:oo cn "cn •CX) co ^^^1 1 11 yRl sili \>^'y^ LI D192dR 1921 Roba )) \ V' ,0 V /t |\ 1 ti : \ 'JL _ MCCCXXI IXXMQM EQCDDDM Digitized by the Internet Archive in 2011 with funding from University of Toronto http://www.archive.org/details/ladivinacomme01dant Datile, di Giotto. - (Firenze, Palazzo del Podestà). DANTE ALIG MIRRI LA DIVINA COMMEDIA ILLUSTRATA NEI LUOGHI E NELLE PERSONE A CURA DI CORRADO RICCI Con 700 incisioni e 170 tavole fuori testo ULRICO HOEPLI MILANO Edizione Numerata di Mille Esemplari Esemplare N. 9X3 PROPRIETÀ ARTISTICA TIPOGRAFIA SOCIALE DI CARLO SIRONI - MILANO. Via G. Mameli. 15 lidllislfiiì (li linii/f, in cui III l);il li/,/;iln l);iiilc. l'roiiU' ili un iMssoiir (I II 7-1 US) di'l Miisi'o .\a/ii)ii;ilc ili l'ircn/c, PREFAZIONE Il primo che ebbe il pensiero d' illustrare la divina Commedia con le " immagini grafiche degli svariati oggetti che diedero motivo alle piti alte ispirazioni deW Alighieri " fu George John Warren Lord Vernon intorno al 1840. L opera sua però, non spinta oltre /'Inferno e limitata alla ripro- duzione di alcune cose soltanto, rimase ben lontana dal corrispondere alle intenzioni dell editore e aW aspettazione dei cultori di Dante: ciò che rico- nobbe anche Giacomo Filippo Lacaita quando, nel 1865, stampò in Londra /'album vernoniano. Nel 1887 Filippo Mariotti, allora Sottosegretario di Stato al Ministero dell' Istruzione, ' riprese il disegno del nobil signore inglese e attese con amo- rosa cura a raccogliere fotografie e disegni nelle varie Provincie del Regno ". Ma poi, vista la gravezza deli impresa, consegnò quel che aveva faticosa- mente messo insieme alla Società Dantesca Italiana, purché continuasse la raccolta e la compiesse; e la Società dichiarò: ' Appena si siano costituiti i Comitati nelle Provincie che ancora ne sono prive, e sappia quali aiuti potrà avere dal Regio Ministero proseguirà il lavoro che giudica utile per molti rispetti. Intanto pubblica, quale fu comunicato dallo stesso Ministero, Velenco contenente l'indicazione sì delle illustrazioni raccolte, sì anche di quelle desi- derate, riservandosi di aggiungere a suo tempo l'indicazione di altri luoghi ed oggetti di cui pur sarebbe bene avere una riproduzione grafica '. VI PREFAZIONE Da quclVclcnco risultava che le fotografie raccolte, veramente utili per un' illustrazione storico-topoi^rafica della divina Commedia, non superavano la quarantina, numero infinitamente minore a quello delle fotografie e dei disegni già allora da me riuniti, come, del resto, ben sapeva lo stesso Mariotti che pili volte mi aveva fatto pregare di cederli. Ma oramai la pubblicazione di una " divina Commedia illustrata nei luoghi e nelle persone " da me proposta ad Ulrico Hoepli era stata accettata, e conveniva mettersi aW opera. Uscitane la prima dispensa nell'agosto del 1896 Fopera fu compiuta nel dicembre del se- guente anno. Nel frattempo apparvero i primi fascicoli della ' Divina Commedia con ^^^ ^^m commenti secondo la scolastica " del PJ^Jf ^^^ ^^M ^^ P. Gioacchino Berthier, illustrata da " monumenti archeologici ". Egli ripro- duceva, in sostanza, le figure del Vernon, quelle del mio " Ultim.o rifugio di Dante " e alcune pure del mio Dante illustrato, man mano che usciva in fascicoli, ag- giungendo altre riproduzioni di vedute e di ritratti, alcune relativamente recenti e senza importanza, ed altre invece non prive d interesse, spesso, però, con indi- cazioni errate. Designava, infatti, come panorama di Pistoia quello di Ravenna; come di Forlì, quello di Mantova; come di Faenza, quello di Forlì; riproduceva come casa nativa di Francesca in Ra- venna e come dimora di G lanciotto Malatesta in Pesaro due edifici del Rinascimento ! E il mio Dante illustrato uscito allora ? Esso incontrò il favore del pubblico così che la costosa {allora parve ben tale!) edizione presto si esaurì; ed anche, in genere, incontrò il favore della critica {Giosuè Carducci nelle note a " La Chiesa di Polenta " lo proclamò bellissimo). Ma non mancò chi temperasse la lode con osservazioni e censure che, naturalmente, m'indussero alla difesa del mio lavoro. Firenze, casa di Dalile. e e C Si o 'C O e: So .-ri o 'ir o C3 ^ C V ?i o 5 co c; T^ o o x re 3 a ■•CD OI PRRIA/.IONi: VII Però io sciidvo (e /.)/// (/ oijiii (liho) die esse erano /xt la miiior juirlc i>iiisU', ed (dire, (dlorii, e lììolle dopo, me ne diidoi fdeeiido io niedesinìo, elic la critica non mi aveva falle, sì che di quella mia faliea non lardai ad essere maleonlenlo. Qit(dche Intona rai>ione in difesa non mancava, ma più in difesa mia, che del mio lavoro: le condizioni di povertà {perche non confessarlo?) durante le quali avevo fatto eseguire e raccolto le fotografie, per cui spesso avevo dovuto rinunziare a cose indispensabili o appagarmi di cose mediocri, inadatte a vaghe; Vabituale inerzia dei Municipi e dei Ministeri, per cui non ebbi mai, non dico le fotografie che chiedevo e ch'essi già possedevano, ma nemmeno risposta alle mie lettere; infine la difficoltà stessa di illustrare un libro dove sono descritti o mentovati luoghi lontanissimi, dalle dighe delle Fiandre ali Ellesponto " là ve passò Serse ', o luoghi di faticoso accesso come le fonti del Tevere e dell'Arno; e valli e foci e confluenze di fiumi, e castelli e chiese e monasteri romiti e remoti, sparsi per ogni parte, specialmente «per lo dosso d' Italia ^^ E che tali difficoltà fossero grandi ben lo vide Filippo Mariottì pur avendo, per la sua posizione ufficiale, autorità sugli uffici di tutela monu- mentale ed artistica! Io ebbi bensì parecchie persone che m'aiutarono nella difficile impresa, ma furono tutte persone private, e tutte le ricordai con gra- titudine nella prefazione del Dante illustrato. A queste ragioni di natura, per così dire, materiale {anche, e su tutto, r inerzia ufficiale!) una se ne aggiunse di natura che chiamerò estetica. Negli anni, in cui misi insieme le mie illustrazioni dantesche, infieriva la passione della "fotografia dal vero ". Fu quello il tempo, in cui nei mercati delle cose vecchie {come a Campo dei Fiori a Roma, nella Piazzola a Bologna, a San Lorenzo in Firenze ecc.) si trovavano gettate su pei banchi alla rinfusa, impolverate, sgualcite, lacerate, quelle interessanti vedute di città o di monu- menti incise 0 disegnate che allora si vendevano a due o tre soldi, e che oggi il Lang e il Luzzietti vendono a cinquanta o sessanta lire e sono nullameno ricercatissime così da raccoglitori privati come dagli istituti che hanno final- mente compreso la necessità di formare raccolte iconografiche e topografiche a sussidio dell arte e della storia. Dunque allora infieriva la passione della "fotografia dal vero " ; anche i libri e le rassegne di carattere artistico, quelle cioè a cui l'opera dell' artista poteva aggiungere interesse e bellezza, ne furono travolte. L' ingrandi niente fotografico d'una festa, d'una rivista, d'un disastro, con le sue deformità pro- spettiche e i suoi toni grigi uniformi, cacciò man mano, dai periodici setti- vili PREFAZIONE manali, l'opera Viva, svelta, piena di ejjcilo e di chiaroscuro di abili dise- gnatori, che di quella festa, di quella rivista, di quel disastro avevano, fino allora, data una impressione sintetica e talora anche " sentimentale " che forse corrispondeva al vero più che lo stesso " vero " freddo e circoscritto della fotografia. Allora si confusero le necessità della scienza con quelle deWarte. Che, se al rigido esame della prima giova, assai meglio del disegno, una nitida e pre- cisa fotografia, e se anche lo storico dell'arte può definir meglio le forme di una qualsiasi scuola pittorica o d'un qualsiasi maestro avendo a mano una San Cadenzo, dove Danio fu l'S "iugno 1302. fotografia piuttosto che una stampa, sia pure del Mercuri o del Toschi o del Calamatta, è però inutile e dannoso ali arte voler applicato identico sistema laddove alle necessità della scienza è sostituito il semplice diletto artistico del pubblico. E allora, pel Dante Illustrato, anch'io fui trascinato dalla passione della ''fotografia dal vero ": dal vero ad ogni costo, anche quando conduceva alle più gravi offese cronologiche. Che si debbano riprodurre dal vero quei luoghi che oggi sono su per giù quali erano al tempo di Dante, come la rupe di San Leo e quella di Bis- mantova, la cascata di San Benedetto dell'Alpe e i piani di Campaldino e di Montaperti, le ruine di Luni e quelle di Urhisaglia, le fonti del Tevere e PRr.FAZIONE IX quelle dell Arno, e lUisIc Vrdtttc di lìiotili e (// ixdli, è ovvio. L iiiìOi^inc daiilcsca non (Mio clic liccfH'rnc, per chi lei>i*e, V(nil(iiH}io di precisione e di evidenza. Ed lincile non può non svei>liare in noi inleresse e curiosità veder riprodolti lìdia loro realtà molti liioi>lu che Dante sicuramente o presumihilmenlc vide. Così può piacere la vista di castelli e palazzi diruti che appartennero a per- sona^^i danteschi o furono testimoni di fatti che il poeta ricorda; i quali castelli e palazzi se non sono piìi quali erano ai tempi di lui, dalla ruina e dall'abbandono hanno ricevuto un valore tutto poetico e pittoresco, che li pre- serva dal generare nel nostro spirito quell'urto che dà la vista di tardi e spesso recenti manufatti, discordanti con l'arte e col sentimento del tempo di Dante! Perciò quando la veduta di un luogo o di una città o d'una parte di essa, 0 almeno d'un monumento antico, non corrispondeva ad una ragionevo- lezza cronologica, io mi sono vólto alla ricerca e alla riproduzione di disegni, scolture e pitture possibilmente trecentesche, non escludendone alcune più tarde, di quando, cioè, l'aspetto complessivo della cosa riprodotta poteva esser cam- biato di poco. E così ho fatto per gli edifici che Dante rammenta, ritraendo dal vero, quelli, che, come il Battistero di Firenze, S. Maria in Porto presso Ravenna, San Zeno a Verona, San Pietro in del d'Oro a Pavia, ecc. con- servano nel loro insieme l'aspetto antico, e ricorrendo invece a vecchi dipinti o disegni per quelli che più tardi furono radicalmente trasformati, come, ad esempio. San Pietro e il Luterano in Roma. Così, in questa nuova edizione ho evitato le cose più spiacevoli, e, come ho detto, urtanti. Non più, quindi, la veduta di Firenze dal vero, coi suoi Lungarni e il Cupolone, o Padova con la chiesa di Santa Giustina, o Palermo con la cupola del Fuga e Novara con quella deU'Antonelli, e Pesaro con le case operaie e Milano col tìburio del Duomo, e tante altre città con viste di ciminiere e stazioni ferroviarie e teatri e villini e case e palazzi e opifici recenti, e odierni, e sino in costruzione! E anche non ho riprodotto un fiume o un torrente se non quando nel poema è ben definito un punto preciso d'esso. Non più, quindi, una qualsiasi veduta dell'Indo, del Gange, del Nilo, solo perchè genericamente mentovati dal poeta; ma il Mincio dove mette in Po, l'Archiano dove mette in Arno, e l Arhia nel piano di A^ontaperti, e la Savena e il Reno presso Bologna, e r Acquacheta sopra Forlì, e a Forlì dove prende il nome di Montone. Ciò ho potuto naturalmente fare, inviando o accompagnando sul posto fotografi che ritraessero città e castelli e monumenti e paesaggi dai punti più convenienti allo scopo e in maniera da evitare la vista di cose troppo moderne. X PREFAZIONE Ma poi premura mia è stata di allargare in modo speciale la illustra- zione propriamente iconografica, così nella parte storica come in quella tradi- zionale e sino in quella fantastica. Ho cercato le imagini dei personagi danteschi più vicini a lui e di quelli a lui contemporanei neliarte del duecento e del trecento: nelle scolture tom- bali, negli affreschi, nei musaici, nelle miniature e talora anche nei sigilli. Quando poi ho voluto dare le imagini di personaggi antichi, li ho cercati anch'essi neliarte del duecento e del trecento, neliarte cioè che intendevano i contemporanei di Dante e i primi lettori della divina Commedia, e non neliarte classica così lontana dal loro spirito. Ali arte classica ho ricorso soU tanto quando ho pensato ch'essa abbia dato argomento diretto a certe figura- zioni del poeta, come nel caso della " leggenda di Traiano e della vedovella " e per taluni aspetti mitologici, o mostri infernali, come Cerbero, il Mino- tauro, le Parche, la Medusa, Caronte e Minosse, il quale ultimo io ritengo tratto da qualche Eon o Chronos mitriaco cinto più volte dal serpe. Nei casi, però, in cui iurte romanica ha espresso a suo modo alcuni dei mostri della mitologia antica, ho preferito tenermi ad essa, piuttosto che ali arte classica, sempre per accostarmi al sentimento dantesco. Dall arte perciò roma- nica e gotica ho preso le figure dei centauri, delle arpie, dei grifoni, delle sirene e quelle zodiacali, alle quali mi è piaciuto di aggiungere anche le figure di animali esotici come il leone, ielefante, la balena, lo bàvero, la lonza dalla gaietta pelle, ecc., lieto di mostrare ai lettori del poema la forma nella quale li immaginavano o vedevano o ritraevano i contemporanei di Dante. Messo così sulla strada d'ampliare iorizzonte della mia illustrazione mi sono lasciato andare alla riproduzione di molti oggetti che il poeta ricorda e che ho potuto naturalmente trovare, come gli stemmi e le imprese, coi quali egli designa persone, città, nazioni; il "gran manto " papale, i tappeti turchi ch'ei richiama per definire la pelle di Gerione, o le cariatidi per definire i atteggiamento dei superbi del Purgatorio, o le tombe terragne per definire il pavimento del girone in cui essi sono puniti; e alla riproduzione ancora di strumenti musicali, di arnesi od oggetti come le spole e il martello del fabbro, le doghe e le lanterne péndule, abbandonandomi, qualche volta, sino al desiderio di illustrare, con i arte antica, anche qualche particolare o aneddoto o favola o atto, come la costruzione d'una nave, il martirio del toro di bronzo, i ghiottoni nella taverna, la favola della rana e del topo, la mano che fa le fiche. Arricchita così, per ogni lato, la illustrazione grafica del poema, ho la sicurezza d aver fatto cosa certamente migliore che non la passata. Non però Chiesa di San Francesco in Ravenna dove, nel settembre del 1321, si celebrarono le esequie di Dante. PRRFAZIONR XI lììi ltisini><) (l'dtHT stifìCKilo hillc le (liffuollà r, qininli, iìciììiììciìo di sollrarnii alili ciilicd, (lulcnle solo che hi mia età tioti fìossa, forse, conscalirnìi di (tirare una terza edizione di quest' afferà e [.^crciù di valer mi dei eoiìsii>li die mi sa- ranno dati. Sottratto ad oi>ni critica sarà invece, meritamente, Ulrico lloepli, il quale, perchè la nuova edizione splenda di Vera bellezza, ha affrontalo tutte le indicibili diffuoltà tipografiche del momento, superandole, a mio avviso, con un coraggio addirittura giovanile. Fra l'altro egli ha consentito che non uno dei quattrocento clichés che servirono alla passata stampa fosse usato per questa che oggi si pubblica. Solo con editori simili si lavora con soddisfazione! Corrado Ricci. I molti amici che mi aiutarono per la prima edizione di questo libro (principalissimi Olindo Guerrini, il marchese Aldo Rusconi, il conte Giovanni Acquaderni, e il signor Giuseppe Cremoncini, ahimè tutti morti) ricordai e ringraziai in essa. Qui aggiungo i nomi di quanti mi sono stati larghi di aiuto dal 1898 in poi, ossia man mano che per consiglio dello stesso editore m' andavo preparando questa seconda edizione : cav. Luigi Alfieri, Roma - comm. Vittorio Alinari, Firenze - arch. Giulio V. Arata, Parma - dott. Péleo Bacci, Pisa - conte Alessandro Baudi di Vesme, Torino - avv. Carlo Beni, Stia in Casentino - ing. Cesare Bertea, Torino - dott. L. V. Bertarelli, Milano - sig. Pietro Bezzi, Ravenna - prof. Arnaldo Bonaventura, Firenze - dott. Rio- ciotti Bratti, Venezia - dott. Evaristo Breccia, Alessandria d'Egitto - ing. Augusto Bru- sconi, Milano - dott. Giovanni Carbonelli, Torino - prof. Placido Campetti, Lucca - sig. F. Carga, Bougie in Algeria - avv. Carlo Caruso, Cosenza - cav. Alessandro Cassarini, Bologna - arch. I. C. Cavini, Roma - rev. D. Parisio Ciampelli, Eremo di Camaldoli - dott. Luigi Coletti, Treviso - dott. G. Collon, Tours - prof. Luigi Corsini, Bologna - dott. Franz Cumont, Roma - ing. Alessandro Da Lisca, Verona - rev. don Giuseppe de Angelis, Perugia - dott. Alessandro Del Vita, Arezzo - dott. Giacomo De Nicola, Firenze - prof. Guglielmo De Marez, Bruxelles - C. C. Edgar, Cairo - signorina Ida Errerà, Bruxelles - signora Isabella Errerà, Bruxelles - prof. Ermenegildo Estevan, Roma - mons. Michele Faloci Pulignani, Foligno - dott. Agostino Ferrari, Torino - dott. Gino Fogolari, Venezia - dott. Lodovico Frati, Bologna - dott. Ettore Cabrici, Palermo - dott. Giuseppe Gerola, Trento - I. P. Gilson, Londra - prof. Ignazio Giorgi, Roma - conte dott. Umberto Gnoli, Perugia - mons. Luigi Gramatica, Milano - prof. G. F. Hill, Londra - rev. P. Antonio Iglesias, Roma - ditta Lori, Casale Monferrato - prof. Xll PREFAZIONE D. Vittorio Lusini, Siena - conte dolt. Piancesco Malaguzzi Valeri, Bologna - prof. Lucio Mariani, Roma - mons. clott. Giovanni Mercati, Roma - rev. D. Giovanni Mesini, Ravenna - prof. Augusto Michol, Bruxelles - prof. Maurizio Mignon, Roma - prof. Umberto Moricca, Roma - dott. Antonio Munoz, Roma - prof. Santi Muratori, Ravenna - avv. Francesco Negri, Casale Monferrato - ing. Vittorio Novarese, Roma - prof. Luigi Ongaro, Vicenza - ing. Max Ongaro, Venezia - dott. Paolo Orsi, Siracusa - dott. Guglielmo Pacchioni, Mantova - rev. D. Alberico Pagnani, Roma - dott. Franz Pellati, Roma - sig. Vincenzo Perazzo, Bologna - dott. Carlo Piancastelli, Fusignano - prof. Pietro Piccirilli, Sulmona - - dott. Giovanni Poggi, Firenze - comm. Guido Rey, Torino - prof. Luigi Rizzoli, Padova - S. E. Rennell Rodd, Roma - sig. Guido Romizi, Milano - prof. Vittorio Rossi, Roma - sig. Pompeo Sansaini, Roma - ing. Salvatore Sciutto Patti, Catania - prof. Luigi Serra, Urbino - dott. Lino Sighinolfì, Bologna - dott. Antonio Taramelli, Cagliari - aich. Alberto Terenzio, Genova - dott. Paolo Maria Tua, Bassano - sig. G. B. Unteiweger, Trento - prof. Adolfo Venturi, Roma - dott. Carlo Vicenzi, Milano - sig. Guglielmo Vivaldi, Firenze. — Più d'ogni altro s'adoperò per la illustrazione di questo libro il cav. Carlo Carboni, direttore del R. Gabinetto fotografico di Roma. ?% ' ^X ^ Giglio fiorentino. - (Firenze, Palazzo Felloni). Aulirli. - I Pomposa, S, Maria). .S4Ì. i V.^.-^ INDICE GENERALE Prefazione Pacj. V Inferno „ 1 Purgatorio „ 361 Paradiso „ 705 Indice delle illustrazioni „ 1047 Indice illustrativo dei singoli canti della " Commedia „ . . . „ 1079 Indice dei nomi , 1095 INFERNO Hoviiu- (li Tniid r {ì'Ilioii siin rocc;!. CANTO I. La falsa via. Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita. E quanto a dir qual era è cosa dura questa selva selvaggia ed aspra e forte che nel pensier rmnova la paura ! Tanto è amara, che poco è più morte ; ma per trattar del ben eh io vi trovai, dirò dell altre cose eh io v ho scorte. I non so ben ridir com io v entrai, tant' era pien di sonno in su quel punto che la verace via abbandonai. 10 INFERNO Il dilettoso Ma poi eh IO fui al pie d' un colle giunto, monte. 1^ i il li la dove terminava quella valle che m avea di paura il cor compunto, guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de raggi del pianeta, che mena dritto altrui per ogni calle. Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m era durata la notte, eh io passai con tanta pietà. E come quei che con lena affannata uscito fuor del pelago alla riva, si volge ali acqua perigliosa, e guata; 13 16 19 oo cosi 1 animo mio, che ancor fuggiva, 25 si volse indietro a rimirar lo passo che non lasciò giammai persona viva. La piaggia Poi ch èi posato un poco il corpo lasso, 28 diserta. . . . , . . ,. ripresi via per la piaggia diserta, si che il pie fermo sempre era il più basso. La lonza. Ed ecco, quasi al cominciar dell erta, una lonza leggiera e presta molto, che di pel maculato era coperta; e non mi si partia d innanzi al volto; anzi impediva tanto il mio cammino, eh' io fui per ritornar più volte vòlto. 31 34 CAN IO 1. T(Mnjio (Ma dal princij^io (1(^1 mattino, 37 e il sol montava in su con qui non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo impedisce che l' uccide ; ed ha natura si malvagia e ria, ^7 che mai non empie la bramosa voglia, e dopo il pasto ha più fame che pria. Profezia Molti son gli animali a cui s ammoglia, mo del Veltro. • • • C L 'I U e più saranno ancora, intin che 1 veltro verrà, che la farà morir con doglia. Questi non ciberà terra né peltro, ila (k-i Glilrlaiulalo (Escoriai in Ispagnu. liibliulcca). CANTO II. I nvocazione poetica. Lo giorno se n andava, e 1 aer bruno toglieva gli animai, che sono in terra, dalle fatiche loro: ed io sol uno m apparecchiava a sostener la guerra si del cammino e si della pietate, che ritrarrà la mente che non erra. O Muse, o alto ingegno, or m'aiutate; o mente, che scrivesti ciò eh io vidi, qui si parrà la tua nobilitate. Io cominciai: " Poeta che mi guidi, guarda la mia virtù, s'ella è possente, prima che ali alto passo tu mi fidi. 10 14 INFERNO Tu dici, che di Silvio lo parente, 13 corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente. Però se 1 avversano d ogni male 16 cortese i fu, pensando 1 alto effetto che uscir dovea di lui, e il chi e il quale, i San Paolo e san l'iclni (secolo in). (.Valicano, Museo Sacro). non pare indegno ad uomo d intelletto ; eh ei fu dell alma Roma e di suo impero nell'empireo ciel per padre eletto: la quale e il quale, a voler dir lo vero, fur stabiliti per lo loco santo, u siede il successor del maggior Piero. 19 99 CANTO II. n Per questa andata, onde gli dai tu vanto, intenso cos(\ clic fuion cagione di sua vittoria e del papale ammanto. lùìiui, dariibro di Giusto de' Menabuoi. (Roma, Galleria (".orsini). Sgomento. Andovvi poi lo Vas d'elezione, per recarne conforto a quella fede, eh è principio alla via di salvazione. Ma io perché venirvi? o chi l concede? Io non Enea, io non Paolo sono ; me degno a ciò né io né altri crede. 28 31 16 INFERNO Per che, se del venire io m abbandono, 34 temo che la venuta non sia folle : se savio, e intendi me eh io non ragiono. Il E quale è quei, che disvuol ciò che volle, 37 e per nuovi pensier cangia proposta, si che dal cominciar tutto si lolle ; tal mi fec io in quella oscura costa; 4o perché, pensando, consumai la impresa, che fu nel cominciar cotanto tosta. " Se io ho ben la tua parola intesa " 43 rispose del magnanimo quell ombra, " l'anima tua è da viltate offesa, la qual molte fiate 1 uomo ingombra, 46 si che d onrata impresa lo rivolve, come falso veder bestia, quand ombra. Conforto. Da questa tema acciò che tu ti solve, 49 dirotti perch io venni, e quel che intesi nel primo punto che di te mi dolve. Io era tra color che son sospesi, 52 e donna mi chiamò beata e bella, tal che di comandare io la richiesi. Beatrice. Lucevan gli occhi suoi più che la stella ; 55 e cominciommi a dir soave e piana, con angelica voce, in sua favella : S. Pietro. - (Roma, Grotte Valicane). CANTO II. 17 ' O anima coilcsc' manlovaiia, •'>** di cui la fama ancor nel mondo dura, e durerà, quanto il mondo, lontana ; l'amico mio, e non della ventura, fii nella diserta piaggia è impedito si nel cammin, che vòlto è per paura; fi4 e temo che non sia già si smarrito, ch'io mi sia tardi al soccorso levata, per quel eh' io ho di lui nel cielo udito. Or muovi, e con la tua parola ornata, 67 e con ciò e' ha mestieri al suo campare, l'aiuta si eh io ne sia consolata. Io son Beatrice, che ti faccio andare: 70 vegno di loco, ove tornar disio : amor mi mosse, che mi fa parlare. Quando sarò dinanzi al Signor mio, 73 di te mi loderò sovente a lui. ' Tacette allora, e poi comincia io : ' O donna di virtù, sola per cui 76 l'umana spezie eccede ogni contento da quel ciel che ha minor li cerchi sui: tanto m'aggrada il tuo comandamento 79 che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi; più non t'è uopo aprirmi il tuo talento. 18 INFERNO Ma dimmi la cagion, che non ti guardi s'i dallo scender qua giuso, in questo centro, dall ampio loco, ove tornar tu ardi. ' Protezione ' Da che tu VUOI Saper cotanto addentro, sr) divina. i- • i I • • dirotti brevemente, mi rispose, ' perch io non temo di venir qua entro. Temer si dee di sole quelle cose, 88 e hanno potenza di fare altrui male; dell altre no, che non son paurose. Io son fatta da Dio, sua mercé, tale, 91 che la vostra miseria non mi tange, né fiamma d esto incendio non m assale. Donna è gentil nel ciel, che si compiange 94 di questo impedimento, ov io ti mando, si che duro giudicio là su frange. Lucia. Questa chiese Lucia m suo domando, 97 e disse : ' Ora ha bisogno il tuo fedele di te, ed io a te lo raccomando. ' Rachele. Lucia, nimica di ciascun crudele, if^f^t SI mosse, e venne al loco dov io era, che mi sedea con 1 antica Rachele: Disse : ' Beatrice, loda di Dio vera, ina che non soccorri quei che t amò tanto, che uscio per te della volgare schiera? CAN KJ II 19 lAicia, (li Pietro Lorenzclti. (Firenze, Chiesa di Santa Lucia Ira le Uo\inale). Non odi tu la pièta del suo pianto, non vedi tu la morte che il combatte su la fiumana, ove il mar non ha vanto ? ' 106 Al mondo non fur mai persone ratte a far lor prò, né a fuggir lor danno, com' io, dopo cotai parole fatte ; 109 20 INFERNO venni qua giù dal mio beato scanno, 112 fidandomi nel tuo parlare onesto, che onora te e quei che udito l' hanno. ' Poscia che m ebbe ragionato questo, 115 gli occhi lucenti lagrimando volse; per che mi fece del venir più presto. E venni a te cosi, com ella volse; 118 dinanzi a quella fiera ti levai, che del bel monte il corto andar ti tolse. Dunque che è? perché, perché ristai? 121 perché tanta viltà nel core allette? perché ardire e franchezza non hai, Le tre donne poscia che tal tre donne benedette 124 curan di te nella corte del cielo, e il mio parlar tanto ben t'impromette? " Quale i fioretti, dal notturno gelo 127 chinati e chiusi, poi che il sol gì imbianca, si drizzan tutti aperti in loro stelo; tal mi fec 10 di mia virtude stanca ; 130 e tanto buono ardire al cor mi corse, eh' 10 cominciai, come persona franca : " O pietosa colei che mi soccorse, 133 e te cortese, eh ubbidisti tosto alle vere parole che ti porse ! CAN re; II, III ni' liai con (Icsulciio il (or disposto si al venir, con \c parole lue, eli IO son tornalo nel primo proposto. i:ì(i I poeti in cammino. Or va, che un sol volere è d ambedue tu duca, lu signore e tu maestro. Cosi gli dissi : e f)oiché mosso fue. 1 :v.) entrai per lo cammino alto e Silvestro. 1 12 Dante, di Benozzo. (Montel'alco, San Francesco). Sl'|U)ll'l(> (il ('.clfstilKI \' (A(|ilil;i, S. M;iihi (lì (.()ll<'tii:i(<|{i<>)- CANTO III. " Per me si va nella città dolente, per me si va nell'eterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemi la divina potestate, la somma sapienza e il primo amore. Porta Dinanzi a me non fur cose create, dell' Inferno. i . i se non eterne, ed io eterno duro. Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate. " Queste parole di colore oscuro vid IO scritte al sommo d una porta ; perch'io: " Maestro, il senso lor m'è duro. " 10 24 INFERNO Ed egli a me, come persona accorta: i:^ " Qui SI convien lasciare ogni sospetto ; ogni viltà convien che qui sia morta. Noi siam venuti al luogo ov io t ho detto ifi che tu vedrai le genti dolorose e' hanno perduto il ben dell intelletto. " E poi che la sua mano alla mia pose i^ con lieto volto, ond' io mi confortai, mi mise dentro alle segrete cose. Ignavi. Quivi sospiri, pianti ed alti guai 22 risonavan per 1 aer senza stelle, per ch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, 25 parole di dolore, accenti d ira, voci alte e fioche e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s aggira 28 sempre in quell aria senza tempo tinta, come la rena quando a turbo spira. Ed io, ch'avea d'orror la testa cinta, 3i dissi: " Maestro, che è quel eh 1 odo? e che gente, che par nel duol si vinta? Ed egli a me: " Questo misero modo 34 tengon l'anime triste di coloro, che visser senza infamia e senza lodo. C5 o o e o 0 u ti te o o CANTO MI. 25 An^rli IVIiscliialc sono a (luci cattivo coro :<7 (\rij\i angoli che non fuioii nhclli nò fin {cdc\ì a I^io, ma per sé foro. Cacciarli i ciel per non (^sser mcm belli ; 40 né lo profondo inferno li riceve, che alcuna gloria i rei avrehber d elli. Ed io: " Maestro, che è tanto greve 43 a lor, che lamentar gli fa si forte? Rispose : " Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte, 46 e la lor cieca vita è tanto bassa, che invidiosi son d ogni altra sorte. Fama di loro il mondo esser non lassa ; 49 misericordia e giustizia li sdegna : non ragioniam di lor, ma guarda e passa. I! Ed io, che riguardai, vidi un'insegna, 52 che, girando, correva tanto ratta, che d' ogni posa mi pareva indegna ; e dietro le venia si lunga tratta 55 di gente, eh' i' non avrei mai creduto, che morte tanta n avesse disfatta. Celestino V. Poscia ch'io v'cbbi alcun riconosciuto, 58 vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltate il gran rifiuto. 26 NFERNO Cflcslino V (afTresco del sec. xiv). (Fremo di Celestino V). Incontanente intesi, e certo fui, che quest era la setta de cattivi, a Dio spiacenti ed a nemici sui. 61 Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe eh erano ivi. fit CANIO III 27 Lllc ricavali lor di sangue il vollo, dir, inlscliialo di lai^rinic, a lor |)i(;di da fastidiosi v(Mmi era ricollo. (•)7 ^J^^^^^-#' «*- fm -«."<► L' lùcnio di Celestino V E poi eh a riguardare oltre mi diedi, 70 vidi gente alla riva d un gran fiume ; perch'io dissi: " Maestro, or mi concedi eh IO sappia quali sono, e qual costume 73 le fa di trapassar parer si pronte. com'io discerno per lo fioco 1 oco lume. 28 INFERNO Caruiìlf trajiilla uu'aaiiiia. (Ironia, .Musco Valicano). Ed egli a me: " Le cose ti fien conte quando noi fermerem li nostri passi su la trista riviera d Acheronte. " Allor con gli occhi vergognosi e bassi, temendo no 1 mio dir gli fusse grave, infino al fiume di parlar mi trassi. 79 CAN ICJ 111. 29 Caionu-. Lei l'cco vciso iiol vciiii pel iiavc «'-i un voccliio, bianco [km anluo pelo, giidaiiclo: "Guai a voi, aninu^ prave: AcluMonir. non isp(Mal(' mai vccKm lo ciclo: «•") i' v(^i^no per nuMiarvi ali altra riva nelle tenebre eterne, in caldo e in gelo. E tu, che se' costi, anima viva, 88 partiti da cotesti che son morti. " Ma poi ch'ei vide ch'io non mi partiva, disse: " Per altre vie, per altri porti 91 verrai a piaggia, non qui, per passare ; più lieve legno convien che ti porti. " Volontà di- E 'I duca a lui: " Caron, non ti crucciare: '.>i vuoisi cosi colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare. vina. !I Quinci fùr chete le lanose gote 07 al nocchier della livida palude, che intorno agli occhi avea di fiamme rote. Ma quell anime, eh eran lasse e nude, loo cangiar colore e dibatterò i denti, tosto che inteser le parole crude. Bestemmiavano Iddio e i lor parenti, 103 l'umana spezie, il luogo, il tempo e il seme di lor semenza e di lor nascimenti. 30 INFERNO Poi SI ritrasser tutte quante insieme, mo forte piangendo, alla riva malvagia, eh attende ciascun uom che Dio non teme. Caron dimonio con occhi di bragia, luy loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s adagia. Come d autunno si levan le foglie 11*2 1 una appresso dell altra, infìn che il ramo vede alla terra tutte le sue spoglie ; Mal seme similemente il mal seme d'Adamo ii") ^"^°' gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni, com augel per suo richiamo. Cosi sen vanno su per 1 onda bruna; iis ed avanti che sien di là discese, anche di qua nuova schiera s aduna. " Figliuol mio, " disse il maestro cortese, 121 " quelh che muoion nell ira di Dio, tutti convegnon qui d ogni paese ; e pronti sono a trapassar lo no, 124 che la divina giustizia li sprona si che la tema si volge in disio. Quinci non passa mai anima buona ; 127 e però, se Caron di te si lagna, ben puoi saper ornai che il suo dir suona. " CANTO MI U TeneiiioU). Finito questo, la hiiia (auipa^iia Iremo si folle, clu- dello spavento la niente eli sudore ancor mi ha^na. 13(» Deliquio di Dante. La terra lagnmosa died(^ vento, che balenò una luce vermiglia, la qual mi vinse ciascun sentimento; iddi !• e caddi come 1 uom cui sonno pigna ielic 1:^3 136 Inferno, di Xicola Pisano. (Siena, Duomo). ('.risiti (il ì.ilìilu), (rAiidrc;! di lìonaiiilu (scc. \\\). (l-iicn/c, S. Maria Xovclla). CANTO IV. Valle infernale. Ruppemi 1 alto sonno nella testa un greve tuono, si eh io mi riscossi, come persona che per forza è desta ; e l'occhio riposato intorno mossi, dritto levato, e fiso riguardai per conoscer lo loco dov io fossi. Vero è che in su la proda mi trovai della valle d abisso dolorosa, che tuono accoglie d'infiniti guai. Oscura, profond era e nebulosa tanto, che, per ficcar lo viso al fondo, 10 non vi discerneva alcuna cosa. 10 34 INFERNO " Or discendiam qua giù nel cieco mondo, " 13 cominciò il poeta tutto smorto. " Io sarò primo, e tu sarai secondo. " Ed IO, che del color mi fui accorto, 16 II dissi : " Come verrò, se tu paventi. ctie suo li al mio dubb lare esser con forto ? Pietà e téma. Primo cer- chio. Limbo. Ed egli a me: " L angoscia delle genti che son qua giù, nel viso mi dipigne quella pietà, che tu per téma senti. Andiam, che la via lunga ne sospigne. " Cosi si mise, e cosi mi fé entrare nel primo cerchio che 1 abisso cigne. Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto ma che di sospiri, che 1 aura eterna facevan tremare. 19 22 25 Innocenti. Ciò awenia di duol senza martiri, 28 ch*avean le turbe, ch'eran molte e grandi, e d'infanti e di femmine e di viri. Lo buon maestro a me: " Tu non dimandi che spinti son questi che tu vedi ? Or vo' che sappi, innanzi che più andi, ch'ei non peccaro ; e, s elh hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo, eh' è parte della fede che tu credi. 31 34 CAN lU IV. 35 E se fuion dinan/.i al crisliancsmo, 37 non adorar (h^hilamciiU* Dio ; e di questi colai son io medcsmo. r Per lai difelli, non per altro no, 40 senio perduti, e sol di tanto offesi, che senza speme vivemo in disio. " Gran duol mi prese al cor, quando lo intesi, v.^ però che gente di molto valore conobbi che in quel limbo eran sospesi. " Dimmi, maestro mio, dimmi, signore, " 46 comincia io per voler esser certo di quella fede che vince ogni errore ; " uscicci mai alcuno, o per suo merlo, 49 o per altrui, che poi fosse beato? " E quei, che intese il mio parlar coverto. Discesa di rispose : " Io era nuovo in questo stato, 52 Cristo al , . . ,. Limbo. quando ci vidi venire un possente, con segno di vittoria coronato. Trasseci 1 ombra del primo parente, 55 d Abel suo figlio, e quella di Noè, di Moisè legista, e l'ubbidiente Abraàm patriarca, e David re, 58 Israel con lo padre e co' suoi nati, e con Rachele per cui tanto fa , 36 NFKRNO ed altri molti ; e feceli beati : e vo che sappi che, dinanzi ad essi, spinti umani non eran salvati. " Non lasciavam 1 andar, perch e dicessi, ma passavam la selva tuttavia, la selva, dico, di spinti spessi. GÌ 04 Abramo ed Euclide, d' Andrea di Bonaiulo (sec. xiv). (Fiiciizc, S. Maria Novella). Il fu oco. Non era lunga ancor la nostra via 67 di qua dal sommo, quando vidi un foco, eh emisperio di tenebre vincia. Di lungi V eravamo ancora un poco, 7u ma non si eh io non discernessi in parte, che onrevol gente possedea quel loco. CAN IO IV. 37 " O 111, clic onori oj^iu scun/.a tei ailc, ^'^ qiicsli tlìi son, e lianno colaiila oiiianza, che dal modo degli allri li diparte ? " E quegli a me : " L ornala nominanza, 7(. che di lor suona su nella lua vita, grazia acquista nel ciel, che si gli avanza. " I poeti sommi. Intanto voce fu per me udita : 7i) " Onorate 1 altissimo poeta ! L'ombra sua torna, ch'era dipartita. " Poi che la voce fu restata e queta, 82 vidi quattro grand ombre a noi venire ; sembianza avevan né trista né lieta. Lo buon maestro cominciò a dire : 85 " Mira colui con quella spada m mano, che vien dinanzi a' tre si come sire ! Quegli è Omero poeta sovrano; 88 l'altro è Orazio satiro, che viene; Ovidio è il terzo, e l'ultimo Lucano. Però che ciascun meco si conviene 9i nel nome che sonò la voce sola, fannomi onore, e di ciò fanno bene. Il Cosi vidi adunar la bella scuola 94 di quel signor dell altissimo canto, che sovra gh altri, com aquila, vola. 38 INFERNO Da eh ebber ragionato insieme alquanto, 97 volsersi a me con salutevol cenno; e il mio maestro sorrise di tanto. E più d onore ancora assai mi fenno ; ino eh esser mi feeer della loro schiera, si eh io fui sesto tra cotanto senno. Cosi n andammo insino alla lumiera, los parlando cose che il tacere è bello, si com era il parlar colà dov era. Castello del Venimmo al pie d un nobile castello, 106 ™ °' sette volte cerchiato d alte mura, difeso intorno da un bel fìumicello. Questo passammo, come terra dura ; 109 per sette porte entrai con questi savi; giugnemmo in prato di fresca verdura. Genti V eran con occhi tardi e gravi, 112 di grand autorità ne lor sembianti; parlavan rado, con voci soavi. Traemmoci cosi dall un de canti, iis in loco aperto, luminoso ed alto, si che veder si potean tutti quanti. Spinti ma- Colà diritto, sopra il verde smalto, iis gni, . - ..... mi tur mostrati gli spirti magni, che del vederli in me stesso n esalto. CANTO IV. 39 Io vidi FJctlia con molti compagni, tra qiiai conohhi ImIoic ed Lnea, Cesare armato con gli occhi grifagni. iji Ettore. PAITA ;4i||«' eiLfcA-:.- I à- ^• l^'F^^ypocb-féi 'TPE - Penlisilea. Ual libro di Giusto de' Meuabuoi (sec. xiv). (Roma, Galleria Corsini). Vidi Camilla e la Pentesilea dall altra parte, e vidi il re Latino, che con Lavina sua figlia sedea. Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, Lucrezia, lulia, Marzia e Corniglia ; e solo in parte vidi il Saladino. 124 12' 40 INFERNO Poi che inalzai un poco più le ciglia, vidi il maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia. Hf) Il /•(' Lutino clic (là in isposa Lavinia ad Enea (niinìaliira lìvì scc. xiv). (Roma, Biblioteca Chigiana). Liirreziti v la cacciata di ir Tan/iiino (miniatura del scc. xiv). (Uoma, HihlioU'ca (Ihigiana). Filosofi. Tutti 1 ammiran, tutti onor gli fanno: 133 quivi vid io e Socrate e Platone, che innanzi agli altri più presso gli stanno ; Democrito che il mondo a caso pone, i3fi Diogenès, Anassagora e Tale, Empedoclès, Erachto e Zenone; .U- -L l II IL ■T'*' "»" n=r- — - ^ — -LL- — :: — ^- ' ' HnfVon tkevY pulìén r : Aristotile, Platone, Socrate e Seneca, miniatura del 1355. (Dalla Canzone delle Virtù e delle Scienze). CAN IO IV. 41 e vidi il l)Uon accoglilo! del quale, Dioscoiidc dico; v vidi Orfeo, e Tullio e Lino e Seneca morale. i:{'.i "vi '.' * "> : . • • ■ '^^^ v.; •r-^-^- >r «^^ .1-* .J^x_«.if'^>^-;^.'«i^ s."' Il Saladino, dal liliro di Giuslo de' Menabuoi (sec. xiv). (Roma. Galleria Corsini). Euclide geometra e Tolomeo, Ippocrate, Avicenna e Galieno, Averrois, che il gran comento feo. 142 Io non posso ritrar di tutti appieno, però che si mi caccia il lungo tema, che molte volte al fatto il dir vien meno. 145 42 INFERNO > •è i -3 __. ■- 5 u t/3 CANTO IV 4i La sesta conipaj^iiia ni due si scema; {)cr altra via mi mena il savio duca, fuor della queta, ncll aura die trema; Ì\H e vengo in parte, ove non è che luca. 151 Tolomeo, di Andrea Pisano. (Firenze - Campanile dc-1 Duomo). l'^oce tlcl l'o. CANTO V. Secondo cerchio. M mosse. Cosi discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia, e tanto più dolor, che pugne a guaio. Stavvi Minos orribilmente e ringhia ; esamina le colpe nell entrata, giudica e manda, secondo che avvinghia. Dico che quando 1 anima mal nata gli vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor delle peccata vede qual loco d inferno è da essa: cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa. 10 46 INFERNO li Olì milriaco donde forse deriva l'idea del Minos dantesco. (Roma, Villa Albani). Pena d'una liissurivsa, del sec. xu. (Alba Fuccnsc). Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: vanno a vicenda ciascuna al giudizio; dicono e odono, e poi son giù volte. 13 " O tu, che vieni al doloroso ospizio, " disse Minos a me, quando mi vide, lasciando l'atto di cotanto ufizio ; 16 CAN IO V. 47 Volontà di- vina. "guarda (oincnlii, v di cui tu ti fide: !•• non r incanni I ampiezza dell cnlrarc. " E il duca mio a lui: " Perché pur ^ride? Non impedir lo suo fatale andare : 22 vuoisi cosi colà, dove si puote ciò che SI vuole, e più non dimandare. " Pena d'una liissiiriosd. da un alì'rcsco del sec. xiv. (Campocliiesc presso Alhenga - Chiesa di S. Giorgio). .ussuiiosi. Ora incomincian le dolenti note 25 a farmisi sentire ; or son venuto là dove molto pianto mi percote. Io venni in loco d'ogni luce muto, 28 che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. La bufera infernale. La bufera infernal, che mai non resta, mena gli spirti con la sua rapina ; voltando e percotendo li molesta. 31 48 INFERNO Quando glungon davanti alla ruina, quivi le strida, il compianto e il lamento; bestemmian quivi la virtù divina. 31 ij^ .;r .-,™v QAm-0 S«|^W^NIA9-' fTW^gric: P^-WT^lVv V Inì;>p, '\^p ,,.i'i- Seriìiramis. \'ino. Dal libro di Giusto dei Menabuoi (secolo xiv). (Roma, Galleria Corsini). Intesi che a cosi fatto tormento 37 ènno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. E come gli stornei ne portan l'ali io nel freddo tempo, a schiera larga e piena, cosi quel fiato gli spinti mah : CAN ro V. 4') 11 Solchino, di Giotto. (Assisi - Cliiesa di S. Francesco). di qua, di là, di giù, di su gli mena ; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di mmor pena. E come i gru van cantando lor lai, facendo in aer di sé lunga riga ; cosi vid io venir, traendo guai, 43 46 50 NFERNO ombre portate dalla detta briga ; per eh' io dissi : " Maestro, chi son quelle genti, che 1 aura nera si gastiga } " 49 CLEO ;k^r M -■ Cleopalras, dal libro di Giusto de' .Menabuoi. (Roma, Galleria Corsini). " La prima di color, di cui novelle tu VUOI saper, " mi disse quegli allotta, " fu imperadrice di molte favelle. A VIZIO di lussuria fu si rotta, che libito fé licito in sua legge per torre il biasmo in che era condotta. 52 55 CANTO V. 51 Scmiramiclc. Rll'r Scillliaillis, (Il (111 SI Icj^gC clic succcdcHc a Nino, e fu sua sposa ; tenne la lena che il Soldan corregge. Did one. L altra è colei che s ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo ; poi è Cleopatràs lussuriosa. (il Le lussuriose, dal Giudizio liliale attribuito a Francesco Traini. (Pisa, Camposanto). Altri amanti Elena Vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi il grande Achille, che con amore al fine combatteo. 64 Vedi Paris, Tristano " ; e più di mille ombre mostrommi, e nominolle, a dito, che amor di nostra vita dipartille. 67 52 INFERNO Rapimento d'Elcna - Inceiulio di Troia - Miniatura rici scc. xiv. (Konia, JJibliok'ca Cliigiana). Tristano e Isotta Miniatura del sec. xiv. Poscia eh IO ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e i cavalieri, pietà mi giunse e fui quasi smarrito. Io cominciai: " Poeta, volentieri parlerei a que due che insieme vanno, e paion si al vento esser leggieri. " 70 73 CANTO V. 53 Ed c\i}ì a ine: " Vedrai, cjiiando saranno 7() più presso a noi; e In allor li pre^a per quell amor ihc i mena, e quei verranno. Il Paolo Sì tosto come il v(miIo a noi li piega, 79 e l^iancesca. i ii /^ rr mossi la voce: U anime altannate, venite a noi parlar, s altri noi niega. Il Quali colombe dal disio chiamate, 82 con l'ali alzate e ferme, al dolce nido vengon per Faer dal voler portate; Eiu-a e Didonc all'Avenio - Miniai ara del scc. xiv. (l\c)m;i, Biblioloca C'-liit^iana). cotali uscTr della schiera ov è Dido, 85 a noi venendo per 1 aer maligno, si forte fu 1 affettuoso grido. " O animai grazioso e benigno, 88 che visitando vai per 1 aer perso noi che tingemmo il mondo di sanguigno ; se fosse amico il Re dell universo, 9i noi pregheremmo Lui per la tua pace, poi che hai pietà del nostro mal perverso. 54 INFERNO Di quel eh udire e che parlar ti piace, noi udiremo e parleremo a vui, mentre che il vento, come fa, si tace. 94 Ruderi del castello di Pulenlu. Ravenna. Siede la terra, dove nata fui, 97 su la marina dove il Po discende per aver pace co seguaci sui. Amor, che a cor gentil ratto s'apprende, loo prese costui da la bella persona che mi fu tolta, e il modo ancor m offende. CAN 1(J V. 55 Antica casa Polentana in Ravenna. Amor, che a nuli' amato amar perdona, mi prese del costui piacer si forte, che, come vedi, ancor non m abbandona. 103 Gianciolto. Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi vita ci spense. " Queste parole da lor ci fur porte. 106 56 INFERNO Da che io intesi quell'anime offense, chinai 1 VISO, e tanto il tenni basso, fin che 1 poeta mi disse: " Che pense? " 109 Iscrizione di Giaiiciotto Malatesta, del 1285. (Pesaro, Museo). Quando risposi, cominciai : " O lasso ! quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo ! " Poi mi rivolsi a loro, e parla io, e cominciai : " Francesca, i tuoi martiri a lagrimar mi fanno tristo e pio. 112 115 CANIO V. 57 IVIa (Inumi: al I(Miij)() ì\c dolci sospiri, a clic e come conccdcllc amore che conosceste i duhhiosi desin ? " UH Ed ella a me: " Nessun maggior dolore, che ricordarsi del tempo felice nella miseria ; e ciò sa il tuo dottore. \2Ì IM-c5unlo ritratto di l^ranccscci da l'oieiita. Affresco del sec. xiv. (Ravenna, S. j\[aria in Porto Fuori). Confessione di Fran- cesca. Ma se a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, farò come colui che piange e dice. Noi leggevamo un giorno, per diletto, di Lancilotto, come amor lo strinse ; soli eravamo e senza alcun sospetto. 124 127 58 INFERNO Per più fiate gli occhi ci sospinse 130 quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso 133 esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fìa diviso, 11 bacio. la bocca mi baciò tutto tremante. 136 Galeotto fu il libro e chi lo scrisse ! Quel giorno più non vi leggemmo avante. Il Mentre che 1 uno spirto questo disse, 139 1 altro piangeva, si che di pietade IO venni men cosi com io morisse ; Deliquio di Dante. e caddi, come corpo morto cade. 142 /,(• trombe anyeliclir, da un allrcsco del sci-, xiv. (Cialiiliiiii, S. Culeriiiii). CANTO VI. Al tornar della mente, che si chiuse dinanzi alla pietà de due cognati, che di tristizia tutto mi confuse, Terzo cer- chio. 1 golosi. nuovi tormenti e nuovi tormentati mi veggio intorno, come eh io mi muova, e come eh io mi volga e ch'io mi guati. Io sono al terzo cerchio, della piova eterna, maladetta, fredda e greve: regola e qualità mai non Tè nuova. Grandine grossa e acqua tinta e neve per 1 aer tenebroso si riversa : pute la terra che questo riceve. 10 60 INFERNO Cerb ero. Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sopra la gente che quivi è sommersa. 13 Cerbero, marmo romano. (Homa, .Musei Capitolini). Gli occhi ha vermigli, la barba unta ed atra, 16 e il ventre largo, e unghiate le mani; graffia gli spiriti, gli scuoia ed isquatra. CAN IO VI. 61 Urlar ^Ii fa la pioj^^ia e oiiic cani ; 19 dell' un cl(' lati fanno ali altro sclicimo; volgonsi spesso i miseri profani. Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, 22 le bocche aperse e mostrocci le sanne : non avea membro che tenesse fermo. E il duca mio distese le sue spanne ; 25 prese la terra, e con piene le pugna la gittò dentro alle bramose canne. Qual è quel cane che abbaiando agugna 28 e si racqueta poi che il pasto morde, che solo a divorarlo intende e pugna; cotai si fecer quelle facce lorde 3i dello demonio Cerbero, che introna l'anime si eh esser vorrebber sorde. Noi passavam su per 1 ombre che adona 34 la greve pioggia, e ponevam le piante sopra lor vanità che par persona. Elle giacean per terra tutte e quante, 37 fuor eh una che a seder si levò, ratto eh ella CI vide passarsi davante. biacco. " O tu, che se' per questo inferno tratto, " 40 mi disse, " riconoscimi, se sai; tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto. " 62 INFERNO Ed IO a lei : " L angoscia che tu hai 43 forse ti tira fuor della mia mente, si che non par eh io ti vedessi mai. Ma dimmi chi tu se , che in si dolente 46 loco se messa, ed a si fatta pena che, s altra è maggio, nulla è si spiacente. « Firenze. Ed egli a me : " La tua città, eh è piena 49 d invidia si che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena. Voi cittadini mi chiamaste Ciacco : 52 per la dannosa colpa della gola, come tu vedi, alla pioggia mi fiacco ; ed IO anima trista non son sola, 55 che tutte queste a simil pena stanno per simil colpa. " E più non fé' parola. Io gli risposi : " Ciacco, il tuo affanno 58 mi pesa si che a lagrimar m invita; ma dimmi, se tu sai, a che verranno Profezia su 11 cittadin della città partita ; 61 Firenze. ♦ i ♦ , • . T • 1 s alcun V e giusto ; e dimmi la cagione, perché 1 ha tanta discordia assalita. " Ed egli a me : " Dopo lunga tenzone 64 verranno al sangue, e la parte selvaggia caccerà 1 altra con molta offensione. CAN IO VI. 63 [mi ni in DL ■'" [ Veduta di Firenze, da una miniatura del 1335 circa. (Firenze, Biblioteca Laurenziana). Poi appresso convlen che questa caggia infra tre soli, e che l'altra sormonti con la forza di tal che testé piaggia. 67 64 INFEF^NO Alte terrà lungo tempo le fronti, 70 tenendo 1 altra sotto gravi pesi, come che di ciò pianga e che ne adonti. I due giusti. Giusti son due, ma non vi sono intesi. 73 Superbia, invidia ed avarizia sono le tre faville e hanno 1 con accesi. " Qui pose fine al lacrimabil suono. 76 Ed 10 a lui: " Ancor vo' che m'insegni, e che di più parlar mi facci dono. Fiorentini Farinata e il Tegghiaio, che fur si degni, 79 insigni. I o • • A • -1 ^/I Iacopo Kusticucci, Arrigo e il Mosca, e gh altri che a ben far poser gf ingegni, dimmi ove sono, e fa eh io li conosca ; 82 che gran desio mi stringe di sapere, se il ciel gli addolcia o lo inferno gli attosca, u E quegli: " Ei son tra le anime più nere; 85 diversa colpa giù li grava al fondo ; se tanto scendi, li potrai vedere. Ma, quando tu sarai nel dolce mondo, 88 pregoti che alla mente altrui mi rechi : più non ti dico e più non ti rispondo. " Gli diritti occhi torse allora in biechi, 9i guardommi un poco, e poi chinò la testa: cadde con essa a par degli altri ciechi. CANTO VI, 65 Giudi/io fi- nale. E il duca (liss(! a ine: " I^iù non si desta di qua dal suoii dcW angelica Iromha, quando verrà la nimica podestà : 94 Il Giudizio finale, da un affresco del scc. xiv. (Galalina, (Miiesa di S. Caterina). ciascun ritroverà la trista tomba, 97 ripiglierà sua carne e sua figura, udirà quel che in eterno rimbomba. " Si trapassammo per sozza mistura loo dell ombre e della pioggia, a passi lenti, toccando un poco la vita futura ; 66 INFERNO per ch'io dissi: "Maestro, esti tormenti i<»:ì cresceranno ei dopo la gran sentenza, en minori, o saran si cocenti? Ed egli a me : " Ritorna a tua scienza, l'ifi che vuol, quanto la cosa è più perfetta, più senta il bene, e cosi la doglienza. Tutto che questa gente maladetta 109 in vera perfezion già mai non vada, di là, più che di qua, essere aspetta. Il Noi aggirammo a tondo quella strada, 112 parlando più assai eh 10 non ridico; venimmo al punto dove si digrada : quivi trovammo Fiuto il gran nemico. ii5 Fra Scitki e Cui iddi. CANTO VII. Plutone. " Pape Satan, pape Satan aleppe, " cominciò Pluto con la voce chioccia. E quel savio gentil, che tutto seppe, disse per confortarmi : " Non ti noccia la tua paura, che, poder eh egli abbia, non ti torrà lo scender questa roccia. " Poi si rivolse a quell'enfiata labbia, e disse : " Taci, maladetto lupo ; consuma dentro te con la tua rabbia. Non è senza cagion 1 andare al cupo: vuoisi nell'alto, là dove Michele fé la vendetta del superbo strupo. " 10 68 INFERNO Michele, affresco attr. a Francesco Traini (sec. xiv). (Pisa, Camposanto). Quali dal vento le gonfiate vele caggiono avvolte, poi che 1 alber fiacca, tal cadde a terra la fiera crudele. 13 Quarto cer- chio. Gli avari e i prodighi. Cosi scendemmo nella quarta lacca, pigliando più della dolente ripa, che il mal dell'universo tutto insacca. 16 CAN'I'C) VII. (y') Ahi ^lusli/.ia (li Dio, laiilc dii stipa !■• nuove Iravaglic e pene, quante io vidcli ? e perché noslia coli)a si ne scipa } L' onda a Come fa 1 onda là sovra Cariddi, '^'-^ Cariddi. i • < il • ■ ' • . che SI trange con cjucMia in cui s intoppa, cosi convien che qui la gente riddi. 25 Qui vid' io gente più che altrove troppa, e d'una parte e d'altra, con grand' urli, voltando pesi per forza di poppa; percotevansi incontro, e poscia pur li 28 si rivolgea ciascun, voltando a retro, gridando : " Perché tieni ? " , e, " Perché burli ? " Cosi tornavan per lo cerchio tetro, 3i da ogni mano ali opposito punto, gridandosi anche loro ontoso metro; poi SI volgea ciascun, quand era giunto 34 per lo suo mezzo cerchio ali altra giostra. Ed io, che avea lo cor quasi compunto, dissi : " Maestro mio, or mi dimostra 37 che gente è questa, e se tutti fur cherci questi chercuti alla sinistra nostra. " Ed egli a me: " Tutti quanti fur guerci 40 si della mente, in la vita primaia, che con misura nullo spendio ferci. 70 INFERNO Spiriti irri- conoscibili. Cozzi eterni. Assai la voce lor chiaro 1 abbaia, quando vengono a due punti del cerchio, ove colpa contraria li dispaia. Questi fur cherci, che non han coperchio piloso al capo, e papi e cardinali. 13 :hi( in CUI usa avarizia li suo sopercnio. Ed io: " Maestro, tra questi cotali dovre io ben riconoscere alcuni, che furo immondi di cotesti mali. " Ed egli a me : " Vano pensiero aduni : la sconoscente vita, che i fé sozzi, ad ogni conoscenza or li fa bruni. In eterno verranno alli due cozzi ; questi risurgeranno del sepulcro col pugno chiuso, e questi co crin mozzi. Mal dare e mal tener lo mondo pulcro ha tolto loro, e posti a questa zuffa: qual ella sia, parole non ci appulcro. La Fortuna. Or puoi, fìghuol, Veder la corta buffa de ben che son commessi alla Fortuna, per che l' umana gente si rabbuffa ; che tutto l'oro, eh' è sotto la luna, e che già fu, di queste anime stanche non poterebbe farne posar una. " 46 49 52 55 58 61 64 CANTO VII 71 " lVla('slro, (liss io lui, or mi eh aiu li(\ 67 qiK^sla l'oilmia, di clic Ui mi locclic, che 0, che i ben (1(^1 mondo ha si tra branche;? E quegh a me: " O creature sciocche, 70 quanta ignoranza è quella che vi offende ! or vo' che tu mia sentenza ne imbocche. Dio. Colui, lo CUI saper tutto trascende, fece 11 cieli, e die lor chi conduce, si che ogni parte ad ogni parte splende, distribuendo egualmente la luce: similemente agli splendor mondani ordinò general ministra e duce. Permutazio- che permutasse a tempo li ben vani, ne dei be- ,. . l» • l di gente in gente e d uno in altro sangue, 73 ni vani. oltre la difension de' senni umani: per che una gente impera ed altra langue, seguendo lo giudizio di costei, che è occulto, come in erba l'angue. Vostro saper non ha contrasto a lei : ella provvede, giudica e persegue suo regno, come il loro gli altri dèi. Le sue permutazion non hanno triegue : necessità la fa esser veloce ; si spesso vien chi vicenda consegue. 76 79 82 85 88 72 INTERNO Quest'è colei, eh' è tanto posta in eroee pur da eolor ehe le dovrian dar lode, dandole biasmo, a torto, e mala voce. 91 La u Ruota (iella Fortuna « (1202). (Trento, Duomo). Ma ella sé beata, e ciò non ode: con l'altre prime creature lieta volve sua spera, e beata si gode. 94 CANTO VII. 73 Discesa al Or discendiamo ornai a maggior pièta : 97 (liiintocei- -, • . 11 1 1 j- già ogni stella cade, che saliva quando mi mossi, e il troppo star si vieta. ctuo. conc II Noi riddammo il cerchio all'altra riva 1<><| sopra una fonte, che bolle e riversa per un fossato che da lei deriva. L acqua era buia assai più che persa : io3 e noi, in compagnia dell onde bige, entrammo giù per una via diversa. Suge. (Jna palude fa, che ha nome Stige, 106 questo tristo ruscel, quando è disceso al pie delle maligne piagge grige. Ed io, che di mirar mi stava inteso, 109 vidi genti fangose in quel pantano, ignude tutte e con sembiante offeso. Quinto cer- Queste si percotean, non pur con mano, 112 chlo. ha- . . , . ,. jjl ma con la testa, col petto e co piedi, troncandosi coi denti a brano a brano. Lo buon maestro disse : " Figlio, or vedi ii5 1 anime di color cui vinse T ira ; ed anche vo che tu per certo credi che sotto 1 acqua ha gente che sospira, 118 e fanno pullular quest'acqua al summo, come 1 occhio ti dice, u' che s'aggira. 74 INFERNO Ira, di Giotto. (Padova, Cappplla degii Scrovegni). Belletta ne- gra. Fitti nel limo, dicon: " Tristi fummo nell'aer dolce che dal sol s'allegra, portando dentro accidioso fummo: or ci attristiam nella belletta negra. " Quest' inno si gorgoglian nella strozza, che dir noi posson con parola integra. 121 124 CANTO VII 75 Cosi girariHiK) della lorda pozza vn grand arco Ira la ripa secca v il mezzo, con gli occhi volli a clii del fango ingozza. Venimmo al pie d una torre al dassezzo. i:}(i Iracondo, daWJnferno attr. al Traini. (Pisa, Camposanto). Bolgia infernali', daW Inferno altrilmilo a l-ianccsco Traini. (Fisi), Cam posa Ilio). CANTO Vili. Continua il Io dico, seguitando, eh assai prima quinto cer- , , , . i • i ir i chio. - Ira- che noi rossimo al pie deli alta torre, condì. gjj occhi nostri n'andar suso alla cima per due fiammette che i vedemmo porre, ed un altra da lungi render cenno tanto, eh a pena il potea 1 occhio tórre. Ed io mi volsi al mar di tutto il senno; dissi : " Questo che dice } e che risponde quell altro foco? e chi son quei che il fenno?" Ed egli a me : " Su per le sucide onde già puoi scorgere quello che s'aspetta, se il fummo del pantan noi ti nasconde. " 10 78 INFERNO Corda non pinse mai da sé saetta 13 che si corresse via per 1 aere snella, com io vidi una nave plccioletta venir per 1 acqua verso noi in quella, 16 sotto il governo d un sol galeoto, che gridava : " Or se' giunta, anima fella ? " Flegias. " Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vóto, " 19 disse lo mio signore, " a questa volta ! Più non ci avrai, che sol passando il loto. " Quale colui che grande inganno ascolta 22 che gli sia fatto, e poi se ne rammarca, fecesi Flegiàs nell ira accolta. Nella barca Lo duca mio discese nella barca, 25 di Fleeias. • • £ . 1 • ^ e poi mi lece entrare appresso lui ; e sol quand io fui dentro parve carca. Tosto che il duca ed io nel legno fui, 28 secando se ne va 1 antica prora dell'acqua più che non suol con altrui. Mentre noi correvam la morta gora, 3i dinanzi mi si fece un, pien di fango, e disse : " Chi se' tu che vieni anzi ora ? " Filippo Ar- Ed io a lui : " S' io vegno, non rimango ; 34 §^"*^' ma tu chi se', che se' si fatto brutto? " Rispose : " Vedi che son un che piango. " CAN ro Vili. 70 Rei IO a Ini : " Con piangere e con lutto, 37 s[)irito nialedello, ti umani; dì io ti conosco, ancor sic lordo tutto. " Allora stese al Ic^gno ambe le mani ; !<• per che il maestro accorto lo sospinse, dicendo : " Via costà con gli altri cani. Il Lo collo poi con le braccia mi cinse, 43 baciommi il volto, e disse : " Alma sdegnosa, benedetta colei che in te s incinse ! Quei fu al mondo persona orgogliosa; 46 bontà non è che sua memoria fregi : cosi s è 1 ombra sua qui furiosa. Quanti si tengon or lassù gran regi, 49 che qui staranno come porci in brago, di sé lasciando orribili dispregi ! " Ed io : " Maestro, molto sarei vago 52 di vederlo attuffare in questa broda, prima che noi uscissimo del lago. " Ed egli a me : " Avanti che la proda 55 ti si lasci veder, tu sarai sazio: di tal disio converrà che tu goda. " Strazio Dopo ciò poco, vidi qucllo strazio di Filippo £ r • 11 f Argenti. '^'" ^^ costui alle fangose genti, che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. 58 80 INjFERNO ,f^- 'ìMaaìuma^ik .1 Torre demolita degli Adirnari famiglia di Filippo Argenti, diseg. di E. Burci. (Firenze, Raccolta storico-topografico). 1 utti gridavano : " A Filippo Argenti ! E il fiorentino spirito bizzarro in sé medesmo si volgea co denti. 61 Quivi il lasciammo, che più non ne narro; ma negli orecchi mi percosse un duolo, per eh io avanti intento l'occhio sbarro. 64 CAN ro vili, Città Lo buon maestro disse: "Ornai, figliuolo, 67 s a|)j)i(^ssa la cillà clic ha norne Dil(% co gravi citladin, col grande stuolo. " Ed io : " Maestro, già le sue meschite 70 là entro certo nella valle cerno, vermiglie, come se di foco uscite fossero. " Ed ei mi disse : " Il foco eterno 73 eh entro 1 affoca, le dimostra rosse, come tu vedi in questo basso inferno. " Noi pur giugnemmo dentro ali alte fosse, 76 che vallan quella terra sconsolata : le mura mi parean che ferro fosse. Non senza prima far grande aggirata, 79 venimmo in parte, dove il nocchier, forte, " Uscite, " ci gridò, " qui è l'entrata. " Io vidi più di mille in sulle porte 82 da ciel piovuti, che stizzosamente dicean : " Chi è costui, che senza morte Diavoli al- ^^ pgj. JQ regno della morta gente? " 85 la porta di Dite. E il savio mio maestro fece segno di voler lor parlar segretamente. Allor chiusero un poco il gran disdegno, 88 e disser : " Vien tu solo, e quei san vada, che si ardito entrò per questo regno. 82 INFERNO Sol SI ritorni per la folle strada ! 91 Provi se sa ; che tu qui rimarrai, che gli hai scorta si buia contrada. " Spavento Pensa, lettor, se io mi sconfortai 94 di Dante. , , ,, , , , nel suon delle parole maladette ; eh 10 non credetti ritornarci mai. O caro duca mio, che più di sette 97 volte m hai sicurtà renduta, e tratto d alto periglio che incontra mi stette, non mi lasciar, " diss' io, " cosi disfatto ! loo E se 1 passar più oltre e è negato, ritroviam 1 orme nostre insieme ratto. " E quel signor, che li m avea menato, 103 mi disse : " Non temer, che il nostro passo non CI può tórre alcun, da tal n è dato. Conforto. Ma qui m attendi, e lo spirito lasso 106 conforta e ciba di speranza buona, eh' io non ti lascerò nel mondo basso. " Cosi sen va, e quivi m'abbandona 109 lo dolce padre, ed io rimango in forse, che si e no nel capo mi tenzona. Udir non potè' quello eh' a lor porse; 112 ma ei non stette là con essi guari, che ciascun dentro a prova si ricorse. CAN IO Vili. HJ Vii|^ili() of- feso. Cliiuscr le porle qiie iioslii avversari il') nel pello al mio signor, die fuor rimase, e rivolsesi a me con passi rari. Gli ocelli alla terra, e le ciglia avea rase 118 d ogni baldanza, e dicea ne sospiri : " Chi m'ha negate le dolenti case? " Ed a me disse: "Tu, perch'io m'adiri, 121 non sbigottir, eh io vincerò la prova, qual eh alla difension dentro s aggiri. Tracotanza Questa lor tracotanza non è nuova, 124 dei diavoli. i , -^ i» ciie già 1 usaro a men segreta porta, la qual senza serrarne ancor si trova. SovT essa vedestù la scritta morta : 127 e già di qua da lei discende 1 erta, passando per h cerchi senza scorta, 11 messo di- vino, tal che per lui ne fia la terra aperta. " 130 I sepolcri ad A ili. CANTO IX. Virgilio Quel color che viltà di fuor mi pinse, fuor di Dite. ili • • i veggendo il duca mio tornare in volta, più tosto dentro il suo nuovo ristrinse. Attento si fermò com uom che ascolta ; che 1 occhio noi potea menare a lunga per 1 aer nero e per la nebbia folta. Pure a noi converrà vincer la punga, cominciò ei, se non.... Tal ne s'offerse! Oh, quanto tarda a me ch'altri qui giunga! " lo vidi ben si com ei ricoperse lo cominciar con 1 altro che poi venne, che fur parole alle prime diverse. 10 86 INFERNO Ma non di men paura il suo dir dienne, i3 perch IO traeva la parola tronca forse a peggior sentenza eh e' non tenne. " In questo fondo della trista conca 16 discende mai alcun del primo grado, che sol per pena ha la speranza cionca ? " Questa question fec io ; e quei : " Di rado 19 incontra, " mi rispose, " che di nui faccia il cammino alcun per quale io vado. Eritone. Vero è ch'altra fiata quaggiù fui 22 congiurato da quella Eriton cruda, che richiamava 1 ombre a corpi sui. Di poco era di me la carne nuda, 25 ch'ella mi fece entrar dentro a quel muro, per trarne un spirto del cerchio di Giuda. Giudecca. Quell è il più basso loco e il più oscuro 28 e il più lontan dal ciel che tutto gira : ben so il cammin; però ti fa sicuro. Questa palude, che il gran puzzo spira, 3i cinge d intorno la città dolente, u' non potemo entrare omai senz ira. " Ed altro disse, ma non 1 ho a mente ; 34 però che l'occhio m avea tutto tratto ver l'alta torre alla cima rovente. CAN IO IX. 87 Le Erinni. ov(^ 111 UH pillilo fiiioii (IrilU* ratio 37 tre fune inf(Mnal di sangue tinte, che membra femminili aveano ed atto, e con idre verdissime eran cinte ; 40 serpentelli e ceraste avean per crine, onde le fiere tempie eran avvinte. E quei, che ben conobbe le meschine 43 della regina dell eterno pianto : " Guarda, " mi disse, " le feroci Erine. Questa è Megera, dal sinistro canto; 46 quella, che piange dal destro, è Aletto; Tesifone è nel mezzo. " E tacque a tanto. Con 1 unghie si fendea ciascuna il petto, 49 batteansi a palme, e gridavan si alto eh io mi strinsi al poeta per sospetto. Medusa. " Venga Medusa ! si '1 farem di smalto ! " 52 Dicevan tutte riguardando in giuso; "mal non vengiammo in Teseo l'assalto. " " Volgiti indietro, e tieni il viso chiuso ; 55 che, se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi, nulla sarebbe di tornar mai suso. " Cosi disse il maestro; ed egli stessi 58 mi volse, e non si tenne alle mie mani, che con le sue ancor non mi chiudessi. 88 INFERNO messo di vino. O VOI, che avete gì intelletti sani, 61 mirate la dottrina che s asconde sotto il velame degli versi strani ! E già venia su per le torbid onde 64 un fracasso d un suon pien di spavento, per CUI tremavano ambedue le sponde; Medusa. (Napoli, Museo). non altrimenti fatto che d un vento 67 impetuoso per gli avversi ardori, che fìer la selva, e senza alcun rattento li rama schianta, abbatte e porta fuori; 70 dinanzi polveroso va superbo, e fa fuggir le fiere e li pastori. o iiiiiii(>). CANTO X. Eretici. Ora sen va per un secreto calle, tra il muro della terra e li martiri, lo mio maestro, ed io dopo le spalle. " O virtù somma, che per gli empT giri mi volvi, " cominciai, " coma te piac parlami e satisfammi a miei desiri. La gente, che per li sepolcri giace, potrebbesi veder? già son levati tutti 1 coperchi, e nessun guardia face. Ed egli a me : " Tutti saran serrati, quando di losafàt qui torneranno COI corpi che lassù hanno lasciati. 10 96 INFERNO .picurei. Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti i suoi seguaci, che l anima col corpo morta fanno. 13 Epicuro, miniatura del 1355 (dalla Canzonv delle Scienze e delle Virtù). Però alla dimanda che mi faci quinc entro satisfatto sarai tosto, ed al disio ancor che tu mi taci. " 16 e Vi o > CAN IO X. 97 \'a\ io: " Buon duca, non Ic^no riposto 19 a l(^ imo COI, se non per elicer j)oco; e Ui m'hai non pur ino a ciò disposto. Il " O lósco, che per la città del foco 22 vivo len vai cosi parlando onesto, piacciati di ristare in questo loco. La tua loquela ti fa manifesto 25 di quella nobil patria natio, alla qual forse fui troppo molesto. " Subitamente questo suono uscio 28 d una dell arche ; però m accostai, temendo, un poco più al duca mio. Farinata de- Ed ei mi disse : " Volgiti ; che fai ? 3i ^ ' ^' '' vedi là Farinata che s' è dritto : dalla cintola in su tutto il vedrai. " 1 avea già il mio viso nel suo fìtto; 34 ed ei s ergea col petto e con la fronte, come avesse lo inferno in gran dispitto. E l'animose man del duca e pronte 37 mi pinser tra le sepolture a lui, dicendo : " Le parole tue sien conte. " Com io al pie della sua tomba fui, guardommi un poco, e poi quasi sdegnoso mi dimandò: " Chi fur li maggior tui? " 40 98 INFERNO Io, ch'era d ubbidir desideroso, non gliel celai, ma tutti gliel apersi ; ondai levò le ciglia un poco in soso. 43 l> Mlrwv ■ f •i'-IM-*>"'"A IKVWVriS -VE PATPlf LiafMfOp. Farinala degli U berli, di Andrea del Castagno. (Firenze, ex-convento di S. Apollonia). poi disse : " Fieramente furo avversi a me ed a miei primi ed a mia parte, si che per due fiate gh dispersi. " 46 CAN ro X 99 S'ci fùr cacciali, ci tornai d ogni [)aìlc, " 49 risposi IO lui, " I una e I altra fiata ; ma 1 vostri non apprcscr ben qucll arte. " »! I / (ìiirl/i cacciati da Firenze, miniulura del scc. xiv. (Roma, Biblioteca Cliigiana). Allor surse alla vista scoperchiata un ombra lungo questa infino al mento; credo che s era in ginocchie levata. 52 Cavalcante Cavalcanti. D intorno mi guardò, come talento 55 avesse di veder s altri era meco; ma poi che il sospecciar fu tutto spento, piangendo disse : " Se per questo cieco 58 carcere vai per altezza d ingegno, mio figlio ov è ? e perché non è teco ? " Sigillo di Cavalcante Cavalcanti. (Firenze, Museo Nazionale). 100 INFERNO Guido Ca- Ed IO a lui : " Da me stesso non vegno ; 61 colui, che attende là, per qui mi mena. forse CUI Guido vostro ebbe a disdegno. II Le sue parole e il modo della pena 64 m avean di costui già letto il nome; però fu la risposta cosi piena. Di subito drizzato gridò : " Come 67 dicesti 7 ' Egli ebbe ? ' Non viv' egli ancora ? non fiere gli occhi suoi lo dolce lome? " Quando s accorse d alcuna dimora 70 eh IO faceva dinanzi alla risposta, supin ricadde e più non parve fuora. Ma quell altro magnanimo, a cui posta 73 restato m era, non mutò aspetto, né mosse collo, né piegò sua costa. " E se, " continuando al primo detto, 76 " s'egh han quell arte, " disse, " male appresa, ciò mi tormenta più che questo letto. Ma non cinquanta volte fìa raccesa 79 la faccia della donna che qui regge, che tu saprai quanto quell arte pesa. E se tu mai nel dolce mondo regge, 82 dimmi, perché quel popolo è si empio incontro a' miei in ciascuna sua legge ? " u 3 cr n cs o e et ai -.">' ^'i^itrA** ire fl.U v^-'M \'- €stro (oggi del Gesù) a Viterbo dove Guido da Monforte uccise Arrigo d' Inghilterra. Londra. - Tomba di Odoardo il Confessore (1278) dove fu posto il cuore di Arrigo. (Dalla riproduzione in Gasici S. Angelo di Roma). Londra e il Tamigi, miniatura del sec. xv. (Londra, British Miiseum). CANTO XII 121 Quivi si |)ian|i[()ìi li spieiati danni, i'"- quivi è Alessandro e Dionisio Icro che {e Cicilia av(M dolorosi anni ; e quella fronte e Ila il pel cosi nero i"'' è Azzolino, e quell altro eli è biondo è Obizzo da Esti, il qual per vero fu spento dal figliastro su nel mondo. 112 ' Allor mi volsi al poeta, e quei disse: " Questi ti sia or primo, ed 10 secondo. Omicidi. Poco più oltre il Centauro s affisse 115 sopra una gente, che infino alla gola parca che di quel bulicame uscisse. Guido di Mostrocci un'ombra dall' un canto sola, ii« Monfoite. 11 II r- 1 • f' • u n- dicendo : Colui tesse m grembo a Uio lo cor che m sul Tamigi ancor si cola. " Poi vidi gente, che di fuor del no 121 tenea la testa ed ancor tutto il casso; e di costoro assai nconobb' 10. Cosi a più a più si facea basso 124 quel sangue si che cocca pur li piedi ; e quivi fu del fosso il nostro passo. Si come tu da questa parte vedi 127 lo bulicame che sempre si scema, " disse il Centauro, " voglio che tu credi 22 INFERNO ('•nido (li Manforte uccide Arrigo (ì'Jnf/liilterra, miniatura del sec. xiv. (Roma, IJihlioli'ia ('.liif Arpie, scoltura romanica. (Cremona, Duomo). che tu verrai nell orribil sabbione : però riguarda bene, e si vedrai cose che torrien fede al mio sermone. " Io sentia da ogni parte tragger guai, e non vedea persona che il facesse; per eh io tutto smarrito m'arrestai. Io credo eh ei credette eh io credesse che tante voci uscisser tra que' bronchi da gente che per noi si nascondesse. 19 22 25 128 INFERNO Però disse il maestro : " Se tu tronchi qualche fraschetta d'una deste piante, li pensier e nai si li Densier e hai si faran tutti monchi. " 28 Arjiid, scolturn (Icll'Anlclaiiii (scc. xii). (Borgo Siili Diiiiniiiu, Duomo). Pier della Vigna. Allor porsi la mano un poco avante, 31 e colsi un ramicel da un gran pruno; e il tronco suo gridò : " Perché me schiante ? " Da che fatto fu poi di sangue bruno, 34 ricominciò a gridar : " Perché me scerpi } non hai tu spirto di pietate alcuno ? Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi : ben dovrebb esser la tua man più pia, se state fossim anime di serpi. " 37 CAN IO XIII \Z') CoiiK* (1 mi sli//() verde, clic arso sia dall un d(* capi, die dall allro geme e cigola per vento clu^ va via ; ■Ut Presunto ritratto di Pier delUi Vigna. (Capua, Museo). si della scheggia rotta usciva insieme parole e sangue ; ond io lasciai la cima cadere, e stetti come I uom che teme. 43 " S egli avesse potuto creder prima, " rispose il savio mio, " anima lesa, ciò e ha veduto pur con la mia rima, 46 130 INFERNO non averebbe in te la man distesa; 49 ma la cosa incredibile mi fece indurlo ad opra, che a me stesso pesa. Ma dilli chi tu fosti, si che, in vece 52 d alcuna ammenda, tua fama rinfreschi nel mondo su, dove tornar gli lece. " E il tronco: " Si con dolce dir m'adeschi 55 eh IO non posso tacere; e voi non gravi per eh 10 un poco a ragionar m inveschi. Io son colui che tenni ambo le chiavi 58 Federico II. del cor di Federico, e che le volsi serrando e disserrando si soavi, che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi : 6i fede portai al glorioso ufìzio, tanto eh io ne perdei lo sonno e i polsi. La meretrice, che mai dall ospizio 64 Invidia. (ji Cesare non torse gli occhi putti, morte comune e delle corti vizio, infiammò contra me gli animi tutti; 67 e gli infiammati infiammar si Augusto, che 1 lieti onor tornaro in tristi lutti. L animo mio per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto. 70 CAN ICJ XIII. lil Hesli ili'l castello ili S. Miniato al Tedesco, dove fu prigioniero Pier della Vù/nti. Per le nuove radici desto legno vi giuro che giammai non ruppi fede al mio signor, che fu d'onor si degno. 73 E se di VOI alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia che giace ancor del colpo che invidia le diede. " 76 132 INFERNO )U1C1 Un poco attese, e poi : " Da eh ei si tace, " 7!) disse il poeta a me, " non perder 1 ora ; ma parla, e chiedi lui se più ti piace. " Ond io a lui : " Dimandai tu ancora 82 di quel che credi che a me satisfaccia; ch'io non potrei, tanta pietà m'accora. " Però ricominciò : " Se 1 uom ti faccia 85 hberamente ciò che il tuo dir prega, spinto incarcerato, ancor ti piaccia di dirne come 1 anima si lega 88 di- in questi nocchi; e dinne, se tu puoi, s alcuna mai da tai membra si spiega. Il Allor soffiò lo tronco forte, e poi 9i SI converti quel vento in cotal voce : " Brevemente sarà risposto a voi. Quando si parte 1 anima feroce 94 dal corpo ond ella stessa s è divelta, Minos la manda alla settima foce. Cade in la selva, e non 1 è parte scelta ; 97 ma là dove fortuna la balestra, quivi germoglia come gran di spelta ; surge in vermena ed in pianta silvestra : loo 1 Arpie, pascendo poi delle sue foghe, fanno dolore, ed al dolor finestra. CANIO Xlll. 133 Come r altre vcncin |)(r iioslic sjìoglie, i";{ ina non però eli alcuna seii iiv(\sta; che non e giusto aver ciò eli uoni si l()glu^ Qui le liascineremo, e per la mesta 106 selva saranno i nostri corpi appesi, ciascuno al prun dell ombra sua molesta. " Noi eravamo ancora al tronco attesi, 109 credendo eh altro ne volesse dire, quando noi fummo d un romor sorpresi, similmente a colui che venire 112 sente il porco e la caccia alla sua posta, eh ode le bestie e le frasche stormire. Scialacqua- Ed ecco due dalla sinistra costa, 115 tori. nudi e graffiati, fuggendo si forte, che della selva rompièno ogni rosta. Quel dinanzi: " Ora accorri, accorri. Morte! " 118 e 1 altro, a cui pareva tardar troppo, gridava : " Lano, si non furo accorte Lano da le gambe tue alle giostre del Toppo; " 121 e poiché forse gli fallia la lena, di sé e d un cespuglio fece un groppo. Di retro a loro era la selva piena 124 di nere cagne, bramose e correnti come veltri che uscisser di catena. 134 INFERNO ^,'dj*:.\- Pieve al Toppo. In quel che s appiattò miser li denti, e quel dilacerare a brano a brano; poi sen portar quelle membra dolenti. 127 Presemi allor la mia scorta per mano, e menommi al cespuglio che piangea, per le rotture sanguinenti, invano. 130 CAN IO XIII. 135 Jacopo (1.1 " () Iacopo " (luca " da Sani Andrea, S. AuiIkM. I ' . • I" f I x (■|ì(^ l (' {giovalo eli nu* lare schcriiio } clic colpa Ilo IO della tua vila rea? x.s Quando il maestro fu sopr esso fermo, disse : " Clii fusti, che per tante punte soffi con sangue doloroso sermo ? " 1 :?c. La statuii (li Milite :i elle licn volle le s|)alle in vèr Dannata, e Roma guata si come suo speglio. La sua testa è di fin oro formata, . !'»<• e puro argento son le braccia e il petto, poi è di rame infino alla forcata ; !-i'> «W Dannata, da acquerello. da indi in giuso è tutto ferro eletto, iu9 salvo che il destro piede è terracotta, e sta in su quel, più che in su l'altro, eretto. Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta 112 d una fessura che lagrime goccia, le quah accolte fóran quella grotta. Fiumi Lor corso in questa valle si diroccia: ii5 d'Averno. r . , ^ • r-i ranno Aciieronte, otige e riegetonta; poi sen van giù per questa stretta doccia 144 INFERNO Cocilo. infin là ove più non si dismonla : ii« fanno Cocito; e qual sia quello stagno, tu il vederai, però qui non si conta. ' Ed IO a lui : " Se il presente rigagno 121 SI deriva cosi dal nostro mondo, perché ci appar pure a questo vivagno? " Alessandro Magno, scoltura del scc. xii. (Venezia, San Marco). Ed egli a me : " Tu sai che il loco è tondo, e, tutto che tu sii venuto molto pur a sinistra, giù calando al fondo, non se' ancor per tutto il cerchio vòlto ; per che se cosa n apparisce nuova, non dee addur maraviglia al tuo volto. " Ed io ancor: " Maestro, ove si trova Flegetonte e Lete ; che dell un taci, e l'altro di' che si fa desta piova? " 124 127 130 o 5 i5 CANTO XIV. 143 " In liiHc liK^ qucslion corto mi piaci, " i '^'5 rispose; ma il hollor (l('lla((|ua rossa dovca l)cn soIv(m I una cIk^ lu faci. Lete. Lete vedrai, ma fuor di questa fossa, i:u; là ove vanno 1 anime a lavarsi, quando la colpa pentuta è rimossa. " \:v.) Poi disse : Omai è tempo da scostarsi dal bosco ; fa che di retro a me vegne : li margini fan via, che non son arsi. e sopra loro ogni vapor si spegne. " 142 ® Hriii/fiiii. miniai ur;i ticl si'C. xv. (itirsl:iii, Mihliiilr'c:!). CANTO XV. Margini. Ora cen porta l'un de' duri margini, e il fummo del ruscel di sopra aduggia si che dal foco salva 1 acqua e gli argini. Quale 1 fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, temendo il fiotto che ver lor s'avventa, fanno lo schermo, perché il mar si fuggia; Fra Giiizziinle e Brugyia, niinialura del sec. xv. (Breslau, Blblioleca). e quale i Padovan lungo la Brenta, per difender lor ville e lor castelli, anzi che Chiarentana il caldo senta ; 148 INFERNO a tale imaglne eran fatti quelli, tutto che né si alti né si grossi, qual che si fosse, lo maestro felli. 10 Già eravam dalla selva rimossi tanto, eh io non avrei visto dov'era, per eh IO indietro rivolto mi fossi ; 13 La Brenta in Carinzia (Chiarentana). Violenti con- quando incontrammo d anime una schiera, tro natura. i , i r • CI •,• che venian lungo 1 arsine ; e ciascuna oodomiti. => =* ci riguardava, come suol da sera 16 guardar 1 un l altro sotto nuova luna, e si ver noi aguzza van le ciglia, come vecchio sartor fa nella cruna. 19 CANIO XV. \A') Brunetto Latini. Cosi adocc Inalo da colai famiglia, lui conosciulo da un, die ini prese per lo lomho e gridò : " Qiial maraviglia ? " Ed IO, quando il suo braccio a me distese, ficcai gli ocelli per lo collo aspetto si che il viso abbrucialo non difese la conoscenza sua al mio intelletto ; e chinando la mano alla sua faccia, risposi : " Siete voi qui, ser Brunetto ? " E quegli: " O figliuol mio, non ti dispiaccia, ;ìi se Brunetto Latini un poco teco ritorna indietro, e lascia andar la traccia. " Io dissi a lui : " Quanto posso ven preco ; 34 e se volete che con voi m asseggia. •)•} j:;) 28 faròi, se piace a costui, che vo seco. Il " O figliuol, " disse, " qual di questa greggia 37 s arresta punto, giace poi cent' anni senza arrostarsi quando il foco il feggia. Però va oltre ; io ti verrò a panni, io e poi rigiugnerò la mia masnada, che va piangendo i suoi eterni danni. " Io non osava scender della strada 43 per andar par di lui ; ma il capo chino avanzo dei sepolcro , » 1 ,1 di Brunello Lalini. tenea, com uom crie reverente vada. (Firenze, s. Maria Maggiore). 50 INFERNO Ei cominciò : " Qual fortuna o destino anzi 1 ultimo di qua giù ti mena? e chi è questi che mostra il cammino? " 46 Smairimento di Dante. " Là SU di sopra in la vita serena, " rispos IO lui, " mi smarrì in una valle, avanti che 1 età mia fosse piena. 49 Pur ler mattina le volsi le spalle : questi m apparve, tornand io in quella, e riducemi a ca' per questo calle. " 52 Profezia di EJ egli a me : " Se tu segui tua stella. Dante. • f ir i • non puoi tallire a glorioso porto, se ben m accorsi nella vita bella ; 55 Mura dell'antica Fiesole. e s io non fossi si per tempo morto, veggendo il cielo a te cosi benigno, dato t avrei ali opera conforto. 58 CAN lo XV. 151 Giona di Dan- te preconiz- zata. Ma qiK^ll mijjrato poj)()lo maligno, «i dir discese di Fiesole ah antico e tiene ancor del inonl(^ e del macigno, ti si farà, per tuo ben far, nimico ; 64 ed è ragion, che tra li lazzi sorhi si disconvien fruttare al dolce fico. I Fiorentini. Vecchia fama nel mondo li chiama orbi, 67 gente avara, invidiosa e superba : da' lor costumi fa che tu ti forbì. La tua fortuna tanto onor ti serba, 70 che luna parte e 1 altra avranno fame di te ; ma lungi fìa dal bécco 1 erba. Faccian le bestie fìesolane strame 73 di lor medesme, e non tocchin la pianta, s alcuna surge ancor nel lor letame, in cui riviva la sementa santa 76 di quei Roman, che vi rimaser, quando fu fatto il nido di malizia tanta. " " Se fosse tutto pieno il mio dimando, " 79 risposi lui, " voi non sareste ancora dell umana natura posto in bando ; che in la mente m è fìtta, ed or m'accora, ^2 la cara e buona imagine paterna di voi, quando nel mondo ad ora ad ora 52 INFERNO m' insegnavate come 1 uom s eterna ; 85 e quanl' io l'abbia in grado, nnentre io vivo convien che nella mia lingua si scerna. Ciò che narrate di mio corso scrivo, «8 e serbolo a chiosar con altro testo Beatrice. a donna che saprà, se a lei arrivo. Tanto vogl'io che vi sia manifesto, 9i pur che mia coscienza non mi garra, che alla fortuna, come vuol, son presto. Non è nuova agli orecchi miei tale arra ; ^ i però giri fortuna la sua rota, come le piace, e il villan la sua marra. fi Lo mio maestro allora in su la gota 97 destra si volse indietro, e riguardommi; poi disse: " Bene ascolta chi la nota. Né pertanto di men parlando vommi loo con ser Brunetto, e domando chi sono li suoi compagni più noti e più sommi. Ed egli a me: " Saper d'alcuno è buono: 103 degli altri fìa laudabile tacerci, che il tempo saria corto a tanto suono. Insomma sappi che tutti fur cherci 106 e letterati grandi e di gran fama, d'un medesmo peccato al mondo lerci. -'jcagì.y^A Sepolcro d'Accorso e dì suo figlio Francesco, in Bologna, CAN IO XV. 153 Francese o d'Accorso. Prisciaiì son va con quella liiiha grama, i"'» V Francesco ci Accorso arìclic ; e vedervi, s avessi aviilo di lai tigna hrama, fmc j>ià "dff fmc (fin tTS (tue jciii tre Prisciano, miniat. del scc. xiv (dulia r.iinro/ie (/ de/fe Sciente). Andrea de' Mozzi. colui potei che dal servo de' servi fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione, dove lasciò li mal protesi nervi. 112 154 INFERNO L'Arno a Firenze, acquerello di E. Burci. (Firenze, Raccolta storico-topografica). 11 Bacchiglione a Vicenza. CAN IO XV. 3 3 Di pili (Iikm; ina il venir e il scrmoiu* il') pili lungo ('ssor non può, però eh io veggio là suigci nuovo fummo dal sabbione. Genie vien con la quale esser non deggio ; siati raccomandalo il mio ' Tesoro,' nel quale io vivo ancora; e più non cheggio. " ii.s Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna ; e parve di costoro 121 quegli che vince, non colui che perde, 124 ^, ' H-- f .^.. i='t y\' % '■^. ■:\ ri*4':''|ìrTi H tri a r-r^ ; iLv. Il • %i!v. r«:> 'li aVr? i'^ Lt^ C'V»I v-^i iy • 'i lii:::iLiLeffl?^o ffl^iLh i. Verona - Icoiioii;ralia iialiTiaiia. Mtiiilcncso (Monviso). CANTO XVI. Cerchio set- QjA^ gj.^ jj^ \q^q qy^ g yjj^ jj iimbombo timo. Vio- lenti con- ^^'^ acqua che cadea nell altro giro, tio natura. simile a quel che 1 arnie fanno rombo ; quando tre ombre insieme si partirò, correndo, d una torma che passava sotto la pioggia dell'aspro martiro. Venian ver noi, e ciascuna gridava : " Sostati tu, che all'abito ne sembri essere alcun di nostra terra prava. " Ahimè, che piaghe vidi ne' lor membri, recenti e vecchie, dalle fiamme incese! Ancor men duol, pur eh' io me ne rimembri. 10 158 INFERNO Alle lor grida il mio dottor s attese ; )lse il VISO ver me, e: " O 13 voi ra aspetta, disse, " a costor si vuole esser cortese ; Arnie antiche. e se non fosse il foco che saetta la natura del loco, io dicerei che meglio stesse a te, che a lor, la fretta. " 16 Ricominciar, come noi ristemmo, ei 19 Tre fiorentini, 1 antico verso ; e quando a noi fur giunti, fenno una rota di sé tutti e trei. CAN IO XVI 59 Qiial sogliono I campion far midi ed unti, avvisando loi prosa e lor vantagi^io, prima clic sieii Ira lor halluli e punii; 22 ■V_x\ Lottatori, da una miniatura del sec. xiv. (Londra, Brilisli Museum). cosi, rotando, ciascuno il visaggio 25 drizzava a me, si che in contrario il collo faceva a pie continuo viaggio. E, " se miseria desto loco sollo 28 rende in dispetto noi e nostri preghi, " cominciò l'uno, " e il tinto aspetto e brollo, I()0 INFERNO la fama nostra il tuo animo pieghi a dirne chi tu se , che i vivi piedi cosi securo che lo inferno freghi. Questi, 1 orme di cui pestar mi vedi, tutto che nudo e dipelato vada, fu di grado maggior che tu non credi. 31 34 ('•nido (iiicrid cacc'iii i (iliil)olliiii da Arezzo, miniatura del scc. xiv, (Rom;i, Biblioteca Chìgiana). Guido Guerra. Tegghiaio Aldobiandi. Iacopo Rusticucci. Nepote fu della buona Gualdrada; 37 Guido Guerra ebbe nome, ed in sua vita fece col senno assai e con la spada. L altro, che appresso me 1 arena trita, 40 è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce nel mondo su dovria esser gradita. Ed io, che posto son con loro in croce, 43 Iacopo Rusticucci fui; e certo la fiera moglie più eh' altro mi nuoce. " o o e o tu 160 INFERNO la fama nostra il tuo animo pieghi a dirne chi tu se , che i vivi piedi cosi securo che lo inferno freghi. Questi, 1 orme di cui pestar mi vedi, tutto che nudo e dipelalo vada, fu di grado maggior che tu non credi. :n 34 (iìiido diurni caccia t (•' jtiirii ilt'l ifc. MV. Guido Guerra. Tegghiaio Aldobrandi Iacopo Rusticucci. la fì( h' alti era moglie più eh altro mi nuoce Nepote fu della buona Gualdrada; 37 Guido Guerra ebbe nome, ed in sua vita fece col senno assai e con la spada. L altro, che appresso me 1 arena trita, 40 è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce nel mondo su dovria esser gradita. Ed IO, che posto son con loro in croce, 43 Iacopo Rusticucci fui; e certo e o CANTO XVI, \<>\ S'io fussi sialo dal foco (opcrlo, !'• gillalo ITU sarei Ira loi di sodo, V cKxlo elle il dollor I avria soffcrlo. Ma perdi io mi sarcM brucialo o collo, i'» vinse paura la mia buona voglia, cbe di loro abbracciar mi facea gbiollo. Poi cominciai : " Non dispetto, ma doglia r)2 la vostra condizion dentro mi fisse tanto, che tardi tutta si dispoglia, tosto che questo mio signor mi disse 55 parole, per le quali io mi pensai che qual voi siete, tal gente venisse. Di vostra terra sono ; e sempre mai 58 1 opre di VOI e gli onorati nomi con affezion ritrassi ed ascoltai. Lascio la fele, e vo per dolci pomi fii promessi a me per lo verace duca ; ma fino al centro pria convien eh io tomi. Il e se la fama tua dopo te luca, II " Se lungamente l'anima conduca 64 le membra tue, " rispose quegli allora. cortesia e valor di se dimora 67 nella nostra città si come suole, o se del tutto se n è gita f uora ; 162 INFERNO Guglielmo che Guglielmo Borsiere, il qual si duole 70 Boisiere. • i, • con noi per poco, e va la coi compagni, assai ne cruccia con le sue parole. La gente " La gente nuova e i sùbiti guadagni 73 orgoglio e dismisura han generata, Fiorenza, in te, si che tu già ten piagni. nuova. Il Cosi gridai con la faccia levata; 76 e i tre, che ciò inteser per risposta, guatar l'un l'altro, come al ver si guata. " Se l'altre volte si poco ti costa, " 79 risposer tutti, " il satisfare altrui, fehce te, che si parli a tua posta ! Però, se campi d esti lochi bui 82 e torni a riveder le belle stelle, quando ti gioverà dicere : ' Io fui, ' fa che di noi alla gente favelle. " 85 Indi rupper la rota, ed a fuggirsi ale sembiar le loro gambe snelle. Un ' ammen ' non saria potuto dirsi 88 tosto cosi, com'ei furo spanti; per che al maestro parve di partirsi. Io lo seguiva, e poco eravam iti, 9i che il suon dell'acqua n era si vicino che, per parlar, saremmo appena uditi. CAN IO XVI \<,i U Acquachela ora Montone. Il Montone a Forlì. 164 NFERNO Montone. Cascata di S. Benedetto. Corda di Dan- te gettata a Cenone. Come quel fiume e' ha proprio cammmo 94 prima da Monleveso in ver levante dalla sinistra costa d Apenmno, che si chiama Acquacheta suso, avante 97 che si divalli giù nel basso letto, ed a Folli di quel nome è vacante, rimbomba là sopra San Benedetto luu dell'Alpe, per cadere ad una scesa, ove dovea per mille esser ricetto; cosi, giù, d una ripa discoscesa, 103 trovammo risonar quell acqua tinta, si che in poc ora avria 1 orecchia offesa. Io aveva una corda intorno cinta, ine e con essa pensai alcuna volta prender la lonza alla pelle dipinta. Poscia che 1 ebbi tutta da me sciolta, 109 si come il duca m avea comandato, persila a lui aggroppata e ravvolta. Ond ei si volse in ver lo destro lato, 112 e alquanto di lungi dalla sponda la gittò giuso in quell'alto burrato. " E' pur convien che novità risponda, " 110 dicea fra me medesmo, " al nuovo cenno, che il maestro con l occhio si seconda. " Cascata del Montone a S. Benedetto dell'Alpe. Cascala del Montone a S. BenedeUo dell'Alpe. CAN io XVI, 165 S. Bcnedello dell'Alpe, disegno del Livcrani. (Fusif^nano, proprietà l'iancasti-lli). teidSg Badia di .S". lieiicdrllo drll'Alìx-, disei;no del Livcrani. (l'usigiiano, j)rc)prieUi Piancaslelli). 166 INFERNO Ahi, quanto cauti gli uomini esser denno 118 presso a color, che non veggion pur 1 opra, ma per entro i pensier miran col senno! Ei disse a me: " Tosto verrà di sopra 121 ciò eh 10 attendo e che il tuo pensier sogna; tosto convien eh al tuo viso si scopra. " Sempre a quel ver e ha faccia di menzogna 124 de 1 uom chiuder le labbra quant ei puote, però che senza colpa fa vergogna ; ma qui tacer noi posso ; e per le note 127 di questa commedia, lettor, ti giuro, s elle non sien di lunga grazia vote, eh 10 vidi per quell aer grosso e scuro 130 ierione. Venir nuotando una figura in suso, maravigliosa ad ogni cor sicuro, si come torna colui che va giuso 133 talora a solver àncora, eh aggrappa o scoglio o altro che nel mare è chiuso, che in su si stende, e da pie si rattrappa. 136 Daniìiili culi Ir Ixiisc al fallo, di Mino da l'icsolc (ltiiiii;i, (iicillc Nili ii'Mlli';. CANTO XVII. lenone. " Ecco la fiera con la coda aguzza, che passa i monti e rompe i muri e l'armi; it ecco colei che tutto il mondo appuzza. Si commciò lo mio duca a parlarmi, ed accennolle che venisse a proda, vicino al fin de passeggiati marmi ; e quella sozza imagine di froda sen venne, ed arrivò la testa e il busto ; ma in su la riva non trasse la coda. La faccia sua era faccia d'uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle ; e d un serpente tutto 1 altro fusto. 10 168 INFERNO stendardo preso nel 1212 alia hatta.^lia di Las Xavas de Tolosa. Due branche avea pilose infin 1 ascelle ; 13 lo dosso e il petto ed ambedue le coste dipinti avea di nodi e di rotelle. Con più color sommesse e soprapposte 16 non fér mai drappo tartan né turchi, né fur tai tele per Aragne imposte. Tappeto orientale del scc. xiv. - (Milnno, l\[nspo Poldi-Pezzoli). CANIO XVII 169 I todesclii luiciìi. CoiiK^ lai volta stanno a riva i l)iii(lii, cli(' j)aii(' sono in acqua e parie in terra, e coiiK^ là tra li te(l(\sclìi liirclìi lo bévero s assetta a far sua guerra ; cosi la fiera pessima si stava su I orlo che, di pietra, il sabbion serra. Nel vano tutta sua coda guizzava, torcendo in su la venenosa forca che, a guisa di scorpion, la punta armava. 9') 25 u surieri. Il Bévero, da silografia del sec. xv. Lo duca disse : " Or convien che si torca la nostra via un poco infino a quella bestia malvagia che colà si corca. Il Però scendemmo alla destra mammella e dieci passi femmo in su lo stremo, per ben cessar la rena e la fiammella. E quando noi a lei venuti semo, poco più oltre veggio in su la rena gente seder propinqua al loco scemo. 28 31 34 70 INFERNO Quivi il maestro : " Acciò che tutta piena 37 esperienza d esto giron porti, " mi disse, " va, e vedi la lor mena. Li tuoi ragionamenti sian là corti : i<» mentre che torni parlerò con questa, che ne conceda i suoi omeri forti. " Cosi ancor su per la strema testa 43 di quel settimo cerchio, tutto solo andai, dove sedea la gente mesta. Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo; 46 di qua, di là soccorrien con le mani, quando a vapori, e quando al caldo suolo. Non altrimenti fan di state i cani, 49 or col ceffo, or col pie, quando son morsi o da pulci o da mosche o da tafani. Poi che nel viso a certi gli occhi pòrsi, 52 ne quah il doloroso foco casca, non ne conobbi alcun ; ma io m accorsi Tasche che dal collo a ciascun pendea una tasca, 55 stemmate. i .1 , crie avea certo colore e certo segno, e quindi par che il loro occhio si pasca. E com 10 riguardando tra lor vegno, 58 m una borsa gialla vidi azzurro, che d un leone avea faccia e contegno. CANIO XVII. 17 Leone ilei (ùanfujliuzzi. (Firenze, S. Croce). Scrofa (iej;li Scrovej;iii, ili (iiovanni Pisano. (Padova, S. .Ilaria ilcH'Aiena). 172 INFERNO Poi procedendo di mio sguardo il curro, 61 vidine un altra come sangue rossa mostrare un oca bianca più che burro. Reginaldo Ed un, chc d uua scrofa azzurra e grossa 64 ciovegni. segnato avea lo suo sacchetto bianco, mi disse : " Che fai tu in questa fossa ? Sigillo di Ucj;inaldo Scrouajtii. (Padova, Museo). Or te ne va; e perché se vivo anco, 67 Vitaliano sappi chc il mio vicin Vitaliano del Dente. .,,... sederà qui dal mio sinistro fianco. Con questi Fiorentin son Padovano ; 70 spesse fiate m intronan gli orecchi, gridando : ' Vegna il cavalier sovrano, che recherà la tasca con tre bécchi '. " 73 Qui distorse la bocca e di fuor trasse la hngua, come bue che il naso lecchi. CANTO XVII. 173 l'.d IO, ((MTK^ndo no I |)iù star nucciasse 7fi lui cIk" (Il poco star m avca ainmonilo, torna ini indietro dall anime lasse. Trovai io duca mio eh era salito 7'j già su la groppa del fiero animale, e disse a me : " Or sie forte ed ardito ! Discesa al Omai si scende per si fatte scale : 82 cerchio ot- ,. . , , . ,. j3^,Q monta dinanzi, eh io voglio esser mezzo, si che la coda non possa far male. " Qual è colui, e ha si presso il riprezzo 85 della quartana, e ha già 1 unghie smorte, e trema tutto, pur guardando il rezzo, tal divenn' io alle parole porte ; 88 ma vergogna mi fér le sue minacce, che innanzi a buon signor fa servo forte. Io m assettai m su quelle spallacce : 91 si volli dir, ma la voce non venne com io credetti : " Fa che tu m' abbracce. " Ma esso, che altra volta mi sovvenne 94 ad altro forse, tosto eh' io montai con le braccia m avvinse e mi sostenne ; Cenone. g Jjsse : " Gerion, moviti omai ! 97 le rote larghe e lo scender sia poco : pensa la nuova soma che tu hai. " 74 INFERNO Come la navicella esce dal loco ino in dietro in dietro, si quindi si tolse; e poi eh al tutto si senti a giuoco, là ov era il petto, la coda rivolse; ma e quella tesa, come anguilla, mosse, e con le branche 1 aria a sé raccolse. Fetonte. Maggior paura non credo che fosse, iu6 quando Feton abbandonò li freni, per che il ciel, come pare ancor, ci cosse; Icaro. né quando Icaro misero le reni i()9 senti spennar per la scaldata cera, gridando il padre a lui : " Mala via tieni, " che fu la mia, quando vidi eh i era 112 nell aer d ogni parte, e vidi spenta ogni veduta, fuor che della fiera. Ella sen va nuotando lenta lenta; ii5 rota e discende, ma non me n accorgo se non eh al viso di sotto mi venta. Io sentia già dalla man destra il gorgo ns far sotto noi un orribile stroscio ; per che con gli occhi in giti la testa sporgo. Allor fu 10 pili timido allo scoscio, 121 però eh 10 vidi fochi e sentn pianti; ond 10 tremando tutto mi raccoscio. CAN IO XVll. 175 I*. vidi |)()i, clic noi v(Hl('a (lavanti, I-M lo scenderò e il girar |)(m li i^ran mali che s'appressavan da diversi canti. Come il falcon eh' è stato assai su I ah, \'2i che senza veder logoro o uccello ; fa dire al falconiere : " Oimè tu cali, II discende lasso, onde si mosse snello, i'{<> per cento rote, e da lungi si pone dal suo maestro, disdegnoso e fello ; cosi ne pose al fondo Cenone 133 a pie a pie della stagliata ròcca, e, discarcate le nostre persone, si dileguò come da corda cocca. 136 Icaro, d'Andrea Pisano. (Firenze, Campanile del Duomo). . ' > ' gf D'I I I II II ^ Polite e Cdslct S. AiKjrlo prima (lolle Irasl'oriiiazioni di Alessandro \l. (Uihliolcca doli' Escoriai). Malebolg e. Bolgia ot- tava. CANTO XVIII. Loco è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra e di color ferrigno, come la cerchia che d intorno il volge. Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di CUI suo loco dicerò 1 ordigno. Quel cinghio che rimane adunque è tondo, tra il pozzo e il pie dell alta ripa dura, ed ha distinto in dieci valli il fondo. Quale, dove per guardia delle mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dov ei son rende figura ; 10 178 INFERNO tale imagine quivi facean quelli ; 13 e come a tai fortezze dai lor sogli alla ripa di fuor son porìticelli, cosi da imo della roccia scogli 16 movien, che ricidean gli argini e i fossi infino al pozzo, che i tronca e raccògli. In questo loco, della schiena scossi 19 di Gerion, trovammoci ; e il poeta tenne a sinistra, ed io retro mi mossi. Alla man destra vidi nuova pietà, 22 nuovi tormenti e nuovi frustatori, di che la prima bolgia era repleta. Ruffiani e ^q\ fondo erano ignudi i peccatori; 25 seduttori. , . . . -il dal mezzo in qua ci venian verso il volto, di là con noi, ma con passi maggiori; come 1 Roman, per 1 esercito molto, 28 1 anno del giubbileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo còlto, che dall' un lato tutti hanno la fronte 3i verso il castello e vanno a Santo Pietro, dall altra sponda vanno verso il monte. Di qua, di là, su per lo sasso tetro 34 vidi demon cornuti con gran ferze, che li battean crudelmente di retro. CANIO XVIII \7') Alii cotnc fa((NUi lor levar le herze all(* pinne percosse! ^là nessuno le seconde aspellava, né le lerze. Menli IO andava, i^li occlu miei in uno furo sconliali ; ed io si loslo dissi : " Di già veder costui non son digiuno. " ■M IH L'antico .S". Pietro e il giubileo, da stanijia. Perciò a figurarlo i piedi affissi ; 43 e il dolce duca meco si ristette, ed assenti eh alquanto indietro gissi. E quel frustato celar si credette i6 Lassando il viso, ma poco gli valse ; ch'io dissi: "Tu che l'occhio a terra gette, 1«0 INFERNO Vene t ico Cacciane- mici. se le fazion che porti non son false, Venedico se tu Caccianimico ; ma che ti mena a si pungenti salse ? ji) Ed egli a me : " Mal volentier lo dico ; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico. 52 Veduta di Bolofjna, allrcsco dei primi anni del sec. xv. (Bologna, San Petronio). Ghisolabella. Io fui colui chc la Ghisolabclla condussi a far la vogha del Marchese, come che suoni la sconcia novella. oo Corruzione bolognese. E non pur io qui piango bolognese; anzi n'è questo loco tanto pieno, che tante hngue non son ora apprese 58 AiU' avyiat La chiesa di S. Pietro nel secolo xi - disegno. (Farfa, Monastero). liHiiiiHiiiii^iiJil iiiuii. I II. iiinpi L'antico Sun Pietro, aflresco del sec. xvi. (Roma, S. Marlino dei Monti)- CAN ICJ XVIll Irti La Sàvena presso Bologna. a dicer ' sipa ' tra Savena e Reno; e se di ciò vuoi fede o testimonio, recati a mente il nostro avaro seno. " fii Cosi parlando il percosse un demonio della sua scunada, e disse: " Via, iffi. ruman, qui non son femmine aa conio f( nt Il liciio presso Bologna. 182 INFERNO Io mi raggiunsi con la scorta mia : 67 poscia con pochi passi divenimmo là ve uno scoglio della ripa uscia. Assai leggeramente quel salimmo, 70 e, volti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie eterne ci partimmo. Quando noi fummo là, dov ei vaneggia 73 di sotto per dar passo agh sferzati, lo duca disse : " Attienti, e fa che feggia 10 VISO in te di questi altri mal nati, 76 a quah ancor non vedesti la faccia, però che son con noi insieme andati. " Del vecchio ponte guardavam la traccia, 79 che venia verso noi dall altra banda, e che la ferza similmente scaccia. 11 buon maestro, senza mia dimanda, 82 mi disse : " Guarda quel grande che viene, e per dolor non par lagrime spanda : iiasone. quanto aspetto reale ancor ritiene ! 85 Quelli è Jason, che per core e per senno h Colchi del monton privati fène. Egli passò per 1 isola di Lenno, 88 poi che le ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno. CAN IO XVlll. IH3 Ivi con sogni r ron paiou^ ornalo Isidlo ingannò, la giovinclla c\\v [)iinia I alile avca tulle ingannale. 91 1 \'^^9')!;j^^ADavisi AVREVy- Giasone, dal libro di Giusto de' Menabuoi (sec. xiv). (Roma, Galleria Corsini). Lasciolla quivi gravida e soletta : tal colpa a tal martiro lui condanna ; ed anche di Medea si fa vendetta. 94 Con lui sen va chi da tal parte inganna e questo basti della prima valle sapere, e di color che in sé assanna. " 97 1H4 INFERNO Già eravam dove lo stretto calle l'io con 1 argine secondo s incrocicchia, e fa di quello ad un altr'arco spalle. Adulatori. Quindi sentinamo gente, che si nicchia h>3 nell altra bolgia e che col muso sbuffa e sé medesma con le palme picchia. Le ripe eran grommate d una muffa, loo per 1 ahto di giù che vi si appasta, che con gli occhi e col naso facea zuffa. Lo fondo è cupo si che non ci basta ino loco a veder senza montare al dosso dell arco, ove lo scoglio più soprasta. Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso 112 vidi gente attuffata in uno sterco, che dagli uman privati parca mosso. E mentre eh io là giù con 1 occhio cerco, ii5 vidi un col capo si di merda lordo, che non parca s era laico o cherco. Quei mi sgridò : " Perché se tu si ingordo 11 8 di riguardar più me che gli altri brutti? " Ed io a lui: " Perché, se ben ricordo, Alessio In- teiminelli. già t ho veduto coi capelh asciutti, 121 e se' Alessio Interminei da Lucca : però t'adocchio più che gh altri tutti. " L,e Salse presso Bologna. CAN IO XVIll. 185 Ed (gli alloi, l)all(Mi(l()si la /.lice a : r.'i " Qii'' i^'ii "^ lianiìo soniiTìciso le lusinglic, ond' IO non (^hhi mai la lingua stucca. AppiTsso CIÒ lo duca: " Fa che pniglic^ ii7 mi disse " il viso un poco più avantc^, si che la faccia ben con gli occhi atlinghe i:{(» di quella sozza e scapigliata fante, che là si graffia con l'unghie merdose, ed or s'accoscia, ed ora è in piede stante. Taide. Taide è, la puttana che rispose i^i^ al drudo suo, quando disse : ' Ho io grazie grandi appo te ? ' : ' Anzi meravigliose. ' E quinci sien le nostre viste sazie. " 136 I\(iiìui suW Idra ihilli' si'lU' U'sic. ((;:il:iliiiM, S. (^iileritiii). CANTO XIX. Cerchio ot- O Simon mago, o miseri seguaci, lavo, terza i i J- nv' L J* L 1 1 • che le cose di Uio, che di boi bolgia. ' deono esser spose, voi rapaci per oro e per argento adulterate ; or convien che per voi suoni la tromba, però che nella terza bolgia state. Già eravamo alla seguente tomba montati, dello scoglio in quella parte che appunto sopra mezzo il fosso piomba. O somma Sapienza, quant è l' arte che mostri m cielo, m terra e nel mal mondo, e quanto giusto tua virtù comparte ! 10 88 NFERNO 11 bel San Giovanni. Io Vidi per le coste e per lo fondo 13 piena la pietra livida di fóri d un largo tutti, e ciascuno era tondo. Non mi parean meno ampi né maggiori 16 che quei che son nel mio bel San Giovanni fatti per loco de batezzatóri ; Si imoniaci. Ballialeio di Firenze, miniatura del sec. xiv. - (Roma, Biblioteca Chigiana). l'un delli quali, ancor non è molt anni, 19 rupp' 10 per un che dentro vi annegava : e questo sia suggel eh ogni uomo sganni. Fuor della bocca a ciascun soperchiava 22 d'un peccator li piedi, e delle gambe infìno al grosso; e 1 altro dentro stava. o e3 C3 hi N N N O c 'o e tr > Nicolò III. - (Roma, Grotte Valicane). CAN IO XIX. IMV O qual che se', che 1 di su tien di sotto, anima trista, come pai commessa, " comincia' io a dir, " se puoi, fa motto. " j,.ì \ A' piante erano a Uilli accese enirainhe; per che si forte ^ui//avan le i^iunle, che spe/./ale av(MÌan ritorte e strambe. Qual suole il fiammei^i^iar delle cose unte 'ix muoversi pur su per 1 estrema buccia, tal era li da calcagni alle punte. Nicolò Ili. " Chi è colui, maestro, che si cruccia, 3i guizzando più che gh altri suoi consorti, " diss' io, " e CUI più rossa fiamma succia ? " Ed egli a me : " Se tu vuoi eh' io ti porti 3 1 là giù per quella ripa che più giace, da lui saprai di sé e de' suoi torti. " Ed io : " Tanto m' è bel, quanto a te piace ; 37 tu se signore, e sai eh' io non mi parto dal tuo volere, e sai quel che si tace. " Allor venimmo in su 1 argine quarto; lu volgemmo e discendemmo a mano stanca là giù nel fondo foracchiato ed arto. E il buon maestro ancor della sua anca 43 non mi dipose, si mi giunse al rotto di quei che si piangeva con la zanca. 16 190 INIERNO Io stava come il frale che confessa lo perfido assassin, che poi eh' è fìtto richiama lui, perché la morte cessa; 49 Xicolò III, miniatura del secolo xiv, (Roma, Biblioteca Chigiana). ed ei gridò : " Sei tu già costi ritto, 52 Bonifacio Vili. sei tu già costi iitto, Bonifazio? di parecchi anni mi menti lo scritto. Se tu si tosto di quell aver sazio, 55 per lo qual non temesti tórre a inganno la bella donna, e poi di farne strazio? " Tal mi fec io, quai son color che stanno, per non intender ciò eh è lor risposto, quasi scornati, e risponder non sanno. 58 CANTO XIX. I'>»l Bonifacio Vili, di Arnolfo di Cambio. - (Romn, Grolle V.ilicone). Allor Virgilio disse : " Digli tosto : ' Non son colui, non son colui che credi ' ; " ed IO risposi come a me fu imposto. 61 Per che lo spirto tutti storse i piedi ; poi, sospirando e con voce di pianto, mi disse : " Dunque che a me richiedi ? 64 Se di saper chi io sia ti cai cotanto, che tu abbi però la ripa corsa, Il gran manto. sappi ch' io fui vestito del gran manto 67 192 INFERNO O rsini. e veramente fui figliuol dell orsa, cupido si per avanzar gli orsatti, che su 1 avere, e qui me misi m borsa. 70 ^ i:t,^ Orsa degli Orsini. (Avezzaiio - Cnslello). Di sotto al capo mio son gli altri tratti che precedetter me simoneggiando, per le fessure della pietra piatti. 73 Là giù cascherò io altresì, quando verrà colui eh io credea che tu fossi, allor eh io feci il sùbito dimando. 76 Carlo I (V Augia, d'Arnolfo di Cambio. - (Roma, Campidoglio). ( AN IO XIX. ')i Ma più e il lonipo già clic i pir mi cossi, 0 eli IO son stalo cosi sottosopra, eh 01 non starà piantato coi piò rossi ; 7'.t Orsa degli Orsini. (Vcnp/.ia, Ss. Giovanni e Paolo). che dopo lui verrà, di più laid opra. Clemente V. di vér ponente un pastor senza legge, tal che convien che lui e me ricopra. 82 Nuovo Jason sarà, di cui si legge ne' ' Maccabei ' : e come a quel fu molle suo re, cosi fia a lui chi Francia regge. " 85 194 INFERNO Io non so s io mi fui qui troppo folle, eh IO pur risposi lui a questo metro : " Deh, or mi di , quanto tesoro volle 88 « Vienmi dietro ». Nostro Signore in prima da san Pietro ch'ei ponesse le chiavi in sua balia? Certo non chiese se non : ' Vienmi dietro. ' 91 Carlo d'Anijiù. miniatura del sec. xiv. (Roma, Biblioteca Chigiana). Né Pier né gli altri tolsero a Mattia oro od argento, quando fu sortito al loco che perde l anima ria. 94 Però ti sta, che tu se ben punito; e guarda ben la mal tolta moneta, ch'esser ti fece contra Carlo ardito. 97 CANIO XIX. IT; E se non lossr clic ancor lo mi vicla ino la reverenza delle somme chiavi, che tu tenesti nella vita lieta, ScKt^iu) di io userei parole ancor più i^ravi; ur.i che la vostra avarizia il mondo attrista, calcando i buoni e sollevando i pravi. Di voi, pastor, s accorse il vangelista, hk- quando colei, che siede sopra 1 acque, puttaneggiar coi regi a lui fu vista ; quella che con le sette teste nacque 109 e dalle dieci corna ebbe argomento, fin che virtute al suo manto piacque. Fatto V avete Dio d oro e d argento 112 e che altro è da voi ali idolatre, se non eh elh uno, e voi n orate cento? Donazione Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, 115 di Costan- tino, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre ! " E mentre 10 gli cantava cotai note, 118 o ira o coscienza che il mordesse, forte spmgava con ambo le piote. Io credo ben che al mio duca piacesse, 121 con si contenta labbia sempre attese, lo suon delle parole vere espresse. 90 INFERNO ^^m Wf^È »*•— ; ' sB o s C/5 CAN lo XIX. I'^7 Kiioino. Pelò con ambo le braccia mi prese, ii^i V |)()i die liilto su mi s el)l)e al pedo, limonio per la via onde discese ; né SI stancò d avermi a sé distretto, ri7 si mi portò sopra il colmo dell arco, che dal quarto al quinto argine è tragetto. Quivi soavemente spose il carco, 130 soave per lo scoglio sconcio ed erto, che sarebbe alle capre duro varco : indi un altro vallon mi fu scoperto. i:ì3 Il costello ili linsrid. CANTO XX. Cerchio ot- tavo, quar- ta bolgia. Ind ovini. Di nuova pena mi convien far versi, e dar materia al ventesimo canto della prima canzon, eh è de sommersi. Io era già disposto tutto quanto a riguardar nello scoperto fondo, che SI bagnava d angoscioso pianto; e vidi gente per lo vallon tondo venir tacendo e lagrimando, al passo che fanno le letane in questo mondo. Come il viso mi scese in lor più basso, mirabilmente apparve esser travolto ciascun tra il mento e il principio del casso; 10 200 INFERNO che dalle reni era tornato il vólto, 13 ed indietro venir gli convenia, perché il veder dinanzi era lor tolto. Forse per forza già di parlasia 16 SI travolse cosi alcun del tutto ; ma IO noi vidi, né credo che sia. Se Dio ti lasci, lettor, prender hutto 19 di tua lezione, or pensa per te stesso com IO potea tener lo viso asciutto, quando la nostra imagine da presso 22 vidi si torta, che il pianto degh occhi le natiche bagnava per lo fesso. Certo 1 piangea, poggiato ad un de rocchi 25 del duro scoglio, si che la mia scorta mi disse : " Ancor se' tu degli altri sciocchi ? Qui vive la pietà quando è ben morta : 28 chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passìon porta? Drizza la testa, drizza, e vedi a cui 31 s aperse agli occhi de Teban la terra, per che gridavan tutti : ' Dove rui, Indovini an- Anfìarao ? perché lasci la guerra ? ' 34 e non restò di rumare a valle fino a Minos, che ciascheduno afferra. CAN IO XX. 201 Mira clic ha fallo \)v\U) delle s|)all(' : 37 porcile volle veder Iroppo davanlo, di relro guarda e fa retroso calle. Tiresia. Vedi Tiresia, che mutò sembiante 40 quando di maschio femmina divenne, cangiandosi le membra tutte quante ; e prima poi ribatter gli convenne 43 li due serpenti avvolti con la verga, che riavesse le maschili penne. Rovine di Limi. Aronta. Aronta è quei che al ventre gli s'atterga, 46 che nei monti di Luni, dove ronca lo Carrarese che di sotto alberga, ebbe tra i bianchi marmi la spelonca 49 per sua dimora ; onde a guardar le stelle e il mar non gli era la veduta tronca. 202 INFERNO Rovine (li Limi. Manto E quella che ricopre le mammelle, che tu non vedi, con le treccie sciolte, e ha di là ogni pilosa pelle, Manto fu, che cercò per terre molte, poscia SI pose là dove nacqu io; onde un poco mi piace che m' ascolte. 52 55 I monti di Carrara. CANIO XX 203 Isola Lc-clii nel lago di Guida Il lago Be- naco. Poscia che il padre suo di vita uscio e venne serva la città di Baco, questa gran tempo per lo mondo gio. Suso in Italia bella giace un laco a pie dell'alpe, che serra Lamagna sopra Tiralli, ed ha nome Benaco. 58 61 Brescia, da un dipinto del Moretto. - (Brescia, Ss. Nazario e Celso). 204 INFERNO Per mille fonti, credo, e più si bagna, tra Garda e Val Camonica, Apennino dell'acqua che nel detto lago stagna. Loco è nel mezzo là dove il trentino pastore e quel di Brescia e il veronese segnar potria, se fesse quel cammino. 61 67 La ròcca di Peschiera, disegno del Sanuto. Siede Peschiera, bello e forte arnese da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi ove la riva intorno più discese. 70 Ivi convien che tutto quanto caschi 73 CIÒ che in grembo a Benaco star non può, e fassi fiume giù pei verdi paschi. o e 5 ce o O o e o u e CAN IO XX nr> MlIUU U). 1 Oslo clic 1 ac(|iia a ( onci nicUc co, iioii |)iii B(Miac(), ma Mmcio si chiariìfi (ino a Governo, dove cade in Po. Non mollo Ila corso clic trova una lama, nella qual si distende e la impaluda, e suol di state talor esser grama. 7r, 7'.) Governalo. Quindi passando la vergine cruda vide terra nel mezzo del pantano, senza coltura e d'abitanti nuda. 82 Li, per fuggire ogni consorzio umano, ristette co suoi servi a far sue arti, e visse, e vi lasciò suo corpo vano. Gli uomini poi, che intorno erano sparti, s accolsero a quel loco, ch'era forte per lo pantan che avea da tutte parti. 85 88 206 INFERNO Mantova. Fér la città sopra quell ossa morte; e per colei, che il loco prima elesse, Mantova l appellar senz altra sorte. Già fur le genti^sue dentro più spesse, prima che la mattia di Casalodi da Pinamonte inganno ricevesse. 91 94 Munluuu e le sua paludi, da un dipinto del ^Slanlegna. (Madrid, Galleria del Prado). Però t assenno che, se tu mai odi originar la mia terra altrimenti, la verità nulla menzogna frodi. " Ed IO : " Maestro, i tuoi ragionamenti mi son si certi e prendon si mia fede, che gli altri mi sarian carboni spenti. 97 100 CANTO XX. 207 IVla dimmi della genie" cIk* procede, ni:{ s(^ lu ne vedi akim degno di nota ; che solo a ciò la mia menl(" lifiede. " Emipilo. Allor mi disse: "Quel, che dalla gola kki porge la barba in su le spalle brune, fu, quando Grecia fu di maschi vota si che appena rimaser per le cune, m» augure, e diede il punto con Calcanta m Aulide a tagliar la prima fune. Eunpilo ebbe nome, e cosi il canta 112 1 alta mia tragedia m alcun loco : ben lo sai tu che la sai tutta quanta. Quell altro, che ne' fianchi è cosi poco, 11 5 Indovini mo- Michele Scotto fu, che veramente delle magiche frode seppe il gioco. Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, 118 che avere inteso al cuoio ed allo spago ora vorrebbe, ma tardi si pente. Vedi le triste che lasciaron l'ago, 121 la spola e il fuso, e fecersi indovine ; fecer malie con erbe e con imago. Ma vienne omai, che già tiene il confine 124 d ambedue gli emisperi e tocca l'onda, sotto Sibilla, Caino e le spine; d erni. 208 INFERNO e già lernotte fu la luna tonda : ben ten dèe ricordar, che non ti nocque alcuna volta per la selva fonda. 127 Si mi parlava, ed andavamo introcque. 130 L' .A/1/10 col Soie e la Luna. (Aosta, Duonio). l.lUCll. CANTO XXI. Cerchio ot- tavo, quin- ta bolgia. Barattieri. Cosi, di ponte in ponte, altro parlando che la mia commedia cantar con cura, venimmo, e tenevamo il colmo, quando ristemmo per veder l'altra fessura di Maiebolge e gli altri pianti vani ; e vidila mirabilmente oscura. Ai"zanà dei Veneziani. Quale nell arzanà de Viniziani bolle 1 inverno la tenace pece a rimpalmar li lor legni non sani, che navicar non ponno, e in quella vece chi fa il suo legno nuovo, e chi ristoppa le coste a quel che più viaggi fece. 10 210 INFERNO chi ribatte da proda e chi da poppa, altri fa remi, ed altri volge sarte, chi terzeruolo ed artimon rintoppa; 13 \.'Ar:iiiìà dvi Vcncziiini. dalla veduta prospettica di Venezia attribuita a Jacopo de' Barlìari. tal, non per foco, ma per divina arte bollia là giuso una pegola spessa che inviscava la ripa da ogni parte. ir. Io vedea lei, ma non vedeva in essa ma che le bolle che il bollor levava, e gonfiar tutta, e riseder compressa. 19 CAN IO XXI, Jll Coslruzionc di una lunw, scolliira de) sec. xiv. (Venezia, S. Marco). Mentr io là giù fissamente mirava, lo duca mio dicendo : " Guarda, guarda ! " mi trasse a sé del loco dov io stava. •)•) Allor mi volsi come 1 uom cui tarda di veder quel che gli convien fuggire, e CUI paura sùbita sgagliarda, J.O 212 INFERNO che per veder non indugia il partire; 2 a riguardar s' alcun se ne sciorina: gite con lor, ch'ei non saranno rei. " " Tratti avanti, Alichino e Calcabrina, " iis cominciò egli a dire, " e tu, Cagnazzo, e Barbariccia guidi la decina. Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo, 121 Ciriatto sannuto, e Graffìacane, e Farfarello, e Rubicante il pazzo. Cercate intorno le bollenti pane; 124 costor sien salvi msino ali altro scheggio, che tutto intero va sopra le tane. " " O me! maestro, che è quel che io veggio? " 127 diss io; " deh, senza scorta andiamci soli, se tu sai ir, eh 10 per me non la cheggio. 218 INFERNO Se tu se si accorto come suoli, l'^o non vedi tu eh ei digrignan li denti e con le ciglia ne minaccian duoli ? " Ed egli a me: " Non vo' che tu paventi, 133 lasciali digrignar pure a lor senno, ch'ei fanno ciò per li lessi dolenti. " Per l'argine sinistro volta dienno; i3t) ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca per cenno, ed egli avea del cui fatto trombetta. 139 'l'orncunwntu. - (Am;o1ì l'iceno). CANTO XXII. Cerchio ot- Jq yidi già cavalier muover campo, tavo, quin- . . , , ta bolgia. ^ commciare stormo, e rar lor mostra, Barattieri. ^ talvolta partir per loro scampo ; corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane, fedir torneamenti, e correr giostra, quando con trombe e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane; né già con si diversa cennamella cavalier vidi muover, né pedoni, né nave a segno di terra o di stella. Aiififlo che suoiu^ la ceniuiinella. (.Pistoia, Duomo). 220 INFERNO Fiera com- pagnia. Noi andavam con li dieci dimoni; ahi fiera compagnia ! ma nella chiesa coi santi ed in taverna coi ghiottoni. 13 » f i t Campane. - (Perugia, l'onU- Maggiore). Pure alla pegola era la mia intesa, per veder della bolgia ogni contegno e della gente eh entro v era incesa. 16 Come i delfini, quando fanno segno ai marinar con 1 arco della schiena, che s'argomentin di campar lor legno; 19 cAN re; XXll, 221 lalor cosi ad alloggiar la pena nioslrava alcun dei pcccalori il dosso, e nascondeva in mcn che non balena. E come all'orlo dell'acqua d un fosso stan li ranocchi pur col muso fuori, si che celano i piedi e l'altro grosso; j..y In hwcnia, atlrcsco dei Fralclli SaliinluMii. (Urbino, S. Giovanni Battista). Barb aricela. si stavan d ogni parte i peccatori: ma come s appressava Barbariccia, cosi si ritraean sotto i bollori. 28 Io vidi, ed anco il cor me n accapriccia, uno aspettar cosi, com egli incontra che una rana rimane ed altra spiccia : 31 222 INFERNO Graffiacane. e Graffiacan, che gli era più di centra, gli arroncigliò le impegolate chiome, e trasse! su, che mi parve una lontra. Io sapea già di tutti quanti il nome, si li notai, quando furono eletti, e poi che si chiamaro attesi come. 34 37 Rubicante. Giatnpolo di N avana. Ciriatto. " O Rubicante, fa che tu gli metti 4o gli unghioni addosso, si che tu lo scuoi, " gridavan tutti insieme i maledetti. Ed io: " Maestro mio, fa, se tu puoi, 43 che tu sappi chi è lo sciagurato venuto a man degli avversari suoi. " Lo duca mio gli s accostò allato, 46 domandollo ond ei fosse, e quei rispose : " Io fui del regno di Navarra nato. Mia madre a servo d un signor mi pose, 49 che m avea generato d un ribaldo distruggitor di sé e di sue cose. Poi fui famiglio del buon re Tebaldo : 52 quivi mi misi a far baratteria, di che rendo ragione in questo caldo. " E Ciriatto, a cui di bocca uscia 55 d ogni parte una sauna come a porco, gli fé' sentir come luna sdruscia. CAN ro XXII 223 1 la male ^allc era v(mìiiI() il sorco ; ma Barhaiiccia il cIìiuso con le braccia, e disse : " Siale in là, incnlr io lo inforco ; n» Libi ICOCCO. Diaghl- gnazzo. Fra Gomita. e al maestro mio volse la faccia : " Domanda ", disse, " ancor se più desìi saper da lui, prima eh altri il disfaccia. " 111 Lo duca dunque: "Or di': degli altri rii conosci tu alcun che sia latino sotto la pece ?" E quegli : " Io mi partii poco è da un, che fu di là vicino; cosi foss io ancor con lui coperto, ch'io non temerei unghia, né uncino. " E Libicocco : " Troppo avem sofferto, " disse, e presegli il braccio col ronciglio, si che, stracciando, ne portò un lacerto. Draghignazzo anco i volle dar di piglio giuso alle gambe ; onde il decurio loro SI volse intorno intorno con mal piglio. Quand elli un poco rappaciati fòro, a lui, che ancor mirava sua ferita, domandò il duca mio senza dimoro : " Chi fu colui, da cui mala partita di che facesti per venire a proda? " Ed ei rispose : " Fu Frate Gomita, CI (•)7 70 73 7G 79 224 INFERNO quel di Gallura, vasel d ogni froda, «2 eh ebbe i nimici di suo donno in mano, e fé si lor, che ciascun se ne loda : denar si tolse, e lasciolli di piano, «5 si com ei dice ; e negli altri ufficT anche barattier fu non picciol, ma sovrano. Michel Usa con esso donno Michel Zanche «8 Zanche. ri i i* r e r di Logodoro ; e a dir di oardigna le lingue lor non si sentono stanche. O me ! vedete 1 altro che digrigna : 9i io direi anco ; ma io temo eh elio non s apparecchi a grattarmi la tigna. it Farfarello. E il gran proposto, vólto a Farfarello 94 che stralunava gli occhi per ferire, disse : " Fatti in costà, malvagio uccello ! " " Se voi volete vedere o udire, " 97 ricominciò lo spaurato appresso, " tòschi o lombardi, io ne farò venire ; ma stien le male branche un poco in cesso, loo si ch'ei non teman delle lor vendette; ed IO, sedendo in questo loco stesso, per un eh io son, ne farò venir sette, 103 quand io sufolerò, com è nostr uso di fare allor che fuori alcun si mette. " Demonii, dal «Trionfo della Morte». (Pisa, Camposanto). CANTO XXII 225 'agnaz/o. Caj^iìa//<) a (olal inolio levò il imiso, crollaiKlo il capo, e disse: Odi inali/.ia ch'egli Ila pensala per pillarsi giuso. " Kit; Arezzo, di Giotto. (Assisi - Chiesa dì S. Francesco). Ond ei, eh avea lacciuoli a gran divizia, rispose : " Malizioso son io troppo quand'io procuro a' miei maggior tristizia. " 109 226 INFERNO Alicliino. Alichin non si tenne, e, di rintoppo 112 agli altri, disse a lui: " Se tu ti cali, 10 non ti verrò dietro di galoppo, ma batterò sopra la pece lali; 115 lascisi il colle, e sia la ripa scudo a veder se tu sol più di noi vali. " O tu che leggi, udirai nuovo ludo ! 118 Ciascun dall altra costa gli occhi volse ; quei pria, eh a ciò fare era più crudo. Demoni ]^q Navariese ben suo tempo colse, 121 delusi. fermò le piante a terra, e m un punto saltò e dal proposto lor si sciolse. Di che ciascun di colpa fu compunto, 124 ma quei più, che cagion fu del difetto; però si mosse, e gridò : " Tu se' giunto ! " Ma poco i valse, che 1 ale al sospetto 127 non poterò avanzar: quegli andò sotto, e quei drizzò, volando suso, il petto; non altrimenti 1 anitra di botto, i3n quando il falcon s'appressa, giù s attuffa, ed ei ritorna su crucciato e rotto. Calcabrina. Irato Calcabrina della buffa, 133 volando dietro gli tenne, invaghito che quei campasse, per aver la zuffa. cAN ro xxn. 227 Zuffa de- moniaca. E come il baiallici fu disparito, ik- cosi volsr ^li ardali al suo compaiano, e fu con lui sopra il fosso ghcrmilo. Ma l'altro fu bene sparvicr grifagno i;i'» ad artigliar ben lui, e ambedue cadder nel mezzo del bollente stagno. Lo caldo sghermitor subito fue; i l'i ma però di levarsi era niente, si aveano inviscate 1 ali sue. Barbariccia, con gli altri suoi dolente, 115 quattro ne fé' volar dall altra costa con tutti i raffi, ed assai prestamente di qua, di là discesero alla posta : 1 1« porser gli uncini verso gì impaniati, ch'eran già cotti dentro dalla crosta; e noi lasciammo lor cosi impacciati. 101 ('.oltilìiii, sil()i;i;ilia ilei 1 l".»,J. CANTO XXIII. Cerchio ot- Taciti, soli e senza compagnia, tavo, sesta , . ., ., 'ri j bolgia. ^ andavam 1 un dinanzi a 1 altro dopo, Ipocriti. come i frati minor vanno per via. Vòlto era in su la favola d Isopo 4 lo mio pensier per la presente rissa, dovei parlò della rana e del topo; che più non si pareggia ' mo ' ed ' issa ' 7 che 1 un con l'altro fa, se ben s accoppia principio e fine con la mente fissa. E come 1 un pensier dall altro scoppia, cosi nacque di quello un altro poi, che la prima paura mi fé doppia. 10 230 INFERNO Io pensava cosi : " Questi per noi sono scherniti, e con danno e con beffa si fatta eh assai credo che lor noi. 13 Lit fdi'old (ìiìld rana e del topo, silografia del 1486. Timore di Dante. Se 1 ira sovra il mal voler s aggueffa, ei ne verranno dietro più crudeli che il cane a quella lepre eh egli acceffa. " Già mi sentia tutti arricciar li peli della paura, e stava indietro intento, quand' io dissi : " Maestro, se non celi te e me tostamente, i ho pavento di Malebranche ; noi gli avem già dietro ; io gl'imagino si che già gli sento. " E quei: " S'io fossi di piombato vetro, r imagine di fuor tua non trarrei più tosto a me, che quella dentro impetro. 16 19 22 25 C'AN IO XXIII. 231 Pur mo veniali 11 tuoi jjcnsicr Ira i iiikì 28 con simile^ allo r con siniilc faccia, si clic d cnlranihi un sol consiglio fci. S egli è che si la desìi a cosla giaccia, ^i che noi possiam nell'allra bolgia scendere, noi fuggiiem l' imaginala caccia. " Inseguimento Già non coHipiè di tal consiglio rendere, 34 dei diavoli. i » • i- • i. • r ì- ^ eh IO gli Vidi venir con I ali tese, non molto lungi, per volerne prendere. Lo duca mio di sùbito mi prese, 37 come la madre eh al romore è desta e vede presso a sé le fiamme accese, to che prende il figlio e fugge e non s arresta, avendo più di lui che di sé cura, tanto che solo una camicia vesta ; e giù dal collo della ripa dura t3 supin si diede alla pendente roccia, che r un dei lati ali altra bolgia tura. Non corse mai si tosto acqua per doccia 46 a volger rota di molin terragno, quand ella più verso le pale approccia, come il maestro mio per quel vivagno, 49 portandosene me sopra il suo petto, come suo figlio, non come compagno. 232 INFERNO Appena fur gli pie suoi giunti al letto 52 del fondo giù, eh ei furono in sul colle sopr esso noi ; ma non gli era sospetto ; che 1 alta provvidenza, che lor volle 55 porre ministri della fossa quinta, poder di partirs'indi a tutti tolle. Ipocriti. Là giù trovammo una gente dipinta, 58 che giva intorno assai con lenti passi, piangendo, e nel sembiante stanca e vinta. Elli avean cappe con cappucci bassi tu dinanzi agli occhi, fatte della taglia che per li monaci in Cologna fassi. Di fuor dorate son si ch'egli abbaglia; 64 Le cappe di j^^^ dentro tutte piombo, e gravi tanto, piombo. 1 n 1 • 1 1- r Cile rederico le mettea di paglia. O in eterno faticoso manto! 67 Noi ci volgemmo ancor pure a man manca con loro insieme, intenti al tristo pianto; ma per lo peso quella gente stanca 70 venia si pian che noi eravam nuovi di compagnia ad ogni muover d anca. Per ch'io al duca mio: " Fa che tu trovi 7.3 alcun eh al fatto o al nome si conosca, e gli occhi, si andando, intorno muovi. " - <:.^' " V / ■^. 1 ì'^ fi \- V 5 -■'^a-n C9 o I Ih cq 5t. C3 CANIO XXIII. 233 Rei un cUc inl('so la parola lósca, 7r» (li ìcUo a noi ^ndò : " rcnclc i |)i('(li, VOI che correle si per I aura fosca : forse ch'avrai da me quel che tu chiedi. " 7'.» Onde il duca si volse, e disse : " Aspetta ; e poi secondo il suo passo procedi. " Catalano dei Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta «2 Malavolti e i ii» • i • r Loderingo dell animo, col viso, d esser meco; j^,? * "' ma tardavagli il carco e la via stretta. dalo. ° h: 88 Quando fur giunti, assai con 1 occhio bieco mi rimiraron senza far parola ; poi SI volsero in sé, e dicean seco : " Costui par vivo ali atto della gola; e s ei son morti, per qual privilegio vanno scoperti della grave stola? " Poi disser me: " O Tòsco, ch'ai collegio 9i degl ipocriti tristi se' venuto, dir chi tu sei non aver in dispregio. " Ed io a loro : " Io fui nato e cresciuto 9 1 sopra il bel fiume d'Arno alla gran villa, e son col corpo eh' 1' ho sempre avuto. Ma voi chi siete, a cui tanto distilla, 97 quant' io veggio, dolor giù per le guance? e che pena è in voi che si sfavilla? " 234 INFERNO Frale (uiiidrulc (Bologna, Musco Civico). Frati godenti. E r un rispose a me : " Le cappe rance loo son di piombo, si grosse che li pesi fan cosi cigolar le lor bilance. Frati godenti fummo, e bolognesi; 103 io Catalano e questi Loderingo nomati, e da tua terra insieme presi, CAN lo XXlll. 235 come suole esser lollo un uoni solingo i'"> per conservar sua pace, e funinio lali, eli' ancor si pare intorno dal Gai dingo. Io cominciai: "O frali, i vostri mali..,.", ma più non dissi; clié ali occhio mi corse, un, crocifisso in terra con tre pali. Ki'J Hontaiw. (k'i l-Vali CiaiuleiUi Caifas. Quando mi vide, tutto si distorse, soffiando nella barba co' sospiri ; e il frate Catalan, eh a ciò s accorse, mi disse: " Quel confitto, che tu min, consigliò 1 farisei, che convenia porre un uom per lo popolo a martiri. Attraversato e nudo è nella via, come tu vedi, ed è mestier ch'ei senta qualunque passa, com'ei pesa, pria. 112 115 118 236 INFERNO Anna pontefice. Ed a tal modo il suocero SI stenta, vii in questa fossa, e gli altri del concilio, che fu per li giudei mala sementa. " Allor vid io maravigliar Virgilio 12 1 sopra colui ch'era disteso in croce tanto vilmente nell'eterno esilio. Ciiifus.su coiisij;lia ai Giudei il supplizio di Gebù. Dipinto di Duccio tii Bonliisegna. - (Siena, Opera del Duomo). Poscia drizzò al frate cotal voce : 127 " Non VI dispiaccia, se vi lece, dirci se alla man destra giace alcuna foce, onde noi ambedue possiamo uscirci I3u senza costringer degli angeli neri, che vegnan d'esto fondo a dipartirci. " CAN ro XXIll. 237 Rispose adunque: " Più clic lu non speri, i:5:< ,1 . ■ s'appressa un sasso, (.he dalla t'raii cerchia alla sellima ' ' " 1>oIrìo. si muove, e varca tutti i vallon feri, salvo ella questo è rotto, e no I coperchia: i:»*- montar {potrete su per la mina, che giace in costa e nel fondo soperchia. " Lo duca stette un poco a testa china, i:ì!) poi disse: " Mal contava la bisogna colui che 1 peccator di là uncina. " E il frate: " Io udi' già dire a Bologna ivi del diavol vizi assai, tra i quali udi' eh egli è bugiardo e padre di menzogna. Il Appresso il duca a gran passi sen gi, 145 turbato un poco d ira nel sembiante ; ond io dagl incarcati mi parti' dietro alle poste delle care piante. ii8 \ ((/ (// Mdf/ni. CANTO XXIV. Cerchio ot- tavo, setti- ma bolgia. Ladri. In quella parte del giovinetto anno, che il sole i crin sotto l'Acquano tempra e già le notti al mezzo di sen vanno, quando la brma in su la terra assempra 1 imagine di sua sorella bianca, ma poco dura alla sua penna tempra, lo villanello, a cui la roba manca, si leva e guarda, e vede la campagna biancheggiar tutta, ond ei si batte 1 anca ; ritorna in casa, e qua e là si lagna, come il tapin che non sa che si faccia, poi riede e la speranza ringavagna, 10 240 INFERNO veggendo il mondo aver cangiata faccia in poco d ora, e prende suo vincastro, e fuor le pecorelle a pascer caccia; 13 cosi mi fece sbigottir lo mastro, quand io gli vidi si turbar la fronte, e cosi tosto al mal giunse lo impiastro ; 16 Acquario. (Padova, Sala della Ragiono). che, come noi venimmo al guasto ponte, lo duca a me si volse con quel piglio dolce, eh io vidi prima a pie del monte. 19 Salita al ci- glione. Le braccia aperse, dopo alcun consiglio eletto seco, riguardando prima ben la ruina, e diedemi di piglio. 22 CANTO XXIV. 241 E come quri dir adoprra rd estima, 25 che scinprc par clic iniian/.i si provvcggia, cosi, levando me su ver la cima d un ronchion, avvisava un altra scheggia, 'i.s dicendo: "Sopra quella poi l'aggrappa; ma tenta pria s'è tal ch'ella ti reggia. " Non era via da vestito di cappa, :ìi che noi a pena, ei lieve ed io sospinto, potevam su montar di chiappa in chiappa. E se non fosse da quel precinto, :'>i più che dall altro, era la costa corta, non so di lui, ma io sarei ben vinto ; ma perché Malebolge in ver la porta .'7 del bassissimo pozzo tutta pende, lo sito di ciascuna valle porta che 1 una costa surge e l'altra scende: w noi pur venimmo alfine in su la punta onde 1 ultima pietra si scoscende. Affanno. La lena m era del polmon si munta, 43 quand io fui su, ch'io non potea più oltre; anzi mi assisi nella prima giunta. Omai convìen che tu cosi ti spoltre, " 4fi disse il maestro, " che, seggendo in piuma, in fama non si vien, né sotto coltre; 242 INFERNO senza la qual chi sua vita consuma, 19 cotal vestigio in terra di sé lascia, qual fummo in aer ed in acqua la schiuma ; e però leva su, vinci l'ambascia 52 con 1 animo che vince ogni battaglia, se col suo grave corpo non s accascia. Più lunga scala convien che si saglia; 55 non basta da costoro esser partito: se tu m intendi, or fa si che ti vagli la." Leva mi allor, mostrandomi fornito 58 meglio di lena eh io non mi sentia ; e dissi : " Va, eh io son forte ed ardito. Il Su per lo scoglio prendemmo la via, 61 eh era ronchioso, stretto e malagevole, ed erto più assai che quel di pria. Voce Parlando andava per non parer fievole, 64 dalla settima , . l ir 1 r 1 !„• onde una voce uscio daii altro rosso, bolgia. ' a parole formar disconvenevole. Non so che disse, ancor che sopra il dosso g7 fossi dell arco già che varca quivi ; ma chi parlava ad ira parca mosso. Io ero volto in giù, ma gli occhi vivi 70 non potean ire al fondo per 1 oscuro ; per eh' io : " Maestro, fa che tu arrivi CAN IO XXIV. 243 clall aldo ciurlilo, e disinoiiliaiu lo imiio; 7M che coni I odo CjiiiiK 1 e non inlciido, cosi giù veggio e nicnlc affiglilo. " " Altra risposta " disse " non ti rendo, 76 se non lo far; che la dimanda onesta SI dee seguir con 1 opera tacendo. " Noi discendemmo il ponte dalla testa, 79 dove si aggiunge con 1 ottava ripa, e poi mi fu la bolgia manifesta ; Pena e vidivi entro terribile stipa 82 dei ladri. ^. . r . r di serpenti, e di si diversa mena, che la memoria il sangue ancor mi scipa. Più non si vanti Libia con sua rena; 85 che, se chelidri, iaculi e farèe produce e ceneri con amfisibena, né tante pestilenzie né si ree 88 mostrò giammai con tutta l'Etiopia, né con ciò che di sopra il mar Rosso èe. Tra questa cruda e tristissima copia 91 correvan genti nude e spaventate, senza sperar pertugio o elitropia. I serpenti. Con serpi le man dietro avean legate ; quelle fìccavan per le ren la coda e il capo, ed eran dinanzi aggroppate. 94 244 INFERNO Ed ecco ad un, eh era da nostra proda, s avventò un serpente, che il trafisse là dove il collo alle spalle s'annoda. 97 Amfesibciia e farra, da silografia del 1 18G. Trasforma- zioni. Né 0 si tosto mai né / si scrisse, loo com'ei s'accese ed arse, e cener tutto convenne che cascando divenisse ; e poi che fu a terra si distrutto, 103 la polver si raccolse per sé stessa e in quel medesmo ritornò di butto. Cosi per li gran savi si confessa, 106 che la fenice more e poi rinasce, quando al cinqueccntesimo anno appressa ; Pnrte del dossale d'argento di S. Jacopo. - (Pisloin. Duomo), Parte del dossale d'ar.ncnlo di S. .Iacopo. - (Pistoia, Duomo). CANTO XXIV. 245 erba, né biada in sua vila non pasce, ma sol d incenso, lagrime ed amomo, e nardo e mura son 1 iillime fasce. Il l'I Fenice. (Roma, .Miist'i Vaticani). E qual è quei che cade, e non sa corno, per forza di demon eh a terra il tira, Oppilazione. o d'altra oppilazion che lega l'uomo, quando si leva, che intorno si mira tutto smarrito dalla grande angoscia eh egli ha sofferta, e guardando sospira; tal era il peccator levato poscia. O potenza di Dio, quanto se vera ! che cotai colpi per vendetta croscia. 112 115 118 246 INFERNO Lo duca il dimandò poi chi egli era ; 121 per eh ei rispose : " Io piovvi di Toscana, poco tempo è, in questa gola fera. Vanni Pucci. Vita bestiai mi piacque, e non umana, 124 si come a mul eh io fui: son Vanni Pucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana. " Piazza di Pistoia. Ed io al duca: " Digli che non mucci, 128 e domanda che colpa qua giù il pmse; eh' io il vidi uomo di sangue e di crucci. " E il peccator, che intese, non s infìnse, 130 ma drizzò verso me l'animo e il volto e di trista vergogna si dipinse; CAN IO XXIV. 247 poi clissr: " Pili mi diiol cUv In in hai rollo i:n nella nìis(MÌa dove lu mi vedi, che quando fui drll' altra vita lollo. Porla (h'ila cappella di S. Jacopo, già della Sacrrslia de' belli arredi. (Pistoia, Duoaio). Io non posso negar quel che tu chiedi in giù son messo tanto, perch io fui ladro alla sacrestia de belli arredi ; 136 248 INFERNO e falsamente già fu apposto altrui. Ma perché di tal \ista, tu non godi, se mai sarai di fuor da lochi bui, 139 Parte del dossale d'argento di S. Jacopo. (Pistoia, Duomo). Profezia. '1 gli :hi al odi apri gli orecchi al mio annunzio, e odi Pistoia in pria di Negri si dimagra, poi Fiorenza rinnova genti e modi. 142 é , ftr--iy»P^<»M<> ^ ^^-^ii*^ fl-ATÌC^ Gle>1,tyni^:ìeV4^ e. c**»r^ a> '' vni.^i^r r^>ftrJb *. e- :^: . '-V ^v-rtvvo il tu V >^v'^ •■>*^-^"*^^ \ _^^gv*^^^ ve ta condanna di Vannj Facci, CANTO XXIV. 249 Traggo Mario vapor di Val di Magra i !'• clic di lorhidi nuvoli involulo, e con lompesla impetuosa od agra sopra Campo Picen fia combattuto; l'i» ond ei repente spezzerà la nebbia, si eh ogni Bianco ne sarà feruto. E detto l'ho, perché doler ti debbia. " i')i Gaville, CANTO XXV. Bestemmia Al fine delle sue parole il ladro r- le mani alzò con ambedue le fiche, rucci. ' gridando: " Togli, Dio, che a te le squadro. " Le fiche, da un dipinto giottesco (Assisi, S. Francesco). Da mdi in qua mi fur le serpi amiche, perch una gli s avvolse allora al collo, come dicesse : " Io non vo' che più diche. " 252 INFERNO Ed un altra alle braccia, e rilegollo ribadendo sé stessa si dinanzi che non potea con esse dare un crollo. ■CATEL^^^LINA-^ 1 '^^^^ : Ir:^ C.alilina, dai libro di Giusto de' Mfiial>ii()i. (.Uoma, GalliTia Cori»ini). Invettive contro Pistoia. Ahi, Pistoia, Pistoia, che non stanzi n» d incenerarti, si che piii non duri, poi che m mal far lo seme tuo avanzi? Per tutti i cerchi dell inferno oscuri 13 non vidi spirto in Dio tanto superbo, non quel che cadde a Tebe giti da muri. CAN IO XXV. 253 Qun si fiig}4Ì, cIk' non parlò piiì vorl)o; 10 ed io vidi un ((Milaiiro pun di ral)l)ia venir chiamando: "Ove, ove l'acerbo?" Maremma non cred io che tante n abbia, quante bisce egli avea su per la groppa, infin ove comincia nostra labbia. Sopra le spalle, dietro dalla coppa, con l'ale aperte gli giacca un draco; e quello affoca qualunque s intoppa. 19 22 Il Monte Aocntino, da slainpa de! 1581. c aco. Lo mio maestro disse: " Questi è Caco, che sotto il sasso di monte Aventino di sangue fece spesse volte laco. Non va co suoi fratei per un cammino, per lo furar frodolente eh ei fece del grande armento, ch'egli ebbe a vicino; J.Ì) 28 254 INFERNO Ercole, ili LiioNaiuii Pisano. - (Pisa, Musco Civico). onde cessar le sue opere biece sotto la mazza d Ercole, che forse gliene die cento e non senti le diece. " 31 CAN ro XXV. 255 Ladri fiorentini Mentre che si parlava, ed ri trascorso, e tre spirili veniier sotto noi, de quai né io né il duca imo s accorse, se non quando gridar : " Chi siete voi > " per elle nostra novella si ristette, ed intendemmo pure ad essi poi. Io non gli conoscea ; ma ei seguette, come suol seguitar per alcun caso, che Tun nomare un altro convenette, MI ■M Cianfa Donati. dicendo : " Cianfa dove fia rimaso > " i"- Per ch'io, acciò che il duca stesse attento, mi posi il dito su dal mento al naso. Se tu sei or, lettore, a creder lento kì CIÒ eh' io dirò, non sarà maraviglia, che io, che il vidi, appena il mi consento. Com' io tenea levate in lor le ciglia, 49 ed un serpente con sei pie si lancia dinanzi all'uno, e tutto a lui s'appiglia. Trasforma- zioni. Coi pie di mezzo gli avvinse la pancia e con gli anterior le braccia prese; poi gli addentò e l una e l altra guancia. .^)2 Gli diretani alle cosce distese, 55 e miseli la coda tra ambedue, e dietro per le ren su la ritese. 256 INFERNO Ellera abbarbicata mai non fue r)8 ad arbor si, come l'orribil fiera per 1 altrui membra avviticchiò le sue; poi s appiccar, come di calda cera 6i fossero stati, e mischiar lor colore ; né l'un né l'altro già parca quel ch'era, come procede innanzi dall'ardore r)i per lo papiro suso un color bruno, che non è nero ancora, e il bianco more. Agnello Gli altri due riguardavano, e ciascuno fi7 Biunelleschi. . , » r\ ai gridava : O me, Agnèl, come ti muti ! vedi che già non sei né due né uno. " Già eran li due capi un divenuti, 70 quando n apparver due figure miste in una faccia, ov'eran due perduti. Pèrsi le braccia due di quattro liste ; 73 le cosce con le gambe, e il ventre e il casso divenner membra che non fùr mai viste. Ogni primaio aspetto ivi era casso : 76 due e nessun 1 imagine perversa parca, e tal sen già con lento passo. Come il ramarro, sotto la gran fersa 79 de di canicular cangiando siepe, folgore par, se la via attraversa ; CANTO XXV. 257 Francesco Guercio Cavalcanti. Ruoso degli Abati Trasforma- zioni. si panava, vonrnclo verso 1 epe degli alili (lii(\ un scipenlcllo accoso, livido e iì(M() come gran di pepe. E quella parie, onde prima è preso nostro alimento, all'un di lor trafisse; poi cadde giuso innanzi lui disteso. Lo trafitto il mirò, ma nulla disse ; anzi coi pie fermati sbadigliava, pur come sonno o febbre l assalisse. Egli il serpente, e quei lui riguardava; l'un per la piaga, e l'altro per la bocca fumavan forte, e il fummo si scontrava. Taccia Lucano omai, là dov ei tocca del misero Sabello e di Nassidio, ed attenda ad udir quel eh or si scocca. Taccia di Cadmo e d' Aretusa Ovidio ; che, se quello in serpente e quella in fonte converte poetando, io non l' invidio ; che due nature mai a fronte a fronte non trasmutò, si eh ambedue le forme a cambiar lor materia fosser pronte. Insieme si risposero a tai norme, che il serpente la coda in forca fésse, e il feruto ristrinse insieme 1 orme. Hli «.') .SS 01 •Jl 97 100 103 258 INFERNO Le gambe con le cosce seco stesse kk. s'appiccar si che in poco la giuntura non facea segno alcun che si paresse. Togliea la coda fessa la figura, i<'^> che SI perdeva là, e la sua pelle si facea molle, e quella di là dura. Io vidi entrar le braccia per l'ascelle, 112 e 1 due pie della fiera, ch'eran corti, tanto allungar quanto accorciavan quelle. Poscia li pie di retro, insieme attorti, ii"> diventaron lo membro che l' uom cela, e il misero del suo n'avea due pòrti. Mentre che il fummo l'uno e l'altro vela 11 8 di color nuovo, e genera il pel suso per luna parte, e dall'altra il dipela, l'un si levò, e l'altro cadde giuso, 121 non torcendo però le lucerne empie, sotto le quai ciascun cambiava muso. Quel ch'era dritto il trasse ver le tempie, 124 e di troppa materia, che in là venne, uscir gli orecchi delle gote scempie ; ciò che non corse in dietro e si ritenne 127 di quel soverchio, fé' naso alla faccia, e le labbra ingrossò quanto convenne. CAN IO XXV. 259 Quel ( lì(^ giacca il iiiiiso innari/.i caccia, e gli orecchi nliia per la lesta, come face le corna la lumaccia ; lidi e la lingua, che avea unita e presta prima a parlar, si fende, e la forcuta nell'altro si richiude, e il fummo resta. 1 Mi IMevo di GaviUc. L'anima, ch'era fiera divenuta, 130 si fugge sufolando per la valle, e l'altro dietro a lui parlando sputa. Poscia gli volse le novelle spalle, 139 e disse all'altro: " l' vo' che Buoso corra, com' ho fatt' io, carpon per questo calle. " Cosi vid io la settima zavorra 142 mutare e trasmutare; e qui mi scusi la novità, se fior la penna abbona. 260 INFERNO Ed avvenga che gli occhi miei confusi iió fossero alquanto e 1 animo smagato, non poter quei fuggirsi tanto chiusi Puccio eh IO non scorgessi ben Puccio Sciancato; 148 Sciancato. i -ili' ed era quei crie sol, de tre compagni che venner prima, non era mutato; Francesco Cavalcanti. l'altro era quel che tu, Gaville, piagni. i5i Gaeta. CANTO XXVI. Cerchio ottavo, Qq^Jj^ Fiorenza, poi che sei si grande ottava bolgia. Consiglieri fro- cHc per mare e per terra batti l'ali dolenti. 1 • r -i • i i e per lo interno li tuo nome si spande! Tra li ladron trovai cinque cotali Invettiva con- . . ,. . , . , tro Firenze. ^^^^ Cittadini, Onde mi vien vergogna, e tu in grande onranza non ne sali. Ma, se presso al mattin il ver si sogna, tu sentirai di qua da picciol tempo di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna. E se già fosse, non saria per tempo; cosi foss ei da che pure esser dèe ! che più mi graverà, com' più m'attempo. 10 262 INFERNO Noi CI partimmo, e su per le scalee, che n avean fatte i borni a scender pria, rimontò il duca mio, e trasse mée ; 13 Prato, da un allresco di Agnolo Caddi. (Prato, Duomo). e proseguendo la solinga via tra le scheggie e tra rocchi dello scoglio, lo pie senza la man non si spedia. 16 CANTO XXVI 263 .(■ ll)iii':i (li l'idlo. Allor mi dolsi, ed ora mi ridoglio, 19 quand io drizzo la mente a ciò eh io vidi ; e più lo ingegno affreno eh io non soglio. perché non corra, che virtù no 1 guidi, si che, se stella buona o miglior cosa m ha dato il ben, eh io stesso no 1 m'invidi. 22 Castello (li Pnilo. 264 INFERNO Quante il villan, eh al poggio si riposa, 20 nel tempo che colui che il mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, come la mosca cede alla zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dove vendemmia ed ara; 28 Eliseo e gli orsi, iiiinialiua di Leonardo da Besozzo. di tante fiamme tutta risplendea 1 ottava bolgia, si com'io m accorsi, tosto che fui là ve il fondo parca. 31 El iseo. E qua! colui che si vengiò con gli orsi vide il carro d Elia al dipartire, quando 1 cavalli al cielo erti levorsi. 34 CANTO XXVI. 2U'ì die noi \)oWi\ si con ^Ii ocelli seguire clic vedesse aluo che la (lannna sola, si come nuvoletta, in su salire; Il cuna d'Elia. (F^oma, Particolare della porta della chiesa di Santa Sabina). tal si movea ciascuna per la gola del fosso, che nessuna mostra il furto, ed ogni fiamma un peccatore invola. 40 266 INFERNO Io stava sopra il ponte a veder surto 43 si che s IO rìon avessi un ronchion preso, caduto sarei giù senza esser urto ; Diomede ed Ulisse, dal libro di Giusto de' Menabuoi. (Roma, Galloria Corsini). » e il duca, che mi vide tanto atteso, disse : " Dentro da' fochi son gli spirti ; ciascun si fascia di quel eh egli è inceso. 46 " Maestro mio, " rispos' io, " per udirti son IO più certo; ma già m era avviso che cosi fosse, e già voleva dirti : 49 CANTO XXVI. 267 Ulisse Chi c in (jiu'l fuoco, clic vK^n si diviso r/i e Diomede. i- i ] Il • eli sopra, clic i)ar smi^or della pira, dov' Etcòcic col fralcl fu miso ? " Risposemi : " Là entro si marlira •'">•'> Ulisse e Diomede, e cosi insieme alla vendetta vanno come ali ira ; e dentro dalla lor fiamma si geme 58 |-»"^"^ l'agnato del cavai, che fé la porta ond'usci de' Romani il gentil seme. Piangevisi entro l'arte, per che morta tii Deidamia ancor si duol d Achille, e del Palladio pena vi si porta. " " S ei posson dentro di quelle faville 64 parlar, " diss' io, " maestro, assai ten priego, e ripriego, che il priego vaglia mille, che non mi facci dell attender niego, 67 fin che la fiamma cornuta qua vegna: vedi che del desio ver lei mi piego. " 70 Ed egli a me: " La tua preghiera è degna di molta lode, ed io però l'accetto; ma fa che la tua lingua si sostegna. Lascia parlare a me, ch'io ho concetto 73 ciò che tu voi; eh ei sarebbero schivi, perché fur greci, forse del tuo detto. " 268 INFERNO Poi che la fiamma fu venuta quivi, 76 dove parve al mio duca tempo e loco, in questa forma lui parlare audivi : " O voi, che siete due dentro ad un foco, 7i) s io meritai di voi mentre ch'io vissi, s IO meritai di voi assai o poco, quando nel mondo gli alti versi scrissi, «2 non vi movete; ma l'un di voi dica dove per lui perduto a morir gissi. " Lo maggior corno della fiamma antica 80 cominciò a crollarsi mormorando, pur come quella cui vento affatica. Indi, la cima qua e là menando, 88 come fesse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori e disse: " Quando Viaggio mi diparti da Circe, che sottrasse ui me più d un anno là presso a Gaeta, prima che si Enea la nominasse, né dolcezza di figlio, né la pietà 94 del vecchio padre, né il debito amore, lo qual dovea Penelope far lieta, vincer poter dentro da me 1 ardore 97 eh' i' ebbi a divenir nel mondo esperto e degh vizi umani e del valore; di Ul isse. !- U ti. CAN IO XXVI, 269 ma misi me \)vy I allo mare aporto iihi sol con un legno e con quella compagna picciola, dalla c]ual non fui diserto. L un lito e I altro vidi mfin la Spagna, 1<>:J fin nei Morrocco, e I isola de Sardi, e I altre die quel mare intorno bagna. • «•.L :Ji^ Hi^-_ Siuiglia, da stampa del Meusnier. Orazione di Ulisse. Io e i compagni eravam vecchi e tardi, quando venimmo a quella foce stretta, dov Ercole segnò li suoi riguardi, acciò che 1 uom più oltre non si metta; dalla man destra mi lasciai Sibilla, dall'altra già m avea lasciata Setta. ' O frati ' dissi ' che per cento milia perigli siete giunti ali occidente, a questa tanto picciola vigilia lOtì 109 112 270 INFERNO de vostri sensi, eh è del rimanente, iió non vogliate negar 1 esperienza, di retro al sol, del mondo senza gente. Considerate la vostra semenza: uh fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtud e e conoscenza. Setta ora Ceuta. Li miei compagni fec io si acuti, 121 con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia h avrei ritenuti; e, volta nostra poppa nel mattino, 124 de remi facemmo ale al folle volo, sempre acquistando del lato mancino. Tutte le stelle già dell altro polo 127 vedea la notte, e il nostro tanto basso, che non surgeva fuor del marin suolo. CAN IO XXVI. 271 Cinqiir volle' racceso o lantr casso i.'jn lo liiiiic era eli soHo dalla lima, j)oi eli eiilrali cravam nell allo passo, quando m apparve una montagna hruna \'^'^ per la distanza, e parvenu alta tanto, quanto veduta non n avea alcuna Morte Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; i {'> che della nuova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte 1 acque, i;v.) alla quarta levar la poppa in suso, e la prora ire in giù, com altrui piacque, infin che il mar fu sopra noi richiuso. " 142 « Il {?iogo di che Tcvcr si disserra t. Ccsriiii. ila un (li|iinl() csislciilc nel Diiomkp ili (|ii('lla cilli'i. CANTO XXVII. Cerchio ottavo, ottava bolgia. Consiglieri fro- dolenti. Già era dritta in su la fiamma e queta, per non dir più, e già da noi sen già con la licenza del dolce poeta, quando un altra, che dietro a lei venia, ne fece volger gli occhi alla sua cima per un confuso suon che fuor n uscia. Come il bue cicilian, che mugghiò prima col pianto di colui (e ciò fu dritto) che 1 avea temperato con sua lima, mugghiava con la voce dell'afflitto, si che, con tutto eh ei fosse di rame, pure e pareva dal dolor trafitto; 10 274 NFERNO cosi, per non aver via né foranae 13 dal principio nel foco, in suo linguaggio SI convertivan le parole grame. Ma poscia eh ebber còlto lor viaggio io su per la punta, dandole quel guizzo che dato avea la lingua in lor passaggio. Il toro di bronzo infocato. (Pomposa, .S. otaria). Guido da Monte- feltro. Siiiillo (li (.iiiiilo (la Montfft'Uro. udimmo dire: " O tu, a cui io drizzo 19 la voce, e che parlavi mo lombardo, dicendo: 'Issa ten va, più non t aizzo ' ; perch io sia giunto forse alquanto tardo, 22 non t incresca restare a parlar meco : vedi che non incresce a me, ed ardo. Se tu pur mo m questo mondo cieco 25 caduto sei di quella dolce terra latina, ond 10 mia colpa tutta reco. c'AN ro XXVll 275 (Inumi s(^ I Romagnoli lian pucr o guerra ; 2x dì u) fui (!(" molili là mira Urbino e il giogo eli clic 1 I cvcr si disserra. " Io era in giuso ancora allento e chino, :n quando il mio duca mi tentò di costa, dicendo: " Parla tu, questi è latino. " La rocca d' Urbino. Ed io, eh avea già pronta la risposta, idu senza indugio a panare incominciai: " O anima, che se là giù nascosta, 34 Romagna. R avenna. Romagna tua non è, e non fu mai, senza guerra ne' cor de' suoi tiranni; ma palese nessuna or vi lasciai. Ravenna sta, come stata è molti anni : I aquila da Polenta la si cova, si che Cervia ricopre co' suoi vanni. 37 40 276 INFERNO ^à. HH ,'•'!■ " .>!;:r~3w^* HttiÉii Le forili del Tevere. Forlì. La terra, che fé già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio, sotto le branche verdi si ritrova. 43 R imim. Il Mastin vecchio e il nuovo da Verrucchio che fecer di Montagna il mal governo, là dove soglion fan de denti succhio. 46 CANTO XXVII. 277 AquiLi (la Pok'iila. — (Verona, S. ICiifcmia). Faenza e Imola. c esena. Le città di Lamone e di Santerno 19 conduce il leoncel dal nido bianco, che muta parte dalla state al verno; e quella, cui il Savio bagna il fianco, 52 cosi Cornelia sie' tra il piano e il monte, tra tirannia si vive e stato franco. Toire ili Cervia, da acquerello di Luigi Ricci. 278 INFERNO Ora chi sei ti priego che ne conte: non esser duro più ch'altri sia stato, se il nome tuo nel mondo tegna fronte. ' Poscia che il foco alquanto ebbe rugghiato al modo suo, l'aguta punta mosse di qua, di là, e poi die cotal fiato : oo 58 Slcnima ik'^li Ordulalli. - (l-'oiii, S. Biuf^io). " S' IO credessi che mia risposta fosse a persona che mai tornasse al mondo, questa fiamma starla senza più scosse ; GÌ ma per ciò che giammai di questo fondo non tornò vivo alcun, s i odo il vero, senza tema d infamia ti rispondo. G4 CAN IO XXVII. 279 SÌ|J!Ì1I() di Mdliilcsld (l;i NCiiiccliio. Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero, 67 credendomi, si cinto, fare ammenda ; e certo il creder mio veniva intero, Bonifazio Vili, sc non fosse il gran prete, a cui mal prenda, 7o che mi rimise nelle prime colpe; e come e quare voglio che m intenda. Siu,ill() (li Miiliitcsiino. Mentre eh io forma fui d ossa e di polpe, che la madre mi die, 1 opere mie non furon leonine, ma di volpe. 280 INFERNO F 1 ieh^ ■ Il 3i^-^^K^ •\ iiì^:^^^;^ ^::' 1 k ^^'T^ 1 "1 ^Ks. ■ VUiiAJW^i. 1 Venicchio. Gli accorgimenti e le coperte vie IO seppi tutte, e si menai lor arte eh al fine della terra il suono uscie. 76 Quand IO mi vidi giunto in quella parte di mia etade, ove ciascun dovrebbe calar le vele e raccoglier le sarte, 79 h^^ mss Il ponte di F(irn: o c CD Oi O c cs CANTO X.Wll 281 ciò clìr pria mi placcava, allor ni iiKichhc, «'2 V pciiliilo e conf(\sso mi rendei, ahi, mis(M lasso! e i^iovato sareMx». Bonifacio Vili. Lo principe de nuovi farisei, «'> avendo guerra presso a Lalerano, e non con Saracin né con Giudei, che ciascun suo nimico era cristiano, «« e nessuno era stato a vincer Acri, né mercatante in terra di Soldano ; Imold. (la (liililUo (lei sco. XVI. - (Imola, O.m iviiii/a). né sommo ufficio né ordini sacri guardò in sé, né in me quel capestro che solca far li suoi cinti più macri. Silvestro 1. Ma come Costantin chiese Silvestro d entro Siratti a guarir della lebbre, cosi mi chiese questi per maestro a guarir della sua superba febbre : domandommi consiglio, ed io tacetti, perché le sue parole parver ebbre. 91 94 97 282 INFERNO .\ ni. E poi mi disse : ' Tuo cor non sospetti ; finor t assolvo, e tu m insegna fare si come Penestrino in terra getti. Lo ciel poss 10 serrare e disserrare, come tu sai ; però son due le chiavi, che il mio antecessor non ebbe care. ' Kin 103 lUideri del casU'llo tli Siisin (f un suo (•om|)agno, e la hocca ^li aperse gridando : Questi è desso, e non favella ; questi, scacciato, il dubitar sommerso '■•V in Cesare, affermando cIk^ il fornito sempre con danno l'attender sofferse. " ^^ Mdioicd. O quanto mi pareva sbigottito loo con la lingua tagliata nella strozza, Curio. Curio, eh a dire fu cosi ardito ! Ed un, ch'avea luna e l'altra man mozza, 103 levando 1 moncherin per 1 aura fosca, si che il sangue facea la faccia sozza, Mosca. gridò: " Ricorderà' ti anche del Mosca, lOfi che dissi, lasso ! ' Capo ha cosa fatta, ' che fu il mal seme per la gente tósca : " 296 INFERNO ed IO V aggiunsi : " E morte di tua schiatta ; " per eh egh, accumulando duol con duolo, sen gio come persona trista e matta. 109 Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, e vidi cosa eh io avrei paura, senza più prova, di contarla solo; 112 Jtiinini. scolliira di Ai*ostino d'Antonio di Duccio. (Riiiiinì, Tempio ■Malatestiano). se non che coscienza mi assicura, la buona compagnia che 1 uom francheggia sotto 1 osbergo del sentirsi pura. 115 Io vidi certo, ed ancor par eh io 1 veggia, ii8 un busto senza capo andar, si come andavan gli altri della trista greggia ; C3 •a 3 CANTO XW'III. 297 Beltiam del Bornio. c il ra|)() lioiuo [cuvix per le ( liiornc, l"-' prsol con iiiaiio a guisa di lanterna, e quei mirava noi, v clicca : O ine ! Il Di se faceva a sé stc^sso lucerna, l'-^i ed eran due in uno, ed uno in due: com' esser può, quei sa che si governa. Quando diritto al pie del ponte fue, levò il braccio alto con tutta la testa per appressarne le parole sue, I monti (li Fucurii. 12' che furo: " Or vedi la pena molesta i3o tu che, spirando, vai veggendo i morti; vedi s alcuna è grande come questa. E perché tu di me novella porti, 133 sappi eh io son Bertram dal Bornio, quelh che diedi al re Giovanni i mai conforti. 298 INFERNO Io feci il padre e il figlio in sé ribelli Achitòfel non fé più d Ansalone e di David co' malvagi pungelli. 136 Perch'io partii cosi giunte persone, partito porto il mio cerebro, lasso ! dal suo principio, eh è in questo troncone 139 cosi s osserva in me lo contrapasso. 142 I.dnlrrnc pendale trccciitcsclie. Siciui, (la una luvolcUa di (iiovaniii Cini. - (Siciui, Arcliivio di Sialo). CANTO XXIX. Cerchio ottavo, nona bolgia. Seminatori di discordie. La molta gente e le diverse piaghe avean le luci mie si inebriate, che dello stare a piangere eran vaghe; ma Virgilio mi disse : " Che pur guate ? 4 perché la vista tua pur si soffolge là giù tra l'ombre triste smozzicate? Tu non hai fatto si all'altre bolge; 7 pensa, se tu annoverar le credi, che miglia ventidue la valle volge, e già la luna è sotto i nostri piedi: io lo tempo è poco omai che n'è concesso, ed altro è da veder, che tu non vedi. " 300 INFERNO II s- ^- ----: " e tu avessi rispos io appresso " atteso alla cagion per eh io guardava, forse m'avresti ancor lo star dimesso. " 13 Parte sen già, ed io retro gli andava, lo duca, già facendo la risposta, e soggiungendo : " Dentro a quella cava, 16 Alta forte. dov io teneva or gli occhi si a posta, 19 credo che uno spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa. " Allor disse il maestro: " Non si franga lo tuo pensier da qui innanzi sopr elio; attendi ad altro, ed ei là si rimanga; 22 eh IO vidi lui a pie del ponticello mostrarti, e minacciar forte col dito. Gerì del Bello. ed udil nominar Geri del Bello. 25 CANIO XXIX. MJI Tu eri alloi si del l litio impedito 2h sopra colui clic già teline Altafoite, che non guardasti in là, si fu partito. " " O duca mio, la violenta morte :5i che non gli è vendicata ancor, " diss io, li per alcun che dell onta sia consorte, fece lui disdegnoso; ond ei sen gio :ìi senza parlarmi, si com io estimo: ed in CIÒ m ha e fatto a sé più pio. " Cosi parlammo infìno al loco primo 37 che dello scoglio 1 altra valle mostra, se più lume vi fosse, tutto ad imo. Decima bolgia. Quando noi fummo in su 1 ultima chiostra H' di Malebolge, si che i suoi conversi potean parere alla veduta nostra, lamenti saettaron me diversi, i3 che di pietà ferrati avean gli strali ; ond io gli orecchi con le man copersi. Qual dolor fora, se degli spedali 4G di Val di Chiana tra il luglio e il settembre, e di Maremma e di Sardigna i mali fossero in una fossa tutti insembre; 49 tal era quivi, e tal puzzo n'usciva, qual suole uscir dalle marcite membre. 302 INFERNO Noi discendemmo su 1 ultima riva 52 del lungo scoglio, pur da man sinistra, ed allor fu la mia vista più viva giù ver lo fondo, dove la ministra 55 dell'alto Sire, infallibil giustizia, Alchimisti. punisce 1 falsator che qui registra. Non credo che a veder maggior tristizia 58 fosse in Egina il popol tutto infermo, quando fu 1 aer si pien di malizia che gh animali infìno al picciol vermo 6i cascaron tutti, e poi le genti antiche, secondo che i poeti hanno per fermo, si ristorar di seme di formiche ; 64 eh era a veder per quella oscura valle languir gli spirti per diverse biche. Qual sopra il ventre, e qual sopra le spalle 67 l'un dell'altro giacca, e qual carpone si trasmutava per lo tristo calle. Passo passo andavam senza sermone, 70 guardando ed ascoltando gli ammalati, che non potean levar le lor persone. Io vidi due sedere a sé poggiati, 73 come a scaldar si poggia tegghia a tegghia, dal capo al pie di schianze maculati : CAN IO XXIX. 303 e lìon vidi i^iainmai mciiaro slrcj^^liia 7t) da ragazzo asj)cllalo dal signorso, nò da colui clic mal volcnlicr vcggliia, come ciascun menava spesso il morso 7'.) dell unghie sopra sé per la gran rabbia del pizzicor, che non ha più soccorso ; e si traevan giù 1 unghie la scabbia, «2 come coltel di scardova le scaglie o d altro pesce che più larghe 1 abbia. " O tu che con le dita ti dismaglie, «5 cominciò il duca mio a un di loro, e che fai d esse talvolta tanaglie, dinne s alcun latino è tra costoro ss che son qumc entro, se 1 unghia ti basti eternalmente a cotesto lavoro. " " Latin sem noi, che tu vedi si guasti 9i qui ambedue, " rispose 1 un piangendo ; ma tu chi se', che di noi domandasti? " E il duca disse: " Io son un clie discendo 94 con questo vivo giù di balzo in balzo, e di mostrar lo inferno a lui intendo. " Allor si ruppe lo comun rincalzo ; 97 e tremando ciascuno a me si volse con 1 altri che l'udiron di rimbalzo. 304 INFERNO Lo buon maestro a me tutto s accolse, loo dicendo : " Di a lor ciò che tu vuoli ; " ed IO incominciai, poscia eh ei volse : " Se la vostra memoria non s' imboli io3 nel primo mondo dall umane menti, ma 5 ella viva sotto molti soli, Arezzo, da un aflrcsco di Rciiozzo. — (Monlclalco, S. Fi-anc('>-co). ditemi chi voi siete e di che genti ; la vostra sconcia e fastidiosa pena di palesarvi a me non vi spaventi. " 106 Giiffolino. " Io fui d'Arezzo, ed Albero da Siena " rispose r un " mi fé' mettere al foco ; ma quel per eh io mori' qui non mi mena. 109 e o 3 &4 N o te o S CANTO XXIX 3()'i Ver e (lì IO dissi a lui, parlando a j^ioco, W'J. ' Io 1111 saprei levar per I aere a volo; e quei, che avea vaghezza e senno poco, volle eh' io gli mostrassi I arie, e solo perch'io no 1 feci Dedalo, mi fece ardere a tal, che l'avea per figliuolo. li: Casa (U'ila Hii(/at3 e mastro Adamo gli percosse il volto col braccio suo che non parve men duro, dicendo a lui : " Ancor che mi sia tolto 1 Sinone. disse Sinone, " e son qui per un fallo, e tu per più che alcun altro demonio. " CANIO \XX. 315 l.a iiioLilii' (li l'iilit'ari'c o (''iusi'|)|)i'. (UaNciiiia - Oalla l'atlcdia di .Massimiano). " Ricorditi, spergiuro, del cavallo, " rispose quel eh aveva enfiata 1 epa ; e sieti reo che tutto il mondo sallo. " " A te sia rea la sete onde ti crepa " disse il greco " la lingua, e 1 acqua marcia che il ventre innanzi gli occhi si t assiepa. " Allora il monetier: " Cosi si squarcia la bocca tua per mal dir come suole ; che s i' ho sete ed umor mi rinfarcia, tu hai 1 arsura e il capo che ti duole, e per leccar lo specchio di Narcisso, non vorresti a invitar molte parole. " 118 121 124 127 316 INFERNO eia. Ad ascoltarli er io del tutto fisso, I3H Pina (li S. Pietro n Roma. si che la ripa, ch'era perizoma 6i dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto di sopra che di giungere alla chioma 322 INFERNO tre Frison s averian dato mal vanto ; però eh io ne vedea trenta gran palmi dal loco in giù, dov uomo affibbia il manto. 64 " Rafel mai amech izabi almi, " cominciò a gridar la fiera bocca, cui non SI convenian più dolci salmi. 67 Facciata di .S'. Pùiro con visla della pina sullo il ciborio. (Disegno di Doni. Tnssolll). E il duca mio ver lui : " Anima sciocca, tienti col corno, e con quel ti disfoga, quand ira o altra passion ti tocca : 70 cercati al collo, e troverai la soga che il tien legato, o anima confusa, e vedi lui che il gran petto ti doga. " 73 CAN TO XXXI. i2i Hasaiiinilo ili colonna, ronianico ([e due ligure laleraJi lianuo il [ìerizonia). (Bologna, Museo (avico). Poi disse a me : " Egli stesso s accusa ; 76 questi è Nembrotto, per lo cui mal coto pure un linguaggio nel mondo non s usa. Lasciamlo stare, e non parliamo a vóto; 79 che cosi è a lui ciascun linguaggio, come il suo ad altrui, eh' a nullo è noto. " 324 INFERNO Facemmo adunque più lungo viaggio 82 volti a sinistra ; ed al trar d un balestro Fialte. trovammo 1 altro assai più fiero e maggio. A cinger lui, qual che fosse il maestro, 85 non so IO dir; ma ei tenea succinto dinanzi l altro, e dietro il braccio destro d una catena, che il teneva avvinto 88 dal collo in giù, si che in su lo scoperto SI ravvolgea infino al giro quinto. " Questo superbo voli esser esperto 91 di sua potenza contra il sommo Giove, " disse il mio duca, " ond egli ha cotal merto. Fialte ha nome ; e fece le gran prove, 94 quando i giganti fér paura a dèi : le braccia eh ei menò, giammai non muove. " Ed IO a lui: " S esser puote, io vorrei 97 che dello smisurato Briareo esperienza avesser gli occhi miei. " Ond'ei rispose: " Tu vedrai Anteo lou presso di qui, che parla ed è disciolto, che ne porrà nel fondo d ogni reo. Quel che tu vuoi veder più là è molto, io;5 ed è legato e fatto come questo, salvo che più feroce par nel volto. " « Si 3 *':*"wst e: «> y e 1^ CANIO XXXI 325 Anteo. Non fu iKMiuiolo j^ià lauto nihcslo, I'K' clic scolcssc una Ione* cosi forlc, come Fialte a scolcrsi fu presto. Allor temetti più che mai la morte, l'i' e non v era mestier più che la ciotta, s io non avessi viste le ritorte. Noi procedemmo più avanti allotta, Hi e venimmo ad Anteo, che ben cinqu alle, senza la testa, uscia fuor della grotta. " O tu, che nella fortunata valle, ii") che fece Scipion di gloria reda quand'Annibal co' suoi diede le spalle, recasti già mille leon per preda, ii8 e che, se fossi stato ali alta guerra de tuoi fratelh, ancor par eh e si creda che avrebber vinto i figli della Terra; 121 mettine giù, e non ten vegna schifo, dove Cocito la freddura serra. Non ci far ire a Tizio né a Tifo; 121 questi può dar di quel che qui si brama; però ti china, e non torcer lo grifo. Ancor ti può nel mondo render fama, 127 eh ei vive, e lunga vita ancor aspetta, se innanzi tempo grazia a sé no 1 chiama. " 326 INFERNO Cosi disse il maestro; e quegli in fretta liiu la man distese e prese il duca mio, ond Ercole senti già grande stretta. Virgilio, quando prender si sentio, i:ì:ì disse a me : " Fatti m qua, si eh io ti prenda ; ' poi fece si che un fascio er egh ed io. Qual pare a riguardar la Carisenda 136 sotto il chinato, quando un nuvol vada sopr essa si eh ella in contrario penda; tal parve Anteo a me, che stava a bada 139 di vederlo chinare, e fu tal ora eh' io avrei volut ir per altra strada : ma lievemente al fondo, che divora 112 Lucifero con Giuda, ci sposò; né si chinato li fece dimora, e come albero in nave si levò. 145 storia (li ('.nino, scoKiiia del scc. xil. - (Modiiia, Di d). CANTO XXXII. Cerchio nono, S' io avessi le rime aspre e chiocce, giro primo. . i i i • i come SI converrebbe al tristo buco, sovra il qual pontan tutte 1 altre rocce, io premerei di mio concetto il suco più pienamente; ma perch io non 1 abbo, non senza tema a dicer mi conduco; che non è impresa da pigliare a gabbo descriver fondo a tutto 1 universo, né da lingua che chiami mamma e babbo. Ma quelle donne aiutino il mio verso, eh aiutaro Anfion a chiuder Tebe, si che dal fatto il dir non sia diverso. 10 328 INFERNO O sovra tutte mal creata plebe, che stai nel loco, onde parlare è duro, me foste state qui pecore o zebe ! i:^ Calna. Traditori Come noi fummo giù nel pozzo scuro sotto 1 pie del gigante, assai più bassi, ed io mirava ancora ali alto muro, ir, Cross Cilocliiier nei 'rauci'ii {'l'amlintìiccli n 'Idiiniiicili). dicere udimmi: " Guarda come passi; fa si che tu non calchi con le piante le teste de' fratei miseri lassi; " in perch IO mi volsi e vidimi davante e sotto 1 piedi un lago, che per gelo avea di vetro e non d acqua sembiante. 22 CANIO XXXll. 329 Non f<'((^ al corso suo si grosso velo di voiiu) la Danoia ni Osicilic, ne Tanai là sollo il freddo ciclo, •if) La vetta df! IMsaiiiiio nella l'iiiri con esso un colpo per la man d Artù ; non Focaccia ; non questi, che m ingombra col capo si ch'io non veggio oltre più, e fu nomato Sàssol Mascheroni : se tòsco se , ben sa omai chi fu. E perché non mi metti in più sermoni, sappi eh io fui il Camicion de Pazzi, ed aspetto Carlin che mi scagioni. " 64 67 332 NFERNO Poscia vid 10 mille visi, cagnazzi fatti per freddo; onde mi vien riprezzo, e verrà sempre, de' gelati guazzi. 70 (A'ibaia (k'I IJistMi/.io, caslt'llo dei;!! Albrrli dì .Maii.^oiia. Antenora. Giro se- condo. E mentre che andavamo in ver lo mezzo, al quale ogni gravezza si rauna, ed IO tremava nell'eterno rezzo. 73 CAN IO XXXII, Mi Colli' (li Maiiiiouii, di'^li Albrili. se voler fu o destino o fortuna, non so; ma, passeggiando tra le teste, forte percossi il pie nel viso ad una. Piangendo mi sgridò : " Perché mi peste ? Se tu non vieni a crescer la vendetta di Montaperti, perché mi moleste ? " 7(1 79 Vcinio, castello (1cl;Iì Albciii. 334 INFERNO Ed io: " Maestro mio, or qui m'aspetta, si eh io ésca d un dubbio per costui ; poi mi farai, quantunque vorrai, fretta. " 82 Bocca degli Abati. Lo duca stette; ed io dissi a colui che bestemmiava duramente ancora : " Qual se' tu, che cosi rampogni altrui ? " 8,"» " Or tu chi se', che vai per l'Antenora percotendo, " rispose, " altrui le gote SI i che, se fossi vivo, troppo fora ? " 88 La CoiU' di /(■ Arti) con LdiicHnllo e CutkuHo, Miniatura del mcdId xiv. Vivo son io, e caro esser ti puote, " fu mia risposta, " se domandi fama, ch'io metta il nome tuo tra 1 altre note. " 91 Ed egli a me : " Del contrario ho io brama ; '' t levati quinci, e non mi dar più lagna, che mal sai lusingar per questa lama. " CAN ro XXXII 335 Allor lo presi prr la culicagna, e dissi: " E converrà che lu li nomi, o che ca{)(^l qui su non li rimaglia. " Ond egli a me: " Perché tu mi dischiomi, né ti dirò eh io sia, né mostrerolti, se mille fiate in sul capo mi tomi. " •»7 KlO Uc Arlù. (l;i un musaico pnviiiiontiilo del soc. xii. (Olranlo, Duomo). Io avea già i capelli in mano avvolti, 103 e tratti glie n avea più d una ciocca, latrando lui con gli occhi in giù raccolti ; quando un altro gridò: " Che hai tu. Bocca? 106 Non ti basta sonar con le mascelle, se tu non latri ? qual diavol ti tocca " ? 336 INFERNO " Ornai, " diss' io, " non vo' che tu favelle, malvagio traditor, che alla tua onta io porterò di te vere novelle. " 109 " Va via, " rispose, " e ciò che tu vuoi, conta; ma non tacer, se tu di qua entr'eschi, di quei eh ebbe or cosi la lingua pronta. 112 •■ ■u * - . V ■ ìJtimJÀ Manhipriti. Buoso da Duera. Ei piange qui 1 argento de Franceschi : ' Io vidi ' potrai dir ' quel da Duera là dove 1 peccatori stanno freschi. ' 11.') Se fossi domandato altri chi v era, tu hai da lato quel di Beccheria, di cui segò Fiorenza la gorgiera. 118 o CAN ro XXXII 337 Gianni cl(^ Soldanicr credo die sia *''!'/ '' più là con Gancllonc v 1 cbaidcllo, e altri tra- ' ditori. eh apri Faenza quando si dorniia. " 121 Non eravam partiti già da elio, eh io vidi due ghiacciati in una buca si che 1 un capo ali altro era cappello; 121 l'iifnzci. dalla stampa di Francesco Bertelli. e come il pan per fame si manduca, cosi il sopran li denti ali altro pose là ve il cervel si giunge con la nuca. 12-; Non altrimenti Tideo si róse le tempie a Menahppo per disdegno, che quei faceva il teschio e 1 altre cose. 130 338 INFERNO " O tu che mostri per si bestiai segno 133 odio sopra colui che tu ti mangi, dimmi il perché, " diss' io, " per tal convegno che, se tu a ragion di lui ti piangi, sappiendo chi voi siete e la sua pecca, nel mondo suso ancor io te ne cangi. 136 se quella, con eh io parlo, non si secca. " 130 I. '(//(■/;>. [{uggirli e il conte Ugolino, da un afìresco del scc. xiv. ((;;iin]M)chi('si' presso Alhenga - Chiesa di S. (iior^io). Pisa e il iiìoiitc (li S. (iiiilidiKi. JL L » « 1 i -»2_jfliJkj»a*ia CANTO XXXIII. Cerchio no- no, giro se- condo. Antenoi a. La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a' capelli del capo ch'egli avea di retro guasto. Poi cominciò : " Tu vuoi eh' io rinnovelli disperato dolor che il cor mi preme, già pur pensando, pria ch'io ne favelli. Ma se le mie parole esser dén seme, che frutti infamia al traditor ch'io rodo, parlare e lagrimar vedrai insieme. Io non so chi tu se , né per che modo venuto se' qua giù; ma fiorentino mi sembri veramente, quand io t'odo. 10 Torre del conte Ugolino a Donoratico. Torre dei Gualandi, detta della « Fame ». CAN IO XXXIII 341 Breve perlugio denlro dalla niiida, la qual per me lia il lilol della faine e in che convien ancor eh altri si chiuda, II mal sonno. m avea mostrato per lo suo forame più lune già, quand'io feci il mal sonno, che del futuro mi squarciò il velame. 2r) Sepolcro dei Della Gherardesca. (Pisa, Caiiiiiosanto). Questi pareva a me maestro e donno, cacciando il lupo e i lupicini al monte, per che i Pisan veder Lucca non ponno. 28 con cagne magre, studiose e conte : " Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi s avea messi dinanzi dalla fronte. 31 342 INFERNO In picciol corso mi pareano stanchi 34 lo padre e i figli, e con 1 acute scane mi parca lor veder fender li fianchi. Quando fui desto innanzi la dimane, 37 pianger senti fra il sonno i miei figliuoli, eh eran con meco, e domandar del pane. Ben se crudel, se tu già non ti duoli, 40 pensando ciò eh al mio cor s annunziava ; e se non piangi, di che pianger suoli? Già eran desti, e 1 ora s appressava 43 che il cibo ne soleva essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava ; La porla del ed io Sentii chiavar 1 uscio di sotto 46 carcere in~ t\j *i*i i** i* chiodata ^" orribile torre : ond io guardai nel viso a' miei figliuoi senza far motto. Io non piangeva, si dentro impietrai; 49 piangevan elli, ed Anselmuccio mio disse : ' Tu guardi si, padre, che hai ? ' Però non lagrimai, né rispos io 52 tutto quel giorno né la notte appresso, infin che 1 altro sol nel mondo uscio. Come un poco di raggio si fu messo 55 nel doloroso carcere, ed io scòrsi per quattro visi il mio aspetto stesso. C'AN IO XXXIII. 343 contro Pisa. del bel paese là dove il ' si ' suona, poi che i vicini a te punir son lenti, .^K anilx) le mani \)cr dolor mi morsi; vd Ci, pensando e lì io il fessi per voglia di manicar, di subito Icvòrsi, e disser: ' Padre, assai ci fia men doglia, <'i se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia. ' Morte dei fi- Qucta mi allor per non farli più tristi ; '> i eli d' Ugo- 1 1/ r 1 • • f. quel di e I altro stemmo tutti muti : lino. ^ ahi, dura terra, perché non t apristi ? Poscia che fummo al quarto di venuti, <>7 Gaddo mi si gittò disteso a piedi, dicendo : ' Padre mio, che non m' aiuti ? ' Quivi mori ; e come tu me vedi, 7o vid io cascar li tre ad uno ad uno tra il quinto di e il sesto: ond io mi diedi già cieco a brancolar sopra ciascuno, 73 Morte e due di li chiamai poi che fur morti ; d'Ugolino. . •' L l J 1 r' 1 J* • II poscia, più che il dolor, potè il digiuno. Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi torti 76 riprese il teschio misero coi denti, che furo ali osso, come d un can, forti. Invettiva Ahi Pisa, vituperio delle genti 79 344 INFERNO ('.(ijìiiirti (isolii). muovansi la Caprara e la Gorgona, e facciali siepe ad Arno in su la foce, si eh egli anneghi in te ogni persona ; 82 che, se il conte Ugolino aveva voce d aver tradita te delle castella, non dovei tu i fìgliuoi porre a tal croce 85 Gorgona (isola). a o o 15 e o CAN IO XXXIIl. 345 iiìiì(H(Mili {i\cvi\ I dà novella, «h novella 1 cb(\ UgiKcionc e il Irrigata, e gli alili due che il canto suso appella. Giro terzo. Noi passamm oltre là Ve la gelata !>i oomea. ruvidamente un'altra gente fascia, non volta in giù, ma tutta riversata. Foce del Calambrone o Aruu iwichin. Lo pianto stesso li pianger non lascia, 04 e il duol, che trova in su gli occhi rintoppo, si volve in entro a far crescer 1 ambascia ; che le lacrime prime fanno groppo, 07 e si, come visiere di cristallo, riempion sotto il ciglio tutto il coppo. Ed avvegna che si, come d un callo, 100 per la freddura ciascun sentimento cessato avesse del mio viso stallo, 346 NFERNO Avanzi (li una torre dfl l'orbi l'isano ]ircssn Livorno. già mi parea sentire alquanto vento; ins per eh' io : " Maestro mio, questo chi move ? non è qua giù ogni vapore spento? " Ond egli a me: " Avaccio sarai dove di CIÒ ti farà 1 occhio la risposta, veggendo la cagion che il fiato piove. " E un de tristi della fredda crosta gridò a noi: " O anime crudeli tanto che data v è 1 ultima posta. 106 109 Torre del Porlo Pisano jircsso Livorno. CAN ro XXXIII i47 Frate Alberigo. lcval(Miii tlal VISO i duri veli, i ili si eh u) sfottili il dolor che il cor m impregna, un poco, pria clu^ il pianto si raggeli. " Per eh io a lui: " Se vuoi eh io li sovvegna, ii') dimmi ehi sei; e, s io non li disbrigo, al fondo della ghiaccia ir mi convegna. " Rispose adunque: " Io son frate Alberigo, io son quel delle frutta del mal orto, che qui riprendo dattero per figo. " US Il Porlo Pisano, scollura del 12!>0. - ((u-nova. Musco del Palazzo Bianco). " O, " diss'io lui, "or se' tu ancor morto?" lii Ed egli a me: " Come il mio corpo stea nel mondo su nulla scienza porto. Cotal vantaggio ha questa Tolomea, che spesse volte 1 anima ci cade innanzi eh Atropòs mossa le dea. E perché tu più volentier mi rade le invetriate lagrime dal volto, sappi che tosto che 1 anima trade, 124 127 348 INFERNO Branca d' Olia. come fec io, il corpo suo 1 è tolto i3o da un demonio, che poscia il governa mentre che il tempo suo tutto sia volto. Ella ruma in si fatta cisterna ; 133 e forse pare ancor lo corpo suso dell'ombra che di qua dietro mi verna. Tu il del saper, se tu vien pur mo giuso : 136 egli è ser Branca d Oria, e son più anni poscia passati eh ei fu si racchiuso. " " Io credo, " diss' io lui, " che tu m' inganni ; 139 che Branca d Oria non mori unquanche, e mangia e bee e dorme e veste panni. " " Nel fosso su, " diss' ei, " di Malebranche, 142 là dove bolle la tenace pece, non era giunto ancora Michel Zanche, che questi lasciò il diavolo in sua vece 145 nel corpo suo, e d un suo prossimano che il tradimento insieme con lui fece. Ma distendi oramai in qua la mano, 148 aprimi gli occhi; " ed io non glieh apersi, e cortesia fu in lui esser villano. Invettiva contro Genova. Ahi, Genovesi, uomini diversi d ogni costume, e pien d ogni magagna, perché non siete voi del mondo spersi? 151 CAN IO XXXlll. 349 Che col peggiore spirto di Romagna trovai di voi un tal, clie per sua opra in anima il Cocito già si bagna i.'»i ed in corpo par vivo ancor di sopra. .')7 l'"aro Ira dui' navi, bassoiilirvo aulico. - d'isa, Cainpaiiilcì. Injrnut. mosnicu del scc. xil. - ( 'rnifcllii, DiKunni. CANTO XXXIV. Cerchio nono. " X)exilla regis prodeunt inferni verso di noi; però dinanzi mira, " disse il maestro mio, " se tu il discerni. " Giro quarto. Giudecca. Come quando una grossa nebbia spira o quando 1 emisperio nostro annotta, par da lungi un molin che il vento gira; veder mi parve un tal dificio allotta ; poi per lo vento mi ristrinsi retro al duca mio, che non v era altra grotta. Già era, e con paura il metto in metro, là dove r ombre eran tutte coperte e trasparean come festuca in vetro. 10 352 INFERNO Altre sono a giacere, altre starino erte, Traditori dei quella col capo e quella con le piante; benefattori. , ., , , . ,. . altra, com arco, il volto a piedi inverte. 13 Antico miiliiui a ihiìIo. a Bruijtjia. Quando noi fummo fatti tanto avante eh al mio maestro piacque di mostrarmi Lucifero. la creatura eh ebbe il bel sembiante. 16 Lucifero, affresco del sec. xiv. - (Pisa, Camposanto). CAN ro XXXIV. 353 (linan/i mi si tolse, e io restarmi, 19 " Ecco Dite, " dicendo, " ed ecco il loco, ove convien che di fortezza l' armi. " Com io divenni allor gelato e fioco, 22 no I domandar, lettor, eh io non lo scrivo, però eh ogni parlar sarebbe poco. Io non morii, e non rimasi vivo; 25 pensa oramai per te, s hai fior d ingegno, qual io divenni, d' uno e d altro privo. Lo imperador del doloroso regno 28 da mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia ; e più con un gigante io mi convegno che i giganti non fan con le sue braccia : 3i vedi oramai quant esser dèe quel tutto eh a cosi fatte parti si confacela. S ei fu si bel com'egli è ora brutto 34 e contra il suo Fattore alzò le ciglia, ben dèe da lui procedere ogni lutto. 0 quanto parve a me gran meraviglia, 37 quando vidi tre facce alla sua testa ! l una dinanzi, e quella era vermiglia ; 1 altre eran due, che s aggiungieno a questa 40 sopr esso il mezzo di ciascuna spalla, e si giungieno al loco della cresta: 354 INFERNO e la destra parca tra bianca e gialla; la sinistra a vedere era tal, quali vcngon di là onde il Nilo s'avvalla. 43 Sotto ciascuna uscivan due grandi ali, quanto si convenia a tanto uccello ; vele di mar non vid'io mai cotali. 46 Lucifero, scoUura del sec. xi. - (Toscanclla, S. Pietro). Non avean penne, ma di vipistrello era lor modo ; e quelle svolazzava, si che tre venti si movean da elio. 49 Cocito. Quindi Cocito tutto s'aggelava: con sei occhi piangeva, e per tre menti gocciava il pianto e sanguinosa bava. Da ogni bocca dirompea coi denti un peccatore, a guisa di maciulla, si che tre ne facea cosi dolenti. 52 55 CAN lU \X\1V. 355 A quel dinanzi li inoidcrc^ era nulla verso il graffiar, che talvolta la scliiena runanca della pelle Uilla hrulla. 58 ((/(«/(( Sidriotln liacia (lesù, aflresco dì (jiollo. (Padova, Cappella di'uli Scrovcgni). Giudc Quali anima là su clie ha maggior pena, " disse il maestro, " è Giuda Scariotto, che il capo ha dentro, e fuor le gambe mena. 61 Bruto. Degli altri due e hanno il capo di sotto, quei che pende dal nero ceffo è Bruto ; vedi come si storce e non fa motto : 64 356 INFERNO C assio. e 1 altro è Cassio, che par si membruto. Ma la notte risurge: ed oramai è da partir, che tutto avem veduto. " 67 f* x" tl^ 4 iJik&r, Bruto, dal libio di ('liiislo de' Meiiabuoi. (Uoniii, Galleria Corsini). Com'a lui piacque, il collo gli avvinghiai; ed ei prese di tempo e loco poste, e, quando 1 ale furo aperte assai, appigliò sé alle vellute coste ; di vello in vello giù discese poscia tra il folto pelo e le gelate croste. 70 73 CAN lU XXXIV. 357 Quando noi luinmo là dove la coscia 7r> SI volge appunto in sul grosso dell anche, lo duca, con fatica e con angoscia, volse la testa ov egli avea le zanche, 7'.» ed aggrappossi al pel com uom che sale, si che in inferno io credea tornar anche. " Attienti ben, che per si fatte scale, " sii disse il maestro ansando com uom lasso, " conviensi dipartir da tanto male. " Poi usci fuor per lo fóro d un sasso, 85 e pose me in su 1 orlo a sedere ; appresso pòrse a me 1 accorto passo. Io levai gli occhi, e credetti vedere 88 Lucifero. Lucifero com io 1 avea lasciato; e vidih le gambe in su tenere; e s io divenni allora travagliato, 9i la gente grossa il pensi, che non vede qual è quel punto eh io avea passato. " Levati su, " disse il maestro, " in piede : oi la via è lunga, e il cammino è malvagio, e già il sole a mezza terza riede. " Non era camminata di palagio 97 là v eravam, ma naturai burella, eh avea mal suolo e di lume disagio. 358 INFERNO " Prima eh io dell abisso mi divella, i(»(i maestro mio, " diss io quando fui dritto, " a trarmi d erro un poco mi favella. Ove la ghiaccia? e questi com è fìtto 103 si sottosopra ? e come in si poc ora da sera a mane ha fatto il sol tragitto ? " Ed egli a me : " Tu imagini ancora 100 d'esser di là dal centro, ov io m appresi al pel del vermo reo, che il mondo fora. Di là fosti cotanto, quant' io scesi ; ii»9 quando mi volsi, tu passasti il punto al qual si traggon d' ogni parte i pesi : e se' or sotto 1 emisperio giunto, 112 eh' è contrapposto a quel che la gran secca coperchia, e sotto il cui colmo consunto Gesù Cristo, fu l' Uom che nacque e visse senza pecca; ii5 tu hai i piedi in su picciola spera, che 1 altra faccia fa della Giudecca. Qui è da man, quando di là è sera: ii ' * ^'■ *''< *r/5 x^* t j^^al 'M •-^1 ;( & km: f^m fMJ t I