto la sua tutela, e guadagna alla sua causa gli abitanti. |
814 | Metropolitae primum eodem usi consilio isdem permoti rumoribus portas clauserunt murosque armatis compleverunt; sed postea casu civitatis Gomphensis cognito ex captivis, quos Caesar ad murum producendos curaverat, portas aperuerunt. Quibus diligentissime conservatis collata fortuna Metropolitum cum casu Gomphensium nulla Thessaliae fuit civitas praeter Larisaeos, qui magnis exercitibus Scipionis tenebantur, quin Caesari parerent atque imperata facerent.Ille idoneum locum in agris nactus, qua prope iam matura frumenta erant, ibi adventum exspectare Pompei eoque omnem belli rationem conferre constituit. | Gli abitanti di Metropoli, presa in un primo tempo la medesima decisione, in quanto indotti dalle medesime voci, chiusero le porte e riempirono le mura di armati, ma in seguito, venuti a conoscenza, da prigionieri che Cesare aveva fatto avvicinare alle mura, di quanto era accaduto a Gonfi, aprirono le porte. Essi vennero trattati con ogni riguardo e quando si confrontò la sorte di Metropoli con la situazione di Gonfi non vi fu nessuna città della Tessaglia, eccetto Larissa, che era occupata da grandi forze di Scipione, che non ubbidisse a Cesare e non ne eseguisse gli ordini. Cesare, trovato nella pianura un luogo adatto al rifornimento di grano, che era ormai quasi maturo, stabilì di attendere qui l'arrivo di Pompeo e di fissarvi il campo operativo militare. |
577 | Caesari cum id nuntiatum esset, eos per provinciam nostram iter facere conari, maturat ab urbe proficisci et quam maximis potest itineribus in Galliam ulteriorem contendit et ad Genavam pervenit. Provinciae toti quam maximum potest militum numerum imperat (erat omnino in Gallia ulteriore legio una), pontem, qui erat ad Genavam, iubet rescindi. Ubi de eius adventu Helvetii certiores facti sunt, legatos ad eum mittunt nobilissimos civitatis, cuius legationis Nammeius et Verucloetius principem locum obtinebant, qui dicerent sibi esse in animo sine ullo maleficio iter per provinciam facere, propterea quod aliud iter haberent nullum: rogare ut eius voluntate id sibi facere liceat.Caesar, quod memoria tenebat L. Cassium consulem occisum exercitumque eius ab Helvetiis pulsum et sub iugum missum, concedendum non putabat; neque homines inimico animo, data facultate per provinciam itineris faciundi, temperaturos ab iniuria et maleficio existimabat. Tamen, ut spatium intercedere posset dum milites quos imperaverat convenirent, legatis respondit diem se ad deliberandum sumpturum: si quid vellent, ad Id. April. reverterentur. | Essendo stato annunciato questo a Cesare, cioè che gli Elvezi tentavano di passare per la nostra provincia, egli si affrettò a partire dalla città e si diresse verso la Gallia Ulteriore, a marce il più possibile forzate e giunse a Ginevra. Ordinò a tutte le province di fornire il numero più grande possibile di soldati - c'era solamente una legione in Gallia Ulteriore; ordinò di tagliare il ponte che era vicino a Ginevra. Quando gli Elvezi vennero informati del suo arrivo, inviarono presso di lui i legati più illustri della città, della cui ambasceria Nammeio e Veruclezio ottenevano il posto di capo, per dire che loro avevano intenzione di passare per la provincia senza alcun cattivo proposito, per il fatto che non avevano nessun'altra via. Lo pregavano di permettere loro di fare ciò con il suo assenso. Cesare, poiché ricordava che il console Lucio Cassio era stato ucciso, e il suo esercito era stato sconfitto dagli Elvezi e soggiogato, non ritenne di dover cedere; e pensava che, se si fosse concesso a uomini di animo ostile la facoltà di passare per la provincia, non si sarebbero astenuti dal recar danno e offesa. Tuttavia, per aspettare finché non arrivassero i soldati che aveva richiesto, rispose che avrebbe preso un giorno per decidere: se volessero una risposta, che tornassero il 13 aprile. |
489 | Labienus primo vineas agere, cratibus atque aggere paludem explere atque iter munire conabatur. Postquam id difficilius confieri animadvertit, silentio e castris tertia vigilia egressus eodem quo venerat itinere Metiosedum pervenit. Id est oppidum Senonum in insula Sequanae positum, ut paulo ante de Lutetia diximus. Deprensis navibus circiter quinquaginta celeriterque coniunctis atque eo militibus iniectis et rei novitate perterritis oppidanis, quorum magna pars erat ad bellum evocata, sine contentione oppido potitur.Refecto ponte, quem superioribus diebus hostes resciderant, exercitum traducit et secundo flumine ad Lutetiam iter facere coepit. Hostes re cognita ab eis, qui Metiosedo fugerant, Lutetiam incendi pontesque eius oppidi rescindi iubent; ipsi profecti a palude ad ripas Sequanae e regione Lutetiae contra Labieni castra considunt. | Labieno prima tentò di spingere in avanti le vinee, di riempire la palude con fascine e zolle e di costruirsi un passaggio. Quando capi che l'operazione era troppo difficile, dopo mezzanotte uscì in silenzio dall'accampamento e raggiunse Metlosedo per la stessa strada da cui era venuto. Metlosedo è una città dei Senoni che sorge su un'isola della Senna, come Lutezia, di cui si è detto. Cattura circa cinquanta navi, le collega rapidamente e imbarca i soldati. Gli abitanti (i pochi rimasti, perché la maggior parte era lontana in guerra) rimangono atterriti dall'evento improvviso: Labieno prende la città senza neppure combattere. Ricostruisce il ponte distrutto dai nemici nei giorni precedenti, guida l'esercito sull'altra sponda e punta su Lutezia, seguendo il corso del fiume. I nemici, avvertiti dai fuggiaschi di Metlosedo, ordinano di incendiare Lutezia e di distruggere i ponti della città. Abbandonano la palude e si attestano lungo le rive della Senna, davanti a Lutezia, proprio di fronte a Labieno. |
32 | Passer, deliciae meae puellae,quicum ludere, quem in sinu tenere,cui primum digitum dare appetentiet acris solet incitare morsus,cum desiderio meo nitentikarum nescio quid libet iocariet solaciolum sui doloris,credo ut tum gravis acquiescat ardor:tecum ludere sicut ipsa possemet tristis animi levare curas! | Passero, delizia della mia ragazza,con il quale gioca, che tiene in seno,a cui dà la punta del dito mentre saltae provoca i tuoi duri morsiquando al mio desiderio, alla mia lucepiace inventare qualche dolce svago,come minimo conforto al suo dolore,credo, affinché allora il suo ardore trovi pace:potessi come lei giocare, con tee alleviare le tristi pene del mio animo! |
174 | "Matrona quaedam Ephesi tam notae erat pudicitiae, ut vicinarum quoque gentium feminas ad spectaculum sui evocaret. Haec ergo cum virum extulisset, non contenta vulgari more funus passis prosequi crinibus aut nudatum pectus in conspectu frequentiae plangere, in conditorium etiam prosecuta est defunctum, positumque in hypogaeo Graeco more corpus custodire ac flere totis noctibus diebusque coepit. Sic adflictantem se ac mortem inedia persequentem non parentes potuerunt abducere, non propinqui; magistratus ultimo repulsi abierunt, complorataque singularis exempli femina ab omnibus quintum iam diem sine alimento trahebat.Adsidebat aegrae fidissima ancilla, simulque et lacrimas commodabat lugenti, et quotienscumque defecerat positum in monumento lumen renovabat."Una igitur in tota civitate fabula erat: solum illud adfulsisse verum pudicitiae amorisque exemplum omnis ordinis homines confitebantur, cum interim imperator provinciae latrones iussit crucibus affigi secundum illam casulam, in qua recens cadaver matrona deflebat. [...] | "A Efeso c’era una matrona di così nota virtù da richiamare anche le donne dei popoli vicini. Questa quindi dopo aver seppellito il marito, non contenta di seguire il cadavere (il funerale) con i capelli sciolti secondo l’usanza comune o di percuotersi il petto nudo al cospetto della folla, seguì il defunto anche nella tomba e cominciò a custodire il corpo posto nella cripta secondo l’usanza greca e a piangere giorno e notte. Così affiggendosi e andando incontro alla mote per fame, né i genitori né i parenti potevano distoglierla. Infine i magistrati andarono via respinti e, compianta da tutti, la donna di singolare esempio trascorreva già il quinto giorno senza cibo. Una fedelissima ancella sedeva accanto alla sofferente, e nello stesso tempo confortava le lacrime a quella della padrona piangente e tutte le volte che la lampada posta sulla tomba si spegneva (veniva meno) la riaccendeva. In tutta la città c’era un solo argomento di conversazione gli uomini di ogni ordine sociale ammettevano che solo quello appariva il vero esempio di virtù e amore, frattanto l’imperatore della provincia ordinò che fossero crocifissi alcuni ladroni nei pressi di quella cappella nella quale la matrona piangeva il morto da poco. [...] |
384 | Itaque confestim dimissis nuntiis ad Ceutrones, Grudios, Levacos, Pleumoxios, Geidumnos, qui omnes sub eorum imperio sunt, quam maximas manus possunt cogunt et de improviso ad Ciceronis hiberna advolant nondum ad eum fama de Tituri morte perlata. Huic quoque accidit, quod fuit necesse, ut nonnulli milites, qui lignationis munitionisque causa in silvas discessissent, repentino equitum adventu interciperentur. His circumventis magna manu Eburones, Nervii, Aduatuci atque horum omnium socii et clientes legionem oppugnare incipiunt.Nostri celeriter ad arma concurrunt, vallum conscendunt. Aegre is dies sustentatur, quod omnem spem hostes in celeritate ponebant atque hanc adepti victoriam in perpetuum se fore victores confidebant. | Così, inviano subito emissari ai Ceutroni, ai Grudi, ai Levaci, ai Pleumoxi, ai Geidumni, tutti popoli sottoposti alla loro autorità, raccolgono quante più truppe possono e piombano all'improvviso sul campo di Cicerone, che ancora non sapeva della morte di Titurio. Anche Cicerone si trova di fronte, com'era inevitabile, all'identica situazione: alcuni legionari, addentratisi nei boschi in cerca di legname per le fortificazioni, vengono colti alla sprovvista dall'arrivo repentino della cavalleria nemica. Dopo averli circondati con ingenti forze, gli Eburoni, i Nervi e gli Atuatuci, con tutti i loro alleati e clienti, stringono d'assedio la legione. I nostri si precipitano alle armi e salgono sul vallo. Per quel giorno riescono a resistere, ma a stento, perché i nemici riponevano ogni speranza nella rapidità dell'attacco ed erano convinti che, ottenuta quella vittoria, sarebbero sempre usciti vincitori. |
393 | Cum per eorum fines triduum iter fecisset, inveniebat ex captivis Sabim flumen a castris suis non amplius milibus passuum X abesse; trans id flumen omnes Nervios consedisse adventumque ibi Romanorum expectare una cum Atrebatibus et Viromanduis, finitimis suis (nam his utrisque persuaserant uti eandem belli fortunam experirentur); expectari etiam ab iis Atuatucorum copias atque esse in itinere; mulieres quique per aetatem ad pugnam inutiles viderentur in eum locum coniecisse quo propter paludes exercitui aditus non esset. | Cesare, dopo tre giorni di marcia nella regione dei Nervi, veniva a sapere dai prigionieri che il fiume Sambre non distava più di dieci miglia dal suo accampamento: al di là del fiume si erano attestati tutti i Nervi e aspettavano l'arrivo dei Romani insieme agli Atrebati e ai Viromandui, loro confinanti (li avevano persuasi, infatti, a tentare la stessa sorte in guerra); attendevano anche le truppe degli Atuatuci, che erano in marcia; le donne e chi, per ragioni d'età, non poteva essere impiegato in guerra, erano stati ammassati in un luogo che le paludi rendevano inaccessibile a un esercito. |
947 | Opere instituto fit equestre proelium in ea planitie, quam intermissam collibus tria milia passuum in longitudinem patere supra demonstravimus. Summa vi ab utrisque contenditur. Laborantibus nostris Caesar Germanos summittit legionesque pro castris constituit, ne qua subito irruptio ab hostium peditatu fiat. Praesidio legionum addito nostris animus augetur: hostes in fugam coniecti se ipsi multitudine impediunt atque angustioribus portis relictis coacervantur.Germani acrius usque ad munitiones sequuntur. Fit magna caedes: nonnulli relictis equis fossam transire et maceriam transcendere conantur. Paulum legiones Caesar quas pro vallo constituerat promoveri iubet. Non minus qui intra munitiones erant perturbantur Galli: veniri ad se confestim existimantes ad arma conclamant; nonnulli perterriti in oppidum irrumpunt. Vercingetorix iubet portas claudi, ne castra nudentur. Multis interfectis, compluribus equis captis Germani sese recipiunt. | Quando i lavori erano già iniziati, le cavallerie vengono a battaglia nella Pianura che si stendeva tra i colli per tre miglia di lunghezza, come abbiamo illustrato. Si combatte con accanimento da entrambe le parti. In aiuto dei nostri in difficoltà, Cesare invia i Germani e schiera le legioni di fronte all'accampamento, per impedire un attacco improvviso della fanteria nemica. Il presidio delle legioni infonde coraggio ai nostri. I nemici sono messi in fuga: numerosi com'erano, si intralciano e si accalcano a causa delle porte, costruite troppo strette. I Germani li inseguono con maggior veemenza fino alle fortificazioni. Ne fanno strage: alcuni smontano da cavallo e tentano di superare la fossa e di scalare il muro. Alle legioni schierate davanti al vallo Cesare ordina di avanzare leggermente. Un panico non minore prende i Galli all'interno delle fortificazioni: pensano a un attacco imminente, gridano di correre alle armi. Alcuni, sconvolti dal terrore, si precipitano in città. Vercingetorige comanda di chiudere le porte, perché l'accampamento non rimanesse sguarnito. Dopo aver ucciso molti nemici e catturato parecchi cavalli, i Germani ripiegano. |
640 | Cum iam muro turres appropinquassent, ex captivis Caesar cognovit Vercingetorigem consumpto pabulo castra movisse propius Avaricum atque ipsum cum equitatu expeditisque, qui inter equites proeliari consuessent, insidiarum causa eo profectum, quo nostros postero die pabulatum venturos arbitraretur. Quibus rebus cognitis media nocte silentio profectus ad hostium castra mane pervenit. Illi celeriter per exploratores adventu Caesaris cognito carros impedimentaque sua in artiores silvas abdiderunt, copias omnes in loco edito atque aperto instruxerunt.Qua re nuntiata Caesar celeriter sarcinas conferri, arma expediri iussit. | Quando già accostavano le torri alle mura, Cesare venne a sapere dai prigionieri che Vercingetorige, terminato il foraggio, aveva spostato il campo e si era avvicinato ad Avarico: alla testa della cavalleria e della fanteria leggera, abituata a combattere tra i cavalieri, si era diretto dove riteneva che il giorno seguente i nostri si sarebbero recati in cerca di foraggio e si apprestava a un'imboscata. Saputo ciò, a mezzanotte Cesare parte in silenzio e giunge al campo nemico la mattina successiva. I Galli, immediatamente informati dell'arrivo di Cesare dagli esploratori, nascosero i carri e le salmerie nel folto dei boschi, poi dispiegarono tutte le truppe in una zona elevata e aperta. Appena lo venne a sapere, Cesare ordinò di radunare in fretta i bagagli e di preparare le armi. |
211 | Omnis homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientia finxit. sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est: animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, alterum cum beluis commune est. quo mihi rectius videtur ingeni quam virium opibus gloriam quaerere et, quoniam vita ipsa, qua fruimur, brevis est, memoriam nostri quam maxume longam efficere.nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur. Sed diu magnum inter mortalis certamen fuit, vine corporis an virtute animi res militaris magis procederet.Nam et prius quam incipias consulto, et ubi consulueris mature facto opus est. Ita utrumque per se indigens alterum alterius auxilio eget. | Si addice a tutti gli uomini, che aspirano a distinguersi dagli altri animali, impegnarsi con tutte le forze per non passare la vita senza far parlare di sé come le bestie, che la natura creò prone e obbedienti al ventre. Ma tutta la nostra forza è situata nell’animo e nel corpo; ci serviamo dell’anima come comandante e del corpo come servo; una parte ci rende simili agli dèi, l’altra alle bestie. Per questo mi sembra più giusto cercare la gloria con le risorse spirituali piuttosto che con quelle fisiche e, poiché la stessa vita della quale godiamo è breve, si deve fare in modo di lasciare un ricordo di noi quant'è possibile duraturo. Infatti il vanto della ricchezza e della bellezza è effimera e fragile, (mentre) la virtù è un possesso eterno. Ma per molto tempo ci fu una grande disputa tra gli uomini se l’arte della guerra avesse miglior esito con la forza o con la virtù dell’animo. Infatti è necessario sia riflettere prima di iniziare sia, una volta deciso, agire rapidamente. Così entrambe le facoltà, di per sé insufficienti, hanno bisogno l’una dell’aiuto dell’altra. |
330 | Pompeius annuum spatium ad comparandas copias nactus, quod vacuum a bello atque ab hoste otiosum fuerat, magnam ex Asia Cycladibusque insulis, Corcyra, Athenis, Ponto, Bithynia, Syria, Cilicia, Phoenice, Aegypto classem coegerat, magnam omnibus locis aedificandam curaverat; magnam imperatam Asiae, Syriae regibusque omnibus et dynastis et tetrarchis et liberis Achaiae populis pecuniam exegerat, magnam societates Carum provinciarum, quas ipse obtinebat, sibi numerare coegerat. | Pompeo, che aveva avuto un intero anno per mettere insieme le truppe, tranquillo poiché in tale periodo non vi era stata guerra e interventi da parte dei nemici, aveva raccolto dall'Asia, dalle isole Cicladi, da Corcira, da Atene, dal Ponto, dalla Bitinia, dalla Siria, dalla Cilicia, dalla Fenicia e dall'Egitto una grande flotta; aveva comandato che un'altra grande flotta fosse costruita in ogni luogo, aveva preteso e ottenuto una considerevole quantità di denaro richiesta in Asia e in Siria e da tutti i re, dinasti e tetrarchi e dai liberi popoli dell'Acaia, aveva costretto le società di cavalieri delle province in suo possesso a versargli una grande quantità di denaro. |
106 | Lugete o Venere set Cupidineset quantum est hominum venustiorum:mortuus est passer meae puellaepasser deliciae meae puellaequem illa amabat plus oculis suisnam erat mellitus et norat (noverat) suam ipsam tam bene quam puella matremnec movebat sese (se) a gremio illiussed circumsiliens modo huc modo illucusque ad solam dominam pipiabatqui (ille) nunc it per iter tenebricosumilluc unde negant quemquam redireat vobis male sit, male tenebrae orciquae devoratis omnia bellamihi abstulisti tam bellum passeremoh factum male! O micelle passer!nunc opera tua ocelli meae puellae flendo rubent turgiduli | Piangete Venere e Amorinie tutti coloro che sono amanti della bellezzaE' morto il passero della mia ragazzadelizia della mia fanciullache amava più dei suoi occhiInfatti era di miele e conosceva la sua padrona tanto bene quanto una fanciulla conosce sua madreE non si muoveva dal suo gremboma saltellando ora qua, ora làcinguettava solo rivolto alla padronaora egli va attraverso un cammino tenebrosolà da dove dicono che nessuno possa ritornareaccidenti a voi (maledetti voi), malvage tenebre dell’orcoche divorate tutte le cose bellemi avete tolto un passero così bellooh che disgrazia! Povero passerotto!ora per colpa tua gli occhietti della mia ragazza con il pianto diventano rossi e gonfi |
727 | Postero die duces adversariorum perturbati, quod omnem rei frumentariae fluminisque Hiberi spem dimiserant, de reliquis rebus consultabant. Erat unum iter, Ilerdam si reverti vellent; alterum, si Tarraconem peterent. Haec consiliantibus eis nuntiantur aquatores ab equitatu premi nostro. Qua re cognita crebras stationes disponunt equitum et cohortium alariarum legionariasque intericiunt cohortes vallumque ex castris ad aquam ducere incipiunt, ut intra munitionem et sine timore et sine stationibus aquari possent.Id opus inter se Petreius atque Afranius partiuntur ipsique perficiundi operis causa longius progrediuntur. Il giorno successivo i capi degli avversari, assai sconvolti perché avevano perduto ogni speranza di potere fare approvvigionamenti e di raggiungere il fiume Ebro, si consultano su ciò che rimaneva da fare. Vi era una strada, se volevano, per ritornare a Ilerda, un'altra per raggiungere Tarragona. | Mentre stavano deliberando su ciò viene riferito che i cercatori di acqua sono incalzati dalla nostra cavalleria. Saputa la cosa, predispongono numerosi posti di guardia di cavalleria e di truppe ausiliarie e fra di essi collocano coorti di legionari; incominciano a costruire un vallo dall'accampamento in direzione delle sorgenti per potersi procurare acqua entro la fortificazione, senza paura e senza creare posti di guardia. Petreio e Afranio si dividono fra di loro il lavoro e per portare a compimento l'opera si allontanano alquanto dall'accampamento. |
399 | Id vero militibus fuit pergratum et iucundum, ut ex ipsa significatione cognosci potuit, ut, qui aliquid iusti incommodi exspectavissent, ultro praemium missionis ferrent. Nam cum de loco et tempore eius rei controversia inferretur, et voce et manibus universi ex vallo, ubi constiterant, significare coeperunt, ut statim dimitterentur, neque omni interposita fide firmum esse posse, si in aliud tempus differretur. Paucis cum esset in utramque partem verbis disputatum, res huc deducitur, ut ei, qui habeant domicilium aut possessionem in Hispania, statim, reliqui ad Varum flumen dimittantur; ne quid eis noceatur, neu quis invitus sacramentum dicere cogatur, a Caesare cavetur. | Ai soldati queste parole di Cesare risultarono graditissime e piacevoli, come si poté anche comprendere dai segni esteriori: essi si aspettavano qualche giusto castigo, ottenevano invece, senza richiederlo, il premio del congedo. Infatti quando si discusse del luogo e del tempo del congedo, tutti, e con grida e con gesti delle mani, dal vallo dove si trovavano cominciarono a dare segno di volere essere subito congedati, poiché se, nonostante le assicurazioni date, il congedo fosse stato rimandato ad altro tempo, non potevano averne più sicurezza. Dopo una breve discussione da entrambe le parti, si giunge alla conclusione di congedare subito quelli che avevano domicilio o proprietà in Spagna, gli altri presso il fiume Varo; da parte di Cesare si ha la garanzia che non venga fatto loro alcun danno e che nessuno sia costretto ad arruolarsi contro voglia. |
226 | Nil igitur mors est ad nos neque pertinet hilum,quandoquidem natura animi mortalis habetur.et vel ut ante acto nihil tempore sensimus aegri,ad confligendum venientibus undique Poenis,omnia cum belli trepido concussa tumultuhorrida contremuere sub altis aetheris auris,in dubioque fuere utrorum ad regna cadendumomnibus humanis esset terraque marique,sic, ubi non erimus, cum corporis atque animaidiscidium fuerit, quibus e sumus uniter apti,scilicet haud nobis quicquam, qui non erimus tum,accidere omnino poterit sensumque movere,non si terra mari miscebitur et mare caelo.et si iam nostro sentit de corpore postquamdistractast animi natura animaeque potestas,nil tamen est ad nos, qui comptu coniugioquecorporis atque animae consistimus uniter apti.nec, si materiem nostram collegerit aetaspost obitum rursumque redegerit ut sita nunc est,atque iterum nobis fuerint data lumina vitae,pertineat quicquam tamen ad nos id quoque factum,interrupta semel cum sit repetentia nostri.et nunc nil ad nos de nobis attinet, antequi fuimus, <neque> iam de illis nos adficit angor.nam cum respicias inmensi temporis omnepraeteritum spatium, tum motus materiaimultimodi quam sint, facile hoc adcredere possis,semina saepe in eodem, ut nunc sunt, ordine postahaec eadem, quibus e nunc nos sumus, ante fuisse.nec memori tamen id quimus reprehendere mente;inter enim iectast vitai pausa vagequedeerrarunt passim motus ab sensibus omnes.debet enim, misere si forte aegreque futurumst;ipse quoque esse in eo tum tempore, cui male possitaccidere.id quoniam mors eximit, esseque prohibetillum cui possint incommoda conciliari,scire licet nobis nihil esse in morte timendumnec miserum fieri qui non est posse, neque hilumdifferre an nullo fuerit iam tempore natus,mortalem vitam mors cum inmortalis ademit.Adunque, dato che l'anima va ritenuta mortale,la morte è un nulla per noi e non ci tocca per nulla. | E come noi non provammo pena per quanto successeun tempo, quando da tutte le parti i Cartaginesiscesero in armi, e al feroce clamor di guerra sconvoltoe inorridito l'intero mondo tremò sotto il cielo,e si rimase perplessi quale, e per mare e per terra,delle due genti dovesse aver l'impero sugli uomini:così, di certo, una volta morti, allorché si sarannodivisi l'anima e il corpo, di cui noi siamo la sintesi,a noi, che non ci saremo più, non potrà capitarepiù nulla, proprio, più nulla toccare il senso, quand'anchela terra si mescolasse col mare e il mare col cielo.Ed anche ammesso che sentano ancora l'animo e l'animaquando si sono staccati dal nostro fisico, questopiù non riguarda la nostra persona, che dal connubioe dalla sintesi d'anima e corpo trasse la propriavita unitaria. E se il tempo, dopo la morte, adunassee disponesse di nuovo, come son oggi, i nostri atomi,e ci ridesse la luce del giorno ancora una voltanemmeno ciò non potrebbe minimamente toccarci,quando una volta è spezzato il filo in noi della vita.Ed ora a noi non importa nulla di ciò che già fummo,e non ci angustia il pensiero di quei passati noi stessi.Perché se osservi l'intero spazio del tempo trascorso,immenso, e quanto sian vari i moti della materia,non stenti a credere come già per l'addietro quegli atomistessi che adesso ci formano, si sian trovati più d'unavolta disposti come ora sono nel modo medesimo.Eppure non ci è concesso di ricordarlo: una pausavenne frapposta alla vita, e se ne andarono i motitutti lontani dai sensi, di qua, di là. Deve l'uomoa cui sovrasti una triste e dolorosa vicendavivere proprio in quel tempo ch'essa lo possa colpire.Poiché la morte lo esime da questo, e vieta che siavivo colui sul cui capo possono abbattersi i mali,certo è che noi dalla morte non abbiam nulla a temere,ne può sentirsi infelice chi non esiste, ne quelloche mai non ebbe la vita differenziarsi da quelloa cui la morte immortale tolse la vita mortale. |
974 | Cum contra exspectationem omnium Caesar Vxellodunum venisset oppidumque operibus clausum animadverteret neque ab oppugnatione recedi videret ulla condicione posse, magna autem copia frumenti abundare oppidanos ex perfugis cognosset, aqua prohibere hostem temptare coepit. Flumen infimam vallem dividebat, quae totum paene montem cingebat, in quo positum erat praeruptum undique oppidum Vxellodunum. Hoc avertere loci natura prohibebat: in infimis enim sic radicibus montis ferebatur, ut nullam in partem depressis fossis derivari posset.Erat autem oppidanis difficilis et praeruptus eo descensus, ut prohibentibus nostris sine vulneribus ac periculo vitae neque adire flumen neque arduo se recipere possent ascensu. Qua difficultate eorum cogmta Caesar sagittariis funditoribusque dispositis, tormentis etiam quibusdam locis contra facillimos descensus collocatis aqua fluminis prohibebat oppidanos. | Dopo aver raggiunto Uxelloduno contro le aspettative di tutti, vede che la città è già serrata dalle nostre fortificazioni e si rende conto che non si può più recedere dall'assedio. Saputo dai fuggiaschi che in città c'erano abbondanti scorte di grano, cercò di tagliare i rifornimenti idrici. Un fiume scorreva in mezzo a una valle profonda, che attorniava quasi tutto il monte su cui sorgeva Uxelloduno. La conformazione naturale della zona impediva di deviarlo: scorreva, infatti, così vicino ai piedi del monte, che non era assolutamente possibile scavare canali di derivazione. Ma gli assediati, per raggiungere il fiume, dovevano discendere una china disagevole e molto ripida: se i nostri li ostacolavano, non sarebbero riusciti né ad arrivare al fiume, né a ritirarsi per l'erta salita, senza il rischio di ferite o addirittura di morte. Appena Cesare si rese conto di tale difficoltà dei nemici, appostò arcieri e frombolieri e dispose anche macchine da lancio proprio nelle zone di fronte ai sentieri più praticabili, impedendo agli abitanti di attingere acqua dal fiume. |
532 | Ad haec Caesar respondit: se magis consuetudine sua quam merito eorum civitatem conservaturum, si prius quam murum aries attigisset se dedidissent; sed deditionis nullam esse condicionem nisi armis traditis. Se id quod in Nerviis fecisset facturum finitimisque imperaturum ne quam dediticiis populi Romani iniuriam inferrent. Re renuntiata ad suos illi se quae imperarentur facere dixerunt. Armorum magna multitudine de muro in fossam, quae erat ante oppidum, iacta, sic ut prope summam muri aggerisque altitudinem acervi armorum adaequarent, et tamen circiter parte tertia, ut postea perspectum est, celata atque in oppido retenta, portis patefactis eo die pace sunt usi. | Alle loro richieste Cesare rispose: avrebbe risparmiato il popolo degli Atuatuci, per proprio costume più che per loro merito, se si fossero arresi prima che l'ariete avesse toccato le mura: ma l'unica condizione di resa era la consegna delle armi. Si sarebbe regolato come con i Nervi, ordinando ai popoli confinanti di non infliggere torti a chi si era arreso al popolo romano. Le parole di Cesare furono riferite e gli Atuatuci si dichiararono disposti a obbedire. Dal muro gettarono nel fosso, che correva davanti alla città, una tale quantità di armi, che il cumulo raggiungeva quasi la sommità del muro e l'altezza del nostro terrapieno: e tuttavia - lo si scoprì in seguito - si erano tenuti e avevano nascosto in città circa un terzo delle armi. Aperte le porte, per quel giorno rimasero tranquilli. |
155 | Natio est omnis Gallorum admodum dedita religionibus, atque ob eam causam, qui sunt adfecti gravioribus morbis quique in proeliis periculisque versantur, aut pro victimis homines immolant aut se immolaturos vovent administrisque ad ea sacrificia druidibus utuntur, quod, pro vita hominis nisi hominis vita reddatur, non posse deorum immortalium numen placari arbitrantur, publiceque eiusdem generis habent instituta sacrificia. Alii immani magnitudine simulacra habent, quorum contexta viminibus membra vivis hominibus complent; quibus succensis circumventi flamma exanimantur homines.Supplicia eorum qui in furto aut in latrocinio aut aliqua noxia sint comprehensi gratiora dis immortalibus esse arbitrantur; sed, cum eius generis copia defecit, etiam ad innocentium supplicia descendunt.Deum maxime Mercurium colunt. Huius sunt plurima simulacra: hunc omnium inventorem artium ferunt, hunc viarum atque itinerum ducem, hunc ad quaestus pecuniae mercaturasque habere vim maximam arbitrantur. Post hunc Apollinem et Martem et Iovem et Minervam. De his eandem fere, quam reliquae gentes, habent opinionem: Apollinem morbos depellere, Minervam operum atque artificiorum initia tradere, Iovem imperium caelestium tenere, Martem bella regere. Huic, cum proelio dimicare constituerunt, ea quae bello ceperint plerumque devovent: cum superaverunt, animalia capta immolant reliquasque res in unum locum conferunt. Multis in civitatibus harum rerum exstructos tumulos locis consecratis conspicari licet; neque saepe accidit, ut neglecta quispiam religione aut capta apud se occultare aut posita tollere auderet, gravissimumque ei rei supplicium cum cruciatu constitutum est. | Tutta la popolazione dei Galli è dedita particolarmente alle pratiche religiose, e per quel motivo quelli che son colpiti da malattie alquanto gravi e quelli che si trovano nei pericoli della battaglia (in battaglia e nei pericoli), o immolano gli uomini al posto delle vittime o promettono di immolarli e si servono dei Druidi come ministri per quei sacrifici, poiché ritengono che se non si dà una vita umana in cambio di un’altra (concezione mercantilistica della religione pagana: principio del baratto), non può esser placata diversamente la volontà degli Dei Immortali, e a nome della collettività, hanno istituito sacrifici dello stesso genere. Altri hanno fantocci (statue) di smisurata grandezza, le cui membra intrecciate di vimini riempiono di uomini vivi; incendiati questi, gli uomini son uccisi (privati del respiro vitale), avvolti dalle fiamme.Ritengono che le suppliche di coloro che siano stati colti sul fatto (siano stati sorpresi colpevoli) in un furto o in una rapina o in qualcosa, siano più gradite agli Dei Immortali. Ma quando manca la disponibilità di uomini di tal genere, giungono addirittura a sacrificare innocenti (si scostano anche dalle suppliche degli innocenti).(I Galli) Tra gli Dei onorano massimamente Mercurio. Di questo ci sono moltissime statue, lo ritengono inventore di tutte le arti, guida delle vie e dei viaggi, ritengono che questo (Egli) abbia un grandissimo potere per guadagnare denaro (per il guadagno di denaro) e per i commerci. Dopo questo onorano Apollo, Marte, Giove e Minerva. Hanno quasi la stessa opinione degli altri popoli riguardo ad essi: ritengono (e cioè) che Apollo scacci le malattie e che Minerva insegni i principi delle arti e dei misteri e che Giove abbia il comando degli Dei, e che Marte guidi le guerre. A questo (a Marte), ogni volta che decidono di combattere, generalmente consacrano le cose che hanno preso in guerra; ogni volta che vincono, sacrificano gli animali catturati e raccolgono le cose rimanenti in un solo luogo. In molte città è possibile vedere cumuli di queste cose innalzati in luoghi consacrati; e raramente (né spesso) è successo che qualcuno dopo aver messo da parte gli scrupoli religiosi (essendo la religione stata messa da parte) osasse o nascondere presso di se la prede catturate o togliere le offerte, e il castigo più grave a questa cosa è fissato tra le torture (la pena di morte, tra terribili torture, è fissata). |
628 | Re frumentaria comparata equitibusque delectis iter in ea loca facere coepit, quibus in locis esse Germanos audiebat. A quibus cum paucorum dierum iter abesset, legati ab iis venerunt, quorum haec fuit oratio: Germanos neque priores populo Romano bellum inferre neque tamen recusare, si lacessantur, quin armis contendant, quod Germanorum consuetudo [haec] sit a maioribus tradita, Quicumque bellum inferant, resistere neque deprecari. Haec tamen dicere venisse invitos, eiectos domo; si suam gratiam Romani velint, posse iis utiles esse amicos; vel sibi agros attribuant vel patiantur eos tenere quos armis possederint: sese unis Suebis concedere, quibus ne di quidem immortales pares esse possint; reliquum quidem in terris esse neminem quem non superare possint. | Avendo procurato frumento e scelta la cavalleria, cominciò a dirigersi verso quelle parti nelle quali aveva sentito essere i Germani. Quando fu distante da essi solo pochi giorni di marcia, dai loro stati vennero degli ambasciatori, il discorso dei quali fu come segue: i Germani né vogliono combattere contro il popolo Romano, né vogliono rifiutare, se sono provocati, a combattere contro di loro, poiché è una consuetudine dei Germani, tramandata dai loro avi, di non resitere né di implorare chiunque porti loro guerra. Comunque essi dicono di essere venuti qui contro la loro volontà, essendo stati cacciati dalle loro case; se i Romani sono disposti ad accettarli, possono essere utili amici; e gli diano o dei territori, o gli permettano di riprendere quelli che hanno acquisito con le armi: essi sono inferiori solo ai Suevi, ai quali neanche gli dei immortali possono mostrarsi uguali; non c'è niente altro sulla terra che loro non possono conquistare. |
554 | His nuntiis acceptis Galba, cum neque opus hibernorum munitionesque plene essent perfectae neque de frumento reliquoque commeatu satis esset provisum quod deditione facta obsidibusque acceptis nihil de bello timendum existimaverat, consilio celeriter convocato sententias exquirere coepit. Quo in consilio, cum tantum repentini periculi praeter opinionem accidisset ac iam omnia fere superiora loca multitudine armatorum completa conspicerentur neque subsidio veniri neque commeatus supportari interclusis itineribus possent, prope iam desperata salute non nullae eius modi sententiae dicebantur, ut impedimentis relictis eruptione facta isdem itineribus quibus eo pervenissent ad salutem contenderent.Maiori tamen parti placuit, hoc reservato ad extremum casum consilio interim rei eventum experiri et castra defendere. | Ricevute queste notizie, e non essendo stati compiutamente eseguiti né i lavori dei quartieri d'inverno né le opere di fortificazione né essendo stato provveduto sufficientemente riguardo al frumento e al restante approviggionamento, poiché, avvenuta la resa e ricevuti gli ostaggi, Galba aveva pensato che non si dovesse nulla temere riguardo alla guerra, celermente convocata l'adunanza, cominciò a chiedere i pareri. Essendo avvenuto contro l'aspettazione così grande di improvviso pericolo, e già vedendosi pieni di una moltitudine di armati quasi tutti i luoghi più alti e poiché non si poteva venire in aiuto né portare vettovagliamenti, chiuse le vie, e già quasi disperando della salvezza, in questa adunanza si dicevano parecchi pareri di tal fatta che, lasciati i bagagli, fatta irruzione, tendessero alla salvezza per le stesse vie attraverso le quali erano giunti colà. Tuttavia alla maggior parte sembrò, riservata questa decisione ad un caso estremo, di provare frattanto la sorte e di difendere l'accampamento. |
549 | His rebus cognitis Caesar legiones equitatumque revocari atque in itinere resistere iubet, ipse ad naves revertitur; eadem fere quae ex nuntiis litterisque cognoverat coram perspicit, sic ut amissis circiter XL navibus reliquae tamen refici posse magno negotio viderentur. Itaque ex legionibus fabros deligit et ex continenti alios arcessi iubet; Labieno scribit, ut quam plurimas posset eis legionibus, quae sunt apud eum, naves instituat. Ipse, etsi res erat multae operae ac laboris, tamen commodissimum esse statuit omnes naves subduci et cum castris una munitione coniungi.In his rebus circiter dies X consumit ne nocturnis quidem temporibus ad laborem militum intermissis. Subductis navibus castrisque egregie munitis easdem copias, quas ante, praesidio navibus reliquit: ipse eodem unde redierat proficiscitur. Eo cum venisset, maiores iam undique in eum locum copiae Britannorum convenerant summa imperi bellique administrandi communi consilio permissa Cassivellauno, cuius fines a maritimis civitatibus fiumen dividit, quod appellatur Tamesis, a mari circiter milia passuum LXXX. Huic superiore tempore cum reliquis civitatibus continentia bella intercesserant; sed nostro adventu permoti Britanni hunc toti bello imperioque praefeceraut. | Informato dell'accaduto, Cesare ordina alle legioni e alla cavalleria di ritornare e di resistere durante il rientro; lui personalmente raggiunge le navi. Constata, con i suoi occhi, che la situazione all'incirca corrispondeva alle informazioni ricevute dalla lettera e dai messi: risultavano perdute circa quaranta navi, ma le altre sembravano riparabili, sia pur con grandi fatiche. Così, tra i legionari sceglie dei carpentieri e ne fa arrivare altri dal continente. Scrive a Labieno di costruire, con le legioni a sua disposizione, quante più navi possibile. Sebbene l'operazione risultasse molto complicata e faticosa, decide che la soluzione migliore consisteva nel tirare in secco tutte le navi e congiungerle all'accampamento con una fortificazione unica. I lavori richiedono circa dieci giorni, durante i quali i soldati non si concedono mai una sosta, neppure di notte. Tirate in secco le imbarcazioni e ben munito il campo, lascia a presidio delle navi le stesse truppe di prima e ritorna da dove era venuto. Appena giunto, vede che già si erano lì radunate, ben più numerose di prima, truppe nemiche provenienti da tutte le regioni: il comando supremo delle operazioni era stato affidato, per volontà comune, a Cassivellauno, sovrano di una regione separata dai popoli che abitavano lungo il mare da un fiume chiamato Tamigi e distante dal mare circa ottanta miglia. In passato, tra Cassivellauno e gli altri popoli c'era stata continua guerra, ma adesso i Britanni, preoccupati per il nostro arrivo, gli avevano conferito il comando supremo delle operazioni. |
89 | Vivamus mea Lesbia, atque amemus,rumoresque senum seueriorumomnes unius aestimemus assis!soles occidere et redire possunt:nobis cum semel occidit breuis lux,nox est perpetua una dormienda.da mi basia mille, deinde centum,dein mille altera, dein secunda centum,deinde usque altera mille, deinde centum.dein, cum milia multa fecerimus,conturbabimus illa, ne sciamus,aut ne quis malus inuidere possit,cum tantum sciat esse basiorum. | Viviamo, mia Lesbia, ed amiamoci,e le chiacchiere dei vecchi troppo arcigniconsideriamole tutte un soldo.I giorni possono tramontare e ritornare;noi, una volta che la breve luce è tramontata,dobbiamo dormire un’unica notte eterna.Dammi mille baci, e poi cento,poi mille altri, poi ancora cento,poi di seguito altri mille, e poi cento.Poi, quando ne avremo totalizzate molte migliaia,li rimescoleremo, per non conoscere il totale,o perché nessun maligno possa gettarci il malocchio,sapendo che è così grande il numero dei baci. |
209 | Iucundum, mea vita, mihi proponis amoremhunc nostrum inter nos perpetuumque fore.Di magni, facite ut vere promittere possit,atque id sincere dicat et ex animo,ut liceat nobis tota perducere vitaaeternum hoc sanctae foedus amicitiae. | Vita mia, mi prometti che questo nostro amoretra di noi sarà felice e perpetuo.Grandi dèi, fate in modo che possa promettere con verità,e che dica ciò sinceramente e dal profondo del cuorecosicché ci sia permesso di protrarre per tutta la vitaquesto nostro eterno patto di santa amicizia. |
147 | Noli admirari, quare tibi femina nulla,Rufe, velit tenerum supposuisse femur,non si illam rarae labefactes munere vestisaut perluciduli deliciis lapidis.laedit te quaedam mala fabula, qua tibi ferturvalle sub alarum trux habitare caper.hunc metuunt omnes, neque mirum: nam mala valde estbestia, nec quicum bella puella cubet.quare aut crudelem nasorum interfice pestem,aut admirari desine cur fugiunt. | Non stupirti perchè nessuna donna, Rufo,vuol tenerti sotto la sua tenera coscia,neanche se la tenti con il dono di una rara vesteo della delizia di una pietra brillante.Ti danneggia una certa brutta diceria, che di te diceche sotto le tue ascelle viva un orrido caprone.Questo temono tutte, e non è strano: è una brutta bestiadavvero, e una bella ragazza con lei non giace.Perciò o allontani la crudele peste dei nasio smetti di meravigliarti perchè fuggono. |
315 | Germanico bello confecto multis de causis Caesar statuit sibi Rhenum esse transeundum; quarum illa fuit iustissima quod, cum videret Germanos tam facile impelli ut in Galliam venirent, suis quoque rebus eos timere voluit, cum intellegerent et posse et audere populi Romani exercitum Rhenum transire. Accessit etiam quod illa pars equitatus Usipetum et Tencterorum, quam supra commemoravi praedandi frumentandi causa Mosam transisse neque proelio interfuisse, post fugam suorum se trans Rhenum in fines Sugambrorum receperat seque cum his coniunxerat.Ad quos cum Caesar nuntios misisset, qui postularent eos qui sibi Galliae bellum intulissent sibi dederent, responderunt: populi Romani imperium Rhenum finire; si se invito Germanos in Galliam transire non aequum existimaret, cur sui quicquam esse imperii aut potestatis trans Rhenum postularet? Ubii autem, qui uni ex Transrhenanis ad Caesarem legatos miserant, amicitiam fecerant, obsides dederant, magnopere orabant ut sibi auxilium ferret, quod graviter ab Suebis premerentur; vel, si id facere occupationibus rei publicae prohiberetur, exercitum modo Rhenum transportaret: id sibi ad auxilium spemque reliqui temporis satis futurum. Tantum esse nomen atque opinionem eius exercitus Ariovisto pulso et hoc novissimo proelio facto etiam ad ultimas Germanorum nationes, uti opinione et amicitia populi Romani tuti esse possint. Navium magnam copiam ad transportandum exercitum pollicebantur. | Terminata la guerra con i Germani, Cesare decise che doveva varcare il Reno, per molte ragioni, di cui una importantissima: vedendo con quale facilità i Germani tendevano a passare in Gallia, voleva che nutrissero timore anche per il proprio paese, quando si fossero resi conto che l'esercito del popolo romano poteva e osava oltrepassare il Reno. Si aggiungeva un'altra considerazione: la parte della cavalleria degli Usipeti e dei Tenteri che, come abbiamo detto, attraversata la Mosa a scopo di razzia e in cerca di grano, non aveva partecipato alla battaglia, dopo la fuga dei suoi si era rifugiata al di là del Reno, nelle terre dei Sigambri, unendosi a essi. Cesare, per chiedere la consegna di chi aveva mosso guerra a lui e alla Gallia, mandò suoi emissari ai Sigambri, che così risposero: il Reno segnava i confini del dominio di Roma; se egli riteneva ingiusto che i Germani, contro il suo volere, passassero in Gallia, perché pretendeva di aver dominio o potere al di là del Reno? Gli Ubi, poi, l'unico popolo d'oltre Reno che avesse inviato a Cesare emissari, stringendo alleanza e consegnando ostaggi, lo scongiuravano di intervenire in loro aiuto perché incombevano su di loro, pesantemente, gli Svevi; oppure, se ne era impedito dagli affari di stato, lo pregavano, almeno, di condurre l'esercito al di là del Reno: sarebbe stato un ausilio sufficiente per il presente e una speranza per il futuro. Il nome e la fama dell'esercito romano, dopo la vittoria su Ariovisto e il recentissimo successo, aveva raggiunto anche le più lontane genti germane: considerati alleati del popolo romano, gli Ubi sarebbero stati al sicuro. Promettevano una flotta numerosa per trasportare l'esercito. |
270 | quid est, Catulle? quid moraris emori?sella in curuli struma Nonius sedet,per consulatum peierat Vatinius:quid est, Catulle? quid moraris emori? | Che c'è, Catullo? Che aspetti a morire? Sulla sedia curule siede Nonio lo scrofoloso, per il consolato spergiura Vatinio: che c'è, Catullo? Che aspetti a morire? |
613 | Treveri vero atque Indutiomarus totius hiemis nullum tempus intermiserunt, quin trans Rhenum legatos mitterent, civitates sollicitarent, pecunias pollicerentur, magna parte exercitus nostri interfecta multo minorem superesse dicerent partem. Neque tamen ulli civitati Germanorum persuaderi potuit, ut Rhenum transiret, cum se bis expertos dicerent, Ariovisti bello et Tencterorum transitu: non esse amplius fortunam temptaturos. Hac spe lapsus Indutiomarus nihilo minus copias cogere, exercere, a finitimis equos parare, exules damnatosque tota Gallia magnis praemiis ad se allicere coepit.Ac tantam sibi iam his rebus in Gallia auctoritatem comparaverat ut undique ad eum legationes concurrerent, gratiam atque amicitiam publice privatimque peterent. | I Treveri e Induziomaro, però, per tutto l'inverno non smisero un attimo di inviare ambascerie oltre il Reno e di sobillare le altre genti, di promettere denaro e di sostenere che, distrutto ormai il grosso del nostro esercito, ne restava solo una minima parte. Ma non gli riuscì di persuadere nessun popolo dei Germani a varcare il Reno; affermavano di averne fatta già due volte esperienza, con la guerra di Ariovisto e il passaggio dei Tenteri: non avrebbero tentato ulteriormente la sorte. Caduta tale speranza, Induziomaro cominciò lo stesso a radunare truppe e a esercitarle, a fornirsi di cavalli dalle genti vicine e ad attirare a sé, con grandi remunerazioni, gli esuli e le persone condannate di tutta la Gallia. In tal modo si era già procurato in Gallia tanta autorità, che da ogni regione accorrevano ambascerie e gli chiedevano i suoi favori e la sua amicizia, per l'interesse pubblico e privato. |
413 | Caesar, cum VII. legionem, quae iuxta constiterat, item urgeri ab hoste vidisset, tribunos militum monuit ut paulatim sese legiones coniungerent et conversa signa in hostes inferrent. Quo facto cum aliis alii subsidium ferrent neque timerent ne aversi ab hoste circumvenirentur, audacius resistere ac fortius pugnare coeperunt. Interim milites legionum duarum quae in novissimo agmine praesidio impedimentis fuerant, proelio nuntiato, cursu incitato in summo colle ab hostibus conspiciebantur, et T.Labienus castris hostium potitus et ex loco superiore quae res in nostris castris gererentur conspicatus X.legionem subsidio nostris misit.Qui cum ex equitum et calonum fuga quo in loco res esset quantoque in periculo et castra et legiones et imperator versaretur cognovissent, nihil ad celeritatem sibi reliqui fecerunt. | Cesare, quando si accorse che anche la settima legione, lì a fianco, era in difficoltà, comandò ai tribuni militari di avvicinare gradualmente le due legioni e, operata una conversione, di muovere all'assalto. La manovra permise ai soldati di aiutarsi reciprocamente e i nostri, adesso che non temevano più l'accerchiamento, iniziarono a resistere con maggior coraggio e a combattere con più vigore. Nel frattempo, i soldati delle due legioni della retroguardia, che presidiavano le salmerie, non appena ebbero notizia dello scontro, raggiunsero di corsa la cima del colle e lì apparvero ai nemici. E T. Labieno, conquistato il campo dei Nervi, dopo aver visto dall'alto che cosa stava accadendo nel nostro, mandò in rinforzo la decima legione. Dalla fuga dei cavalieri e dei caloni i soldati si resero conto di come stavano le cose e di quale minaccia incombesse sul campo, sulle legioni e sul comandante e si impegnarono al massimo per arrivare al più presto. |
15 | Ex senatus auctoritate pars praetorum et tribunorum plebi cum consule Q. Lucretio et principibus viris obviam mihi missa est in Campaniam, qui honos ad hoc tempus nemim praeter me est decretus. Cum ex Hispania Galliaque, rebus in iis provincis prospere gestis, Romam redi, Ti. Nerone P. Qintilio consulibus, aram Pacis Augustae senatus pro reditu meo consacrandam censuit ad campum Martium, in qua magistratus et sacerdotes virginesque Vestales anniversarium sacrificium facere iussit. | Per volontà del senato una parte di pretori e di tribuni della plebe con il console Lucrezio e gli uomini con i soldati mi furono mandati incontro in Campania, il cui onore fino ad ora non era stato decretato a nessuno eccetto me. Quando ritornai dalla Spagna e dalla Gallia a Roma, compiute imprese in queste provincie, sotto i consoli Tiberio Nerone e Publio Quintilio, il senato ordinò che doveva essere costruito l'altare della Pace Reduce di Augusto per il mio ritorno nel campo Marzio, sul quale ordinò che i magistrati, i sacerdoti e le vergini Vestali facessero il sacrificio annuale. |
844 | His rebus agitatis profitentur Carnutes se nullum periculum communis salutis causa recusare principesque ex omnibus bellum facturos pollicentur et, quoniam in praesentia obsidibus cavere inter se non possint ne res efferatur, ut iureiurando ac fide sanciatur, petunt, collatis militaribus signis, quo more eorum gravissima caerimonia continetur, ne facto initio belli ab reliquis deserantur. Tum collaudatis Carnutibus, dato iureiurando ab omnibus qui aderant, tempore eius rei constituto ab concilio disceditur. | Dopo la discussione, i Carnuti si impegnano a non arretrare davanti a nessun pericolo per la comune salvezza, e promettono di essere i primi a cominciare la guerra. E poiché per il momento non possono garantirsi gli uni verso gli altri on uno scambio di ostaggi, perché ciò varrebbe a divulgare il segreto, vogliono almeno un solenne giuramento. Alla presenza delle bandiere, - usanza che fra loro conferisce straordinaria importanza al rito, - si giuri che, cominciata l'ostilità, nessuno mai li vorrà abbandonare. Allora, fra grandi elogi ai Carnuti, tutti i presenti prestano giuramento e, fissato il giorno della sollevazione, l'adunanza si scioglie. |
673 | Deiectis, ut diximus, antemnis, cum singulas binae ac ternae naves circumsteterant, milites summa vi transcendere in hostium naves contendebant. Quod postquam barbari fieri animadverterunt, expugnatis compluribus navibus, cum ei rei nullum reperiretur auxilium, fuga salutem petere contenderunt. Ac iam conversis in eam partem navibus quo ventus ferebat, tanta subito malacia ac tranquillitas exstitit ut se ex loco movere non possent. Quae quidem res ad negotium conficiendum maximae fuit oportunitati: nam singulas nostri consectati expugnaverunt, ut perpaucae ex omni numero noctis interventu ad terram pervenirent, cum ab hora fere IIII usque ad solis occasum pugnaretur. | Una volta abbattuti, come abbiamo descritto, i pennoni, ciascuna nave nemica veniva circondata da due o tre delle nostre e i soldati romani si lanciavano all'abbordaggio con grande impeto. Quando i barbari se ne accorsero, già molte delle loro navi erano state catturate; non trovando alcun mezzo di difesa contro la tattica romana, cercavano salvezza nella fuga. Avevano già orientato le navi nella direzione in cui soffiava il vento, quando si verificò un'improvvisa, totale bonaccia, che impedì loro di allontanarsi. La cosa fu del tutto favorevole per portare a termine le operazioni: i nostri inseguirono le navi nemiche e le catturarono una a una. Ben poche, di quante erano, riuscirono a prender terra grazie al sopraggiungere della notte. Si era combattuto dalle dieci circa del mattino fino al tramonto. |
583 | Horum adventu tanta rerum commutatio est facta ut nostri, etiam qui vulneribus confecti procubuissent, scutis innixi proelium redintegrarent, calones perterritos hostes conspicati etiam inermes armatis occurrerent, equites vero, ut turpitudinem fugae virtute delerent, omnibus in locis pugnae se legionariis militibus praeferrent. At hostes, etiam in extrema spe salutis, tantam virtutem praestiterunt ut, cum primi eorum cecidissent, proximi iacentibus insisterent atque ex eorum corporibus pugnarent, his deiectis et coacervatis cadaveribus qui superessent ut ex tumulo tela in nostros conicerent et pila intercepta remitterent: ut non nequiquam tantae virtutis homines iudicari deberet ausos esse transire latissimum flumen, ascendere altissimas ripas, subire iniquissimum locum; quae facilia ex difficillimis animi magnitudo redegerat. | Il loro arrivo capovolse la situazione: perfino i nostri feriti si rialzavano da terra appoggiandosi agli scudi e riprendevano a combattere. I caloni, avendo visto i nemici impauriti, affrontavano anche disarmati chi era armato. I cavalieri, poi, per cancellare la vergogna della fuga con una prova di valore, in tutte le zone dello scontro precedevano i legionari. Ma i nemici, anche ridotti quasi alla disperazione, diedero prova di grandissimo valore, al punto che i soldati delle seconde file salivano sui corpi dei primi caduti e da lì combattevano; abbattuti anch'essi, si formavano mucchi di cadaveri, dai quali i superstiti, come da un tumulo, lanciavano frecce sui nostri e scagliavano indietro i giavellotti da essi intercettati. Non era da ritenersi senza ragione che uomini così valorosi avessero osato attraverso un fiume larghissimo, scalare un monte tanto alto e muovere all'attacco da una posizione assolutamente sfavorevole: il loro eroismo aveva reso facili delle imprese estremamente difficili. |