diff --git "a/static/data/il_libro_rosso.txt" "b/static/data/il_libro_rosso.txt" new file mode 100644--- /dev/null +++ "b/static/data/il_libro_rosso.txt" @@ -0,0 +1,21049 @@ + Presentazione +Jung lavorò al Libro rosso – incomparabile verbale dei sogni e delle visioni che +popolarono il suo «viaggio di esplorazione verso l’altro polo del mondo» – per +oltre sedici anni, dal 1913 al 1930, e ancora in tardissima età lo de௹nì una sorta +di presagio numinoso, l’opera di fondazione in cui aveva deposto il nucleo vitale +e di pensiero della sua futura attività scienti௹ca. Il Libro rosso è, in e௸etti, il +libro segreto di Jung. Segreto soprattutto in quanto riproduzione simbolica di un +universo altro, popolato di immagini interiori che provengono da un aldilà mitico, +in cui si caricano di una potenza numinosa che le rende a un tempo guaritrici e +pericolose: operatori magici di forze psichiche autonome che solo attraverso un +corpo a corpo con l’inconscio è possibile neutralizzare e incanalare in un +percorso terapeutico. Quella che Jung chiamerà più tardi «immaginazione +attiva», è appunto lo strumento inedito di cui egli si servì per suscitare i +contenuti archetipici della psiche. +Con il suo tesoro di esperienze iniziatiche e meditazioni sapienziali il Libro +rosso si situa dunque al centro di una straordinaria sperimentazione che ne fa +un unicum nel panorama novecentesco. La sua pubblicazione, a distanza di quasi +cinquant’anni dalla morte di Jung, ha segnato un punto di svolta negli studi sulla +psicologia analitica. +La presente edizione, agile e compatta, riproduce integralmente il testo, senza +le tavole dipinte con cui Jung illustrò la sua «discesa agli inferi». È diretta a +chiunque voglia approfondirne – con l’aiuto della sapientissima curatela di Sonu +Shamdasani – ogni articolazione e ogni fantasmagoria psichica. A chiunque sia +attratto dalle movenze di un dialogo interiore grazie al quale la Vita si è +automanifestata entro una vita. + Carl Gustav Jung (1875-1961) iniziò la sua attività nel 1900 nel famoso +ospedale «Burghölzli» di Zurigo, sotto la guida di Eugen Bleuler, uno dei grandi +maestri della psichiatria dinamica. Durante questi «anni di apprendistato» mise +a fuoco la sua nozione di realtà psichica ed elaborò alcuni strumenti per la +comprensione dei disturbi mentali. Nel 1907 entrò in contatto con Freud, con +cui stabilì uno stretto rapporto umano e scienti௹co, assumendo una posizione di +primo piano nel movimento psicoanalitico, ma nel 1912 la pubblicazione di +Trasformazioni e simboli della libido segnò la rottura del loro sodalizio e il +distacco di Jung dalla psicoanalisi. Ne seguì un lungo periodo di «malattia +creativa», caratterizzato da un serrato corpo a corpo con l’inconscio e le sue +immagini archetipiche, di cui dà testimonianza il Libro rosso. Esperienza +decisiva da cui si cristallizzarono, negli anni della maturità, il sistema della +psicologia analitica (dottrina dell’inconscio collettivo e degli archetipi, tipologia +psicologica, energetica psichica e processo di individuazione, principio di +sincronicità) e un’eccezionale messe di indagini storico-religiose, soprattutto nei +campi dell’alchimia, dell’astrologia e del pensiero orientale. Le Opere di Jung +sono pubblicate da Bollati Boringhieri a cura di Luigi Aurigemma (24 voll., +1965-2007). +Sonu Shamdasani, eminente storico della psicologia e della psichiatria, +insegna al Centre for the History of Psychological Disciplines dello University +College di Londra. È cofondatore ed editor generale della Philemon Foundation, +un’organizzazione costituita allo scopo di promuovere una nuova edizione +storico-critica delle opere complete di Jung, comprensiva anche di tutti i testi +(manoscritti, seminari, carteggi) ancora inediti. Tra i suoi saggi tradotti in +italiano: Fatti e artefatti. Su C. G. Jung, sul Club psicologico e su un culto che +non è mai esistito (2004), Jung e la creazione della psicologia moderna. Il +sogno di una scienza (2007) e Jung messo a nudo dai suoi biogra௬, anche +(2008). Per Bollati Boringhieri ha curato il seminario di Jung La psicologia del +Kundalini-yoga (2004) e ha pubblicato Dossier Freud. L +’invenzione della +leggenda psicoanalitica (2012), scritto con Mikkel Borch-Jacobsen. + www.bollatiboringhieri.it + +www.facebook.com/bollatiboringhierieditore + +www.illibraio.it + + +Prima edizione digitale aprile 2014 +Prima edizione studio 2012 +© 2009 The Foundation of the Works of C. G. Jung, Zürich +© 2009 Sonu Shamdasani per l’Introduzione e l’apparato +Titolo originale +The Red Book: Liber Novus. A Reader’s Edition +Edited and Introduced by Sonu Shamdasani +W. W. Norton & Company, Inc., 500 Fifth Avenue, New York, NY 10110 +W. W. Norton & Company Ltd., Castle House, 75/76 Wells Street, London, WIT 3 QT +Traduzione di Giovanni Sorge, Maria Anna Massimello e Giulio Schiavoni +Consulenza linguistica di Lieselotte Mangels Giannachi +© 2010 e 2012 Bollati Boringhieri editore +Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 +Gruppo editoriale Mauri Spagnol +Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. +È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata +ISBN 978-88-339-7311-1 +Impaginazione: Voltapagina, Torino + + +IL +LIBRO ROSSO +EDIZIONE STUDIO + + + + + +GLI ANNI PIÙ IMPORTANTI DELLA MIA VITA +furono quelli in cui inseguivo le mie immagini interiori. +A essi va fatto risalire tutto il resto. Tutto cominciò allora, +e poco hanno aggiunto i dettagli posteriori. La mia vita intera +è consistita nell’elaborazione di quanto era scaturito dall’inconscio, +sommergendomi come una corrente enigmatica e minacciando +di travolgermi. Una sola esistenza non sarebbe bastata per dare forma +a quella materia prima. Tutta la mia opera successiva non è stata +altro che classificazione estrinseca, formulazione scientifica +e integrazione nella vita. Ma l’inizio numinoso che conteneva +ogni altra cosa si diede allora. +CARL GUSTAV JUNG, 1957 + Prefazione all’edizione studio + + + + +Ormai più di un decennio è trascorso da quando la Erbengemeinschaft C. G. +Jung autorizzò la pubblicazione del Libro rosso. Si cercò allora di mettere a +fuoco, con un’attenta ri௺essione, il tipo di pubblico cui destinare quest’opera a +più livelli: lettori interessati alla storia della psicologia? lettori colti non +specialisti? persone dotate di una particolare ricettività per la dimensione visiva +e quindi sensibili soprattutto alle immagini? appassionati di calligra௹a? +collezionisti di edizioni artistiche? Quali aspetti porre in primo piano nella +de௹nizione del formato e del progetto editoriale in vista della pubblicazione? +Non era facile trovare una risposta a queste domande, dal momento che, nella +sua preziosità, anche la forma materiale dell’originale sembrava racchiudere un +messaggio. Molte furono le proposte discusse e scartate, ௹nché la soluzione +appropriata fu in௹ne suggerita da W. W. Norton: un’edizione integrale in +facsimile, quale quella che vide poi la luce nel 2009. Lo straordinario successo +dell’opera, di௸usa rapidamente in tutto il mondo e ormai disponibile in nove +lingue, dimostrò che l’editore aveva visto giusto. Evidentemente, era possibile +mettere in cantiere un’edizione in grado di rendere giustizia non solo alla +poliedricità dell’opera, ma anche alle aspettative dei vari tipi di pubblico. +L +’elenco delle persone cui va attribuito il merito di questo successo è ormai +considerevolmente lungo, ma due nomi spiccano su tutti e hanno diritto a una +menzione speciale: Jim Mairs della W. W. Norton e Sonu Shamdasani della +Philemon Foundation. +La presente edizione studio riproduce il testo integrale dell’edizione originale, +ed è diretta speci௹camente a quanti intendono intraprendere un confronto +approfondito con la documentazione letteraria dello sviluppo interiore di Jung. +Se poi essa permetterà ai lettori di trarre da questo incontro con il Libro rosso +maggior frutto per il loro personale sviluppo, si può star certi che una tale +eventualità corrisponderebbe agli auspici di Jung. +Luglio 2012 +ULRICH HOERNI +Stiftung der Werke von C. G. Jung + Prefazione all’edizione originale + + + + +L +’esistenza +del Libro rosso di Jung era largamente nota sin dalla +pubblicazione di Ricordi, sogni, ri௭essioni (1962), ma solo con la presente +edizione esso viene reso accessibile al pubblico. Poiché la genesi dell’opera, +descritta nella «autobiogra௹a», è già stata ampiamente discussa nella +letteratura secondaria, mi limiterò qui a qualche breve ragguaglio. +Il 1913 fu un anno cruciale nella vita di Jung. Egli intraprese allora quella +sperimentazione su se stesso che, in seguito, chiamò il suo «confronto con +l’inconscio».1 Nel corso di questo esperimento, proseguito ௹no al 1930, sviluppò +uno +speci௹co +metodo +di +esplorazione +psicologica +– +detto +più +tardi +«immaginazione attiva» – ௹nalizzato a consentirgli di «andare alla base dei +[propri] processi interiori», «tradurre le emozioni in immagini» e «cogliere le +fantasie che [lo] sollecitavano dal sottosuolo».2 In un primo tempo Jung annotò le +sue fantasie nei Libri neri, quindi le rielaborò aggiungendovi una serie di +ri௺essioni e le trascrisse in scrittura calligra௹ca, corredandole di illustrazioni, in +un volume rilegato in pelle rossa recante il titolo Liber novus. +All’epoca Jung condivise le sue esperienze interiori solo con la moglie e poche +altre persone ௹date. Poi, nel 1925, in occasione di una serie di seminari tenuti +presso il Club psicologico di Zurigo, diede notizia del processo di trasformazione +personale e professionale seguito alla rottura con Freud e descrisse il metodo +dell’immaginazione attiva. Ma a parte ciò, lasciò trasparire ben poco dei suoi +vissuti di quel periodo. I suoi ௹gli, per esempio, non furono messi al corrente +della sua autosperimentazione né notarono alcunché di insolito in lui. +Naturalmente sarebbe stato tutt’altro che facile spiegare loro ciò che gli stava +accadendo. Era già un segno di benevolenza consentire loro di assistere mentre +attendeva al lavoro di trascrizione calligra௹ca o di illustrazione del testo. Così, +per i discendenti di Jung, il Libro rosso è sempre stato avvolto da un’aura di +mistero. Quando nel 1930 l’esperimento di autoinvestigazione ebbe termine, il +volume, ancora incompiuto, fu messo da parte: continuò ad avere un posto +d’onore nello studio, ma Jung non vi lavorò più per decenni. Le conoscenze che +aveva conseguito in quella fase della sua vita sarebbero però con௺uite nella sua +opera scienti௹ca. Nel 1959 egli tentò di concludere la trascrizione sulla base +della vecchia minuta e rimise mano a un’immagine che non aveva completato. +Cominciò inoltre a stendere un epilogo ma, per motivi sconosciuti, sia il testo +calligrafico sia l’epilogo furono interrotti nel mezzo di una frase. +Di fatto Jung, pur avendo preso in considerazione la possibilità di pubblicare il +Libro rosso, non intraprese i passi necessari per la realizzazione del progetto. + Nel 1916 diede alle stampe in forma privata i Septem sermones ad mortuos, un +breve componimento di sapore gnostico scaturito dal suo «confronto con +l’inconscio»; ma il saggio redatto lo stesso anno su La funzione trascendente, +ove viene descritta la tecnica dell’immaginazione attiva, rimase inedito ௹no al +1958. È lo stesso Jung a lasciar trasparire i motivi che lo dissuasero dal +pubblicare +il Libro rosso: in sostanza, si trattava di un’opera rimasta +incompiuta, dalla cui realizzazione era stato «distratto», come spiegò nei +Ricordi, dal suo crescente interesse per l’alchimia.3 A posteriori, egli descrisse il +meticoloso lavoro di con௹gurazione delle proprie fantasie nel Libro rosso come +un tentativo necessario, ma fastidioso, di «elaborazione estetizzante». E ancora +nel 1957 ebbe a de௹nire i Libri neri e il Libro rosso scritture autobiogra௹che +che non dovevano essere incluse nel piano delle sue Opere in quanto di +carattere personale e non scienti௹co. Egli autorizzò nondimeno Aniela Ja௸é a +citarne brani nei Ricordi – una opportunità di cui peraltro la biografa fece un +uso alquanto limitato. +Nel 1961, alla morte di Jung, la proprietà del suo lascito letterario andò alla +Erbengemeinschaft C. G. Jung, una società costituita dagli eredi allo scopo – al +contempo un dovere e una s௹da – di promuovere e realizzare la pubblicazione +dei Gesammelte Werke. Nel testamento redatto nel 1958, Jung aveva espresso +il desiderio – senza aggiungere ulteriori disposizioni – che il Libro rosso e i Libri +neri continuassero a rimanere presso la famiglia. Ora, dal momento che il Libro +rosso non era stato inserito nel piano generale dei Collected Works a suo tempo +approvato da Jung, gli eredi ritennero che questa esclusione corrispondesse +all’ultima volontà di Jung e che pertanto l’opera dovesse essere trattata alla +stregua di un documento di natura squisitamente privata. Negli anni successivi +ci si accontentò quindi di attendere alla conservazione degli inediti di Jung, come +di un tesoro, escludendoli da qualsivoglia nuovo progetto editoriale. Sicché il +Libro rosso rimase per oltre due decenni nello studio di Jung, sotto la tutela di +Franz Jung che nel frattempo era subentrato nella casa paterna. +Nel 1983, nella consapevolezza del valore unico e insostituibile del Libro +rosso, la Erbengemeinschaft C. G. Jung depositò il volume calligra௹co nel +caveau di una banca. L +’anno successivo il nuovo comitato esecutivo ne autorizzò +la riproduzione fotogra௹ca in cinque copie. In tal modo i discendenti di Jung +ebbero, per la prima volta, la possibilità di esaminare l’opera in modo +approfondito. L +’estrema cura con cui il volume fu custodito ebbe i suoi vantaggi. +Il suo buono stato di conservazione è dovuto, tra l’altro, proprio al fatto che esso +è stato oggetto di consultazioni assai rare nel corso di decenni. +Quando, dopo il 1990, i Gesammelte Werke – che come i gemelli Collected +Works costituiscono una raccolta parziale degli scritti di Jung – erano ormai +avviati a conclusione, il comitato esecutivo della Erbengemeinschaft decise di +intraprendere un censimento sistematico di tutto il materiale inedito disponibile, + in vista di eventuali nuove pubblicazioni. Spettò a me assumere questo impegno, +essendo stato incaricato nel 1994 dalla Erbengemeinschaft delle questioni +archivistiche ed editoriali. +Quel che risultò fu l’esistenza di un intero corpus di testi e varianti riferibili al +Libro rosso, tra cui la minuta della parte mancante del volume calligra௹co +nonché un manoscritto intitolato Prove, il cui testo prendeva avvio proprio nel +punto di arresto della minuta del Liber novus e incorporava i Septem sermones +ad mortuos. A questo punto rimaneva aperta la questione se e in che forma +andasse +pubblicato +questo +consistente +materiale, +che +sul +piano +sia +contenutistico sia stilistico sembrava non avere nulla in comune con tutti gli altri +scritti junghiani. Molte cose erano oscure, e alla metà degli anni novanta del +secolo scorso non era più in vita nessuno in grado di fornire indicazioni di prima +mano. +Tuttavia, proprio in virtù di questa distanza temporale rispetto all’epoca di +Jung, era ormai matura, anche in campo psicologico, una nuova prospettiva +storica che poteva schiudere una feconda via di accesso all’opera. Lavorando su +altri progetti, entrai in contatto con Sonu Shamdasani, e insieme, nel corso di un +intenso e prolungato scambio di vedute, valutammo la possibilità di ulteriori +pubblicazioni sia in generale sia in relazione al Libro rosso. Quest’opera era +nata all’interno di un determinato contesto storico che a un lettore d’inizio XXI +secolo non è ormai più familiare. Ma uno storico della psicologia poteva +presentargliela quale documento storico, situandola con l’ausilio delle fonti +primarie disponibili sia entro l’orizzonte culturale e scienti௹co in cui trovò +origine, sia nel quadro della vita e dell’opera di Jung. Nel 1999 Shamdasani +sottopose alla Erbengemeinschaft un progetto di pubblicazione elaborato +secondo questi principi ispiratori. Nella primavera del 2000, sulla base di tale +progetto, il comitato esecutivo decise – non senza discussioni – di autorizzare la +pubblicazione del Libro rosso e di a௻dare a Shamdasani la responsabilità +dell’edizione. +Mi è stato chiesto ripetutamente perché mai, dopo tanti anni, si sia in௹ne +giunti alla pubblicazione del Libro rosso. Nella decisione ha avuto un peso +importante l’accesso a nuove conoscenze in merito, in particolare la scoperta +che Jung stesso non considerava l’opera – come invece era sembrato – alla +stregua di un documento intimo e personale su cui mantenere il segreto: non +solo in diversi punti del testo ricorre l’espressione «Cari amici», che lascia +chiaramente intendere come egli si rivolgesse a una cerchia di lettori, ma egli +stesso non aveva esitato a mettere a disposizione di persone ௹date copie della +trascrizione e a discutere con loro dell’opera. +Jung di fatto non escluse la possibilità di una pubblicazione, ma semplicemente +lasciò aperta la questione. Va inoltre detto che attraverso il suo «confronto con +l’inconscio» egli attinse, secondo le sue stesse parole, la materia prima da cui + scaturì tutta l’opera successiva. Quale testimonianza di tale confronto il Libro +rosso assume quindi, oltre l’ambito privato, un ruolo centrale nella produzione +scienti௹ca di Jung. Tali acquisizioni hanno permesso alla generazione dei nipoti +di Jung di considerare la situazione sotto una nuova luce. C’è voluto del tempo +prima di giungere alla risoluzione ௹nale. Saggi di lettura, discussioni di +carattere teorico, accesso a nuove e più ampie informazioni, tutto ciò consentì di +assumere un atteggiamento più razionale nei riguardi di una questione gravata +da forti cariche emotive. Alla ௹ne, la Erbengemeinschaft C. G. Jung acconsentì +democraticamente alla pubblicazione del Libro rosso. +Il tragitto che da quella risoluzione ha portato alla presente edizione è stato +lungo, ma il risultato è meritevole d’attenzione. L +’iniziativa non sarebbe stata +possibile senza il concorso di diverse persone che hanno posto le loro +competenze ed energie al servizio di un obiettivo comune. A tutti, in nome dei +discendenti di Carl Gustav Jung, desidero esprimere la mia sincera gratitudine. +Aprile 2009 +ULRICH HOERNI +Stiftung der Werke von C. G. Jung + Ringraziamenti + + + + +Data l’esistenza di varie copie inedite in circolazione, era probabilmente +inevitabile che il Libro rosso diventasse prima o poi, in qualche forma, di +pubblico dominio. Desidero qui ringraziare tutti coloro – e sono molti – che, +dando ciascuno il proprio contributo a௻nché il progetto si realizzasse, hanno +reso possibile alla presente edizione storico-critica di venire alla luce. +Nella primavera del 2000, in seguito ad approfondite discussioni, la +Erbengemeinschaft C. G. Jung (scioltasi nel 2008) ha concesso l’autorizzazione +alla pubblicazione dell’opera. Ulrich Hoerni, in veste di amministratore e +presidente della società, quindi di presidente della subentrante Stiftung der +Werke von C. G. Jung, ha piani௹cato e reso operativo il progetto dell’edizione in +accordo con il comitato esecutivo. Nell’autunno del 2000 Wolfgang Baumann, +presidente dal 2000 al 2004, ha siglato l’accordo che ha consentito di dare il via +all’iniziativa, accordo in base al quale la Erbengemeinschaft si impegnava ad +accollarsi la maggior parte delle spese. La Stiftung der Werke von C. G. Jung +esprime la propria riconoscenza a: l’editore zurighese Heinrich Zweifel per i +suggerimenti tecnici o௸erti durante la fase di piani௹cazione; il Donald-Cooper- +Fonds della Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo per la sua +cospicua elargizione; Rolf Auf der Maur per l’assistenza legale nella stesura dei +contratti; Leo La Rosa e Peter Fritz per la conduzione delle trattative +contrattuali. +In un momento critico sopraggiunto nel 2003, l’attività editoriale è stata +sostenuta dalla Bogette Foundation e da una donazione anonima. Nel 2004, a +farsi carico della prosecuzione dei lavori è subentrata la Philemon Foundation, +un’organizzazione costituitasi allo scopo precipuo di raccogliere fondi ௹nalizzati +al +recupero +e +alla +pubblicazione +delle +opere +inedite +di +Jung +(www.philemonfoundation.org). A tale proposito desidero esprimere la mia +gratitudine a Stephen Martin, già presidente della Philemon Foundation. Quali +che siano le possibili manchevolezze di questa edizione, il suo allestimento +complessivo e la realizzazione dell’apparato di commento non avrebbero potuto +raggiungere l’attuale livello senza l’appoggio dei membri del comitato direttivo +della fondazione: Tom Charlesworth, Gilda Frantz, Judith Harris, James Hollis, +Stephen Martin e Eugene Taylor. Da parte sua la Philemon Foundation desidera +ringraziare i donatori che con la loro generosità hanno concorso al successo +dell’iniziativa, in particolare Carolyn Grant Fay +, Judith Harris, Tony Woolfson, +Nancy Furlotti e Laurence de Rosen. +Nel corso dell’impresa si sono presentate numerose complicazioni e di௻coltà, + che non sarebbe stato possibile superare senza il sostegno di Maggie Baron e +Ximena Roelli de Angulo. Il mio lavoro ha avuto inizio con una ricerca storica +sulla genesi dell’opera junghiana ௹nanziata dal Wellcome Trust tra il 1993 e il +1998, dall’Institut für Grenzgebiete der Psychologie nel 1999 e dalla Solon +Foundation tra il 1998 e il 2001. Per tutta la durata del progetto il Wellcome +Trust Centre for the History of Medicine dello University College di Londra (già +Wellcome Institute for the History of Medicine) ha costituito l’ambiente ideale +per la mia indagine. L +’impegno alla riservatezza da me assunto con gli eredi +Jung mi ha obbligato a mantenere il riserbo sul mio lavoro, del quale pertanto +non ho potuto discutere con amici e colleghi. A loro va la mia gratitudine per +l’indulgenza dimostratami nel corso degli ultimi tredici anni. +Tra la ௹ne del 2000 e l’inizio del 2003 la Erbengemeinschaft C. G. Jung si è +fatta carico dell’attività editoriale che è alla base del progetto. Ulrich Hoerni, +oltre a contribuire a diversi aspetti della ricerca, ha approntato una trascrizione +corretta del volume calligra௹co. I Libri neri sono stati trascritti da Susanne +Hoerni. I risultati del lavoro sono stati quindi presentati ai membri della famiglia +Jung nel 1999, nel 2001 e nel 2003 in occasione di riunioni organizzate da +Helene Hoerni Jung (1999, 2001) e da Andreas e Vreni Jung (2003). Peter Jung +ha dispensato utili consigli durante le valutazioni inerenti la pubblicazione e +nelle fasi iniziali dell’attività editoriale. Andreas e Vreni Jung si sono prodigati +nell’o௸rire +assistenza +durante +le +innumerevoli +visite +௹nalizzate +alla +consultazione di libri e manoscritti presenti nella biblioteca di Jung, e Andreas +Jung ha fornito preziose informazioni tratte dalle carte conservate negli archivi +di famiglia. +La realizzazione della presente edizione è stata resa possibile da Nancy +Furlotti e Larry e Sandra Vigon, che mi hanno messo in contatto con Jim Mairs +delle edizioni Norton, già curatore del facsimile di quel corrispettivo +contemporaneo del Liber novus che è Dream. A Journal di Larry Vigon. In Mairs +l’opera ha trovato il suo editor ideale. L +’impostazione e l’esecuzione del +progetto gra௹co hanno costituito altrettante s௹de che Eric Backer, Larry Vigon +e Amy Wu hanno superato con eleganza. All’editing del testo ha provveduto +Carol Rose con cura vigile e infaticabile. Parimenti assidua è stata l’assistenza +di Austin O’Driscoll. Il volume calligra௹co è stato scansionato da Hugh Milstein +e John Supra della Digital Fusion. La meticolosa accuratezza della loro +prestazione professionale (ottimizzata per mezzo di un sonar) ha rivaleggiato +con la maestria calligra௹ca di Jung in una straordinaria fusione tra passato e +presente. Dennis Savini ha messo a disposizione il suo studio fotogra௹co per la +scansione. Presso le o௻cine gra௹che Mondadori di Verona Nancy Freeman, +Sergio Brunelli e i loro collaboratori hanno operato con grande dedizione +a௻nché la stampa del volume fosse realizzata secondo i più elevati standard +tecnici. + Dal 2006 Mark Kyburz e John Peck mi hanno a௻ancato nell’opera di +traduzione. Grazie a questa collaborazione ho avuto il privilegio di apprendere +l’arte del tradurre. Durante le nostre periodiche audioconferenze abbiamo +avuto la gradita possibilità di sviscerare il testo ௹n nei minimi particolari, in un +clima disteso e talvolta non privo di humour, salutare contrappeso alla nostra +continua immersione nello «spirito del profondo». L +’apporto di Kyburz e Peck +nelle fasi ௹nali del lavoro è stato semplicemente inestimabile. Peck ha inoltre +chiarito una serie di importanti allusioni che andavano al di là delle mie +conoscenze. +Ximena Roelli de Angulo, Helene Hoerni Jung, Pierre Keller e il compianto +Leonhard Schlegel hanno offerto preziose testimonianze sull’atmosfera che negli +anni venti regnava nella cerchia di Jung e sulle persone che ne facevano parte. +Schlegel ha inoltre fornito informazioni cruciali sul movimento dada e sulle +relazioni che in quel periodo intercorrevano tra arte e psicologia. +Erik Hornung è stato d’aiuto per la comprensione dei riferimenti egittologici. +Grazie a un ingrandimento digitale dell’immagine 155 e௸ettuato da Felix +Walter, Ulrich Hoerni ha potuto decifrarne le minuscole iscrizioni, mentre Guy +Attewell ne ha decrittato i caratteri arabi. Hoerni ha altresì identi௹cato una +citazione tratta dalla cosiddetta Liturgia mitraica (p. 447, nota 1). David +Oswald ha individuato un possibile rimando al Mutus liber (nota 313). Thomas +Feitknecht ha richiamato la mia attenzione sull’archivio privato di Josef Bernard +Lang e mi ha assistito nella consultazione delle carte in esso conservate. A +Stephen Martin va il merito di aver scoperto le lettere di Jung a J.B. Lang. Paul +Bishop, Wendy Doniger, Rachel McDermott hanno risposto con grande +disponibilità a tutte le mie domande. +Desidero ringraziare Ernst Falzeder per l’individuazione di un riferimento al +Faust goethiano (nota 145), per la trascrizione delle lettere di Wolfgang +Stockmayer a Jung e per il massiccio lavoro di editing da lui svolto sulla +traduzione dell’introduzione e dell’apparato di note dell’edizione tedesca. +La mia riconoscenza va poi a Christiane Neuen e a Ulrich Hoerni che hanno +anch’essi contribuito al miglioramento dell’edizione tedesca, la prima con una +nutrita serie di correzioni e di utili indicazioni editoriali, il secondo con una +scrupolosa revisione ed emendamento della traduzione delle note. +Mi è d’obbligo infine ringraziare la Stiftung der Werke von C. G. Jung e la Paul +and Peter Fritz Literary Agency per l’autorizzazione a citare dai manoscritti e +dagli epistolari inediti di Jung, come pure Ximena Roelli de Angulo per il +permesso di citare dalla corrispondenza e dai diari di Cary Baynes. +Mia è la responsabilità della costituzione del testo, dell’introduzione e del +commento. Come l’asino menzionato nel prologo del Liber primus (nota 30), +sono contento, infine, di poter deporre questo carico. +SONU SHAMDASANI + Avvertenze, sigle e abbreviazioni bibliografiche + + + + +La presente edizione studio del Libro rosso ripropone in forma integrale il +testo dell’opera e gli apparati che lo corredano nell’edizione rilegata (ed. ril.) +apparsa nel 2010 presso Bollati Boringhieri. Non è invece riprodotto il facsimile +del volume calligra௹co scritto e miniato da Jung. Tuttavia, per fornire al lettore +interessato una sorta di tavola di concordanza che gli permetta di e௸ettuare +riscontri sull’originale, si sono mantenuti i riferimenti alla paginazione e alle +illustrazioni (ill.) del volume calligrafico. +Tali indicazioni (tra parentesi quadre quando ricorrono nel corpo del testo) +sono in cifre romane se rimandano alla numerazione per fogli del Liber primus, +in cifre arabe se il riferimento è alla paginazione per facciate del Liber +secundus. Le lettere r e v, che nei rinvii al Liber primus seguono il numero +d’ordine dei fogli, si riferiscono alla parte anteriore (recto) o posteriore (verso) +del foglio indicato. Le interruzioni di foglio o pagina del volume calligra௹co sono +segnalate con una barra diagonale rossa /; i relativi numeri di foglio o pagina, +separati anch’essi da una barra diagonale rossa (IIv/IIIr, 3/4), sono riportati sul +margine della pagina. +Nei rimandi a immagini, iniziali ௹gurate e altri motivi decorativi, i numeri posti +dopo la corrispondente abbreviazione rinviano al foglio o alla pagina del volume +calligrafico in cui tali elementi compaiono. +Nelle citazioni dalla minuta corretta, le parole cancellate da Jung sono +riportate in carattere barrato, quelle aggiunte tra parentesi quadre. +[2] = «Secondo strato» testuale del Liber novus: sezioni di commento alle +fantasie +registrate +nei Libri neri, aggiunte da Jung nella minuta. Dove +opportuno, il ritorno alla sequenza dei Libri neri viene segnalato con +l’indicazione [1]. +{00} = Sottounità testuale individuabile all’interno di sezioni di particolare +lunghezza del Liber secundus e delle Prove. +AFJ = Archivio famiglia Jung. +AJ = Archivio Jung, Wissenschaftshistorische Sammlungen, ETH, Zurigo. +BD = Bordo decorativo presente nel volume calligrafico. + CCB = Carte Cary Baynes, Contemporary Medical Archives, Wellcome Library +, +Londra. +CD = Cornice decorativa presente nel volume calligrafico. +CJR = Trascrizione delle conversazioni avute da Aniela Ja௸é con Jung in vista +della redazione dei Ricordi, Library of Congress, Washington, DC (originale in +tedesco). +ETH = Eidgenössische Technische Hochschule, Zurigo. +FD = Fascia decorativa presente nel volume calligrafico. +IC = Iniziale colorata: lettera iniziale di un brano di testo, ingrandita ed +evidenziata nel volume calligrafico mediante colorazione. +IF = Iniziale ௹gurata: lettera iniziale di un brano di testo, ingrandita ed +evidenziata nel volume calligra௹co mediante rappresentazione di singole ௹gure +e motivi decorativi o di scene narrative più complesse a illustrazione del testo. +LN 5 Libri neri, AFJ. +M = Liber novus, minuta, SWJ. +MAPAZ = Minute dell’Associazione di psicologia analitica di Zurigo, Club +psicologico, Zurigo (originali in tedesco). +MC = Liber novus, minuta corretta, SWJ. +MD = Liber novus, minuta dattiloscritta, SWJ. +MM = Liber novus, minuta manoscritta, SWJ. +MSPZ = Minute della Società psicoanalitica di Zurigo, Club psicologico, Zurigo +(originali in tedesco). +SWJ = Stiftung der Werke von C. G. Jung, Zurigo. +VC = Liber novus, volume calligrafico, SWJ. +Lettere = C. G. Jung, Lettere, a cura di Aniela Ja௸é in collaborazione con +Gerhard Adler, 3 voll., Magi, Roma 2006 (ed. or.: Briefe, a cura di Aniela Ja௸é +in collaborazione con Gerhard Adler, 3 voll., Walter, Olten 1972-73). +Libido = C. G. Jung, La libido: simboli e trasformazioni. Contributi alla storia + dell’evoluzione del pensiero (1912), introduzione di Ignazio Majore, Newton +Compton, Roma 1975 (ed. or.: Wandlungen und Symbole der Libido. Beiträge +zur Entwicklungsgeschichte des Denkens, Deuticke, Leipzig-Wien 1912; nuova +ed. a cura di Lutz Niehus, Deutscher Taschenbuch Verlag, München 1991). +Modern Psychology = C. G. Jung, Modern Psychology, voll. 1-2, Notes on +Lectures..., Eidgenössiche Technische Hochschule, Zurigo, 20 ottobre 1933 - 12 +luglio 1935, a cura di Barbara Hannah, ed. a stampa fuori commercio, Zürich +19592. +OJ = Opere di C. G. Jung, ed. diretta da Luigi Aurigemma, 24 voll., Bollati +Boringhieri, Torino 1965-2007 (ed. or.: Gesammelte Werke, ed. diretta da +Marianne Niehus-Jung, Lena Hurwitz-Eisner, Franz Riklin e altri, 20 voll., +Rascher, Zürich 1958-70, quindi Walter, Olten 1971-97). Nei riferimenti a +scritti sottoposti da Jung a successiva rielaborazione, la doppia data separata da +una barra indica gli anni della prima e dell’ultima redazione. +Psicologia analitica = C. G. Jung, Psicologia analitica. Appunti del seminario +tenuto nel 1925, a cura e con introduzione di William McGuire, Magi, Roma +2003 (ed. or.: Analytical Psychology +. Notes of the Seminar Given in 1925 by C. +G. Jung, a cura e con introduzione di William McGuire, Princeton University +Press, Princeton (NJ) / Routledge, London 1989). +Ricordi = Ricordi, sogni, ri௭essioni di C. G. Jung, raccolti ed editi da Aniela +Jaffé, Rizzoli, Milano 1978 (ed. or.: Erinnerungen, Träume, Gedanken von C. G. +Jung, a cura di Aniela Jaffé, Rascher, Zürich 1962). +Träume = Quaderno di sogni di C. G. Jung 1917-25, AFJ. + +Liber novus +Il «Libro rosso» +di C. G. Jung1 +SONU SHAMDASANI + + + +Jung è ormai universalmente riconosciuto come uno dei protagonisti del +pensiero occidentale moderno e la sua opera non cessa di suscitare +controversie. Il suo contributo è stato cruciale per la formazione della +psicologia, della psicoterapia e della psichiatria moderne, e ampio è oggi, in +tutto il mondo, il novero degli analisti che nella propria pratica si richiamano ai +principi junghiani. Ancora maggiore è il rilievo che la sua opera ha assunto al di +fuori degli ambienti professionali: Jung e Freud sono i nomi che per primi +vengono in mente quando si pensa alla psicologia in genere, e le loro idee hanno +trovato fertile terreno nelle arti, nelle scienze umane, nella cinematogra௹a e +nella cultura popolare. Nel caso di Jung, poi, è opinione di௸usa che il suo +pensiero abbia concorso alla nascita dei movimenti New Age. +Eppure, lo si constata con sorpresa, soltanto oggi viene pubblicato il testo che +è stato al centro della sua ricerca e al quale egli ha lavorato per più di sedici +anni: quel Das rote Buch (Libro rosso), o meglio Liber novus, che ha avuto nella +storia sociale e intellettuale del Novecento un’in௺uenza quale, probabilmente, +solo pochi altri inediti hanno esercitato. Sebbene lo stesso Jung vi vedesse +racchiuso il nucleo delle sue opere successive, e malgrado gli sia stato da tempo +riconosciuto un ruolo chiave per la comprensione della loro genesi, esso è +rimasto sinora inaccessibile agli studiosi, oggetto tutt’al più di qualche sguardo +tanto ammaliato quanto fugace. +Il momento culturale +I primissimi decenni del XX secolo hanno visto un’intensa ௹oritura di +sperimentazioni nel campo della letteratura, della psicologia e delle arti visive. +Gli scrittori hanno cercato di superare i limiti delle convenzioni espressive per +esplorare e rappresentare ogni sfaccettatura dell’esperienza interiore – sogni, +visioni, fantasie. Hanno tentato nuove forme e si sono serviti di quelle vecchie in + modo innovativo. La scrittura automatica dei surrealisti o le fantasie gotiche di +Gustav +Meyrink +testimoniano +di +come +essi +accostassero +e +persino +intersecassero gli ambiti di indagine coltivati da psicologi impegnati in ricerche +a௻ni. Artisti e scrittori collaboravano nel dar vita a nuovi tipi di illustrazione e +tipogra௹a, a interazioni inedite fra testo e immagine. Gli psicologi cercavano di +travalicare i con௹ni della psicologia ௹loso௹ca, e cominciavano a perlustrare gli +stessi territori dell’arte e della letteratura. Tra letteratura, arte e psicologia +ancora non esistevano nette demarcazioni; scrittori e artisti si rifacevano al +lavoro degli psicologi e viceversa. Eminenti psicologi, come Alfred Binet e +Charles Richet, scrissero, spesso sotto pseudonimo, opere teatrali e di narrativa +che rispecchiavano i temi delle loro indagini scienti௹che.2 Gustav Fechner, uno +dei fondatori della psico௹sica e della psicologia sperimentale, descrisse l’anima +delle piante e della terra come un angelo azzurro.3 Da parte loro scrittori come +André Breton e Philippe Soupault leggevano assiduamente e utilizzavano testi di +parapsicologi e psicopatologi quali Frederic Myers, Théodore Flournoy e Pierre +Janet. In A Vision William Butler Yeats compose una sorta di psicocosmologia +poetica servendosi della scrittura automatica utilizzata dagli spiritisti.4 Su tutti i +fronti, per un bruciante bisogno di rinnovamento spirituale e culturale, era in +atto una febbrile ricerca di nuove forme con cui esprimere la vera natura +dell’esperienza interiore. A Berlino, Hugo Ball annotava: +Il mondo e la società nel 1913 apparivano così: la vita è completamente segregata e incatenata. +Prevale una sorta di fatalismo economico; a ciascuno, che vi si opponga o meno, è assegnato un +ruolo preciso e, insieme, un carattere e interessi a esso conformi. La Chiesa viene considerata una +«fabbrica di redenzione» di scarsa importanza, la letteratura una valvola di sfogo. (…) Giorno e +notte, la questione più scottante è: esiste da qualche parte una forza capace di porre ௹ne a questo +stato di cose? E, in alternativa, come sottrarvisi?5 +Nel contesto di una tale crisi culturale, Jung si apprestò a immergersi in un +lungo processo di autosperimentazione, che ebbe come esito il Liber novus, un +saggio di esplorazione psicologica in forma letteraria. Ai nostri giorni la +separazione tra psicologia e letteratura può dirsi de௹nitivamente compiuta. +Considerare dunque il Liber novus oggi signi௹ca riprendere in mano un’opera +che non poteva essere concepita e realizzata se non prima della creazione di tali +distinzioni di campo. Il suo studio ci aiuterà a capire come si sia giunti alla +separazione. Ma per prima cosa dobbiamo porci un’altra domanda. +Chi era Jung? +Carl Gustav Jung nacque nel 1875 a Kesswil, sulle rive del lago di Costanza. +Sei mesi più tardi, la famiglia si trasferì a Laufen, presso le cascate del Reno. + Nove anni dopo, sarebbe nata una sorella. Suo padre era un pastore della +Chiesa riformata svizzera. Già in tarda età, in uno scritto autobiogra௹co +dedicato alle «prime esperienze della mia vita», poi inserito in forma +sensibilmente rimaneggiata in Ricordi, sogni, ri௭essioni,6 Jung rievocò gli eventi +signi௹cativi che avevano favorito la sua vocazione psicologica. Data la +particolare attenzione riservata in esso ai sogni, alle visioni e alle fantasie che +avevano segnato l’infanzia di Jung, questo testo può essere considerato una +introduzione al Liber novus. +Nel primo dei sogni riportati, Jung si trovava in un prato vicino a una fossa +orlata di pietra. All’interno di questa fossa scorgeva una scala, la discendeva e +in௹ne giungeva in una stanza. Qui, su un trono dorato, s’ergeva una specie di +tronco d’albero, fatto però di carne e di pelle, sulla cui cima spiccava un unico +occhio. A questo punto Jung sentiva la voce di sua madre esclamare che quello +era «il divoratore di uomini». Non era certo se ella intendesse riferirsi a un +mangia-bambini o a Cristo; in ogni caso la sua immagine di Gesù ne fu sconvolta. +Solo diversi anni più tardi comprese che la ௹gura vista in sogno era un pene, +identi௹cato in Ricordi, sogni, ri௭essioni con un fallo rituale situato in un tempio +sotterraneo. In tal modo Jung giunse a considerare questo sogno come una +«iniziazione ai segreti della terra».7 +Durante l’infanzia Jung non solo ebbe parecchie allucinazioni visive, ma +sembrò anche possedere la capacità di evocare tali immagini a piacimento. In un +seminario del 1935 ricordò che da bambino era solito ௹ssare un ritratto di suo +nonno materno, fin quando lo «vedeva» scendere in persona le scale.8 +All’età di dodici anni, attraversando la piazza del duomo di Basilea in un giorno +di sole, Jung si fermò ad ammirare il tetto della cattedrale, da poco restaurato, +con le sue tegole rilucenti. A un tratto sentì irrompere dentro di sé un pensiero +terribile e peccaminoso, che riuscì però a respingere. Dopo essere rimasto +diversi giorni in preda all’angoscia, ௹nalmente si convinse che era Dio stesso a +volere che formulasse quel pensiero, così come era stato per un disegno divino +se Adamo ed Eva avevano peccato. Permise dunque al suo pensiero di farsi +strada in lui, e vide allora Dio, assiso sul suo trono, lasciar cadere sulla +cattedrale una gigantesca massa di sterco, che ne sfondava il tetto +distruggendola. Dopo aver avuto questa visione, Jung provò un senso di gioia e di +sollievo mai sperimentato prima. Sentì di aver avuto un’esperienza del «Dio +vivente che sta – libero e onnipotente – al di sopra della sua Bibbia e della sua +stessa Chiesa»,9 e di aver scoperto la sua vera responsabilità nel momento +stesso in cui si era trovato solo dinnanzi a Dio. Si rese conto d’aver vissuto +proprio quell’esperienza diretta e immediata di Dio che a suo padre era +mancata. +Fu proprio questo senso di elezione che condusse Jung a un de௹nitivo +disincanto nei confronti della Chiesa, culminato in occasione della prima + comunione. Era stato indotto a credere che avrebbe vissuto un’esperienza +straordinaria: invece, niente. «Per me – concluse – [quella cerimonia] non aveva +nulla a che fare con la religione e Dio ne era assente. La chiesa era un luogo in +cui non dovevo più andare. Lì per me non c’era vita, ma morte».10 +Ebbe inizio così un periodo di voraci letture, tra le quali ebbero in lui una +particolare risonanza il Faust di Goethe e, in ambito ௹loso௹co, Schopenhauer: il +primo perché aveva preso sul serio, in Me௹stofele, la ௹gura del Diavolo, il +secondo perché aveva saputo riconoscere l’esistenza del male ed esprimere il +dolore e la miseria del mondo. +Jung, mosso da un forte senso di appartenenza e quasi di nostalgia per il +Settecento, aveva l’impressione di vivere in due diversi secoli e di avere due +personalità alternanti, alle quali diede il nome di personalità numero 1 e numero +2. La prima corrispondeva allo studente di Basilea, lettore di romanzi, mentre la +seconda, cui egli attribuiva un più alto grado di «realtà», era dedita a ri௺essioni +solitarie di carattere religioso, in uno stato di comunione con la natura e con il +cosmo: abitava il «mondo di Dio». La numero 1 voleva a௸rancarsi dalla +malinconia e dall’isolamento della numero 2, al cui sopraggiungere era come se +entrasse in azione un antico spirito scomparso da tempo, ma ancora presente. +La numero 2, dotata di un carattere inde௹nibile e associata alla storia, in +particolare alla storia medievale, considerava la numero 1, con le sue debolezze +e inettitudini, come un fardello da sopportare. Questa complessa interazione tra +personalità distinte accompagnò Jung lungo l’intero arco della sua vita. A suo +parere, anzi, tutti noi facciamo un’analoga esperienza, in quanto una parte di noi +vive nel presente, mentre un’altra parte è associata al ௺usso secolare della +storia. +Il con௺itto tra le due personalità si intensi௹cò con l’approssimarsi della scelta +relativa alla carriera professionale da intraprendere: la personalità numero 1 +voleva imboccare la via della scienza, la numero 2 quella degli studi umanistici. +Due sogni orientarono la decisione di Jung, ra௸orzando il suo desiderio di +dedicarsi alle scienze della natura. Nel primo sogno, mentre passeggiava in un +bosco oscuro lungo il Reno, si imbatteva in un tumulo funebre; iniziava quindi a +scavare ௹no a scoprire resti di alcuni animali preistorici. Nel secondo sogno si +trovava di nuovo in un bosco attraversato da corsi d’acqua, quando +all’improvviso da uno stagno circolare, attorno al quale era cresciuta una ௹tta +vegetazione, gli si presentava una creatura meravigliosa, un gigantesco +radiolario. Scelta in questo modo la strada, restava il problema del +mantenimento, che Jung risolse optando per gli studi di medicina. Di lì a poco +ebbe un terzo sogno, in cui si trovava in un luogo sconosciuto e avvolto dalla +nebbia, e procedeva a fatica a causa del vento contrario. Con le mani faceva +schermo a un piccolo lume per evitare che si spegnesse. Scorgeva in௹ne una +grande ௹gura nera che gli si avvicinava minacciosa. Si svegliò e comprese che + quella ௹gura non era altro che l’ombra creata dalla luce. Realizzò inoltre che, +nel sogno, era la personalità numero 1 a portare la luce, mentre la numero 2 la +seguiva come un’ombra. Jung vi riconobbe un messaggio, un invito a procedere +con la personalità numero 1 senza volgere lo sguardo indietro al mondo della +personalità numero 2. +Durante gli anni universitari a Basilea questo scambio interiore fra le sue due +personalità continuò a essere operante. Oltre agli studi di medicina, Jung si +dedicò a un intenso programma di letture extrascolastiche, immergendosi in +particolare nelle opere di Nietzsche, Schopenhauer, Swedenborg11 e nella +letteratura spiritistica. Fu colpito soprattutto dal Così parlò Zarathustra di +Nietzsche ed ebbe persino la sensazione che la sua personalità numero 2 +corrispondesse a Zarathustra e come questo fosse malata.12 In questo periodo +Jung era membro di un’associazione studentesca chiamata Zoo௹ngia, presso la +quale tenne una serie di conferenze su questi temi. In particolare egli era +interessato allo spiritismo in quanto tentativo di impiegare strumenti scienti௹ci +al fine di esplorare il soprannaturale e provare l’immortalità dell’anima. +Nella seconda metà del XIX secolo, con la comparsa dello spiritismo moderno e +poi con la sua rapida di௸usione in Europa e in America, acquistarono rilievo +nuovi ambiti di investigazione: svariati tipi di trance e un complesso di fenomeni +concomitanti quali le comunicazioni medianiche, la glossolalia, la scrittura +automatica e la visione mediante la sfera di cristallo (cristalloscopia). I fenomeni +spiritistici destarono l’interesse di scienziati del calibro di Crookes, Zollner e +Wallace, ma ne furono del pari attratti psicologi quali Freud, Ferenczi, Bleuler, +James, Myers, Janet, Bergson, Stanley Hall, Schrenck-Notzing, Moll, Dessoir, +Richet e Flournoy. +Durante gli anni universitari Jung prese parte, come altri suoi compagni di +studi, a delle sedute spiritiche. In particolare nel 1896 si unì a un gruppo che +compiva esperimenti con una sua cugina, Hélène Preiswerk, la quale sembrava +possedere facoltà medianiche. Jung notò che durante la trance la ragazza +riusciva ad assumere personalità diverse; si accorse inoltre di poter evocare in +lei queste personalità grazie alla suggestione. Hélène si tras௹gurava nei vari +familiari defunti che di volta in volta si manifestavano; raccontò vicende che +risalivano a sue precedenti incarnazioni e delineò lo schema di una cosmologia +mistica in forma di mandala.13Tali rivelazioni spiritistiche continuarono ௹nché +venne sorpresa mentre cercava di simulare delle materializzazioni, e questo +segnò la fine della sua carriera di medium. +Nel 1899, in seguito alla lettura del manuale di psichiatria di Richard von +Kra௸t-Ebing, Jung si convinse che la sua vocazione fosse la psichiatria in quanto +sintesi degli interessi delle sue due personalità. In un certo senso egli +sperimentò una sorta di conversione a una prospettiva scienti௹co-naturale. Alla +௹ne dell’anno 1900, dunque, conclusi gli studi di medicina, entrò in qualità di + assistente +nell’ospedale +psichiatrico +Burghölzli +di +Zurigo, +una +clinica +universitaria all’avanguardia diretta di Eugen Bleuler. Sul ௹nire del XIX secolo, +molti avevano tentato di fondare una nuova psicologia scienti௹ca, nella +convinzione che l’introduzione di metodologie sperimentali avrebbe assicurato +alla disciplina uno statuto scienti௹co e con esso un rinnovamento radicale di ogni +forma di comprensione della natura umana. La nuova psicologia si annunciava +addirittura come una sorta di compimento della rivoluzione scienti௹ca. Grazie a +Bleuler e al suo predecessore Auguste Forel, l’investigazione sperimentale +basata sulla ricerca psicologica e sull’ipnosi aveva al Burghölzli un ruolo di +primo piano. +Jung si addottorò in medicina con una dissertazione sulla psicogenesi dei +fenomeni spiritistici, incentrata sull’analisi delle sedute condotte con sua cugina +Hélène Preiswerk.14 In un primo tempo il suo interesse per questo caso era +stato mosso dal proposito di veri௹care l’attendibilità delle manifestazioni +spiritistiche, ma poi la lettura delle opere di Frederic Myers, William James e, +soprattutto, di Théodore Flournoy aveva orientato la sua ricerca in una nuova +direzione. Alla ௹ne del 1899 Flournoy aveva pubblicato uno studio su una +medium, da lui chiamata Hélène Smith, che era in breve diventato un +bestseller.15 L +’originalità di tale studio, intitolato Des Indes à la planète Mars, +consisteva nell’adozione di un approccio esclusivamente psicologico quale +strumento atto a chiarire le manifestazioni della coscienza subliminale. In +e௸etti, le indagini di Flournoy +, Myers e James comportarono una vera e propria +rivoluzione in campo parapsicologico, dimostrando che le cosiddette esperienze +spiritistiche, a prescindere dalla loro oggettività, consentivano di comprendere +in profondità la natura del subliminale e dunque della mente umana in generale. +La nuova psicologia riconobbe perciò l’importanza dei medium per lo studio e +l’investigazione di tali fenomeni e non esitò a utilizzare i loro metodi – scrittura +automatica, comunicazione in stato di trance, cristalloscopia – quali validi +strumenti di ricerca sperimentale. In ambito psicoterapeutico, Pierre Janet e +Morton Prince si avvalsero della scrittura automatica e della cristalloscopia per +portare alla luce ricordi nascosti e idee ௹sse subconsce e per dialogare con +personalità secondarie in vista di una loro reintegrazione16 +Jung fu a tal punto impressionato dal libro di Flournoy che si o௸rì di tradurlo in +tedesco, ma la proposta non ebbe seguito: Flournoy aveva già un traduttore. In +ogni caso, l’in௺uenza di questi studi su Jung si coglie con tutta chiarezza nella +sua dissertazione, sia per l’adozione di un’ottica esclusivamente psicologica per +l’esame del caso, sia per l’impiego della scrittura automatica quale metodo +d’investigazione. Più in generale, il libro di Flournoy costituì per Jung un modello +tanto per la scelta della tematica quanto per l’interpretazione della psicogenesi +delle rivelazioni spiritistiche di Hélène. +Nel 1902 Jung si ௹danzò con Emma Rauschenbach, colei che sarebbe + diventata sua moglie e gli avrebbe dato cinque ௹gli. Leggiamo in un’annotazione +di diario, datata maggio 1902: «Ora non sono più solo con me stesso, e non +posso più rievocare, se non in modo arti௹cioso, il tremendo e meraviglioso +sentimento della solitudine. È il lato d’ombra della fortuna dell’amore».17 Il +matrimonio segnò dunque per Jung un distacco dalla condizione di solitudine cui +si era abituato. +In gioventù Jung aveva visitato ripetutamente il museo d’arte di Basilea, +attirato in particolare dalle opere di Holbein, di Böcklin e dei pittori olandesi.18 +Verso la ௹ne degli studi, per circa un anno si dedicò intensamente alla pittura, +dipingendo in stile ௹gurativo paesaggi che testimoniano una perizia notevole e +una padronanza tecnica estremamente ra௻nata.19 Nel 1902-03, durante un +soggiorno a Parigi, ove si era recato per seguire le lezioni dell’illustre psicologo +francese Pierre Janet, all’epoca docente al Collège de France, continuò i propri +esperimenti pittorici e visitò diversi musei, fra i quali il Louvre, dove si recò a +più riprese. A destare il suo interesse furono soprattutto le antichità egizie, +l’arte antica e rinascimentale, e le opere di Fra’ Angelico, Leonardo da Vinci, +Rubens e Frans Hals. Acquistò quadri, incisioni e riproduzioni pittoriche con cui +avrebbe decorato la sua nuova casa. Realizzò dipinti a olio e acquarelli. Nel +gennaio 1903, in occasione di un viaggio a Londra, visitò i musei della città, +rimanendo a௸ascinato in particolare dalle collezioni d’arte egizia, azteca e inca +del British Museum.20 +Rientrato a Zurigo, Jung riprese l’attività al Burghölzli e, in collaborazione con +Franz Riklin, cominciò a occuparsi dell’analisi delle associazioni verbali di +individui normali e patologici. Assieme ad altri colleghi, i due medici condussero +una serie di esperimenti su vasta scala, che sottoposero a veri௹ca statistica. Nei +suoi primi lavori Jung aveva basato le sue premesse teoriche sugli studi di +Flournoy e Janet, ora egli si sforzò di coniugare quei principi con la metodologia +di ricerca usata da Wilhelm Wundt ed Emil Kraepelin, utilizzando il test di +associazione verbale ideato da Francis Galton e sviluppato in psicologia e +psichiatria, oltre che dagli stessi Wundt e Kraepelin, da Gustav Ascha௸enburg. +Questo progetto sperimentale, promosso da Bleuler, aveva come obiettivo la +messa a punto di un sistema rapido e a௻dabile di diagnosi di௸erenziale. Pur non +conseguendo l’obiettivo auspicato, Jung e Riklin poterono però accertare un +fatto signi௹cativo: i tempi prolungati di reazione agli stimoli verbali +somministrati dallo sperimentatore e i disturbi riscontrati durante lo +svolgimento dell’esperimento erano dovuti alla presenza di complessi a forte +tonalità a௸ettiva, una scoperta che permise ai due ricercatori di sviluppare una +teoria psicologica generale dei complessi.21 +Questo lavoro consolidò la reputazione di Jung come astro nascente della +psichiatria. Nel 1906 egli applicò la sua nuova teoria dei complessi allo studio +della psicogenesi della dementia praecox (quella che più tardi sarà chiamata + schizofrenia) e all’interpretazione delle formazioni deliranti.22 Al pari di molti +altri psichiatri e psicologi come Janet e Adolf Meyer, Jung non considerava la +malattia mentale un fenomeno antitetico allo stato di salute, ma riteneva +andasse collocata all’estremo limite di uno spettro continuo. Due anni più tardi +sostenne: «Se cerchiamo di immedesimarci [einfühlen] nei segreti umani del +malato, anche la follia svela il suo sistema, e noi riconosciamo nella malattia +mentale soltanto una reazione insolita a problemi a௸ettivi che non sono estranei +a nessuno di noi».23 +Jung fu presto deluso dai limiti dei metodi sperimentali e statistici impiegati in +psichiatria e psicologia. In questo periodo, una serie di dimostrazioni pratiche di +ipnosi tenute presso il servizio ambulatoriale del Burghölzli suscitò in lui +l’interesse per la psicoterapia e per l’impiego dell’incontro clinico come metodo +di ricerca. Intorno al 1904 Bleuler aveva introdotto al Burghölzli la psicoanalisi +e aveva avviato una corrispondenza con Freud, chiedendogli assistenza +nell’analisi dei propri sogni.24 A sua volta, anche Jung nel 1906 entrò in contatto +epistolare con Freud, dando inizio a un rapporto che è stato largamente +mitologizzato: ne è nata una «leggenda freudocentrica» che, pretendendo di +rintracciare in Freud e nella psicoanalisi la fonte primaria dell’opera junghiana, +ne distorce completamente la collocazione nella storia del pensiero del XX +secolo. D’altronde lo stesso Jung non mancò di contestare in varie occasioni +questa ௹liazione, scrivendo per esempio in un articolo inedito degli anni trenta +sullo «scisma nella scuola freudiana»: «Non è a௸atto vero che io provenga +esclusivamente da Freud. La mia impostazione scienti௹ca e la teoria dei +complessi precedono il mio incontro con Freud. I maestri che mi hanno +in௺uenzato in maggior misura sono Bleuler, Pierre Janet e Théodore +Flournoy».25 Peraltro, pur avendo alle spalle tradizioni intellettuali alquanto +diverse, è fuor di dubbio che Freud e Jung condivisero l’interesse per la +psicogenesi dei disturbi mentali e aspirarono entrambi a creare una +psicoterapia +scienti��ca +sulla +base +della +nuova +psicologia +ancorata +all’investigazione clinica delle profondità della vita individuale. +Sotto la direzione di Bleuler e Jung il Burghölzli divenne il centro del +movimento +psicoanalitico. +Nel +1908 +fu +fondato +lo +«Jahrbuch +für +psychoanalytische und psychopathologische Forschungen», il primo periodico di +psicoanalisi, di cui Bleuler e Jung erano rispettivamente condirettore (con +Freud) e redattore. Grazie al loro impegno la psicoanalisi guadagnò una vasta +eco nel mondo della psichiatria tedesca. Nel 1909 Jung ricevette una laurea ad +honorem dalla Clark University (Worcester) per le sue ricerche sul test di +associazione +verbale. +L +’anno +successivo +fu +costituita +l’Associazione +psicoanalitica internazionale, di cui fu primo presidente. Durante il sodalizio con +Freud, Jung fu l’anima del movimento psicoanalitico: fu per lui un periodo di +intensa attività politico-istituzionale, mentre il movimento era attraversato da + aspri contrasti e conflitti interni. +La fascinazione della mitologia +Nel 1908 Jung acquistò un appezzamento di terreno a Küsnacht, sulla riva +destra del lago di Zurigo, e vi fece costruire la casa dove avrebbe vissuto il +resto della sua vita. L +’anno seguente diede le dimissioni dal Burghölzli per +dedicarsi alla pratica analitica – la sua clientela era in aumento – e alla ricerca. +Questa decisione coincise con un mutamento delle sue aree di interesse, che si +orientarono verso lo studio della mitologia, del folclore e della religione – il che +lo porterà a costituire una ragguardevole biblioteca, ricca di testi specialistici. +Tali indagini culminarono in un’opera di vasto respiro che può essere +considerata come l’espressione di un ritorno, da parte di Jung, alle sue radici +intellettuali e ai suoi interessi culturali e religiosi: Trasformazioni e simboli +della libido, pubblicata in due parti nello «Jahrbuch», nel 1911 e 1912. Lavorare +sulla mitologia lo entusiasmò ௹n quasi a stordirlo: «Mi sembrava di vivere in un +manicomio costruito da me. Correvo appresso a ௹gure fantastiche: centauri, +ninfe, satiri, dèi e dee, quasi fossero dei pazienti e io tentassi di analizzarli. Mi +accadeva di leggere un mito greco o africano come se un folle mi stesse +esponendo la sua anamnesi».26 In e௸etti, alla ௹ne del XIX secolo vi era stata +un’intensa ௹oritura di ricerche erudite nell’ambito delle discipline, di recente +costituzione, della religione comparata e dell’etnopsicologia. Si era iniziato a +raccogliere, tradurre e sottoporre ad analisi storico-critica fonti primarie di +estrema importanza, che agli occhi di molti rappresentavano una considerevole +relativizzazione della prospettiva universalistica cristiana: basti pensare alla +collezione dei Sacred Books of the East edita da Max Müller.27 +Ispirandosi, tra gli altri, a William James, in Trasformazioni e simboli della +libido Jung formulò una distinzione fra due opposte modalità di pensiero, +rispettivamente rappresentate dalla scienza e dalla mitologia: il «pensare +indirizzato», logico e verbale, e il «fantasticare», passivo, associativo e +immagini௹co. Secondo Jung, la facoltà del pensiero indirizzato, estranea allo +spirito degli antichi, è una tipica acquisizione moderna, mentre il pensiero +fantastico si a௸erma là dove il primo non ha corso. Da questo punto di vista +Trasformazioni e simboli della libido costituiva un’ampio studio dedicato al +pensiero fantastico e al continuo a௻orare di motivi mitologici nei sogni e nelle +fantasie +dei +contemporanei. +Jung +vi +ripropose +in +e௸etti +l’equazione +antropologica tra preistorico, primitivo e infantile, nella convinzione che la +delucidazione del pensiero fantastico quotidiano di persone adulte potesse a sua +volta far luce nell’universo mentale dei bambini, dei «selvaggi» e delle +popolazioni preistoriche.28 +Nell’opera Jung sintetizzò le teorie ottocentesche inerenti la memoria, + l’ereditarietà e l’inconscio e postulò, in seno all’inconscio, l’esistenza di uno +strato ௹logenetico, presente in ciascun essere umano, costituito da immagini +mitologiche. I miti sarebbero simboli della libido e ne rappresenterebbero i +tipici movimenti. Così, servendosi del metodo comparativo dell’antropologia, +Jung raccolse e sottopose a interpretazione analitica una nutrita serie di miti, +inaugurando il procedimento ermeneutico che in seguito avrebbe chiamato +«ampli௹cazione». Egli sostenne l’esistenza di miti tipici, corrispondenti allo +sviluppo etnopsicologico dei cosiddetti complessi, e sulla scia di Jacob +Burckhardt li denominò «immagini primordiali» (Urbilder). In particolare +attribuì un ruolo centrale al mito dell’eroe, in cui vide una rappresentazione +della vita dell’individuo che aspira a rendersi indipendente e a liberarsi dalla +madre. In questo quadro, il motivo dell’incesto gli apparve come un tentativo di +ritorno alla madre, onde pervenire a una rinascita. In seguito Jung a௸ermerà +c h e Trasformazioni e simboli della libido aveva segnato la scoperta +dell’inconscio collettivo, anche se la locuzione speci௹ca era stata coniata solo +più tardi.29 +In una serie di articoli pubblicati a partire dal 1912 Alphonse Maeder, amico e +collega di Jung, sostenne che i sogni hanno una funzione non già di appagamento +dei desideri, ma di compensazione o bilanciamento. Sviluppando le concezioni di +Flournoy relative all’immaginazione creativa subconscia, egli li interpretò come +tentativi di risoluzione dei con௺itti morali dell’individuo e dunque come orientati +prospettivamente verso il futuro e non solo retrospettivamente verso il passato. +Jung, la cui ricerca stava seguendo traiettorie analoghe, riconobbe anch’egli +questa funzione prospettica (o teleologica) del sogno messa in luce da Maeder, e +la incorporò nel proprio sistema. Si trattò di un radicale cambiamento di +prospettiva che impose di considerare in una nuova luce ogni altro fenomeno +connesso all’inconscio. +Nella prefazione alla redazione del 1952 di Trasformazioni e simboli della +libido, Jung ricordò di aver composto l’opera nel 1911, all’età di trentasei anni: +«Un momento critico, giacché segna l’inizio della seconda metà della vita nella +quale non di rado si veri௹ca una metanoia, un mutamento d’opinione».30 +Aggiunse di essere consapevole che tale passo avrebbe determinato la ௹ne della +sua collaborazione con Freud, ed espresse gratitudine alla moglie per il +sostegno prestatogli in quel periodo difficile. Una volta terminato il lavoro, si era +reso conto di che cosa significasse vivere senza un mito: chi è privo di un mito «è +un uomo che non ha radici, senza un vero rapporto con il passato, con la vita +degli antenati (che pure continua in lui) e con la società umana del suo tempo».31 +E proseguiva: +Fui indotto a chiedermi con tutta serietà: «Che cos’è il mito che vivi?». Non trovai risposta a questa +domanda, al contrario dovetti confessare a me stesso che in realtà io non vivevo con un mito né +nell’ambito di un mito, quanto piuttosto nella nube incerta di possibilità teoriche che cominciavo a + riguardare con crescente di௻denza. (…) Così, nel modo più naturale, nacque in me il proposito di +fare la conoscenza del «mio» mito e considerai ciò come mio compito precipuo, giacché – mi dicevo +– come potevo di fronte ai miei pazienti fare il debito conto del mio fattore personale, della mia +equazione personale, pur tanto necessario per la conoscenza degli altri, se io stesso non ne ero +consapevole?32 +Lo studio del mito aveva rivelato a Jung la mancanza di un suo mito. Pertanto +egli si mise alla ricerca del proprio mito, della propria «equazione personale».33 +Si chiarisce dunque come il processo di autosperimentazione intrapreso da Jung +costituisse, in parte, una risposta diretta agli interrogativi teorici sorti nel corso +delle sue indagini, culminate in Trasformazioni e simboli della libido. +«Il mio esperimento più difficile» +Nel 1912 Jung fece una serie di sogni signi௹cativi che non fu in grado di +comprendere. Due soprattutto gli apparvero avere un rilievo particolare, in +quanto vi sentiva espressi i limiti della teoria onirica freudiana. Nel primo: +Mi trovavo in una città del sud, in una strada che s’inerpicava in salita, piena di stretti tornanti. Era +mezzogiorno di una giornata di sole. Un anziano doganiere austriaco o una ௹gura analoga mi passa +accanto, immerso nei suoi pensieri. Qualcuno dice: «Costui è uno che non può morire. È già morto +30-40 anni fa, ma non è ancora riuscito a decomporsi». Ne resto molto sorpreso. Appare a questo +punto una ௹gura singolare, un cavaliere dal portamento maestoso, bardato di un’armatura di colore +giallastro. Dà l’impressione di essere saldo e impenetrabile, nulla sembra impressionarlo. Sullo +schienale dell’armatura rosseggia una croce maltese. Egli continua a esistere dal XII secolo e ogni +giorno percorre, tra le dodici e l’una, il medesimo tragitto. Nessuno sembra stupirsi di fronte a +queste due apparizioni, io invece ne resto sbigottito. +Metto da parte le mie capacità interpretative, ma il vecchio austriaco mi ricordava Freud e il +cavaliere mi faceva venire in mente me stesso. +Dall’interno una voce esclama: «Tutto è vuoto e disgustoso». Me ne devo far carico.34 +Jung trovò questo sogno opprimente e sconcertante, e Freud non riuscì a +interpretarlo.35 Circa un anno più tardi fece il sogno seguente: +In quel periodo (poco dopo Natale del 1912) sognai di trovarmi insieme ai miei bambini nella loggia +di un magni௹co castello sontuosamente arredato, sedevamo a un tavolo la cui super௹cie di pietra +risplendeva d’un meraviglioso colore verde scuro. All’improvviso giungeva un gabbiano, o una +colomba, che si posava sulla tavola con un guizzo leggero. Dicevo ai bambini di rimanere tranquilli +per non far scappare il bell’uccello bianco. Questo d’un tratto si trasformava in una fanciulla dai +capelli biondi di circa di otto anni, che si metteva a giocare con i bambini correndo insieme a loro +tra le splendide colonne del salone. All’improvviso la bambina si tramutava di nuovo in gabbiano, o +colomba, e mi si rivolgeva con queste parole: «Soltanto nelle prime ore della notte posso + trasformarmi in essere umano, mentre il colombo è impegnato con i dodici morti». Detto questo, +l’uccello volava via, e io mi svegliai.36 +Nel Libro nero 2 Jung rilevò che questo sogno lo convinse a intraprendere una +relazione con una donna conosciuta tre anni prima (Toni Wol௸), 37 mentre +secondo il resoconto riportato in un seminario del 1925 esso gli avrebbe «dato +per la prima volta la certezza che l’inconscio non consiste solo di materiale +inerte, ma che c’è qualcosa di vivo lì sotto».38 Jung aggiunse qui di aver pensato +alla storia della Tabula smaragdina, ai dodici apostoli, ai segni zodiacali e così +via, ma che «riguardo al sogno potevo soltanto dedurre che era in atto una +tremenda animazione dell’inconscio. Non conoscevo alcuna tecnica che mi +permettesse di venire a capo di tale attività; tutto ciò che potevo fare era +attendere, continuare a vivere, e osservare le mie fantasie».39 Nell’insieme i due +sogni lo spinsero ad analizzare i suoi ricordi infantili, ma non ne ricavò alcunché. +Capì allora che doveva recuperare il tono a௸ettivo dell’infanzia; e ricordando +che da bambino si divertiva a giocare con le costruzioni, riprese quell’abitudine +del passato. +Benché impegnato in quest’attività di autoanalisi, Jung proseguì nell’opera di +elaborazione teorica della sua psicologia. Nel settembre 1913, al Congresso +psicoanalitico di Monaco, presentò una relazione Sulla questione dei tipi +psicologici, in cui sostenne l’esistenza di due movimenti fondamentali della +libido, l’estroversione e l’introversione: nel primo movimento l’interesse del +soggetto si dirige verso il mondo esterno, nel secondo verso il mondo interiore. +In corrispondenza di tali orientamenti sarebbero riconoscibili due distinti tipi +psicologici di base, caratterizzati dal prevalere dell’una o dell’altra tendenza. Le +teorie psicologiche di Freud e Adler sarebbero esempi, secondo Jung, della +propensione ad assumere come verità generale postulati validi esclusivamente +per il loro tipo. Donde la necessità di una psicologia che renda giustizia in ugual +misura sia al tipo estroverso che a quello introverso.40 +Il mese seguente, mentre si recava in treno a Scia௸usa, Jung ebbe una visione +in cui l’Europa gli appariva devastata da una spaventosa inondazione. La visione +si ripeté due settimane più tardi durante lo stesso tragitto.41 Nel rievocare +quest’esperienza, scrisse nel 1925: «Potevo essere ra௻gurato come la Svizzera +circondata dalle montagne, e la sommersione del mondo poteva equivalere alle +macerie dei miei precedenti rapporti». Al momento egli ne trasse un’angosciosa +diagnosi della propria condizione: «Pensai tra me e me: “Se questo signi௹ca +qualcosa, signi௹ca che sono irrimediabilmente alienato”».42 In preda al terrore +di poter impazzire,43per prima cosa pensò che quelle immagini annunciavano +una rivoluzione, ma non potendo concepire una prospettiva del genere, concluse +di essere «minacciato da una psicosi».44 Dopodiché ebbe una visione analoga: +Una notte dell’inverno seguente mi trovavo a guardare alla ௹nestra in direzione nord. D’un tratto + scorsi un bagliore di colore rosso sangue – una specie di luccichio marino visto da lontano – che si +estendeva da est a ovest sull’orizzonte settentrionale. In quel momento qualcuno mi chiese che cosa +pensavo sarebbe accaduto nel mondo nell’immediato futuro. Risposi che non ne avevo idea, ma che +vedevo sangue, sangue a fiumi.45 +In Europa, negli anni dell’immediato anteguerra, l’immaginario apocalittico +era una sorta di insegna degli ambienti artistici e letterari. Nel 1912, per +esempio, Vasilij Kandinskij pronosticò un’incombente catastrofe universale. Tra +il 1912 e il 1914 Ludwig Meidner dipinse una serie di Paesaggi apocalittici, +ra௻guranti scene di città distrutte, cadaveri e devastazioni.46 La profezia era +nell’aria. Nel 1899 la celebre medium americana Leonora Piper aveva predetto +che il nuovo secolo avrebbe portato una guerra tremenda in diverse parti del +pianeta, una guerra che avrebbe puri௹cato il mondo rivelando le verità dello +spiritismo. Nel 1918 Arthur Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes e +spiritista, considerò confermata la sua previsione.47 +Dal resoconto di Jung riportato nel Liber novus apprendiamo che, secondo la +sua voce interiore, i tragici eventi preannunciati dalla visione avuta in treno si +sarebbero realizzati veramente. In un primo momento egli ne diede +un’interpretazione soggettiva e prospettica, ovvero intese la visione come una +ra௻gurazione dell’imminente distruzione del proprio mondo. Così la sua +reazione fu d’intraprendere un’esplorazione del proprio inconscio, applicando a +se stesso la tecnica dell’autosperimentazione impiegata all’epoca sia in medicina +che in psicologia, dove del resto l’introspezione è sempre stata uno dei principali +strumenti di ricerca. +Jung giunse a comprendere che Trasformazioni e simboli della libido poteva +«essere considerato un equivalente di me stesso» e che «una sua analisi +sfocia[va] inevitabilmente in un’analisi dei miei processi inconsci».48 Aveva +proiettato il suo materiale psichico su quello di Miss Frank Miller, la giovane di +cui aveva studiato le fantasie, senza peraltro averla mai incontrata. Fino a quel +momento, Jung era stato un pensatore attivo, avverso al fantasticare: «Lo +consideravo una forma di pensiero del tutto impura, una sorta di relazione +incestuosa, completamente immorale da un punto di vista intellettuale».49 In +seguito a queste esperienze, Jung si volse ad analizzare le sue immaginazioni e +fantasie, annotando ogni particolare con cura, e nel far questo si accorse di +dover superare notevoli resistenze: «Lasciare libera la fantasia aveva in me lo +stesso e௸etto che si produrrebbe in un uomo che, entrando nel suo laboratorio, +trovasse che tutti i suoi utensili volano e fanno ogni sorta di cose +indipendentemente dalla sua volontà».50 Nel corso del suo esperimento, Jung si +rese conto che esso consisteva in realtà in un’esplorazione della funzione +mitopoietica della psiche. +Jung riprese in mano il taccuino marrone che aveva messo da parte nel 190251 +e cominciò a trascrivervi i suoi stati interiori in un linguaggio letterario denso di + metafore, del tipo «trovarsi in un deserto sotto un sole rovente che picchia in +modo insopportabile» (il sole come ௹gura della coscienza).52 Si proponeva, +ricordò nel seminario del 1925, di annotare le sue ri௺essioni l’una dopo l’altra, +così come gli si presentavano: il che signi௹cava «registrazione di materiale +autobiogra௹co, ma non in forma di autobiogra௹a».53 Riallacciandosi a una +tradizione risalente a Platone e destinata ad avere un ruolo di primo piano nella +letteratura ௹loso௹ca occidentale, già sant’Agostino aveva modellato i suoi +Soliloqui come un lungo dialogo edi௹cante fra se stesso e la Ragione. L +’opera, +scritta nel 387, inizia così: +Da molto tempo volgevo tra me e me molti e di௸erenti pensieri e da tanti giorni cercavo +ardentemente me stesso, cercavo il mio bene e quale male dovessi evitare; quando all’improvviso – +ero io o un altro? di dentro o di fuori? è proprio quello che ora mi sforzo attentamente di sapere – +una voce mi dice...54 +Ed ecco quanto Jung scrisse nel 1925, riportando un dialogo interiore +riferibile all’epoca della stesura del Libro nero 2: +Dissi a me stesso: «Che cosa sto facendo? Certamente nulla a che vedere con la scienza. Ma allora +cos’è?». Al che una voce mi disse: «È arte». Ne fui oltremodo sconcertato, giacché l’idea che quanto +stavo scrivendo fosse arte mi era del tutto estranea. Allora pensai: «Forse il mio inconscio sta dando +forma a una personalità che non è la mia, ma che cerca di trovare espressione». Non saprei dire +esattamente perché, ma avevo la certezza che la voce che aveva de௹nito la mia scrittura arte +proveniva da una donna. (…) Replicai con grande enfasi che quel che stavo facendo non era arte, al +che sentii una forte resistenza crescere dentro di me. Tuttavia nessun’altra voce si fece sentire e io +ripresi a scrivere. Poi arrivò un altro assalto, come il primo: «È arte». Questa volta la catturai e dissi: +«No, non lo è», ed ebbi la sensazione che ne sarebbe derivata una controversia.55 +Jung pensò che la voce fosse «l’anima nel senso primitivo» e la chiamò, con +termine latino, Anima.56 Rilevò che, «annotando tutto questo materiale per +analizzarlo, stavo in realtà scrivendo lettere alla mia Anima, cioè a una parte di +me che aveva un punto di vista diverso dal mio. Ricevevo osservazioni per me +inedite, ero in analisi con uno spirito e con una donna».57 A posteriori riconobbe +nella voce quella di una paziente olandese che aveva conosciuto fra il 1912 e il +1918, e che aveva cercato di persuadere un collega psichiatra di essere un +artista incompreso. La donna sosteneva che l’inconscio fosse arte, mentre Jung, +al contrario, era dell’idea che fosse natura.58 Come ho dimostrato altrove, la +donna in questione – l’unica olandese che all’epoca frequentava la cerchia di +Jung – era Maria Moltzer, e lo psichiatra Franz Riklin, un amico e collega di +Jung che lasciò a poco a poco la pratica analitica per dedicarsi alla pittura. +Allievo di Augusto Giacometti – zio di Alberto Giacometti – Riklin, a partire dal +1913, sviluppò un proprio stile originale, che gli assicura un posto di spicco fra i +primi importanti pittori astrattisti.59 + Dalle annotazioni del mese di novembre riportate nel Libro nero 2 traspare la +sensazione di un riavvicinamento di Jung alla propria anima. Vi sono registrati i +sogni che lo avevano indotto a scegliere la carriera scienti௹ca, oltre a quelli che, +nella fase attuale di autosperimentazione, lo stavano riconducendo alla sua +anima. Nel 1925 ricordò che il lavoro di scrittura si concluse in novembre: «Non +sapendo che cosa ne sarebbe seguito, pensai che forse era necessario uno +sforzo maggiore di introspezione (…). Escogitai allora questo metodo di scavo: +immaginare di fare un buco, accettando questa fantasia come del tutto reale».60 +Il primo esperimento di questo tipo ebbe luogo il 12 dicembre 1913.61 +Come già ricordato, Jung aveva studiato a fondo la psicologia dei medium e le +manifestazioni – fantasie e allucinazioni visive – da essi prodotte in stato di +trance; aveva inoltre condotto esperimenti di scrittura automatica. Del resto, +pratiche di visualizzazione sono prescritte in numerose tradizioni religiose. Per +esempio, negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola il meditante viene invitato +a «vedere con l’immaginazione l’inferno in tutta la sua lunghezza, larghezza e +profondità» e a sperimentare tali visualizzazioni con l’ausilio di tutti i sensi.62 +Anche Swedenborg praticò la «scrittura spiritica». Si legge in un appunto del +suo diario spirituale: +26 gennaio 1748. Gli spiriti, se autorizzati, sono in grado di possedere chi comunica con loro, in +modo così completo da sembrare in tutto e per tutto presenti in questo mondo, e così diretto da +rivelare i propri pensieri attraverso i loro medium e per௹no tramite lettere. Difatti mi è talvolta +accaduto, anzi piuttosto spesso, che costoro, mentre scrivevo, dirigessero la mia mano quasi +appartenesse loro; al punto, anzi, che gli stessi spiriti pensavano che non ero più io a scrivere, ma +loro stessi.63 +A Vienna, a partire dal 1909, lo psicoanalista Herbert Silberer condusse una +serie di autoesperimenti sulla comparsa di allucinazioni in stato ipnagogico, +mostrando come le immagini che in tal modo sopraggiungono fossero +rappresentazioni simboliche del precedente ௺usso di pensieri. Egli era in +contatto epistolare con Jung e gli inviò alcuni estratti dei suoi articoli.64 Inoltre, +all’inizio del secolo (1901), un professore di chimica sperimentale, Ludwig +Staudenmaier (1865-1933), aveva intrapreso un’autosperimentazione diretta, +nelle sue intenzioni, a fornire una spiegazione scienti௹ca della magia. Nel corso +della ricerca, di cui diede conto nel libro Die Magie als experimentelle +Naturwissenschaft, pubblicato nel 1912,65 era riuscito non solo a produrre +allucinazioni di tipo visivo e acustico, ma anche a evocare e dialogare con una +serie di personaggi, in una prima fase avvalendosi della scrittura automatica, poi +anche senza fare ricorso a supporti esterni. A suo giudizio, la chiave per la +comprensione della magia stava proprio nei concetti di allucinazione, subconscio +(Unterbewusstsein) e personi௹cazione.66 Come dunque si vede da questi +esempi, il metodo di investigazione adottato da Jung aveva molte e notevoli + somiglianze con svariate pratiche di autosperimentazione, sia del passato che +coeve, con cui egli aveva familiarità. +A partire dal dicembre 1913, Jung procedette nel suo viaggio di esplorazione +dell’inconscio servendosi di un procedimento consistente nell’evocare di +proposito una fantasia in stato di veglia, per poi addentrarsi in essa come se si +trattasse di una rappresentazione teatrale. Queste fantasie, che possono essere +considerate una specie di pensiero drammatizzato per immagini, dimostrano con +tutta evidenza il forte in௺usso che lo studio della mitologia aveva avuto su Jung. +Alcune delle ௹gure e delle idee in esse contenute derivano direttamente dalle +sue letture e l’indubbio fascino che il mondo del mito e dell’epica esercitava su +di lui è testimoniato dalla forma e dallo stile dell’esposizione. Jung trascrisse le +proprie fantasie, datandole, nei Libri neri e vi aggiunse osservazioni relative agli +stati d’animo e alle di௻coltà che avevano accompagnato la loro comprensione. I +Libri neri non sono dunque un diario di avvenimenti, e anche il numero dei sogni +in essi riportati è ristretto. Sono, piuttosto, la registrazione di un esperimento. +Jung stesso, nel dicembre 1913, de௹nì il primo Libro nero come «il libro del mio +esperimento più difficile».67 +A posteriori Jung a௸ermò che l’interrogativo scienti௹co che si era posto +nell’intraprendere la sua autoinvestigazione consisteva nel capire che cosa +accade quando si annulla la coscienza. I sogni erano la testimonianza +dell’esistenza di un’attività sotterranea, cui egli voleva dare la possibilità di +emergere, come si farebbe in un esperimento con la mescalina.68 Il 17 aprile +1917 annotò sul suo quaderno dei sogni: «Finora, frequenti esercizi di +svuotamento della coscienza».69 Se il procedimento obbediva chiaramente a una +precisa intenzionalità, il suo scopo, per contro, era quello di permettere ai +contenuti psichici di a௻orare in modo spontaneo. Più tardi Jung ricordò come +tutto, sotto la soglia della coscienza, fosse animato. A volte gli sembrava di udire +qualcosa; altre volte s’accorgeva di star mormorando qualcosa a se stesso.70 +Dal novembre 1913 ௹no al giugno dell’anno successivo Jung rimase incerto sul +senso e il signi௹cato dei suoi sforzi come pure sul modo in cui andassero +interpretate le sue fantasie, che peraltro continuavano a presentarglisi con +straordinaria vivacità. In questo periodo gli apparve in sogno Filemone, una +௹gura destinata ad acquistare grande importanza nella sua attività fantastica. +Jung annotò: +C’era un cielo azzurro, ma sembrava il mare, non coperto da nubi, ma da zolle di terra bruna. +Sembrava che le zolle si allontanassero l’una dall’altra e lasciassero scorgere l’acqua azzurra del +mare. Quest’acqua era però il cielo azzurro. Improvvisamente dalla destra giungeva, librandosi +nell’aria, un essere alato. Era un vecchio con corna taurine. Portava un mazzo di quattro chiavi, +tenendone una come se fosse sul punto di aprire una serratura. Era alato, e le sue ali erano quelle di +un martin pescatore, con i suoi caratteristici colori. Non riuscendo a capire questa immagine +onirica, la dipinsi per meglio visualizzarla.71 + Nel periodo in cui era impegnato a dipingere quest’immagine, Jung trovò nel +giardino di casa, presso la riva del lago, un martin pescatore morto – un uccello +che si trova molto di rado nei pressi di Zurigo.72 +La data di questo sogno non è chiara. La ௹gura di Filemone compare per la +prima volta nei Libri neri il 27 gennaio 1914, priva però dell’attributo delle ali +da martin pescatore. Si trattava dell’evoluzione di un’altra ௹gura apparsa in +precedenza nelle fantasie di Jung, quella del profeta Elia, e rappresentò per lui +un’istanza superiore, una sorta di guru con cui comunicava passeggiando in +giardino: +Filemone era un pagano, ma avvolto in un’atmosfera egizio-ellenistica, con una coloritura gnostica. +(…) Mi insegnò l’oggettività psichica, la «realtà dell’anima». Grazie ai colloqui con Filemone mi si +chiarì la di௸erenza tra me stesso e l’oggetto del mio pensiero. (…) Da un punto di vista psicologico +Filemone rappresentava un’intelligenza superiore.73 +Il 20 aprile 1914 Jung diede le dimissioni da presidente dell’Associazione +psicoanalitica internazionale e il 30 aprile dall’incarico che ricopriva come +libero docente presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Zurigo. Ricordò +di sentirsi, all’università, in una posizione esposta che in quel momento mal +s’adattava al bisogno, ormai impellente, di trovare un nuovo orientamento, in +mancanza del quale non sarebbe stato giusto continuare a insegnare agli +studenti.74 Fra giugno e luglio fece per tre volte un sogno ricorrente, nel quale si +trovava in una terra straniera e doveva tornare rapidamente a casa in nave, +incalzato dal sopraggiungere di un’ondata di freddo glaciale.75 +Il 10 luglio la Società psicoanalitica di Zurigo decise, a larghissima +maggioranza +(quindici +voti +favorevoli, +uno +contrario), +di +staccarsi +dall’Associazione psicoanalitica internazionale. Stando ai verbali della Società, +la scissione fu dovuta al fatto che Freud aveva creato con il suo dogmatismo +dottrinario un’ortodossia avversa a una ricerca libera e indipendente.76 Il +gruppo si ridenominò Associazione di psicologia analitica. Jung partecipò alle +attività della nuova società che si riuniva due volte al mese e continuò a svolgere +un’intensa pratica terapeutica. Fra il 1913 e il 1914 ebbe, per cinque giorni a +settimana, un numero di consultazioni giornaliere variabile da una a nove, con +una media fra le cinque e le sette.77 +Dai verbali dell’Associazione non emerge alcun indizio circa il processo di +autosperimentazione in cui Jung era immerso. Egli non faceva alcun riferimento +alle sue fantasie e continuava a occuparsi di psicologia sul piano teorico. Né si +trova traccia di tutto ciò nella corrispondenza coeva che si è conservata.78 In +quegli anni inoltre Jung ottemperava regolarmente ai suoi obblighi militari.79 +Durante il giorno, quindi, proseguiva con la sua attività professionale e +assolveva agli impegni familiari, mentre dedicava la sera all’esplorazione dei +propri contenuti inconsci,80 secondo una scansione del tempo che, come + attestano varie indicazioni, si manterrà anche negli anni immediatamente +successivi. Nel ricordo di Jung, in questo periodo la sua famiglia e la sua +professione rimasero sempre «una gioiosa realtà e una garanzia che ero +normale e reale».81 +Jung a௸rontò la questione relativa ai diversi modi possibili di interpretare le +fantasie di tipo delirante in una conferenza dal titolo Sulla comprensione +psicologica, tenuta il 24 luglio 1914 presso la Psycho-Medical Society di Londra. +Al metodo «analitico-riduttivo» di Freud, basato sul principio di causalità, egli +contrappose qui il metodo «sintetico» o «costruttivo» della scuola di Zurigo. Il +difetto del metodo freudiano stava, a suo parere, nella pretesa di ricondurre il +materiale psichico ai suoi antecedenti, fornendo così un quadro parziale della +problematica, e mancando di cogliere proprio il reale, vivente signi௹cato del +fenomeno complessivo. Tentare di comprendere in senso analitico-riduttivo il +Faust di Goethe sarebbe equivalso – osservava Jung – a voler spiegare una +cattedrale gotica dal solo punto di vista della mineralogia.82 Il signi௹cato +e௸ettivo «è compreso solo se viene inteso come qualcosa in continuo divenire e +da vivere».83 La vita è in costante evoluzione e non può venire compresa in +un’ottica meramente retrospettiva. Sicché il punto di vista costruttivo «si +domanda come, da quest’anima divenuta così, si potrà gettare un ponte verso il +suo futuro».84 In controluce, la conferenza lasciava intravedere le ragioni che +avevano distolto Jung dall’intraprendere un’analisi causale e retrospettiva delle +proprie fantasie e fungeva altresì da monito per chi invece ne fosse stato +tentato. Presentato come una critica e una riformulazione della psicoanalisi, il +nuovo modello interpretativo junghiano si riallacciava al metodo simbolico +dell’ermeneutica spirituale di Swedenborg. +Il 28 luglio Jung tenne una relazione sull’Importanza dell’inconscio in +psicopatologia a un convegno della British Medical Association ad Aberdeen.85 +Egli sostenne che nei casi di nevrosi e psicosi l’inconscio cerca di compensare +l’unilateralità dell’atteggiamento cosciente. L +’individuo squilibrato si difende da +questi tentativi dell’inconscio e così facendo innesca un processo di progressiva +polarizzazione degli opposti. Gli impulsi correttivi che emergono attraverso il +linguaggio dell’inconscio dovrebbero avviare un processo di guarigione, ma ciò +non accade perché essi irrompono in una forma che li rende inaccettabili alla +coscienza. +Esattamente un mese prima, il 28 giugno 1914, l’arciduca Francesco +Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico, veniva assassinato per +mano di uno studente serbo diciannovenne, Gavrilo Princip. Il 28 luglio l’Austria +dichiarò guerra alla Serbia, il 1° agosto ebbe inizio la mobilitazione delle forze +tedesche contro la Russia e la Francia. Nel 1925 Jung ricordò: «Ebbi la +sensazione di avere una psicosi ipercompensata, e questa sensazione non mi +abbandonò fino al 1° agosto 1914».86 Anni dopo dichiarò a Mircea Eliade: + Come psichiatra, incominciai a preoccuparmi, mi chiesi se non stessi per «fare una schizofrenia», +come si diceva nel gergo di allora. (…) In quel periodo stavo preparando una conferenza sulla +schizofrenia che dovevo tenere ad Aberdeen a un convegno. Continuavo a ripetermi: «È di me che +parlerò! Finirà che impazzisco appena terminato di leggere la relazione». Il congresso doveva +tenersi nel luglio 1914, lo stesso periodo in cui, nei miei tre sogni, mi ero visto in viaggio per i Mari +del Sud. Il 31 luglio, appena terminata la mia conferenza, appresi dai giornali che era scoppiata la +guerra. Finalmente compresi. Quando il giorno dopo sbarcai in Olanda, non c’era nessuno più felice +di me. Adesso ero certo che non avrei avuto nessun episodio schizofrenico. Capii che i sogni e le +visioni mi erano venuti dal sottosuolo dell’inconscio collettivo. Non mi restava che approfondire e +convalidare questa scoperta. E questo è ciò che cerco di fare da quarant’anni.87 +Fu allora che Jung si rese conto che la visione da lui avuta nell’ottobre 1913, +relativa a una catastro௹ca inondazione dell’Europa, si riferiva non già a ciò che +sarebbe successo a lui, ma all’intero Vecchio Continente. In altre parole era +stata la premonizione di un evento collettivo, un fenomeno che in seguito +avrebbe de௹nito «grande sogno».88 Dopo aver raggiunto questa comprensione, +Jung cercò di capire se e in quale misura le altre sue fantasie avessero un +fondamento nella realtà, e di a௸errare il senso di tale corrispondenza tra +fantasie individuali ed eventi collettivi. Questo sforzo innerva gran parte del +contenuto del Liber novus. Lo scoppio della guerra, annotò nelle Prove, gli +consentì di comprendere molte delle esperienze da lui vissute e gli diede il +coraggio di comporre la prima parte del Liber novus.89 Egli visse pertanto +l’inizio del con௺itto come un segnale che gli permise di capire come la sua paura +di impazzire fosse stata mal riposta. Anzi, non è esagerato a௸ermare che, se la +guerra non fosse stata dichiarata, con ogni probabilità il Liber novus non +avrebbe preso forma. Nel 1955-56, ri௺ettendo sul metodo dell’immaginazione +attiva, Jung osservò che «se tale coinvolgimento ha l’apparenza di una vera +psicosi, ciò dipende dal fatto che il paziente integra il medesimo materiale di +fantasie di cui il malato di mente diviene preda, perché non è in grado di +integrarlo, ma ne viene invece inghiottito».90 +È opportuno considerare, a questo punto, le circa dodici fantasie che Jung +potrebbe aver interpretato come premonitrici: +1-2) Ottobre 1913: visione ripetuta di un’inondazione e di migliaia di morti; +una voce annuncia che tutto ciò si avvererà. +3) Autunno 1913: visione di un mare di sangue che inonda i paesi del nord. +4-5) 12 e 18 dicembre 1913: immagine onirica di un eroe morto e +dell’assassinio di Sigfrido. +6) 25 dicembre 1913: immagine del piede di un gigante che cammina su una +città e immagini di massacri di efferata crudeltà. +7) 2 gennaio 1914: immagine di un mare di sangue e di una sterminata +processione di morti. +8) 22 gennaio 1914: la sua anima emerge dal profondo e gli chiede se + accetterà guerra e distruzione. L +’anima gli presenta immagini di devastazione, +armi da guerra, resti umani, navi affondate, nazioni distrutte ecc. +9) 21 maggio 1914: una voce a௸erma che dappertutto muoiono vittime +sacrificali. +10-12) Giugno-luglio 1914: sogno, ripetuto tre volte, nel quale si trova in un +paese straniero e deve rientrare rapidamente per nave, mentre sta per +sopraggiungere un freddo glaciale.91 +Il «Liber novus» +A questo punto Jung cominciò a comporre quello che diventerà il Liber novus +(farò riferimento a questa redazione con il termine minuta). Dai Libri neri +trascrisse con cura la maggior parte delle fantasie ivi riportate, aggiungendo a +ciascuna una sezione esplicativa del signi௹cato di ogni episodio, associata a +un’elaborazione di carattere lirico. Una puntuale analisi comparativa delle due +scritture permette di a௸ermare che le fantasie sono state riprodotte +fedelmente, con appena qualche ritocco redazionale di secondaria importanza, e +suddivise in capitoli. Pertanto la loro sequenza nel Liber novus corrisponde +quasi sempre con esattezza a quella dei Libri neri; anche le indicazioni +cronologiche che le accompagnano (del tipo: la tal fantasia si presentò «la notte +seguente») sono sempre veritiere, non un semplice arti௹cio stilistico. Né il +linguaggio né il contenuto del materiale presentato hanno subito alterazioni. +Jung si mantenne «fedele ai fatti» e sarebbe scorretto interpretare l’opera come +il prodotto di una mera ௹nzione letteraria. La principale di௸erenza tra i Libri +neri e il Liber novus sta nel fatto che i primi sono stati redatti da Jung per uso +personale e possono quindi essere considerati come la registrazione di un +esperimento, mentre il secondo si presenta nella forma di un’opera destinata +alla lettura del pubblico, a cui difatti si rivolge. Non a caso il testo della minuta +si apre con l’apostrofe «Amici miei», e la medesima formula allocutiva ricorre di +frequente anche in seguito. +Nel novembre 1914 Jung si accinse a uno studio approfondito di un libro di +Nietzsche che aveva già letto in gioventù, Così parlò Zarathustra. Più tardi +ricordò: «Fui d’improvviso a௸errato dallo spirito e portato in una terra deserta +in cui lessi lo Zarathustra».92 L +’in௺uenza dell’opera sullo stile e la struttura del +Liber novus è evidente: come Nietzsche, anche Jung ripartì il materiale in libri, +suddivisi a loro volta in brevi capitoli. Tuttavia, mentre lo Zarathustra proclama +la morte di Dio, il Liber novus annuncia la rinascita di Dio nell’anima. Un’altra +opera che ha in௺uenzato la struttura del Liber è la Divina Commedia che, come +provato da vari indizi, Jung stava leggendo proprio in quel periodo.93 In e௸etti il +Liber novus rappresenta la discesa di Jung agli inferi. Tuttavia, a di௸erenza di +Dante che poté riferirsi a un modello cosmologico consolidato, il Liber novus è il + tentativo di dar forma a una cosmologia individuale. In essa, la funzione di +Filemone presenta analogie con quella svolta da Zarathustra in Nietzsche e da +Virgilio nella Commedia. +Circa la metà del contenuto della minuta deriva direttamente dai Libri neri. A +questo materiale sono state aggiunte all’incirca trentacinque nuove sezioni di +commento, nelle quali Jung tentò di desumere dalle proprie fantasie una serie di +principi psicologici generali e si sforzò di comprendere in quale misura esse +potessero essere lette come ra௻gurazioni simboliche aventi valore di +premonizione rispetto a eventi futuri nel mondo esterno. Nel 1913 Jung aveva +distinto due modalità di interpretazione, rispettivamente «al livello dell’oggetto» +e «al livello del soggetto», a seconda che le ௹gure e le situazioni oniriche +venissero considerate rappresentazioni della vita reale o riportate alle +componenti psichiche inconsce del sognatore.94 In questo senso, il procedimento +adottato da Jung nella minuta potrebbe essere inteso come un tentativo di +interpretare le proprie fantasie su un piano, oltre che soggettivo, anche +«collettivo». Estraneo a qualsiasi lettura riduttiva, Jung le considerava +ra௻gurazioni di principi psicologici generali operanti in se stesso (quali la +relazione fra introversione ed estroversione, il pensiero e il piacere ecc.) ed +espressioni di eventi prossimi a veri௹carsi concretamente o simbolicamente. +Questo secondo livello o strato della minuta costituisce quindi il primo decisivo +esperimento – almeno di tale portata – inteso a sviluppare e applicare il nuovo +metodo costruttivo di Jung. È, si può ben dire, un esperimento ermeneutico in +sé. In una prospettiva critica, dunque, il Liber novus non richiede interpretazioni +supplementari in quanto contiene già in se stesso la sua propria interpretazione. +Nel redigere la minuta Jung evitò, con scelta consapevole, di sovraccaricare il +testo con un apparato di riferimenti eruditi, malgrado l’abbondanza di citazioni e +allusioni implicite a opere ௹loso௹che, religiose e letterarie. Il che non toglie che +le fantasie e le ri௺essioni presentate nel Liber novus restino quelle di uno +studioso, e di fatto il lavoro di autosperimentazione e di composizione fu +compiuto da Jung in gran parte nella sua biblioteca. È dunque possibile che egli, +qualora si fosse deciso a pubblicare l’opera, l’avrebbe corredata dei necessari +riferimenti. +Terminata la stesura della minuta, Jung la fece battere a macchina e la +sottopose a revisione, apportando su una copia una serie di correzioni +manoscritte (farò riferimento a questa copia con l’espressione minuta corretta). +Come provato dalle annotazioni riportate sul margine, essa fu data in lettura a +una persona non identi௹cata (la gra௹a non è quella di Emma Jung, né di Toni +Wol௸, né di Maria Moltzer), la quale chiosò la revisione di Jung suggerendo di +mantenere alcuni passi che egli aveva pensato di eliminare.95 Jung commissionò +quindi a Emil Stierli la confezione di un grosso volume in folio di oltre 600 +pagine, rilegato in pelle rossa e recante sul dorso il titolo Liber novus. Qui egli + fece inserire la parte di testo – l’attuale Liber primus, privo però del titolo – che +aveva già copiato su fogli di pergamena, e procedette quindi con la trascrizione +del Liber secundus (questo corredato di titolo). Ne risultò un codice in scrittura +calligra௹ca, organizzato a guisa di manoscritto miniato medievale, con in testa +una tavola delle abbreviazioni. Sotto il titolo del prologo del Liber primus, «La +via di quel che ha da venire», Jung riportò alcune citazioni da Isaia e dal Vangelo +di Giovanni: l’opera intendeva dunque presentarsi come una scrittura profetica. +Durante il lavoro di trascrizione calligra௹ca Jung modi௹cò i titoli di alcuni +capitoli, altri ne aggiunse e sottopose il testo a una nuova revisione. Tagli e +variazioni interessarono in prevalenza il secondo strato di interpretazione ed +elaborazione del testo, non le fantasie stesse, e nella maggior parte dei casi +consistettero in abbreviamenti (in generale il secondo strato è quello che Jung +fece oggetto di costante rimaneggiamento). In quest’edizione, nella sezione +contenente la trascrizione del Liber, il testo viene riprodotto in modo da +consentire il riconoscimento della cronologia compositiva. Pertanto, dato che le +ri௺essioni presentate da Jung nel secondo strato talvolta si riferiscono +implicitamente a fantasie riportate più avanti, può essere utile, in una prima +lettura, ripercorrere le fantasie nella loro sequenza cronologica, concentrandosi +sul materiale interpretativo in un secondo momento. +Jung decorò il testo con un ricco corredo di illustrazioni, iniziali ௹gurate o +istoriate, cornici, bordi e altri motivi ornamentali. Le illustrazioni, che all’inizio +hanno diretto riferimento al testo, da un certo punto in avanti acquistano un +carattere più simbolico, tradendo così la loro natura di esercizi di +immaginazione attiva nel senso pieno del termine. L +’associazione di testo e +immagine ricorda le opere miniate di William Blake, peraltro ben conosciute da +Jung.96 +Uno schizzo preparatorio di una delle immagini del Liber novus97 documenta il +probabile procedimento seguito da Jung nella loro realizzazione: abbozzo di un +primo disegno a matita, quindi una serie di successive elaborazioni. Nel +complesso della produzione pittorica di Jung che si è conservata, colpisce la +notevole discontinuità tra lo stile ௹gurativo dei paesaggi del 1902-03 e quello +astratto e semifigurativo delle immagini realizzate a partire dal 1915. +Arte e psicologia analitica a Zurigo +Anche tenuto conto di probabili perdite veri௹catesi nel corso degli anni, pochi +sono i libri d’arte moderna presenti nella biblioteca di Jung quale è giunta ௹no a +noi. Egli possedeva un catalogo della gra௹ca di Odilon Redon e una monogra௹a a +lui dedicata.98 Verosimilmente era venuto a conoscenza dell’opera del pittore +francese durante il soggiorno parigino. In generale le illustrazioni del Liber +novus rivelano chiare suggestioni del movimento simbolista. + Nell’ottobre 1910 Jung fece un viaggio in bicicletta nel Nord Italia insieme al +collega Hans Schmid. A Ravenna99 visitò gli affreschi e i mosaici, che suscitarono +in lui una profonda impressione. Alcune di queste opere sembrano anzi aver +esercitato una certa in௺uenza sullo stile delle sue illustrazioni, come dimostra la +predilezione per i colori forti, le con௹gurazioni di tipo musivo e le +rappresentazioni aprospettiche. +Durante il suo soggiorno a New York nel 1913 Jung visitò probabilmente +l’Armory Show, la prima grande esposizione internazionale di arte moderna in +America (restò aperta ௹no al 15 marzo, Jung era partito alla volta di New York +il 4 marzo). Nel seminario del 1925 egli fece riferimento a un’opera che +all’epoca aveva fatto scalpore a New York, il Nudo che scende una scala (1912) +di Marcel Duchamp, e aggiunse di essersi anche interessato all’evoluzione +artistica di Picasso.100 Ora, in mancanza di prove documentarie che attestino +uno studio sistematico, è probabile che le sue cognizioni relative all’arte +moderna derivassero principalmente da una sua diretta consuetudine con essa. +Gli anni di guerra videro ௹orire contatti tra la scuola di Zurigo e l’ambiente +artistico del Dada svizzero, entrambi movimenti d’avanguardia e crocevia di +cerchie sociali eterogenee.101 Erika Schlegel, che nel 1913 intraprese un’analisi +con Jung e lavorò come bibliotecaria del Club psicologico, era sorella della +pittrice e ballerina Sophie Taeuber, oltre che amica (come il marito Eugen +Schlegel) di Toni Wol௸. Non stupisce quindi che i membri del Club +partecipassero a eventi organizzati dal Dada zurighese. Per esempio, come notò +Hugo Ball,102 alcuni di loro presenziarono all’inaugurazione della Galleria Dada +il 29 marzo 1917. Il programma della serata prevedeva performance di danza +astratta di Sophie Taeuber e la lettura di poesie di Hugo Ball, Hans Arp e +Tristan Tzara. Sophie aveva studiato con Rudolf Laban e insieme al marito Hans +Arp creò un gruppo di danza formato da membri del Club psicologico. Si tenne +anche un ballo in maschera, per il quale Sophie disegnò i costumi.103 Nel 1918 +l’artista collaborò all’allestimento di uno spettacolo di marionette dal titolo Il re +cervo, che venne messo in scena nei boschi vicino al Burghölzli: «Freud +Analytikus» – con il «Dottor Complesso di Edipo» nei panni dell’antagonista – +veniva trasformato in un pappagallo a opera della fata «Ur-Libido», in una +rivisitazione in chiave parodistica del contrasto tra Freud e Jung, nonché di +tematiche a௸rontate da quest’ultimo in Trasformazioni e simboli della libido.104 +Malgrado questi scambi e tentativi di integrazione tra Dada e psicologia +analitica, i rapporti tra la cerchia junghiana e alcuni dei dadaisti andarono +deteriorandosi. Nel maggio 1917 Emmy Hennings scrisse al futuro marito Hugo +Ball che lo «Psicoclub» si era ritirato.105 L +’anno seguente Jung criticò il +movimento dadaista in un articolo pubblicato su una rivista svizzera, il che non +sfuggì all’attenzione degli interessati.106 Il principale punto di contrasto tra la +sua opera pittorica e quella dei dadaisti consisteva nell’importanza prioritaria + da lui attribuita alla ricerca di senso e di significato. +Jung realizzò i suoi esperimenti di autoesplorazione creativa, e i dipinti che vi +sono connessi, in un contesto esterno di esperienze analoghe e di forte interesse +per l’arte, e la pittura in particolare, da parte di amici e colleghi della sua +cerchia. Alphonse Maeder scrisse una monografia sul pittore svizzero Ferdinand +Hodler,107 con il quale peraltro intrattenne un’amichevole corrispondenza +epistolare.108 Intorno al 1916, Maeder ebbe una serie di visioni o fantasie che +pubblicò sotto pseudonimo. Quando Jung lo venne a sapere, esclamò: «Come, +anche lei?».109 Del pari, Hans Schmid registrò e ra௻gurò le proprie fantasie in +un’opera non priva di somiglianze con il Liber novus. Maria Moltzer, psicologa +analista olandese, era interessata a promuovere le attività artistiche della +scuola di Zurigo e mirava ad allargare il gruppo degli artisti coinvolti; aveva un +libro, da lei chiamato la sua bibbia, sul quale scriveva e disegnava, e altrettanto +suggerì di fare alla sua paziente americana Fanny Bowditch Katz.110 Da parte +sua Franz Riklin, considerato da Moltzer un modello,111 ebbe in analisi Josef +Bernard Lang – lo psicoterapeuta di Hermann Hesse – il quale iniziò a disegnare +immagini simboliche.112 +Nel 1919 Riklin partecipò con alcuni suoi quadri alla mostra collettiva +organizzata presso il Kunsthaus di Zurigo dal «Neues Leben», un collettivo di +artisti svizzeri, fra cui Hans Arp, Sophie Taeuber, Francis Picabia e Augusto +Giacometti.113 Grazie ai suoi contatti personali, Jung non avrebbe avuto +di௻coltà a esporre in quella sede qualche suo dipinto, se lo avesse voluto. +Pertanto il suo convincimento che essi non andassero considerati opere d’arte +non derivava dall’impossibilità di imboccare quella strada. Erika Schlegel +annotò nel suo diario in data 11 marzo 1921: +Ieri, da Jung, indossavo il mio pendente di perle (il ricamo perlinato fatto per me da Sophie), che gli +è piaciuto molto. Prendendone spunto, ha parlato vivacemente d’arte per quasi tutta l’ora. Di Riklin +(allievo di Augusto Giacometti) ha detto che, mentre i suoi lavori più piccoli hanno un certo valore +estetico, in quelli di maggiori dimensioni esso, invece, semplicemente si dissolve. Egli stesso si +dissolverebbe, come persona, nella sua arte, al punto da esserne completamente smaterializzato. +Sarebbe come una parete su cui scorre l’acqua, e dunque non sarebbe in grado di analizzare, dato +che per questo bisogna essere taglienti e a௻lati come un coltello. In un certo senso, sarebbe caduto +nell’arte. Ma l’arte e la scienza, ha detto, sono soltanto al servizio dello spirito creativo. È questo +che bisogna servire. +Anche per quanto riguarda le mie creazioni, il problema è di riconoscere se effettivamente si tratti di +arte. Le ௹abe, come le immagini, hanno in fondo un senso religioso. So anche che, prima o poi, +dovranno in qualche modo arrivare alla gente.114 +Dunque, a quanto pare, Riklin rappresentava agli occhi di Jung una sorta di +alter ego, di cui voleva evitare il destino. La testimonianza di Erika Schlegel +indica +inoltre +come +Jung +fosse +pervenuto, +attraverso +la +propria + autosperimentazione, a una netta relativizzazione dello statuto dell’arte e della +scienza. +In conclusione, il Liber novus non fu a௸atto il risultato di un’attività bizzarra e +idiosincratica e tanto meno il prodotto di una psicosi: esso si situa piuttosto +all’incrocio di una serie di sperimentazioni psicologiche e artistiche che videro +impegnati tanti spiriti dell’epoca, e rivela insospettati punti di convergenza e di +intersezione tra linee di ricerca in apparenza sconnesse. +L’esperimento collettivo +Nel 1915 Jung intrattenne un lungo scambio epistolare con il collega Hans +Schmid sulla questione dei tipi psicologici.115 Da questa corrispondenza non +a௻ora alcun indizio diretto dell’autoesplorazione da lui condotta in questo +periodo, e si chiarisce anzi come le concezioni che stava maturando non solo +traessero origine dalla pratica dell’immaginazione attiva, ma si basassero, +almeno in parte, anche su un’ordinaria attività di teorizzazione psicologica. Il 5 +marzo 1915 Jung scrisse allo psichiatra e psicoanalista Smith Ely Jelliffe: +Mi trovo ancora al seguito dell’esercito in una cittadina dove ho moltissime incombenze pratiche da +svolgere e mi devo spostare spesso a cavallo. (…) Fino al momento di essere richiamato in servizio +ho avuto un periodo tranquillo e mi sono dedicato ai pazienti e al lavoro. Mi ero concentrato +soprattutto sul problema dei due tipi di psicologia e sulla sintesi delle tendenze inconsce.116 +Nel corso della sua autoinvestigazione Jung sperimentò stati di grande +agitazione, ௹no ad arrivare – riferì in seguito –117 a momenti di vero e proprio +panico, che talora lo costringevano persino ad aggrapparsi al tavolo per non +andare in pezzi: «Spesso ero così sconvolto, che dovetti fare esercizi di yoga per +riuscire a dominare le mie emozioni; ma, poiché il mio proposito era di sapere +che cosa accadesse in me stesso, facevo questi esercizi solo ௹no a quando +ritrovavo la calma per poter riprendere il lavoro con l’inconscio».118 +In questo processo, ricordò Jung, venne trascinata anche Toni Wol௸, la quale +si trovò così a vivere un analogo ௺usso d’immagini. Jung sentiva che era +possibile discutere con lei di tali esperienze, ma di fatto anche Toni era +sconvolta, in preda a una profonda confusione.119 Sembrava che nessuno, +neppure sua moglie, fosse in grado di aiutarlo a fronteggiare la situazione, +cosicché, osservò nei Ricordi, riuscire a sopportare la tempesta «era solo +questione di forza bruta».120 +Il Club psicologico era stato fondato all’inizio del 1916 grazie a una cospicua +donazione (360000 franchi svizzeri) di Edith Rockefeller McCormick, la quale +era arrivata a Zurigo nel 1913 per intraprendere un’analisi con Jung. Nelle +intenzioni di quest’ultimo il Club, che all’inizio contava una sessantina di + membri, aveva lo scopo di studiare la relazione fra individui e gruppo, e di +creare uno spazio naturale di osservazione psicologica non assoggettata ai limiti +dell’analisi individuale; inoltre era pensato come luogo in cui i pazienti potessero +imparare ad adattarsi a situazioni comunitarie e sociali. Nel contempo +continuavano a tenersi le riunioni dell’Associazione di psicologia analitica, +fondata +due +anni +prima +e +costituita +da +un +corpo +professionale +di +psicoterapeuti.121 Jung partecipava in prima persona alle attività di entrambe le +organizzazioni. +L +’esperimento di autoesplorazione condotto da Jung ebbe conseguenze +signi௹cative anche nella sua pratica analitica. Egli cominciò infatti a +incoraggiare alcuni suoi pazienti a intraprendere processi analoghi di confronto +con l’inconscio, e impartì loro istruzioni su come lavorare con l’immaginazione +attiva, tenere dialoghi interiori e illustrare le proprie fantasie. Attribuì insomma +alle proprie esperienze, forse già all’atto di viverle, un valore paradigmatico. +Nel seminario del 1925 osservò: «Ho tratto il materiale empirico dai miei +pazienti, ma la soluzione del problema l’ho ricavata dall’interno, dalle mie +osservazioni dei processi inconsci».122 +Tina Keller, sua paziente dal 1912, ricordò che Jung «parlava spesso di sé e +delle proprie esperienze»: +A quell’epoca, quando si arrivava per la seduta di analisi, il cosiddetto Libro rosso era sovente +aperto, posizionato su un cavalletto. Il dottor Jung vi stava dipingendo o stava ௹nendo di dipingere +un’immagine. A volte capitava che mi mostrasse ciò che aveva fatto e lo commentasse. La cura e la +precisione con cui lavorava alla realizzazione di quelle immagini e del testo miniato che le +accompagnava testimoniavano del valore dell’impresa. Così il maestro dimostrava all’allievo che lo +sviluppo psichico richiede tempo e fatica.123 +Durante le sue analisi con Jung e Toni Wol௸, anche Tina Keller e௸ettuò +esercizi di immaginazione attiva e di ra௻gurazione pittorica delle proprie +fantasie. Dunque, ben diversamente da un’avventura solitaria, il confronto con +l’inconscio perseguito da Jung fu un’impresa collettiva che egli condivise con i +suoi pazienti. Coloro che gli erano vicini costituirono un gruppo d’avanguardia +impegnato in un esperimento sociale che speravano trasformasse la loro +esistenza, e quella di quanti erano intorno a loro. +Il ritorno dei morti +Nel mezzo di quella carne௹cina senza precedenti che fu la prima guerra +mondiale, il tema del ritorno dei morti era assai di௸uso, come mostra il ௹lm di +Abel Gance, J’accuse.124 Il massacro di vite umane ebbe anche l’e௸etto di +suscitare un rinnovato interesse per lo spiritismo. Così nel 1915, quando ormai + la minuta manoscritta del Liber novus era quasi completata,125 Jung rimise +mano, dopo quasi un anno, ai Libri neri per registrarvi una nuova serie di +fantasie. All’inizio del 1916, poi, sperimentò un’impressionante catena di +fenomeni paranormali che ebbero luogo nella sua abitazione e di cui parlò nel +1923 a Cary de Angulo (più tardi Baynes), la quale ne diede il seguente +resoconto in forma di lettera allo stesso Jung: +Una notte suo ௹glio ha cominciato a delirare nel sonno, dicendo di non potersi svegliare. Alla ௹ne +sua moglie ha dovuto chiamarla perché cercasse di tranquillizzarlo, e questo è stato possibile solo +avvolgendolo con delle coperte fredde. Finalmente il bambino si è calmato e ha ripreso a dormire. +La mattina seguente, al risveglio, non ricordava più nulla ma sembrava stremato, sicché lei gli ha +permesso di rimanere a casa da scuola; lui non ne ha domandato il motivo, ma sembrava come +darlo per scontato. Tuttavia, del tutto inaspettatamente, ha chiesto carta e matite colorate e si è +messo a disegnare la seguente immagine. Al centro del disegno c’era un uomo che pescava con amo +e lenza. A sinistra c’era il Diavolo che si rivolgeva all’uomo con parole che suo ௹glio scrisse sotto: il +Diavolo diceva di essere venuto per il pescatore, perché questi stava pescando i suoi pesci. A destra +del disegno, però, un angelo diceva a sua volta: «No, non puoi prendere quest’uomo, sta pescando +soltanto i pesci cattivi e nessuno di quelli buoni». Dopo aver terminato il disegno, suo ௹glio +sembrava piuttosto soddisfatto. Quella stessa notte, due delle sue ௹glie hanno creduto di vedere dei +fantasmi nelle loro stanze. Il giorno dopo lei ha scritto i Sermoni ai morti, dopodiché ha capito che +più nulla avrebbe disturbato la sua famiglia, e difatti così è stato. Naturalmente mi era chiaro che, +nel disegno di suo ௹glio, il pescatore era lei, come mi ha confermato, ma questo il bambino non lo +sapeva.126 +Jung riferì poi nei Ricordi: +La domenica, verso le cinque del pomeriggio, il campanello del portone di casa si mise a suonare +all’impazzata. Era un giorno chiaro d’estate, e le due domestiche stavano in cucina, da dove si +poteva vedere tutta la piazza antistante la casa. Io stavo seduto non lontano dal campanello, e non +solo l’avevo sentito suonare, ma l’avevo visto muoversi. Tutti corsero immediatamente alla porta per +vedere chi fosse, ma non c’era nessuno. Ci limitammo a guardarci in faccia: l’atmosfera era greve! +Allora capii che doveva accadere qualcosa. Tutta la casa era come abitata da una folla, quasi fosse +stipata di spiriti. Si a௸ollavano ௹n sotto la porta, e si aveva la sensazione di poter respirare a fatica. +Ero naturalmente tormentato dalla domanda: «Per amor di Dio, di che mai si tratta?». Allora in coro +gridarono: «Ritorniamo da Gerusalemme, dove non abbiamo trovato ciò che cercavamo». Queste +parole corrispondono alle prime righe dei Septem sermones ad mortuos. Poi cominciò un ௺usso +ininterrotto, e in tre sole sere avevo scritto tutto. Appena avevo preso la penna, tutta quella folla di +spiriti era svanita. La stanza era tornata tranquilla, l’atmosfera limpida: l’invasione era finita.127 +I morti erano apparsi in una fantasia del 17 gennaio 1914, nel corso della +quale avevano annunciato la loro andata a Gerusalemme per pregare sul Santo +Sepolcro,128 ma evidentemente il loro viaggio non aveva avuto un esito positivo. I +Septem sermones ad mortuos costituiscono il culmine delle fantasie di Jung in + questo periodo e delineano, nella forma di un mito gnostico della creazione, una +cosmologia psicologica incentrata sulla nascita di un nuovo Dio nell’anima di +Jung, Abraxas, il Dio ௹glio dei ranocchi. Jung ne diede un’interpretazione +simbolica, riconoscendo in Abraxas una rappresentazione dell’unione del Dio +cristiano e di Satana, e dunque della trasformazione dell’immagine occidentale +di Dio. Bisognerà aspettare ௹no al 1952 perché Jung, con Risposta a Giobbe, +presenti al pubblico un’elaborazione di questo tema. +Nel corso delle sue ricerche preparatorie per Trasformazioni e simboli della +libido Jung aveva già studiato la letteratura sullo gnosticismo; poi, durante il +periodo di servizio militare nel gennaio e nell’ottobre 1915, si immerse nella +lettura diretta dei testi gnostici originali. Dopo aver completato i Septem +sermones nei Libri neri, li ricopiò in scrittura calligra௹ca in un opuscolo +separato, modi௹cando leggermente l’ordine di successione dei capitoli. Sotto il +titolo appose la dicitura: «I sette insegnamenti dei morti. Scritti da Basilide in +Alessandria, la città dove l’Oriente tocca l’Occidente».129 Nell’edizione privata +che poi ne fece stampare, aggiunse una indicazione – «Tradotti dall’originale +greco in lingua tedesca» – che rivela l’in௺uenza stilistica che aveva avuto su di +lui il classicismo erudito tardo-ottocentesco. In seguito Jung ricordò di aver +redatto i Sermones in coincidenza con la fondazione del Club psicologico e di +considerarli un tributo a Edith Rockefeller McCormick per la sua generosa +donazione.130 Anche ad amici e con௹denti egli fece omaggio di copie; per +l’occasione scrisse, per esempio, ad Alphonse Maeder: +Non potevo (…) pretendere di anteporre il mio nome, ho invece scelto [per il mio libretto] il nome di +uno di quei grandi spiriti dell’epoca paleocristiana che il cristianesimo ha cancellato. Esso mi è +caduto in grembo all’improvviso come un frutto maturo, sotto la pressione di un periodo di௻cile, e +in giorni bui mi ha acceso una luce di speranza e di conforto.131 +Il 16 gennaio 1916 Jung disegnò nei Libri neri un mandala che costituisce +l’abbozzo di quella cosmologia ௹gurata dei Sermones che è il Systema +Munditotius (app. A, nn. 5 e 6). Dopo averlo dipinto, scrisse sul retro in inglese: +«Questo è il primo mandala da me realizzato, nell’anno 1916, senza che avessi +alcuna consapevolezza del suo signi௹cato». Nei Libri neri, intanto, continuava a +registrare le sue fantasie. +Tra l’11 giugno e il 2 ottobre 1917 Jung prestò servizio militare a Château +d’Oex come comandante dei prigionieri di guerra inglesi. Ad agosto scrisse a +Smith Ely Jelli௸e che gli impegni della vita militare lo avevano completamente +distolto dal suo lavoro e che sperava, al ritorno, di terminare un lungo saggio sui +tipi. Concludeva la lettera con queste parole: «Da noi tutto è immutato e +tranquillo. Tutto il resto è stato inghiottito dalla guerra. La psicosi è in costante +crescita, aumenta di giorno in giorno».132 +In questo periodo Jung continuava ad avere l’impressione di trovarsi in una + situazione di caos, che comincerà a chiarirsi solo verso la conclusione della +guerra.133 Tra i primi di agosto e la ௹ne di settembre disegnò a matita sul suo +taccuino militare, che poi ebbe cura di conservare, una serie di ventisette +mandala.134 Fin dall’inizio, pur non comprendendone il signi௹cato, ne intuì però +l’importanza cruciale. Così, a partire dal 20 agosto, prese a disegnare mandala +con cadenza quasi quotidiana, ciò che gli diede la sensazione di avere una sorta +di fotogra௹a giornaliera del suo stato interiore e gli permise di osservare i +cambiamenti che tali immagini subivano nel corso del processo. Più tardi ricordò +di aver ricevuto una lettera da «quella signora olandese» che lo aveva +«terribilmente innervosito».135 La signora in questione, Maria Moltzer, +sosteneva nella lettera che «le fantasie provenienti dall’inconscio hanno valore +artistico e devono essere riguardate come arte».136 Un’a௸ermazione che irritò +Jung in quanto tutt’altro che insensata, specie in considerazione della tendenza +dell’artista moderno a creare le sue opere lasciandosi guidare dall’inconscio. In +preda al dubbio se le sue fantasie fossero davvero spontanee e naturali, il giorno +seguente disegnò un mandala con una sezione mancante, ciò che ne spezzava la +simmetria: +Solo un po’ per volta scoprii che cosa è veramente il mandala: «Formarsi, trasformarsi, eterno +giuoco dell’eterna mente». E questo è il Sé, la personalità nella sua interezza, che è armoniosa se +tutto va bene, ma non sopporta l’autoinganno. I miei mandala erano crittogrammi concernenti lo +stato del mio Sé, che mi erano proposti quotidianamente.137 +Il mandala in questione sembra essere quello realizzato il 6 agosto 1917.138 +La citazione proviene dal Faust di Goethe, là dove Me௹stofele si rivolge a Faust +fornendogli indicazioni su come raggiungere il regno delle Madri: +Un tripode infuocato ti dirà finalmente +che avrai toccato il fondo del più profondo abisso. +Alla sua luce tu vedrai le Madri. +Siedono alcune, altre stanno e si muovono +come il caso comporta. Formarsi, trasformarsi, +eterno giuoco dell’eterna mente [Sinnes]. +Avvolte dalle immagini di tutte le creature +non ti vedono. Vedono solo ombre. +Fa’ cuore allora, ché è grande il pericolo: +e vai dritto a quel tripode, +toccalo con la chiave!139 +Jung riprodusse i suoi mandala nel Liber novus. Proprio in questo periodo, +ricordò in seguito, aveva avuto per la prima volta una vivida idea del Sé: «Mi +appariva come la monade che io sono e che è il mio mondo. Il mandala +rappresenta +questa +monade, +e +corrisponde +alla +natura +microcosmica + dell’anima».140 All’epoca Jung ancora non sapeva dove lo stesse portando il +processo intrapreso, ma cominciò a intuire che il mandala ne ra௻gurava la +meta: «Solo quando iniziai a disegnare i mandala vidi che tutto, tutte le strade +che avevo seguito, tutti i passi compiuti, riportavano sempre a un solo punto, +cioè nel mezzo. Mi fu sempre più chiaro che il mandala è il centro. È +l’espressione di tutte le vie».141 Nel corso degli anni venti Jung si addentrerà poi +nella comprensione del significato di questo simbolo del Sé. +La minuta riportava le fantasie sperimentate fra l’ottobre 1913 e il febbraio +1914. Nell’inverno del 1917 Jung cominciò a lavorare a un nuovo manoscritto, +che chiamò Prove (Prüfungen), riprendendo dal punto in cui si era interrotto. +Trascrisse qui le fantasie fatte dall’aprile 1914 ௹no al giugno 1916 e, come nelle +prime due parti del Liber novus, le alternò con materiale interpretativo, +comprensivo anche dei Sermones e dei commenti di Filemone a ogni sermone.142 +In queste sue ri௺essioni Filemone accentuò la natura compensatoria del suo +insegnamento, mettendo in voluta evidenza proprio quelle concezioni che +mancavano ai morti. Le Prove, di fatto, costituiscono la terza parte del Liber +novus, secondo la sequenza: Liber primus. La via di quel che ha da venire - +Liber secundus. Le immagini dell’errante - Liber tertius. Prove. +In questo periodo Jung continuò a trascrivere la minuta nel volume calligra௹co +aggiungendovi immagini, mentre le fantasie registrate nei Libri neri si fecero più +sporadiche. Nelle Prove presentò la comprensione del signi௹cato del Sé cui era +pervenuto nell’autunno del 1917:143 essa includeva la sua visione del Dio rinato, +culminante nella descrizione di Abraxas. Gli divenne chiaro che molta parte di +quanto aveva riportato nel Liber novus gli era stato trasmesso da Filemone.144 +Nello stesso tempo si avvide che c’era sì in lui un vecchio saggio con il dono +della profezia, ma che non gli era del tutto identico; e questa consapevolezza +mise in moto un fondamentale processo di disidenti௹cazione. Il 17 gennaio 1918 +Jung scrisse a Josef Bernard Lang: +Il lavoro sull’inconscio va fatto in primo luogo per noi stessi, anche se indirettamente andrà a +bene௹cio dei nostri pazienti. Il pericolo è quello della follia profetica, spesso in agguato quando si +ha a che fare con l’inconscio. È il Diavolo che dice: disprezza la ragione e la scienza, eccelsi poteri +dell’uomo. Questo fatto non va mai dimenticato, anche se siamo costretti a riconoscere l’esistenza +dell’irrazionale.145 +Il compito decisivo che Jung si era pre௹sso nella fase di «elaborazione» delle +proprie fantasie era stato quello di di௸erenziare voci e personaggi. Per esempio, +nei Libri neri è l’Io di Jung a pronunciare i Sermones ad mortuos, mentre nelle +Prove questo ruolo è svolto da Filemone. Nei Libri neri la principale ௹gura con +cui dialoga Jung è la sua anima, in alcune sezioni del Liber novus il serpente e +l’uccello. In una conversazione del gennaio 1916, l’anima gli spiega che quando +il Sopra e il Sotto sono disgiunti, lei si scinde in tre parti: un serpente, l’anima + umana e un uccello o anima celeste in contatto con gli dèi. La revisione di Jung +sembra dunque derivare da una comprensione della struttura tripartita della +propria anima.146 +Nel frattempo Jung continuò a elaborare il suo materiale, discutendone anche +con alcuni colleghi, come provano alcune indicazioni. Per esempio, a J.B. Lang, +che gli aveva comunicato alcune sue fantasie, egli scrisse nel marzo 1918: +Non desidero aggiungere altro al fatto che questa linea va mantenuta perché, come lei osserva +molto correttamente, è necessario che noi sperimentiamo i contenuti dell’inconscio prima di +formarci opinioni su di esso. Sono pienamente d’accordo con lei sul fatto che dobbiamo +confrontarci con il contenuto conoscitivo della gnosi e del neoplatonismo, perché tali sistemi +contengono materiali atti a costituire le basi di una teoria dello spirito inconscio. Io stesso sono +impegnato già da tempo in questo lavoro, e in diverse occasioni ho avuto anche l’opportunità di +confrontare, almeno in parte, le mie esperienze con quelle di altri. Mi ha fatto perciò molto piacere +vedere che le sue concezioni sono del tutto in linea con le mie. Mi rallegra sapere che lei ha scoperto +per conto suo questo terreno di ricerca pronto a essere dissodato. Finora quel che mi mancava +erano i lavoratori. Mi dà gioia sapere che vuole unire le sue forze alle mie. Ritengo essenziale che lei +elabori il proprio materiale proveniente dall’inconscio senza essere in௺uenzato e con la massima +accuratezza. Il mio materiale – molto voluminoso, molto complicato e in alcune parti molto ௹gurato +– l’ho già elaborato ௹no a conseguire una comprensione quasi completa. Ciò di cui sono però del +tutto sprovvisto è materiale moderno di comparazione. Lo Zarathustra ha preso forma in un eccesso +di consapevolezza. Meyrink ritocca in senso estetico; inoltre ho la sensazione che gli faccia difetto la +serietà religiosa.147 +Il contenuto +Il Liber novus presenta dunque una serie di esercizi di immaginazione attiva +insieme allo sforzo compiuto dal suo autore per a௸errarne il signi௹cato +attraverso una rete di percorsi di ricerca fra loro interconnessi: un tentativo di +conoscere se stesso e di integrare e sviluppare le varie componenti della propria +personalità; un tentativo di comprendere la struttura della personalità umana in +generale; un tentativo di capire la relazione dell’individuo con la realtà sociale +contemporanea e la comunità dei defunti; un tentativo di cogliere gli e௸etti +psicologici e storici del cristianesimo; un tentativo, in௹ne, di pre௹gurare le linee +dello sviluppo religioso in Occidente. Intorno a questo nucleo centrale, Jung +tratta nell’opera molti altri temi quali: la natura della conoscenza di sé; la +natura dell’anima; le relazioni tra pensiero, sentimento e tipi psicologici; le +relazioni tra mascolinità e femminilità; l’uni௹cazione degli opposti; la solitudine; +il valore della cultura e dello studio; lo status della scienza; il signi௹cato dei +simboli e come essi vadano compresi; il signi௹cato della guerra; la pazzia, la +follia divina e la psichiatria; come intendere oggi l’«imitazione di Cristo»; la + morte di Dio; il significato storico di Nietzsche; la relazione fra magia e ragione. +Il tema che permea l’intero libro resta comunque il modo in cui Jung si +riavvicina +alla +propria +anima +e +supera +il +malessere +contemporaneo +dell’alienazione spirituale. Il raggiungimento di questo obiettivo diventa +possibile accettando la rinascita nella propria anima di una nuova immagine di +Dio e sviluppando una nuova visione del mondo nella forma di una cosmologia +psicologica e teologica. Il Liber novus presenta il prototipo del processo di +individuazione quale era concepito da Jung, vale a dire quale forma universale di +sviluppo psicologico individuale. Il Liber stesso può essere inteso per un verso +come una ra௻gurazione del personale processo di individuazione sperimentato +da Jung, e per un altro come un’elaborazione concettuale di tale esperienza in +uno schema psicologico dotato di validità generale. All’inizio del libro, Jung +ritrova la sua anima ed è coinvolto in una serie di avventure fantastiche che +costituiscono i momenti di una narrazione progressiva. Egli comprende di aver +servito ௹no ad allora lo «spirito del tempo» con i valori e i codici di +comportamento che gli sono propri, ma che oltre a questo vi è uno «spirito del +profondo» che conduce alla realtà dell’anima. Nei termini dei suoi tardi Ricordi, +i due spiriti corrispondono rispettivamente alle personalità numero 1 e numero +2, e la fase rappresentata nel Liber può dunque essere vista come un ritorno ai +valori della personalità numero 2. +Tutti i capitoli sono organizzati secondo una precisa struttura compositiva. Si +aprono con il racconto drammatizzato delle fantasie visive, in cui Jung incontra +una serie di ௹gure in svariate situazioni, entra in conversazione con loro e viene +così messo di fronte a eventi inaspettati e ad a௸ermazioni scioccanti. A questa +prima sezione narrativa segue il tentativo di comprenderne e di esprimerne il +signi௹cato sotto forma di concetti e principi psicologici generali. Secondo Jung, il +valore delle sue fantasie consisteva nel fatto di scaturire dall’immaginazione +mitopoietica, una facoltà che lo spirito razionalistico dell’epoca moderna gli +sembrava aver perduto. L +’individuazione persegue l’obiettivo di istituire un +dialogo con le ௹gure fantastiche del mondo interno – cioè con i contenuti +dell’inconscio collettivo – a௻nché vengano integrate nella coscienza, in modo da +riattivare la funzione dell’immaginazione mitopoietica e riconciliare così lo +spirito del tempo con lo spirito del profondo. Un compito che costituirà una delle +questioni centrali della successiva opera scientifica di Jung. +«Una nuova sorgente di vita» +Nel 1916 Jung scrisse vari saggi e un breve libro in cui per la prima volta +cercò di trasporre nel linguaggio psicologico contemporaneo alcuni temi del +Liber novus e di ri௺ettere sul signi௹cato complessivo della sua attività. È +indicativo che proprio questi lavori pre௹gurino le principali componenti della sua + psicologia matura. Poiché un’analisi dettagliata di questi scritti esorbiterebbe +dagli scopi di questa introduzione, si focalizzerà l’attenzione sugli elementi che +ineriscono più da vicino al Liber novus. +Le opere composte tra il 1911 e il 1914 miravano anzitutto a fornire una +spiegazione strutturale del funzionamento della psiche umana e della +psicopatologia. Oltre alla teoria dei complessi, Jung aveva già formulato una +serie di altre concezioni relative a: l’esistenza di un inconscio acquisito per via +௹logenetica e popolato da immagini mitiche; l’esistenza di un’energia psichica +non sessuale; la classi௹cazione dei tipi psicologici secondo i due orientamenti +generali dell’introversione e dell’estroversione; la funzione compensatoria dei +sogni e l’approccio sintetico e costruttivo alle fantasie. Nel corso di questo +sforzo di approfondimento e ampliamento delle basi teoriche della psicologia +junghiana, emerge un progetto nuovo: il tentativo di enucleare una +rappresentazione temporale di uno sviluppo più elevato, a cui Jung diede il nome +di processo di individuazione. Si trattava di un fondamentale portato teorico +della sua autosperimentazione, la cui piena elaborazione, con il concomitante +lavoro di comparazione storico-culturale, occuperà Jung per il resto della vita. +Nel 1916 Jung tenne all’Associazione di psicologia analitica una conferenza +intitolata La struttura dell’inconscio, che venne pubblicata per la prima volta in +traduzione francese nella rivista «Archives de psychologie» diretta da +Flournoy.148 In essa teorizzò la presenza nell’inconscio di due strati distinti: +l’inconscio personale, consistente in materiali acquisiti durante l’esistenza +individuale insieme a fattori psicologici che potrebbero anche diventare +coscienti, e l’inconscio impersonale o psiche collettiva. Mentre il conscio e +l’inconscio personali si sviluppano e si acquisiscono nel corso dell’esistenza, la +psiche collettiva è ereditata. Nel trattare poi i peculiari fenomeni che derivano +dall’assimilazione dell’inconscio, Jung osserva che chi considera come qualità +personali i contenuti della psiche collettiva, sperimenta stati estremi di +superiorità o inferiorità – di «somiglianza con Dio» (Gottähnlichkeit), com’egli li +de௹nisce servendosi di un’espressione mutuata da Goethe e Alfred Adler. Questi +stati, dovuti appunto a una commistione tra psiche personale e psiche collettiva, +rappresentano uno dei pericoli dell’analisi. +Secondo Jung, la di௸erenziazione della psiche personale da quella collettiva è +compito tutt’altro che facile. Uno dei fattori in gioco è costituito dalla Persona, +la «maschera» dell’individuo, il suo «ruolo». Essa rappresenta un segmento della +psiche collettiva erroneamente considerato individuale, cosicché, quando si +analizza tale fattore, la personalità si dissolve nella psiche collettiva, la quale si +manifesta con un ௺usso di fantasie: «Si dischiude l’intera ricchezza del pensiero +e del sentimento mitologici».149 La di௸erenza tra questa condizione e uno stato +di alienazione mentale sta nel fatto che nel primo caso, emergendo l’inconscio +per mezzo di un’analisi cosciente, il processo ha carattere intenzionale. + A questo punto si aprono due strade: si può tentare una ricostituzione +regressiva della Persona e fare ritorno alla condizione precedente – ma liberarsi +dell’inconscio non è possibile; oppure si può accettare lo stato di identi௹cazione +con la psiche collettiva, cioè la «somiglianza con Dio» – una soluzione non meno +insoddisfacente della prima. Esiste però anche una terza via: il trattamento +ermeneutico delle fantasie creative. Esso dà luogo a una sintesi di psiche +individuale e collettiva, attraverso la quale si schiude la «linea di vita +individuale»: è questo il processo di individuazione. In una successiva revisione +non datata del saggio Jung introdusse la nozione di Anima come controparte +della nozione di Persona e considerò entrambe «imago soggettuali»: ma mentre +la Persona ri௺ette il modo in cui il soggetto «appare ed è visto dal mondo», +l’Anima riflette quello in cui esso «viene visto dall’inconscio collettivo».150 +La +vivace +descrizione +delle +vicissitudini +relative +alla +condizione +di +«somiglianza con Dio» rispecchia taluni degli stati d’animo che caratterizzarono +l’esperienza di confronto con l’inconscio vissuta da Jung. La nozione di +di௸erenziazione della Persona e la relativa analisi corrispondono alla parte +iniziale del Liber novus, nella quale Jung accantonò il suo ruolo e i risultati +ottenuti nelle vesti di scienziato della psiche e si accinse a riavvicinarsi alla +propria anima. Quel che ne conseguì, nel suo caso, fu proprio uno scatenamento +di fantasie mitologiche, che nel secondo strato del Liber furono sottoposte a +elaborazione ermeneutica. La di௸erenziazione fra inconscio personale e +impersonale permise a Jung di raggiungere una comprensione teorica delle +proprie fantasie mitologiche: se ne deduce che in queste egli riconobbe il +derivato non tanto del suo inconscio personale, quanto della psiche collettiva +ereditaria. Lungi perciò dall’essere semplici manifestazioni idiosincratiche o +arbitrarie, esse scaturivano da uno strato psichico che rappresentava un +patrimonio collettivo ereditario dell’umanità. +Nell’ottobre dello stesso anno 1916 Jung tenne al Club psicologico due +conferenze, +intitolate +rispettivamente Adattamento +e Individuazione +e +collettività.151 Nella prima, dopo aver distinto le due forme che l’adattamento +può assumere a seconda che sia relativo alle condizioni esterne o alle condizioni +interne, cioè all’inconscio, Jung mostra come nel secondo processo emerga +un’esigenza di individuazione che si situa agli antipodi di qualsivoglia conformità +agli altri. Accettare questo bisogno e la connessa rottura dell’unanimità +comporta una colpa tragica che esige espiazione e richiede una nuova «funzione +collettiva», poiché la persona individuata deve creare valori sostitutivi in grado +di compensare la sua assenza dalla società. Tali nuovi valori sono il suo modo di +risarcire la collettività. L +’individuazione resta un’esperienza riservata a pochi. +Chi non ha su௻cienti energie creative dovrebbe «scegliersi una società e +ricostituire con essa l’unanimità collettiva», mentre l’uomo individuato dovrebbe +creare valori non soltanto nuovi, ma anche socialmente riconoscibili, perché la + società «ha il diritto ad avere valori utilizzabili».152 +Alla luce della situazione di Jung, queste ri௺essioni suggeriscono che il suo +«congedo» dall’unanimità sociale al ௹ne di perseguire la propria individuazione +lo convinse della necessità di produrre, quale espiazione, valori socialmente +utili. Ne conseguì un dilemma: era socialmente accettabile e riconoscibile la +forma in cui egli stava trasfondendo i nuovi valori nel Liber novus? Fu proprio +questo senso del dovere verso le esigenze della società a distinguere Jung +dall’anarchismo dadaista. +Nella seconda conferenza Jung torna a correlare individuazione e collettività, +de௹nendole una coppia di contrari vincolati da un rapporto di colpa. La società +esige l’imitazione e attraverso il processo mimetico l’individuo accede ai valori +che gli sono propri. In analisi «l’imitazione anima reattivamente i valori del +paziente, ed egli apprende in questo modo l’individuazione».153 Possiamo leggere +in quest’a௸ermazione un commento sul ruolo dell’imitazione nei trattamenti +analitici di quei pazienti che Jung stava incoraggiando a intraprendere processi +di sviluppo simili al proprio. La convinzione che tale processo suscitasse valori +preesistenti del paziente costituiva una confutazione preventiva dell’accusa di +suggestione. +In novembre, durante un periodo di servizio militare a Herisau, Jung scrisse il +saggio La funzione trascendente, che sarebbe stato pubblicato solo nel 1957.154 +In esso espose il metodo da lui elaborato per evocare e sviluppare le fantasie – +quello che in seguito avrebbe denominato «immaginazione attiva» – e illustrò i +presupposti teorici del suo sistema terapeutico. Il saggio può essere considerato +un bilancio provvisorio della sua autosperimentazione, e potrebbe efficacemente +fungere da introduzione al Liber novus. +Jung si rese conto che il nuovo atteggiamento cosciente determinato +dall’analisi, dopo un periodo più o meno lungo, si rivela insu௻ciente e risulta +quindi necessario correggerne l’unilateralità mediante l’integrazione dei +contenuti inconsci. Poiché però, in considerazione del basso grado di tensione +energetica durante il sonno, i sogni costituiscono espressioni inferiori di tali +contenuti, bisogna rivolgersi ad altre fonti, ovvero alle fantasie spontanee. Un +ra௸ronto accurato tra i Libri neri e un quaderno, scoperto di recente, in cui è +riportata una serie di sogni fatti da Jung fra il 1917 e il 1925,155 indica che i suoi +esercizi di immaginazione attiva non derivavano direttamente dai sogni e che +questi due processi immaginativi erano, in genere, indipendenti l’uno dall’altro. +Jung descrisse così la sua tecnica volta a evocare le fantasie spontanee: +«L +’allenamento consiste anzitutto in un addestramento sistematico a escludere +l’attenzione critica, producendo così un vuoto della coscienza».156 Si comincia +concentrandosi su un particolare stato d’animo e ci si sforza di essere il più +possibile consapevoli di tutte le fantasie e associazioni che emergono in +relazione a esso. Lo scopo è quello di consentire il libero gioco della fantasia in + un processo di libere associazioni che non si discosti però dallo stimolo a௸ettivo +iniziale. Questo rende possibile il formarsi di un’espressione concreta o +simbolica dello stato d’animo, avvicinando così quest’ultimo alla coscienza e +rendendolo quindi maggiormente comprensibile. Già in questa fase, la procedura +ha un e௸etto vivi௹cante. A seconda poi delle proprie inclinazioni, ci si può +servire del disegno, della pittura o della scultura: +Le persone con doti visive devono indirizzare la loro «attesa» in modo che ne risulti un’immagine +interiore. Di regola si presenterà un’immagine fantastica (di natura forse ipnagogica) che dovrà +essere osservata con cura e ௹ssata per iscritto. Le persone con propensioni acustico-verbali sentono +invece di solito delle parole interiori. Inizialmente sono forse semplici frammenti di frasi in +apparenza senza senso (…). Altri percepiscono in questi momenti semplicemente l’«altra» voce che è +in loro. (…) Un caso ancora più raro, ma anch’esso utilizzabile, è la «scrittura automatica», diretta o +con la planchette.157 +Una volta che le fantasie si sono prodotte e concretate, risultano possibili due +approcci: la formulazione creativa e la comprensione. Si tratta di due strade +legate da un rapporto di compensazione che ne fa l’una il principio regolatore +dell’altra. In tal modo entrambe concorrono ad attivare la funzione +trascendente che si esprime dall’unificazione dei contenuti consci e inconsci. +Jung osservò che ad alcuni risulta facile ௹ssare l’«altra» voce per iscritto e +risponderle dal punto di vista dell’Io: «si veri௹ca qualcosa di analogo a un +dialogo condotto tra due persone»,158 un dialogo che porta all’attivazione della +funzione trascendente con conseguente allargamento della coscienza. Questa +descrizione della tecnica del dialogo interiore e dei procedimenti di evocazione +delle fantasie in stato di veglia collima con l’esperienza registrata da Jung nei +Libri neri, mentre l’integrazione di formulazione creativa e comprensione +corrisponde all’impresa realizzata nel Liber novus. Nondimeno Jung non +pubblicò, all’epoca della sua redazione, il saggio sulla funzione trascendente, +che lasciò incompiuto – ricordò in seguito – non essendone del tutto convinto.159 +Nel 1917 Jung diede alle stampe un libretto dal lungo titolo Psicologia dei +processi inconsci. Una veduta d’insieme della teoria e del metodo moderni +della psicologia analitica.160 Nella prefazione, datata dicembre 1916, egli +osservò che i processi psicologici che avevano accompagnato l’esperienza della +guerra avevano reso evidente il problema dell’inconscio caotico. Tuttavia, dato +che la psicologia del singolo corrisponde alla psicologia della nazione, solo la +trasformazione dell’atteggiamento individuale avrebbe potuto arrecare un +rinnovamento culturale.161 In tal modo Jung articolava l’intima interdipendenza +tra individuo ed eventi collettivi che stava al cuore del Liber novus. La +corrispondenza tra le sue visioni precognitive e lo scoppio della guerra gli aveva +reso manifeste le profonde connessioni subliminali tra fantasie individuali ed +eventi collettivi, e quindi tra psicologia dell’individuo e psicologia della nazione. + Il suo compito era adesso di elaborare e approfondire questa connessione. +Jung notò che, dopo aver analizzato e integrato i contenuti dell’inconscio +personale, si viene confrontati con fantasie mitologiche che scaturiscono dallo +strato ௹logenetico dell’inconscio.162 Egli fornì quindi una descrizione di quello +che, con denominazioni interscambiabili, chiamava inconscio collettivo, +sovrapersonale o assoluto, e sottolineò la necessità per il singolo individuo di +separare se stesso dall’inconscio, ponendoselo innanzi come un qualcosa di altro +da sé. In questo senso assumeva importanza fondamentale di௸erenziare l’Io dal +non-Io, cioè dalla psiche collettiva o inconscio assoluto. Infatti «la distinzione fra +Io e non-Io è ciò che permette all’uomo di attuare su solide basi la sua funzione +dell’Io, ossia di compiere il suo dovere verso la vita, di essere sotto ogni punto di +vista un membro vitale della società umana».163 Una formulazione, questa, che +enuncia esattamente proprio gli obiettivi che in quel periodo Jung stava +cercando di realizzare. +I contenuti dell’inconscio sovrapersonale cui Jung fa qui riferimento, +corrispondono a quelli che in Trasformazioni e simboli della libido aveva +denominato miti tipici o immagini primordiali. Si tratta di «dominanti» +descrivibili come «i dominatori, gli dèi, ossia le immagini di leggi e principi +fondamentali, di regolarità medie nel dispiegarsi delle immagini che il cervello +ha ricevuto nel corso di processi secolari».164 Ora, è proprio a queste dominanti +che bisogna prestare particolare attenzione, mirando soprattutto a ottenere «il +distacco dei contenuti mitologici della psiche collettiva dagli oggetti della +coscienza e il loro consolidarsi come realtà psicologiche al di fuori della psiche +individuale».165 Ciò permette di venire a patti con i residui attivati della nostra +storia ancestrale, mentre dalla di௸erenziazione del personale dall’impersonale +consegue una liberazione di energia. +Queste considerazioni ri௺ettono l’attività coeva di Jung, cioè lo sforzo di +di௸erenziare le varie ௹gure che gli si presentavano, e di «consolidarle come +realtà psicologiche». Aver compreso che non si trattava di mere ௹nzioni +soggettive, ma di entità dotate a pieno titolo di realtà psicologica, costituì il +principale insegnamento che egli ascrisse al personaggio di Elia: l’oggettività +psichica.166 +Nel libro Jung a௸ermò inoltre che la nuova età dei Lumi, scettica e +razionalistica, inaugurata dalla Rivoluzione francese aveva portato con sé una +rimozione del religioso e dell’irrazionale, una rimozione che aveva avuto +conseguenze negative d’ampia portata, ௹no all’esplosione di irrazionalismo +rappresentata dalla guerra mondiale. Di qui la necessità storica, sottolineata da +Jung in perfetta consonanza con uno dei temi centrali del Liber novus, di +riconoscere nell’irrazionale un fattore psicologico indispensabile. +Nel riprendere la sua teoria dei tipi alla luce di quella che chiama «legge +dell’enantiodromia», o conversione nell’opposto, Jung osserva poi che il di௸uso + fenomeno dell’estremizzazione delle caratteristiche psicologiche ha come +conseguenza l’attivazione delle funzioni secondarie presenti nell’inconscio, vale +a dire il sentimento per l’introverso e il pensiero per l’estroverso. In questo +modo lo sviluppo della funzione opposta a quella dominante conduce +all’individuazione. Tuttavia, poiché tale funzione opposta risulta inaccettabile +alla coscienza, è necessaria una tecnica speci௹ca che consenta di venire a patti +con essa: la funzione trascendente è appunto lo strumento che opera l’auspicata +uni௹cazione. L +’inconscio costituisce un pericolo se non si è in contatto con esso, +ma con l’attivazione della funzione trascendente lo squilibrio cessa, e il nuovo +bilanciamento così raggiunto permette di accedere agli aspetti produttivi e +benefici dell’inconscio. +Quest’ultimo si rivela così il contenitore della saggezza e dell’esperienza di +tutte le epoche che ci hanno preceduto, e pertanto rappresenta una guida +impareggiabile. I capitoli del Liber novus relativi alla «rappresentazione dei +misteri» trattano dello sviluppo della funzione opposta,167 ma di fatto l’intera +opera, nel corso della quale Jung chiede alla sua anima di svelargli il signi௹cato +delle sue fantasie e ciò che essa vede, può essere letta come un tentativo di +accedere a quella che egli considera la superiore fonte di saggezza +dell’inconscio. Non a caso, nella conclusione di Psicologia dei processi inconsci +Jung sottolinea la natura personale ed esperienziale delle sue nuove concezioni: +«La nostra era è alla ricerca di una nuova sorgente di vita. Io ne ho trovata una +e mi ci sono abbeverato, e la sua acqua era buona».168 +La via verso il Sé +Nel 1918, in un saggio intitolato Sull’inconscio, Jung osservò che ognuno di noi +si trova a cavallo fra i due mondi della percezione sensibile e della percezione +inconscia – una distinzione che rispecchia il suo personale vissuto in quel +periodo. Se per Friedrich Schiller l’accostamento di questi due mondi poteva +avvenire grazie all’arte, per Jung «la conciliazione tra verità razionale e verità +irrazionale può realizzarsi non tanto nell’arte quanto piuttosto nel simbolo, +perché il simbolo contiene, per sua natura, ambedue gli aspetti, quello razionale +e quello irrazionale».169 Egli riteneva che i simboli scaturissero dall’inconscio e +che la più importante funzione di quest’ultimo fosse proprio la produzione di +simboli. Mentre la funzione compensatoria dell’inconscio è sempre presente, +quella simbolizzatrice si manifesta solo quando ci disponiamo a riconoscerla. +Vediamo qui come Jung continui a ri௹utarsi di considerare i propri prodotti +come arte, e ad attribuire la massima importanza non all’arte ma ai simboli. Il +Liber novus ri௺ette il riconoscimento e il recupero di questa forza creatrice di +simboli ed esprime il tentativo di capire la natura psicologica del simbolismo e di +guardare alle fantasie in chiave simbolica. Jung giunse alla conclusione che il + con௹ne tra coscienza e inconscio, determinato com’è da fattori storici, è sempre +mobile e relativo, e che pertanto si rende necessario «trasformare la nostra +attuale visione del mondo in accordo con i contenuti attivi dell’inconscio».170 Di +qui il compito di fronte al quale egli si trovava: tradurre le concezioni elaborate +attraverso il suo confronto con l’inconscio ed espresse in forma letteraria e +simbolica +nel Liber novus in un linguaggio che fosse compatibile con la +prospettiva contemporanea. +L +’anno seguente Jung tenne alla British Society of Psychical Research, di cui +era membro onorario, una conferenza su I fondamenti psicologici della +credenza negli spiriti.171 In essa distinse due situazioni nelle quali si attiva +l’inconscio collettivo: l’insorgere di una crisi che sconvolge la vita dell’individuo, +provocando il crollo di ogni sua speranza e aspettativa, e un profondo +mutamento di natura sociale, politica o religiosa, con conseguente accumularsi +in seno all’inconscio collettivo di tutti quei fattori che sono repressi +dall’atteggiamento dominante. In questo secondo caso individui dotati di una +spiccata intuizione divengono consapevoli di tali fattori e tentano di tradurli in +idee comunicabili in un linguaggio comune. Se il loro tentativo ha successo, ne +deriva un e௸etto salutare. Di norma, però, l’attivazione dei contenuti +dell’inconscio collettivo ha conseguenze perturbanti, diverse nelle due +situazioni: nella prima l’inconscio sostituisce la realtà e si instaura una +condizione morbosa; nella seconda l’individuo può sentirsi disorientato, ma il suo +stato non è patologico. Da questa distinzione s’intuisce che Jung considerava la +propria esperienza come inquadrabile nel secondo caso, in cui l’attivazione +dell’inconscio collettivo ha luogo in seguito a un generale mutamento culturale. +Così la sua paura iniziale (1913) di un imminente crollo psichico derivava dal +non aver ancora messo a fuoco questa distinzione. +Nel 1918 Jung aveva tenuto al Club psicologico una serie di seminari sulla +tipologia, un tema che da allora occuperà un posto centrale nella sua ri௺essione +teorica e sarà oggetto di ampie ricerche erudite e di successivi sviluppi e +ampliamenti, fino alla pubblicazione, nel 1921, di Tipi psicologici. Di quest’opera +ponderosa la parte più signi௹cativa in rapporto all’elaborazione delle tematiche +d e l Liber novus è il capitolo quinto, dedicato al «problema dei tipi nella +poesia».172 Qui la questione sollevata – fondamentale anche nel Liber – è quella +della composizione degli opposti attraverso la produzione del simbolo +uni௹catore o riconciliante. Nella sua trattazione Jung compie un’approfondita +ricognizione del problema degli opposti nell’induismo, nel taoismo, in Meister +Eckhart e, in epoca recente, nel Prometeo ed Epimeteo di Carl Spitteler. In +generale, questo capitolo può essere letto come una ri௺essione su alcune delle +fonti storiche che avevano in௺uenzato la genesi delle concezioni espresse nel +Liber novus, mentre l’opera nel suo complesso costituisce l’annuncio di un +nuovo, importante metodo di lavoro: anziché trattare direttamente nel Liber + novus il problema degli opposti e della loro conciliazione, Jung andò alla ricerca +di analogie storiche e le commentò. +In Tipi psicologici Jung fornì anche una panoramica generale delle sue nuove +teorie sull’inconscio, a cominciare dal concetto psicologico del Sé, che egli +equiparò alla nozione indù dell’ātman-brahman e di cui diede questa definizione: +Poiché l’Io è solo il centro del campo della mia coscienza, esso non è identico alla totalità della mia +psiche, ma è soltanto un complesso fra altri complessi. Distinguo quindi fra l’Io e il Sé, in quanto l’Io +è solo il soggetto della mia coscienza, mentre il Sé è il soggetto della mia psiche totale, quindi +anche di quella inconscia. In questo senso il Sé sarebbe un’entità (ideale) che include l’Io. Nelle +fantasie inconsce il Sé appare spesso come una personalità di grado superiore o ideale: così Faust +in Goethe e Zarathustra in Nietzsche.173 +Quanto al concetto di anima, Jung sostenne che questo particolare complesso +funzionale contiene qualità complementari alla Persona, presentando tratti +distintivi +che +mancano +all’atteggiamento +cosciente. +La +sua +tipica +complementarità concerne anche il genere sessuale, sicché, in corrispondenza +del fatto che uomini e donne hanno entrambi caratteristiche sia maschili che +femminili, un uomo ha in sé un’anima femminile, o Anima, e una donna un’anima +maschile, o Animus.174 Secondo Jung, inoltre, l’anima genera immagini che solo il +nostro pregiudizio razionalistico considera prive di valore, e che possono essere +impiegate secondo le seguenti quattro modalità: +La loro più ovvia possibilità di utilizzazione è quella artistica, qualora si disponga di capacità di +espressione artistica; una seconda possibilità di utilizzazione è la speculazione filosofica; una terza è +di carattere quasi religioso e conduce alla formazione di eresie o di sette; una quarta possibilità è +costituita dall’utilizzazione delle forze contenute nelle immagini, per ogni sorta di dissolutezze.175 +In questa prospettiva, una quinta modalità potrebbe consistere nell’impiego +psicologico di tali immagini, ma secondo Jung essa avrebbe successo solo se la +psicologia si distinguesse chiaramente dall’arte, dalla ௹loso௹a e dalla religione; +un’esigenza, questa, che spiega la sua esclusione delle alternative. +Nei Libri neri successivi alla pubblicazione di Tipi psicologici Jung proseguì +l’elaborazione della propria «mitologia». Le ௹gure si sviluppavano, si +trasformavano le une nelle altre, si di௸erenziavano per poi riuni௹carsi man +mano che egli imparava a considerarle altrettanti aspetti di componenti +fondamentali della personalità. Il 5 gennaio 1922 Jung ebbe una conversazione +con la propria anima a proposito della sua vocazione e del Liber novus: +[Io:] Sento che devo parlarti. Perché non mi lasci dormire, dato che sono stanco? Sento che il +disturbo viene da te. Cosa ti spinge a tenermi sveglio? +[Anima:] Non è tempo di dormire, ma è ora che tu vegli e ti appresti alle cose importanti nel lavoro +notturno. La grande opera ha inizio. + [Io:] Quale grande opera? +[Anima:] L +’opera che adesso va intrapresa. È un’opera grande e di௻cile. Non è tempo di dormire se +durante il giorno non hai tempo di attendere al lavoro. +[Io:] Ma io non sapevo che stesse accadendo qualcosa del genere. +[Anima:] Ti saresti potuto accorgere che da tempo ormai sto disturbando il tuo sonno. A lungo sei +stato troppo inconsapevole. È ora che tu t’innalzi a un superiore livello di coscienza. +[Io:] Sono pronto. Di che si tratta? Parla! +[Anima:] Ascolta: non esser più cristiano è facile. Ma cosa ne consegue? Qualcos’altro ha da venire. +Tutto sta aspettandoti. E tu? Resti silenzioso e non hai niente da dire. Dovresti invece parlare. Perché +hai ricevuto la rivelazione? Non la dovresti nascondere. Ti preoccupi della forma? Ma è importante +la forma quando si ha una rivelazione? +[Io:] Certo non penserai che debba pubblicare quel che ho scritto? Sarebbe una sventura. E chi lo +capirebbe? +[Anima:] No, ascolta! Non dovresti separarti, ossia rompere il matrimonio con me, nessuno +dovrebbe prendere il mio posto... Io voglio dominare da sola. +[Io:] Così tu vuoi dominare? Da dove ti viene il diritto a una tale pretesa? +[Anima:] Questo diritto mi spetta, perché sono al servizio tuo e della tua vocazione. Potevo anche +dire che tu vieni per primo, ma è innanzitutto la tua vocazione a venire per prima. +[Io:] Ma qual è la mia vocazione? +[Anima:] La nuova religione e la sua annunciazione. +[Io:] Oh Dio, e come dovrei farlo? +[Anima:] Non essere di poca fede. Nessuno lo sa meglio di te. Nessuno potrebbe dirlo come puoi fare +tu. +[Io:] E se tu mentissi? +[Anima:] Chiedi a te stesso se sto mentendo. Io dico la verità.176 +In questo colloquio, dunque, l’anima esorta espressamente Jung a mettere da +parte le sue esitazioni e a pubblicare il suo materiale. Tre giorni dopo essa gli +comunicò che la nuova religione «si esprime soltanto nella trasformazione delle +relazioni umane, le quali non possono essere sostituite nemmeno dalle più +profonde conoscenze. Inoltre una religione non si fonda unicamente su +conoscenze, ma, al suo livello visibile, su un nuovo ordinamento delle condizioni +dell’esistenza umana. Pertanto non aspettarti da me ulteriori conoscenze. In +virtù della rivelazione che hai ricevuto, al momento sai tutto quello che c’è da +sapere, ma ancora non vivi tutto quello che al momento c’è da vivere». Jung +replicò: «Lo posso capire e accettare. Tuttavia non m’è ancora chiaro come si +possa trasformare la conoscenza in vita. Qui mi devi ammaestrare». Al che la +sua anima: «Su questo non c’è molto da dire. Non è cosa così razionale come sei +portato a pensare. La via è simbolica».177 +Il compito di fronte al quale Jung si trovava era dunque quello di capire come +realizzare e trasfondere nella propria vita quanto aveva appreso attraverso la +sua autoinvestigazione. In questo quadro, a cominciare dal seminario tenuto nel + 1923 a Polzeath, in Cornovaglia, assunse per lui sempre maggiore importanza la +ri௺essione sui temi della psicologia della religione e del rapporto tra religione e +psicologia. Egli tentò di elaborare una psicologia del processo di formazione del +religioso – naturalmente, non per annunciare in spirito profetico un nuovo verbo +rivelato, ma per comprendere la psicologia delle esperienze religiose. +L +’obiettivo perseguito era duplice: da un lato, descrivere le vie attraverso cui +l’esperienza del numinoso dei singoli individui si traduce e si esplica prima in +simboli e quindi nei dogmi e nelle dottrine delle religioni istituzionalizzate; e, +dall’altro, studiare la funzione psicologica dei simboli stessi. Ma perché una +si௸atta impresa avesse successo era essenziale che la psicologia analitica, pur +promuovendo l’a௸ermarsi dell’atteggiamento religioso, non tradisse i propri +presupposti trasformandosi a sua volta in un credo.178 +Nel 1922, nel saggio Psicologia analitica e arte poetica,179 Jung formulò una +distinzione fra due tipi di produzioni letterarie: quelle che scaturiscono da +precise e consapevoli intenzioni del loro autore e quelle che, al contrario, gli si +impongono «in modo dispotico (...) senza intervento della coscienza». Secondo +Jung questo genere di opere simboliche, di cui costituiscono esempi la seconda +parte del Faust di Goethe e lo Zarathustra di Nietzsche, traggono origine +dall’inconscio collettivo. In casi del genere, dunque, il processo creativo consiste +nell’attivazione inconscia di un’immagine archetipica, che libera in noi una voce +più forte della nostra stessa voce: +Colui che parla con immagini primordiali è come se parlasse con mille voci; egli a௸erra e domina, +(...) innalza il proprio destino personale a destino dell’umanità e al tempo stesso libera in noi tutte +quelle forze soccorritrici che sempre hanno reso possibile all’umanità sfuggire a ogni pericolo e +sopravvivere persino alle notti più lunghe.180 +L +’artista che produce opere simboliche di questa portata lavora all’educazione +dello spirito di un’epoca, compensando l’unilateralità del presente. Nel +descrivere la genesi di tali opere è probabile che Jung avesse in mente le sua +stessa attività, cosicché, pur ri௹utando l’idea di considerare il Liber novus come +arte, le sue ri௺essioni in proposito costituirono una fonte importante per le sue +successive concezioni e teorie artistiche. Sollevando implicitamente la questione +se la psicologia sia in grado di assumersi il compito di educare lo spirito del +tempo e di compensare l’unilateralità del presente, il saggio guardava dunque al +futuro: da allora in poi, infatti, Jung intenderà proprio in questo senso la +destinazione della sua psicologia.181 +Riflessioni sulla pubblicazione +A partire dal 1922 Jung discusse ampiamente del Liber novus – che cosa + farne, anche in vista di una sua eventuale pubblicazione – non solo con Emma +Jung e Toni Wol௸, ma anche con Cary Fink Baynes e Wolfgang Stockmayer. +Dato che questi scambi di vedute ebbero luogo mentre egli stava ancora +lavorando all’opera, sono per noi del più grande interesse. +Cary Fink, classe 1883, studiò al Vassar College, dove fu allieva di Kristine +Mann, in seguito una delle prime seguaci di Jung negli Stati Uniti. Nel 1910 +sposò Jaime de Angulo e l’anno successivo si laureò in medicina alla Johns +Hopkins University +. Nel 1921, separatasi dal marito, si recò insieme a Kristine +Mann a Zurigo, dove entrò in analisi con Jung (senza peraltro mai esercitare in +seguito come analista). Nel 1927 sposò Peter Baynes, restando coniugata con +lui ௹no al 1931. Jung, che ne teneva in alta considerazione l’intelligenza critica, +la incaricò di preparare una nuova trascrizione del Liber novus, resasi +necessaria a causa del molto materiale che nel frattempo aveva aggiunto. Cary +Baynes lavorò alla copiatura nel 1924-25, mentre Jung si trovava in Africa, e +dato che la sua macchina da scrivere era pesante, prima trascrisse il testo a +mano e quindi lo dattilografò. +Le annotazioni che seguono riportano le sue conversazioni con Jung, redatte in +forma di lettere (non spedite): +2 ottobre 1922 +Lei ha detto che Meyrink, in un altro suo libro intitolato Il domenicano bianco, ha fatto uso +esattamente dello stesso simbolismo che si è presentato a lei nella prima visione rivelatale +dall’inconscio. Ha detto inoltre che lo scrittore aveva parlato di un «Libro rosso» contenente certi +misteri e che anche lei ha chiamato nello stesso modo il libro che sta scrivendo sull’inconscio.182 Ha +poi aggiunto di essere in dubbio sul da farsi riguardo al libro. Meyrink, ha detto, ha potuto realizzare +il suo in forma narrativa ed è andato benissimo così, mentre lei poteva controllare soltanto il +metodo scienti௹co e ௹loso௹co e non era in grado di accomodare in quella forma un materiale del +genere. Io le ho detto che avrebbe potuto impiegare la forma dello Zarathustra e lei ha assentito +aggiungendo però di esserne nauseato. Lo sono anch’io. Poi ha detto di aver pensato di farne +un’autobiogra௹a. Questa mi sembrerebbe di gran lunga la cosa migliore, perché così lei tenderebbe +a scrivere in modo simile a come parla, cioè in maniera molto colorita. Ma, a parte tutte le di௻coltà +legate alla forma, ha detto che tremerebbe all’idea di pubblicarlo perché sarebbe come vendere la +sua casa. Al che io sono sbottata e ho protestato con veemenza, dicendo che non è a௸atto così, +perché lei e il libro rappresentate una costellazione dell’universo, e che considerare il libro come +qualcosa di puramente personale equivale a identi௹carsi con esso, qualcosa che lei nemmeno si +sognerebbe di permettere ai suoi pazienti. (…) Poi abbiamo riso sul mio averla colta in un certo +senso in ௺agrante. Goethe si era scontrato con la stessa di௻coltà nella seconda parte del Faust, in +cui si era impegolato con l’inconscio, e tanto era stato di௻cile trovare la forma corretta che alla +௹ne era morto lasciando il manoscritto così com’era nel cassetto. In questo modo molto di quello +che lei aveva sperimentato, ha detto, verrebbe considerato pura follia, e in caso di pubblicazione lei +perderebbe ogni credibilità non solo come scienziato, ma anche come essere umano. Non però, ho +replicato io, se ci arrivasse dalla prospettiva della Dichtung und Wahrheit: allora la gente potrebbe + fare la propria scelta attribuendo le varie parti all’una o all’altra.183 Lei si è ri௹utato di presentarne +anche solo una parte come Dichtung dato che l’opera è tutta Wahrheit, ma a me non sembrava una +falsità fare ricorso a questo mezzo più di quanto lo sarebbe indossare una maschera per proteggersi +dai ௹listei – e dopo tutto, le ho anche detto, i ௹listei hanno i loro diritti, e se sono costretti a +scegliere tra il considerare lei come folle e se stessi come sciocchi inesperti, allora dovranno +scegliere la prima alternativa, ma se possono considerarla come poeta, si salveranno la faccia. Lei +ha detto che gran parte del suo materiale le è arrivato in forma di rune e che il chiarimento di quelle +rune suona come un mucchio di cose insensate, ma che non importa se il prodotto ௹nale avrà senso. +Nel suo caso, ho detto, sembra che lei abbia raggiunto un grado di consapevolezza delle diverse fasi +della creazione quale nessun altro prima di lei aveva conseguito. Evidentemente, nella maggior +parte dei casi, la mente lascia cadere in automatico varie cose irrilevanti e consegna il prodotto +௹nale, mentre lei conserva tutto quanto, matrice, processo e prodotto. Senz’altro questo è +spaventosamente più difficile da trattare. Dopo di che la mia seduta era terminata. +Gennaio 1923 +Quel che mi ha detto qualche tempo fa mi ha fatto ri௺ettere, e all’improvviso l’altro giorno, +leggendo il «Vorspiel auf dem Theater»,184 mi è venuto in mente che anche lei dovrebbe servirsi +dello stesso principio che Goethe ha adoperato in modo tanto brillante in tutto il Faust, ovvero +contrapporre il creativo e l’eterno al negativo e al transeunte. Forse non è chiaro che cosa questo +abbia a che vedere con il Libro rosso, ma glielo spiego subito. Da quanto ho capito, in questo libro +lei sta lanciando una s௹da agli uomini incitandoli a considerare la loro anima in modo nuovo; in +esso ci saranno comunque un bel po’ di cose fuori della portata dell’uomo ordinario, cose che lei +stesso in un periodo della sua vita era a malapena in grado di capire. In un certo senso è un +«gioiello» che sta donando al mondo, non è vero? La mia idea è che questo necessiti di una qualche +protezione perché non venga gettato per strada e alla ௹ne venga distrutto da un ebreo vestito in +modo strano. +La migliore protezione che lei potrebbe concepire, mi sembra, sarebbe quella di incorporare +mettere nel libro stesso un’esposizione delle forze che tenteranno di distruggerlo. È una della sue +grandi forze doti vedere sia il nero che il bianco in qualsiasi situazione; così lei saprà, meglio della +maggior parte delle persone che attaccheranno il libro, che cosa costoro vogliono distruggere. Non +potrebbe togliere loro il vento dalle vele formulando le critiche al posto loro? Forse è proprio ciò che +ha fatto nell’introduzione. Forse, nei confronti del pubblico, potrebbe assumere un atteggiamento +del tipo: «Prendere o lasciare, e che tu sia benedetto o dannato, come preferisci». Così andrebbe +tutto bene, qualunque cosa ci sia di vero nel libro, sopravviverà in ogni caso. Ma mi piacerebbe +vederla fare l’altra cosa se non dovesse richiedere uno sforzo eccessivo. +26 gennaio 1924 +La notte scorsa lei ha fatto un sogno nel quale apparivo mascherata e stavo lavorando al Libro +rosso; ha pensato al sogno tutto il giorno e soprattutto durante la seduta con la dr.ssa Wharton che +precede la mia (piacevole per lei, devo dire). (…) Come ha detto, si era deciso a rovesciarmi addosso +tutto il suo materiale inconscio rappresentato nel Libro rosso ecc. per vedere che cosa ne avrebbe +detto un’osservatrice estranea e imparziale come me. Ha pensato che la mia critica fosse onesta e + imparziale. Toni, ha detto, è profondamente coinvolta in tutto ciò e inoltre non ha avuto alcun +interesse per la cosa in sé, né per l’idea di convertirla in una forma utilizzabile. Ha detto che è preda +di uno stato d’agitazione. Per quanto riguarda se stesso, ha detto, ha sempre saputo che cosa fare +con le sue idee, ma in questo caso si sente confuso. Quando si è avvicinato a esse, ne è stato irretito +come se non fosse né potesse più essere sicuro di niente. Era certo della grande importanza di +alcune di tali idee, ma non riusciva a trovare la forma appropriata – come sono adesso, ha detto, +potrebbero essere uscite da un manicomio. Poi mi ha chiesto di copiare il testo del Libro rosso – era +una cosa che lei aveva già fatto una volta, ma da allora aveva aggiunto molto materiale, perciò +voleva che venisse trascritto di nuovo e nel corso del lavoro lei mi avrebbe spiegato le cose nelle +quali mi sarei imbattuta, dato che ormai, ha detto, aveva capito quasi tutto di quel che vi è +racchiuso. In questo modo avremmo potuto discutere di molte cose che non sono mai emerse nel +corso della mia analisi e io avrei potuto capire le sue idee sin dalla radice. Poi mi ha detto qualche +cosa di più sul suo atteggiamento verso il Libro rosso. C’è qualcosa in esso, ha detto, che ferisce +terribilmente il suo senso dell’opportunità, e che era riluttante a metter giù le cose come le +venivano, ma che poi si è attenuto ௹n dall’inizio al principio di «spontaneità», evitando di fare +correzioni di sorta. Alcune illustrazioni erano assolutamente infantili, ma così dovevano essere. +C’erano varie ௹gure parlanti, Elia, padre Filemone ecc., ma tutte sembravano fasi di quello che lei +pensa debba essere chiamato «il Maestro». Lei era certo che quest’ultimo fosse lo stesso che aveva +ispirato Buddha, Mani, Cristo, Maometto – tutti quelli che si può dire siano stati in comunione con +Dio.185 Gli altri però si erano identi௹cati con lui. Lei se n’è assolutamente guardato. Non le si +addiceva, ha detto, lei doveva rimanere lo psicologo, colui che capisce il processo. Ho detto allora +che la cosa da fare era permettere alla gente di capire il processo, anche senza pensare di aver +catturato il Maestro come se fosse a completa disposizione. A questo bisognava pensare come a un +pilastro di fuoco in moto perpetuo ed eterno oltre l’umana capacità di comprensione. Sì, lei ha +detto, si trattava proprio di qualcosa del genere. Forse non è ancora fattibile. Mentre lei parlava, +cresceva sempre di più in me la consapevolezza dell’immensità delle idee che la stanno occupando. +Sopra di esse, ha detto, aleggia l’ombra dell’eternità e io ho potuto sentire la verità della sua +affermazione.186 +Come risulta da un’annotazione del 30 gennaio, Jung, discutendo di un sogno +raccontatogli da Cary Baynes, aveva osservato: +Si trattava di una preparazione per il Libro rosso, perché il Libro rosso parla del con௺itto tra il +mondo della realtà e il mondo dello spirito. Lei ha detto che in quel con௺itto è stato quasi sul punto +di andare in pezzi, ma che è riuscito a tenere i piedi ben piantati a terra e a incidere sulla realtà. Ha +detto che per lei questo con௺itto era il banco di prova di qualsiasi idea, e di non avere rispetto per +quelle idee che, sia pure alate, sono però destinate a rimanere fuori, nello spazio, incapaci di +condizionare la realtà.187 +In una bozza non datata di lettera a un destinatario non identi௹cato,188 Cary +Baynes espresse il proprio parere sul signi௹cato del Liber novus e sulla +necessità di pubblicarlo: + Sono assolutamente stupita (…), mentre leggo il Libro rosso e vedo quanto esso rischiari la giusta +via per noi oggi, di scoprire come Toni l’abbia tenuto fuori dal suo sistema. Non avrebbe una +macchia inconscia nella sua psiche se, del contenuto del Libro rosso, avesse digerito una porzione +pari almeno a quella che ho letto io, e non credo sia più di un terzo o un quarto dell’opera. Un’altra +cosa di௻cile da capire è il suo disinteresse per la questione della pubblicazione. Nel mio paese ci +sono persone che lo leggerebbero da cima a fondo quasi tutto d’un ௹ato, tanto riesce a +reimmaginare e chiarire le cose dei nostri giorni, lasciando di stucco chiunque stia cercando di +trovare la chiave della vita. (…) [Jung] vi ha messo dentro tutto il nerbo e il colore della sua parlata, +tutta la schiettezza e la semplicità che si sentono quando, come è successo in Cornovaglia,189 il +fuoco arde dentro di lui. +Certamente può essere, come lui sostiene, che se lo pubblicasse così com’è, il mondo della scienza +razionale lo metterebbe de௹nitivamente fuori gioco, ma ci dovrà pur essere, poi, una scappatoia, un +qualche modo di proteggersi dalla stupidità, a௻nché le persone che vogliono leggere il libro non +debbano farne a meno in attesa che la maggioranza ௹nalmente sia pronta. Non ho mai dubitato che +lui fosse in grado di trasmettere per iscritto il fuoco che sa comunicare a voce – ed eccolo qui. I libri +che ha pubblicato sono stati realizzati per il vasto pubblico o, per meglio dire, sono scritti con la +testa, mentre questo viene dal cuore. +Questi scambi di vedute restituiscono un vivido quadro della profondità delle +ri௺essioni di Jung in merito alla pubblicazione del Liber novus, alla centralità +che egli assegnava a esso per la comprensione della genesi della sua opera, e al +timore che venisse frainteso. A preoccuparlo era soprattutto l’impressione che +lo stile del libro avrebbe potuto fare su un pubblico impreparato. Ad Aniela +Ja௸é, all’epoca della redazione dei Ricordi, manifestò la convinzione che esso +non avesse ancora una forma idonea per essere pubblicato, giacché – e la cosa +lo disturbava – suonava come una profezia.190 +A quanto pare, questi dubbi e queste considerazioni erano oggetto di +discussione nella cerchia degli amici e degli allievi di Jung. Il 29 maggio 1924 +Cary Baynes, nel prendere nota di una conversazione con Peter Baynes, in cui +questi sosteneva che il Liber novus poteva essere compreso solo da chi avesse +conosciuto Jung, si dichiarava dell’idea che l’opera rappresentasse +la testimonianza del passaggio dell’universo attraverso l’anima di un uomo, e così come una +persona siede di fronte al mare e ascolta quella musica tanto strana e tremenda e non riesce a +spiegarsi perché il suo cuore duole, o perché dal suo petto voglia prorompere un grido di +esaltazione, ho pensato che qualcosa di analogo avverrebbe col Libro rosso, la cui grandiosità +eleverebbe per forza un uomo oltre se stesso, librandolo ad altezze sino ad allora mai raggiunte.191 +Da altri indizi si evince che Jung fece circolare copie del Liber novus fra alcuni +suoi amici più stretti, con cui parlò del suo contenuto e dell’eventualità di una +sua pubblicazione. Uno di questi colleghi era Wolfgang Stockmayer, che Jung +aveva conosciuto nel 1907 e che da allora aveva incontrato quasi ogni anno, + facendo con lui anche vari viaggi in Italia e in Svizzera. In un necrologio inedito +Jung lo de௹nì il primo tedesco che si fosse interessato alla sua opera e lo ricordò +come un vero amico. Di lui disse: +Si è distinto per il suo grande interesse e per la sua altrettanto grande comprensione della patologia +dei processi psichici. Inoltre l’empatia che mi dimostrò nell’accostarsi alla mia prospettiva allargata +ebbe un’importanza considerevole per le mie successive opere di psicologia comparata.192 +Nel necrologio Jung rammentava anche come Stockmayer gli fosse stato +compagno nella «preziosa penetrazione della nostra psicologia» nei territori +della ௹loso௹a classica cinese, delle speculazioni mistiche dell’India e dello yoga +tantrico.193 +Il 22 dicembre 1924 Stockmayer scrisse a Jung: +Ho spesso nostalgia del Libro rosso e mi piacerebbe avere una trascrizione della parte disponibile; +come sempre succede, non mi è riuscito di farmene una quando l’ho avuto per le mani. Di recente +ho fantasticato di fare una specie di rivista di «documentazione», in cui raccogliere in tutta libertà +materiali – sia testi che immagini a colori – provenienti dalla «fucina dell’inconscio».194 +A quanto pare, Jung gli inviò del materiale, e Stockmayer così gli scrisse in +data 30 aprile 1925: +Nel frattempo abbiamo esaminato anche le Prove, e l’impressione è anche qui quella di un grande +vagabondaggio.195 Questo materiale del Libro rosso meriterebbe senz’altro d’essere sottoposto a un +selezionato milieu collettivo, ma in tal caso sarebbe oltremodo auspicabile un tuo commento. Visto +che qui si ha a che fare con un certo qual tuo centro secondario, un ampio accesso alle fonti +sarebbe di grande importanza, consciamente e inconsciamente; sto fantasticando, naturalmente, +anche di «facsimili», come tu puoi immaginare: non hai certo bisogno di temere un qualche +incantesimo estrovertito da parte mia. Anche la parte pittorica è affascinante.196 +Il manoscritto di Jung intitolato Commenti (vedi app. B) venne probabilmente +composto in concomitanza con queste discussioni. +Amici e colleghi di Jung avevano dunque opinioni di௸erenti sul signi௹cato del +Liber novus e sull’opportunità di una sua pubblicazione: un fatto che potrebbe +aver avuto un qualche peso nell’orientare la decisione ௹nale di Jung. Cary +Baynes, inoltre, impegnata in seguito nella traduzione in inglese di alcuni saggi +junghiani e dell’I Ching, non completò la trascrizione, limitandosi alle prime +ventisette pagine delle Prove. +A un certo punto, che ritengo collocabile verso la metà degli anni venti, Jung +rimise mano alla minuta e la sottopose a una nuova revisione, apportando tagli, +aggiungendo materiale per circa 250 pagine e aggiornando linguaggio e +lessico.197 Sottopose a revisione anche parte del materiale che aveva già +trascritto nel volume calligra௹co, nonché alcuni passi che aveva espunto. + Di௻cile motivare queste scelte senza ipotizzare che Jung stesse seriamente +pensando a una pubblicazione dell’opera. +Nel 1925, nel corso di un seminario sulla psicologia analitica tenuto al Club +psicologico, poi trascritto e redatto da Cary Baynes, Jung trattò di alcune delle +principali fantasie riportate nel Liber novus, descrisse il modo in cui gli si erano +manifestate e a௸ermò che esse costituivano il fondamento delle idee espresse in +Tipi psicologici e la chiave per comprenderne la genesi. Lo stesso anno Peter +Baynes preparò una versione inglese dei Septem sermones ad mortuos, che +venne pubblicata in edizione privata198 e distribuita da Jung ad alcuni suoi allievi +anglofoni. In una lettera a Henry Murray +, presumibilmente in risposta ai +ringraziamenti di lui per l’invio di una copia, Jung scrisse: +Sono profondamente convinto che quelle idee che mi sono giunte siano veramente meravigliose. +Posso dirlo senza di௻coltà (e senza arrossire) perché so quanto refrattario e stupidamente testardo +sono stato quando, per la prima volta, mi hanno fatto visita, e che razza di di௻coltà ho avuto prima +di riuscire a leggere questo linguaggio simbolico tanto superiore alla mia ottusa mente cosciente.199 +Non è escluso che Jung abbia considerato la pubblicazione dei Sermones una +prova generale in vista di quella del Liber novus. Secondo la testimonianza di +Barbara Hannah, tuttavia, egli si sarebbe pentito di aver dato alle stampe +l’operetta, «nella persuasione che essa avrebbe dovuto trovar posto soltanto nel +Libro rosso».200 +In una data non precisabile, ma che in base allo stile e ai concetti espressi +reputo si possa collocare verso la metà degli anni venti, Jung compose i citati +Commenti, a delucidazione dei capitoli 9-11 del Liber primus. Già nel seminario +del 1925, come ho detto, egli aveva discusso alcune di queste fantasie, ma ora si +addentrò ancor più in profondità nel loro esame. Da questo punto di vista, il +manoscritto costituisce una chiara testimonianza dello sforzo compiuto da Jung +per capire ogni singola fantasia in ogni suo dettaglio, e dell’importanza che egli +annetteva a questo lavoro di scavo. È anche possibile che egli abbia scritto – o +progettato di scrivere – dei «commenti» anche di altri capitoli, ma non ne è stata +rinvenuta alcuna traccia. +Jung diede copie del Liber novus a Cary Baynes, Peter Baynes, Aniela Ja௸é, +Wolfgang Stockmayer e Toni Wol௸, e non è escluso che a queste vadano +aggiunte altre persone. Nel 1937 un incendio distrusse la casa di Peter Baynes +e danneggiò la sua copia. Alcuni anni dopo, allorché egli scrisse a Jung +chiedendogli se per caso ne avesse un altro esemplare, e o௸rendosi di tradurre +l’opera in inglese,201 Jung rispose: «Vedrò se mi riesce di procurare un’altra +copia del Libro rosso. Non si preoccupi per le traduzioni. Sono certo che ne +esistono già due o tre, anche se non so di che cosa e di chi».202 Questa +supposizione presumibilmente si basava sul numero di copie dell’opera in +circolazione. + Jung fece leggere e/o vedere il Liber novus anche alle seguenti persone: +Richard Hull, Tina Keller, James Kirsch, Ximena Roelli de Angulo (quand’era +ancora bambina) e Kurt Wol௸. Consentì di consultare i Libri neri ad Aniela Ja௸é +(per intero) e a Tina Keller (in parte). È poi molto probabile che abbia mostrato +l’opera ad alcuni altri stretti collaboratori quali Marie-Louise von Franz, Emil +Medtner, Franz Riklin senior, Erika Schlegel e Hans Trüb. A quanto risulta, +permise di leggere il Liber novus a persone in cui riponeva completa ௹ducia e +che sentiva avevano pienamente compreso le sue idee. Buona parte dei suoi +allievi non rientrava in questa categoria. +La trasformazione della psicoterapia +Il Liber novus riveste un’importanza cruciale per la comprensione della genesi +del nuovo modello psicoterapeutico junghiano. Nel 1912, in Trasformazioni e +simboli della libido, Jung considerava la presenza di fantasie mitologiche – del +tipo di quelle rinvenibili nel Liber novus – un segnale di allentamento degli strati +௹logenetici dell’inconscio, nonché un sintomo patognomico di schizofrenia. Nel +corso della sua autosperimentazione questa concezione subì una radicale +modi௹cazione: quel che ora gli appariva rilevante non era l’a௻orare di un +determinato contenuto, bensì l’atteggiamento verso di esso e, in particolare, la +capacità dell’individuo di integrare tale materiale nella propria visione del +mondo. Questo spiega perché nell’epilogo aggiunto nel 1959 al Liber novus Jung +a௸ermi che a un osservatore super௹ciale l’opera poteva anche sembrare frutto +di pazzia, e che invero avrebbe potuto diventarlo se egli non fosse riuscito a +contenere e comprendere quelle esperienze.203 Il capitolo 15 del Liber +secundus presenta una critica della psichiatria contemporanea e mette in risalto +l’incapacità di quest’ultima di di௸erenziare l’esperienza religiosa o la follia +divina dalla psicopatologia. Quand’anche il contenuto delle visioni e delle +fantasie risultasse privo di valore diagnostico, resta di vitale importanza, a +giudizio di Jung, esaminarlo con la massima attenzione.204 +Fin dai suoi esordi, sul ௹nire del XIX secolo, la psicoterapia moderna si era +occupata in primo luogo della cura di quelli che allora erano chiamati disturbi +nervosi funzionali e che in seguito sarebbero divenuti noti come nevrosi. A +partire dagli anni della prima guerra mondiale, Jung rifondò la pratica della +psicoterapia, riformulandone gli scopi e i metodi sulla base delle proprie +esperienze: +non +più +esclusivamente +incentrata +sul +trattamento +della +psicopatologia, essa era diretta a determinare uno sviluppo più elevato +dell’individuo, +favorendo +il +processo +di +individuazione. +Un +radicale +capovolgimento di prospettiva che ebbe e௸etti di vasta portata non solo per +l’evoluzione della psicologia analitica, ma anche per la psicoterapia nel suo +insieme. + A riprova della validità delle concezioni cui era pervenuto nel Liber novus, +Jung si propose di mostrare che i processi in esso descritti e ra௻gurati non +rappresentavano un’esperienza speci௹camente sua, ma che era possibile +applicare quelle concezioni anche ad altre persone. A questo ௹ne, studiando le +produzioni dei suoi pazienti, egli era solito chiedere loro una copia delle +immagini da essi realizzate, e in questo modo poté costituire una considerevole +raccolta di loro opere.205 +In questo periodo Jung continuò a impartire istruzioni ai suoi pazienti sul modo +di evocare visioni in stato di veglia. Nel 1926 Christiana Morgan, a௼itta da +penosi problemi relazionali e disturbi depressivi, sull’onda del fascino esercitato +su di lei dalla lettura di Tipi psicologici si era rivolta a Jung per svolgere +un’analisi con lui. Quello che segue è il suo resoconto delle indicazioni fornitele +da Jung nel corso di una seduta su come produrre visioni: +Lei vede che queste [sue fantasie] sono troppo vaghe perché mi possa esprimere adeguatamente in +merito. Esse non sono altro che il punto di partenza. All’inizio lei usi soltanto la retina dell’occhio +per oggettivarle. Poi, anziché continuare a voler estrarre a forza l’immagine, provi semplicemente a +guardare dentro di sé. Quindi, non appena le appaiono queste immagini, cerchi di trattenerle per +vedere dove la conducono e come si trasformano. Cerchi di entrare nell’immagine stessa, di +diventare uno dei personaggi. Quando ho cominciato con questa pratica vedevo paesaggi. In seguito +ho imparato a inserire me stesso nel paesaggio, e le ௹gure mi parlavano e io rispondevo loro. (…) La +gente diceva: ha un temperamento artistico. Ma non era altro che il mio inconscio a in௺uenzarmi. +Adesso ho imparato a recitare la parte, come se si trattasse di un dramma non diverso da quello +della vita esterna, e con ciò nulla può più ferirmi. Ho scritto mille pagine di materiale proveniente +dall’inconscio (ho raccontato la visione di un gigante che si trasforma in uovo).206 +Ai suoi pazienti Jung descriveva le proprie esperienze sin nei minimi dettagli, +invitandoli a fare altrettanto e assistendoli in veste di supervisore – questo era il +suo ruolo – mentre erano impegnati a sperimentare il ௺uire delle loro immagini. +Ecco, di nuovo, la testimonianza di Christiana Morgan su quanto Jung ebbe a +osservare in un’occasione: +Ora sento di doverle dire qualcosa a proposito di queste fantasie. (…) Al momento esse sembrano +piuttosto esili e piene di ripetizioni degli stessi motivi. Mancano di fuoco e calore. Dovrebbero +bruciare di più. (…) Lei deve rimanere più a lungo in esse, cioè deve essere il suo sé cosciente e +critico in loro, facendo valere il suo giudizio e la sua facoltà critica. (…) Posso chiarire quel che +intendo dire riferendole la mia propria esperienza. Stavo scrivendo nel mio libro quando +all’improvviso ho visto un uomo che stava in piedi e mi guardava da sopra le spalle. Un puntino +d’oro è volato via dal libro colpendolo nell’occhio. Lui allora mi ha chiesto di toglierglielo e io ho +risposto di no – non prima che mi rivelasse la sua identità. Mi ha detto di non poterlo fare. Vede, lo +sapevo. Se avessi fatto ciò che chiedeva, lui si sarebbe inabissato nell’inconscio e io non avrei +raggiunto il mio scopo, ovvero capire perché mai fosse apparso dall’inconscio. In௹ne mi ha detto di +volermi svelare il signi௹cato di certi gerogli௹ci che mi si erano presentati alcuni giorni prima. Così + ha fatto, allora ho estratto il puntino dal suo occhio e lui si è dileguato.207 +Jung arrivò persino a suggerire ai suoi pazienti di predisporre un proprio +Libro rosso. Disse a Morgan: +Le consiglierei di metter giù tutto questo nel modo più elegante possibile, in uno splendido libro +rilegato. Le sembrerà di banalizzare le visioni, ma proprio di questo ha bisogno per a௸rancarsi dal +loro potere. Se farà così, se le guarderà con questi occhi, il potere di attrazione che hanno su di lei +cesserà. Non dovrebbe mai tentare di far ritornare le visioni. Se le rappresenti nella sua +immaginazione e tenti di dipingerle. Quando poi saranno racchiuse in un libro prezioso, lei lo potrà +aprire e sfogliarne le pagine e per lei sarà la sua chiesa – la sua cattedrale –, i luoghi silenti del suo +spirito ove rigenerarsi. Se qualcuno le dirà che tutto questo è da malati o nevrotici e lei lo ascolterà, +perderà la sua anima, perché essa si trova in quel libro.208 +In una lettera a J. Allen Gilbert del 1929, Jung descrisse così il suo modo di +procedere: +Talvolta ho notato che in casi del genere è di grande aiuto incoraggiare i pazienti a esprimere i +propri contenuti particolari mediante la scrittura, il disegno o la pittura. In questi casi c’è una tale +quantità di intuizioni incomprensibili, di frammenti fantastici che emergono dall’inconscio, per cui +quasi non esiste linguaggio appropriato. Io lascio liberi i miei pazienti di trovare le loro proprie +espressioni simboliche, la loro «mitologia».209 +Il santuario di Filemone +Negli anni venti l’interesse di Jung si spostò progressivamente dalla +trascrizione del Liber novus e dall’elaborazione della sua mitologia nei Libri +neri al progetto di costruzione della sua torre. Nel 1920 aveva acquistato un +appezzamento di terreno a Bollingen, nell’estremo settore orientale del lago di +Zurigo. In precedenza, aveva trascorso sul lago qualche periodo di vacanza, in +tenda, insieme alla famiglia. Ora sentì la necessità di rappresentare i suoi +pensieri più intimi nella pietra e di costruire un’abitazione primitiva: «Le parole +e la carta (…) non mi davano l’impressione di essere abbastanza concrete; +avevo bisogno di qualcosa di più».210 Doveva realizzare una «professione di fede +in pietra». +Opera in continua evoluzione, decorata da Jung nel corso del tempo con +pitture murali e bassorilievi, la torre divenne una «rappresentazione +dell’individuazione». +Può +quindi +essere +considerata +una +prosecuzione +tridimensionale del Liber novus: il suo «Liber quartus». Alla ௹ne del Liber +secundus Jung scrisse: «Devo recuperare una fetta di Medioevo... in me stesso. +Abbiamo terminato solo il Medioevo degli... altri. Devo incominciare presto, nel +periodo in cui sono scomparsi gli eremiti».211 È dunque signi௹cativo che la torre + venisse costruita intenzionalmente a guisa di edi௹cio medievale, priva di ogni +comodità della vita moderna. Su una parete Jung scolpì questa iscrizione: +«Philemonis sacrum – Fausti poenitentia» (santuario di Filemone – pentimento di +Faust) (fra le pitture murali della torre vi è una ra௻gurazione di Filemone). Il 6 +aprile 1929 Jung scrisse a Richard Wilhelm: «Perché non esistono monasteri +mondani per uomini che dovrebbero vivere fuori dal tempo!».212 +Il 9 gennaio 1923 morì la madre di Jung. Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre +dello stesso anno egli fece il sogno seguente: +Sto prestando servizio militare e sono in marcia con un battaglione. In un bosco vicino a Ossingen, +in prossimità di un bivio, mi imbatto in una serie di scavi. Una ௹gura di pietra alta un metro +ra௻gurante una rana o un rospo, con una testa. Dietro di essa siede un ragazzo con una testa di +rospo. Poi il busto romano di un uomo con un’ancora con௹ccata nella regione del cuore. Un +secondo busto del 1640 circa ra௻gurante lo stesso motivo. Poi cadaveri mummi௹cati. In௹ne +sopraggiunge una carrozza in stile XVII secolo. All’interno siede un morto che però è ancora vivo. +Gira la testa, è una donna, e quando mi rivolgo a lei con l’appellativo di «signorina», sono +consapevole che «signorina» è un titolo nobiliare.213 +Solo alcuni anni più tardi Jung comprese il signi௹cato di questo sogno. Il 4 +dicembre 1926 annotò: +Soltanto adesso mi rendo conto che il sogno del 23/24 dicembre 1923 signi௹ca la morte dell’Anima +(«Lei non sa di essere morta»). Questo coincide con la morte di mia madre. (…) Dalla morte di mia +madre, l’A. [Anima] è rimasta silenziosa. Significativo!214 +Anni dopo Jung ebbe qualche altro dialogo con la sua anima, ma il suo +confronto con l’Anima aveva ormai raggiunto il suo apice. Il 2 gennaio 1927 fece +un sogno ambientato a Liverpool: +Mi trovo insieme a molti giovani svizzeri a Liverpool, giù vicino alle banchine. È una notte buia e +piovosa, piena di fumo e nubi. Stiamo camminando nella parte superiore della città che si trova su +un altopiano. Giungiamo a un laghetto circolare situato al centro di un giardino e con in mezzo +un’isola. Gli uomini parlano di uno svizzero che vive qui, in questa città così scura, sporca e +fuligginosa. Io vedo però nell’isola un albero di magnolia coperto di ௹ori rossi illuminati da un sole +eterno e penso: «Ora so perché questo svizzero vive qui. Evidentemente anche lui lo sa». Vedo una +pianta della città: [fig.].215 +In seguito Jung disegnò un mandala sulla base di questa pianta.216 A questo +sogno ascrisse un’enorme importanza e più tardi osservò: +Questo sogno rappresentava la mia situazione di allora. Mi pare ancora di vedere gli impermeabili +grigiastri, luccicanti, bagnati dalla pioggia. Tutto era assai sgradevole, nero, opaco, proprio come +mi sentivo allora. Ma avevo avuto una visione di celestiale bellezza, ed era proprio per ciò che +potevo vivere. (…) In esso vedevo rivelata la mia meta. Non si può andare al di là del centro. Il centro + è la meta, e tutto si dirige verso il centro. Grazie a questo sogno capii che il Sé è un principio e un +archetipo dell’orientamento e del senso.217 +Jung identi௹cò se stesso nello svizzero. L +’Io non era il Sé, ma a partire da esso +si poteva vedere il miracolo divino: la piccola luce rassomigliava alla grande +luce. Dopo questo sogno Jung smise di disegnare mandala. Esso infatti +esprimeva compiutamente il processo evolutivo, non lineare, che si svolgeva nel +suo inconscio, e ciò lo rese pienamente soddisfatto. A quell’epoca egli provava +un senso di estrema solitudine e si sentiva coinvolto in qualcosa di grande che gli +altri non capivano. Nel sogno, tutto intorno a lui era avvolto nell’oscurità, e +soltanto lui scorgeva l’albero luminescente. Se non avesse avuto questa visione, +la sua vita avrebbe perso significato.218 +Jung giunse a comprendere che il Sé rappresenta la meta dell’individuazione e +che il processo individuativo non segue un percorso lineare, ma consiste in una +sorta di circumambulazione del Sé. Tale comprensione gli diede forza e impedì +che i suoi vissuti sprofondassero nella pazzia lui o le persone che gli stavano +accanto.219 Avvertì che le immagini mandaliche gli mostravano il Sé «nella sua +funzione redentrice» e che qui era la sua salvezza. Consolidare tali intuizioni +nella sua vita e nel suo lavoro scientifico era il compito che adesso lo attendeva. +Nella redazione del 1926 di La psicologia dei processi inconsci Jung mise in +rilievo il signi௹cato critico della fase di passaggio della mezza età. Se nella +prima metà della vita – la «fase naturale» – l’obiettivo primario dell’individuo è +quello di crearsi una posizione stabile nel mondo, procacciarsi un reddito e +formare una famiglia, nella seconda metà – la «fase culturale» – si veri௹ca una +«riconsiderazione dei valori precedenti», nel senso che ora lo scopo perseguito +dall’individuo è quello di conservare quei valori riconoscendo, al contempo, i loro +contrari: egli deve perciò sviluppare gli aspetti non evoluti e trascurati della +propria personalità.220 Il processo di individuazione veniva così concepito come +modello generale dello sviluppo umano, e la psicologia analitica, mancando +secondo Jung nella società contemporanea una guida adeguata, era chiamata a +svolgere una funzione vicaria di orientamento nella transizione dalla giovinezza +alla maturità. Al di fuori della psicologia analitica, le formulazioni junghiane +esercitarono un’infuenza nell’ambito della psicologia evolutiva dell’adulto. Qui +chiaramente la concezione delle due metà della vita e dei diversi requisiti +necessari in ognuna ebbe il suo modello nella personale esperienza di crisi +vissuta da Jung. Sotto questo pro௹lo il Liber novus rappresenta la sua +«riconsiderazione dei valori precedenti» e il suo tentativo di sviluppare gli +aspetti trascurati della sua personalità, e costituisce così la base della sua +comprensione di come si possa superare positivamente il passaggio della mezza +età. +Nel 1928 Jung pubblicò un piccolo libro intitolato Le relazioni tra l’Io e +l’inconscio, ampliamento della conferenza La struttura dell’inconscio tenuta nel + 1916. Nel libro egli approfondiva il tema del «dramma interiore» del percorso +trasformativo, dedicando una intera sezione all’analisi del processo di +individuazione. Di norma, osserva Jung, dopo una prima fase caratterizzata dalla +produzione di fantasie relative alla sfera personale, si sviluppa una serie di +fantasie pertinenti alla sfera impersonale le quali, lungi dall’essere meramente +arbitrarie, tendono a una meta e possono pertanto essere de௹nite processi +iniziatici, in quanto questi ne sono la più prossima analogia. A௻nché il processo +abbia luogo è però necessaria una partecipazione attiva: +Se la coscienza prende parte attiva e vive e capisce, almeno intuitivamente, ogni grado del processo, +l’immagine successiva comincia ogni volta sul gradino più alto così raggiunto, e in tal modo si +produce la direzione verso una meta.221 +Dopo l’assimilazione dell’inconscio personale, la di௸erenziazione della +Persona e il superamento dello stato di «somiglianza con Dio», lo stadio +successivo è costituito dall’integrazione dell’Anima per l’uomo e dell’Animus per +la donna. Secondo Jung, agli e௸etti dell’individuazione, per un uomo è essenziale +non soltanto imparare a distinguere tra ciò che egli è e il modo in cui appare agli +altri, ma anche divenire consapevole del suo «invisibile sistema di relazione con +l’inconscio» e quindi di௸erenziarsi dall’Anima. Questa, infatti, ௹nché è inconscia +viene proiettata: anzitutto sulla madre in quanto prima portatrice dell’immagine +dell’Anima, in seguito sulle donne che risvegliano i sentimenti dell’uomo. Risulta +perciò necessario oggettivare l’Anima e porre a essa delle domande con il +metodo del dialogo interiore o dell’immaginazione attiva. +Ognuno, secondo Jung, possiede questa facoltà di dialogare con se stesso. +L +’immaginazione attiva altro non è che una forma di dialogo interiore, un tipo di +pensiero drammatizzato, il quale prevede che ci si liberi dall’identi௹cazione con +i pensieri che vengono alla luce e si superi l’illusione di averli prodotti da sé.222 +L +’essenziale – ed è qui un signi௹cativo cambiamento di prospettiva rispetto al +rilievo accordato nel saggio sulla funzione trascendente alla formulazione +creativa e alla comprensione – non sta nell’interpretare o capire le fantasie, +bensì nel farne esperienza. Jung sostenne inoltre che ௹n quando si è coinvolti +nelle fantasie, queste vanno prese alla lettera, mentre quando si a௸ronta il +problema di interpretarle bisogna spostarsi sul piano simbolico.223 Si tratta, +come si vede, di una precisa descrizione della procedura da lui seguita nei Libri +neri. +Scopo di tali dibattiti interiori è, secondo Jung, quello di oggettivare gli e௸etti +dell’Anima e diventare consapevoli dei contenuti che vi sono sottesi, integrandoli +nella coscienza. Una volta acquisita familiarità con i processi inconsci che si +ri௺ettono nell’Anima, quest’ultima «perde il suo potere demonico di complesso +autonomo» e diventa una funzione di relazione fra la coscienza e l’inconscio. Si +tratta, anche in questo caso, di uno dei temi fondamentali dei Libri neri e del + Liber novus, e proprio la constatazione di questa convergenza dovrebbe +mettere in guardia contro l’errore di indulgere a una lettura letterale anziché +simbolica delle fantasie del Liber novus: estrapolare singole a௸ermazioni dal +contesto e citarle come fossero unità testuali autonome rappresenterebbe un +grave fraintendimento dell’opera. +Tre sono, secondo Jung, gli e௸etti del processo di integrazione dell’Anima: +«primo, che la coscienza è ampliata in quanto innumeri contenuti inconsci +divengono coscienti; secondo, che viene gradatamente demolita l’in௺uenza +dominante dell’inconscio; terzo, che ha luogo una modi௬cazione della +personalità».224 A questo punto si è confrontati con un’altra ௹gura, ossia la +«personalità mana». Come spiega Jung, quando l’Anima perde il suo mana, chi +l’assimila acquisisce questa forza e diviene una personalità mana, un essere +dotato di volontà e saggezza superiori. Tuttavia, questa ௹gura costituisce una +«dominante dell’inconscio collettivo, è il noto archetipo dell’uomo potente in +forma di eroe, capotribù, mago, medico e santo, il signore di uomini e degli +spiriti, l’amico di Dio».225 Così, integrando l’Anima e ottenendone il potere, ci si +identi௹ca inevitabilmente con la ௹gura del mago, e si è costretti ad a௸rontare il +compito di di௸erenziarsene (per le donne, la ௹gura corrispettiva è quella della +Grande Madre). Se si rinuncia alla pretesa di prevalere sull’Anima, cessa la +possessione a opera della ௹gura del mago e si realizza che il mana appartiene in +realtà al «centro della personalità», vale a dire al Sé. L +’assimilazione dei +contenuti della personalità mana conduce dunque al Sé. +La descrizione del processo di incontro, identi௹cazione e successiva +disidenti௹cazione dalla personalità mana corrisponde invero all’incontro di Jung +con Filemone rappresentato nel Liber novus. Jung dice del Sé: «Esso potrebbe +parimenti venir de௹nito “il Dio in noi”. Gli inizi di tutta la nostra vita psichica +sembrano scaturire, inestricabili, da questo punto, e tutte le mete ultime e +supreme sembrano convergervi».226 Nel de௹nire il Sé, Jung formulava dunque il +significato della realizzazione conseguita grazie al sogno di Liverpool: +Il Sé potrebbe essere caratterizzato come una specie di compensazione per il con௺itto fra l’interno e +l’esterno (…). Pertanto esso è anche la meta della vita, perché è la più perfetta espressione della +combinazione fatale che si chiama individuo (…). Quando si riesce a sentire il Sé come un +irrazionale, come un ente inde௹nibile, al quale l’Io non è né contrapposto né sottoposto ma +pertinente, e intorno al quale esso ruota come la terra intorno al sole, allora la meta +dell’individuazione è raggiunta.227 +Il confronto con il mondo +Perché Jung smise di lavorare al Liber novus? Leggiamo nell’epilogo aggiunto +nel 1959: + Me ne ha distolto il mio incontro con l’alchimia nel 1930. L +’inizio della ௹ne sopraggiunse nel 1928, +quando Wilhelm mi spedì il testo di un trattato alchemico, Il ௬ore d’oro. A quel punto il contenuto di +questo libro trovò la sua strada verso la realtà e non potei più continuare a lavorarci.228 +Nel 1928 Jung aveva ancora dipinto nel Liber novus un mandala a piena +pagina con un castello d’oro al centro (ill. 163) e, una volta terminatolo, era +stato colpito dal fatto che esso aveva qualcosa di cinese. Di lì a poco, Richard +Wilhelm gli inviò il testo del Segreto del ௬ore d’oro, invitandolo a scrivere un +commento su di esso. Questa coincidenza non mancò di fare una forte +impressione su di lui: +Il testo mi dava una conferma, mai sognata, delle mie idee circa il mandala e la circumambulazione +del centro. Questo fu il primo avvenimento che interruppe la mia solitudine. Mi resi conto di +un’affinità; potevo stabilire legami con qualcosa e con qualcuno.229 +Il +signi௹cato +di +questa +conferma +si +evince +dalla +legenda +apposta +all’illustrazione: «1928. Quando dipinsi quest’immagine, che mostra il castello +d’oro ben forti௹cato, Richard Wilhelm mi mandò da Francoforte il millenario +testo cinese del castello giallo, il germe del corpo immortale. Ecclesia catholica +et protestantes et seclusi in secreto. Aeon ௬nitus» (La chiesa cattolica e i +protestanti e i ritirati in clausura. La ௹ne di un eone).230 Le corrispondenze tra +l’universo immaginario e concettuale del testo cinese da un lato e le sue proprie +illustrazioni e fantasie dall’altro lasciarono Jung sbalordito. Scrisse a Wilhelm il +25 maggio 1929: «Il destino sembra averci assegnato il ruolo di due pilastri che +reggono il ponte fra Oriente e Occidente».231 Solo più tardi si rese conto della +fondamentale importanza del carattere alchemico dell’opera.232 Quell’anno Jung +lavorò al suo commento e il 10 settembre scrisse a Wilhelm: «Sono incantato da +questo testo così prossimo al nostro inconscio».233 +Il commento di Jung al Segreto del ௬ore d’oro rappresentò un vero e proprio +punto di svolta. Fu la sua prima trattazione pubblica del signi௹cato del mandala, +e qui per la prima volta Jung riprodusse (in forma anonima) e commentò tre +illustrazioni del Liber novus quali esempi di mandala europei.234 Riguardo ai +mandala presenti nel volume scrisse a Wilhelm il 28 ottobre 1929: «Le immagini +si integrano a vicenda e proprio grazie alla loro varietà trasmettono +un’eccellente idea degli sforzi compiuti dallo spirito inconscio europeo per +comprendere l’escatologia orientale».235 Tale nesso tra «spirito inconscio +europeo» ed «escatologia orientale» diventerà negli anni trenta uno degli assi +portanti dell’opera di Jung, che per il suo approfondimento si avvarrà della +collaborazione degli indologi Wilhelm Hauer e Heinrich Zimmer. 236 Il commento +riveste poi un’importanza non meno cruciale per la forma adottata: anziché +rivelare i particolari della propria autosperimentazione o di quella dei suoi +pazienti, Jung ne parlò qui in modo indiretto attraverso una serie di paralleli con + il testo cinese, secondo una modalità inaugurata nel quinto capitolo di Tipi +psicologici. D’ora in avanti questo metodo allegorico costituirà la sua forma +espositiva preferita: rinuncia a ogni riferimento esplicito alle proprie +esperienze, illustrazione di analoghe evoluzioni attestate in pratiche esoteriche, +soprattutto nell’alchimia medievale. +Di lì a poco Jung interruppe d’improvviso il lavoro al Liber novus: sospese la +trascrizione del testo e lasciò incompiuta l’ultima immagine a piena pagina. Anni +dopo ricordò che, una volta raggiunto il punto centrale o Tao, il «confronto con +l’inconscio» volse al termine ed ebbe inizio il «confronto con il mondo» sotto +forma di un’intensa attività in veste di relatore e conferenziere.237 Questa +attività, aggiunse, rappresentava per lui una compensazione rispetto agli anni +che lo avevano visto assorbito dal suo mondo interiore.238 +Lo studio comparato del processo di individuazione +Jung si era accostato allo studio di testi alchemici sin dal 1910 circa. Nel 1912 +Théodore +Flournoy +aveva +presentato +un’interpretazione +psicologica +dell’alchimia nelle sue lezioni all’Università di Ginevra e nel 1914 Herbert +Silberer aveva pubblicato un corposo lavoro sul tema.239 Ponendosi sulla loro +scia, anche Jung orientò le sue indagini in materia secondo una prospettiva +psicologica e in base a due tesi principali: prima, nella loro attività di ri௺essione +meditativa sui testi e di sperimentazione sui metalli, gli alchimisti praticavano in +realtà una forma di immaginazione attiva; seconda, il simbolismo presente nei +trattati alchemici corrispondeva a quello del processo di individuazione che +vedeva impegnati Jung e i suoi pazienti. +Nel corso degli anni trenta, il perno dell’attività di Jung si spostò dalla +registrazione delle sue fantasie nei Libri neri alla raccolta di materiali +documentari sull’alchimia in appositi quaderni di appunti. Qui egli radunò una +massa enciclopedica di citazioni provenienti dalla letteratura alchemica e da +opere correlate, organizzando tutto questo materiale per parole chiave e +soggetti tematici. È qui la base dei suoi futuri lavori sulla psicologia +dell’alchimia. +Dopo il 1930, pur avendo Jung accantonato il Liber novus e cessato di +lavorarci direttamente, esso rimase al centro della sua opera. Nella pratica +terapeutica egli continuò a promuovere analoghe dinamiche nei suoi pazienti, e +proseguì nel tentativo di capire quali aspetti della propria esperienza fossero +manifestazioni idiosincratiche e quali invece avessero una qualche validità +generale e dunque fossero applicabili anche ad altre persone. Nell’ambito del +simbolico, l’interesse di Jung si orientò alla ricerca di paralleli con le concezioni +e il linguaggio delle immagini del Liber novus, al ௹ne di dare risposta +all’interrogativo: +esiste +in +ogni +cultura +un +processo +paragonabile + all’individuazione? E in caso a௸ermativo, quali sono gli elementi comuni e quali +le differenze? +Da questo punto di vista, le indagini svolte da Jung dopo il 1930 possono +essere considerate un’estesa ampli௹cazione di temi rintracciabili nel Liber +novus, oltre che un tentativo di trasporne i contenuti in una forma accettabile +per gli orientamenti contemporanei. Alcune enunciazioni presenti nel Liber +corrispondono a posizioni teoriche che Jung articolerà in successive +pubblicazioni, e ne rappresentano le formulazioni germinali.240 D’altra parte, +molto altro materiale non trovò una diretta collocazione nell’edizione +complessiva delle sue opere oppure vi venne presentato in forma schematica, +allegorica o allusiva. Pertanto il Liber consente un chiarimento insperato di +alcuni degli aspetti più ostici del pensiero junghiano. Di fatto, senza uno studio +approfondito di esso non è possibile ricostruire la genesi degli scritti successivi +di Jung, né raggiungere una piena comprensione degli scopi che egli si era +pre௹ssato. Nello stesso tempo i testi con௺uiti nelle Opere possono essere visti, +almeno in parte, come un commento indiretto del Liber novus. Gli uni spiegano +l’altro e viceversa. +Jung considerò il suo «confronto con l’inconscio» come la fonte della sua opera +successiva. Da quelle sue fantasie iniziali era scaturito tuttociò che egli aveva +realizzato in seguito, lì avevano origine le sue concezioni, che egli aveva +formulato come meglio gli era riuscito servendosi di un linguaggio maldestro e +carente. Spesso – ricordò – aveva l’impressione che gli «cadessero addosso +enormi macigni, le tempeste si susseguivano», ed era sorpreso che tutto ciò non +gli avesse causato un crollo psichico come era accaduto ad altri, per esempio al +presidente Schreber.241 +Nel 1957, interpellato da Kurt Wol௸ in merito al rapporto tra la sua opera +scientifica e le sue esperienze oniriche e visionarie, Jung rispose: +Questa è stata la materia prima che irrompendo mi ha costretto a plasmarla; e le mie opere non +sono altro che un tentativo più o meno riuscito di incorporare questa materia ignea nella visione del +mondo del mio tempo. Quelle prime immaginazioni e quei sogni erano come magma incandescente +da cui si cristallizzò la pietra che potei scolpire.242 +E aggiunse: «Mi ci sono voluti praticamente quarantacinque anni per distillare +nell’alambicco del mio lavoro scienti௹co le cose che sperimentai e annotai +allora».243 +Jung stesso ebbe a dire che nel Liber novus è possibile riconoscere, fra l’altro, +un resoconto delle varie fasi del suo processo di individuazione. Nelle sue opere +posteriori egli tentò di indicare lo schema generale alla base degli elementi +comuni che era riuscito a rintracciare nel lavoro con i pazienti e nelle sue +ricerche di fenomenologia comparata. La sua produzione successiva costituisce +così l’ossatura, l’abbozzo essenziale, ma lascia fuori il complesso dei dettagli. + Nel formulare una valutazione retrospettiva, Jung descrisse il Liber novus come +un tentativo di rappresentare la propria esperienza in forma di rivelazione. +Aveva sperato che di lì gli giungesse la liberazione, ma dovette constatare che +così non era stato. Si rese quindi conto di dover tornare alla realtà umana e +all’attività scienti௹ca. Dalle acquisizioni raggiunte doveva trarre delle +conclusioni. L +’elaborazione del materiale contenuto nel Liber novus era stata +per lui un passo di vitale importanza, ma altrettanto imprescindibile era +comprendere e adempiere i propri obblighi etici. A questo compito corrispose +con la sua vita e la sua scienza.244 +Nel 1930 Jung iniziò a tenere al Club psicologico di Zurigo una serie di +seminari sulle visioni di Christiana Morgan che possono essere in parte +considerati un commento indiretto del Liber novus.245 A riprova della validità +empirica delle concezioni in esso raggiunte, egli mirava a dimostrare, sulla base +di un’esperienza parallela, che i processi rappresentati nel Liber non +costituivano soltanto uno specifico vissuto personale. +Due anni più tardi, con i suoi seminari sul kuṇḍalinī-yoga, Jung diede avvio a +uno studio comparato di una serie di pratiche esoteriche che si articolò su vari +nuclei tematici – gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, gli Yogasūtra di +Patañjali, le tecniche di meditazione buddhista, l’alchimia medievale – presentati +nel corso di un lungo ciclo di lezioni tenute alla Eidgenössische Technische +Hochschule di Zurigo a partire dal 1933.246 Presupposto di queste connessioni e +comparazioni era l’intuizione, maturata nel frattempo, che tali pratiche si +fondassero tutte su forme diverse di immaginazione attiva e mirassero alla +trasformazione della personalità – ciò che Jung chiamava processo di +individuazione. In questo senso queste lezioni o௸rono una storia comparata di +quel particolare metodo di esplorazione dell’inconscio – l’immaginazione attiva – +che stava alla base del Liber novus. +Nel 1934 Jung pubblicò la sua prima ampia trattazione di un processo di +individuazione, quello di Kristine Mann, autrice di una corposa serie di mandala. +Jung fece qui riferimento alla propria sperimentazione: +Ho applicato naturalmente questo metodo anche a me stesso, e confermo che si possono dipingere +௹gure e௸ettivamente complesse senza avere la minima idea del loro contenuto reale. Mentre la si +dipinge, l’immagine sembra svilupparsi da sé, spesso in contrapposizione con l’intenzione +cosciente.247 +Jung osservò che il suo saggio andava a colmare una lacuna nell’esposizione +dei propri metodi terapeutici, poiché ௹no a quel momento aveva scritto ben poco +sull’immaginazione attiva. Benché si servisse di questo metodo sin dal 1916, si +era limitato a tracciarne un pro௹lo nel 1928 in L +’Io e l’inconscio , e soltanto +l’anno seguente aveva menzionato per la prima volta il mandala nel suo +commento al Segreto del fiore d’oro: + Per almeno tredici anni ho tenuto segreti i risultati di questo metodo, onde evitare ogni suggestione. +Volevo esser certo che questi fenomeni – in particolare i mandala – fossero davvero produzioni +spontanee e non fossero suggerite ai pazienti dalla mia fantasia.248 +Attraverso i suoi studi di fenomenologia storica Jung si convinse che i mandala +sono ௹gurazioni ricorrenti in ogni tempo e in ogni luogo; notò inoltre che essi +venivano prodotti anche da pazienti di psicoterapeuti estranei alla sua scuola. Si +può leggere in trasparenza, in queste osservazioni, una delle possibili ragioni +che distolsero Jung dall’idea di pubblicare il Liber novus: vale a dire, il proposito +di convincere se stesso e i suoi critici che le dinamiche interiori dei suoi pazienti +e in particolar modo le loro immagini mandaliche non erano dovute a +suggestione. Egli riteneva che il mandala rappresentasse uno degli esempi più +convincenti dell’universalità dell’archetipo. Nel 1941 inoltre dichiarò che egli +stesso faceva uso da tempo del metodo dell’immaginazione attiva e che soltanto +anni dopo aveva potuto riscontrare, in testi che in precedenza gli erano +sconosciuti, molti dei simboli da lui osservati.249 È chiaro però che, data +l’ampiezza delle conoscenze di Jung, il materiale da lui addotto non può essere +considerato un argomento probante a sostegno della sua tesi, secondo cui le +immagini dell’inconscio collettivo emergono in modo spontaneo, anche in +assenza di una qualche cognizione precedente. +Nel Liber novus Jung articolò il proprio modo di intendere le trasformazioni +storiche del cristianesimo e la storicità delle formazioni simboliche, un tema che +riprenderà nei suoi saggi sulla psicologia dell’alchimia e dei dogmi cristiani e +soprattutto +in Risposta a Giobbe (1952). Come abbiamo visto, l’aver +riconosciuto alle sue visioni d’anteguerra il valore di segni premonitori fu +l’elemento determinante che portò alla composizione del Liber novus. Nel 1952, +grazie alla collaborazione con il premio Nobel per la ௹sica Wolfgang Pauli, Jung +postulò l’esistenza di un principio di «coordinamento acausale» sotteso a si௸atte +«coincidenze signi௹cative», che denominò sincronicità.250 Sostenne che in talune +circostanze il costellarsi di un archetipo produce una relativizzazione del tempo +e dello spazio, che a sua volta rende possibile l’accadere di eventi del genere. Si +trattava di un tentativo di ampliare la sfera della comprensione scienti௹ca ௹no a +includere fenomeni quali le sue visioni del 1913-14. +È importante osservare in௹ne che la relazione tra il Liber novus e l’opera +scienti௹ca di Jung non si declinò in un semplice processo di traduzione e +riformulazione del primo nella seconda. Già nel 1916 Jung cercò di trasporre +alcuni risultati delle proprie sperimentazioni in un linguaggio scienti௹co, +continuando nel frattempo a elaborare le sue fantasie. Sarebbe quindi +opportuno considerare il Liber novus e i Libri neri come un opus privato che +progredì in parallelo e a ௹anco dell’opus scienti௹co destinato al pubblico; +benché il secondo abbia tratto origine e alimento dal primo, i due ambiti sono +rimasti distinti. Una volta messo da parte il Liber novus, Jung non cessò di + sviluppare il suo opus privato – la sua personale mitologia – dedicandosi alla +costruzione della torre e alla sua attività scultorea e pittorica. A questo +proposito il Liber novus rivestì la funzione di centro generatore, e un buon +numero di sue opere artistiche vanno ricondotte a esso. Nella sua pratica +psicoterapeutica +Jung +promosse +e +supervisionò +i +tentativi +di +autosperimentazione e creazione simbolica dei propri pazienti, cercando in tal +modo di incoraggiarli a ricostituire in seno alla loro esistenza un signi௹cato +capace di darle senso. Al contempo si sforzò di sviluppare una psicologia +scientifica generale. +La pubblicazione del «Liber novus» +Anche se Jung aveva smesso di lavorare direttamente al Liber novus, +rimaneva aperta la questione di cosa fare di questo testo, e della sua eventuale +pubblicazione. Il 10 aprile 1942 Jung si era così espresso con Mary Mellon in +merito alla possibilità di un’edizione dei Sermones: «Per quanto riguarda la +stampa dei Sette sermoni, le dovrei chiedere di pazientare un momento. Avevo +in mente di aggiungere del materiale, ma ho esitato a farlo per anni. Data +l’occasione, però, si potrebbe anche correre questo rischio».251 Nel 1944 però +Jung ebbe un grave attacco cardiaco e l’iniziativa non ebbe seguito. +Nel 1952 Lucy Heyer presentò un progetto di biogra௹a di Jung, in cui, su +suggerimento di Olga Froebe e insistenza dell’interessato, fu coinvolta Cary +Baynes, la quale pensò a una biogra௹a basata sul Liber novus.252 Tuttavia, con +dispiacere di Jung, dopo un periodo di collaborazione Baynes si ritirò +dall’impresa e nel 1955, dopo anni di interviste con Heyer, Jung decise di porre +௹ne al progetto perché insoddisfatto di come stava procedendo. Una nuova +proposta di biogra௹a – quella che sarebbe diventata Ricordi, sogni, ri௭essioni, a +cura di Aniela Ja௸é – venne l’anno successivo dall’editore Kurt Wol௸. A un certo +punto del lavoro, Jung mise a disposizione di Ja௸é una copia della minuta del +Liber novus eseguita da Toni Wol௸ e l’autorizzò a citare nell’opera stralci sia +dal Liber che dai Libri neri.253 Nel corso delle sue interviste con Ja௸é Jung parlò +del Liber novus e della sua autosperimentazione, ma purtroppo non tutte le sue +osservazioni furono riprodotte nell’edizione a stampa dei Ricordi. +Il 31 ottobre 1957 Ja௸é scrisse a Jack Barrett della Bollingen Foundation, +informandolo che Jung aveva suggerito che il volume calligra௹co del Liber novus +fosse depositato insieme ai Libri neri presso la biblioteca dell’Università di +Basilea e che la consultazione dell’opera fosse assoggettata a una restrizione +temporale stabilita in 50, 80 o più anni, dato che «non sopporta l’idea che +qualcuno possa leggere questo materiale senza conoscere le relazioni con la sua +vita ecc.». Aggiunse di aver deciso di non usare granché di quella +documentazione nei Ricordi.254 In e௸etti, in una prima stesura Ja௸é aveva + incluso la trascrizione di gran parte del Liber primus,255 che venne poi espunta +dalla redazione ௹nale, in cui non compare alcuna citazione dal Liber novus e dai +Libri neri. In appendice all’edizione tedesca e italiana dei Ricordi, Ja௸é pubblicò +l’epilogo aggiunto da Jung al Liber novus nel 1959. La ௺essibilità temporale dei +limiti imposti da Jung alla consultazione del Liber era simile a quella con cui, +all’incirca nello stesso periodo, egli aveva dato disposizioni in merito alla +pubblicazione della sua corrispondenza con Freud.256 +Il 12 ottobre 1957 Jung dichiarò a Ja௸é che «il Libro rosso non è mai stato +terminato».257 Ja௸é ricorda che nella primavera del 1959, dopo un periodo di +salute malferma, Jung rimise mano al Liber per terminare l’ultima immagine +rimasta incompiuta. Ancora una volta si apprestò a riprendere la trascrizione +del manoscritto nel volume calligra௹co. «Ma anche allora – così Ja௸é – non poté +o non volle completarlo. Aveva a che fare con la morte, mi disse».258 La +trascrizione calligra௹ca s’interrompe a metà di una frase e lo stesso avviene con +l’epilogo aggiunto per l’occasione. Questo poscritto e le considerazioni di Jung a +proposito della cessione del volume calligra௹co a un archivio lasciano pensare +che egli fosse consapevole che prima o poi l’opera sarebbe stata oggetto di +studio. Dopo la morte di Jung il Liber novus continuò a essere conservato +nell’archivio di famiglia, secondo le sue volontà. +In una conferenza tenuta a Eranos nel 1971 sulle «fasi creative nella vita di +Jung», Aniela Ja௸é citò due passi del Liber novus, asserendo che «Jung mi mise a +disposizione una copia del manoscritto con il permesso di citarlo quando se ne +fosse data l’occasione»259 (di fatto, fu questa l’unica volta in cui lei lo fece). +L +’anno dopo, in un documentario su Jung realizzato dalla BBC con la +collaborazione di Laurens van der Post, furono mostrate alcune illustrazioni del +Liber novus che suscitarono un forte interesse per l’opera. Nel 1975, sull’onda +del successo registrato dalla pubblicazione del carteggio Freud/Jung, William +McGuire in rappresentanza della Princeton University Press sottopose al legale +degli eredi di Jung, Hans Karrer, una proposta di pubblicazione per il Liber +novus e una scelta di riproduzioni fotogra௹che della torre di Bollingen e delle +sculture e dei dipinti di Jung. Il progetto prevedeva un’edizione in facsimile, +eventualmente priva del testo. Scrisse McGuire: «Non abbiamo informazioni +circa il numero delle pagine, il rapporto quantitativo fra testo e immagini, e il +contenuto e l’interesse del testo».260 Nessun funzionario della casa editrice +aveva mai visto o letto l’opera o ne aveva una conoscenza precisa. La proposta +venne rifiutata. +Nel 1975 alcune riproduzioni di pagine del volume calligra௹co furono esposte +in una mostra allestita a Zurigo per il centenario della nascita di Jung. Due anni +più tardi, nove illustrazioni del Liber novus furono pubblicate da Aniela Ja௸é in +C. G. Jung. Bild und Wort e nel 1989 alcune altre immagini correlate furono +riprodotte da Gerhard Wehr nella sua biografia illustrata di Jung.261 + Nel 1984 fu eseguita una riproduzione fotogra௹ca professionale dell’intero +Liber novus e furono preparate cinque copie in facsimile destinate alle rispettive +famiglie dei discendenti diretti di Jung. Nel 1992 la famiglia Jung, che aveva +sostenuto la pubblicazione dei Gesammelte Werke in tedesco (completata nel +1995), cominciò a esaminare i materiali inediti di Jung. In seguito alle mie +ricerche, furono rinvenute due trascrizioni, una delle quali parziale, del Liber +novus, che presentai agli eredi di Jung nel 1997. All’incirca nello stesso periodo, +un’altra trascrizione fu fatta pervenire agli eredi da Marie-Louise von Franz. +Invitato a esprimermi in merito all’opportunità di una pubblicazione, presentai +una relazione. Sulla base di questa documentazione e delle discussioni di cui fu +oggetto, nel maggio 2000 gli eredi autorizzarono la pubblicazione dell’opera. +Il lavoro compiuto da Jung sul Liber novus ha costituito il cuore della sua +autosperimentazione e si è tradotto in quello che va considerato senza +esitazione come il centro del suo opus. La sua pubblicazione permette +௹nalmente di analizzare le varie fasi di tale sperimentazione – e dunque di +comprendere la genesi e l’articolazione dell’opera successiva – sulla base di +materiali di prima mano e non di quel coacervo di congetture fantasiose e +pettegolezzi vari che tanta parte hanno avuto nella letteratura critica su Jung. +Questa che è la fonte documentaria singola in assoluto più importante è +semplicemente rimasta inaccessibile per quasi un secolo, un fatto che – non c’è +bisogno di sottolinearlo – ha avuto enormi conseguenze negative sulla copiosa +bibliogra௹a junghiana che nel frattempo si è accumulata. Ora la sua +pubblicazione segna un punto di svolta e dischiude una nuova era negli studi +sulla vita e sul pensiero di Jung, o௸rendo una visuale unica sul modo in cui egli +ritrovò la sua anima e poté gettare le basi della sua psicologia. Così questa +introduzione non termina con una conclusione, ma con la promessa di un nuovo +inizio. + Nota editoriale +Il Liber novus è un corpus testuale incompiuto, attestato da un complesso di +testimoni (manoscritti e copie dattiloscritte), nessuno dei quali riporta una +redazione che possa essere considerata de௹nitiva. Così stando le cose, e poiché +non è del tutto chiaro come Jung intendesse completare l’opera o in che forma +l’avrebbe pubblicata, qualora si fosse deciso in questo senso, risultano possibili +diverse soluzioni di presentazione del testo. Di seguito sono indicati i criteri +seguiti nell’allestimento di questa edizione. +Per il Liber primus e il Liber secundus, i materiali disponibili sono, in +sequenza cronologica: +Libri neri 2-5 (novembre 1913 - aprile 1914) +Minuta manoscritta (estate 1914-15) +Minuta dattiloscritta (circa 1915) +Minuta +corretta +(con +due +livelli +di +interventi +correttorii, +databili +rispettivamente al 1915 circa e alla metà degli anni venti circa) +Volume calligrafico (1915-30, ripreso nel 1959, lasciato incompiuto) +Trascrizione di Cary Baynes (1924-25) +Copia di Yale. Liber primus, senza il prologo (identica alla minuta +dattiloscritta) +Copia rivista. Liber primus, senza il prologo (versione della minuta +dattiloscritta, con correzioni di mano ignota; fine anni cinquanta circa) +Per le Prove, abbiamo: +Libri neri 5-6 (aprile 1914 - giugno 1916) +Septem sermones ad mortuos, versione calligrafica (1916) +Septem sermones ad mortuos, edizione a stampa (1916) +Minuta manoscritta (circa 1917) +Minuta dattiloscritta (circa 1918) +Trascrizione di Cary Baynes (1925) (27 pp., incompleta) +Il testo qui pubblicato si basa su una revisione della trascrizione di Cary +Baynes, su una nuova trascrizione del rimanente materiale del volume +calligra௹co nonché della minuta dattiloscritta delle Prove, e in௹ne su una +collazione integrale parola per parola di tutti i testimoni esistenti. Le ultime +trenta pagine sono esemplate sul testo della minuta. Le principali varianti tra i +diversi testimoni riguardano il «secondo strato» testuale e danno conto del +continuo lavoro compiuto da Jung per comprendere il signi௹cato psicologico +delle proprie fantasie. Dato che egli vide nel Liber novus un «tentativo di +elaborazione in forma di rivelazione», e dato che queste varianti documentano + appunto tale «tentativo di elaborazione», esse vanno considerate parte +integrante dell’opera. In apparato saranno quindi riportate tutte le lezioni +signi௹cative delle varie redazioni, insieme ad altro materiale atto a chiarire il +signi௹cato o il contesto di determinati brani. I diversi strati testuali dell’opera +hanno tutti notevole interesse e importanza, e una pubblicazione complessiva +dell’intera documentazione disponibile – che ammonterebbe a diverse migliaia di +pagine – potrebbe essere un compito per il futuro.1 +Quanto al criterio adottato per la scelta delle varianti da riportare, esso è +consistito in una semplice domanda: questo inserimento aiuta il lettore a +comprendere +meglio +il +signi௹cato +del +testo? +Anche +a +prescindere +dall’importanza intrinseca delle varianti, la loro segnalazione in nota obbedisce +anche a una seconda ௹nalità, quella cioè di permettere di seguire in tutte le sue +fasi l’incessante processo di revisione cui Jung sottopose il testo. +Come ho detto, la minuta corretta presenta due diversi strati di interventi +correttorii di mano di Jung. Un primo gruppo di correzioni risulta successivo alla +battitura a macchina della minuta e anteriore alla sua trascrizione nel volume +calligra௹co, cosicché proprio questo sembra essere il testo usato da Jung per la +trascrizione.2 Un secondo gruppo di correzioni, esteso a circa 200 pagine del +dattiloscritto, risulta apportato dopo la realizzazione del volume calligra௹co, in +un periodo che sono incline a situare verso la metà degli anni venti. Questi +interventi hanno lo scopo di aggiornare il linguaggio adeguandolo alla +terminologia adottata da Jung all’epoca di Tipi psicologici. Sono stati inoltre +aggiunti in questa fase una serie di ulteriori complementi esplicativi, ed è stato +ripristinato (con correzioni) materiale già espunto al momento della trascrizione +nel volume calligra௹co. I più signi௹cativi di tali cambiamenti sono stati riportati +in nota per dare al lettore un’idea di come Jung avrebbe rivisto l’intero testo se +avesse portato a termine il suo lavoro correttorio. +Per facilitare la consultazione, nel capitolo 21 del Liber secundus («Il mago») +e nelle Prove sono state introdotte delle suddivisioni in sottounità testuali, +contrassegnate con numeri racchiusi tra parentesi gra௸e: { }. Dove possibile, è +stata fornita la data di ciascuna fantasia in base alle indicazioni dei Libri neri. Il +secondo strato aggiunto nella minuta viene segnalato con l’indicazione [2]; la +serie delle fantasie registrate nei Libri neri riprende quindi all’inizio del capitolo +successivo. Nei casi di suddivisione editoriale del testo, il ritorno alla sequenza +dei Libri neri viene segnalato con l’indicazione [1]. +I vari testimoni adottano sistemi diversi di segmentazione del testo in +capoversi. Nella minuta questi ultimi consistono spesso in una o due frasi, +secondo il modello del poema in prosa. All’estremo opposto, il volume +calligra௹co presenta lunghe sequenze prive di ogni accapo. La suddivisione più +razionale è risultata quella della trascrizione di Cary Baynes, dove gli accapo +coincidono perlopiù con la presenza di lettere iniziali colorate. Essendo + improbabile che Jung non abbia approvato le scelte di Baynes, la sua +articolazione è stata assunta a base di questa edizione, anche se in alcuni casi +ho preferito uniformarmi alle scansioni della minuta e del volume calligra௹co. Il +medesimo criterio è stato applicato nella parte di testo corrispondente alla +trascrizione eseguita da Baynes in base alla minuta anziché al volume +calligra௹co, all’epoca non ancora completato. Nel complesso, credo che +l’assetto testuale così ottenuto sia quello che meglio soddisfa le esigenze di +chiarezza e scorrevolezza. +Nel volume calligra௹co Jung decorò un certo numero di iniziali, altre ne +evidenziò in rosso o in blu, e in qualche caso aumentò la dimensione dei +caratteri. La sistemazione gra௹ca qui adottata cerca di riprodurre queste +convenzioni stilistiche. Per quanto riguarda le iniziali colorate, nei frequenti casi +in cui testo originale e traduzione non si corrispondono a specchio, si è scelto di +evidenziare l’iniziale della parola che nella traduzione occupa la medesima +posizione della parola originale con l’iniziale colorata. Le unità testuali +trascritte da Jung in grassetto e in corpo maggiore sono state rese in corsivo. +Per ragioni di uniformità i medesimi criteri sono stati seguiti nella porzione di +testo non trascritta nel volume calligra௹co. Per quanto concerne i Septem +sermones ad mortuos, le evidenziazioni in colore riproducono quelle +dell’edizione a stampa del 1916, sempre in conformità all’indicato criterio di +corrispondenza originale/traduzione. +Omissioni di parti di testo nelle citazioni sono state segnalate con tre punti +racchiusi fra parentesi tonde. Non sono stati applicati corsivi a ௹ni enfatici oltre +a quelli contenuti nei testi originali. +In௹ne, la questione dell’inclusione nel Liber novus delle Prove, quale parte +integrante dell’opera e continuazione dei Libri primus e secundus. La mia scelta +a favore dell’inclusione si è basata su alcuni argomenti di carattere editoriale, e +in particolare su una serie di signi௹cative corrispondenze cronologiche, +tematiche e testuali. +La materia dei Libri neri inizia nel novembre 1913, quella del Liber secundus +termina al 19 aprile 1914, e il racconto delle Prove comincia lo stesso giorno. I +Libri neri procedono in sequenza continua ௹no al 21 luglio 1914, quindi si +interrompono per riprendere il 3 giugno 1915. Durante questo periodo Jung +lavorò alla minuta manoscritta. La copia del Liber novus realizzata da Cary +Baynes tra il 1924 e il 1925 si fonda per la prima metà sulla trascrizione +calligra௹ca e௸ettuata dallo stesso Jung ௹no a quel momento; quindi prosegue +sulla base della minuta e include 27 pagine delle Prove, terminando con una +frase lasciata a metà. +Alla fine del Liber secundus, l’anima di Jung è ascesa al cielo al seguito del Dio +rinato. Jung ora ritiene che Filemone sia un ciarlatano, ed entra in contatto con +il suo Io, con cui deve convivere e che deve educare. Le Prove muovono + esattamente da questo punto con un serrato confronto tra Jung e il suo Io. Viene +fatto riferimento all’ascesa del Dio rinato e l’anima ritorna e spiega perché era +scomparsa. Riappare Filemone e istruisce Jung su come stabilire una corretta +relazione con la sua anima, i morti, gli dèi e i demoni. Inoltre nelle Prove +Filemone assume decisamente una posizione di primo piano e acquisisce il +signi௹cato attribuitogli da Jung sia nel seminario del 1925 che nei Ricordi. +Soltanto grazie alle Prove è possibile chiarire alcuni episodi dei Libri primus e +secundus, e viceversa quanto viene narrato nelle Prove non ha senso senza aver +letto i Libri primus e secundus. +Il fatto, poi, che questi ultimi vengano menzionati in due passi delle Prove («ciò +che ho annotato nella prima parte di questo libro») costituisce un ulteriore +indizio a sostegno dell’ipotesi che Jung considerasse le Prove una sezione del +Liber novus e che i tre testi facessero tutti parte integrante della medesima +opera: +Poi scoppiò la guerra. Allora mi si apersero gli occhi su molte cose vissute in precedenza, e ciò mi +diede anche il coraggio di dire tutto ciò che ho annotato nelle precedenti parti di questo libro.3 +Da quando il Dio è asceso sino agli spazi superiori, anche ΦΙΛΗΜΩΝ è cambiato. All’inizio egli è +stato per me un mago che risiedeva in un paese remoto, poi però ho avvertito la sua vicinanza e, da +quando il Dio è asceso, so che ΦΙΛΗΜΩΝ mi aveva inebriato e mi aveva ispirato un linguaggio a me +estraneo e un diverso modo di sentire. Tutto questo era svanito quando il Dio era asceso e soltanto +ΦΙΛΗΜΩΝ aveva conservato quel linguaggio. Ma sentii che lui andava per vie che non erano le mie. +Probabilmente il grosso di ciò che ho annotato nelle precedenti parti di questo libro mi è stato +suggerito da ΦΙΛΗΜΩΝ.4 +Del +resto, +a +corroborare +l’ipotesi +dell’unitarietà +dell’opera +e +dell’appartenenza a essa delle Prove, concorre anche una serie di altri rimandi +interni fra i testi. Anzitutto, i mandala del Liber novus sono strettamente +connessi all’esperienza del Sé e alla comprensione della sua centralità, aspetti +che vengono chiariti soltanto nelle Prove. In secondo luogo, nel capitolo 15 del +Liber secundus Ezechiele e il suo compagno anabattista dicono a Jung che +stanno recandosi nei luoghi santi di Gerusalemme perché non riescono a trovare +pace, non essendosi le loro vite ancora compiute. Ora, nelle Prove i morti +dichiarano a Jung di essere stati a Gerusalemme, ma di non aver trovato quel +che cercavano. A questo punto fa la sua apparizione Filemone e hanno inizio i +Septem sermones, inclusi nelle Prove. È dunque possibile che Jung intendesse +trascrivere e illustrare le Prove nel volume calligra௹co, in cui del resto molte +pagine sono rimaste bianche. +In௹ne, un indizio extratestuale. L +’8 gennaio 1958 Cary Baynes scrisse a Jung: +«Si ricorda che mentre era in Africa mi ha fatto copiare buona parte del Libro +rosso? Ero arrivata fino all’inizio delle Prove. Si tratta quindi di una porzione più +ampia di quella che la signora Ja௸é ha messo a disposizione di K. W. [Kurt Wol௸] + e questi desidererebbe leggerla. È d’accordo?».5 Jung rispose il 24 gennaio: +«Non ho alcuna obiezione a che lei presti la sua trascrizione del Libro rosso al +signor Wol௸».6 A quanto pare, dunque, anche Baynes considerava le Prove una +parte del Liber novus. +SONU SHAMDASANI + Nota all’edizione studio +Fin dalla pubblicazione dell’edizione originale del Liber novus, che includeva +la riproduzione in facsimile del volume calligra௹co in scala uno a uno, è stata +sollecitata con insistenza la messa in cantiere di un’edizione in formato più +maneggevole che facilitasse lo studio dell’opera. In base al precedente +dell’edizione privata dei Septem sermones ad mortuos fatta stampare da Jung +nel 1916, è parso che un’edizione del solo testo potesse costituire una delle +forme di pubblicazione che egli prima o poi avrebbe preso in considerazione. La +presente edizione ripropone nella sua integralità la traduzione, l’introduzione e +l’apparato di note dell’edizione originale; il testo è stato reimpaginato su una +sola colonna, in un formato simile a quello della minuta manoscritta e +dattiloscritta di Jung. Per permettere al lettore di rintracciare rapidamente +nell’edizione originale i riferimenti al testo e alle immagini, sono stati mantenuti +i rimandi interni alle pagine del facsimile. A parte poche correzioni, l’opera è +rimasta invariata. +SONU SHAMDASANI + Nota alla traduzione +1. Chi traduce i testi di Carl Gustav Jung sa già in partenza di doversi +misurare con di௻coltà non lievi, di fronte a cui viene direttamente messo in +guardia dall’autore medesimo, che al riguardo una volta – nel 1946 – così si +espresse: +Lo stile del mio tedesco non è a௸atto semplice, e ci vuole un orecchio speci௹camente addestrato per +cogliere i sottintesi piuttosto sottili che abbondano in alcuni articoli. (…) Scopro di continuo che +certi punti vengono fraintesi o mal resi da traduttori che non a௸errano il pieno valore di certe +parole. (…) Ci vuole ovviamente qualcuno che abbia letture più ampie che non la psichiatria o la +psicologia accademica, perché il mio linguaggio è spesso più letterario che meramente +«scienti௹co». Mi capita anche di utilizzare allusioni alla letteratura classica o citazioni tratte da +essa.1 +Del resto, non vi sono dubbi che l’espressione linguistica abbia costituito per +Jung parte integrante della sua psicologia, apparendogli strettamente connessa +con la ricchezza e ambivalenza dell’Anima, come egli fece esplicitamente notare +a un suo interlocutore ed estimatore tedesco, qualche anno più tardi, riguardo ai +particolari problemi che i traduttori delle sue opere erano chiamati ad +affrontare: +Il mio linguaggio dev’essere equivoco, vale a dire ambiguo, per rendere giustizia alla natura della +psiche e al suo doppio aspetto. Faccio tutto il possibile, consciamente e deliberatamente, per +trovare delle espressioni ambigue, perché sono superiori a quelle univoche e corrispondono alla +natura dell’essere.2 +È dunque evidente che Jung prendeva molto sul serio il problema della +traduzione delle proprie opere, anche perché s’era dovuto confrontare con +esperienze non sempre per lui soddisfacenti, in particolare nel caso di uno dei +suoi principali traduttori in lingua inglese, Richard Hull, che – a suo giudizio – +nella resa in inglese aveva saputo dar prova, sì, di una pregevole ௺uidità, ma che +al tempo stesso – anche a motivo della sua formazione prevalentemente +letteraria e ௹loso௹ca – gli era parso a volte incontrare di௻coltà a intendere +alcuni dei suoi concetti, come per esempio quello del Sé, e dimostrare una certa +tendenza a «inventare parole diverse per lo stesso identico concetto», +ingenerando dunque «confusione» nel lettore.3 +Nella presente traduzione sono stati, dunque, attivi due aspetti: da un lato, +«l’orecchio speci௹camente addestrato» da una frequentazione dei testi junghiani +contenuti nell’edizione delle Opere, apparse in Italia sotto la direzione di Luigi +Aurigemma e, dall’altro, quell’atteggiamento dell’anima in ascolto richiamato, +per esempio, da George Steiner nel suo celebre Dopo Babele (1975), in cui egli +sosteneva che tradurre poesia o prosa poetica non può essere un semplice + processo di ricodi௹ca e di sostituzione dei costrutti semantici della lingua di +partenza in quelli equivalenti della lingua di arrivo, ma implica un rivivere +empaticamente l’atto creativo che ha dato forma all’originale, poiché la +traduzione, prima di essere un esercizio formale, è un’esperienza esistenziale.4 +Queste considerazioni possono rivelarsi preziose anche in riferimento alle +intrinseche di௻coltà del tradurre testi come il Libro rosso, in cui occorreva +ricreare, a distanza di circa un secolo, per il lettore odierno il personalissimo +linguaggio di Jung alla ricerca della propria anima, un linguaggio distante sia da +quello della psicologia sperimentale delle origini che da quello della psichiatria a +lui contemporanea, nonché dai concetti portanti della psicoanalisi viennese, sì da +evidenziare le sfaccettature dell’atto creativo evocandone le varie speci௹che +atmosfere. +2. Analizzando sinteticamente le caratteristiche dei testi junghiani radunati +nel presente volume (il Liber novus e le Prove, che – secondo la proposta +interpretativa di Sonu Shamdasani – ne costituirebbero una parte assolutamente +integrante), non è di௻cile notare che essi presentano un’alternanza di di௸erenti +registri linguistici. Tali variazioni hanno posto di fatto i traduttori di fronte a un +compito arduo: quello di dar prova di duttilità e ௺essibilità nel render conto di +di௸erenti e variegati ritmi e timbri espressivi, come del resto è già stato fatto +presente dai responsabili della versione presentata nell’edizione americana.5 +V’è +anzitutto +il +livello +letterario-narrativo +dei dialoghi +e +delle +rappresentazioni descrittive, presente in quasi tutti i capitoli e caratteristico +degli scenari entro cui si svolgono le fantasie a௻orate spontaneamente +nell’autore tra il novembre 1913 e l’aprile 1914 (Liber novus) e tra l’aprile +1914 e il giugno 1916 (Prove). +A questo primo registro compositivo si a௻anca poi il «secondo strato» (layer +two), ossia la parte di commento aggiunta con intervento consapevole di +accurata e meticolosa revisione da parte di Jung in parte nel 1915 e in parte alla +metà +degli +anni +venti: +revisione +che +testimonia +di +adattamenti +e +rimaneggiamenti di carattere più concettuale e analitico e che evidenzia +analogie, per esempio, con il linguaggio di un testo cardine come quello dei Tipi +psicologici (1921). +E v’è in௹ne il terzo registro: quello mantico-profetico, ricco di riferimenti +biblici e carico di echi della lingua dei Salmi o del Cantico dei cantici, oltre che +di suggestioni della ௹abistica, con tratti e ritmi più squisitamente poetici: una +modalità che può essere intesa come una sorta di ampli௹cazione del registro +meramente descrittivo, quasi che lo stesso Jung abbia tradotto e ampli௹cato i +suoi dialoghi drammatizzati elevandoli a un piano più simbolico. +Questa consapevole modalità linguistico-compositiva, che resta unica +nell’intera produzione junghiana, conferisce un carattere «polifonico» al +presente volume.6 Tale strati௹cazione espressiva è particolarmente sviluppata + nella sezione delle Prove (risalenti al 1917 nella loro minuta manoscritta), in cui +il passaggio da un registro all’altro avviene in maniera più ௺uida e immediata e +in cui si percepisce la presenza di un linguaggio diverso, che par presentare +assonanze con la tecnica dello stream of conscious-ness: di un linguaggio cioè +che non è passato attraverso ௹ltri successivi, in quanto non è stato sottoposto +dall’autore a revisioni o rimaneggiamenti ulteriori, come invece si è veri௹cato +per il volume calligrafico. +Nei vari capitoli del Libro rosso i tre anzidetti registri linguistici – che +ovviamente richiedevano ai traduttori anche una corrispondente consapevolezza +e speci௹che abilità nel mantenere intatta la pluralità degli strati compositivi +della trama testuale – si alternano con una certa libertà e spontaneità, senza +che alcuno di essi subisca l’in௺uenza o l’interferenza degli altri. Di volta in volta +Jung elabora dunque in primis una forma di dialogo sorretto da una certa +drammatizzazione e da una resa quasi teatrale delle varie ௹gure che stanno +a௻orando nella sua Anima, in toni che, a volte, paiono ricordare la schietta +comicità del fabliau. A tale proposito ci si è trovati di fronte all’esigenza di +rispettare e di restituire il carattere di sperimentazione inerente all’esperienza +visionaria di Jung, sulla quale questo libro si regge, mantenendone anche per +quanto possibile la ricchezza di tecniche e di e௸etti calcolati: assonanze, +allitterazioni, ripetizioni enfatiche, tensioni liriche. In generale si è rinunciato +ovviamente a uniformare o appiattire le diverse modalità espressive dell’autore +o a regolarizzare – rispetto all’originale – la punteggiatura del testo. +Nell’ambito del terzo registro linguistico (quello mantico-profetico) e della +propensione di Jung all’uso di espressioni desuete, si sono mantenuti il più +possibile certi arcaismi per favorire la resa dei passi più «aulici» del libro, che +presentano assonanze con il linguaggio biblico e – nella fatti-specie – con la +Bibbia di Lutero, molto radicata nella cultura tedesca e, del resto, valorizzata in +quegli stessi anni per la forte aderenza alle fonti ebraiche da Franz Rosenzweig +e Martin Buber nella loro celebre traduzione in tedesco della Bibbia.7 Di qui la +scelta di avvalerci, per le citazioni in italiano, dell’edizione di una delle versioni +più accreditate e di௸use in Italia tra le confessioni cristiane non cattoliche: la +Sacra Bibbia Nuova Riveduta (1994) della Società Biblica di Ginevra, che si +colloca nella linea del testo tradotto da Giovanni Diodati a Ginevra nel XVII +secolo e che rimane legata allo spirito della tradizione e traduzione luterana. +Consci del carattere polisemico di alcuni termini chiave junghiani ricorrenti in +un gioco di sfaccettature sempre diverse per tutto il volume, si è perciò cercato +di mantenere tale polisemia o plurivalenza semantica rendendo con un termine +unico (senza ulteriori specificazioni), quando ciò era possibile in italiano, le varie +colorazioni di signi௹cato inerenti ai diversi contesti. Si pensi per esempio a un +vocabolo come Übersinn (senso superiore), parte della serie costituita da Sinn +(senso), Unsinn (nonsenso) e Widersinn (controsenso): può indicare sia un + signi௹cato superiore attribuito alla vita, sia la capacità umana di percepire una +realtà trascendente. Oppure si pensi a Sonnenjahre (anni solari) in cui solare +indica sia gli anni cronologici, sia gli anni «assolati» sotto il sole rovente del +deserto. Là dove invece diveniva pressoché impossibile rendere con un solo +vocabolo tale polisemia, si è optato per o௸rire in nota il rimando alle altre +valenze: per esempio nel caso del termine Gestaltung (reso in inglese con +formation), che indica sia il «dar forma» che l’oggetto che riceve la forma; +oppure nel caso del termine Kreatur, che designa sia la «creatura» che il +«creato» o la «creazione» (in senso biblico); o in௹ne nel caso del termine +entsetzt, nella sua duplice accezione di «degradato» e «inorridito». +3. Il Libro rosso assume il carattere di un’opera che o௸re il pensiero di Jung in +gestazione, nel senso che in esso si a௸acciano per la prima volta – agli albori, +dunque, della psicologia analitica – termini e concetti che poi scandiranno il +percorso di tutto il suo pensiero: per esempio Urbild (immagine primordiale, +archetipo), Seele (anima), Denken (pensiero, che designa una delle quattro +funzioni psichiche e che qui si a௸accia anche come Vordenken o «prepensiero» +nella ௹gura di Elia), Gefühl (sentimen-to), Schatten (l’Ombra), Gegensätze (gli +opposti), le ௹gure-Anima (da Salomè alla ௹glia del castellano erudito e a Bauci, +l’anziana e rassegnata moglie di Filemone) e la contrapposizione fra i contenuti +psichici collettivi e quelli individuali. +D’altro canto, il volume junghiano si presenta arricchito – specialmente nel +secondo strato – di echi intertestuali legati alle coeve letture dell’analista +zurighese (dai testi biblici ai repertori di mitologia classica, da Tommaso da +Kempis a Goethe e Schiller, da Schopenhauer a Nietzsche), producendosi in un +tedesco variegato e complesso che era opportuno conservare e che – di ri௺esso +– ha richiesto un notevole lavoro di interpretazione e documentazione parallela. +Relativamente al «secondo strato» o registro espressivo individuabile nel +volume, si è cercato, in particolare, di mantenere il collegamento lessicale con le +opere contemporanee alla stesura junghiana della minuta dattiloscritta e della +minuta corretta, con aggiunte in parte datate intorno alla metà degli anni venti: +La struttura dell’inconscio +(1916), Individuazione e collettività (1916) +Psicologia dell’inconscio (1917/1943), Tipi psicologici (1921) e il più tardo L’Io +e l’inconscio (1928). I traduttori hanno dunque valutato, al riguardo, la +(doverosa) opportunità di tener conto o di giovarsi della terminologia adottata +nelle precedenti traduzioni italiane delle Opere junghiane, a௻date a vari +curatori (Lisa Baru௻, Francesco Caracciolo, Eleonora D’Agostino Trevi, Maria +Anna Massimello, Mario Moreno, Mario Trevi). In qualche caso si è ritenuta del +resto opportuna qualche modifica nei passi citati. +4. Quanto al breve e comunque signi௹cativo segmento della sezione ௹nale del +volume, intitolata Prüfungen (Prove), prezioso è stato il confronto con la buona + traduzione italiana dei Septem sermones ad mortuos a opera di Silvano +Daniele, risalente alla ௹ne degli anni settanta. I Sermones costituiscono l’unica +e concisa parte di questo materiale visionario scelta da Jung nel 1916, da lui +attribuita allo scrittore gnostico Basilide di Alessandria e fatta circolare +privatamente quale omaggio occasionale a conoscenti e amici sotto forma di +opuscolo stampato nel 1916 in caratteri gotici con iniziali miniate, ma mai posto +in vendita nelle librerie. +Al riguardo si fa presente che non è stato agevole trovare una soddisfacente e +univoca resa in italiano per il termine tedesco Prüfungen, con cui Jung designa +queste pagine in cui vengono impiegati alcuni termini del vocabolario gnostico e +in cui sono all’opera indubbie valenze intertestuali, allusioni occulte, parodie e +paradossi al ௹ne di produrre una sorta di rappresentazione misterica incentrata +sulla relazione tra Elia e Salomè. Il vocabolo può signi௹care infatti «esami», +«veri௹che», «riscontri», «prove». Si è optato qui per quest’ultima accezione in +considerazione della pluralità di valenze di tale vocabolo nella lingua italiana, +che ci è parso dia conto, oltre che del signi௹cato di addestramento e di «messa +alla prova» dello «stupido fratello Io» (p. 342), con il quale Jung sin dall’inizio si +confronta aspramente, anche del carattere iniziatico di alcuni passi di questa +sezione (si pensi in particolare alla funzione di messa in guardia del discepolo da +parte di Filemone nei confronti delle «astuzie» o provocazioni da lui poste in +atto [p. 351-52], come pure del sapore di tentazione demoniaca – sulla scia, per +esempio, dei Vangeli – con cui il protagonista è chiamato a confrontarsi). +5. I traduttori non possono ovviamente (né intendono) dare ragione di ogni +scelta, sia pur travagliata, da loro compiuta. Lo stesso Jung, in un passo del +libro, a௸erma che è positivo avere dei dubbi, a patto che essi non arrivino al +punto di possederci e paralizzarci: «Chi non sopporta il dubbio, non sopporta +nemmeno se stesso (...), e perciò neppure vive. (...) Chi è forte ha dei dubbi, +mentre è il dubbio a possedere chi è debole» (p. 240). Del resto, non va +dimenticato che proprio l’autore ha lasciato incompiuto sia il testo del Liber +novus (si pensi a quell’«in…» conclusivo rimasto sospeso intenzionalmente per +un lungo lasso di tempo) sia anche l’Epilogo aggiunto nel 1959: quasi che egli +non volesse considerare mai arrivato a un punto fermo il proprio percorso di +autoconoscenza, ma intenderlo (con romantica tensione al «non ௹nito») come +sempre in divenire. +Resta comunque indubbio che immergersi in questo testo ha costituito per i +traduttori anche un’avventura. Essa ha richiesto molte volte la classica umiltà +dell’interprete, nel farsi semplicemente «voce» di una personalità dotata di +enorme erudizione e indiscutibile genialità. Si è perciò cercato, da un lato, di +superare il sentimento di inadeguatezza di fronte ai compiti dell’interpretazione +testuale e, dall’altro, di sfuggire alla tentazione narcisistica di svincolarsi dalla +fedeltà quasi letterale al testo, per rispettare invece l’intento di Jung di creare + un nuovo linguaggio, senza peraltro dimenticare di far tesoro del suo +signi௹cativo passo sulla «miseria» della parole: «Quello che ho visto l’ho +descritto in parole, come meglio potevo. Misere sono le parole e a loro non è +data bellezza; ma è forse bella la verità ed è vera la bellezza?» (lb. 2, cap. 21, +p. 323). +Al termine del loro lavoro, i traduttori ringraziano vivamente l’amica +Lieselotte Mangels per la sua generosa consulenza riguardo alla risoluzione di +alcuni ardui nodi interpretativi del linguaggio junghiano. +MARIA ANNA MASSIMELLO +GIULIO SCHIAVONI + +IL +LIBRO ROSSO + +Liber primus + + + + + +La via di quel che ha da venire +[Foglio Ir1 +Isaias dixit: Quis credidit auditui nostro et brachium Domini cui revelatum +est? Et ascendet sicut virgultum coram eo et sicut radix de terra sitienti non +est species ei neque decor et vidimus eum et non erat aspectus et +desideravimus eum: despectum et novissimum virorum virum dolorum et +scientem in௬rmitatem et quasi absconditus vultus eius et despectus unde nec +reputavimus eum. Vere languores nostros ipse tulit et dolores nostros ipse +portavit et nos putavimus eum quasi leprosum et percussum a Deo et +humiliatum. Cap. LIII/I-IV. +Parvulus enim natus est nobis ௬lius datus est nobis et factus est principatus +super umerum eius et vocabitur nomen eius admirabilis consiliarius Deus fortis +Pater futuri saeculi princeps pacis. Caput IX/VI. +[Isaia disse: Ma chi crede a ciò che abbiamo annunziato, e a chi è stato +rivelato il braccio del Signore? Egli è infatti cresciuto davanti a lui come un +virgulto, e come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né +bellezza; noi lo guardammo, ma non aveva un aspetto tale da piacerci. Era il più +disprezzato e svalutato. Pieno di so௸erenze e di infermità. Era così spregiato +che davanti a lui ci si copriva il volto: per questo non ne facemmo stima alcuna. +Tuttavia egli portava la nostra infermità e si era caricato dei nostri dolori. Ma +noi lo ritenevamo tormentato, percosso da Dio e martoriato. (Isaia, 53, 1-4)].2 +[Poiché un bambino ci è nato, un ௹glio ci è stato dato, e il dominio è sulle sue +spalle; sarà chiamato consigliere ammirabile, eroe, padre eterno, principe della +pace. (Isaia, 9, 6)].3 +Ioannes dixit: Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis et vidimus +gloriam eius gloriam quasi unigeniti a Patre plenum gratiae et veritatis. Ioann. +Cap. I/XIIII. +[Giovanni disse: E la Parola è diventata carne e ha abitato fra di noi, piena di +grazia e di verità, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di +unigenito dal padre. (Giovanni, 1, 14)]. + Isaias dixit: Laetabitur deserta et invia et exultabit solitudo et ௭orebit quasi +lilium. Germinans germinabit et exultabit laetabunda et laudans. Tunc +aperientur oculi caecorum et aures sordorum patebunt. Tunc saliet sicut +cervus claudus aperta erit lingua mutorum: quia scissae sunt in deserto aquae +et torrentes in solitudine et quae erat arida in stagnum et sitiens in fontes +aquarum. In cubilibus in quibus prius dracones habitabant orietur viror calami +et iunci. Et erit ibi semita et via sancta vocabitur. Non transibit per eam +pollutus et haec erit vobis directa via ita ut stulti non errent per eam. Cap. XXXV. +[Isaia disse: Ma il deserto e la terra desolata si rallegreranno, la terra arida +gioirà e ௹orirà come i gigli, ௹orirà e festeggerà con gioia e canti di esultanza. +(...) Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi; +allora i paralitici salteranno come cervi, e la lingua dei muti canterà lodi. Perché +delle acque sgorgheranno nel deserto, e dei torrenti scorreranno nella terra +arida. E dove prima era riarso saranno degli stagni; e il suolo assetato si muterà +in sorgenti d’acqua. Nel luogo ove dimorano gli sciacalli ci saranno erba, canne +e giunchi. Là sorgeranno una strada maestra e una via che sarà chiamata la via +santa, e nessun impuro vi passerà; essa sarà per quelli soltanto; quelli che la +seguiranno, anche gli insensati, non vi si potranno smarrire. (Isaia, 35, 1-8)].4 +Manu propria scriptum a C. G. Jung anno Domini MCMXV in domu sua Kusnach +Turicense. +[Scritto di proprio pugno da C. G. Jung nella sua casa di Küsnacht (Zurigo) +nell’anno del Signore 1915]. / [Foglio Ir / Iv] +[2] [IF, Iv] 5Se parlo nello spirito di questo tempo,6 devo dire: Nessuno e nulla +possono giusti௹care quello che devo annunciarvi. Qualsiasi giusti௹cazione mi è +super௺ua, perché non ho scelta, ma devo farlo. Ho imparato che, oltre allo +spirito di questo tempo, è all’opera anche un altro spirito, e cioè quello che +governa la profondità di ogni presente.7Lo spirito di questo tempo vorrebbe +sentire di cose utili e che valgono. Anch’io la pensavo in questo modo e la mia +parte umana continua pur sempre a pensarla così. Ma quell’altro spirito mi +costringe comunque a parlare, al di là di ogni giusti௹cazione, utilità e senso. +Ricolmo di umana ௹erezza e accecato dallo spirito presuntuoso di questo tempo, +a lungo ho cercato di tenere lontano da me quell’altro spirito. Ma non +consideravo che lo spirito del profondo, da tempo immemorabile e per ogni +avvenire, possiede un potere più grande dello spirito di questo tempo, che muta +con le generazioni. Lo spirito del profondo ha sottomesso al potere del giudizio +ogni ௹erezza e ogni arroganza. Mi ha tolto la fede nella scienza, mi ha privato +del piacere di spiegare le cose e di classi௹carle e ha fatto spegnere in me la +dedizione agli ideali di questo tempo. Mi ha costretto a calarmi nelle cose ultime + e più semplici. +Lo spirito del profondo mi ha tolto la ragione e tutte le mie conoscenze, per +porle al servizio dell’inesplicabile e del paradossale. Mi ha privato del linguaggio +e della scrittura per tutto ciò che non stava al servizio di quest’unica cosa, ossia +dell’intima fusione di senso e controsenso che produce il senso superiore. +Il senso superiore è tuttavia il sentiero, la via e il ponte verso ciò che ha da +venire. Questo è il Dio che deve ancora venire. Non è il Dio stesso che verrà, +bensì la sua immagine, che appare nel senso superiore.8 Dio è un’immagine, e +coloro che lo adorano devono adorarlo nell’immagine del senso superiore. +Il senso superiore non è né un senso, né un controsenso, è immagine e forza +in uno, magnificenza e forza insieme. +Il senso superiore è l’inizio e la fine. È ponte di passaggio e di compimento.9 +Gli altri dèi sono morti perché erano nel tempo, ma il senso superiore non +muore mai, si trasforma in senso e poi in controsenso, e dalle ௬amme e dal +sangue dello scontro tra i due si leva il senso superiore, di nuovo ringiovanito. +L’immagine di Dio ha un’ombra. Il senso superiore è reale e getta un’ombra. +Infatti che cosa c’è di reale e di fisico che non abbia un’ombra? +L’ombra è il nonsenso. È impotente e non ha in sé consistenza alcuna. Ma il +nonsenso è il fratello inseparabile e immortale del senso superiore. +Come le piante, anche gli uomini crescono, alcuni alla luce, altri nell’ombra. +Ci sono molti che hanno bisogno dell’ombra e non della luce. +L’immagine di Dio getta un’ombra, che è grande quanto lui. +Il senso superiore è grande e piccolo, è ampio come lo spazio del ௬rmamento +e minuscolo come la cellula di un corpo vivente. +Lo spirito di questo tempo in me voleva forse riconoscere la grandezza e +l’ampiezza del senso superiore, ma non la sua piccolezza. Lo spirito del profondo +vinse però questa superbia e io dovetti trangugiare quel che è piccolo come +farmaco d’immortalità. Mi bruciò le viscere, perché era senza gloria, privo di +eroismi. Era persino ridicolo e ripugnante. Ma le tenaglie dello spirito del +profondo mi tennero stretto e dovetti bere la più amara delle pozioni.10 +Lo spirito di questo tempo mi ha tentato col pensiero che tutto ciò facesse +parte del lato d’ombra dell’immagine divina. Questo sarebbe un inganno +deleterio, perché l’ombra è il nonsenso. Ciò che è piccolo, ristretto e banale, +non è nonsenso, bensì una delle due essenze della divinità. +Facevo resistenza ad accettare che gli aspetti della vita quotidiana +rientrassero nell’immagine della divinità. Rifuggivo da questo pensiero, mi +nascondevo dietro gli astri più lontani e più freddi. +Ma lo spirito del profondo mi riacciu௸ò e a forza mi spinse tra le labbra +l’amara pozione.11 +Lo spirito di questo tempo mi sussurrò: «Questo senso superiore, +quest’immagine divina, questa fusione di calore e freddezza, questo sei tu e tu + soltanto». Ma lo spirito del profondo mi parlò in questi termini: «12Tu sei +un’immagine del mondo in௹nito, in te dimora ogni ultimo segreto del nascere e +del morire. Se non possedessi già tutto questo, come potresti riconoscerlo?». +Fu a causa della mia umana debolezza che lo spirito del profondo mi donò +queste parole. Anch’esse sono super௺ue, perché non parlo in virtù di esse, ma +perché devo. Se non parlo, lo spirito mi priva di ogni gioia e della vita; perciò io +parlo.13 Sono il servo che reca, e che non sa quel che tiene nella sua mano. Ciò +che porta gli incenerirebbe la mano, se lui non lo deponesse là dove il suo +signore gli ha ordinato di posarlo. +Lo spirito di questo tempo mi parlò e disse: «Quale necessità ti obbliga a dire +tutto ciò?». Quella fu una brutta tentazione. Volli ri௺ettere su quale necessità +interiore o esterna mi potesse costringere a far questo, e poiché non trovai +alcuna necessità concreta, stavo per crearmene una. Ma in tal modo lo spirito di +questo tempo aveva quasi ottenuto che, invece di parlare, io continuassi a +ri௺ettere sui motivi e sulle spiegazioni. Lo spirito del profondo però mi parlò e +disse: «Capire una cosa è un ponte e una possibilità di ritornare in carreggiata, +mentre invece spiegare una cosa è arbitrio e a volte persino assassinio. Hai +contato quanti assassini ci sono tra i dotti?». +Lo spirito di questo tempo però mi si avvicinò e mi pose dinanzi alcuni +volumoni che contenevano tutto il mio sapere; i fogli erano di metallo, e un +bulino d’acciaio vi aveva inciso parole spietate; m’indicò quelle parole spietate, +mi parlò e disse: «Quel che dici è follia». +È vero, è vero: ciò che dico ha la grandezza, l’esaltazione e la bruttezza della +follia. +Lo spirito del profondo però mi si accostò e disse: «Ciò di cui parli esiste. La +grandezza esiste, l’esaltazione esiste, esiste anche la quotidianità priva di ogni +dignità, malata e sciocca; essa percorre tutte le strade, abita in tutte le case e +governa la giornata dell’umanità intera. Anche gli astri eterni sono quotidiani. +La quotidianità è la grande padrona e una delle essenze della divinità. Si ride di +lei, ma esiste anche la risata. Credi tu, uomo di questo tempo, che il ridere sia +atto più umile che l’adorare? Dove sta il tuo metro di misura, o falso +misuratore?14 A decidere non è il tuo giudizio, ma la somma del ridere e +dell’adorare che avrai nella vita». +Devo parlare anche delle cose ridicole. O voi uomini a venire! Riconoscerete il +senso superiore dal fatto che è insieme risata e adorazione, una risata +sanguinaria +e +un’adorazione +cruenta; +il +sangue +sacri௹cale +funge +da +collegamento fra i poli. Chi sa questo ride e allo stesso tempo adora. +Poi, tuttavia, mi si presentò il mio lato umano che disse: «Quale solitudine, +quale +freddo +senso +d’abbandono +m’imponi, +quando +parli +così! +Pensa +all’annientamento di ciò che esiste e ai fiumi di sangue dell’immane sacrificio che +esige il profondo».15 + Ma lo spirito del profondo disse: «Nessuno può o deve impedire il sacri௹cio. Il +sacri௹cio non è distruzione, il sacri௹cio è la pietra miliare di ciò che verrà. Non +avete forse avuto i conventi? Non sono forse andati a migliaia e migliaia nel +deserto? Dovete portare i conventi dentro di voi. Il deserto è in voi. Il deserto vi +chiama e vi attira e, se pure foste legati col ferro al mondo di questo tempo, il +richiamo del deserto spezzerà ogni catena. In verità, io vi preparo alla +solitudine». +Quindi il mio lato umano tacque. Ma al mio lato spirituale accadde qualcosa +che devo chiamare grazia. +Il mio linguaggio è imperfetto. Parlo per immagini non perché io voglia essere +brillante nella scelta delle parole, ma per l’incapacità di trovare quelle parole. +Non posso infatti esprimere in altro modo le parole che emergono dal profondo. +La grazia che mi è toccata mi ha dato fede, speranza e coraggio su௻cienti per +non contrastare ulteriormente lo spirito del profondo, ma per parlare invece con +le sue parole. Prima però che potessi osare di farlo davvero mi era necessario +un segno visibile, che mi mostrasse come lo spirito del profondo in me fosse, al +tempo stesso, anche il signore del profondo rispetto agli eventi del mondo. +16Nell’ottobre 1913, mentre ero in viaggio da solo, durante il giorno fui +improvvisamente sopra௸atto da una visione: vidi una spaventosa alluvione che +inondava tutti i bassopiani settentrionali situati tra il Mare del Nord e le Alpi. +Andava dall’Inghilterra alla Russia e dalle coste del Mare del Nord ௹n quasi alle +Alpi. Vedevo i ௺utti giallastri, le macerie galleggianti e la morte di innumerevoli +persone. +Questa visione durò circa due ore, mi sconcertò e mi fece star male. Non +riuscii a interpretarla. Passarono due settimane e la visione ritornò, ancora più +intensa di prima. Una voce interiore mi diceva: «Guarda bene, è tutto vero, sarà +proprio così. Non puoi dubitarne». Lottai ancora per circa due ore contro +questa visione, ma essa non mi abbandonava. Mi lasciò esausto e sconcertato. E +pensai che la mia mente si fosse ammalata.17 +Da quel momento tornò la paura del mostruoso evento che pareva incombere +immediatamente su di noi. Una volta vidi anche un mare di sangue ricoprire i +paesi nordici. +Nel 1914, all’inizio e alla ௹ne del mese di giugno, e all’inizio di luglio, feci per +tre volte il medesimo sogno. Ero in terra straniera, e all’improvviso, di notte e +proprio in piena estate, dagli spazi siderali era calato un freddo inspiegabile e +mostruoso, tutti i mari e i ௹umi ne erano rimasti ghiacciati, e gelata era ogni +forma di vegetazione. +Il secondo sogno era molto simile al primo, mentre il terzo, agli inizi di luglio, +fu di questo tenore: +Mi trovavo in una remota regione inglese.18 Era necessario che tornassi in +patria il più in fretta possibile con una nave veloce.19 Arrivavo in fretta a casa.20 + In patria trovavo che in piena estate era calato dagli spazi siderali un freddo +mostruoso che aveva congelato ogni forma di vita. Lì c’era un albero fronzuto, +ma privo di frutti, le cui foglie si erano trasformate, per e௸etto del gelo, in dolci +grappoli, colmi di un succo salutare.21 Io li coglievo e li o௸rivo a una grande folla +in attesa.22 +Nella realtà stava succedendo questo. Nel periodo in cui scoppiò la Grande +Guerra tra i popoli europei mi trovavo in Scozia;23 costretto dalla guerra decisi +di ritornare in patria con la nave più veloce e per la rotta più breve. Trovai il +freddo polare, che aveva fatto gelare ogni cosa, trovai l’alluvione, il mare di +sangue, e ritrovai anche il mio albero privo di frutti, le cui foglie il gelo aveva +trasformato in rimedio salutare. E io colgo i frutti maturi e li o௸ro a voi senza +sapere che cosa vi dono, quale agrodolce e inebriante pozione, che vi lascia un +sapore di sangue sulla lingua. +Credetemi:24Quello che vi do, non è né una dottrina né un insegnamento. E +da quale pulpito potrei indottrinarvi? Vi informo della via presa da quest’uomo, +della sua via, ma non della vostra. La mia via non è la vostra via, dunque / +[Foglio Iv / IIr] non posso insegnarvi nulla. La via è in noi, ma non in dèi, né in +dottrine, né in leggi. In noi è la via, la verità e la vita.25 +Guai a coloro che vivono seguendo dei modelli! La vita non è con loro. Se voi +vivete seguendo un modello, allora vivrete la vita del modello, ma chi dovrebbe +vivere la vostra vita, se non voi stessi? Dunque vivete voi stessi.26 +Gli indicatori di via sono caduti, davanti a voi si aprono incerti percorsi.27 +Non siate avidi dei frutti nati nei campi altrui. Non sapete di essere voi stessi il +campo fertile che fa crescere tutto ciò che vi serve? +Ma oggi chi lo sa più? Chi conosce la strada verso i campi eternamente fertili +dell’anima? Voi cercate la via attraverso le apparenze, leggete libri e ascoltate +opinioni: a che può giovare tutto questo? +Esiste solo una via ed è la vostra via.28 +Cercate la via? Vi metto in guardia dall’imboccare la mia, di strada. Per voi +può essere quella sbagliata. +Ciascuno percorra la sua via. +Non voglio essere il vostro salvatore, né darvi leggi o educarvi. Non siete più +dei bambini.29 +Imporre leggi, migliorare o rendere facili le cose è diventato un errore e un +male. Ciascuno cerchi la propria via. La via ci porta all’amore vicendevole nella +comunione. Gli uomini vedranno e sentiranno la somiglianza e la comunanza +delle loro vie. +Leggi e insegnamenti comuni spingono l’essere umano all’individualismo per +sottrarsi alla pressione di una comunanza non voluta, la solitudine rende però +l’uomo pieno di ostilità e venefico. +Date dunque all’uomo la dignità e lasciatelo essere individuo, a௮nché trovi + la sua comunità e la ami. +La violenza si contrappone alla violenza, il disprezzo al disprezzo, l’amore +genera amore. Date dignità all’umanità e abbiate ௬ducia che la vita troverà la +via migliore. +Uno degli occhi della divinità è cieco, uno dei suoi orecchi è sordo, il suo +ordine è attraversato dal caos. Siate dunque tolleranti verso le storture del +mondo e non ne sopravvalutate la compiuta bellezza.30 +Il ritrovamento dell’anima +[IF, IIr (1)]31 +Cap. I32 +[2] Quando, nell’ottobre 1913, ebbi la visione dell’alluvione, mi trovavo in un +periodo per me importante sul piano personale.33 Allora, all’età di quarant’anni, +avevo ottenuto tutto ciò che mi ero augurato. Avevo raggiunto fama, potere, +ricchezza, sapere e ogni felicità umana. Cessò dunque in me il desiderio di +accrescere ancora quei beni, mi venne a mancare il desiderio e fui colmo +d’orrore.34 La visione dell’alluvione mi sopra௸ece e percepii lo spirito del +profondo, senza tuttavia comprenderlo. Esso però mi forzò facendomi provare +un insopportabile, intimo struggimento, e io dissi:35 +«Anima mia, dove sei? Mi senti? Io parlo, ti chiamo... Ci sei? Sono tornato, +sono di nuovo qui. Ho scosso dai miei calzari la polvere di ogni paese e sono +venuto da te, sono a te vicino; dopo lunghi anni di lunghe peregrinazioni sono +ritornato da te. Vuoi che ti racconti tutto ciò che ho visto, vissuto, assorbito in +me? Oppure non vuoi sentire nulla di tutto il rumore della vita e del mondo? Ma +una cosa devi sapere: una cosa ho imparato, ossia che questa vita va vissuta. +Questa vita è la via, la via a lungo cercata verso ciò che è inconoscibile e che +noi chiamiamo divino.36 Non c’è altra via. Ogni altra strada è sbagliata. Ho +trovato la via giusta, mi ha condotto a te, anima mia. Ritorno temprato e +puri௹cato. Mi conosci ancora? Quanto a lungo è durata la separazione! Tutto è +così mutato. E come ti ho trovata? Com’è stato bizzarro il mio viaggio! Che +parole dovrei usare per descrivere per quali tortuosi sentieri una buona stella +mi ha guidato ௹no a te? Dammi la mano, anima mia quasi dimenticata. Che +immensa gioia rivederti, o anima per tanto tempo disconosciuta! La vita mi ha +riportato a te. Diciamo grazie alla vita perché ho vissuto, per tutte le ore serene +e per quelle tristi, per ogni gioia e ogni dolore. Anima mia, il mio viaggio deve +proseguire insieme a te. Con te voglio andare ed elevarmi alla mia solitudine».37 +[2] Questo mi costrinse a dire lo spirito del profondo e al tempo stesso a +viverlo contro la mia stessa volontà, perché non me l’aspettavo. In quel periodo +ero ancora totalmente prigioniero dello spirito di questo tempo e nutrivo altri + pensieri riguardo all’anima umana. Pensavo e parlavo molto dell’anima, +conoscevo tante parole dotte in proposito, l’avevo giudicata e resa oggetto della +scienza.38 Credevo che la mia anima potesse essere l’oggetto del mio giudizio e +del mio sapere; il mio giudizio e il mio sapere sono invece proprio loro gli oggetti +della mia anima.39 Perciò lo spirito del profondo mi costrinse a parlare all’anima +mia, a rivolgermi a lei come a una creatura vivente, dotata di esistenza propria. +Dovevo acquistare consapevolezza di aver perduto la mia anima. +Da ciò impariamo in che modo lo spirito del profondo consideri l’anima: la +vede come una creatura vivente, dotata di una propria esistenza, e con ciò +contraddice lo spirito di questo tempo, per il quale l’anima è una cosa +dipendente dall’uomo, che si può giudicare e classi௹care e di cui possiamo +a௸errare i con௹ni. Ho dovuto capire che ciò che prima consideravo la mia +anima, non era a௸atto la mia anima, bensì un’inerte costruzione dottrinale.40 Ho +dovuto quindi parlare all’anima come se fosse qualcosa di distante e ignoto, che +non esisteva grazie a me, ma grazie alla quale io stesso esistevo. +Giunge al luogo dell’anima chi distoglie il proprio desiderio dalle cose +esteriori.41 Se non la trova, viene sopra௸atto dall’orrore del vuoto. E, agitando +più volte il suo ௺agello, l’angoscia lo spronerà a una ricerca disperata e a una +cieca brama delle cose vacue di questo mondo. Diverrà folle per la sua +insaziabile cupidigia e si allontanerà dalla sua anima, per non ritrovarla mai più. +Correrà dietro a ogni cosa, se ne impadronirà, ma non ritroverà la sua anima, +perché solo dentro di sé la potrebbe trovare. Essa si trovava certo nelle cose e +negli uomini, tuttavia colui che è cieco coglie le cose e gli uomini, ma non la sua +anima nelle cose e negli uomini. Nulla sa dell’anima sua. Come potrebbe +distinguerla dagli uomini e dalle cose? La potrebbe trovare nel desiderio stesso, +ma non negli oggetti del desiderio. Se lui fosse padrone del suo desiderio, e non +fosse invece il suo desiderio a impadronirsi di lui, avrebbe toccato con mano la +propria anima, perché il suo desiderio ne è immagine ed espressione.42 +Se possediamo l’immagine di una cosa, possediamo la metà di quella cosa. +L +’immagine del mondo costituisce la metà del mondo. Chi possiede il mondo, +ma non invece la sua immagine, possiede soltanto la metà del mondo, poiché +l’anima sua è povera e indigente. La ricchezza dell’anima è fatta d’immagini.43 +Chi possiede l’immagine del mondo, possiede la metà del mondo, anche se il +suo lato umano è povero e indigente.44 +Ma la fame trasforma l’anima in una belva che divora cose che non tollera e +da cui resta avvelenata. Amici miei, saggio è nutrire l’anima, per non allevarvi +draghi e diavoli in cuore.45 +Anima e Dio +[IF, IIr (2)]46 + Cap. II +Nella seconda notte47 invocai la mia anima: +«Sono stanco, anima mia, troppo a lungo è durato il mio vagare, il cercarmi al +di fuori di me. Sono passato dalle cose e ti ho trovata dietro a cose di ogni sorta. +Ma nella mia peregrinazione attraverso le cose ho scoperto l’umanità e il +mondo. Ho trovato gli esseri umani. E te, anima mia, ho ritrovato, anzitutto +nell’immagine che è presente nell’uomo, e poi ho trovato proprio te. Ti ho +trovata là dove meno ti aspettavo. Là tu a௻ori per me da un pozzo oscuro. Già +prima ti eri annunciata a me nei sogni;48 mi ardevano in petto, m’inducevano alle +imprese più ardite e audaci e mi hanno costretto a sollevarmi al di sopra di me +stesso. Mi hai fatto scorgere verità di cui non avevo il minimo sentore. Mi hai +fatto percorrere strade la cui in௹nita lunghezza mi avrebbe spaventato, se in te +non ne fosse rimasta celata la conoscenza. +Ho vagato per molti anni, tanto a lungo da dimenticare che possiedo +un’anima.49 E tu dov’eri in tutto questo tempo? Quale aldilà ti ha dato riparo e ti +ha ospitato? Oh, che tu possa parlare per bocca mia, che la mia lingua e me +stesso siano per te simbolo ed espressione! Come posso decifrarti? +Chi sei tu, piccola? In veste di bambina, di ragazza, i miei sogni ti hanno +dipinta;50 non conosco per nulla il tuo mistero.51 Perdonami, se parlo come +trasognato, come un ubriaco… Tu sei Dio? Dio è forse un bambino, una +bambina?52 Perdonami se vaneggio. Nessuno mi sente. Parlo in silenzio con te e +tu sai bene che non sono ebbro, non ho la mente sconvolta e che il mio cuore si +contorce per il dolore della ferita, da cui la tenebra trae parole piene di +scherno: «Tu ௹ngi di fronte a te stesso. Parli così per ingannare gli altri, a௻nché +credano in te. Vuoi essere un profeta e corri dietro alla tua ambizione». La +ferita sanguina ancora e io sono ben lontano dal riuscire a ignorare le mie +parole di autoderisione. +Come mi sembra strano chiamarti bambina, tu che reggi nelle tue mani cose +infinite.53 Percorrevo la strada del giorno e tu camminavi invisibile al mio ௹anco, +mettendo insieme tutti i pezzi e facendomi scorgere in ogni frammento l’intero. +Hai tolto quando io pensavo di trattenere, e mi hai dato quando non mi +attendevo nulla.54 E continuamente, da lati sempre nuovi e inattesi, facevi +nascere eventi decisivi per il mio destino. Là dove seminavo, tu mi rubavi il +raccolto, e dove non seminavo, mi donavi frutti a profusione. E in continuazione +perdevo il sentiero, per poi ritrovarlo lì dove non me lo sarei mai aspettato. Tu +mantenevi viva la mia fede, quando ero solo e prossimo alla disperazione. In +ogni momento cruciale mi hai donato fiducia in me stesso». +[2] Devo accostarmi all’anima mia come uno stanco viandante, che nulla ha +cercato nel mondo al di fuori di lei. Devo imparare che dietro a ogni cosa da +ultimo c’è l’anima mia, e se viaggio per il mondo ciò accade in fondo per trovare + la mia anima. Per௹no le persone più care non sono la meta e il ௹ne della ricerca +d’amore, ma simboli della nostra anima. +Amici miei, indovinate verso quale solitudine ci eleviamo? +Devo imparare che la feccia55 dei miei pensieri, i miei sogni, sono il linguaggio +dell’anima mia. Devo serbarli nel cuore e rigirarli nella mente, come le parole +della persona più cara. I sogni sono le parole guida dell’anima. Come potrei +perciò non amare i miei sogni e non rendere le loro immagini enigmatiche +oggetto delle mie quotidiane ri௺essioni? Tu pensi che il sogno sia cosa sciocca e +brutta. Ma che cosa è bello e che cosa è brutto? Che cosa è intelligente e che +cosa sciocco? Il tuo metro di misura è lo spirito di questo tempo. Lo spirito del +profondo però gli è superiore sotto ogni riguardo. Soltanto lo spirito di questo +tempo conosce la di௸erenza tra grande e piccolo, che tuttavia è vana, come lo +spirito che la riconosce. / [Foglio IIr / IIv] +Lo spirito del profondo m’insegnò a considerare persino il mio agire e le mie +decisioni come dipendenti dai sogni. I sogni spianano la strada alla vita e ti +determinano, anche se non ne comprendi il linguaggio.56 +Si vorrebbe imparare questo linguaggio, ma chi è in grado di apprenderlo e di +insegnarlo? L +’erudizione da sola non è su௻ciente; esiste un sapere del cuore, +capace di o௸rire spiegazioni più profonde.57 Il sapere del cuore non si trova nei +libri, né in bocca ai maestri, ma cresce da te, come il verde frumento dalla terra +nera. L +’erudizione fa parte dello spirito di questo tempo, ma questo spirito non +comprende per nulla il sogno, perché l’anima si trova ovunque non si trovi il +sapere erudito. +Ma come posso ottenere il sapere del cuore? Puoi raggiungerlo soltanto +vivendo pienamente la tua vita. Tu vivi appieno la tua vita, se vivi anche quello +che non hai ancora vissuto, ma che soltanto ad altri hai lasciato da vivere o da +pensare.58 Dirai: «Non posso vivere o pensare tutto ciò che gli altri vivono o +pensano». Devi dire invece: «Dovrei vivere la vita che potrei ancora vivere e +dovrei pensare tutti i pensieri che ancora potrei pensare». Si direbbe che tu +voglia fuggire da te stesso, per non dover vivere ciò che ௹nora non hai vissuto.59 +Ma non puoi fuggire da te stesso. Ciò che non hai vissuto resta con te in ogni +istante e chiede soddisfazione. Se ti fai cieco e sordo di fronte a questa +esigenza, sarai cieco e sordo verso te stesso. In tal modo non raggiungerai mai il +sapere del cuore. +Il sapere del cuore è com’è il tuo cuore. +Da un cuore malevolo conoscerai la malevolenza. +Da un cuore buono conoscerai la bontà. +A௻nché la vostra conoscenza sia compiuta, considerate che il vostro cuore è +entrambe le cose, sia buono che cattivo. Chiederai: «Come? Devo vivere anche +il male?». +Lo spirito del profondo esige: «Dovresti vivere quella vita che ancora potresti + vivere. È il bene a decidere, non il tuo personale benessere, né quello degli altri, +bensì il bene generale». +Il bene sta tra me e gli altri, nella comunità. Anch’io ho vissuto ciò che non +avevo fatto prima e che potevo ancora fare. L +’ho vissuto nel profondo, e il +profondo ha incominciato a parlare. Il profondo mi ha insegnato l’altra verità. +Ha dunque unito in me senso e controsenso. +Ho dovuto riconoscere di essere soltanto espressione e simbolo dell’anima. +Nel senso dello spirito del profondo, io sono, in quanto sono in questo mondo +visibile, un simbolo della mia anima, e sono totalmente servo, totalmente +sottomesso e obbediente. Lo spirito del profondo mi insegnò a dire: «Io sono il +servitore di un bambino». Questa frase mi ha insegnato soprattutto l’estrema +umiltà, come ciò che più mi è necessario. +Lo spirito di questo tempo infatti mi ha indotto a credere nella mia ragione; mi +ha fatto balenare un’immagine di me stesso come guida ricca di pensieri maturi. +Lo spirito del profondo, invece, mi insegna che sono un servitore, e cioè il +servitore di un bambino. Questa de௹nizione mi ripugnava e io la odiai. Dovetti +però riconoscere e ammettere che la mia anima è bambina, e che il Dio nella +mia anima è bambino.60 +Se siete fanciulli, il vostro Dio sarà una donna. +Se siete donne, il vostro Dio sarà un fanciullo. +Se siete uomini, il vostro Dio sarà una fanciulla. +Il Dio è lì dove voi non siete. +Dunque: è saggio avere un Dio. Serve alla vostra compiutezza. +Una fanciulla è un futuro di fertilità. +Un fanciullo è un futuro di procreazione. +Una donna è: aver partorito. +Un uomo è: aver procreato. +Dunque: se al presente siete bambini, il vostro Dio scenderà dalle vette della +maturità per invecchiare e morire. +Se invece siete adulti che hanno procreato o partorito, nel corpo oppure +nello spirito, il vostro Dio ascenderà da una culla radiosa alle altezze +vertiginose del futuro, alla maturità e pienezza del tempo che verrà. +Chi ha ancora la sua vita davanti a sé è bambino. +Chi vive la sua vita al presente è adulto. +Se dunque state vivendo tutto ciò che potete vivere siete adulti. +Il Dio muore per chi in questo tempo è bambino, e invece continua a vivere +per chi in questo tempo è adulto. +È questo il segreto insegnato dallo spirito del profondo. +Prosperità e afflizione a coloro che hanno un Dio adulto! +Prosperità e afflizione a coloro il cui Dio è bambino! +Che cos’è meglio: che l’uomo abbia vita davanti a sé, oppure che ce l’abbia il + Dio? +Non conosco la risposta. Vivete; a decidere sarà l’ineluttabile. +Lo spirito del profondo mi insegnò che la mia vita è cinta dal bambino +divino.61 Dalla sua mano mi è giunta ogni cosa inattesa, ogni elemento vitale. +Questo bambino è ciò che sento come una fonte di eterna giovinezza in me.62 +Nella persona infantile avverti una disperata provvisorietà. Tutto ciò che tu +hai visto passare, per lui deve ancora venire. Il suo futuro è pieno di +provvisorietà. +La provvisorietà delle tue cose future non ha però ancora mai conosciuto un +senso umano. +Tu continui a vivere sempre proiettato nell’oltre. Procrei e partorisci ciò che +verrà, sei fertile, vivi proiettato nell’oltre. +Ciò che è infantile è sterile, il suo futuro è ciò che è già procreato e ormai +nuovamente appassito. Non vive proiettato nell’oltre.63 +Il mio Dio è un bambino. Dunque non meravigliatevi che lo spirito di questo +tempo in me si sia ribellato sbe௸eggiandomi e deridendomi. Nessuno riuscirà +mai a deridermi tanto quanto mi sia già deriso io stesso. +Non è il vostro Dio che deve essere un maestro dello scherno, ma sarete voi +stessi a diventare uomini dello scherno. Dovete prendervi in giro da soli, e da +questo dovete riuscire a elevarvi. Se non l’avete ancora imparato dagli antichi +libri sacri, andate, bevete il sangue e mangiate il corpo di colui che è stato +deriso64 e martoriato a causa dei nostri peccati, così ne assumerete in pieno la +natura. Negate il suo essere fuori di voi. Dovete essere lui stesso, non cristiani, +ma Cristi, altrimenti non siete pronti per il Dio che verrà. +C’è forse uno tra voi che crede di potersi risparmiare questo cammino? Di +poter ingannare se stesso lasciando da parte il tormento del Cristo? Io dico: +Costui s’inganna a suo discapito. Si adagia su un letto di spine e di fuoco. A +nessuno può essere risparmiato il cammino di Cristo, perché è quello che +conduce a ciò che ha da venire. Dovete tutti quanti diventare dei Cristi.65 +Voi supererete i vecchi insegnamenti non facendo di meno, ma di più. Ogni +passo di avvicinamento alla mia anima provocava la risata di scherno dei miei +diavoli, di quei vili calunniatori e avvelenatori. Per loro era facile ridere, poiché +io avevo da compiere cose bizzarre. +Al servizio dell’anima +[IF, IIv] +Cap. III +La notte seguente66 dovetti trascrivermi fedelmente tutti i sogni che riuscii a +ricordare.67 Il senso di questo mio agire mi era oscuro. Perché tutto questo? + Perdona il frastuono che si leva dentro di me. Eppure tu vuoi che io agisca in +questo modo. Quali eventi bizzarri mi stanno accadendo? So troppe cose per +non vedere che sto percorrendo ponti pericolanti. Dove mi porti? Perdona la mia +paura, che nasce dal mio troppo sapere. Il mio piede esita a seguirti. In quali +nebbie e oscurità conduce il tuo sentiero? Devo anche imparare a rinunciare al +senso? Che sia pure, se è questo che mi chiedi. Quest’ora ti appartiene. Ma che +cosa succede se poi non c’è alcun senso? Solo assurdità o follia,68 mi pare. Esiste +anche un senso superiore? È questo il tuo senso, anima mia? Ti seguo +zoppicando sulle stampelle dell’intelletto. Io sono un uomo, mentre tu avanzi +come un Dio. Che tortura! Devo ritornare a me stesso, alle mie più piccole cose. +Le cose dell’anima mia mi sembravano piccole, miseramente piccole. Tu mi +costringi a vederle grandi, a renderle grandi. È questo il tuo scopo? Ti seguo, +ma con terrore. Ascolta i miei dubbi, altrimenti non posso seguirti, perché il tuo +senso è un senso superiore e i tuoi passi sono quelli di un Dio. +Capisco, non vuoi neppure che pensi; non è più neanche lecito pensare? Devo +consegnarmi completamente in mano tua? Ma tu chi sei? Non ho ௹ducia in te... +Neppure ௹ducia. È questo l’amore che ti porto, la gioia che mi fai provare? Mi +௹do di qualsiasi brav’uomo, e non dovrei ௹darmi di te, anima mia? Sento pesare +la tua mano su di me, ma io voglio, sì, voglio. Non ho forse cercato di amare gli +esseri umani e di aver ௹ducia in loro? E vuoi che non lo faccia con te? Dimentica +il mio dubbio; lo so, non è bello dubitare di te. Tu sai con quale di௻coltà io +riesca a mettere da parte lo sciocco orgoglio del mio pensiero. Ho dimenticato +che anche tu fai parte dei miei amici e hai, per prima, diritto alla mia ௹ducia. +Non dovrebbe forse appartenere a te ciò che ho dato a loro? Ammetto di essere +ingiusto. Ti ho disprezzato, mi pare. La mia gioia di ritrovarti non era autentica. +Riconosco che anche la risata di scherno in me aveva ragione. +Devo imparare ad amarti.69Vuoi anche che smetta di giudicarmi? Ho paura. +Allora l’anima mi parlò e disse: «Questa paura testimonia contro di me». È vero, +testimonia contro di te. Uccide la sacra fiducia che esiste fra te e me. +[2] Com’è duro il destino! Nell’accostarvi alla vostra anima vi accorgerete, +per prima cosa, della mancanza di un senso. Crederete di sprofondare in un +mondo insensato, nell’eterno disordine. Avete proprio ragione! Nulla vi potrà +salvare dal disordine e dalla mancanza di senso, perché essi costituiscono +l’altra metà del mondo. +Il vostro Dio è bambino nella misura in cui voi non siete infantili. Il bambino è +forse ordine, senso? Oppure disordine, capriccio? Disordine e insensatezza +sono le madri di ordine e senso. Ordine e senso sono aspetti di ciò che è già +diventato e non di ciò che è in divenire. +Aprite la porta dell’anima a௮nché nel vostro ordine e nel vostro senso +possano a௯uire le oscure correnti del caos. Sposate il caos con ciò che è +ordinato e darete vita al bambino divino, al senso superiore che è al di là di + senso e controsenso. +Avete timore di aprire quella porta? Anch’io avevo paura, giacché avevamo +dimenticato che Dio è terribile. Cristo ha insegnato: Dio è amore.70 Ma dovete +sapere che l’amore è anche terribile. +Parlavo a un’anima colma d’amore, ma quando mi accostai maggiormente a +lei, fui colto da orrore e innalzai una barriera di dubbi, senza presagire che in +tal modo mi volevo proteggere dal lato terrifico della mia anima. +Voi inorridite di fronte all’abisso; è giusto che proviate timore, perché di lì +passa la via di quel che ha da venire. Devi vincere la tentazione della paura e +del dubbio, e renderti conto ௬n nel midollo che la tua paura è giusti௬cata, e +che ragionevole è il tuo dubbio. Come potrebbe / [Foglio IIv / IIIr ]essere altrimenti +una vera tentazione e una vera vittoria su di essa? +Cristo vince la tentazione del Diavolo, ma non quella di Dio verso ciò che è +buono e ragionevole.71 Cristo cede dunque alla tentazione.72 +Dovete ancora imparare a non soccombere alle tentazioni, ma a compiere +ogni cosa per vostra scelta; allora sarete liberi e avrete superato il +cristianesimo. +Ho dovuto riconoscere che devo sottomettermi a ciò che temevo, anzi – +ancor più – che devo per௬no amare ciò di cui avevo orrore. Questo dobbiamo +impararlo da quella santa che, provando disgusto di fronte ai malati di peste, +bevve il pus dei bubboni e si accorse che profumava di rosa. Le imprese dei +santi non furono vane.73 +Per tutto ciò che riguarda la tua redenzione e l’ottenimento della grazia, tu +dipendi dalla tua anima. Nessun sacri௬cio ti sarà pertanto troppo grave. Se +sono le tue virtù a impedirti la redenzione, sbarazzatene, perché per te si sono +tramutate in male. Chi è schiavo della virtù non trova la via, allo stesso modo di +chi è schiavo del vizio.74 +Se ti credi padrone della tua anima, ne diverrai il servitore; se ne sei stato il +servitore, ne acquisterai la padronanza, perché in tal caso essa ha bisogno di +essere governata. Che siano questi i tuoi primi passi. +Per sei notti tacque poi in me lo spirito del profondo, perché oscillavo tra +paura, ostinazione e nausea, ed ero totalmente in preda alla mia passione. Non +potevo, né volevo, tendere l’orecchio verso il profondo. Nella settima notte però +lo spirito del profondo mi parlò:75 «Guarda nel profondo di te stesso, prega il tuo +profondo, ridesta i morti». +Ma io mi sentivo impotente e non sapevo che fare. Guardai dentro di me, e +l’unica cosa che trovai fu il ricordo di sogni più antichi, che avevo trascritto, pur +non sapendo a cosa ciò potesse servire. Avrei voluto gettar via tutto e tornare +alla luce del giorno, ma lo spirito mi trattenne e mi costrinse a rientrare in me +stesso. + Il deserto +[IF, IIIr (1)] +Cap. IV +Sesta notte.76La mia anima mi porta nel deserto, nel deserto del mio Sé. Non +pensavo che il mio Sé fosse un deserto, un arido e torrido deserto, polveroso e +senza ristoro. Attraverso la sabbia cocente, avanzando adagio e sprofondando a +ogni passo, il viaggio mi conduce, senza una meta apparente, alla speranza. +Com’è tremenda questa landa desolata! Mi pare che la strada porti così lontano +dagli uomini. Percorro la mia via, passo dopo passo, e non so quanto lungo sarà +il mio viaggio. +Per quale ragione il mio Sé è un deserto? Ho forse vissuto troppo al di fuori di +me, nelle persone e nelle cose? Perché ho evitato il mio Sé? Non ero forse caro +a me stesso? Eppure ho evitato il luogo della mia anima. Dopo che non ero più le +cose e le altre persone, ero i miei pensieri. Non ero però il mio Sé, che si +contrappone ai miei pensieri. Dovrei dunque elevarmi anche al di sopra dei miei +pensieri per giungere al mio proprio Sé. Lì conduce il mio viaggio. Esso conduce +dunque lontano da persone e cose, nella solitudine. Ma è solitudine restare con +se stessi? Solitudine probabilmente solo se il Sé è un deserto.77 Dovrei forse +trasformare il deserto in un giardino? Popolare una landa desolata? Aprire al +deserto l’arioso giardino incantato? Che cosa mi conduce nel deserto, e che ci +faccio io lì? C’è forse un’illusione che non posso più a௻dare al mio pensiero? +Solo la vita è vera, ed essa soltanto mi conduce nel deserto; in verità non il mio +pensiero, che vorrebbe tornare a pensieri, uomini e cose, perché la permanenza +nel deserto lo inquieta. Che cosa ci faccio qui, anima mia? Ma la mia anima mi +parlò e disse: «Aspetta!». Sento questa parola crudele. Nel deserto è di casa la +sofferenza.78 +Giacché avevo dato alla mia anima tutto quel che potevo darle, sono giunto al +luogo dell’anima e ho scoperto che era un deserto torrido, desolato e sterile. +Non vi è cultura creata dalla mente che sia su௻ciente a trasformare la tua +anima in giardino; io avevo curato la mia mente, che era lo spirito di questo +tempo in me, ma non lo spirito del profondo che si volge alle cose dell’anima, al +mondo dell’anima. L +’anima ha un suo mondo peculiare. Vi entra solo il Sé o +l’individuo che sia diventato pienamente il proprio Sé, che non sia dunque né +nelle cose, né nelle persone, né tanto meno nei suoi pensieri. Avendo +abbandonato il mio desiderio di cose e persone, ho distolto il mio Sé dalle cose e +dalle persone, ma proprio per questo sono diventato preda certa dei miei +pensieri, anzi mi sono identificato pienamente con essi. +[2] Anche dai miei pensieri ho dovuto separarmi, distogliendo da essi il mio +desiderio. E ben presto mi sono accorto che il mio Sé era diventato un deserto + in cui ardeva soltanto il sole del desiderio non placato. Ero sopra௸atto dalla +sterilità in௹nita di questo deserto. Anche se qui qualcosa avrebbe potuto +attecchire, vi mancava però la forza creativa del desiderio. Ovunque ci sia la +forza creativa del desiderio germoglieranno i semi propri di quel terreno. Ma +non dimenticare di attendere. Quando la tua forza creativa si è rivolta al mondo, +non hai forse visto sotto il suo impulso e attraverso di esso le cose morte +muoversi, crescere e prosperare e i tuoi pensieri scorrere ௺uenti e copiosi? Se +ora la tua forza creativa si volgerà al luogo dell’anima, vedrai rinverdire l’anima +tua e vedrai il suo campo ricoprirsi di frutti mirabili. +Nessuno può risparmiarsi l’attesa, e la maggior parte degli individui non +riuscirà a sopportare questo tormento, ma tornerà avidamente a gettarsi su +cose, persone e pensieri di cui da quel momento in poi si renderà schiava. Si è +infatti dimostrato chiaramente che questo genere di individui è incapace di +resistere lontano da cose, persone e pensieri, per cui essi diventano i suoi +padroni, e lui il loro giullare, giacché non può farne a meno neppure per il tempo +necessario a che la sua anima si trasformi in un campo fertile. Anche colui la cui +anima è un giardino necessita di cose, persone e pensieri, ma ne è amico e non +ne diventa schiavo e giullare. +Ogni cosa futura era già prefigurata in immagini: per trovare la propria anima, +gli antichi andarono nel deserto.79 Si tratta di una metafora. Gli antichi vivevano +i loro simboli, perché per loro il mondo non era ancora diventato reale. Per +questo si recarono nella solitudine del deserto, per insegnarci che il luogo +dell’anima è un deserto solitario. Lì ebbero visioni in abbondanza, i frutti del +deserto, i ௹ori strabilianti dell’anima. Medita assiduamente sulle immagini che +gli antichi ci hanno lasciato. Esse indicano la via di quel che ha da venire. +Guarda indietro al crollo degli imperi, alla crescita e alla morte, a deserti e a +conventi; essi sono le immagini di ciò che verrà. Tutto è stato predetto. Ma chi +sa interpretarlo? +Se dici che non esiste il luogo dell’anima, allora esso non esiste davvero. Se +invece affermi che esiste, allora esiste davvero. Nota ciò che gli antichi dicevano +in senso ௹gurato: la parola è un atto creativo. Gli antichi dicevano: in principio +era la Parola.80 Considera questo insegnamento e meditalo. +Le parole che oscillano tra nonsenso e senso superiore sono le più antiche e le +più vere. +Esperienze nel deserto +[IF, IIIr (2)] +Dopo una dura lotta,81 mi sono avvicinato a te per un tratto di strada. Com’è +stata dura quella lotta! Sono piombato in un groviglio di dubbi, confusione e +risate di scherno. Capisco che devo restare solo con la mia anima. Vengo da te a + mani vuote, anima mia. Che cosa vuoi sentire? Ma la mia anima mi parlò e disse: +«Se vai da un amico, ci vai forse per prendere?». Lo so, non dovrebbe essere +così, ma mi pare di essere povero e vuoto. Vorrei sedermi accanto a te e +avvertire almeno il so௻o della tua presenza vivi௹ca. La mia via è di sabbia +cocente. Tutti i giorni una lunga strada di sabbia e di polvere. A volte la mia +pazienza vacilla, e una volta ho perso la speranza di farcela, come tu sai. +Allora l’anima rispose e disse: «Tu mi parli come se fossi un bambino che si +lamenta con la madre. Io non sono tua madre». Non voglio lamentarmi, ma +lasciami dire che la mia strada è lunga e coperta di polvere. Tu sei per me come +un albero ombroso in una terra desolata. Vorrei godermi la tua ombra. Ma +l’anima rispose: «Tu sei troppo avido di piaceri. Dov’è ௹nita la tua pazienza? Il +tuo tempo non è ancora scaduto. Hai dimenticato il motivo per cui sei andato nel +deserto?». +Debole è la mia fede, la mia vista è accecata dal fulgore rutilante del sole del +deserto. Il calore mi opprime con la sua cappa di piombo. Mi tormenta la sete, +non oso pensare all’interminabile durata del cammino e, soprattutto, non vedo +nulla dinanzi a me. Ma l’anima rispose: «Parli come se non avessi ancora +imparato nulla. Non sai aspettare? Ti deve forse piovere dal cielo tutto già bell’e +fatto? Tu sei colmo, anzi scoppi addirittura di intenzioni e di brama! Non sai che +la via verso la verità si apre solo a chi lascia da parte ogni intenzione?». +So bene che tutto ciò che dici, anima mia, è anche un mio pensiero. Ma ben di +rado vi accordo la mia vita. E l’anima disse: «Allora, dimmi, come credi che i tuoi +pensieri ti potrebbero aiutare?». Vorrei sempre appellarmi al fatto che sono un +uomo, semplicemente un essere umano, che è debole e che a volte non dà il +meglio di sé. Ma l’anima disse: «È questo che pensi dell’essere uomo?». Sei +dura, anima mia, ma hai ragione. Quanto poco siamo capaci di vivere! +Dovremmo crescere come un albero che non conosce neppure lui la propria +legge. Restiamo invece vincolati alle nostre intenzioni, senza sapere che +l’intenzione limita, anzi esclude, la vita. Crediamo di poter rischiarare l’oscurità +con le intenzioni, e in questo modo non cogliamo la luce.82 Come possiamo +presumere di sapere in anticipo da dove ci verrà la luce? +Di una cosa soltanto lascia che mi lamenti davanti a te: so௸ro per le risate di +scherno, per il fatto di schernirmi da solo. Ma l’anima mi disse: «Hai poca stima +di te?». Non credo. L +’anima rispose: «Allora ascolta: Hai poca stima di me? Non +hai ancora compreso che non stai scrivendo un libro per alimentare la tua +vanità, ma che stai parlando con me? Come puoi so௸rire per le risate di scherno +se ti rivolgi a me con le parole che ti do io? Non sai forse chi sono io? Mi hai +a௸errata, de௹nita e ridotta a una formula morta? Hai misurato la profondità del +mio abisso ed esplorato tutte le vie che ti farò ancora percorrere? Una risata di +scherno non ti deve preoccupare, se non sei vanitoso ௹n nel midollo delle ossa». +La tua verità è dura. Vorrei deporre ai tuoi piedi la mia vanità, perché mi + acceca. Guarda, anche per questo ho creduto che le mie mani fossero vuote, +quando oggi sono venuto da te. Non credevo che fossi tu a riempire le mani +vuote, purché esse si tendano a te; le mie però non vogliono farlo. Non sapevo di +essere il tuo vaso, vuoto senza di te, ma traboccante se sto con te. +[2] Questa fu la venticinquesima notte nel deserto. Tanto tempo c’è voluto +perché la mia anima si risvegliasse dall’esistenza di ombra alla sua propria vita +e potesse venirmi incontro come una creatura a sé stante e separata da me. E io +ricevetti da lei parole dure, ma salutari. Avevo bisogno di essere educato, +perché non riuscivo a superare la risata di scherno in me. +Lo spirito di questo tempo si crede oltremodo intelligente, come succede agli +spiriti di ogni tempo. La saggezza però è ingenua, non solo semplice. Per +questo la persona intelligente deride la saggezza, perché la derisione è la sua +arma. Usa l’arma acuminata e velenosa, perché è colpito dall’ingenuità della +saggezza. Se non ne fosse colpito, quest’arma non gli servirebbe. Solo nel +deserto diveniamo consapevoli della nostra terribile ingenuità, ma abbiamo +timore di ammetterlo. Perciò deridiamo. Ma lo scherno / non arriva a colpire +l’ingenuità. Lo scherno ricade su colui che schernisce, e nel deserto, dove +nessuno ascolta e nessuno risponde, egli resta so௫ocato dalla sua stessa +derisione. +Quanto più sei intelligente, tanto più folle è la tua ingenuità. Le persone +ultraintelligenti sono matte complete nella loro ingenuità. Non possiamo +salvarci dall’intelligenza dello spirito di questo tempo cercando di essere più +intelligenti ancora, ma accettando ciò che è più contrario alla nostra +intelligenza, ossia l’ingenuità. Non vogliamo però neppure diventare apposta +degli stolti rendendoci schiavi dell’ingenuità, ma saremo piuttosto degli stolti +intelligenti. Questo ci conduce al senso superiore. L +’intelligenza si unisce +all’intenzione. L +’ingenuità non conosce intenzioni. L +’intelligenza conquista il +mondo, mentre l’ingenuità conquista l’anima. Fate dunque il voto di povertà di +spirito per poter essere partecipi dell’anima.83 +Contro queste parole si levò la risata di scherno della mia intelligenza.84 +Molti rideranno della mia stoltezza, ma nessuno ne riderà più di me. +In questo modo superai la derisione. Una volta che l’ebbi superata, però, mi +ritrovai accanto alla mia anima, ed essa riusciva a parlarmi, e ben presto avrei +visto rifiorire il deserto. +Viaggio infernale nel futuro +[IF, IIIv] +Cap. V +La notte seguente l’aria era gremita di voci.85 Una voce tonante urlò: «Sto + cadendo!». Altre intanto gridavano, confuse ed eccitate: «Dove? Cosa vuoi?». +Devo a௻darmi a questo diavolio? Rabbrividisco. È un abisso spaventoso. Tu +vuoi che mi abbandoni al caso, alla follia del mio lato oscuro? Dove? Dove? Tu +cadi e io voglio cadere insieme a te, chiunque tu sia. +Allora lo spirito del profondo mi aprì gli occhi e io vidi le cose più intime, il +mondo multiforme e mutevole della mia anima. [Ill., IIIv (1)] +Vedo grigie pareti di roccia lungo le quali m’inabisso a grande profondità.86 +Mi trovo davanti a una buia caverna, immerso ௹no alle caviglie in un nero +luridume. Intorno a me aleggiano delle ombre. Sono attanagliato dalla paura, +ma so che devo entrare. Striscio attraverso una stretta fenditura nella roccia e +giungo in una caverna più interna col fondo ricoperto di acqua nera. Ma +dall’altra parte scorgo una pietra che emana una luce rossastra, a cui devo +arrivare. Procedo guadando l’acqua melmosa. La caverna è invasa da un +mostruoso frastuono di voci bercianti.87 Sollevo la pietra che ricopre una buia +apertura nella roccia. Tengo in mano la pietra guardandomi intorno perplesso. +Non voglio dare ascolto alle voci che intendono distrarmi.88 Però voglio sapere. +Qui c’è qualcosa che vuol farsi sentire. Appoggio l’orecchio sulla fessura. Odo lo +scroscio di ௹umi sotterranei. Vedo la testa insanguinata di un uomo trascinata +dalla corrente scura. Laggiù galleggia un uomo ferito, un morto ammazzato. +Inorridito, resto a ௹ssare a lungo quell’immagine. Vedo passare sul ௹ume +tenebroso un grosso scarabeo nero. +Nel punto più profondo della corrente risplende un sole rossastro, che fende +con i suoi raggi l’acqua tenebrosa. Impietrito dal terrore, scorgo poi sulle pareti +scure un groviglio di serpenti che fuggono nell’abisso, dove il sole brilla più +tenue. Mille serpenti aggrovigliati ricoprono il sole. D’un tratto si fa notte fonda. +Un ௹otto di sangue, un denso sangue rosso, sprizza verso l’alto, zampilla a lungo +e poi si esaurisce. Resto paralizzato dallo spavento. Che cosa ho visto?89 [Ill., IIIv +(2)]90 +Sana le ferite che mi provoca il dubbio, o anima mia. Anche questo va +superato perché io riconosca il tuo senso superiore. Come tutto è lontano, e +quanto sono tornato indietro! La mia mente è un tormento, distrugge il mio +sguardo interiore, vorrebbe sezionare e disfare ogni cosa. Sono ancora vittima +del mio pensare. Quando potrò quietare i miei pensieri per farli strisciare ai miei +piedi, questi cani riottosi? Come potrò mai sperare di sentire meglio la tua voce, +di scorgere più limpide le tue visioni se i miei pensieri mi ululano intorno? +Sono stupefatto, ma voglio essere stupefatto, perché ti ho giurato, anima mia, +di aver ௹ducia in te, anche se mi fai passare attraverso la follia. Come posso +esser partecipe del tuo sole, se non bevo l’amara pozione dell’oblio e non vuoto +sino in fondo il mio calice? Aiutami a non restare so௸ocato dal mio sapere. La +mole del mio sapere minaccia di franarmi addosso. Il mio sapere ha un esercito + di mille oratori che ruggiscono come leoni; quando parlano, l’aria trema e io ne +sono la vittima indifesa. Allontana da me la spiegazione intelligente, la scienza,91 +quel malvagio carceriere che tiene le anime in catene e le rinchiude in celle +senza luce. Ma proteggimi soprattutto dal serpente del giudizio, che solo in +super௹cie è un serpente bene௹co, ma che – nella tua profondità – si trasforma +invece in un veleno infernale e in una morte atroce. Vorrei discendere – come un +puro – nella tua profondità, vestito di bianco, e non arrivare frettoloso come un +ladro per strappar via qualcosa e fuggire poi a perdi௹ato. Fammi rimanere nello +stupore divino,92 a௻nché io sia pronto a scorgere i tuoi miracoli. Fammi deporre +la testa su una pietra, davanti alla tua porta, perché io sia pronto a ricevere la +tua luce. +[2] Quando il deserto comincia a ௹orire, fa spuntare strani vegetali. Ti riterrai +folle, e in un certo senso lo sarai anche.93 Nella misura in cui il cristianesimo di +questo tempo rinuncia alla follia, rinuncia anche alla vita divina. Ricordate ciò +che gli antichi ci hanno insegnato in senso figurato: la follia è divina.94 Ma poiché +gli antichi vissero tale immagine concretamente, questo ci ha tratto in inganno, +poiché siamo diventati maestri della realtà del mondo. Non v’è dubbio che, se +entri nel mondo dell’anima, sei simile a un folle, e che un medico ti riterrebbe +malato. Quello che sto dicendo può sembrare patologico. E nessuno più di me +può ritenerlo insano. +Così ho dunque superato la pazzia. Se non sapete che cos’è la follia divina, +rinunciate a giudicare e attendete i frutti.95 Sappiate però che esiste una follia +divina che altro non è che il superamento dello spirito di questo tempo +attraverso lo spirito del profondo. Parlate di insano vaneggiamento quando lo +spirito del profondo non può più ritrarsi e costringe l’uomo a parlare in lingue +incomprensibili anziché in linguaggio umano, e gli fa credere di essere lui stesso +lo spirito del profondo. Parlate però anche di insano vaneggiamento quando lo +spirito di questo tempo non lascia andare l’uomo e lo costringe a vedere sempre +soltanto la super௹cie delle cose, a negare lo spirito del profondo e a ritenersi +egli stesso lo spirito del suo tempo. Lo spirito di questo tempo non è divino, lo +spirito del profondo non è divino; divino è l’equilibrio fra i due. +Poiché parteggiavo per lo spirito di questo tempo, mi doveva succedere ciò +che mi è capitato proprio in quella notte, e cioè che lo spirito del profondo +erompesse con forza per spazzar via con un’ondata possente lo spirito di questo +tempo. Ma lo spirito del profondo aveva acquisito tale possanza perché per +venticinque notti avevo parlato nel deserto con la mia anima o௸rendole tutto il +mio amore e tutta la mia sottomissione. Però, durante quei venticinque giorni +avevo o௸erto tutto il mio amore e tutta la mia sottomissione alle cose, alle +persone e ai pensieri di questo tempo. Solo nella notte mi recavo nel deserto. +In questo potete distinguere la follia insana da quella divina. Potete chiamare +insano chi fa l’una cosa e tralascia l’altra, perché la sua bilancia è squilibrata. + Chi però è mai riuscito a resistere alla paura quando veniva colto +dall’ebbrezza e dalla follia divina? L +’amore, l’anima e Dio sono belli e terribili. +Gli antichi hanno trasferito parecchi aspetti della bellezza di Dio in questo +mondo e perciò questo mondo è diventato talmente bello che allo spirito di +questo tempo esso appariva perfetto e migliore del grembo della divinità. Il lato +terribile e crudele del mondo restava coperto e sepolto nel profondo dei nostri +cuori. Quando vi avrà a௸errato lo spirito del profondo ne avvertirete la crudeltà, +e urlerete per lo strazio. Lo spirito del profondo è gravido di ferro, fuoco e +assassinio. Avete ragione di temere lo spirito del profondo, perché esso è colmo +di orrore. +In questi giorni state scorgendo le cose che celava lo spirito del profondo. Non +lo credevate, ma l’avreste saputo se aveste interrogato la vostra paura.96 +Dalla rossa luce del cristallo si sprigionò un riverbero di sangue, e quando +sollevai la pietra per scoprirne il segreto si svelò davanti ai miei occhi questo +orrendo spettacolo: nel profondo di quel che ha da venire c’era l’assassinio. Il +biondo eroe giaceva ucciso. Il coleottero nero è la morte che è necessaria al +rinnovamento; perciò dietro di lui ardeva un nuovo sole, il sole del profondo, +l’enigmatico sole della notte. E come il sole ascendente della primavera anima la +terra morta, così anche il sole del profondo riportò in vita ciò che era morto, e +ne scaturì una terribile lotta fra luce e tenebre. Allora sprizzò verso l’alto quel +possente ௹otto di sangue che a lungo non si esaurirà. Questo era ciò che doveva +venire, che voi ora sperimentate nella vostra carne, ed è ancora più di questo. +(Ho avuto questa visione nella notte del 12 dicembre 1913). +Profondità e super௹cie devono mescolarsi, al ௹ne di generare nuova vita. La +nuova vita però non nasce al di fuori di noi, ma in noi stessi. Gli eventi che in +questi giorni si veri௹cano fuori di noi sono l’immagine che i popoli vivono nella +realtà concreta per lasciarla in eredità imperitura a epoche future, a௻nché esse +ne traggano insegnamenti per il proprio cammino, allo stesso modo in cui noi +abbiamo tratto insegnamento dalle immagini che in precedenza gli antichi hanno +vissuto concretamente per noi. +La vita non viene dalle cose, ma da noi. Tutto ciò che accade fuori è già +accaduto. +Perciò chi osserva l’evento da fuori vede sempre soltanto ciò che è già stato e +che è sempre uguale. Chi invece guarda da dentro sa che tutto è nuovo. Le +cose che accadono sono sempre le stesse. Non è sempre uguale invece la +profondità creativa dell’essere umano. Le cose di per sé non signi௬cano nulla, +assumono un signi௬cato soltanto dentro di noi. Siamo noi a dare signi௬cato alle +cose. Il significato è ed è sempre stato artificiale. Siamo noi a crearlo. +Cerchiamo dunque in noi stessi il signi௬cato delle cose a௮nché la via di / +[Foglio IIIv / IVr] quel che ha da venire possa palesarsi e la nostra vita continui a +scorrere. + Ciò di cui avete bisogno proviene da voi stessi, ed è il signi௬cato delle cose. Il +signi௬cato delle cose non è il senso che è loro proprio. Questo senso si trova +nei libri dotti. Le cose sono prive di senso. +Il signi௬cato delle cose è la via della redenzione che vi create voi stessi. Il +signi௬cato delle cose è la possibilità – creata da voi stessi – di vivere in questo +mondo. È la capacità di dominare questo mondo e l’a௫ermarsi della vostra +anima in questo mondo. +Questo signi௬cato delle cose è il senso superiore che non si trova nelle cose +stesse e neppure nell’anima, è piuttosto il Dio che sta tra le cose e l’anima, il +mediatore della vita, la via, il ponte, il passaggio.97 +Non avrei potuto vedere ciò che doveva venire, se non avessi potuto scorgerlo +in me stesso. +Sono dunque implicato in quell’assassinio, anche in me risplende il sole del +profondo, dopo che l’assassinio è stato compiuto; anche in me ci sono i mille +serpenti che volevano inghiottire il sole. Io stesso sono assassino e assassinato, +sacrificatore e sacrificato.98 È da me stesso che sgorga il fiotto di sangue. +Tutti voi prendete parte all’assassinio.99 In voi sarà ciò che è rinato e sorgerà +il sole del profondo, e mille serpenti nasceranno dalla vostra materia morta e +rovineranno sul sole per so௸ocarlo. Sarà il vostro sangue a scorrere. I popoli lo +stanno dimostrando, in questi giorni, in imprese memorabili che vengono scritte +col sangue a eterna memoria in libri che mai cadranno nell’oblio.100 +Io però vi domando: quando succede che gli uomini aggrediscano i loro fratelli +con la violenza delle armi e con azioni cruente? Fanno questo quando non sanno +di essere essi stessi i loro fratelli. Sono carne௹ci che celebrano l’uno con l’altro +il rito sacri௹cale. Devono sacri௹carsi tutti, poiché non è ancora giunto il tempo +in cui l’uomo rivolga contro di sé la mannaia per sacri௹care colui che egli uccide +nel proprio fratello. Ma chi uccidono gli uomini? Uccidono i nobili, i valorosi, gli +eroi. A costoro mirano, ignorando che in essi intendono colpire se medesimi. +Dovrebbero sacri௹care l’eroe presente in loro stessi e, poiché non lo sanno, +uccidono i propri fratelli valorosi. +I tempi non sono ancora maturi, ma devono maturare attraverso questo +sacri௹cio cruento. I tempi non saranno maturi ௹n quando sarà possibile uccidere +il fratello invece di se stessi. Deve accadere qualcosa di terribile a௻nché gli +uomini maturino. Ma non v’è altro modo perché l’uomo maturi. Perciò tutto +quello che avviene in questi giorni deve succedere, a௻nché possa giungere il +rinnovamento. Infatti il ௹otto di sangue che fa seguito alla copertura del sole è +anche fonte di nuova vita.101 +Quello che i destini dei popoli rappresentano nella realtà concreta accadrà nei +vostri cuori. Se in voi verrà ucciso l’eroe, allora sorgerà per voi il sole del +profondo, che risplende da un luogo remoto e ancora ignoto. Ma subito tutto ciò +che ௹nora pareva morto si animerà in voi e si tramuterà in serpenti velenosi che + vogliono avvolgere il sole, e voi piomberete nella notte e nel turbamento. Il +vostro sangue ௺uirà dalle molteplici ferite di questa lotta tremenda. Grandi +saranno l’orrore e la disperazione, ma da un simile strazio nascerà la nuova +vita. La nascita è sangue e so௸erenza. Tornerà a vivere in voi la vostra tenebra +di cui non avevate sentore, perché era morta, e avvertirete la pressione del +male assoluto e di ciò che si oppone alla vita e che ora giace ancora sepolto +nella materia del vostro corpo. Ma i serpenti sono pensieri e sentimenti di +inaudita malvagità. +Pensavate di conoscere quell’abisso? Oh sapientoni! Viverlo è tutt’altra cosa. +Vi succederà di tutto. Pensate a tutte le cose spaventose e alle diaboliche +crudeltà che gli uomini hanno in௺itto ai loro fratelli. È questo che dovrà +succedere nel vostro cuore. Sopportatelo su di voi, provocato per mano vostra, +e sappiate che è proprio la vostra scellerata e diabolica mano a in௺iggervi il +dolore, e non invece il vostro fratello che lotta contro i suoi diavoli personali.102 +Vorrei che vedeste che cosa signi௹ca l’eroe assassinato. Quegli uomini +anonimi che ai giorni nostri assassinano principi sono ciechi profeti che +rappresentano nella realtà concreta ciò che vale solo per l’anima.103 +Dall’uccisione del principe apprendiamo che il principe in noi, l’eroe, è +minacciato.104 Non preoccupiamoci ora se ciò vada considerato come presagio +buono o cattivo. Ciò che è negativo oggi, andrà bene fra cent’anni, e tra +duecento sarà nuovamente negativo. Noi però abbiamo il dovere di riconoscere +che cosa stia capitando: ci sono in voi ௹gure che minacciano il vostro principe, +l’erede al trono. +Ma il nostro sovrano è lo spirito di questo tempo, che in noi governa ogni cosa, +è il senso comune con cui noi oggi pensiamo e agiamo. Ha un potere spaventoso, +perché ha portato a questo mondo beni incalcolabili e avvinto l’uomo con +incredibili piaceri. Si adorna delle migliori virtù eroiche e vorrebbe sollevare +l’umanità a splendide e radiose altezze, in un’ascesa inarrestabile.105 +L +’eroe vuole intraprendere tutto ciò che gli è possibile. L +’anonimo spirito del +profondo invece fa emergere tutto ciò che l’uomo non può fare. Il non-potere +impedisce ulteriori ascese. Altezze superiori richiedono virtù superiori. Noi non +le possediamo. Per prima cosa dobbiamo procurarcele, imparando a convivere +con il nostro non-potere. A esso dobbiamo dar vita. Altrimenti come potrebbe +mai trasformarsi in poter fare? +Non possiamo eliminare il nostro non-potere ed elevarci al di sopra di esso. +Proprio questo però volevamo. Il non-potere ci sopra௸arrà ed esigerà la sua +quota di vita. Perderemo il nostro potere e crederemo, in accordo con lo spirito +di questo tempo, che sia una perdita. Tuttavia non è una perdita, ma un +guadagno, non comunque di beni esteriori, ma di facoltà interiori. +Chi impara a convivere con il proprio non-potere ha appreso molto. Questo ci +condurrà ad apprezzare le più piccole cose e alla saggia moderazione che viene + richiesta dalle massime altezze. Una volta spento ogni eroismo, ricadremo nella +miseria umana e anche in qualcosa di peggio. Verranno agitati i nostri +fondamenti più profondi, perché smossi dalla nostra massima tensione, che +valeva per ciò che era fuori di noi. Cadremo nel pantano del nostro mondo +infero, tra le rovine che ogni secolo ha lasciato in noi.106 +Quello che è eroico in te è che sei dominato dal pensiero che questo o quello +sia il bene, che questa o quella prestazione sia indispensabile, che questa o +quella causa sia riprovevole, che questa o quella meta debba essere raggiunta +con un lavoro che procede sempre a testa bassa, che questo o quel piacere sia +da reprimere in qualunque circostanza e senza pietà. E così tu pecchi contro il +non-potere. Il non-potere comunque esiste. Nessuno dovrà negarlo, criticarlo o +zittirlo con le proprie grida.107 +Scissione dello spirito +[IF, IVr] +Cap. VI +Ma la quarta notte esclamai: «Andare all’inferno signi௹ca diventare inferno +noi stessi!».108 Tutto è spaventosamente confuso e ingarbugliato. Su questo +sentiero nel deserto non c’è soltanto la sabbia rovente, ma anche creature +invisibili terribilmente avvolgenti che abitano il deserto. Io lo ignoravo. Solo in +apparenza la via è sgombra, e solo in apparenza il deserto è vuoto. Esso mi pare +animato da creature stregate che mi sferrano attacchi micidiali e che +conferiscono alla mia ௹gura un aspetto demoniaco. Ho assunto una forma +mostruosa, in cui non riesco più a riconoscermi. Mi par d’essere una mostruosa +forma animale, per la quale ho cambiato le mie sembianze umane. Questa via è +tutta circondata dalla magia infernale; mi sono stati gettati lacci invisibili, che mi +tengono avvinto. +Ma lo spirito del profondo mi si avvicinò e disse: «Calati nel tuo intimo, +sprofonda!». +Io però mi ribellai e replicai: «Come posso sprofondare? Da solo non riesco a +farlo». +Allora lo spirito pronunciò parole che mi parvero ridicole e disse: «Siediti, +chetati». +Io invece gridai infuriato: «È terribile, pare un’assurdità, pretendi anche +questo da me? Tu abbatti dèi che sono potenti e che per noi signi௹cano quanto +c’è di più elevato. Anima mia, dove sei? Mi sono forse ௹dato di una stupida +bestia, barcollo verso il fossato come un ubriaco, farfuglio cose pazze come un +forsennato? È questa la tua via, anima mia? Mi ribolle il sangue, e potrei +strozzarti, se solo ti potessi acciu௸are. Tu tessi intorno a me la tenebra più ௹tta, + e io sono come un matto imprigionato nella tua rete. Ma voglio che tu +m’insegni». +Ma l’anima mi parlò, dicendomi: «Il mio è un sentiero di luce». +Replicai sdegnato: «Chiami luce quello che noi uomini de௹niamo la peggiore +delle tenebre? Chiami giorno la notte?». +A questo l’anima rispose con parole che mi mossero all’ira: «La mia luce non è +di questo mondo». +Gridai: «Dell’altro mondo non so niente!». +L +’anima rispose: «E non dovrebbe esistere soltanto perché tu non ne sai +niente?». +Io: «Ma allora il nostro sapere? Neanche il nostro sapere ha valore per te? +Che cosa dev’essere, se sapere non è? Dove sono ௹nite le certezze? Dove la +terraferma? Dove la luce? La tua tenebra non solo è più nera della notte, ma è +anche senza fondo. Se non deve esistere il sapere, allora forse neppure il +linguaggio e le parole?». +E l’anima: «Neanche le parole». +Io: «Perdonami, forse non ci sento bene, forse t’intendo male, forse inganno +me stesso raccontandomi frottole e panzane e facendomi smor௹e che mi +rimbalzano ghignando dai miei specchi, un folle nella sua gabbia di matto. Forse +t’inciampi nella mia follia?». +L +’anima: «È te stesso che inganni, non è a me che stai mentendo. Le tue +parole sono menzogne rivolte a te stesso, non a me». +Io: «Ma io potrei forse voltolarmi in deliri senza senso, escogitare paradossi, +cose di perversa ottusità?».109 +L +’anima: «Chi ti dà pensieri e parole? Li crei forse tu? Non sei tu il mio servo, +un bene௹ciario sdraiato dinanzi alla mia porta a raccattare la mia elemosina? E +tu osi credere che quanto dici e pensi potrebbe essere insensato? Non sai +ancora che proviene da me e mi appartiene?». +Gon௹o di collera, gridai: «Allora anche la mia rivolta deve provenire da te, +allora sei tu che ti rivolti in me contro te stessa». +Al che l’anima pronunciò le ambigue parole: «Questa è guerra civile».110 +Allora provai dolore e rabbia, e replicai: «Che dolore, anima mia, sentirti +pronunciare parole vuote! Mi viene la nausea! Commedia e ciance... ma ci sto. +Posso anche strisciare attraverso il fango della più odiosa banalità. Posso anche +mordere la polvere, questo fa parte dell’inferno. Non cedo, resisto. Inventatevi +pure ulteriori tormenti, voi mostri dalle zampe di ragno, ridicoli e abominevoli +mostriciattoli da baraccone. Avanti, sono pronto. Pronto a lottare anche con te, +anima mia, che sei un Diavolo. Ti ho venerato quando portavi la maschera di un +Dio, ma ora tu indossi la maschera di un Diavolo, ahimè, la maschera mostruosa +di ciò che è banale, la maschera dell’eterna mediocrità. Fammi un favore: lascia +che mi ritiri un momento a ri௺ettere. Vale la pena lottare contro questa + maschera? Valeva la pena venerare la maschera del Dio? Non posso: mi arde in +corpo la voglia di lottare. No, non posso abbandonare il campo di battaglia da +scon௹tto. Voglio a௸errarti, schiacciarti, pagliaccio, scimmia! Ahimè, la lotta è +impari, le mie mani stringono l’aria; ma anche i tuoi colpi sono d’aria, e mi +accorgo che si tratta di una farsa». +Mi trovo nuovamente sul sentiero del deserto. Era stata una visione del +deserto, una visione dei solitari che percorrono una lunga strada, dove stanno in +agguato invisibili briganti e assassini a tradimento, pronti a lanciare dardi +avvelenati. Non ho forse già confitta nel cuore la freccia assassina? +[2] Come la prima visione mi aveva predetto, l’assassinio a tradimento emerse +dal profondo e venne a me così come, nel destino dei popoli di questo tempo, +venne fuori un ignoto a levare l’arma letale contro il principe.111 +Mi sentii trasformato in bestia feroce. Il cuore mi ardeva di rabbia contro ciò +che sta in alto ed è amato, contro il mio principe ed eroe, così come l’ignoto del +popolo piombò sul suo caro principe, spinto dalla smania di uccidere. Poiché mi +portavo dentro l’assassinio, l’avevo previsto.112 +Giacché mi portavo dentro la guerra, l’avevo prevista. Mi sentivo ingannato +dalle menzogne del mio re. Perché provavo questa sensazione? Lui non era +come l’avevo desiderato. Elargiva cose diverse da quelle che mi aspettavo. Lui +doveva essere re come l’intendevo io, non come voleva lui. Doveva essere quello +che io de௹nivo ideale. La mia anima mi appariva vuota, scipita e insigni௹cante. +Ma ciò che pensavo di lei in realtà valeva per il mio ideale. +Era una / [Foglio IVr / IVv] visione del deserto; combattevo contro le mie stesse +immagini ri௺esse. In me si combatteva una guerra civile. Agivo per me stesso da +assassino e da assassinato insieme. Portavo nel cuore la freccia avvelenata, e +non sapevo cosa potesse signi௹care. I miei pensieri erano di assassinio e di +angoscia di morte e si stavano diffondendo come un veleno per tutto il corpo. +E simile era il destino dei popoli: l’assassinio di un’unica persona fu la freccia +avvelenata che volò nel cuore degli uomini per scatenarvi la guerra più feroce. +Questo assassinio è la rivolta del non-potere contro il volere, un tradimento +come quello di Giuda che si preferirebbe fosse commesso da qualcun altro.113 +Siamo ancor sempre alla ricerca del capro espiatorio che possa farsi carico dei +nostri peccati.114 +Tutto ciò che troppo invecchia diventa un male, dunque lo diventa anche il +vostro Essere supremo. Dalle so௫erenze del Dio croci௬sso imparate che un Dio +si può anche tradire e croci௬ggere, in specie il Dio dell’anno vecchio. Allorché +un Dio cessa di essere la via della vita, deve segretamente cadere.115 +Il Dio si ammala quando supera il culmine dello zenith. Perciò fui a௫errato +dallo spiritodel profondo dopo che lo spirito di questo tempo mi aveva condotto +fino alle vette.116 + L’assassinio dell’eroe +[IF, IVv]117 +Cap. VII +La notte seguente, tuttavia, ebbi una visione.118 Mi trovavo in alta montagna +insieme a un giovane. Stava per nascere il giorno, a oriente il cielo era già +chiaro. Sui monti si sentì allora risuonare in tono di giubilo il corno di Sigfrido.119 +Capimmo che stava arrivando il nostro mortale nemico. Eravamo armati, e ci +appostammo su uno stretto sentiero nella roccia per assassinarlo. Lo vedemmo +arrivare, in alto sulla cresta del monte, su un carro fatto di ossa di morti. +Intrepido, guidava in modo superbo giù per le rocce scoscese e piombò sullo +stretto sentiero dove noi attendevamo nascosti. Non appena svoltò alla curva +davanti a noi, facemmo fuoco nello stesso momento ed egli cadde, colpito a +morte. Subito mi volsi per fuggire, e in quel momento si abbatté su di noi uno +scroscio di pioggia torrenziale. Poi120 però provai una so௸erenza mortale e +sentii con certezza che avrei dovuto uccidermi se non fossi riuscito a risolvere +l’enigma dell’assassinio dell’eroe.121 +Allora lo spirito del profondo mi si accostò e disse queste parole: «La verità +suprema e l’assurdità sono la stessa e identica cosa». Quelle parole mi +salvarono. E si stemperò in me l’eccessiva tensione, come uno scroscio di +pioggia dopo una lunga calura. +Allora ebbi una seconda visione.122 Sedevo in uno splendido giardino dove +passeggiavano personaggi che indossavano vesti di seta bianca, ognuno avvolto +da un alone di luce colorata, color rosso per alcuni, per altri tendente +all’azzurro e al verde.123 [Ill., IVv] +Lo so, ho oltrepassato l’abisso. Attraverso la colpa sono rinato.124 +[2] Noi viviamo anche nei nostri sogni, non viviamo soltanto durante il giorno. +Talvolta compiamo in sogno le nostre maggiori imprese.125 +Quella notte la mia vita era minacciata, perché dovevo uccidere il mio signore +e Dio non in duello aperto; infatti, quale dei mortali potrebbe uccidere un Dio in +duello? Se vuoi vincerlo, puoi raggiungere il tuo Dio soltanto assassinandolo a +tradimento.126 +Ma questa è la cosa più amara per i mortali: i nostri dèi vogliono essere vinti, +perché hanno bisogno di rinnovarsi. Se gli uomini uccidono i loro principi, lo +fanno perché non possono uccidere i loro dèi, e perché non sanno che +dovrebbero uccidere gli dèi presenti in loro. +Quando il Dio invecchia, diventa ombra, nonsenso, e decade. La suprema +verità si trasforma nella massima menzogna, il giorno più chiaro nella notte più +buia. + Come il giorno presuppone la notte, e la notte il giorno, così il senso +presuppone il controsenso, e il controsenso il senso. +Il giorno non esiste di per sé, e neppure la notte esiste di per sé. +La realtà, che esiste di per sé, è insieme giorno e notte. +Dunque, la realtà è insieme senso e controsenso. +Il mezzodì è un istante. E così anche la mezzanotte è un istante, il mattino +viene dalla notte e la sera si volge alla notte, ma la sera viene anche dal giorno, +così come il mattino si volge al giorno. +Dunque il senso è un istante e passaggio da controsenso a controsenso, e il +controsenso è solo un istante e passaggio da senso a senso.127 +Ah, che Sigfrido, il biondo eroe germanico dagli occhi azzurri, abbia dovuto +cadere per mano mia, proprio lui, il più leale e valoroso! Aveva in sé tutto ciò +che io ritenevo vi fosse di più grande e di più bello. Era la mia forza, la mia +audacia, il mio orgoglio. In una lotta alla pari avrei dovuto soccombere io, per +cui non mi restava altro che ucciderlo a tradimento. Se volevo continuare a +vivere potevo farlo solo con l’astuzia e la perfidia. +Non giudicate! Pensate al biondo uomo selvaggio delle foreste tedesche che +avrebbe tradito il Dio del tuono – quello che brandisce il martello – con il pallido +Dio asiatico, che fu inchiodato al legno come una martora. Negli intrepidi si +insinuò sicuramente il disprezzo di se stessi. Ma la forza vitale comandò loro di +continuare a vivere, ed essi tradirono i propri dèi belli e selvaggi, gli alberi sacri +e la venerazione per le foreste tedesche.128 +Che cosa non signi௹ca Sigfrido per i tedeschi! Che cosa vuol dire la morte di +Sigfrido per un tedesco! Perciò poco è mancato che preferissi uccidere me +stesso per risparmiare lui. Volevo però continuare a vivere con un nuovo Dio.129 +Dopo la morte in croce, Cristo discese nel mondo infero e divenne inferno. +Così assunse le sembianze dell’Anticristo, del drago. L +’immagine dell’Anticristo +che gli antichi ci hanno tramandato annuncia il nuovo Dio, di cui essi previdero +l’avvento. +Gli dèi non si possono eludere. Quanto più fuggi lontano dal Dio, tanto più +certo è che cadrai in mano sua. +La pioggia è la grande marea di lacrime che sommergerà i popoli, la marea di +lacrime che nasce dall’allentarsi della tensione, dopo che la stretta della morte +aveva oppresso i popoli oltre ogni misura. È un compiangere quel che è morto in +me, un pianto che precede la deposizione e la rinascita. La pioggia è +fecondazione della terra. Genera il grano nuovo, il giovane Dio che germoglia.130 +Il concepimento del Dio +[IF, IVv] +Cap. VIII + Due notti dopo parlai alla mia anima e dissi: «Il nuovo mondo mi appare debole +e artefatto. Artefatto è una brutta parola, ma il granello di senape che +crescendo diventa albero, la Parola che fu concepita nel grembo di una vergine, +divenne un Dio cui era sottomessa la terra».131 +Allorché dissi questo, all’improvviso irruppe lo spirito del profondo che mi +inebriò e mi annebbiò la mente, e con voce tonante pronunciò queste parole: +[CD, IVv (inizio)] Ho concepito il tuo germoglio, o tu che hai da venire. +L’ho concepito nella più profonda miseria e umiltà. +L’ho avvolto in stracci sbrindellati e l’ho deposto sul giaciglio di misere +parole. +E lo scherno lo ha adorato, il tuo bambino, il tuo bimbo meraviglioso, il ௬glio +di uno che ha da venire per annunciare il Padre, un frutto che è più antico +dell’albero su cui è cresciuto. +Nel dolore sei concepito, e gioia è la tua nascita. +La paura è il tuo araldo, alla tua destra siede il dubbio, alla tua sinistra la +delusione. +Abbiamo superato la nostra ridicolaggine e irragionevolezza, quando ti +abbiamo scorto. +I nostri occhi si sono accecati, e il nostro sapere è ammutolito, quando +abbiamo accolto in noi il tuo fulgore. +Tu, nuova favilla della fiamma eterna, in quale notte sei nato? +Strapperai ai tuoi fedeli preghiere sincere, e in tuo onore essi dovranno +parlare in lingue per loro orribili.132 +Su di essi scenderai nell’ora dell’umiliazione e ti rivelerai in ciò che essi +odiano, temono e aborriscono. +La tua voce, l’armonia più rara, si udrà nel balbettio di ciò che è disordinato +e gettato via, e di ciò che è condannato a essere senza valore. +Il tuo regno toccheranno con mano coloro che ti hanno adorato anche +nell’umiliazione più profonda e che il desiderio ha spinto ad attraversare la +corrente melmosa del male. +I tuoi doni li concedi a coloro che ti pregano con terrore e dubbio, e la tua +luce splenderà per coloro che controvoglia e colmi di risentimento dovranno +piegare il ginocchio dinanzi a te. +La tua vita è con colui che, dopo aver superato se stesso, / [Foglio IVv / Vr] ha +rinnegato di essersi superato.133 +Anch’io lo so, la salvezza della grazia è data solo a colui che crede a ciò che è +più elevato e, infedele, tradisce se stesso per trenta denari.134 +Invitati al tuo fastoso banchetto sono quelli che si son sporcati le mani +immacolate, hanno scambiato con l’errore il loro sapere più prezioso e tratto le +proprie virtù da un covo di assassini. + L’astro della tua nascita è una stella errante e mutevole. +Son questi, o ௬glio dell’avvenire, i miracoli che testimonieranno che sei un +vero Dio. [CD, Vr (fine)] +[2] Dopo che il mio principe era caduto, lo spirito del profondo mi aprì gli occhi +e mi fece scorgere la nascita del nuovo Dio. +Il bambino divino mi si fece incontro da una terribile ambiguità, da ciò che era +insieme brutto e bello, cattivo e buono, ridicolo e serio, malato e sano, non +umano e umano, non divino e divino.135 +Ho compreso che il Dio che cerchiamo nell’assoluto, non può trovarsi in ciò +che è assolutamente bello, buono, serio, elevato, umano o addirittura divino. Un +tempo lì si trovava il Dio. +Ho compreso che il nuovo Dio sta in ciò che è relativo. Se Dio fosse assoluta +bellezza e bontà, come potrebbe racchiudere la pienezza della vita che è allo +stesso tempo brutta e bella, cattiva e buona, ridicola e seria, umana e non +umana? Come può l’essere umano vivere nel grembo della divinità se la divinità +si interessa solo a una sua metà?136 +Quando siamo saliti in alto, prossimi al culmine del buono e del bello, allora il +nostro lato brutto e cattivo si troverà a so௸rire i più atroci tormenti. Il suo +tormento è così grande, e l’aria delle cime così rarefatta, che l’uomo riesce a +stento a sopravvivere. Il bene e il bello si irrigidiscono nel ghiaccio dell’idea +assoluta,137 il male e il brutto diventano una pozzanghera fangosa, colma di vita +abietta. +Per questo Cristo, dopo la sua morte, dovette discendere all’inferno, perché +altrimenti gli sarebbe diventata impossibile l’ascensione al cielo. Cristo doveva +prima diventare il proprio Anticristo, il proprio fratello infero. +Nessuno sa quel che accadde nei tre giorni in cui egli rimase all’inferno. Io +l’ho saputo.138 Gli antichi dissero che aveva predicato ai trapassati.139 Quello che +dicono è vero. Ma voi sapete come accadde? +Fu una bu௸onata, una pagliacciata, un orrendo travestimento infernale dei +misteri più sacri. In che modo Cristo avrebbe potuto redimere il proprio +Anticristo? Leggete i libri sconosciuti degli antichi e ne potrete trarre molti +insegnamenti. Ricordate che Cristo non rimase all’inferno, ma ascese alle +altezze dell’aldilà.140 +Forte e incrollabile è divenuta la nostra convinzione del valore di ciò che è +buono e bello; per questo la vita può andare oltre e colmare tutto ciò che era in +catene e desiderava realizzarsi. Ma ciò che è in catene e desidera realizzarsi è +proprio quel che è brutto e cattivo. Ti ribelli contro ciò che è brutto e cattivo? +Di qui potrai riconoscere quanto grandi siano la sua forza e il valore che +riveste per la vita. Pensi che in te esso sia morto? Ma questo morto si può anche +trasformare in serpenti.141 I serpenti uccideranno il principe dei tuoi giorni. + Hai visto quale bellezza e quale gioia si riversarono sugli uomini quando dal +profondo si scatenò questa guerra immane. Eppure gli inizi furono terribili.142 +Se non abbiamo profondità, come possiamo giungere alle vette? Voi invece +temete la profondità, e non volete ammettere di temerla. È però un bene che voi +abbiate timore, si dice a voce alta che voi abbiate timore. È saggio avere +timore. Solo gli eroi dicono di non averlo. Sapete però che cosa succede +all’eroe. +Con timore e tremore, guardandovi attorno con di௻denza, spingetevi nel +profondo, ma non da soli: in due o più c’è maggiore sicurezza, poiché il profondo +pullula di assassini. Assicuratevi anche la via del ritorno. Procedete con +prudenza, come se foste dei vigliacchi, per prevenire gli assassini d’anime.143 Il +profondo vorrebbe inghiottirvi tutti e farvi asfissiare nella melma. +Chi va all’inferno diventa inferno pure lui; perciò non dimenticate da dove +venite. Il profondo è più forte di noi. Siate dunque astuti e non eroi, giacché +nulla è più pericoloso che convincersi di essere un eroe. Il profondo vorrebbe +trattenervi, ma sono troppi quelli che esso non ha restituito; per questo gli +uomini l’hanno evitato e gli hanno fatto violenza. +E se ora per tali violenze il profondo si fosse tramutato in morte? Ma esso si è +di fatto tramutato in morte. Quando si è ridestato ha perciò prodotto migliaia e +migliaia di morti.144 La morte non possiamo abbatterla, perché le abbiamo già +sottratto ogni oggetto vitale. Se vogliamo ancora vincere la morte dobbiamo +darle vita. +Perciò prendete con voi nel vostro cammino coppe d’oro colme di dolce +bevanda di vita, di vino rosso, e donatelo alla morta materia, a௻nché riacquisti +vita. La morta materia si trasformerà nel serpente nero. Non spaventatevi, il +serpente spegnerà subito il sole del vostro giorno, e sopra di voi scenderà la +notte illuminata da strani fuochi fatui.145 +Datevi da fare per risvegliare la morte. Scavate fosse profonde e gettatevi +o௸erte sacri௹cali perché arrivino ௹no a ciò che è morto. Concepite il male senza +rimorso, è questa la via per ascendere; prima dell’ascesa tutto è però notte e +inferno. +Che cosa pensate della natura dell’inferno? Inferno è quando il profondo +arriva a voi con tutto ciò di cui non siete più o non siete ancora padroni. Inferno +è quando non potete raggiungere ciò che potreste. Inferno è quando dovete +pensare, sentire e fare tutto ciò che sapete di non volere. Inferno è quando +sapete che per voi dovere è anche volere e che ne siete responsabili. Inferno è +quando sapete che tutte le cose serie che vi proponete di fare sono anche +ridicole, che ogni cosa ra௻nata è anche grossolana, che tutto il bene è anche +male, che tutto ciò che è elevato è anche basso, e che ogni opera buona è anche +un’azione infame. +Il più profondo degli inferni è però quando vi accorgete che l’inferno non è + veramente tale, ma un allegro paradiso, non un paradiso perfetto, ma un po’ +paradiso e un po’ inferno. +È questa l’ambiguità del Dio; essa nascerà da un’oscura ambiguità e +ascenderà a una chiara ambiguità. L +’univocità è unilateralità e conduce alla +morte.146 L +’ambiguità, invece, è la via della vita. 147 Se il piede sinistro non +cammina, cammina il destro, e tu cammini; è questo che vuole il Dio.148 +Voi dite: il Dio cristiano è univoco, lui è amore. 149 Ma che cosa c’è di più +ambiguo dell’amore? L +’amore è la via della vita, il vostro amore è però una via +della vita solo se ha una sinistra e una destra. +Nulla è più semplice che giocare con l’ambiguità, e nulla è più di௻cile che +vivere l’ambiguità. Chi gioca è bambino, il suo Dio è vecchio e muore. Chi vive è +adulto, e il suo Dio è giovane e in transizione. Chi gioca cela la morte interiore. +Chi vive avverte transizione e immortalità. Lasciate dunque il gioco a coloro che +giocano. Lasciate cadere ciò che vuole cadere; se lo trattenete, vi trascinerà +con sé. Esiste un vero amore che non si occupa del prossimo.150 +Quando l’eroe era stato abbattuto e nel controsenso era stato riconosciuto un +senso, quando ogni tensione si era scaricata scrosciando da nuvole gravide, +quando ogni cosa era diventata vile e pensava a salvarsi, allora mi accorsi della +nascita del Dio.151 Il Dio si insinuò nel mio cuore contro la mia volontà quando +ero confuso tra scherno e venerazione, tra mestizia e riso, tra sì e no. +Dalla fusione dei due nacque l’Uno. Venne generato come un bambino dalla +mia personale anima umana, che l’aveva concepito opponendosi come una +vergine. Così esso corrisponde all’immagine che ne hanno dato gli antichi.152 Ma +io non sapevo quando la madre, la mia anima, fosse rimasta incinta del Dio. Mi +parve persino che la mia anima fosse il Dio stesso, sebbene egli abitasse solo nel +grembo di lei.153 +E così ha trovato compimento l’immagine degli antichi. Ho perseguitato la mia +anima per uccidere il bambino in lei. Io sono infatti anche il peggior nemico del +mio Dio.154 Ho riconosciuto però che anche la mia inimicizia era stabilita nel +Dio. Lui è scherno, odio e ira, perché anche questo corrisponde a una via della +vita. +Devo dire che il Dio non poteva nascere prima che l’eroe fosse stato +abbattuto. L +’eroe, come noi lo intendiamo, è diventato nemico di Dio, perché +l’eroe è perfezione. Gli dèi invidiano la perfezione dell’uomo, perché chi è +perfetto non ha bisogno degli dèi. Ma dato che nessuno è perfetto, noi abbiamo +bisogno degli dèi. Gli dèi amano ciò che è perfetto, perché è la via della pienezza +della vita. Gli dèi però non stanno dalla parte di colui che vorrebbe essere +perfetto, perché è un imitatore di ciò che è perfetto.155 +L +’imitazione era una via della vita allorché l’uomo aveva ancora bisogno di +modelli eroici.156 L +’indole della scimmia è un percorso di vita per la scimmia e +anche per l’uomo ௹nché rimane un po’ scimmia. Il lato scimmiesco dell’uomo si + mantiene per periodi lunghissimi, ma verrà il tempo in cui l’uomo perderà un +altro pezzo di scimmia. +Sarà un tempo di redenzione, di discesa della colomba, e del fuoco e della +salvezza eterni. Allora non ci saranno più eroi né alcuno che li possa imitare. +A partire da quest’epoca ogni imitazione sarà maledetta. Il nuovo Dio ride +dell’imitazione e del proselitismo. Non ha bisogno né di coloro che ripetono +preghiere a mo’ di pappagalli, né di un seguito di discepoli. Costringe l’uomo a +passare attraverso se stesso. Il Dio è seguace di se stesso nell’uomo. Egli imita +se stesso. +Noi pensiamo che ciò che si trova dentro di noi sia individuale, e che quello +che è fuori di noi sia comune. Ciò che è fuori di noi è comune in relazione +all’esterno, ma è individuale se riferito a noi. Ciò che è dentro di noi è +individuale in relazione a noi, ma comune in relazione a ciò che si trova fuori di +noi. Noi siamo individuali se siamo in noi stessi, ma comuni in relazione a ciò che +è fuori di noi. Se però siamo fuori di noi, siamo individuali ed egoisti157 +nell’ambito comune. Il nostro Sé so௸re di una privazione se siamo fuori di noi +stessi, e così riempie con i propri bisogni l’ambito comune; in tal modo ciò che è +comune si trasforma falsamente in individuale. Quando siamo centrati in noi +stessi, soddis௹amo il bisogno del Sé, noi prosperiamo e in tal modo ci rendiamo +conto dei bisogni della sfera comune e possiamo soddisfarli.158 +Se poniamo un Dio fuori di noi, ci strapperà dal nostro Sé, perché il Dio è più +forte di noi. Allora il nostro Sé si troverà in grave di௻coltà. Se invece il Dio si +insedia nel Sé, ci sottrarrà alla sfera di ciò che è fuori di noi.159 Nell’essere +individui noi perveniamo a noi stessi. Così il Dio diventa comune se riferito alla +sfera fuori di noi, individuale se riferito a noi. Nessuno ha il mio Dio, ma il mio +Dio ha tutti quanti, me compreso. Gli dèi di ogni singolo uomo hanno sempre +tutti gli altri uomini, me compreso. Così si tratta sempre soltanto di un unico +Dio, nonostante la sua molteplicità. A lui pervieni dentro di te, e solo a patto di +essere afferrato dal tuo Sé. Esso ti afferra man mano che la tua vita procede. +L’eroe deve cadere per la nostra redenzione, poiché è un modello ed esige di +essere imitato. Tuttavia la misura dell’imitazione è colma.160 Dobbiamo essere +redenti per poter giungere alla solitudine in noi e al Dio fuori di noi. Quando ci +addentriamo in questa solitudine il Dio comincia a vivere. Se siamo centrati in +noi stessi, lo spazio fuori di noi resta libero, ma ricolmo del Dio. +La nostra relazione con l’uomo passa per questo spazio vuoto, e dunque passa +attraverso il Dio. Un tempo però essa passava attraverso l’egoismo, perché noi +ci trovavamo fuori di noi. Perciò lo spirito mi predisse che sulla terra si sarebbe +abbattuto il freddo degli spazi siderali.161 Così dimostrò, con un’immagine, che il +Dio sarebbe venuto tra gli uomini e, con la frusta del freddo glaciale, avrebbe +spinto ogni individuo verso il calore del suo focolare monastico. Giacché gli +uomini rincorrevano come impazziti le loro passioni. + Il desiderio egoistico è rivolto alla ௹n ௹ne a se stesso. Tu trovi te stesso nel +tuo desiderio, dunque non dire che il desiderio è vano. Se desideri te stesso, +nell’amplesso con te medesimo generi il ௹glio divino. Il tuo desiderio è il padre +divino, il tuo Sé la madre divina, ma il figlio è il nuovo Dio, il tuo signore. +Quando abbracci il tuo Sé, ti parrà che il mondo sia divenuto freddo e vuoto. +In questo vuoto si trasferisce il Dio che ha da venire. +Quando sei nella tua solitudine e tutto lo spazio intorno a te è diventato freddo +e in௹nito, ti sei allontanato dagli uomini e al tempo stesso sei giunto a loro vicino +come mai era capitato. Il desiderio egoistico ti ha condotto solo in apparenza +vicino all’essere umano, ma in verità ti ha portato via da lui, e alla ௹ne ti ha +condotto a te stesso nelle esperienze che erano più distanti sia da te che +dall’Altro. Ora però, quando ti trovi nella solitudine, il tuo Dio ti conduce al Dio +degli altri e per questo tramite alla vera vicinanza: a essere vicino al Sé +nell’Altro. +Quando sei in te stesso diventi consapevole del tuo non-potere. Vedrai quanto +poco sei capace di imitare l’eroe e di essere un eroe tu stesso. Allora non +costringerai più gli altri a diventare eroi; essi so௸rono di non potere +esattamente come te. Il non-potere vuol vivere, ma rovescerà i vostri dèi. [FD, +Vr] / [Foglio Vr / Vv] +MISTERO +Incontro +[IF, Vv] +Cap. IX +La notte in cui stavo ri௺ettendo sulla natura di Dio, ho percepito un’immagine. +Mi trovavo in un luogo buio e situato in profondità. Davanti a me c’era un +vecchio. Aveva l’aspetto di un antico profeta.162 Ai suoi piedi era disteso un +serpente nero. Un po’ più discosto vedo una casa sorretta da un colonnato. Dalla +porta esce una bella giovinetta. Avanza con passo incerto, e noto che è cieca. Il +vecchio mi fa un cenno e io lo seguo nella casa ai piedi dell’erta parete rocciosa. +Il serpente ci segue. All’interno della casa regna una ௹tta oscurità. Ci troviamo +in una grande sala dalle pareti sfavillanti, e sullo sfondo c’è una pietra +trasparente come l’acqua. Non appena la guardo, nel suo ri௺esso mi appare +l’immagine di Eva, dell’albero e del serpente. Poi scorgo Odisseo e i suoi +compagni in mare aperto. D’un tratto, alla destra, ecco aprirsi una porta che dà +su un giardino inondato dalla chiara luce del sole. Usciamo all’aperto, e il +vecchio mi domanda: «Sai dove ti trovi?». + Io: «Non conosco questo posto, e tutto mi pare meraviglioso e inquietante +come un sogno. E tu chi sei?». +E: «Io sono Elia163 e questa è mia figlia Salomè».164 +Io: «La figlia di Erode, quella femmina assetata di sangue?». +E: «Perché la giudichi a questo modo? Non vedi? È cieca. È mia ௹glia, la ௹glia +del profeta». +Io: «Quale miracolo vi ha unito?». +E: «Nessun miracolo. È stato così ௹n dall’inizio. La mia saggezza e mia ௹glia +sono una cosa sola». +Resto attonito, non riesco a comprendere. +E: «Ri௺etti su questo: la sua cecità e la mia capacità di vedere ci hanno resi +compagni sin dall’eternità». +Io: «Perdona il mio stupore. Mi trovo forse nel mondo infero?». +S[alomè]: «Mi ami?» +Io: «Come posso amarti? Come ti viene in mente? Io vedo solo una cosa: tu sei +Salomè, la tigre, le tue mani sono ancora macchiate del sangue del santo. Come +potrei amarti?». +S: «Tu mi amerai». +Io: «Io? Amare te? Chi ti dà il diritto di pensare una cosa del genere?». +S: «Io ti amo». +Io: «Lasciami stare. Mi fai orrore, belva!». +S: «Tu mi fai torto. Elia è mio padre e conosce i più profondi misteri. Le pareti +della sua casa sono fatte di pietre preziose. I suoi pozzi contengono acque +risanatrici, e il suo occhio scruta le cose future. E che cosa non daresti per +gettare un solo sguardo nelle in௹nite cose dell’avvenire? Non varrebbe la pena +di commettere un peccato?». +Io: «La tua tentazione è diabolica. Ho voglia di ritornare nel mondo di lassù. +Qui è orrendo. Com’è pesante e soffocante quest’aria!». +E: «Che cosa vuoi? A te la scelta». +Io: «Ma io non sono morto. Io vivo alla luce del giorno. Perché devo +tormentarmi qui con Salomè, quando ho già abbastanza da sopportare nella mia +vita?». +E: «Salomè, hai sentito quello che ha detto?». +Io: «Non riesco a credere che tu, il profeta, possa riconoscere in lei una ௹glia +e una compagna. Non è forse stata generata da un seme scellerato? Non era +forse pura avidità e criminosa libidine?». +E: «Ma lei amava un santo». +Io: «E ne ha versato in modo infame il sangue prezioso». +E: «Amava il profeta che ha annunciato al mondo il nuovo Dio. Lo amava, +capisci? Perché lei è mia figlia». +Io: «Vuoi dire che, essendo tua figlia, amava in Giovanni il profeta, il padre?». + E: «Dal suo amore la riconoscerai». +Io: «Ma in che modo lo amava? Questo lo chiami amore?». +E: «Che cos’altro era?». +Io: «Sono inorridito. A chi mai potrebbe non suscitare orrore essere amato da +Salomè?». +E: «Sei un vigliacco? Ri௺etti. Io e mia ௹glia siamo una cosa sola sin +dall’eternità». +Io: «Tu mi poni enigmi crudeli. Come può essere possibile che questa donna +abietta e tu, il profeta del tuo Dio, siate una cosa sola?». +E: «Perché ti meravigli? Vedi bene che siamo insieme». +Io: «Proprio quello che vedo con i miei occhi mi è incomprensibile. Tu, Elia, +che sei un profeta, che sei la bocca di Dio, e lei, un mostro assetato di sangue. +Voi siete i simboli degli opposti più estremi». +E: «Noi siamo reali e non dei simboli». +Vedo il serpente nero avvolgersi sull’albero e andare a nascondersi tra i rami. +Tutto si fa fosco e sospetto. Elia si alza in piedi, lo seguo e riattraversiamo in +silenzio la sala.165 Sono lacerato dal dubbio. È tutto così irreale, e tuttavia lascio +lì una parte del mio desiderio nostalgico. Ritornerò? Salomè mi ama, ma io +l’amo? Sento una musica primitiva, un tamburello, un’afosa notte di luna piena, +la testa insanguinata e irrigidita del santo...166 Mi prende paura. Mi precipito +fuori. Intorno a me è notte fonda. Chi ha assassinato l’eroe? È per questo che +Salomè mi ama? Oppure sono io che l’amo, e per questo ho ucciso l’eroe? Lei è +una cosa sola con il profeta, con Giovanni, ma forse anche con me? Ahimè, era +lei la mano di Dio? Io non l’amo, mi fa paura. Allora lo spirito del profondo mi +parlò e disse: «Da questo riconosci il suo divino potere». Devo amare Salomè?167 +[2] 168La scena che ho visto è la mia, non la vostra. È il mio segreto, non il +vostro. Voi non potete imitarmi. Il mio segreto rimane vergine e i miei misteri +restano inviolati, appartengono a me e non potranno mai essere vostri. Voi +avete ciò che è vostro.169 +Chi entra nella propria sfera personale deve procedere a tentoni, intuire la +propria strada pietra per pietra. Con il medesimo amore deve abbracciare le +cose vili e quelle preziose. Una montagna può essere un niente, e un granello +di sabbia può celare dei regni, oppure no. Devi deporre ogni giudizio, persino +il gusto, ma soprattutto l’orgoglio, anche se è fondato sui meriti. Oltrepassa il +varco sentendoti totalmente povero, misero, umile e ignorante. Volgi la tua ira +contro te stesso, perché sei solo tu a impedirti di vedere e di vivere. La scena +dei misteri è tenue come l’aria e come fumo sottile, e tu invece sei materia +grezza, dotato di un peso molesto. Fatti però aprire la strada dalla tua +speranza, che è il tuo bene più alto e il tuo supremo potere, fa’ che essa ti +serva da guida nel mondo dell’oscurità, perché è simile, nella sostanza, alle +forme di quel mondo.170 [Ill., Vv]171 + La scena della rappresentazione dei misteri è una voragine simile al cratere di +un vulcano. Il mio intimo più profondo è un vulcano che erutta il magma +incandescente di ciò che non ha mai preso forma ed è indi௸erenziato. Così la +mia parte più riposta genera i ௹gli del caos, della madre primigenia. Chi entra +nel cratere diventa lui stesso materia caotica, si liquefa. Ciò che in lui ha preso +forma si dissolve e si lega nuovamente ai ௹gli del caos, alle forze dell’oscurità, +alle forze dominanti e seduttive, coercitive e ammalianti, divine e diaboliche. +Queste forze si estendono da ogni lato, oltre ciò che in me è de௹nito e +delimitato, e mi collegano con tutte le forme, con ogni creatura e cosa lontana, +per cui nasce in me una conoscenza interiore del loro essere e del loro +carattere. +Giacché sono caduto nella sorgente del caos, nell’elemento primordiale, vengo +io stesso rifuso in lega con l’elemento primordiale, che è al tempo stesso ciò che +è stato e ciò che sta diventando. Anzitutto pervengo all’elemento primordiale +che è in me. Tuttavia, poiché sono parte della materia del mondo e della sua +conformazione, pervengo anche all’elemento primordiale del mondo stesso. Ho +preso parte alla vita in quanto essere dotato di forma e de௹nito, ma soltanto +tramite la mia coscienza formata e de௹nita, e per mezzo suo, alla porzione +formata e de௹nita del cosmo, non però agli elementi informi e inde௹niti del +mondo che mi sono comunque dati. Questo, tuttavia, è concesso soltanto alla mia +parte profonda e non a quella superficiale, che è coscienza formata e definita. +Le forze che nascono dal mio profondo sono il prede௹nire e il piacere.172 Il +prede௹nire – o il prepensare –173 è il Prometeo,174 che senza pensieri de௹niti +porta l’elemento caotico a prendere forma175 e a de௹nirsi, che scava i canali e +presenta al piacere il suo oggetto. Il prepensare viene anche prima del pensare. +Il piacere è però la forza che, senza forma né de௹nizione, di per sé desidera e +distrugge le forme. Esso ama la forma che accoglie in sé, e distrugge quella che +non accetta. Il prepensiero è veggente, mentre il piacere è cieco. Non prevede, +ma desidera ciò che tocca. Il prepensare, di per sé, non ha forza, e perciò non +mette nulla in movimento. Il piacere è invece una forza, e perciò mette in +movimento. Il prepensiero ha bisogno del piacere, per dare forma. Il piacere ha +bisogno del prepensiero per approdare alla forma, che gli è necessaria.176 Se il +piacere fosse privo di un principio formante si disperderebbe nella molteplicità e +attraverso un’in௹nita divisione si frantumerebbe e diverrebbe impotente, perso +nell’in௹nità. Se non esiste una forma che assuma in sé il piacere, +comprimendolo, quest’ultimo non potrà approdare più in alto, perché – come +l’acqua – scorre sempre dall’alto verso il basso. Ogni piacere, lasciato a se +stesso, ௺uisce nel fondo del mare e ௹nisce nell’inerzia mortale della dispersione +nello spazio in௹nito. Il piacere non è più antico del prepensiero, e il prepensiero +non è più antico del piacere. Hanno la stessa età, e in natura sono la medesima +cosa. Solo nell’essere umano la separazione dei due principi diventa manifesta. + Oltre a Elia e Salomè, trovo il serpente in quanto terzo principio.177 È +estraneo agli altri due principi, sebbene sia collegato a entrambi. Il serpente +m’insegna l’assoluta diversità della natura dei due principi presenti in me. Se dal +prepensiero osservo il piacere, vedo anzitutto il serpente velenoso che incute +spavento. Se dal piacere avverto un sentimento nei confronti del prepensiero, +sento per prima cosa il freddo serpente crudele.178 Il serpente è la natura ctonia +dell’uomo, di cui egli non è consapevole. La sua indole varia a seconda dei paesi +e dei popoli, poiché è l’aspetto misterioso che a௼uisce loro dalla Madre Terra +che li nutre.179 +L +’elemento terreno ( numen loci) separa il prepensiero dal piacere nell’uomo +ma non necessariamente. Il serpente ha in se stesso la pesantezza della terra, +ma anche la sua capacità di trasformarsi e germogliare, da cui nasce tutto ciò +che diviene. È sempre il serpente a far sì che l’uomo divenga schiavo ora +dell’uno ora dell’altro principio, in misura tale da scivolare nell’errore. Non si +può vivere solo con il prepensiero, né soltanto con il piacere. Hai bisogno di +entrambi. Non puoi essere però al tempo stesso nel prepensiero e nel piacere, +ma dovrai essere alternativamente nel prepensiero o nel piacere, obbedendo di +volta in volta alla legge dell’uno o dell’altro, per così dire infedele all’altro. Gli +uomini preferiscono tuttavia o l’uno o l’altro. Gli uni amano pensare, e vi +fondano l’arte del vivere. Esercitano il loro pensiero e la loro precauzione, e +così facendo perdono il piacere. Perciò sono vecchi e hanno un viso severo. Gli +altri amano il piacere, esercitano il loro sentimento e vivono le loro esperienze. +Perdono così il pensiero. Perciò sono giovani e ciechi. I pensatori fondano il +mondo sul pensiero, coloro che sentono lo fondano sul sentimento. In entrambi +tu trovi verità ed errore. +La via della vita si snoda sinuosa come un serpente da destra a sinistra e da +sinistra a destra, dal pensare al piacere, e dal piacere al pensare. Il serpente è, +da un lato, un avversario e il simbolo dell’inimicizia, ma dall’altro un saggio +ponte che collega destra e sinistra attraverso il desiderio, così come è +necessario alla nostra vita.180 +Il luogo in cui Elia e Salomè vivono insieme è uno spazio oscuro e anche +chiaro. La parte oscura è il luogo del prepensiero. È oscuro e perciò chi vi +dimora ha bisogno di vedere.181 Questo spazio è limitato. Prepensare non porta +perciò a spazi estesi, ma conduce nelle profondità del passato e del futuro. Il +cristallo è il pensiero che ha preso forma, che nel passato rispecchia l’avvenire. +Eva / [Foglio Vv / VIr] e il serpente mi mostrano che la mia prossima via condurrà +al piacere e di lì di nuovo proseguirà in lunghe peregrinazioni, come capitò a +Odisseo. Egli si smarrì dopo aver fatto cadere Troia con l’astuzia.182 Il giardino +luminoso è il luogo del piacere. Chi lo abita non ha bisogno di vedere;183 avverte +un senso di in௹nitezza.184 Un pensatore che sprofonda nel suo prepensare +imbocca come prossima via quella che conduce nel giardino di Salomè. Perciò il + pensatore teme il proprio prepensare, sebbene egli viva su questo fondamento. +La super௹cie visibile è più sicura di quel che c’è sotto. Il pensiero protegge dalle +deviazioni, perciò porta a impietrire. +Un pensatore ha da temere Salomè, perché lei reclama la sua testa, +specialmente se lui è un santo. Un pensatore non dev’essere un santo, altrimenti +perderà la testa. Non giova nascondersi nel pensiero. Verrai colto da rigidità. +Per rinnovarti dovrai ritornare al prepensare materno. Ma il prepensare +conduce a Salomè. +185Poiché ero un pensatore e osservavo il principio avverso, quello del piacere, +dalla prospettiva del prepensiero, esso mi apparve nella ௹gura di Salomè. Se +fossi stato maggiormente mosso dal sentimento e mi fossi accostato a tentoni al +prepensare, esso mi sarebbe apparso come un demone a forma di serpente, se +mai l’avessi visto. Ma sarei stato cieco. Avrei perciò provato solo la sensazione +di trovarmi di fronte a qualcosa di viscido, morto, pericoloso, a qualcosa di già +superato, insipido e dolciastro, e mi sarei distolto con lo stesso brivido con cui +mi sono allontanato da Salomè. +I piaceri di colui che pensa sono ignobili, perciò lui non ha piaceri. I pensieri di +colui che sente186 sono ignobili, perciò lui non ha pensieri. Chi preferisce +pensare piuttosto che sentire187 fa marcire nell’oscurità il proprio sentire.188 +Non matura, ma nel marciume produce dei getti malaticci, che non arrivano alla +luce. Chi preferisce sentire piuttosto che pensare lascia il suo pensiero +nell’oscurità, dov’esso appende le sue reti ad angoli lerci, tele vuote con cui +cattura zanzare efalene. Il pensatore sente il lato ripugnante presente nel +sentimento, poiché il suo sentimento è principalmente ripugnante. Colui che +sente si immagina invece il lato ripugnante dei pensieri, poiché il suo pensare è +principalmente ripugnante. Dunque il serpente si pone in mezzo tra chi pensa e +chi sente. Entrambi sono veleno e guarigione l’uno per l’altro. +Nel giardino doveva risultarmi evidente che amo Salomè. L +’averlo capito mi +ha dato un senso di oppressione, perché non l’avevo pensato. Un pensatore non +crede che possa esistere ciò che non pensa, e chi sente non crede possa mai +esistere ciò che lui non sente. Cominci a presagire la totalità quando abbracci il +tuo principio opposto, poiché la totalità poggia su due principi opposti che +crescono da un’unica radice.189 +Elia ha detto: «La riconoscerai dal suo amore». Non sei solo tu che santi௹chi +l’oggetto, ma è anche l’oggetto a santi௹care te. Salomè amava il profeta, e +questo la rese santa. Il profeta amava Dio, e questo lo santi௹cò. Salomè però +non amava Dio, e questo la privò della santità. Il profeta però non amava +Salomè, e questo lo privò della santità. Perciò essi furono l’uno per l’altra veleno +e morte. Il pensatore accolga in sé il suo piacere, colui che sente accolga il +proprio pensiero. Questo porterà a trovare la via.190 + Insegnamento +[IF, VIr] +Cap. X +La notte seguente191 fui condotto a una seconda immagine. Mi trovo +nell’abisso roccioso che mi appare simile a un cratere. Davanti a me vedo la +casa col colonnato. Vedo Salomè andare verso sinistra lungo la parete della +casa, cercando a tentoni la strada, come fanno i ciechi. Il serpente la segue. +Sulla porta c’è il vecchio che mi fa cenno. Mi avvicino titubante. Lui richiama +indietro Salomè. Lei pare so௸erente. Non riesco a scoprire in lei nulla che parli +del suo atto scellerato. Ha le mani candide, e il suo viso esprime dolcezza. +Davanti ai due c’è il serpente. Io me ne sto dinanzi a loro, impacciato come uno +stupido ragazzino, sopra௸atto dall’incertezza e dall’ambiguità. Il vecchio mi +scruta con sguardo indagatore ed esclama: «Che cosa vuoi tu qui?». +Io: «Perdonami, a portarmi qui non sono né il desiderio di intromettermi né la +presunzione. Sono venuto senza un’intenzione precisa, senza ben sapere cosa +voglio. Mi ha condotto qui un senso di nostalgia, che ieri è rimasto nella tua +casa. Come puoi vedere, o profeta, sono stanco, la mia testa pesa come il +piombo, mi sono perso nella mia ignoranza. Ho recitato abbastanza, di fronte a +me stesso. Quelle che recitavo con me stesso erano parti ipocrite, e mi +avrebbero disgustato tutte, se nel mondo degli uomini non fosse cosa intelligente +recitare proprio le parti che gli altri si aspettano da noi. In questo posto ho la +sensazione di essere più reale, anche se non mi piace essere qui. +Senza dir parola, Elia e Salomè entrano in casa. Io li seguo controvoglia, +tormentato da un senso di colpa. È cattiva coscienza? Vorrei tornare indietro, +ma non posso. Mi trovo di fronte al gioco infuocato del cristallo lucente. Nel suo +fulgore scorgo la Madre di Dio con il Bambino. Davanti a loro c’è Pietro in atto +di adorazione... poi Pietro da solo, con le chiavi... il papa con una triplice +corona... un Buddha, seduto immobile nel cerchio di fuoco... una dea sanguinaria +con molte braccia...192 È Salomè, che si torce disperata le mani...193 Mi sento +colpito, lei è la mia stessa anima, e ora vedo Elia ri௺esso nell’immagine del +cristallo. +Elia e Salomè se ne stanno sorridenti dinanzi a me. +Io: «Quel che vedo è straziante, e il signi௹cato di queste immagini mi è oscuro. +Elia, illuminami, te ne prego!». +Elia si volta in silenzio e va verso sinistra. Salomè si volta verso destra +dirigendosi verso un colonnato. Elia mi conduce in una stanza ancora più buia. +Dal so௻tto pende una lampada che emana una luce rossastra. Mi siedo esausto. +Elia sta davanti a me appoggiato a un leone di marmo nel mezzo della stanza. +E: «Hai paura? La tua ignoranza ha la colpa della tua cattiva coscienza. Il non +sapere è una colpa, ma tu supponi che il tuo impulso a conoscere cose proibite + sia la causa del tuo senso di colpa. Perché mai pensi di essere qui?». +Io: «Lo ignoro. Sono sprofondato in questo luogo quando da ignorante mi +struggevo di conoscere ciò che non sapevo. Per cui sono qui sbalordito e +confuso, uno sciocco ignorante. Nella tua casa compio esperienze sorprendenti +di cose che mi spaventano e il cui significato mi è oscuro». +E: «Se nella tua legge non fosse scritto di essere qui, come potresti esserci?». +Io: «Mi sento pervaso da una mortale debolezza, padre mio». +E: «Tu eludi la questione. Non puoi sottrarti alla tua legge». +Io: «Come posso sottrarmi a qualcosa che mi è ignoto, che non riesco a +raggiungere neppure con il sentimento o il presentimento?». +E: «Tu stai mentendo. Non sai che tu stesso hai capito che cosa signi௹ca se +Salomè ti ama?». +Io: «Hai ragione. M’era venuto un pensiero, sia pur dubbioso e incerto, ma +l’ho di nuovo dimenticato». +E: «Non l’hai dimenticato. Ardeva nel profondo del tuo animo. Sei forse un +vigliacco? Oppure non riesci a su௻cienza a tenere distinto da te questo +pensiero, cosicché volevi riferirlo a te stesso?». +Io: «Quel pensiero era troppo ardito, e rifuggo dalle idee troppo campate in +aria. Sono pericolose, perché io sono un essere umano, e tu sai quanto gli uomini +usino considerare i pensieri come qualcosa di molto personale, tanto che +finiscono per scambiarsi per essi». +E: «Ti scambieresti forse per un albero o per un animale, dal momento che li +vedi e perché esistono insieme a te, nel medesimo mondo? Devi forse essere +identico ai tuoi pensieri, solo perché ti trovi immerso nel mondo dei tuoi +pensieri? Essi sono altrettanto fuori del tuo Sé quanto gli alberi e gli animali +stanno fuori del tuo corpo».194 +Io: «Capisco. Il mondo dei miei pensieri era per me più una parola che un +mondo. Del mondo dei miei pensieri pensavo: esso è me». +E: «Tu dici forse al mondo degli uomini e a ogni essere fuori di te: “Tu sei +me”?». +Io: «Sono entrato nella tua casa, padre mio, con il timore di uno scolaretto, ma +tu mi hai impartito insegnamenti di salutare saggezza:195 riesco a considerare i +miei pensieri come qualcosa che esiste anche al di fuori di me. Questo mi aiuta a +ritornare alla conclusione spaventosa che la mia lingua si ri௹uta di pronunciare. +Pensavo infatti che Salomè mi amasse perché assomigliavo a Giovanni o a te. +Questo pensiero mi pareva incredibile. Perciò lo ri௹utai, e pensai che lei mi +amasse perché ero in realtà il tuo opposto, e che lei amasse il suo lato cattivo +nel mio lato cattivo. Questo pensiero mi ha annichilito». +Elia tace. Avverto un senso di oppressione. Ecco che entra Salomè, mi si +avvicina e col braccio mi cinge le spalle. Probabilmente mi scambia per suo +padre, perché sono seduto sulla sua sedia. Non oso muovermi né parlare. + S: «Lo so che non sei mio padre. Tu sei suo figlio, e io tua sorella». +Io: «Tu, Salomè, mia sorella? Era questo il fascino tremendo che esercitavi, +quell’indicibile orrore che provavo dinanzi a te, al tuo contatto? E chi era nostra +madre?». +S: «Maria». +Io: «Non sarà questo un sogno infernale? Maria nostra madre? Quale follia si +nasconde nelle tue parole? La madre del Salvatore nostra madre? Oggi, quando +ho oltrepassato la vostra soglia, ho avuto un presagio di sventura. Ahimè, eccola +arrivata! Sei fuori di senno, Salomè? Elia, tu che custodisci il diritto divino, +dimmi: si tratta forse di un diabolico incantesimo di questa scellerata? Come può +dire cose del genere? Oppure siete entrambi fuori di senno? Voi siete simboli, e +Maria è un simbolo. Sono troppo confuso per smascherarvi adesso». +E: «Puoi chiamarci simboli con lo stesso diritto con cui puoi chiamare simboli +anche i tuoi simili, se ciò ti aggrada. Ma noi siamo altrettanto reali dei tuoi +simili. Nel chiamarci simboli, non invalidi un bel niente e non risolvi nulla». +Io: «Tu mi getti in una confusione enorme. Voi sostenete di esistere +veramente?». +E: «Certo. Noi siamo proprio quel che tu de௹nisci reale. Siamo qui, e tu devi +accettarci. A te la scelta». +Rimango in silenzio. Salomè si è allontanata da me. Mi guardo intorno +perplesso. Alle mie spalle, su un altare circolare, arde un’alta ௹amma +giallorossa. Mi volto barcollando verso l’uscita. Non appena entro nella sala, +vedo camminare davanti a me un enorme leone. Fuori, un’immensa, fredda notte +stellata. +[2] 196Non è poco confessare a se stessi il proprio vivo desiderio. Molti hanno +bisogno di un particolare sforzo d’onestà. Troppi non vogliono sapere a che cosa +anelano, perché ciò pare loro impossibile o troppo doloroso. Il desiderio è però +la via della vita. Se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non +seguirai te stesso ma strade estranee che altri hanno tracciato per te. Così non +vivi la tua vita, ma una vita estranea. Ma chi altri deve vivere la tua vita, se non +tu stesso? Scambiare la propria vita per quella di altri non è soltanto una cosa +sciocca, ma anche un gioco ipocrita, perché non puoi mai vivere realmente la +vita dell’Altro, fai solo ௹nta, inganni l’Altro e te stesso, perché tu puoi vivere solo +la vita che ti appartiene. +Se rinunci al tuo Sé, lo vivrai nell’Altro; in tal modo sarai egoista verso l’altra +persona, e la ingannerai. Tutti credono che una vita del genere sia possibile, ma +è solo un’imitazione scimmiesca. Cedendo alle tue voglie da scimmia, contagerai +gli altri, perché la scimmia induce a scimmiottare. Così renderai scimmia te +stesso e gli altri. Copiandovi a vicenda vivrete secondo le aspettative della +media, per cui da sempre – per la smania che tutti hanno di imitare – fu creata +un’immagine: quella dell’eroe. Per questo l’eroe fu assassinato, proprio perché + tutti noi lo imitavamo in modo scimmiesco. Sai perché non riesci a liberarti del +tuo lato scimmia? Per paura di restare solo e di dover soccombere. +Vivere se stessi signi௹ca essere un compito per se stessi. Non puoi mai dire +che vivere per se stessi sia un piacere. Non sarà una gioia, ma una lunga +so௸erenza, perché devi farti creatore di te stesso. Se vuoi crearti, non +comincerai certo dai lati migliori e più elevati, ma da quelli peggiori e in௹mi. +Perciò di’ pure che ti disgusta vivere te stesso. Il con௺uire delle correnti della +vita non è gioia ma dolore, perché è violenza contro violenza, è colpa, e +distrugge ciò che è ritenuto sacro. +L’immagine della Madre di Dio con il Bambino, che intuisco nel cristallo, +allude per me al mistero della trasformazione.197 Se in me si uniscono il +prepensiero e il piacere, ne nasce un terzo elemento: il ௹glio divino, che è il +senso superiore, il simbolo, il passaggio a una nuova creatura. Non diverrò io +stesso senso superiore198 oppure simbolo, ma sarà il simbolo a nascere in me, in +modo però che esso mantenga la sua sostanza e io la mia. Così mi trovo dunque +come Pietro in adorazione dinanzi al miracolo della trasformazione e +dell’incarnazione di Dio in me. +Sebbene non sia io stesso il ௹glio di Dio, ne sono tuttavia rappresentante come +uno che ha fatto da madre al Dio e a cui perciò, in nome del Dio, è data la libertà +di legare e sciogliere. Il legare e lo sciogliere accadono in me.199 Ma nella +misura in cui accade in me e io sono una parte del mondo, lo stesso evento +accade per mio tramite anche nel mondo, e nessuno può impedirlo. Non accade +a௸atto tramite la mia volontà, ma tramite un’azione ineluttabile. Non sono io il +vostro signore, ma è la presenza del Dio in me. Con una chiave chiudo il passato, +con l’altra apro il futuro. Ciò accade mentre trasformo la mia natura. È il +miracolo della trasformazione a comandare. Io sono il suo servo, quasi come il +papa. +Vedi come sarebbe folle credere simili cose di sé. 200 Non vale tanto per me, +quanto per il simbolo. Il simbolo diventa il mio signore e sovrano infallibile. +Ra௸orzerà il suo regno e si tramuterà in un’immagine rigida ed enigmatica, il cui +signi௹cato è interamente rivolto all’interno e il cui piacere si irradia all’esterno +come un fuoco ௹ammeggiante,201 come un Buddha circondato dalle ௹amme.202 +Nella misura in cui io mi sprofondo nel simbolo, il simbolo stesso mi trasforma +dal mio Uno nel mio Altro, e in quella dea crudele del mio intimo che è il mio +piacere femminile, il mio diverso, quello che mi tormenta e che è tormentato e +che tale deve essere. Ho interpretato queste immagini con misere parole, così +come ne sono capace. +203Nel momento della confusione, segui il prepensiero e non il cieco desiderio, +perché il tuo anticipare col pensiero ti conduce alle di௻coltà, che sempre +devono arrivare per prime. Esse arrivano comunque. Se cerchi una luce, cadrai + anzitutto in un’oscurità ancora più profonda. In tale oscurità troverai una luce +con una debole ௹ammella rossastra che spande solo un minimo chiarore, ma che +è su௻ciente per vedere quel che hai vicino. È cosa estenuante arrivare a questa +meta, perché non sembra essere tale. Ed è giusto che sia così: sono paralizzato, +e perciò pronto ad accettare. Il mio prepensiero poggia sul leone, la mia +forza.204 +Mi attenevo alla forma santi௹cata e non volevo consentire al caos di rompere +gli argini. Credevo nell’ordine del mondo e odiavo tutto ciò che era disordinato e +informe. Per questo ho dovuto anzitutto riconoscere che era stata la mia +personale legge a condurmi in questo luogo. Quando il Dio stava prendendo +forma in me ho pensato che fosse una parte del mio Sé. Pensavo che il mio Io lo +includesse e l’ho considerato perciò un mio pensiero. Ma ritenevo che i miei +pensieri fossero parti del mio Io. Mi sono dunque collocato nei miei pensieri e, +così facendo, ho trasferito anche me stesso nel pensiero di Dio, considerandolo / +[Foglio VIr / VIv] una parte del mio Sé. +Per i miei pensieri avevo abbandonato me stesso; perciò il mio Sé si è +a௸amato e ha trasformato Dio in un pensiero egoistico. Se abbandono il mio Sé, +la fame mi spingerà a trovarlo nel mio oggetto, dunque in ciò che penso. Per +questo tu ami pensieri ragionevoli e ordinati, perché non potresti sopportare di +trovarti in mezzo a pensieri disordinati, vale a dire inadeguati. Per questo tuo +desiderio egoistico hai scacciato dai tuoi pensieri ciò che non ti pare ordinato, e +dunque inadeguato. L +’ordine lo crei in base a quel che sai: i pensieri del caos +però non li conosci, eppure esistono. I miei pensieri non sono il mio Sé, e il mio +Io non abbraccia il pensiero. Il tuo pensiero ha questo signi௹cato e un altro +ancora, non uno soltanto ma molti significati. Nessuno sa quanti. +I miei pensieri non sono il mio Sé, ma sono esattamente come le cose del +mondo, vive e morte.205 Allo stesso modo in cui non sono danneggiato dal fatto di +vivere in un mondo in parte non ordinato, così non sono neppure danneggiato se +vivo nel mio mondo di pensieri, in parte non ordinati. I pensieri sono eventi +naturali che tu non possiedi e del cui signi௹cato hai solo una conoscenza +imperfetta.206 I pensieri crescono in me come una foresta popolata da molte +specie di animali. Ma l’uomo è imperioso nel suo pensare, e così stronca il +piacere della foresta e degli animali selvatici. L +’uomo è violento nel suo +desiderio e diventa lui stesso foresta e selvaggina. Allo stesso modo in cui ho +libertà nel mondo, ho anche libertà nei miei pensieri. La libertà è relativa. +A talune cose del mondo devo dire: non così dovete essere, ma diverse. Prima +ne osservo però accuratamente la natura, altrimenti non posso modi௹carle; allo +stesso modo procedo con certi pensieri. Tu cambi le cose del mondo che, senza +essere utili di per sé, minacciano il tuo benessere. Alla stessa maniera procedi +coi tuoi pensieri. Nulla è perfetto, e molto vi è di contraddittorio. La via della +vita è trasformazione, non esclusione. Il bene è un giudice migliore della legge. + Quando però mi resi conto della libertà che godeva il mondo dei miei pensieri, +Salomè mi abbracciò e io divenni profeta, perché avevo trovato il piacere delle +esperienze primordiali, della foresta e delle bestie selvatiche. Troppo ovvio è +per me immedesimarmi nelle mie visioni, perché possa provare piacere +nell’averle. Rischio di credere di essere io stesso importante, dal momento che +vedo cose importanti. In questo modo diventeremo sempre più pazzi e +trasformeremo in follia e in bu௸onata ciò che vediamo, perché non possiamo +fare a meno di imitare.207 +Così come il mio pensiero è ௹glio del prepensiero, il mio piacere è la creatura +dell’amore, ossia della Madre di Dio, innocente e capace di concepire. Oltre a +Cristo, Maria ha dato alla luce Salomè. Perciò nel Vangelo degli egiziani Cristo +dice a Salomè: «Mangia di ogni erba, ma non mangiare quella amara». E quando +Salomè volle sapere, Cristo le disse: «Quando strapperete l’abito della vergogna +e quando i due saranno uno e il maschile con il femminile, [non sarà] né maschile +né femminile».208 +Il prepensiero è l’elemento che genera, l’amore quello che accoglie.209 +Entrambi sono al di là di questo mondo. Qui ci sono intelletto e piacere, il resto +lo supponiamo soltanto. Sarebbe folle asserire che siano di questo mondo. Tanti +sono gli aspetti enigmatici e serpeggianti intorno a questa luce. Riacquistai il +potere dal profondo ed esso si incamminò davanti a me come un leone.210 +Soluzione +[IF, VIv]211 +Cap. XI +Tre notti dopo212 fui colto da un profondo anelito a vivere ancora il mistero. +Forte era in me il con௺itto tra dubbio e desiderio. Ma d’un tratto vidi che mi +trovavo di fronte a un’erta parete rocciosa, in una landa desolata. È una +giornata di luce abbagliante. Molto più in alto, sopra di me, scorgo il profeta. +Con la mano mi fa un gesto per tenermi lontano, e desisto dal mio intento di +arrampicarmi. Aspetto sotto, guardando verso l’alto. Vedo che a destra è notte +fonda, a sinistra è giorno chiaro. La roccia divide il giorno dalla notte. Nella +parte buia c’è un grosso serpente nero, nella parte luminosa un serpente bianco. +Rizzano le teste l’uno contro l’altro, vogliosi di combattere. Elia si trova in alto +sopra di loro. I due serpenti si gettano poi l’uno contro l’altro, e inizia una lotta +selvaggia. Il serpente nero parrebbe il più forte, il serpente bianco retrocede. +Dal luogo del combattimento si sollevano grandi nuvole di polvere, ma vedo che +il serpente nero retrocede nuovamente. La parte anteriore del suo corpo è +diventata bianca. Entrambi i serpenti si attorcigliano su se stessi e poi +scompaiono, uno nella luce, l’altro nel buio.213 + Elia: «Che cosa hai visto?» +Io: «Ho visto lottare due enormi serpenti. M’è parso che il serpente nero +battesse quello bianco, ma poi il nero si è ritirato e la sua testa e la parte +anteriore del corpo erano diventate bianche». +E: «Comprendi che cosa significa?». +Io: «Ci ho ri௺ettuto, ma non riesco a capire. Deve forse signi௹care che la +potenza della buona luce è così grande che persino l’oscurità che le si oppone ne +risulta rischiarata?». +Elia sale davanti a me verso l’alto, a un’altezza vertiginosa; io lo seguo. Sulla +vetta giungiamo a una muraglia costituita da enormi massi sovrapposti. Si tratta +di un bastione eretto tutt’intorno alla cima.214 Dentro c’è un grande cortile e nel +mezzo si erge un possente blocco di roccia, una specie di altare. Il profeta è +ritto su questa pietra e dice: «Questo è il tempio del sole. Questo luogo è un +vaso che raccoglie la luce del sole». +Elia scende dalla pietra, la sua ௹gura rimpicciolisce durante la discesa, alla +fine diventa un nano, irriconoscibile. +Io chiedo: «Tu chi sei?». +«Sono Mime,215 e voglio mostrarti le sorgenti. La luce qui raccolta si +trasforma in acqua e scorre in molte sorgenti, dalla vetta ௹n giù nelle valli del +mondo». Quindi scompare in una fessura nella roccia. Lo seguo in una caverna +oscura, sento il gorgogliare di una sorgente e odo da sotto la voce del nano: +«Questi sono i miei pozzi, saggio diventa chi a essi si disseta». +Io però non riesco a scender giù. Mi perdo di coraggio. Abbandono la caverna +e passeggio dubbioso avanti e indietro sul lastricato del cortile. Tutto mi sembra +estraneo e incomprensibile. È un posto isolato e vi regna un silenzio di tomba. +L +’aria è limpida e fresca come sulle vette più alte, ovunque m’inonda la stupenda +luce del sole, intorno a me la grande muraglia. Ecco un serpente che striscia +sulle pietre. È il serpente del profeta. Come può arrivare dal mondo infero a +quello superiore? Lo seguo e lo vedo strisciare verso il muro. Mi sento strano: +addossata alla roccia si trova una casetta minuscola con un colonnato. Il +serpente diventa piccolissimo. Sento di stare rimpicciolendo anch’io. Le mura +s’innalzano sino a diventare enormi montagne e vedo che sono in fondo al +cratere nel mondo infero e che mi trovo di fronte alla casa del profeta.216 Lui +esce dalla porta di casa. +Io: «Noto, Elia, che tu mi hai fatto vedere e vivere tante cose strane prima che +oggi mi fosse consentito di raggiungerti. Confesso però che tutto mi è oscuro. Il +tuo mondo mi appare oggi sotto una nuova luce. Poco fa mi è sembrato di essere +a distanze siderali dal luogo in cui tu ti trovi, dove oggi ho desiderato andare, ed +ecco: sembra che sia un unico e medesimo luogo». +E: «Eri troppo smanioso di venire qui. Non sono stato io a ingannarti, ma tu +stesso. Non vede bene chi vuol vedere, perché azzarda troppo. Hai + sopravvalutato le tue forze». +Io: «È vero, smaniavo di arrivare da te per apprendere altre cose. Salomè mi +ha spaventato e mi ha fatto confondere. Mi sentivo stordito, perché le sue +parole mi parevano mostruose e quasi deliranti. Dov’è Salomè?». +E: «Come sei impetuoso! Che cosa ti sta succedendo? Avvicinati al cristallo e +preparati alla sua luce». +Un cerchio di fuoco si irradia intorno alla pietra. Vengo colto da sgomento +dinanzi a quel che vedo: un rozzo scarpone? il piede di un gigante che schiaccia +un’intera città? Vedo la croce, la deposizione, il compianto funebre – che pena +questa visione! Non voglio più – vedo il Bambino divino, nella mano destra il +serpente bianco e nella sinistra quello nero – vedo il verde monte e in cima la +croce di Cristo, e ௹umi di sangue che scorrono dalla cima del monte – non ce la +faccio più, è insopportabile – vedo la croce e su di essa Cristo nella sua ultima +ora – ai piedi della croce sta attorcigliato il serpente nero – s’è avvinghiato +attorno ai miei piedi – sono avvinto e allargo le braccia. Ecco avvicinarsi +Salomè. Il serpente ha circondato tutto il mio corpo, e il mio volto è quello di un +leone. +Salomè dice: «Maria era la madre di Cristo, capisci?». +Io: «Vedo che una forza terribile e incomprensibile mi costringe a imitare il +Signore nel suo ultimo tormento. Ma come posso avere la presunzione di +chiamare Maria mia madre?». +S: «Tu sei Cristo». +Mi trovo con le braccia spalancate come un croci௹sso, il corpo orrendamente +stretto e cinto dalle spire del serpente: «Tu, Salomè, dici che io sono Cristo?».217 +Mi sento come fossi da solo, ritto in piedi su un alto monte, con le braccia +rigide e spalancate. Il serpente mi stringe il corpo nelle sue terribili spire e il +sangue scorre a rivoli lungo il mio corpo, ௺uendo ai ௹anchi del monte. Salomè si +china ai miei piedi e li avvolge nei suoi neri capelli. Rimane a lungo in questa +posa. Poi esclama: «Vedo la luce!». È vero, lei ci vede, i suoi occhi sono aperti. Il +serpente si stacca dal mio corpo e cade a terra esausto. Lo oltrepasso e +m’inginocchio ai piedi del profeta, la cui figura riluce come una fiamma. +E: «La tua opera qui è compiuta. Succederanno altre cose. Cerca ancora +senza mai stancarti e soprattutto trascrivi fedelmente quel che vedi». +Salomè guarda in estasi verso la luce che s’irradia dal profeta. Elia si +trasforma in un’enorme ௹amma di luce bianca. Il serpente si dispone intorno ai +suoi piedi come paralizzato. Salomè s’inginocchia dinanzi alla luce in atto di +mirabile devozione. Dagli occhi mi sgorgano le lacrime e mi a௸retto a uscir fuori +nella notte, come chi non ha parte alla magni௹cenza del mistero. I miei piedi non +toccano il suolo, questa terra, e mi pare di dissolvermi nell’aria.218 +[2] 219Il mio anelito220 mi ha portato in alto al giorno abbagliante, la cui luce è + l’opposto del luogo oscuro del prepensiero.221 Il principio opposto è – come +credo di capire – l’amore celeste, la madre. L +’oscurità che avvolge il +prepensiero222 pare derivare dal fatto che esso si trovi223 invisibile nell’intimo e +nel profondo. La luminosità dell’amore pare invece derivare dal fatto che amare +è vivere e agire in modo visibile. Il mio piacere era insieme al mio prepensiero e +vi trovava il suo giardino di delizie, avvolto soltanto dall’oscurità e dalla notte. +Sono disceso verso il mio piacere, ma risalito verso il mio amore. Vedo Elia in +alto sopra di me: ciò indica che il prepensiero si trova più vicino all’amore di +quanto non lo sia io stesso, essere umano. Prima che m’innalzi all’amore +dev’essere adempiuta una condizione, che è ra௻gurata come lotta tra i due +serpenti. A sinistra è giorno, a destra è notte. Chiaro è il regno dell’amore, +oscuro il regno del prepensiero. I due principi sono separati nettamente, sono +persino l’un l’altro ostili e hanno assunto ௹gura di serpente. Tale ௹gura allude +alla natura demoniaca di entrambi i principi. In questa lotta riconosco il +ripetersi di quella visione in cui vidi la lotta tra il sole e il serpente nero.224 +Allora fu spenta la luce amorevole e ricominciò a scorrere il sangue. Fu quella +la Grande Guerra. Lo spirito del profondo225 vuole però che questa guerra venga +intesa come un con௺itto nella natura stessa di ogni individuo.226 Infatti dopo la +morte dell’eroe il nostro impulso vitale non aveva più nulla da imitare e perciò si +calò nella profondità di ogni uomo scatenando il terribile con௺itto tra le potenze +del profondo.227 Prepensare signi௹ca stare da soli, amare è invece stare +insieme. Hanno bisogno l’uno dell’altro, eppure si uccidono a vicenda. Gli uomini +impazziscono, perché non sanno che il con௺itto è dentro di loro, / [Foglio VIv / VIIr] +e ciascuno addossa il torto all’altro. Se una metà dell’umanità è in torto, allora è +in torto – per metà – ogni essere umano. Ma non vede il con௺itto presente nella +propria anima, che è però la fonte della sventura esterna. Quando sei irritato +contro tuo fratello, pensa allora che sei irritato contro il fratello che è in te, vale +a dire contro ciò che in te è simile a tuo fratello. +In quanto individuo tu sei parte dell’umanità e partecipi all’insieme +dell’umanità, come se tu stesso fossi l’umanità intera. Se sopra௸ai e uccidi il +prossimo che si avvicina a te, allora uccidi quell’uomo anche dentro di te, e tu +hai assassinato una parte della tua vita. Lo spirito di questo morto ti seguirà, +impedendoti di gioire della tua vita. Per continuare a vivere tu hai bisogno di +essere intero. +Se mi addentro nel puro principio, entro da un lato solo e divento unilaterale. +Perciò il mio prepensiero228 diverrà, in base al principio della Madre celeste, il +brutto nano che abita nella caverna oscura, come un feto nell’utero. Tu non lo +seguirai neppure se ti dirà che potresti dissetarti di saggezza alla sua fonte. Il +prepensiero229 ti appare sotto forma di astuzia nanesca, falsa e notturna, così +come la Madre celeste mi appare, laggiù, nelle sembianze di Salomè. Ciò che +manca ogni volta nel puro principio assume forma di serpente. L +’eroe tende + verso l’esteriorità del puro principio e perciò alla ௹ne cade vittima del serpente. +Se vai dal pensiero,230 porta il cuore con te. Se vai dall’amore, porta la testa con +te. Vuoto è l’amore senza il pensiero, vuoto il pensiero senza l’amore. Il +serpente sta in agguato dietro il puro principio. Perciò mi sono sentito vuoto +௹nché non ho trovato il serpente che mi ha subito guidato verso l’altro principio. +Nel discendere mi raggrinzisco. +Grande è colui che è nell’amore, poiché l’amore è l’opera in atto del grande +Creatore, l’attimo presente del nascere e del decadere del mondo. Potente è +colui che ama. Chi tuttavia si allontana dall’amore, si sente potente. +Nel tuo prepensiero riconosci la nullità della tua esistenza momentanea, come +un minuscolo punto tra l’in௹nità del passato e quella dell’avvenire. Piccolo è +colui che pensa, ma si sente grande quando si allontana dal pensare. Se però +parliamo dell’apparenza, succede il contrario. Per chi è nell’amore la forma è un +impedimento da poco. Il suo orizzonte però ௹nisce con la forma che gli è stata +data. Per chi è nel pensiero, la forma è insormontabile e assume dimensioni +spropositate. Ma nella notte lui vede la molteplicità degli innumerevoli mondi e il +loro ciclo che non ha mai ௹ne. Chi è nell’amore è un recipiente colmo e +traboccante che attende soltanto di dare. Chi è nel prepensiero è profondo e +cavo e attende di essere colmato. +Amore e prepensiero si trovano in un unico e medesimo luogo. L +’amore non +può esistere senza il prepensiero, né il prepensiero senza l’amore. L +’uomo è +sempre troppo presente nell’uno o nell’altro. Questo dipende dalla natura +umana. Animali e piante paiono avere a su௻cienza da ogni parte, solo l’uomo +oscilla tra il troppo e il troppo poco. Oscilla colui che è incerto su quanto debba +dare qui o là, un individuo il cui sapere e potere siano insu௻cienti e che +comunque debba agire in prima persona. L +’uomo non solo cresce da sé, ma da +sé trae anche la creatività.231 In lui si rivela il Dio.232 L +’essere umano è poco +dotato per la divinità, e perciò oscilla fra il troppo e il troppo poco.233 +Lo spirito di questo tempo ci ha condannato alla fretta. Se servi lo spirito di +questo tempo non avrai più né futuro né passato. A noi è necessaria la vita +dell’eternità. Nel profondo portiamo il futuro e il passato. Il futuro è vecchio, e il +passato è giovane. Tu servi lo spirito di questo tempo e pensi di poterti sottrarre +allo spirito del profondo. Ma il profondo non aspetta più e ti costringerà ad +aderire al mistero di Cristo.234 Fa parte di questo mistero il fatto che l’uomo non +venga redento dall’eroe, ma divenga un Cristo egli stesso. Questo ci insegna in +modo simbolico l’esempio che in passato ci hanno dato i santi. +Vede male colui che vuol vedere. È stato il mio volere a ingannarmi, è stato il +mio volere a scatenare il violento contrasto fra i demoni. Non devo perciò +volere? Ho continuato a realizzare il mio volere quanto meglio potevo. E in tal +modo ho soddisfatto tutte le mie aspirazioni. Alla ௹ne ho scoperto che in ogni +cosa volevo me stesso, senza però cercarmi. Perciò ho voluto cercarmi non più + fuori di me, ma dentro di me. Quindi ho voluto cogliere me stesso e poi di nuovo +andare oltre, pur senza saper bene che cosa volessi, e così sono incappato nel +mistero. +Non devo quindi più volere? Siete stati voi a volere la guerra, e questo va +bene.235 Se infatti voi non l’aveste voluta, il male di questa guerra sarebbe +ridotto. Ma volendo il male lo ingigantite. Se non riuscite a trarre il massimo dei +mali da questa guerra, non imparerete mai a superare l’atto di violenza e la +tendenza a combattere ciò che si trova fuori di voi.236 Perciò è bene che vogliate +con tutto il cuore questo che è il massimo dei mali.237 Voi siete cristiani e +seguaci dell’eroe e attendete redentori che si assumano la so௸erenza al posto +vostro e forse vi risparmino il Golgota. In tal modo voi v’innalzate238 un monte +Calvario che copre l’Europa intera. Se vi riesce di rendere questa guerra un +terribile male e di gettare un numero in௹nito di vittime in questo abisso, ciò è +bene, perché rende ognuno di voi pronto a sacri௹care se stesso. Anche voi +infatti, come me, vi avvicinate al compimento del mistero di Cristo. +Già vi sentite il pugno di ferro sulla nuca. Questo è l’inizio del cammino. Se +sangue, fuoco e grida d’aiuto riempiono questo mondo, allora voi vi riconoscete +nei vostri misfatti: vuotate pure il calice delle cruente atrocità della guerra, +uccidete e distruggete a sazietà; allora vi si apriranno gli occhi e capirete che +siete voi stessi coloro che portano simili frutti.239 Voi siete già sulla via, se volete +tutto questo. Il volere produce accecamento, e l’accecamento conduce sulla via. +Dobbiamo volere l’errore? Tu non devi, ma lo vorrai, perché lo ritieni la +suprema verità, come gli uomini hanno sempre fatto. +Il simbolo del cristallo indica la legge inalterabile dell’evento spontaneo. Al +suo interno scorgerai quel che verrà. Io vi ho veduto cose terribili e +incomprensibili. (Questo avvenne la notte di Natale del 1913). Vidi il rozzo +scarpone, l’emblema degli orrori della guerra dei contadini,240 degli incendi +omicidi e della crudeltà sanguinaria. Non seppi interpretare per me questo +segno altrimenti che prevedendo per noi fatti sanguinosi e terribili. Vidi il piede +di un gigante che schiacciava una città intera. Come avrei potuto interpretare +diversamente questo segno? Vedevo che da quel punto iniziava la via che porta +all’autosacri௹cio. Tutti verranno terribilmente rapiti da quegli eventi immani, e +nel loro accecamento vorranno intenderli come fatti puramente esteriori. Si +tratta invece di un accadimento interiore, questa è la via che porta al +compimento del mistero di Cristo,241 poiché i popoli imparano a sacri௹care se +stessi. +Il terrore dovrebbe diventare così grande da far sì che gli occhi degli uomini +possano volgersi verso l’interno, che il loro volere cerchi il Sé non più negli altri, +ma in loro stessi.242 Io l’ho visto, so che questa è la via. Ho visto la morte di +Cristo e il suo compianto, ho vissuto i tormenti del suo morire, della grande +morte. Ho visto un nuovo Dio, un fanciullo che tiene in pugno i demoni.243 Il Dio + tiene in suo potere i principi separati, li unisce. Il Dio viene generato dall’unione +dei principi in me. Egli è la loro unione. +Quando vuoi uno di quei principi, tu sei in quello, ma lontano dal tuo essere +altro. Quando vuoi entrambi i principi, l’uno e l’altro, allora scateni un con௺itto +tra di loro, perché non puoi volerli entrambi allo stesso tempo. Ne nasce lo stato +di necessità in cui appare il Dio; egli prende nella sua mano il tuo volere +con௺ittuale, nella mano di un bambino il cui volere è semplice e al di là di ogni +con௺itto. Tu non puoi impararlo; può solo nascere in te. Non ti è possibile +volerlo, il volere ti viene tolto di mano e vuole se stesso. Devi volere te stesso, +questo ti condurrà sulla via.244 +In fondo però hai terrore di te stesso, perciò preferisci rivolgerti a ogni cosa, +piuttosto che a te stesso. Ho visto il monte del sacri௹cio e il sangue scorrere a +௹umi dai suoi ௹anchi. Quando ho visto come gli uomini fossero ricolmi di orgoglio +e di forza, e quanta bellezza s’irraggiasse dagli occhi delle donne, quando +scoppiò la Grande Guerra, allora seppi che l’umanità era sulla via +dell’autosacrificio. +Lo spirito del profondo245 si è impossessato dell’umanità e la costringe ad +autosacri௹carsi. Non cercatene la colpa qui o là. Lo spirito del profondo si è +impadronito del destino degli esseri umani, così come si è impossessato del mio. +Guida l’umanità attraverso il ௹ume di sangue verso il mistero. Nel mistero +l’uomo diventa entrambi i principi: il leone e il serpente. +Dato che anch’io voglio essere diverso, devo diventare un Cristo. Sono fatto +Cristo, è questo che devo patire. Così scorre il sangue della redenzione. +Attraverso l’autosacri௹cio il mio piacere viene trasformato e trapassa nel suo +principio superiore. L +’amore vede, il piacere è invece cieco. Entrambi i principi +sono uniti nel simbolo della ௹amma. I principi si spogliano della loro forma +umana.246 +Il mistero mi mostrò per immagini ciò che avrei poi dovuto vivere. Non +possedevo alcuno dei bene௹ci che esso mi mostrò, ma dovevo ancora acquisirli +tutti.247 +Finis part[is] prim[ae] [Fine della prima parte] + +Liber secundus + + + + + +Le immagini dell’errante1 +[IF, 1]2 +3Nolite audire verba prophetarum qui prophetant vobis et decipiunt vos: +visionem cordis sui loquuntur, non de ore Domini. [Ier., 23, 16]. +Audivi quae dixerunt [prophetae] prophetantes in nomine meo mendacium, +atque dicentes: somniavi, somniavi. Usquequo istud est in corde prophetarum +vaticinantium mendacium et prophetantium seductionem cordis sui? Qui +volunt facere ut obliviscatur populus meus nominis mei propter somnia eorum, +quae narrat unusquisque ad proximum suum: sicut obliti sunt patres eorum +nominis mei propter Baal. Propheta qui habet somnium, narret somnium, et +qui habet sermonem meum, loquatur sermonem meum vere. Quid paleis ad +triticum? dicit Dominus. [Ier., 23, 25-28]. +[Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano; essi vi ingannano; vi +espongono le visioni del proprio cuore, e non ciò che viene dalla bocca del +Signore. (Geremia, 23, 16)]. +[Io ho udito ciò che dicono i profeti che profetizzano menzogne nel mio nome +dicendo: Ho avuto un sogno! Ho avuto un sogno! Fino a quando durerà questo? +Hanno essi in mente, questi profeti che profetizzano menzogne, questi profeti +dell’inganno del loro cuore, pensano forse di far dimenticare il mio nome al +popolo con i loro sogni che si raccontano l’un l’altro? Come i loro padri +dimenticarono il mio nome per Baal. Il profeta che ha avuto un sogno racconti il +sogno; colui che ha udito la mia parola riferisca la mia parola fedelmente. Che +ha da fare la paglia con il frumento?, dice il Signore. (Geremia, 23, 25-28)]. / +[Foglio 1 / 2] +Il Rosso4 +[IF, 2]5 +Cap. I +Si è chiusa alle mie spalle la porta del mistero. Sento che il mio volere è +paralizzato e che lo spirito del profondo mi possiede. Non conosco la via. Non + posso quindi volere né questo né quello, poiché nulla mi indica se io voglio +questo o quello. Rimango in attesa, senza sapere che cosa mai stia aspettando. +Ma già la notte seguente6 ho sentito di aver raggiunto un punto fermo.7 +Mi trovo sulla torre più alta di una fortezza. Lo percepisco dall’aria: sono in +un tempo molto remoto. Il mio sguardo spazia su un paesaggio collinare deserto, +fra un alternarsi di campi e di boschi. Indosso un abito verde. Un corno mi +pende dalla spalla. Sono il guardiano della torre. Scruto in lontananza. Là fuori +scorgo un puntino rosso che si approssima sulla strada tortuosa, scomparendo a +volte nei boschi, per poi riemergerne: è un cavaliere dal mantello rosso, il +Cavaliere Rosso. Giunge alla fortezza. Sta già attraversando il portone a +cavallo. Sento dei passi sulle scale, i gradini scricchiolano; bussano alla porta: +mi assale una strana angoscia. Ecco presentarsi il Rosso, alta ௹gura tutta +vestita di rosso, rossi persino i capelli. Penso: forse è il Diavolo. +Il Rosso: «Salute a te, uomo che stai sull’alta torre. Ti ho visto da lontano +intento a scrutare, aspettando. La tua attesa mi ha chiamato». +Io: «Chi sei?». +I.R.: «Chi sono? Tu credi che io sia il Diavolo. Non giudicare. Forse puoi +parlare con me anche senza sapere chi sono. Che razza di superstizioso sei a +pensare subito al Diavolo!». +Io: «Se non hai poteri soprannaturali, come hai potuto sentire che io me ne +stavo in attesa sulla mia torre, cercando con gli occhi l’ignoto e il nuovo? Misera +è la mia vita nella fortezza, perché siedo sempre quassù e nessuno sale ௹n da +me». +I.R.: «Che aspetti, dunque?». +Io: «Aspetto cose di ogni genere, e in particolare che mi giunga un po’ della +ricchezza del mondo che non vediamo». +I.R.: «Allora sono arrivato proprio al posto giusto, qui da te. Da parecchio +tempo vago per ogni terra, in cerca di coloro che, come te, siedono su un’alta +torre e si guardano intorno alla ricerca di cose mai viste». +Io: «Mi incuriosisci. Sembri un esemplare raro. Il tuo aspetto è insolito, e mi +pare anche – perdonami – che tu porti con te un’aria strana, un che di mondano, +di sfacciato, di esuberante, o anche – diciamolo pure – di pagano». +I.R.: «Non mi o௸endi; al contrario, hai colto nel segno. Ma non sono un antico +pagano, come sembri credere». +Io: «Non è quello che intendevo; per questo non sei abbastanza arrogante e +latino. In te non v’è nulla di classico. Sembri un ௹glio del nostro tempo, ma – +come devo notare – alquanto strano. Non sei un pagano autentico, ma un pagano +che si accompagna alla religione cristiana». +I.R.: «Sei davvero bravo a risolvere gli enigmi, tu. Te la sbrighi meglio di tanti +altri che mi hanno del tutto frainteso». +Io: «Hai un tono distaccato e sarcastico. Non ti si è mai spezzato il cuore + riflettendo sui più sacri misteri della nostra religione cristiana?». +I.R.: «Da non credersi quanto sei serio e pesante. Sei sempre così +petulante?». +Io: «Vorrei – Dio me ne sia testimone – essere sempre così serio e fedele a me +stesso come cerco di essere. Tuttavia questo mi riesce di௻cile in tua presenza. +Porti con te un’aria da forca. Di sicuro fai parte della Scuola nera di Salerno,8 +dove i pagani e i loro rampolli insegnano arti malefiche». +I.R.: «Sei superstizioso e troppo tedesco. Prendi alla lettera quello che dicono +le Scritture, altrimenti non potresti giudicarmi in modo così severo». / [Foglio 2 / +3] +Io: «Lungi da me dare giudizi severi. Ma il mio ௹uto non m’inganna. Sei +sfuggente e non vuoi esporti. Che cosa nascondi?». +(Il Rosso pare farsi ancora più rosso, il suo abito risplende come ferro +rovente). +I.R.: «Non ti nascondo nulla, o anima candida. Trovo solo spassosa la tua +pesante serietà e la tua comica veracità. Nel nostro tempo, un atteggiamento +del genere è raro, specialmente tra quelli che hanno cervello». +Io: «Non credo che tu possa capirmi. Evidentemente mi giudichi in base ai +viventi che conosci. Ma per amor di verità devo dirti che non appartengo né a +questo tempo né a questo luogo. Da molti anni un incantesimo mi ha con௹nato in +questo luogo e in questo tempo. In realtà non sono colui che vedi davanti a te». +I.R.: «Dici cose strabilianti. Dunque, chi sei?». +Io: «Questo non ha importanza. Sto dinanzi a te come colui che sono al +presente. Non so perché mai sono qui, e proprio in questa veste. Ma so che devo +essere qui, per renderne conto a te come meglio posso. Io so chi tu sei +altrettanto poco di quanto tu sappia chi sono io». +I.R.: «Questo mi suona ben strano. Sei forse un santo? Un ௹losofo non credo, +dato che il linguaggio erudito non è il tuo forte. Ma un santo? Piuttosto questo. +La tua serietà puzza di fanatismo. Hai un’aria da moralista e una semplicità che +sa di “pane e acqua”». +Io: «Non posso dirti né sì né no. Parli come uno che è intrappolato nello spirito +di questo tempo. Mi pare che tu sia a corto di termini di paragone». +I.R.: «Sei forse andato a scuola dai pagani? Rispondi come un so௹sta.9 Come ti +viene in mente di misurarmi col metro della religione cristiana, se non sei un +santo?». +Io: «Mi pare che appunto questo sia un metro valido, da applicare anche se +non si è santi. Credo di aver appreso che nessuno può evitare impunemente i +misteri della religione cristiana. Ripeto: chi non ha spezzato il suo cuore insieme +al Signore Gesù Cristo porta in sé un pagano che lo tiene lontano da ciò che vi è +di meglio». +I.R.: «Sempre la stessa solfa? A che pro, visto che non sei un santo cristiano? + Non sarai per caso un maledetto sofista?». +Io: «Sei prigioniero del tuo mondo. Ma non ti viene in mente che sarebbe +possibile ben valutare il valore del cristianesimo senza dover essere addirittura +dei santi?». +I.R.: «Sei forse un dottore in teologia che esamina il cristianesimo dall’esterno +e lo apprezza come fatto storico, dunque alla fin fine un sofista?». +Io: «Sei cocciuto. Penso che non sia un caso se il mondo intero è diventato +cristiano. Credo anche che sia stato compito dell’uomo occidentale portare +Cristo nel cuore e crescere con la sua sofferenza, morte e risurrezione». +I.R.: «Beh, si trovano anche degli ebrei che sono brava gente e che non hanno +bisogno del tuo celebrato Vangelo». +Io: «Mi pare che tu non conosca tanto bene gli uomini. Non hai mai notato che +all’ebreo manca comunque qualcosa – a uno nella testa, a un altro nel cuore – e +che lui stesso sente che gli manca qualcosa?». +I.R.: «Io non sono ebreo, è vero, ma devo prenderne le difese. Tu sembri uno +che odia gli ebrei». +Io: «Adesso parli come quegli ebrei che accusano di odiare gli ebrei chiunque +esprima un giudizio a loro non del tutto favorevole, mentre essi stessi +raccontano poi le barzellette più feroci sulla loro gente. Gli ebrei sono così +sensibili a qualsiasi critica perché sentono in modo sin troppo chiaro quella +particolare mancanza, senza tuttavia volerlo ammettere. Credi forse che il +cristianesimo sia passato senza lasciar traccia sull’anima umana? E credi forse +che chi non l’ha vissuto in profondità avrà parte ai suoi frutti?».10 +I.R.: «Hai buoni argomenti. Ma quanto sei serio! Potresti prendertela più +comoda. Se non sei un santo, non vedo proprio perché mai devi essere così +serio. Ti guasti del tutto la festa. Cosa diavolo ti sei messo in testa? Solo il +cristianesimo, con la sua miserabile fuga dal mondo, può rendere la gente / +[Foglio 3 / 4] così pesante e di cattivo umore». +Io: «Penso che ci siano anche altre cose che invitano alla serietà». +I.R.: «Ah, lo so. Vuoi dire la vita. Conosco questo luogo comune. Anch’io vivo e +non mi faccio guastare il sangue per questo. La vita non richiede serietà. Al +contrario: è meglio attraversarla danzando».11 +Io: «Conosco la danza. Già, se bastasse danzare! La danza fa parte del tempo +della fregola. So che c’è gente sempre in fregola, e altri che vogliono danzare +anche per il loro Dio. Gli uni sono ridicoli, gli altri giocano a fare gli antichi, +invece di ammettere onestamente la loro mancanza di mezzi espressivi». +I.R.: «A questo punto, mio caro, getto la maschera! Adesso divento un po’ più +serio, perché questo è campo mio. Si potrebbe pensare che esista poi anche un +terzo tipo di persone, per le quali la danza è un simbolo». +(Il rosso del cavaliere si trasforma in un tenero e rosato color carne. Ed ecco +– prodigio! – che dalla mia veste verde spuntano ovunque delle foglie). + Io: «Forse esiste anche una gioia dinanzi a Dio che si potrebbe chiamare +“danza”. Ma questa gioia non l’ho ancora trovata. Sto osservando le cose che +sono in arrivo. Ne sono arrivate, ma la gioia non era tra loro». +I.R.: «Ma non mi riconosci, fratello? Sono io la gioia!». +Io: «Tu pretendi di essere la gioia? Io ti vedo come attraverso una nebbia. La +tua immagine sta svanendo davanti a me. Lascia che ti prenda la mano, amato. +Dove sei? Dove sei?». +La gioia? Lui era la gioia? +[2] Era certamente il Diavolo, questo rosso cavaliere, ma era il mio Diavolo. +Era infatti la mia gioia, la gioia di chi è serio, di chi in solitudine scruta dall’alto +della torre – la sua gioia color di rosa, dal profumo di rosa, calda gioia +scarlatta.12 Non la gioia recondita dei suoi pensieri e del suo osservare, ma +quella gioia inconsueta per le cose del mondo che giunge inattesa come un caldo +vento del sud che porta turgide fragranze ௺oreali e la levità della vita. Sapete +già dai vostri poeti che le persone serie, quando sono ansiose di cercare le cose +del profondo, sono visitate in un primo tempo dal Diavolo della loro gioia +primaverile.13 Essa solleva l’uomo come un’onda e lo porta via. Chi assapora +questa gioia dimentica se stesso.14 E non v’è cosa più dolce che dimenticarsi di +sé. Non pochi sono coloro che si dimenticano di quel che erano. Ma ancora molti +di più hanno radici talmente salde che neppure l’onda rosata riesce a sradicarli. +Sono pietrificati e troppo grevi, mentre gli altri sono troppo leggeri. +Mi sono seriamente messo a confronto col Diavolo e mi sono comportato con +lui come se fosse una persona reale. Nel mistero ho imparato a prendere sul +serio sul piano personale quelle ௹gure sconosciute che ௺uttuano liberamente nel +mondo interiore in cui abitano, poiché sono reali in quanto agiscono.15 A nulla +serve dire, nello spirito di questo tempo: il Diavolo non esiste. Nel mio caso ce +n’era uno; questo è ciò che è accaduto in me. Ho fatto con lui quel che ho +potuto. Sono riuscito a parlargli. Dato che è lui a richiederlo, col Diavolo diventa +inevitabile parlare di religione, a meno che non si voglia compiere un atto di +sottomissione incondizionata nei suoi confronti. La religione infatti è proprio la +sfera in cui non riesco a comunicare col Diavolo. Devo confrontarmi con lui, +perché non posso attendermi che lui, in quanto personalità autonoma, accolga il +mio punto di vista. +Se non cercassi di comunicare con lui sarebbe una fuga. Ogni volta che hai la +rara opportunità di parlare col Diavolo, non dimenticare di confrontarti sul serio +con lui. In fin dei conti, è proprio il tuo Diavolo. In quanto avversario, il Diavolo è +l’altro tuo punto di vista, che ti tenta e mette dei sassi sulla tua strada proprio là +dove meno ne avresti bisogno. +Prendersi cura del Diavolo non signi௹ca passare dalla sua parte, altrimenti si +cadrebbe in suo potere. Vuol dire invece comunicare con lui. In tal modo ti +prendi cura dell’altro tuo punto di vista. Così il Diavolo perde un po’ di terreno, e + tu pure. E questo potrebbe essere un bene. +Sebbene la religione – per la sua particolare serietà e candore – risulti molto +ostica al Diavolo, è dimostrato che si può comunicare con lui proprio mediante la +religione. Ciò che ho detto sulla danza lo ha colpito, perché ho parlato di una +cosa che rientrava nel suo campo. Lui non prende sul serio quello che riguarda +gli altri, perché questa è la caratteristica di tutti i diavoli. Così arrivo alla sua +serietà, e in tal modo raggiungiamo un terreno comune / [Foglio 4 / 5] in cui è +possibile comprendersi. Il Diavolo è convinto che danzare non sia né fregola né +follia, bensì espressione di gioia, che è qualcosa che non appartiene né all’una né +all’altra. In questo sono d’accordo col Diavolo. Perciò egli diventa umano +davanti ai miei occhi, mentre io mi ricopro di verdi fronde come un albero a +primavera. +Che però la gioia sia il Diavolo, oppure il Diavolo la gioia, ti deve dar da +pensare. Ho ri௺ettuto per una settimana intera e temo che non sia stato +su௻ciente. Tu non ammetti che la tua gioia sia il Diavolo. Pare però che nella +gioia ci sia sempre qualcosa di diabolico. Se la tua gioia non è per te un Diavolo, +lo è magari per il tuo simile, perché la gioia rappresenta il massimo ri௹orire e +rinverdire della vita. Ciò ti trascina verso il declino, e tu devi brancolare alla +ricerca di una nuova pista, poiché per te la luce si è completamente esaurita nel +falò della gioia. Oppure la tua gioia travolge il tuo simile e lo fa uscire di +carreggiata, poiché la vita è come un grande falò che incendia tutto ciò che di +infiammabile si trovi nelle vicinanze. Ma il fuoco è l’elemento del Diavolo. +Quando ho visto che il Diavolo era la gioia, mi sarebbe piaciuto stringere un +patto con lui. Ma con la gioia non puoi venire a patti, perché torna subito a +sfuggirti. Perciò non puoi neppure catturare il tuo Diavolo. Anzi, fa parte della +sua natura il non poter essere catturato. Se si lascia catturare, vuol dire che è +sciocco, e tu non ci guadagni nulla ad avere un Diavolo sciocco in più. Il Diavolo +cerca sempre di segare il ramo su cui sei seduto. Questo è utile, fa sì che non ti +addormenti, e protegge dai vizi che ne conseguono. +Il Diavolo è un cattivo elemento. Ma la gioia? Che la gioia comprenda in sé +anche il male lo vedi se le corri appresso, perché poi arrivi al piacere, e dal +piacere direttamente all’inferno, al tuo particolare inferno, che è diverso per +ciascuno.16 +Avendo comunicato col Diavolo, quest’ultimo ha assunto qualche tratto della +mia serietà, e io un po’ della sua gioia. Questo mi ha dato coraggio. Ma se il +Diavolo si è fatto più serio, bisogna aspettarsi che succeda qualcosa.17 È sempre +rischioso accogliere la gioia, ma essa ci conduce alla vita e alle sue delusioni, +dalle quali deriva la completezza della nostra vita.18 +Il castello nel bosco19 + [IF, 5] +Cap. II +Due notti dopo20 cammino da solo in un bosco buio e mi accorgo di essermi +smarrito.21 Sono su una strada di campagna in cattivo stato e inciampo +procedendo nell’oscurità. Arrivo in௹ne a un acquitrino, silenzioso e buio, al cui +centro si leva un piccolo castello antico. Penso che sarebbe bene chiedervi +ospitalità per la notte. Busso alla porta, attendo a lungo, comincia a piovere. +Devo bussare ancora. Adesso sento arrivare qualcuno: la porta si apre. Un +uomo in abbigliamento antiquato, un domestico, mi domanda che cosa desidero. +Chiedo albergo per la notte, e lui mi fa entrare in una buia anticamera. Poi mi +guida su per un’oscura scala di legno dai gradini consunti. Arrivato in cima, mi +trovo in un altro ambiente più ampio e più alto, simile a una sala dalle bianche +pareti, lungo le quali stanno addossati neri armadi e cassapanche. +Vengo condotto in una sorta di sala di ricevimento. È un luogo semplice, con +vecchie poltrone imbottite. La ௹oca luce di una lampada antica rischiara a +malapena la stanza. Il domestico bussa a una porta laterale e la socchiude pian +piano. Vi getto una rapida occhiata: è lo studio di un erudito, con sca௸ali pieni di +libri alle quattro pareti e un’ampia scrivania a cui è seduto un anziano signore +che indossa una lunga palandrana nera. Mi fa cenno di accostarmi, nella stanza +si respira un’aria greve, e il vecchio dà l’impressione di essere preoccupato. Ha +anche una sua dignità, nel senso che sembra appartenere alla schiera di coloro +che hanno tanta dignità quanta ne dimostri loro. Ha l’espressione modesta e +timorosa dell’erudito che da tempo è schiacciato dalla mole del proprio sapere +௹no a sentirsi un nulla. Penso che lui sia un vero / [Foglio 5 / 6] erudito che ha +imparato una grande modestia di fronte all’incommensurabilità del sapere e si è +dedicato senza risparmio alla scienza, ponderando attentamente e con scrupolo +ogni cosa, come se lui stesso, in prima persona, dovesse rappresentare in modo +responsabile il processo della ricerca della verità scientifica. +Mi saluta imbarazzato, come assente e sulla difensiva. Non me ne stupisco, +perché ho l’aspetto di una persona ordinaria. A fatica riesce a sollevare lo +sguardo dal suo lavoro. Ripeto la mia richiesta di essere alloggiato per la notte. +Dopo parecchio tempo, il vecchio osserva: «Dunque vuoi dormire; dormi pure +tranquillo». Noto che è assente, e lo prego perciò di ordinare al suo domestico +di assegnarmi una stanzetta. Al che lui osserva: «Tu chiedi molto, aspetta, non +posso interrompermi adesso». S’immerge nuovamente nel suo libro. Aspetto con +pazienza. Dopo un po’, solleva stupito lo sguardo. «Che vuoi tu qui? Oh, +perdonami, mi ero completamente dimenticato che stavi ad aspettare. Chiamo +subito il domestico». Quest’ultimo arriva e mi conduce in una stanzetta sullo +stesso piano, con nude pareti bianche e un grande letto. Mi augura la buona +notte e si allontana. + Poiché sono stanco, mi spoglio immediatamente e mi metto a letto, dopo aver +spento la luce, una candela di sego. Il lenzuolo di lino è insolitamente ruvido e il +cuscino rigido. Il mio vagabondare mi ha condotto in uno strano luogo: un +piccolo castello antico il cui dotto proprietario trascorre evidentemente la sera +della sua vita da solo coi suoi libri. In casa non sembrano esserci altri esseri +viventi a esclusione del domestico, che abita qui accanto, nella torre. +Un’esistenza ideale, ma solitaria, la vita di quell’uomo anziano coi suoi libri, +penso. E su questo aspetto indugiano a lungo i miei pensieri, sinché alla ௹ne mi +accorgo che c’è un altro pensiero che non mi lascia in pace, e cioè che il vecchio +tenga segregata qui la sua bella ௹glia... Un’idea scontata per un romanzo... un +soggetto ormai logoro e insulso; ma in ogni nostra ௹bra può nascondersi un +aspetto romantico... Un’idea davvero romanzesca... un castello nel bosco... +notturno e solitario... un vecchio pietri௹cato nei suoi libri, che custodisce un +tesoro prezioso e lo cela gelosamente al mondo intero... Che pensieri ridicoli mi +vengono! È un inferno o un purgatorio che debba inventare nella mia +peregrinazione anche sogni infantili di questo genere? Ma non mi sento capace +di elevare i miei pensieri verso qualcosa di più consistente o più bello. Forse +devo dare spazio a questi pensieri. A che pro scacciarli? Ritornano... Meglio +trangugiare d’un ௹ato quest’insipida pozione piuttosto che trattenerla in bocca. +Come si presenta questa noiosa eroina? Di sicuro bionda, pallida... occhi +azzurri... una che si strugge nella speranza di trovare in ogni viandante smarrito +quello che la salverà dalla prigione paterna... Ah, conosco questo cliché trito e +ritrito... Meglio dormire... Perché diavolo devo tormentarmi con simili vane +fantasie? +Il sonno non vuole arrivare. Mi rigiro di qua e di là... Il sonno non arriva... +Possibile che io abbia in me quest’anima irredenta? Che sia proprio lei a non +lasciarmi dormire? Ho un’anima così romanzesca? Ci mancherebbe solo questo! +Sarebbe atrocemente ridicolo. Questa che è la più insulsa di tutte le bevande +non ௹nirà mai? Dev’essere già mezzanotte, e il sonno ancora non arriva. Cosa +diavolo m’impedisce di dormire? È qualcosa in questa cameretta? Sarà stregato +il letto? È terribile a cosa l’insonnia può portare un uomo... Persino alle teorie +più balorde e superstiziose... Sembra fare frescolino, sento freddo... Forse è +per questo che non dormo... Qui l’atmosfera è davvero un po’ inquietante... Lo +sa il cielo che cosa sta succedendo in questo posto... Non si sentivano dei passi, +un attimo fa? No, dev’essere stato fuori... Mi giro dall’altra parte, serro ben +bene le palpebre, devo proprio dormire. Ma non si sta forse aprendo la porta? +Dio mio, lì non c’è forse qualcuno? Vedo bene? Un’esile ragazza, pallida come la +morte, sta sulla porta. Per l’amor del cielo, che cos’è mai questo? Eccola che si +avvicina! +«Sei arrivato, ௹nalmente?», chiede lei sottovoce. Impossibile... È un errore +spaventoso... Il romanzo vuole farsi realtà... degenerare in una sciocca storia di + fantasmi? A quale assurdità sono condannato? È la mia anima che nasconde +queste magni௹cenze da romanzo? Anche questo mi doveva capitare? Sono +proprio all’inferno... Il peggiore risveglio dopo la morte:risuscitare in una +biblioteca circolante. Ho forse disprezzato gli uomini del mio tempo e il loro +gusto a tal punto che all’inferno devo vivere in prima persona e poi trascrivere i +romanzi sui quali sputavo ormai da tempo? Anche la metà inferiore del gusto +medio dell’umanità vuol essere forse sacra e inviolabile, tanto che non ci è lecito +pronunciare al riguardo neanche una mala parola, / [Foglio 6 / 7] senza poi dover +scontare questo peccato all’inferno? +Lei dice: «Ah, anche tu pensi male di me? Anche tu ti lasci sedurre dalla +sciagurata ௹ssazione che io sia un personaggio da romanzo? Anche tu, che +speravo avessi rifiutato le apparenze e mirassi all’essenza delle cose?». +Io: «Perdona. Ma tu esisti davvero? C’è una somiglianza troppo infelice con +quelle scene romanzesche di cui si è abusato sino al ridicolo, perché io potessi +supporre che tu non fossi semplicemente un parto del mio cervello insonne. Il +mio dubbio non è forse veramente giusti௹cato, se una situazione coincide a tal +punto con un romanzo sentimentale?». +Lei: «Sciagurato, come puoi dubitare della mia esistenza?». +Scossa dai singhiozzi, lei cade in ginocchio ai piedi del mio letto, nascondendo +il viso tra le mani. Dio mio! Lei è forse davvero reale, e io le faccio torto? +Comincio a provare compassione. +Io: «Ma, per l’amor del cielo, dimmi una cosa: esisti realmente? Devo +prenderti sul serio come una persona reale?». +Lei piange e non risponde. +Io: «Ma chi sei?». +Lei: «Sono la ௹glia del vecchio. Mi tiene qui in una prigionia intollerabile, non +per invidia né per odio, ma per amore, perché sono la sua unica ௹glia, il ritratto +di mia madre morta prematuramente». +Mi prendo la testa fra le mani: non è un’infernale banalità? È, alla lettera, un +romanzetto da biblioteca circolante! O dèi, dove mi avete condotto? C’è da +ridere e insieme da piangere... È già di௻cile essere un bel so௸erente, una +persona tragicamente distrutta; ma diventare una scimmia, voi dèi splendidi e +grandi! A voi non è mai stato o௸erto, nelle mani aperte in gesto di preghiera, +come dono celeste, ciò che è banale ed eternamente ridicolo, indicibilmente +trito e logoro. +Lei però rimane ancora lì prostrata a piangere... Ma se fosse veramente +reale? Allora sarebbe da compiangere, ogni essere umano ne avrebbe +compassione. Se è una ragazza per bene, quanto le dev’essere costato entrare +nella stanza di un uomo sconosciuto! E vincere ௹no a questo punto la sua +ritrosia. +Io: «Mia cara bambina! Nonostante tutto, voglio credere che tu sia reale. Che + cosa posso fare per te?». +Lei: «Finalmente, finalmente una parola pronunciata da una bocca umana!». +Si solleva col volto raggiante, è proprio bella. Una profonda purezza emana +dal suo sguardo. Lei ha un’anima bella e lontana dal mondo, un’anima che +vorrebbe giungere alla vita reale, a tutta quella realtà miserabile, al bagno nel +sudiciume e alla fonte risanatrice. Oh, questa bellezza dell’anima! Vederla +scendere nel mondo basso della realtà... Che spettacolo! +Lei: «Che cosa puoi fare per me? Hai già fatto molto. Hai pronunciato la +parola che redime, nel momento in cui non hai più frapposto nulla di banale fra +te e me. Sappi infatti che ero stata stregata dalla banalità». +Io: «Ahimè!, tu ora mi diventi un personaggio da fiaba». +Lei: «Sii ragionevole, amico caro, e non scandalizzarti adesso per ciò che è +௹abesco, perché la ௹aba non è che la nonna del romanzo, e ha un valore ancora +più universale persino del romanzo più letto del tuo tempo. Tu sai bene che ciò +che da millenni passa attraverso la bocca di tutte le persone è, sì, il più +masticato, ma anche quel che più si avvicina alla suprema verità umana. Perciò +non lasciare che la fiaba si frapponga tra noi».22 +Io: «Sei acuta, e si direbbe che non hai ereditato la sapienza di tuo padre. +Allora, dimmi: che cosa pensi delle verità divine, delle cosiddette verità ultime? +A me parrebbe molto strano cercarle nella banalità. Per loro natura, devono +essere molto fuori del comune. Pensa ai nostri grandi filosofi». +Lei: «Queste verità, quanto più sono fuori del comune, tanto meno umane +devono essere, e tanto meno ti diranno qualcosa di prezioso o di signi௹cativo +sulla natura e sull’esistenza dell’uomo. Solo quello che è umano e che tu chiami +banale e trito, / [Foglio 7 / 8] racchiude la saggezza che tu vai cercando. L +’aspetto +௹abesco non parla contro di me, bensì a mio favore. E dimostra come io sia +universalmente umana, e quanto non solo necessiti, ma anche meriti di essere +redenta. Infatti posso vivere nel mondo della realtà altrettanto bene o persino +meglio di molte altre rappresentanti del mio sesso». +Io: «Strana ragazza, mi sconcerti. Quando ho visto tuo padre ho sperato che +mi avrebbe invitato a una dotta conversazione. Non l’ha fatto, e io gli ho portato +rancore, perché mi sono sentito o௸eso nella mia dignità dalla sua distratta +svogliatezza. Da te però ho trovato assai di meglio. Mi hai dato materia per +riflettere. Sei un tipo fuori del comune». +Lei: «Ti sbagli. Sono un tipo comunissimo». +Io: «Questo non posso crederlo. Quant’è bella e adorabile l’espressione della +tua anima che ti traspare dagli occhi! Beato e invidiabile l’uomo che ti sposerà». +Lei: «Mi ami?». +Io: «Perdio se ti amo!... Purtroppo però sono già sposato». +Lei: «Vedi, dunque: la realtà banale è per௹no quella che salva. Ti ringrazio, + caro amico, e ti porto i saluti di Salomè». +Con queste parole, la sua ௹gura si dissolve nell’oscurità. Una ௹oca luce lunare +pervade la stanza. Nel posto in cui lei si trovava è rimasto qualcosa di scuro: un +gran mucchio di rose rosse.23 +[2] Se non ti capita nessuna avventura all’esterno, non te ne capitano neppure +nel tuo mondo interiore.24 La parte del Diavolo che hai accolto, ossia la gioia, ti +procura l’avventura. Lì troverai sia il tuo limite più basso, sia quello più alto. +Questo ti è necessario per conoscere i tuoi limiti. Se non li conosci, ti muovi +entro i con௹ni arti௹ciali della tua immaginazione e delle attese del tuo prossimo. +La tua vita però mal sopporta di essere bloccata da barriere arti௹ciali. La vita +vuole saltarle, tali barriere, e tu ௹nirai così per entrare in discordia con te +stesso. Queste barriere non sono i tuoi limiti reali, ma una limitazione arbitraria +che compie un’inutile violenza a te stesso. Cerca perciò di trovare i tuoi limiti +reali. Non li si conosce mai in anticipo, ma li si vede e li si comprende solo +quando li si è raggiunti. Ma anche questo ti accade soltanto se hai equilibrio. +Privo di equilibrio, travalichi i tuoi limiti, senza accorgerti di cosa ti è successo. +L +’equilibrio però lo raggiungi soltanto alimentando il tuo opposto. Ma questo ti +ripugna intimamente perché non è eroico. +La mia mente andò col pensiero a tutte le cose rare e non comuni, scrutò alla +ricerca di possibilità inesplorate, di sentieri che portano in luoghi nascosti, di +luci che rifulgono nella notte. E quando la mia mente fece questo, senza che me +ne accorgessi, tutto ciò che in me era ordinario ne fu danneggiato e cominciò ad +anelare alla vita, perché io non vivevo. Perciò ho avuto quest’avventura. Ho +avuto un attacco di romanticismo. Il romanticismo è un passo indietro. Per +trovare la via occorre a volte tornare indietro sui propri passi.25 +In quest’avventura vivo ciò che ho visto nel mistero. Quel che ho scorto nelle +sembianze di Elia e Salomè s’è trasformato – nella vita – nel vecchio erudito e +nella sua pallida ௹glia imprigionata. L +’esperienza che vivo è una riproduzione +deformata del mistero. Seguendo la via romantica sono giunto al lato go௸o e +ordinario della vita, da dove emergono i miei pensieri e dove quasi mi dimentico +di me. Ciò che prima amavo devo ora esperirlo come vano e inaridito, e ciò che +prima avevo deriso ho dovuto con invidia osservarlo nella sua ascesa e +desiderarlo impotente. Ho accettato il lato ridicolo di questa avventura. Appena +l’ho fatto, ho visto anche la giovane trasformarsi e mostrare un senso autonomo. +Interrogarsi sul desiderio di ridicolo basta già a trasformarlo. +Che dire poi della mascolinità? Sai tu quanta femminilità manchi all’uomo per +essere completo? E sai quanta mascolinità manchi alla donna perché sia +completa? Voi cercate il femminile nella donna e il maschile nell’uomo. E così +esistono sempre e soltanto uomini e donne. Ma dove stanno gli esseri umani? +Tu, uomo, non cercare il femminile nella donna, ma cercalo e riconoscilo in te, +poiché tu / [Foglio 8 / 9] lo possiedi sin dal principio. + Ti piace però recitare la parte del maschio, perché si muove sui binari oliati +delle vecchie abitudini. Tu, donna, non cercare il maschile nell’uomo, ma +prenditi piuttosto cura del lato maschile presente in te, poiché tu lo possiedi sin +dal principio. Ma ti piace e ti viene facile recitare la parte della femmina, perciò +l’uomo ti disprezza, poiché disprezza il suo lato femminile. L +’essere umano è +però sia maschile che femminile, non è soltanto uomo o soltanto donna. Della tua +anima non puoi dire di quale sesso sia. Se però presti ben attenzione, vedrai che +l’uomo più maschio ha un’anima femminile, e che la donna più femminile ha +un’anima maschile. Quanto più sei uomo, tanto più distante da te è quel che la +donna è in realtà, perché il lato femminile in te stesso ti è estraneo, e tu lo +disprezzi.26 +Se ottieni un po’ di gioia dal Diavolo e con essa vai in cerca di avventure, ti +prendi cura del tuo piacere. Il piacere però attrae subito tutto ciò che desideri, +e ormai dipende solo da te se il tuo piacere ti guasterà o ti eleverà. Se +appartieni al Diavolo, accecato dal piacere brancolerai alla ricerca delle +esperienze più varie, e in esse ti perderai. Se invece rimani in te stesso, come un +individuo che appartiene a se stesso e non al Diavolo, allora ti ricorderai della +tua umanità. Ti comporterai quindi con la donna non semplicemente da maschio, +bensì da essere umano, vale a dire come se appartenessi al suo medesimo sesso. +Ti ricorderai del tuo lato femminile. Ti potrà sembrare allora di essere poco +maschio, per così dire sciocco ed e௸eminato. Ma tu devi farti carico del ridicolo, +che altrimenti patirà in te e una volta o l’altra ti aggredirà all’improvviso quando +meno te l’aspetti, facendoti fare una ௹gura ridicola. È cosa amara, per l’uomo +più virile, prendersi cura del suo lato femminile, perché gli sembra un segno di +debolezza, ridicolo e non bello. +Sì, ti par di aver perso ogni virtù come se fossi stato umiliato. Lo stesso +succede alla donna che accetta il proprio lato maschile.27 Sì, ti pare una specie +di schiavitù. Sei schiavo di ciò di cui ha bisogno nella tua anima. L +’uomo più +virile ha bisogno della donna, per questo ne è schiavo. Diventa donna tu stesso, +e sarai liberato dalla schiavitù che ti lega alla donna.28 Sarai spietatamente alla +mercé della donna ௹nché non riuscirai a fare dell’ironia su tutta la tua grande +virilità. Ti farebbe bene vestirti una volta da donna: rideranno di te, ma +diventando donna ti libererai dalle donne e dalla loro tirannia. Accogliere il lato +femminile porta alla completezza. Lo stesso vale per la donna che accetta il suo +lato maschile. +Il femminile nell’uomo è collegato al male. Lo trovo sulla via del piacere. Il +maschile nella donna è collegato al male, perciò l’essere umano è riluttante ad +accettare il proprio lato altro. Ma se lo accetti, allora si dà quello che è +collegato alla completezza dell’essere umano: e cioè, quando sei diventato +oggetto di scherno ai tuoi stessi occhi, arriverà in volo il bianco uccello-anima;29 +era lontano, ma è stato attratto dal tuo umiliarti. Il mistero ti si accosta, e + intorno a te succederanno fatti simili a miracoli. Tutto risplenderà in una luce +dorata, perché il sole si è levato dalla sua tomba. In quanto uomo tu non hai +un’anima, perché essa si trova nella donna; in quanto donna tu non hai un’anima, +perché essa si trova nell’uomo. Se però diventi un essere umano completo, la +tua anima ti raggiungerà. +Se resti dentro limiti arbitrari e creati arti௹cialmente, è come se camminassi +stretto tra due alte muraglie: non scorgerai l’immensità del mondo. Se invece +abbatti le muraglie che ti restringono la visuale e se l’immensità e l’in௹nita +incertezza diventano per te terribili, allora si desterà in te da tempi remoti quel +dormiente il cui messo è l’uccello bianco. Tu infatti hai bisogno del messaggio +dell’antico dominatore del caos. È nel vortice del caos che dimorano gli eterni +miracoli. Il tuo mondo inizia a diventare magico. L +’essere umano non appartiene +solo a un mondo ordinato, ma anche al mondo magico della sua anima. Dovevate +perciò rendere orribile il vostro bel mondo ordinato, a௻nché questo vi +guastasse il piacere di vivere troppo fuori di voi. +L +’anima vostra è bisognosa perché il suo mondo è inaridito. Se guardate fuori +di voi vedrete il bosco lontano, i monti e ancora più in alto il vostro sguardo si +aprirà agli spazi siderali. E se guardate dentro di voi vedrete anche qui cose +vicine, lontane e in௹nite perché il mondo interiore è altrettanto in௹nito di quello +esterno. Allo stesso modo in cui, tramite il vostro corpo, partecipate della natura +multiforme del mondo, così tramite l’anima vostra partecipate della natura +multiforme del mondo interiore. Questo mondo interno è davvero in௹nito e per +nulla più povero di quello esterno. L +’essere umano vive contemporaneamente in +due mondi. Chi è folle vive qui o là, mai però sia qui che là. +30Credi forse che l’uomo che dedica la sua vita alla ricerca conduca +un’esistenza spirituale e viva la sua anima / [Foglio 9 / 10] in misura maggiore di un +altro. Ma anche una vita del genere è esteriore, esattamente com’è esteriore la +vita di una persona che vive le cose esteriori. Un simile studioso non vive dunque +le cose esteriori, bensì i pensieri esteriori, quindi non vive se stesso, bensì il suo +oggetto. Se dici di un individuo che si è perso totalmente nell’esteriorità e che +spreca i suoi anni in sregolatezze, devi dire la stessa cosa anche di questo +vecchio. Si è buttato via in tutti quei libri e in tutti i pensieri formulati da altre +persone. Per questo la sua anima è bisognosa, deve umiliarsi e andare nella +stanza di ogni sconosciuto per mendicare quel riconoscimento che lui le nega. +Perciò vedi quei vecchi studiosi correre a ottenere riconoscimenti, coprendosi +di ridicolo e in maniera indegna. Si o௸endono se il loro nome non viene citato, +sono tristi se qualcun altro dice meglio di loro la stessa cosa, implacabili con chi +cambia di una virgola le loro opinioni. Vai a un convegno di dotti e vedrai questi +miserevoli vecchi con i loro grandi meriti e le loro anime a௸amate, che anelano +a riconoscimenti e non riescono mai a placare la loro sete. L +’anima ha bisogno +della tua ingenuità, non del tuo sapere. + Dato che mi elevo al di sopra del maschile sessuale, senza però abbandonare +la mia componente umana, il femminile per me ridicolo si trasforma in una +natura ricca di senso. Questa è la cosa più di௻cile: trovarsi al di là del genere +sessuale pur restando all’interno dell’aspetto umano. Se ti elevi al di sopra del +genere sessuale con l’aiuto di un principio generale, diverrai tu stesso quel +principio e andrai oltre l’umano. Diverrai perciò arido, duro e disumano. +Potrai anche andare oltre l’aspetto sessuale per motivi umani e mai in ragione +di un principio generale che rimane sempre lo stesso nelle situazioni più varie e +che perciò non è mai pienamente valido per ogni singola situazione. Se agisci +per motivi umani, agisci a partire da quella data situazione senza alcun principio +generale, solo in relazione alla situazione. In tal modo rendi giustizia alla +situazione, forse violando un principio generale. Ma questo non deve a௼iggerti +troppo, perché tu non ti identi௹chi con quel principio. Esiste un altro aspetto +umano, che è troppo umano,31 e chi vi è incappato fa bene a ricordarsi +dell’azione bene௹ca del principio generale. Infatti anche il principio generale ha +senso e non è stato formulato per divertimento. In esso è presente un lavoro +molto apprezzabile dello spirito umano. Gli individui di questo tipo sono al di là +della sessualità non grazie a un principio generale, bensì in virtù della loro +immaginazione, in cui si sono perduti. Si sono identi௹cati con la propria +immaginazione e il proprio arbitrio, a loro discapito. È necessario che si +ricordino del loro essere sessuati, a௻nché si destino dai sogni per tornare alla +realtà. +È cosa atroce, come una notte senza sonno, intuire dall’aldiquà l’aldilà, ossia +l’Altro, l’opposto presente in me. Si insinua come una febbre, come una nebbia +vene௹ca. E se i tuoi sensi sono eccitati e tesi al massimo, allora il demonico ti +giunge come qualcosa di così insipido e logoro, ௹acco e insulso, che te ne viene +la nausea. A questo punto smetti ben volentieri di immedesimarti nel tuo aldilà. +Spaventato e disgustato, vorresti tornare alle bellezze celestiali del tuo mondo +visibile. Sputi su tutto ciò che si trova al di là del tuo bel mondo e lo maledici, +perché sai che è schifo, feccia e immondizia dell’animale umano che si alimenta +in stamberghe ammu௻te. Striscia sui marciapiedi, annusa gli angoli più ordinari +e – dalla culla alla tomba – gusta solo ciò che è già stato nella bocca di tutti. +Però non fermarti qui, non mettere lo schifo tra il tuo aldiquà e il tuo aldilà. La +via verso il tuo aldilà passa attraverso l’inferno, e precisamente attraverso il tuo +inferno del tutto personale: esso ha il suolo ricoperto di detriti che arrivano ௹no +al ginocchio, un’aria espirata milioni di volte, un fuoco di passioni da gnomi e i +suoi diavoli sono insegne chimeriche. +Tutto ciò che è odioso e ripugnante costituisce il tuo inferno personale. E +come potrebbe essere diversamente? Qualsiasi altro inferno sarebbe perlomeno +interessante o spassoso. Ma l’inferno non lo è mai. Il tuo inferno è costituito da +tutte le cose che hai gettato via dal tuo santuario a calci e bestemmie. Quando + entri nel tuo inferno non pensare di entrarci come uno che so௸re in bellezza, +oppure come un superbo fustigatore; ci entri invece come un citrullo ottuso e +curioso, e ti stupisci dei bocconi caduti dalla tua tavola.32/ [Foglio 10 / 11] +Vorresti parere furioso, ma allo stesso tempo osservi quanto ti dona la furia. +La tua infernale ridicolaggine si estende per miglia e miglia. Buon per te se +riesci a bestemmiare! Proverai che la bestemmia salva la vita. Se dunque +attraversi l’inferno, non dimenticare di prestare attenzione a tutto quel che +incontri. Confrontati tranquillamente con tutto quel che ti suscita disprezzo e +rabbia; in tal modo apri la strada al miracolo che io ho vissuto con la pallida +fanciulla. Tu dai anima a ciò che ne è privo, che potrà così passare dal terribile +nulla a qualcosa. Così l’altro lato in te viene riscattato alla vita. I tuoi valori ti +vorrebbero portare da quello che sei al momento presente, verso il futuro e +oltre te stesso. Ma quello che sei ti trattiene a terra, pesante come piombo. Non +puoi vivere entrambe le situazioni allo stesso tempo, perché si escludono a +vicenda. Ma strada facendo le puoi vivere entrambe. Perciò il cammino ti +redime. Non puoi essere al tempo stesso sul monte e nella valle, ma la tua via ti +conduce dal monte alla valle e dalla valle al monte. Molte esperienze cominciano +per divertimento e conducono nell’oscurità. L’inferno ha diversi gradi.33 +Uno degli umili34 +[IF, 11] +Cap. III +La notte seguente35 mi ritrovai di nuovo a camminare per una campagna +innevata a me familiare. Un grigio cielo vespertino ricopre il sole, l’aria è umida +e gelida. Mi si a௻anca un tizio dall’aspetto ben poco rassicurante, tanto più che +ha un occhio solo e per giunta la faccia segnata da cicatrici. Indossa abiti miseri +e sudici, un vagabondo. Ha un’ispida barba nera che non vede da tempo il +rasoio. Sono munito di un buon bastone per ogni evenienza. «Fa un freddo +maledetto», dice lui dopo un po’. Ne convengo. Dopo una lunga pausa, chiede: +«Dove sta andando?». +Io: «Arrivo ௹no al prossimo paese, dove penso di passare la notte alla +locanda». +Lui: «Piacerebbe anche a me, ma per un letto non ne avrò abbastanza». +Io: «Non ha soldi? Vediamo un po’. Non ha un lavoro?». +Lui: «Sì, sono tempi duri. Ho lavorato da un fabbro ௹no a qualche giorno fa, +ma poi gli è mancato il lavoro. Adesso viaggio in cerca di lavoro». +Io: «Non vorrebbe trovar lavoro da un contadino? In campagna c’è sempre +bisogno di braccia». +Lui: «Lavorare dai contadini non fa per me. Vuol dire alzarsi presto la mattina, +il lavoro è duro e la paga è una miseria». + Io: «Ma in campagna è tanto più bello che in città». +Lui: «In campagna ci si annoia, non si vede mai nessuno». +Io: «Però nei paesi c’è anche gente». +Lui: «Non ci sono stimoli intellettuali. I contadini sono degli zoticoni». +Lo guardo stupito. Che diamine, questo qui pretende anche gli stimoli +intellettuali? Piuttosto, che si guadagni da vivere onestamente e poi potrà anche +pensare agli stimoli intellettuali. / [Foglio 11 / 12] +Io: «Ma, mi dica un po’, quali stimoli intellettuali trova in città?». +Lui: «La sera si può andare al cinematografo. È fantastico e costa poco. Si +vede tutto quello che succede nel mondo». +Mi viene da pensare all’inferno, dove può essere che ci siano anche dei +cinematogra௹ per quelli che sulla terra hanno disprezzato questa istituzione, e +non ci sono andati proprio perché tutti gli altri ci trovavano gusto. +Io: «Che cosa l’ha interessato di più al cinematografo?». +Lui: «Si vedono pezzi di bravura d’ogni genere. C’era uno che camminava sui +muri delle case, un altro si portava la testa sotto il braccio. Un altro ancora +rimaneva persino in mezzo al fuoco senza bruciarsi. Sì, è davvero notevole +quello che la gente riesce a fare». +È questo che il tipo chiama «stimolo intellettuale»! Certo, sembrano proprio +prodezze notevoli: non c’erano anche dei santi che si portavano la testa sotto il +braccio?36 E san Francesco e sant’Ignazio non sono forse levitati da terra?… E i +tre uomini nella fornace ardente?37 Non sarà un’idea blasfema considerare gli +Acta sanctorum38come un cinematografo storico? Ah, i miracoli del giorno d’oggi +sono semplicemente un po’ meno mitici e più tecnici. Osservo con tenerezza il +mio compagno... Lui sta vivendo la storia universale... e io? +Io: «Certo, tutto è fatto molto bene. Ha visto qualche altra cosa del genere?». +Lui: «Ho visto come è stato assassinato il re di Spagna». +Io: «Ma non è stato affatto assassinato». +Lui: «Beh, non importa. Allora era un altro di questi dannati re capitalisti. Uno +perlomeno l’hanno beccato. Se solo beccassero tutti, il popolo sarebbe libero». +Non oso dire più nulla. Guglielmo Tell, un’opera di Friedrich Schiller… +Quest’uomo ci sta proprio nel mezzo, nel ௺uire della storia eroica. Uno che +annuncia la morte del tiranno alle popolazioni immerse nel sonno.39 +Arriviamo alla locanda, un’osteria di campagna – uno stanzone abbastanza +pulito –, ci sono alcuni uomini seduti in un angolo con le loro birre. Vengo +giudicato un «signore» e condotto nell’angolo migliore, dove l’estremità del +tavolo è coperta da un panno a quadretti. L +’altro si siede in fondo al tavolo, e io +decido di fargli portare una cena decente. Mi sta già guardando, pieno di +aspettative e affamato... col suo unico occhio. +Io: «Dove ha perso l’occhio?». +Lui: «In una rissa. Ma anch’io gliel’ho suonate ben bene a quell’altro. Dopo si + è buscato tre mesi; a me ne hanno dati sei. Ma in carcere si stava bene. Allora +era nuovo nuovo. Ho lavorato nella bottega del fabbro, non c’era tanto da fare e +si mangiava bene. La galera non è poi così brutta». +Mi guardo intorno per sincerarmi che nessuno senta che sto parlando con un +ex galeotto. Sembra però che nessuno se ne sia accorto. Mi pare di essere +capitato proprio in una bella compagnia. All’inferno ci saranno anche prigioni +per quelli che in vita non ci sono mai stati? Del resto, non è forse una sensazione +stranamente piacevole essere approdati tanto in basso sul terreno della realtà, +da non poter può più continuare a scendere, ma tutt’al più risalire? Dove ci si +trova una volta tanto davanti alla realtà in tutta la sua imponenza? +Lui: «Dopo, sono ௹nito sul lastrico, perché mi hanno espulso dal mio paese. Poi +sono andato in Francia. Lì è stato bello». +Ma quali condizioni impone la bellezza! Da quest’uomo c’è da imparare. +Io: «Per qual motivo si è cacciato in quella rissa?». +Lui: « È stato per via di una ragazza. Aveva avuto un bastardo da lui, ma io +volevo sposarla. Per il resto, lei andava bene. Poi non ha più voluto. Non ne ho +saputo più niente». +Io: «E adesso quanti anni ha?». +Lui: «Ne farò trentacinque a primavera. Devo solo trovarmi un lavoro onesto, +poi mi voglio sposare. Ce la farò a trovarne ancora uno. Purtroppo ho qualcosa +ai polmoni. Ma presto tornerà ad andar meglio». / [Foglio 12 / 13] +Viene colto da un violento attacco di tosse. Penso che le prospettive non sono +proprio rosee, e in silenzio ammiro l’irriducibile ottimismo di quel povero +diavolo. +Dopo mangiato, vado a coricarmi in una misera stanzetta. Sento l’altro che si +sistema per la notte nella stanza accanto. Tossisce parecchie volte. Poi cala il +silenzio. Ma all’improvviso vengo risvegliato da uno strano gemito e da un +gorgoglio misto a tosse semiso௸ocata. Mi metto in ascolto con ansia. Non v’è +dubbio: è lui. Si direbbe qualcosa di grave. Balzo in piedi e mi getto addosso +qualcosa. Apro la porta della sua stanza. È tutta inondata dalla luce della luna. +L +’uomo è disteso, vestito, su un pagliericcio. Dalla bocca gli scende uno scuro +rivolo di sangue che forma una pozza sul pavimento. Lui geme, mezzo so௸ocato, +sputando sangue. Tenta di sollevarsi, ma torna a sprofondare... Mi precipito a +sostenerlo, ma vedo già tesa su di lui la mano della morte. È tutto imbrattato di +sangue, e anch’io ne ho piene le mani. Gli esce un rantolo. Poi ogni rigidità si +stempera, un leggero tremito trascorre sulle sue membra. In௹ne si stende su di +lui la quiete della morte. +Ma dove sono? Nell’inferno sono previsti anche decessi per coloro che non +hanno mai pensato alla morte? Mi guardo le mani coperte di sangue... come +fossi un assassino... Non è forse di mio fratello il sangue che m’imbratta le +mani? La luna mi disegna un’ombra nera sulla bianca parete della camera. Che + ci faccio in questo posto? Perché quest’orribile spettacolo? Riporto il mio +sguardo interrogativo alla luna che mi è testimone. Alla luna che importa? Non +ha già visto cose peggiori? Non ha forse illuminato gli occhi spezzati di +centomila uomini? Ai suoi crateri eterni non importa certo un bel niente... Uno +di più, uno di meno. La morte? Non sta forse a palesare il terribile inganno della +vita? Per questo alla luna è del tutto indi௸erente se e come uno se ne vada +all’altro mondo. Siamo soltanto noi a fare tanto chiasso per questo... E con quale +diritto? +Cosa ha fatto costui? Ha lavorato, poltrito, riso, bevuto, mangiato, dormito, +sacri௹cato uno dei suoi occhi per una donna, e per lei s’è giocato l’onore di +onest’uomo; inoltre, ha vissuto alla meno peggio il mito umano, ammirato i +taumaturghi, lodato il tirannicidio e sognato confusamente la libertà dei popoli. +E poi... poi è morto miseramente... come chiunque altro. Questo vale per tutti. +Ho proprio toccato il fondo dei fondi. Quante ombre sulla terra! Ogni luce si +spegne nell’ultimo avvilimento e nella solitudine. La morte è arrivata... e qui non +c’è più nessuno per il compianto. Questa è una verità ultima, e non un enigma. +Quale inganno ha potuto farci credere a un enigma? +[2] Ci troviamo sulle pietre aguzze della miseria e della morte. +Un pezzente mi si a௻anca e vuole entrare nella mia anima. Dunque io sono +troppo poco pezzente. Dove si nascondeva la mia indigenza quando non la +vivevo? Io giocavo a vivere la vita, ero uno che si faceva pensieri gravi sulla vita, +ma la viveva con agio. Il pezzente era ben distante e dimenticato. La vita era +diventata di௻cile e più fosca. L +’inverno non ௹niva più e il pezzente stava nella +neve a gelare. Io mi a௻anco a lui perché ne ho bisogno. Lui rende la vita facile e +semplice. Mi conduce in basso, da dove posso vedere l’altezza. Senza la +profondità non ho però l’altezza. Forse ora mi trovo in alto, ma proprio per +questo non mi accorgo dell’altezza. Per rinnovarmi mi è dunque necessario +stare in basso. Se sto sempre in alto, logoro questa altezza, e ciò che vi è di +meglio si trasforma per me in atrocità. +Poiché però non voglio che ciò che ho di meglio diventi atroce, divento io +stesso atroce, atroce per me e per gli altri, un vero e proprio tormento. Sii +onesto, e ammetti che quel che hai di meglio è diventato per te atroce. In tal +modo salvi te stesso e altri da inutili tormenti. Un individuo che non riesca più a +discendere dalle sue altezze è malato, è un tormento per sé e per gli altri. Se hai +raggiunto il tuo punto più basso vedrai la tua altezza risplendere sopra di te, +desiderabile e lontana, come irraggiungibile, perché segretamente non vorresti +ancora raggiungerla, per questo essa ti appare irraggiungibile. Anche quando ti +trovi in basso, ti piace infatti lodare la tua altezza e ti ripeti che l’hai +abbandonata con dolore e che non hai vissuto ௹ntanto che ti mancava. Le buone +maniere sono divenute per te quasi come una seconda natura che ti fa parlare a +questo modo. In fondo, però, sai che non è vero. + Arrivato al punto più basso, non ti distingui più in nulla dai tuoi fratelli umani. +Non vergognarti e non avere rimpianti: perché, mentre vivi la vita dei tuoi +fratelli e scendi in basso insieme a loro, / [Foglio 13 / 14] entri anche nel sacro +௺usso della vita universale, dove non sei più un individuo che si erge su un alto +monte, bensì un pesciolino tra i pesci, una ranocchia tra le altre ranocchie. +La tua cima è il tuo monte personale, che appartiene a te e a te soltanto. Lì sei +nella tua individualità, e vivi la vita che è più tua. Se vivi la tua vita più +personale, allora non vivi la vita universale, che è infatti quella che permane e +non ௹nisce mai, la vita della storia, dei fardelli e dei beni inalienabili e mai +perduti dell’umanità. Lì tu vivi la persistenza dell’essere, ma non il divenire. Il +divenire è infatti proprio delle altezze ed è pieno di tormento. Come puoi +divenire se non sei? Per questo ti serve vivere in basso, perché lì tu +semplicemente esisti. Per questo hai bisogno anche delle altezze, perché lì tu sei +in divenire. +Se vivi la vita universale nel tuo punto più basso, acquisti allora +consapevolezza di te stesso. Se invece sei al tuo livello alto, allora sei il tuo +meglio, e diventi consapevole solo del tuo lato migliore, non di quello che sei nel +௺usso della vita universale, come creatura che semplicemente esiste. Non si sa +mai chi siamo in quanto esseri in divenire. Ma sulle altezze l’immaginazione è al +suo grado massimo. Noi infatti ci illudiamo di sapere che cosa siamo in quanto +esseri in divenire, e tanto più quanto meno vogliamo sapere che cosa siamo in +quanto creature che semplicemente esistono. È per questo che non amiamo la +condizione bassa, sebbene – o proprio perché – soltanto lì acquistiamo una +chiara conoscenza di noi stessi. +Ogni cosa è enigmatica per chi è in divenire, non lo è invece per chi +semplicemente esiste. Colui che so௸re a causa degli enigmi si ricordi della sua +condizione bassa; risolve gli enigmi che fanno so௸rire, ma non quelli di cui si +gioisce. +Essere quello che sei è un bagno di rinascita. L +’essere della condizione bassa +non è un perdurare inde௹nito, ma una crescita di in௹nita lentezza. Pensi di stare +quieto come acqua di palude, e invece ti riversi lentamente nel mare, che +ricopre le massime profondità della terra ed è così vasto che la terraferma +appare soltanto come un’isola adagiata nel grembo dell’immenso mare. +Come una goccia nell’oceano, prendi parte alla corrente, al ௺usso e ri௺usso +della marea. Tu cresci lentamente verso la terra e torni a ritrarti in respiri di +durata in௹nita. Percorri ampi tratti in correnti indistinte, lambisci coste +sconosciute e non sai come vi sei giunto. Ti sollevi con i cavalloni delle grandi +tempeste e torni con fragore a ri௺uire nel profondo. E non sai come questo ti +accada. Prima pensavi che il tuo movimento venisse da te e che ci fosse bisogno +di tue decisioni e di tuoi sforzi per poterti muovere e andare avanti. Ma pur con +tutti i tuoi sforzi non saresti mai giunto a quel movimento e a quelle regioni in + cui ti portano il mare e il gran vento del mondo. +Da sterminate distese azzurre sprofondi in oscuri abissi; davanti a te guizzano +pesci lucenti, strane rami௹cazioni ti circondano. Tu sgusci per ogni pertugio e +attraverso piante avvolgenti, ondeggianti, dall’oscuro fogliame, e il mare ti +risospinge in alto nell’acqua verdechiara su coste di candida sabbia, e un’onda +spumeggiante ti getta sulla riva per poi inghiottirti di nuovo, e una grande, +placida onda ti solleva dolcemente e ti risospinge avanti su nuove super௹ci e +profondità, verso piante avvolgenti e pesci dalle lunghe code, verso viscidi polpi +che strisciano lenti, e acqua verde, sabbia bianca e onda di risacca che si +frange. +Ma da lontano risplende per te in una luce dorata la tua altezza sul mare, +come la luna che emerge dalla marea, e da lontano acquisterai consapevolezza +di te. E ti coglie la nostalgia e la voglia di muoverti da solo. Vorresti ascendere +dall’essere al divenire, perché hai conosciuto il respiro del mare e la sua +corrente che ti trasporta per ogni dove senza che tu ti fermi in alcun luogo, e la +sua onda che ti getta su coste straniere e torna a inghiottirti e a sbalzarti su e +giù nel suo gorgo. +Hai visto che era la vita del tutto e la morte di ogni individuo. Ti sei sentito +risucchiato dalla morte collettiva, dalla morte nel luogo più profondo della terra, +dalla morte nel tuo profondo che respira e ௺uisce in modo bizzarro. Oh... +vorresti esserne fuori, la disperazione e un’angoscia mortale ti colgono in mezzo +a tutta questa morte che lenta respira ed eternamente ௺uisce e de௺uisce. Tutte +queste acque chiare e oscure, calde, tiepide e fredde, tutti questi ௺uttuanti, +ondeggianti, avvolgenti animali vegetali e piante animali, tutti questi miracoli +notturni si trasformano per te in orrori, e tu brami il sole, l’aria limpida e +asciutta, la salda pietra, un luogo preciso e una linea retta, ciò che è immobile, +ben ancorato, regole e mete prestabilite, individualità e intenti personali. +Quella notte ho conosciuto la morte, il perire che si stende sull’universo +intero. Ho visto come viviamo procedendo verso la morte, come l’ondeggiante +grano dorato si abbassa sotto la falce del mietitore, / [Foglio 14 / 15] come un’onda +che si appiattisce sulla spiaggia. Colui che si trova nel flusso della vita universale +diventa, con terrore, consapevole della morte. Perciò la paura della morte lo +spinge verso l’individualità. Là non vive, ma prende coscienza della vita e gioisce +perché nell’individualità è in divenire e ha superato la morte. Supera la morte +attraverso il superamento della vita universale. Non vive nell’individualità, +perché non è quel che è, ma quel che diventa. +Colui che è in divenire acquista consapevolezza della vita, mentre chi +semplicemente esiste non ne diventa consapevole, perché si trova nel pieno +della vita stessa. Ha bisogno delle altezze e dell’esser individuo per diventare +consapevole della vita. Vivendo diventa però consapevole della morte. Ed è +buona cosa che tu divenga consapevole della morte collettiva, perché allora + saprai a cosa servono il tuo esser individuo e le tue altezze. Le tue altezze sono +come la luna, che lucente segue il suo corso solitario e nel suo eterno chiarore +penetra le notti col suo sguardo. Talvolta si copre, e tu resti totalmente immerso +nel buio della terra, ma continuamente torna a riempirsi ௹no a raggiungere il +suo pieno fulgore. La morte della terra le è estranea. Immobile e chiara, da +lassù osserva la vita della terra, priva di un’atmosfera che la avvolga e di mari +௺uenti. La sua forma immutabile è ௹ssa dall’eternità. È la chiara luce solitaria +della notte, l’essere individuale e il frammento di eternità a noi vicino. +Di lassù tu scruti freddo, immoto e radioso, di௸ondi l’argentea luce +ultraterrena e verdi crepuscoli sull’orrore lontano. Lo vedi, ma con sguardo +limpido e freddo. Le tue mani sono rosse di sangue palpitante, ma immota è la +luce lunare del tuo sguardo. È il sangue vitale di tuo fratello, sì, è il tuo stesso +sangue, ma il tuo sguardo rimane luminoso e abbraccia tutto l’orrore e la +rotondità della terra. Su argentei mari riposa il tuo sguardo, su cime nevose e +azzurre vallate, e non odi i gemiti e gli ululati della bestia umana. +La luna è morta. La tua anima è andata dalla luna, la custode delle anime.40 +Così l’anima è entrata nella morte.41 Io m’inoltrai nella morte interiore e vidi +che morire esternamente è meglio che morire dentro. E decisi di morire +all’esterno e di vivere dentro. Perciò voltai le spalle42 per andare in cerca del +luogo della vita interiore. +L’anacoreta +[IF, 15] +Cap. IV. Dies I43 +Nella notte seguente44 mi ritrovai su nuovi sentieri; intorno a me spirava +un’aria asciutta e ardente e vidi il deserto, sabbia gialla ondulata tutt’attorno, +un sole spietato, un cielo livido come acciaio appannato, l’aria tremolante al +suolo, alla mia destra una valle profondamente incassata, con un alveo asciutto, +qualche stentato ciu௸o d’erba e alcuni cespugli polverosi. Sulla sabbia scorgo +orme di piedi nudi che dalla valle rocciosa portano all’altopiano. Le seguo +costeggiando un’alta duna. Dov’essa inizia a digradare, le orme si volgono +dall’altra parte. Paiono fresche, e accanto a esse ci sono vecchie orme +semicancellate. Le seguo con attenzione: costeggiano di nuovo il pendio della +duna, poi sfociano in un’altra serie di orme... ma è la stessa traccia / [Foglio 15 / +16] che seguivo prima, cioè quella che arriva dalla valle. +Seguo perplesso le orme che procedono ora verso il basso. Ben presto arrivo +a roventi rocce rossastre, smangiate dal vento. Sulla pietra le tracce si perdono, +ma scorgo il punto dove la roccia discende a gradoni e mi calo giù. L +’aria è +infuocata e la roccia mi brucia le suole. Adesso sono arrivato in basso; ritrovo + anche le orme. Proseguono per un breve tratto lungo le sinuosità della valle. Di +colpo mi trovo dinanzi a una piccola capanna in mattoni di argilla, ricoperta di +frasche. Funge da porta una traballante tavola di legno su cui è dipinta in rosso +una croce. Apro pian piano. Un uomo scarno, dalla testa glabra e dalla pelle +brunita, avvolto in un bianco mantello di lino, siede su una stuoia, con la schiena +poggiata alla parete. Sulle sue ginocchia è posato un libro di pergamena +ingiallita, ricoperta di una bella scrittura nera... un Vangelo greco, senza +dubbio. Sono alla presenza di un anacoreta del deserto libico.45 +Io: «Ti disturbo, padre?». +A: «Non disturbi, ma non chiamarmi “padre”. Sono un uomo come te. Che cosa +desideri?». +Io: «Vengo qui senza desideri, per caso sono giunto a questo punto del deserto +e lassù ho trovato sulla sabbia delle orme che, girando in tondo, mi hanno +condotto fin da te». +A: «Hai trovato le orme del cammino che compio ogni giorno all’alba e al +crepuscolo». +Io: «Scusami se interrompo il tuo raccoglimento. Ma starti vicino è per me una +rara opportunità. Finora non avevo mai visto un anacoreta». +A: «Più giù nella valle ne puoi trovare parecchi. Alcuni hanno delle capanne +come la mia, altri vivono nelle tombe che gli antichi hanno scavato in queste +rocce. Io vivo nel punto più alto della valle, perché qui regnano la massima +solitudine e il più profondo silenzio, e sono più vicino alla quiete del deserto». +Io: «È molto che sei qui?». +A: «Saranno forse dieci anni che vivo qui, ma davvero non riesco più a +ricordare con esattezza. Potrebbe essere anche qualche annetto in più. Il tempo +scorre talmente in fretta!». +Io: «Il tempo ti scorre in fretta? Com’è possibile? La tua vita dev’essere +terribilmente monotona». +A: «Sicuro che la vita mi scorre in fretta. Persino troppo in fretta. Sei forse un +pagano?». +Io: «Io? No... non proprio. Sono cresciuto nella fede cristiana». +A: «Allora come puoi domandarmi se il tempo mi sembra lungo? Dovresti ben +sapere di cosa si occupa chi è in lutto. Solo gli oziosi trovano lungo il tempo». +Io: «Perdonami ancora... grande è la mia curiosità... Quali sono dunque le tue +occupazioni?». +A: «Sei forse un bambino? Per cominciare, vedi bene che sto leggendo, e poi +ho le mie regolari scansioni del tempo». +Io: «Ma non vedo proprio nulla con cui tu ti possa tenere occupato qui. Quel +libro devi averlo già letto da cima a fondo un bel po’ di volte. E se, come +suppongo, si tratta dei Vangeli, tu sicuramente li conosci già a memoria». +A: «Com’è puerile quello che dici! Sai bene che un libro lo si può leggere molte + volte... Magari lo conosci quasi a memoria, e tuttavia, se riguardi le righe che ti +stanno davanti, certe cose ti appariranno nuove oppure ti verranno pensieri del +tutto nuovi, che non avevi avuto prima. Ogni parola può fecondare il tuo spirito. +E in௹ne, se hai accantonato il libro per una settimana e torni a riprenderlo dopo +che il tuo spirito ha sperimentato varie trasformazioni, avrai molte nuove +illuminazioni». +Io: «Stento a capirlo. Nel libro si trovano pur sempre e soltanto le stesse cose, +di sicuro un contenuto straordinariamente profondo, anzi divino, eppure di certo +non così ricco da poter riempire un numero infinito di anni». +A: «Mi sorprendi. In che modo leggi questo libro sacro? Ci trovi davvero solo e +sempre un unico e medesimo signi௹cato? Ma da dove vieni? Sei davvero un +pagano». +Io: «Ti prego, non avertela a male se parlo come un pagano. Lasciami però +discorrere con te. Sono qui per imparare da te. Considerami un allievo +ignorante, perché in questo campo lo sono proprio». +A: «Se ti chiamo pagano, non considerarlo un a௸ronto. Anch’io una volta ero +pagano e la pensavo, / [Foglio 16 / 17] lo ricordo bene, esattamente come te. Come +potrei dunque biasimarti per la tua ignoranza?». +Io: «Ti sono grato per la tua pazienza. Ma m’importa molto sapere come leggi +e che insegnamento trai da questo libro». +A: «Non è facile rispondere alla tua domanda. Più facile sarebbe spiegare a un +cieco come sono fatti i colori. Una cosa soprattutto devi sapere: una successione +di parole non ha un solo signi௹cato. Ma gli uomini cercano di attribuire alla +sequenza di parole un unico signi௹cato, perché cercano di avere un linguaggio +non ambiguo. Questa è un’aspirazione secolare, angusta, e rientra tra i livelli +inferiori del piano della creazione divina. Ai livelli più elevati di intuizione dei +pensieri divini riconosci che la sequenza delle parole ha più di un signi௹cato +valido. Soltanto all’Onnisciente è dato di conoscere tutti i signi௹cati delle +sequenze di parole. Noi ci sforziamo via via di coglierne ancora di nuovi». +Io: «Se ben ti capisco, tu ritieni che anche le sacre scritture del Nuovo +Testamento abbiano un doppio signi௹cato: uno essoterico e l’altro esoterico, +come alcuni studiosi ebrei sostengono a proposito dei loro testi sacri». +A: «Sia lungi da me questa malvagia superstizione. Noto che sei del tutto +inesperto delle cose divine». +Io: «Devo ammettere la mia profonda ignoranza in questo campo. Ma sono +curioso di sperimentare e comprendere che cosa pensi del molteplice signi௹cato +delle sequenze di parole». +A: «Purtroppo non sono in grado di dirti tutto quel che so al proposito. Ma +voglio cercare di chiarirti perlomeno i principi elementari. Data la tua +ignoranza, stavolta intendo partire da un’altra prospettiva: devi sapere infatti +che, prima di conoscere il cristianesimo, ero retore e ௹losofo nella città di + Alessandria. Avevo un grande a௼usso di studenti, tra cui molti romani e anche +alcuni barbari, provenienti dalla Gallia e dalla Britannia. Insegnavo loro non solo +la storia della ௹loso௹a greca, ma anche i nuovi sistemi ௹loso௹ci, tra cui quello di +Filone che noi chiamiamo l’Ebreo.46 Era una mente acuta, ma incredibilmente +astratta, come sogliono essere gli ebrei quando creano dei sistemi; era inoltre +schiavo delle sue stesse parole. Io ci aggiunsi del mio e intrecciai una mostruosa +ragnatela di parole in cui ho irretito non solo i miei uditori, ma anche me stesso. +Sguazzavamo in modo indecente tra parole e nomi, le nostre miserabili +creature, attribuendo loro addirittura un potere divino. Sì, credevamo persino +che fossero reali e ci ௹guravamo di possedere l’essenza divina e di averla ௹ssata +in parole». +Io: «Ma Filone l’Ebreo, se è lui che intendi, era un ௹losofo serio e un grande +pensatore, e persino l’evangelista Giovanni non ha disdegnato di inserire nel suo +Vangelo alcuni pensieri di Filone». +A: «Hai ragione. Il merito di Filone è quello di aver creato un linguaggio, come +moltissimi altri ௹loso௹. È uno dei maghi del linguaggio. Ma le parole non vanno +divinizzate».47 +Io: «Su questo non ti capisco. Non si dice forse nel Vangelo di Giovanni: “Dio +era la Parola, il Verbo”? Mi sembra che vi si esprima con chiarezza la posizione +che tu hai appena respinto». +A: «Guardati bene dall’essere schiavo delle parole. Ecco il Vangelo: leggi il +passo in cui si dice: “In lui era la vita”. Cosa dice Giovanni a quel punto?».48 +Io: «“E la vita era la luce degli uomini, e la luce appare nella tenebra e la +tenebra non l’ha compresa. Vi fu un uomo, mandato da Dio, di nome Giovanni, +che venne come testimone, per testimoniare la luce. La vera luce che illumina +ogni uomo era colui che stava venendo nel mondo. Era nel mondo e il mondo fu +fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l’ha riconosciuto”. Questo leggo qui. Ma +tu che ne pensi?». +A: «Questo ΛΟΓΟΣ [Logos], ti chiedo, era forse un concetto, una parola? Era +una luce e addirittura un uomo che ha abitato fra gli uomini. Come vedi, Filone +ha prestato a Giovanni soltanto la parola, a௻nché Giovanni, accanto alla parola +luce, avesse a disposizione anche la parola ΛΟΓΟΣ per descrivere il Figlio +dell’Uomo. In Giovanni il significato del ΛΟΓΟΣ viene attribuito all’uomo vivente, +mentre Filone attribuisce al ΛΟΓΟΣ addirittura la vita, la vita divina al morto +concetto. In tal modo ciò che è morto non acquista vita, e si uccide ciò che è +vivo. E anch’io ho commesso questo abominevole errore». +Io: «Capisco quel che intendi. Questo pensiero mi è nuovo e mi pare che sia +giusto ri௺etterci. Finora mi è sempre parso / [Foglio 17 / 18] che l’elemento +signi௹cativo in Giovanni fosse proprio questo: che il Figlio dell’Uomo è il ΛΟΓΟΣ, +in quanto Egli eleva ciò che è inferiore verso i livelli spirituali superiori, verso il +mondo del ΛΟΓΟΣ. Tu invece mi induci a vedere la questione in senso opposto, + ossia che Giovanni fa discendere fino all’uomo il significato del ΛΟΓΟΣ». +A: «Ho imparato a vedere che Giovanni ha persino il grande merito di aver +elevato all’uomo il significato del ΛΟΓΟΣ». +Io: «Hai opinioni singolari che stimolano enormemente la mia curiosità. Come +stanno le cose? Ritieni che ciò che è umano sia più elevato del ΛΟΓΟΣ?». +A: «A questa domanda voglio rispondere restando nell’ambito di quel che tu +puoi comprendere. Se ciò che è umano non fosse stato per Dio più importante di +tutto il resto, allora, in quanto Figlio, non si sarebbe manifestato nella carne, ma +nel ΛΟΓΟΣ».49 +Io: «Questo mi pare chiaro, ma confesso che la tua concezione mi sorprende. +E soprattutto mi stupisce che tu, anacoreta cristiano, sia giunto a simili opinioni. +Da te non me lo sarei aspettato». +A: «Ho già notato che ti fai un’idea completamente sbagliata di me e di quel +che sono. Qui puoi vedere un modesto esempio delle mie occupazioni. Ho già +trascorso molti anni cercando soltanto di cambiare mentalità. A te è mai +capitato qualcosa del genere? In tal caso dovresti sapere quanto tempo ci vuole. +Io ero un maestro che aveva successo nella sua disciplina. Come sai, è di௻cile o +addirittura impossibile, per gente del genere, cambiare mentalità. Ma vedo che +il sole è tramontato. Presto sarà notte fonda. La notte è il tempo del silenzio. +Voglio mostrarti dove potrai dormire. La mattinata mi è necessaria per il mio +lavoro, ma dopo mezzogiorno, se vuoi, puoi tornare da me. Continueremo allora +la nostra conversazione». +Mi guida fuori dalla capanna; la valle è avvolta in un’ombra azzurrognola. In +cielo già luccicano le prime stelle. Mi conduce oltre l’angolo di una roccia: ci +troviamo di fronte all’ingresso di una tomba50 scavata nella pietra. Entriamo: +non lontano dall’ingresso è appoggiato un fascio di canne ricoperte da una +stuoia. Accanto c’è una brocca d’acqua, e su un panno bianco sono posati datteri +secchi e un pane scuro. +A: «Ecco il tuo giaciglio e la tua cena. Dormi bene. E non dimenticare la tua +preghiera mattutina al levar del sole». +[2] Il solitario vive in un deserto scon௹nato di terri௹cante bellezza. Guarda la +totalità e il signi௹cato interiore. La molteplicità delle cose esistenti gli è odiosa +quando gli è vicina. La guarda da lontano nella sua totalità. Perciò gli appare +inondata di argenteo splendore, di pace e bellezza. Ciò che gli è vicino +dev’essere semplice e ingenuo, perché la molteplicità e la complessità delle cose +quando sono vicine lacerano e infrangono l’argenteo splendore. Intorno a lui non +deve aleggiare caligine dell’aria, né foschia o nebbia alcuna, altrimenti non può +osservare la molteplicità delle cose nella totalità. Per questo il solitario ama +sopra ogni cosa il deserto, ove tutto ciò che è prossimo è semplice e nulla di +torbido o sfocato si frappone tra lui e le cose lontane. + La vita del solitario sarebbe fredda, se non ci fosse il grande sole che infuoca +l’aria e le rocce. Il sole e il suo eterno splendore sostituiscono per il solitario il +suo calore vitale. +Il suo cuore è assetato di sole. +Lui va verso i paesi del sole. +Sogna il tremulo splendore del sole, le rosse pietre roventi, esposte a +mezzodì, i caldi raggi dorati della sabbia riarsa. / [Foglio 18 / 19] +Il solitario cerca il sole, e nessuno più di lui è così pronto ad aprirgli il cuore. +Perciò ama sopra ogni cosa il deserto, perché ne ama la quiete profonda. +Di poco cibo ha bisogno, poiché sono il sole e il suo ardore a nutrirlo. Perciò +il solitario ama sopra ogni cosa il deserto, giacché esso è per lui la madre che a +ore certe gli dona nutrimento e il calore che lo rianima. +Nel deserto, il solitario è sollevato da ogni cura, perciò tutta la sua vita si +volge ai giardini germoglianti della sua anima che possono prosperare solo +sotto il sole ardente. Nei suoi giardini crescono prelibati frutti vermigli che +sotto la scorza tesa celano turgide dolcezze. +Tu credi che il solitario sia povero. Non vedi che cammina sotto alberi carichi +di frutti e che accarezza con la mano messi copiose. Sotto lo scuro fogliame, da +un tripudio di boccioli dirompenti esplode verso di lui l’abbondante purpurea +௬oritura e i frutti quasi scoppiano per la pressione del succo. Dai suoi alberi +stillano resine fragranti, e sotto i piedi gli si schiudono semi rigogliosi. +Quando il sole si tu௫a nella distesa marina come un uccello esausto, il +solitario si copre e trattiene il respiro. Non si muove e resta in pura attesa, +finché da Oriente non sorge il miracolo della luce che si rinnova. +Una traboccante meravigliosa attesa colma il solitario.51 +Lo circonda l’orrore del deserto e dell’arida arsura, e tu non capisci come +egli possa vivere. / [Foglio 19 / 20] +L’occhio però gli si posa sui giardini, l’orecchio ascolta il rumore delle fonti, +la mano s௬ora foglie e frutti vellutati e il respiro inala dolci fragranze di alberi +carichi di fiori. +Non può dirti di quanto splendore trabocchino i suoi giardini. Balbetta +allorché ne parla, e a te pare povero di spirito e di vita. Ma la sua mano non sa +che cosa prendere, tanta è l’indescrivibile abbondanza. +Ti o௫re un piccolo frutto non appariscente che gli è appena caduto dinanzi ai +piedi. Ti pare senza valore, ma se gli presterai attenzione vedrai che questo +frutto ha il sapore del sole, un sapore che non ti potresti nemmeno sognare. +Emana un profumo che confonde i tuoi sensi e ti fa sognare di roseti, di un +dolce vinello e di palme mormoranti. E tu, trasognato, tieni in mano +quest’unico frutto, e vorresti l’intero albero su cui esso è cresciuto, e il +giardino in cui si trova quest’albero e il sole che ha dato vita al giardino. +E tu stesso vorresti essere quel solitario che attraversa insieme al sole i suoi + giardini, indugiando con lo sguardo su pergolati di ௬oriture a cascata e +s௬orando con la mano le messi copiose, mentre il suo respiro s’inebria della +fragranza di mille rose. +Stordito dal sole ed ebbro di vino novello, ti poni a riposare in antichissime +tombe, le cui pareti risuonano di molte voci e ri௭ettono i molteplici colori di +mille anni di sole trascorsi. +Quando sei desto, vedrai tornare in vita tutto ciò che è stato; / [Foglio 20 / 21] +se invece dormi, riposerai come tutto ciò che è stato e i tuoi sogni ti +recheranno l’eco sommessa di inni cantati in templi lontani. +Tu sprofondi nel sonno attraverso i mille anni solari e ridestandoti torni a +ria௮orare dai mille anni solari, e i tuoi sogni, ricolmi di antico sapere, ornano +le pareti del tuo riparo per la notte. +E vedi anche te stesso nel tutto. +Siedi, appoggiato alla parete, e osservi la bella ed enigmatica totalità. La +summa52 sta davanti a te come un libro aperto, e ti coglie un’indicibile avidità di +divorarla. Perciò appoggi la schiena e resti a lungo seduto, immobile. Sei +totalmente incapace di comprendere. Di tanto in tanto balugina una luce, di +tanto in tanto da un alto albero cade un frutto che tu puoi raccogliere, di tanto in +tanto il tuo piede inciampa nell’oro. Ma che cos’è tutto questo se lo confronti +con la totalità che si espande tangibile davanti a te? Allunghi la mano, che però +resta impigliata in reti invisibili. Vuoi vedere più nitidamente, ma ecco che +subito si frappone un velo torbido e opaco. Vorresti strapparne via un lembo, ma +è scivoloso e impenetrabile come lucido metallo. Perciò ricadi addosso alla +parete e, dopo aver strisciato attraverso tutti i crogioli ardenti dell’inferno della +disperazione, torni a sederti, appoggi la schiena e osservi il miracolo della +summa che si spalanca dinanzi a te. Di tanto in tanto balugina una luce, di tanto +in tanto cade un frutto. Per te è tutto troppo poco. Ma cominci ad accontentarti +e non ti accorgi degli anni che passano. Che cosa sono gli anni? Per colui che +siede sotto l’albero che cos’è mai il tempo che incalza? Il tuo tempo trascorre in +un soffio, e tu aspetti la prossima luce, il prossimo frutto. +La Scrittura sta davanti a te e dice sempre le stesse cose, se dai credito alle +parole. Se invece credi alle cose, al cui posto sono messe solo parole, non +arriverai mai alla ௹ne. E tuttavia devi percorrere la strada in௹nita, poiché la +vita non scorre su una via de௹nita, ma su una strada illimitata. La mancanza di +limiti ti53 fa però paura perché è spaventosa e la tua umanitàvi si ribella; perciò +cerchi limiti e restrizioni, per non perderti barcollando nell’in௹nito. Una +delimitazione diviene per te indispensabile. Per sottrarti alla scon௹nata +molteplicità di signi௹cati, reclami a gran voce la parola dotata di un unico +signi௹cato e di quello soltanto. La parola diventa il tuo dio, perché ti protegge +dalle innumerevoli possibilità d’interpretazione. La parola è una magia + protettiva contro i demoni dell’in௹nito, che vogliono lacerare la tua anima e +disperderla ai quattro venti. Sei salvo se puoi esclamare in௹ne: questo è questo +e soltanto questo. Pronunci la parola magica, e ciò che è scon௹nato viene ௹ssato +nella sfera di ciò che è finito. Per questo gli uomini cercano e creano parole.54 +Chi infrange il baluardo della parola detronizza gli dèi e profana i templi. Il +solitario è un assassino. È l’assassino del popolo, perché pensa e così facendo +infrange antiche mura consacrate. Richiama i demoni di ciò che è scon௹nato. Lui +sta seduto, appoggia la schiena e non guarda né sente i gemiti degli uomini in +preda alla terribile e ardente ebbrezza. E tuttavia non riesci a trovare le parole +nuove, se non distruggi quelle vecchie. Ma nessuno ha il diritto di distruggere le +vecchie parole ௹nché non trova la parola nuova, che è un saldo baluardo contro +quel che non ha con௹ni e comprende in sé più vita della parola vecchia. Una +parola nuova è un dio nuovo per l’uomo vecchio. L +’uomo rimane sempre lo +stesso, anche se tu gli crei nuovi modelli di divinità. Resta un imitatore. Ciò che +era parola deve farsi uomo. La parola ha creato il mondo ed esisteva prima del +mondo. Risplendeva come una luce nella tenebra, e la tenebra non l’ha +compresa.55 Deve dunque nascere quella parola che la tenebra possa +comprendere. Infatti a che serve la luce, se la tenebra non la comprende? Ma la +tua tenebra dovrà cogliere la luce. +Il dio delle parole è freddo e morto, e risplende distante come la luna, +misterioso e inaccessibile. Fa’ che la parola ritorni al suo / [Foglio 21 / 22] +creatore, cioè l’uomo, e la parola verrà elevata all’uomo. L +’uomo sia luce, limite, +misura. Sia esso il vostro frutto verso cui tendete la mano con desiderio. La +tenebra non comprende la parola, ma comprende l’uomo, e lo comprende perché +fa parte lui stesso della tenebra. Non si discende all’uomo dalla parola, bensì +dalla parola si sale all’uomo; questo capisce la tenebra. La tenebra è tua madre; +le si addice riverenza, perché la madre è pericolosa. Ha potere su di te, giacché +ti ha generato. Onora la tenebra, come onori la luce, e rischiarerai la tua +tenebra. +Se comprendi la tenebra, essa ti prende. Arriva su di te come la notte, con le +sue ombre turchine e miriadi di astri lucenti. Silenzio e pace scenderanno su te, +non appena cominci a comprendere la tenebra. Solo colui che non comprende la +tenebra teme la notte. Attraverso la comprensione di ciò che in te è tenebroso, +notturno, abissale, diventi semplice. E ti prepari a dormire attraverso i millenni, +come chiunque altro, e nel sonno sprofondi nel grembo dei millenni e dalle pareti +attorno a te risuonano gli antichi inni dei templi. Semplice è infatti ciò che è +sempre stato. Il silenzio e la notte turchina distendono il loro manto su di te, +mentre tu sogni nel sepolcro dei millenni. + [L’anacoreta] +Cap. V. Dies II56 +[IF, 22] 57Mi desto,58 il giorno tinge di rosso l’Oriente. Mi lascio alle spalle la +notte, una notte singolare, nelle più remote profondità del tempo. In quali spazi +lontani sono stato? Che cosa ho sognato? Di un cavallo bianco? Mi pare di averlo +scorto nel cielo, a Oriente, al di sopra del sole nascente. Il cavallo mi parlava: +cosa diceva? Diceva: «Salve a colui che è nell’oscurità, perché è giunto a lui il +giorno». C’erano quattro cavalli bianchi, dalle ali dorate. Trainavano il carro del +sole, dov’era ritto Helios, con il capo ௹ammeggiante.59 Io mi trovavo in basso, +nella forra, attonito e sbigottito. Mille serpenti neri si a௸rettavano a strisciare +nelle +loro +tane. +Helios +saliva +percorrendo +le +ampie +vie +del +cielo. +M’inginocchiavo, alzavo le mani in atto di preghiera e gridavo: «Donaci la tua +luce, oh tu dai ricci di fuoco, tu cinto, croci௹sso e risorto, donaci la tua luce, la +tua luce!». E a questo grido mi destai. Non diceva forse Ammonio ieri sera: +«Non dimenticare le tue preghiere mattutine al levar del sole»? Pensai che forse +egli adorasse segretamente il sole. / [Foglio 22 / 23] +Fuori spira una fresca brezza mattutina. Dalle rocce scendono sottili rivoli di +sabbia dorata. Il rosso si spande in cielo e vedo i primi raggi lanciati nel +௹rmamento. Tutt’intorno una solenne quiete e solitudine. Ed ecco una grossa +lucertola, immobile su un sasso, ad aspettare il sole. Rimango come incantato e +a stento mi ricordo di quel che era successo ieri e in particolare delle parole di +Ammonio. Già, che cosa aveva detto? Che le sequenze di parole hanno molti +signi௹cati e che Giovanni ha portato il ΛΟΓΟΣ agli uomini. Ma questo non suona +propriamente cristiano. Che sia uno gnostico?60 No, la cosa mi pare impossibile +perché essi erano forse i peggiori tra gli adoratori di parole-idolo, come direbbe +lui. +Il sole... Che cosa mi riempie di una simile intima esultanza? Non devo +dimenticare la mia preghiera mattutina... Ma dov’è la mia preghiera mattutina? +Caro sole, io non ho preghiere, perché non so come ci si deve rivolgere a te. +Adesso ho pregato il sole, ma probabilmente Ammonio intendeva dire che allo +spuntare del dì dovrei rivolgere le mie preghiere a Dio. Forse non sa che noi non +abbiamo più preghiere. Come può avere un’idea della nostra nudità e povertà? +Ma dove sono ௹nite le nostre preghiere? Qui mi mancano. Dev’essere colpa del +deserto. Qui ci vorrebbero proprio delle preghiere. Questo deserto è poi così +brutto? Non credo sia peggiore delle nostre città. Ma perché lì non preghiamo? +Devo guardare verso il sole, come se lui c’entrasse in qualche modo. Ahimè!... +Sogni ancestrali dell’umanità, a essi non è mai possibile sottrarsi. +Che farò di questa lunga mattinata? Non capisco come Ammonio abbia potuto +sopportare questa vita, fosse pure per un anno solo. Cammino avanti e indietro +nel letto disseccato del ௹ume e in௹ne mi siedo su uno spuntone di roccia. Di + fronte a me c’è qualche ciu௸o di erba ingiallita. In mezzo vi striscia un piccolo +coleottero scuro che spinge davanti sé una pallina: uno scarabeo.61 Caro +animaletto, sei sempre intento a vivere il tuo bel mito? Con quanta serietà e +alacrità lavora! Se solo tu avessi idea di rappresentare un antico mito, la +smetteresti di fantasticare, così come anche noi uomini abbiamo rinunciato a +mettere in scena la mitologia. +Le cose irreali vengono a nausea. È vero che quanto dico può suonare curioso +in questo luogo, e il buon Ammonio non sarebbe certamente d’accordo. Che cosa +sto cercando qui, in realtà? No, non lo voglio condannare in anticipo, perché non +ho neppure capito realmente che cosa egli pensi davvero. Ha il diritto di essere +ascoltato. Del resto ieri la pensavo diversamente, gli ero persino molto grato +che volesse istruirmi. Ecco che mi pongo di nuovo in modo critico e superiore, +sono dunque sulla buona strada per non imparare nulla. I suoi pensieri non sono +a௸atto così malvagi, anzi, li direi persino buoni. Non so perché voglio sempre +sminuire quell’uomo. +Caro coleottero, dove sei finito? Non ti vedo più... Oh, sei già arrivato là con la +tua mitica pallina. Questi animaletti insistono su quel che fanno, ben +diversamente da noi: non hanno dubbi né titubanze, non cambiano idea. Questo +succede forse perché stanno vivendo il loro mito? +Amato scarabeo, padre mio, io ti onoro, benedetto sia il tuo lavoro… in +eterno… Amen. +Che idiozie sto dicendo? Sto adorando un animale… Dev’essere colpa del +deserto. Sembra imperiosamente esigere preghiere. +Com’è bello qui! La tinta rossiccia delle pietre è stupenda; ri௺ettono l’ardore +di centomila soli passati... Questi granelli di sabbia si sono rivoltolati in mitici +mari dei primordi e al di sopra di essi nuotavano mostri ancestrali di forme +inaudite. Dov’eri tu, uomo, in quei giorni? Su questa calda sabbia, come bambini +appoggiati alla madre, si stendevano i tuoi infantili antenati animali. +O madre pietra, io ti amo, mi stringo al tuo caldo corpo, io che sono il tuo +bambino tardivo. Che tu sia benedetta, o antichissima madre. / [Foglio 23 / 24] +Tuo è il mio cuore e tue sono ogni gloria e potere. Amen. +Che sto dicendo? È stato il deserto. Come tutto mi appare animato! Questo +luogo è davvero mostruoso. Queste pietre... ma saranno pietre? Sembra che si +siano ritrovate qui intenzionalmente. Sono allineate come una colonna di soldati. +Si sono scaglionate a seconda del taglio, le più grandi procedono isolate, le +piccole serrano i ranghi e si raccolgono a formare una schiera che precede le +grandi. Qui le pietre formano stati. +Sogno o son desto? C’è un caldo torrido... Il sole è già alto... Come volano le + ore! Davvero, la mattina è già passata... E com’è stata sorprendente. È il sole, +sono le pietre viventi oppure è il deserto a farmi ronzare la testa? +Risalgo la valle, e presto raggiungo la capanna dell’anacoreta. Sta seduto sulla +stuoia, perduto in profonda meditazione. +Io: «Eccomi, padre mio». +A: «Come hai passato la mattinata?». +Io: «Mi ero meravigliato quando ieri hai detto che il tempo ti scorre veloce. +Non ti chiederò più nulla, e non mi stupirò più di questo. Ho imparato molto. Ma +quanto basta a far sì che tu rappresenti per me un enigma ancora più grande di +prima. Chissà quali esperienze fai tu nel deserto, uomo stupendo! Persino le +pietre ti parleranno». +A: «Sono lieto che tu abbia imparato a capire qualcosa della vita +dell’anacoreta. Questo faciliterà il nostro arduo compito. Non voglio +immischiarmi nei tuoi segreti, ma sento che tu vieni da un mondo a me estraneo, +che non ha nulla da spartire col mio». +Io: «Dici il vero. Qui sono straniero, più straniero di chiunque tu abbia mai +visto. Persino un abitante delle più remote coste della Britannia ti sarebbe più +familiare di me. Abbi dunque pazienza, maestro, e lasciami dissetare alla fonte +della tua saggezza. Anche se siamo circondati da un deserto riarso, da te ௺uisce +un’invisibile corrente d’acqua viva». +A: «Hai detto le tue preghiere?». +Io: «Maestro, perdonami. Ho tentato, ma non ne ho trovate. Però ho sognato +di pregare il sole nascente». +A: «Non darti pena per questo. Anche se non hai trovato parole, l’anima tua ha +scoperto parole ineffabili per salutare il giorno nascente». +Io: «Ma era una preghiera pagana rivolta a Helios». +A: «Fa’ che ti basti». +Io: «Io però, o maestro, non solo ho pregato in sogno il sole ma, nella mia +svagatezza, ho pregato anche lo scarabeo e la terra». +A: «Non meravigliarti di nulla, e non condannare né deplorare questo fatto. +Mettiamoci al lavoro. Hai qualche domanda a proposito della nostra +conversazione di ieri?». +Io: «Ieri ti ho interrotto mentre stavi parlando di Filone. Volevi piegarmi che +cosa intendi con il molteplice significato delle sequenze di parole». +A: «Adesso vorrei raccontarti di come fui liberato dal tremendo viluppo delle +ragnatele di parole. Una volta venne da me un liberto di mio padre che mi si era +affezionato sin dalla mia infanzia, e mi parlò in questo modo: +“O Ammonio... stai bene?”. +“Certo”, dissi. “Come vedi, sono un uomo colto e ho grande successo”. +Lui: “Voglio dire, sei felice e ti senti vivo?”. +Io feci una risata: “Lo vedi che va tutto bene”. + Al che il vecchio replicò: “Ho visto come facevi lezione. Sembravi preoccupato +del giudizio del tuo pubblico. Intessevi il discorso di battute spiritose per +ingraziarti gli uditori. Facevi uso di molte dotte locuzioni per impressionarli. Eri +inquieto e frettoloso, come se dovessi ancora ghermire tutto il sapere. Tu non +sei in te”. +Sebbene queste parole mi paressero a tutta prima ridicole, tuttavia +m’impressionarono e dovetti, / [Foglio 24 / 25] sia pur controvoglia, dar ragione al +vecchio, perché ce l’aveva. +Allora lui disse: “ +Ammonio caro, ho in serbo per te una notizia stupenda: Dio +s’è fatto carne nel figlio suo e ha portato la salvezza a tutti noi”. +“Che cosa dici?”, esclamai. “Intendi forse parlare di Osiride62 che, come +dicono, appare in un corpo mortale?”. +“No”, disse lui. “Quest’uomo è vissuto in Giudea ed era nato da una vergine”. +Io risi e replicai: “Lo so già; un commerciante ebreo ha portato in Giudea la +notizia della nostra regina vergine, che vedi ra௻gurata sulla parete di uno dei +nostri templi, e l’ha raccontata come una fiaba”. +“No”, insistette il vecchio. “Era il figlio di Dio”. +“Allora vuoi dire Horus, il figlio di Osiride”,63 risposi. +“No, non era Horus, bensì un vero uomo che fu appeso alla croce”. +“ +Ah, allora intendi forse Seth, la cui punizione è stata spesso descritta dagli +antichi”. +Il vecchio rimase però fermo nella sua convinzione e disse: “È morto e il terzo +giorno è risuscitato”. +“Dunque è senza dubbio Osiride”, incalzai impaziente. +“No”, esclamò. “Si chiamava Gesù, l’Unto del Signore”. +“Ah, vuoi dire il Dio dei giudei venerato dal popolino al porto e di cui celebrano +i loschi misteri in luoghi sotterranei?”. +“Era uomo, eppure figlio di Dio”, disse il vecchio fissandomi. +“Questa è un’assurdità, caro vecchio”, dissi mettendolo alla porta. Ma come +un’eco che rimbalza da lontane pareti rocciose, quelle parole tornarono a +risuonare in me: uomo eppure ௹glio di Dio. Mi parvero importanti e furono +queste le parole che mi condussero al cristianesimo». +Io: «Ma non pensi che il cristianesimo potrebbe essere, alla ௹n ௹ne, una nuova +configurazione della vostra dottrina egizia?». +A: «Se dici che le nostre vecchie dottrine erano espressioni meno adeguate del +cristianesimo, allora sono abbastanza d’accordo con te». +Io: «Sì, ma allora supponi che la storia delle religioni sia diretta a una meta +finale?». +A: «Una volta mio padre comprò al mercato uno schiavo nero, originario della +regione che si trova alle sorgenti del Nilo. Veniva da una terra che non aveva +mai sentito parlare né di Osiride né di altri nostri dèi, e mi raccontò eventi che + in un linguaggio più semplice esprimevano le medesime cose che noi credevamo +di Osiride e degli altri dèi. Ho imparato a capire che quei neri non istruiti +possedevano, senza saperlo, la maggior parte delle credenze che le religioni dei +popoli civilizzati hanno elaborato in una dottrina compiuta. Chi dunque riuscisse +a leggere quel linguaggio nel giusto senso potrebbe riconoscervi non soltanto le +dottrine pagane, ma anche l’insegnamento di Gesù. E questo è il tema di cui mi +sto occupando ora: leggo i Vangeli e ne cerco il loro senso a venire. Il loro +signi௹cato, perlomeno quello apparente, lo conosciamo, non ne conosciamo +invece il signi௹cato segreto che rimanda al futuro. È un errore credere che le +religioni di௸eriscano nella loro essenza più profonda. In fondo è sempre e +soltanto un’unica religione. Ogni nuova forma religiosa dà senso a quella che l’ha +preceduta». +Io: «E tu hai scoperto il significato che ha da venire?». +A: «No, non ancora. È molto di௻cile, ma spero di riuscirci. A volte mi pare di +aver bisogno della sollecitazione di altri; ma queste sono tentazioni di Satana, lo +so». +Io: «Non credi che quest’opera potrebbe andar meglio se fossi più vicino agli +uomini?». +A: «Forse hai ragione». +All’improvviso mi ௹ssa con aria dubbiosa e di௻dente. E aggiunge: «Ma io amo +il deserto, capisci? Questo deserto giallo, infuocato dal sole. Qui vedi ogni giorno +il volto del sole, qui sei solo. Qui vedi il glorioso Helios... No, questo è pagano... +Che mi sta succedendo? Sono confuso... Tu sei Satana... Ti riconosco... +Allontanati da me, avversario!». / [Foglio 25 / 26] +Balza in piedi come impazzito e vuole saltarmi addosso. Ma io sono ben +lontano, nel XX secolo.64 +[2] [IC, 26] Chi riposa nel sepolcro dei millenni fa un sogno magni௬co. Fa un +sogno antichissimo. Sogna il sole nascente. +Se in quest’epoca del mondo tu dormi questo sonno e sogni questo sogno, +saprai anche che in questo tempo sorgerà il sole. Ora ci troviamo ancora +nell’oscurità, ma il giorno sta per arrivare. +Colui che ha compreso la tenebra che è in lui è prossimo alla luce. Colui che +si cala nella propria tenebra giungerà al sorgere della luce potente di Helios +dai riccioli di fuoco. +Il suo carro sale trainato da quattro bianchi destrieri, e sulla schiena non +porta una croce, né ha ferite al costato; è sano, e il suo capo arde nella fiamma. +Non è l’Uomo dello scherno, ma uno che è circonfuso di splendore e di +indubitabile potenza. +Non so cosa dico, sto parlando in sogno, sorreggimi perché barcollo, ebbro +di fuoco. + Questa notte ho bevuto fuoco, poiché sono disceso attraverso i millenni e mi +sono tuffato a capofitto nel sole. +E sono riemerso ebbro di sole, col volto bruciante e il capo in fiamme. +Dammi la mano, una mano umana, ché possa ancorarmi / [Foglio 26 / 27] alla +terra, poiché le ruote di fuoco roteanti mi lanciano in alto, e un impeto di +esultanza mi scaraventa allo zenith. +Ma si fa giorno, vero giorno, il giorno di questo mondo. E io resto nascosto +nella profonda forra della terra, nel punto più basso e solitario, nell’ombra +vespertina della valle. Questa è l’ombra e la pesantezza della terra. +Come posso pregare il sole che, lontano, sorge a Oriente sul deserto? Perché +devo rivolgere a lui le mie preghiere? L +’ho già assorbito in me; perché mai +dovrei pregare? Ma il deserto, il deserto in me esige preghiere, giacché il +deserto vuole saziarsi di ciò che è vivo. Vorrei chiederlo a Dio, al sole o a +qualcuno degli altri immortali. +Lo chiedo perché sono vuoto e mendico. Alla luce del mondo dimentico di aver +bevuto del sole, ebbro di luce vigorosa e di forza ardente. Ma sono entrato nelle +ombre della terra e ho visto che sono nudo e non ho di che coprire la mia +indigenza. Non appena s௹ori la terra, per la tua vita interiore non v’è scampo; +fugge da te nelle cose. +E una strana vita aleggia nelle cose. Quel che credevi morto e inanimato svela +una vita segreta e un tacito, inesorabile intento. Sei finito in un ingranaggio dove +ogni cosa va per la sua strada con strani movimenti accanto a te, sopra e sotto +di te, e attraverso di te, per௹no le pietre ti parlano, e ௹li magici s’intessono da te +alle cose e dalle cose a te. Ciò che è lontano e vicino ti in௺uenza, e +misteriosamente tu in௺uisci su ciò che è vicino e lontano, e sempre ti ritrovi +preda inerme. +Se però osservi bene, vedrai quel che non hai mai veduto prima, ossia che le +cose vivono la tua vita, che si nutrono di te: i ௹umi portano a valle la tua vita, +grazie alla tua forza rotola una pietra sull’altra, anche piante e animali crescono +attraverso di te e sono causa della tua morte. Una foglia danzante nel vento ti fa +danzare, l’animale irrazionale65 indovina i tuoi pensieri e ti rappresenta. La +terra intera trae alimento dalla tua vita e ogni cosa ti rispecchia. +Nulla accade in cui tu non sia coinvolto in una segreta maniera, perché tutto si +è disposto intorno a te e riproduce il tuo lato più intimo. Nulla in te è celato alle +cose, per quanto esso sia remoto, prezioso, segreto. Le cose lo possiedono. Il +tuo cane ti ruba il padre da molto tempo defunto e ti guarda come faceva lui. La +mucca sul prato ha intuito tua madre e ti incanta con la sua calma e sicurezza. +Le stelle si sussurrano i tuoi più intimi segreti e le morbide valli della terra ti +accolgono in un grembo materno. +Come un bimbo smarrito ti trovi, misero, in mezzo ai potenti che reggono i ௹li + della tua vita. Invochi aiuto e ti aggrappi alla prima persona che incontri. Forse +ti sa consigliare, forse conosce il pensiero che non hai e che tutte le cose hanno +succhiato da te. +So che vorresti sentire notizie di chi non è stato vissuto dalle cose, ma che ha +vissuto e si è realizzato. Tu sei infatti un ௬glio della terra, succhiato dalla terra +che succhia, che da sé non sa far nulla ma che succhia soltanto del sole. Perciò +vorresti avere la buona novella del ௬glio del sole che irradia e non succhia. / +[Foglio 27 / 28] +Del Figlio di Dio vorresti udire, di colui che irradiava luce e dava, che +generava, e dal quale rinascevano creature, così come la terra partorisce al +sole rampolli verdi e variopinti. +Di lui vorresti udire, del raggiante Redentore che, in quanto ௬glio del sole, +ha reciso le reti della terra, ha lacerato i ௬li magici e liberato quanto era +legato; che era padrone di sé e servo di nessuno, che non ha succhiato nessuno +e il cui tesoro nessuno ha potuto esaurire. +Di lui vorresti udire, lui che non fu oscurato dall’ombra della terra ma la +rischiarò, che vide i pensieri di tutti e i cui pensieri nessuno indovinò, che +conteneva in se stesso il senso di tutte le cose, mentre non v’era cosa che +potesse esprimere il suo. +Il solitario fuggiva il mondo, chiuse gli occhi, si tappò le orecchie e si seppellì +in se stesso dentro una caverna, ma ciò non servì a nulla. Il deserto lo aveva +risucchiato interamente. La pietra diceva i suoi pensieri, la caverna +riecheggiava i suoi sentimenti, e così lui stesso divenne deserto, pietra e +caverna. E tutto era vacuità, deserto, impotenza e sterilità, poiché egli non +irraggiava e rimaneva un ௹glio della terra che succhiava un libro mentre veniva +lui stesso interamente svuotato dal deserto. Era desiderio, ma non splendore, +tutto terra e niente sole. +Perciò stava nel deserto come un santo accorto che ben sa che altrimenti non +si distinguerebbe dagli altri ௹gli della terra. Se avesse bevuto di se stesso, +avrebbe bevuto fuoco. +Il solitario andò nel deserto per trovare se stesso, ma non desiderava trovare +se stesso, bensì il molteplice signi௹cato del libro sacro. Tu puoi assorbire in te +l’immensità del piccolo e del grande, e ti svuoterai ancora di più, sempre di più, +poiché l’infinita pienezza e il vuoto infinito sono la stessa cosa.66 +Desiderava trovare all’esterno ciò di cui aveva bisogno, ma il molteplice +signi௹cato puoi trovarlo soltanto dentro di te, non nell’oggetto, perché la +molteplicità di signi௹cati non è data contemporaneamente, ma è una sequenza. I +signi௹cati che si succedono gli uni agli altri non si trovano nelle cose, ma in te, +che sei soggetto a molti cambiamenti in quanto partecipi alla vita. Anche le cose +cambiano, ma non te ne accorgi se non cambi anche tu. Se però tu cambi, si + trasforma anche il volto del mondo. Il senso molteplice delle cose è il tuo senso +molteplice. Non serve a nulla volerlo penetrare nelle cose. E perciò il solitario +andò nel deserto, ma non esplorò se stesso, bensì l’oggetto. +Perciò gli accadde quel che accade a ogni solitario, quando nutra dei desideri: +il Diavolo venne da lui con un discorso ௺uente e una motivazione logica e seppe +dire la parola giusta al momento giusto. Lo indusse a seguire il suo desiderio. Io +dovetti apparirgli in veste di Diavolo, perché avevo accolto la mia tenebra. Ho +mangiato terra e bevuto sole, e sono divenuto un albero verdeggiante che si +erge e cresce in solitudine.67/ [Foglio 28 / 29] + La Morte68 +[IF, 29] +Cap. VI +La notte seguente69 mi spinsi verso un paese nordico e mi ritrovai sotto un +cielo bigio, in un’aria brumosa, umida e fredda. Mi dirigo verso quei bassopiani +dove i ௹umi dal pigro corso si avvicinano al mare formando ampi e lucenti +specchi d’acqua, dove ogni impeto della corsa si smorza sempre più e tutta +l’energia e la tensione si sposano alla scon௹nata distesa del mare. Gli alberi si +fanno radi, ampi prati paludosi si a௻ancano all’acqua cheta e torbida, scon௹nato +e deserto è l’orizzonte, coperto di nuvole grigie. Lentamente, tenendo il ௹ato +sospeso, e in trepida e ansiosa attesa di ciò che spumeggiando turbolento si +gettava nell’in௹nito, seguo mia sorella acqua. Sommesso e quasi impercettibile è +il suo ௺uire, e tuttavia ci avviciniamo senza sosta al beato e supremo abbraccio, +per +entrare +nel +grembo +delle +origini, +nell’espansione +scon௹nata +e +nell’incommensurabile profondità. Là si levano basse colline giallognole, ai cui +piedi si stende un grande lago morto. Costeggiandole, proseguiamo a rilento, +௹nché le colline si aprono, mostrando nelle luci del tramonto un orizzonte +indicibilmente remoto dove cielo e mare si fondono nell’infinito. +Lassù, sull’ultima duna, sta ritta una ௹gura avvolta in un nero mantello +drappeggiato; immobile, scruta in lontananza. Mi accosto a lei; è magra, pallida, +e nei suoi lineamenti si legge un’estrema serietà. Le parlo e le dico: «Fammi +stare un momento con te, o tenebrosa. Ti conoscevo di lontano. Soltanto una +come te se ne può restare solitaria, come fai tu, nell’angolo più remoto della +terra». +Rispose: «Straniero, rimani pure qui da me, se non geli. Vedi bene che sono +fredda e che nel mio petto non ha mai pulsato un cuore». +«Lo so. Tu sei di ghiaccio e sei la ௹ne, tu sei la fredda quiete della pietra, la +più alta neve sui monti e il gelo più intenso degli spazi siderali. È questo che +devo provare, e perciò ho da starti vicino». +«Che cosa ti conduce a me, tu che sei materia palpitante? I viventi non +bazzicano mai da queste parti. Davanti a me scorrono, mesti, in ௹tte schiere +tutti coloro che hanno preso commiato lassù nel regno del giorno chiaro, / [Foglio +29 / 30] per mai più tornare. Ma di viventi non ne vengono mai. Cosa vai cercando +qui?». +«Il mio cammino strano e inatteso mi ha condotto ௹n qui, mentre seguivo pieno +di speranza il percorso delle correnti della vita. E così ti ho trovata. In questo +luogo sei forse a casa tua e al posto giusto?». +«Sì, qui si procede nel regno dell’indistinguibile, dove nessuno è uguale o +diverso dall’altro, ma tutti formano una cosa sola gli uni con gli altri. Vedi quel +che si sta avvicinando laggiù?». + «Vedo come un’oscura cortina di nubi fluttuanti sul fiume». +«Osserva meglio: che cosa distingui?». +«Vedo legioni compatte di uomini, vecchi, donne, bambini. In mezzo a loro +vedo cavalli, buoi e animali più piccoli; un nugolo di insetti sciama tutt’intorno... +Un’intera selva viene avanti sui ௺utti, ௹ori appassiti senza numero... Un’intera +estate defunta. Già son vicini, han tutti lo sguardo ௹sso e gelido... Non muovono +i piedi e dalle loro ௹la compatte non esce alcun suono. Si tengono, rigidi, con le +mani e le braccia, guardano davanti a sé e non si curano di noi... Scorrono +avanti in enormi fiumane. O tenebrosa, che orribile visione!». +«Sei tu che hai voluto restarmi accanto, calmati. Ma adesso guarda!». +Vedo: «Le prime ௹le sono giunte là dove l’onda della risacca si mescola +possente all’acqua del ௹ume. Una tromba d’aria pare ora volersi rovesciare, +sollevando il mare, sulla ௹umana dei morti. Vengono risucchiati per aria, +svolazzano lacerati in neri brandelli, per poi dissolversi in fosche nubi di +caligine. Un’onda dopo l’altra viene avanti e sempre nuove schiere si disfano +nell’aria nera. O tenebrosa, dimmi: è questa la fine?». +«Guarda!». +Il mare oscuro si agita con veemenza... Comincia a di௸ondersi un chiarore +rossastro... È come sangue... Un mare di sangue spumeggia ai miei piedi... Il +profondo del mare divampa... Mi sento strano... Sono forse sospeso con i piedi +per aria? È il mare o il cielo? Si sta formando una palla di sangue e fuoco... Una +luce rossa esplode dal suo involucro fumoso... Un nuovo sole si libera dal mare +di sangue e rotola divampando verso l’abisso più profondo... e scompare sotto i +miei piedi.70 +Mi guardo intorno. Sono solo. S’è fatta notte. Che cosa diceva Ammonio? La +notte è il tempo del tacere. +[2] [IC, 30] Mi guardai attorno e vidi che la solitudine si dilatava all’in௹nito e +mi compenetrava con un gelido brivido. Ancora ardeva in me il sole, ma sentivo +di stare entrando nella grande ombra. Seguo la corrente che lenta e tenace +trova la via verso il profondo, verso l’abisso di quel che stava per arrivare. +Così proseguii quella notte (era la seconda notte del 1914) e fui colto da un +senso di attesa angosciante. Andavo avanti ad abbracciare gli eventi che +stavano per arrivare. La strada era lunga e orribile, era ciò che stava per +arrivare. Erano morti senza ௹ne, un mare di sangue, ciò che vidi. Di lì nasce il +nuovo sole, terribile, rovescio di quello che chiamavamo giorno. Abbiamo preso +possesso della tenebra e il suo sole splenderà su di noi, sanguinolento e +infuocato come un grande tramonto. +Quando a௸errai la mia tenebra, sopra il mio capo calò la notte splendida e +magica, il mio sogno mi proiettò nelle profondità dei millenni e di lì sorse la mia +fenice. +Ma che cos’è capitato del mio giorno? Si accesero ௹accole incendiarie, + divamparono – cruente – l’ira e la discordia. Quando la tenebra s’impossessò del +mondo, si scatenò l’orribile guerra e la tenebra cancellò la luce del mondo, +poiché essa era incomprensibile alla tenebra e non serviva più. Dovemmo quindi +assaporare l’inferno. +Vidi in quali vizi si trasformavano le virtù del nostro tempo, vidi la tua dolcezza +tramutarsi in durezza, la tua bontà in brutalità, il tuo amore in odio e la tua +ragione in delirio. Perché mai hai voluto a௸errare la tenebra! Ma hai dovuto +farlo, altrimenti ti avrebbe ghermito lei. Fortunato chi afferra per primo! +Pensavi forse al male in te? Oh, tu ne parlavi, lo menzionavi e lo ammettevi +sorridendo come un vizio comune agli uomini, oppure come un fraintendimento +ricorrente. Ma tu sapevi / [Foglio 30 / 31] che cos’è veramente il male e sapevi che +sta appiccicato alle tue virtù, che è esso stesso persino una tua virtù, in quanto +suo inevitabile contenuto?71 Hai chiuso Satana nell’abisso per un millennio, e +quando fu trascorso il millennio hai riso di lui, perché era diventato una favoletta +per bambini.72 Quando però colui che è terribilmente grande solleva il capo, il +mondo trema. Allora senti scendere il gelo più estremo. Con orrore scopri di +essere indifeso e che la schiera delle tue virtù cade in ginocchio, impotente. Con +forza demoniaca il male s’impossessa di te e le tue virtù passano al suo servizio. +In questa lotta sei completamente solo, perché i tuoi dèi sono divenuti sordi. +Non sai più quali siano i diavoli peggiori, se i tuoi vizi o le tue virtù. Di una cosa +però sarai certo: che virtù e vizi sono fratelli. +73Per vederci chiaro ci è necessario il rigore della morte. La vita vuole vivere +e morire, iniziare e ௹nire.74 Non sei obbligato a vivere in eterno, ma puoi anche +morire, perché c’è in te la volontà per tutt’e due. Vita e morte devono bilanciarsi +nella tua esistenza.75 +Gli uomini odierni hanno bisogno di un’ampia porzione di morte, perché in loro +vivono troppe cose ingiuste, e troppe cose giuste muoiono in loro. Giusto è ciò +che mantiene l’equilibrio, sbagliato ciò che lo turba. Ma una volta che +l’equilibrio sia raggiunto, allora è sbagliato ciò che mantiene l’equilibrio, e +giusto ciò che lo turba. Equilibrio è vita e morte allo stesso tempo. Per la +completezza della vita ci vuole un equilibrio con la morte. Se accetto la morte, il +mio albero rinverdisce, perché il morire esalta la vita. Quando mi sprofondo +nella morte che abbraccia il mondo intero, allora sbocciano i miei germogli. +Quanto la nostra vita ha bisogno della morte! +Proverai la gioia delle piccole cose solo se avrai accettato la morte. Se invece +ti guardi intorno avidamente in cerca di tutto ciò che potresti ancora vivere, +allora nulla sarà mai grande abbastanza per il tuo piacere, le piccole cose che +costantemente ti circondano non ti daranno più gioia. Contemplo perciò la +morte, perché essa mi insegna a vivere. +Se accogli in te la morte, essa è come una notte di brina e un presagio di +sgomento, ma è una notte di brina che scende su un vigneto ricolmo di dolci + grappoli.76 Presto sarai felice della tua ricchezza. La morte fa maturare.77 C’è +bisogno della morte per poter raccogliere i frutti. Senza la morte la vita non +avrebbe senso, perché ciò che dura a lungo torna a eliminarsi da solo e nega il +proprio signi௹cato. Per esistere e godere della tua esistenza ti è necessaria la +morte, e questa limitazione ti consente di portare a compimento la tua +esistenza. +[IC, 31] Quando scorgo la miseria e l’assurdità del mondo ed entro perciò a +capo coperto nella morte, allora tutto quel che vedo si trasformerà forse in +ghiaccio, ma nel regno delle ombre sorge l’altro sole, quello rosso.78 Si leva in +segreto e inaspettato e, come un’apparizione satanica, il mio mondo si +capovolge. Presagisco sangue e assassinio. Solo il sangue e l’assassinio sono +ancora sublimi e hanno la loro particolare bellezza. Si può ammettere la +bellezza di un atto di violenza sanguinario. +Ma ad a௻orare in me sono le cose inaccettabili, terribilmente ripugnanti, che +ho sempre respinto. Infatti, quando cessano lo stato miserevole e la povertà di +questa vita, incomincia un’altra vita nel segno di ciò che mi è opposto. È +talmente opposto che non riesco neppure a immaginarmelo. Infatti non è +opposto secondo le leggi della ragione, ma in assoluto e secondo la sua stessa +natura. Anzi, non è semplicemente contrapposto, bensì ripugnante, ripugnante in +maniera impercettibile e crudele, qualcosa che mi blocca il respiro, sottrae +forza ai miei muscoli, mi stravolge la mente, a tradimento mi morde vene௹co al +tallone,79 mi colpisce sempre proprio là dove non credevo di avere punti +vulnerabili. +Non mi a௸ronta però come un nemico possente, virile e minaccioso, ma io +crepo su un mucchio di letame, mentre attorno a me paci௹che gallinelle fanno +coccodè e depongono stupite e ignare le loro uova. Passa un cane e alza la +gamba su di me, poi trotterella via, indi௸erente, per la sua strada. Maledico +sette volte l’ora della mia nascita e, a patto che non preferisca uccidermi sul +posto, mi predispongo a vivere l’ora della mia seconda nascita. Gli antichi +dicevano: inter faeces et urinas nascimur.80 Per tre notti fui preso d’assalto +dalle atrocità della nascita. Nella terza notte si levò una risata omerica, che non +risparmiò neppure le cose più ingenue. Allora la vita si rimise in moto. / [Foglio 31 +/ 32] +I resti di antichi templi81 +Cap. VII +[IF, 32] 82Ed ecco pro௹larsi una nuova avventura.83 Davanti a me si stendono +ampi prati... un tappeto di ௹ori... dolci colline... in lontananza una boscaglia +color verde tenero. Incrocio due strani ௹guri... due compagni di viaggio + probabilmente del tutto casuali: un vecchio monaco e un magro spilungone +dall’andatura fanciullesca, con un abito rosso scolorito. Non appena si +avvicinano, riconosco nello spilungone il Cavaliere Rosso. Com’è cambiato! È +invecchiato, i capelli rossi gli si sono ingrigiti, il vestito rosso fuoco s’è fatto +logoro, consunto, misero. E l’altro? Ha una discreta pancia e sembra non aver +conosciuto giorni di magra. Ma il suo viso non mi è nuovo. Per tutti gli dèi: è +Ammonio! +Come sono mutati! Da dove arrivano questi due personaggi così diversi? Mi +avvicino e li saluto. Mi guardano entrambi con aria spaurita e si fanno il segno +della croce. Sorpreso dalla loro faccia allibita, faccio scorrere lo sguardo giù +௹no ai miei piedi: sono interamente ricoperto di foglioline verdi che mi spuntano +dal corpo. Torno a salutarli ridendo. +Ammonio esclama inorridito: «Apage, Satanas!».84 +Il Rosso: «Maledetta canaglia pagana!». +Io: «Ma, cari amici, che cosa vi viene in mente? Sono lo straniero iperboreo85 +che ti ha fatto visita, Ammonio, nel deserto. E sono il guardiano della torre che +tu, Rosso, una volta hai visitato». +Ammonio: «Ti riconosco, capo di tutti i diavoli. Con te è cominciata la mia +rovina». +Il Rosso lo guarda con aria di rimprovero e gli molla un colpo al ௹anco. Il +monaco si interrompe, sorpreso, mentre il Rosso si volta, altezzoso, verso di me. +R: «Già allora, malgrado la tua ipocrita serietà, mi avevi dato la preoccupante +impressione che non avessi principi morali. Quella tua maledetta posa da +cristiano...». +A questo punto è Ammonio ad assestargli un colpo deciso, e il Rosso tace, +imbarazzato. Entrambi se ne stanno davanti a me impacciati e ridicoli, +facendomi però anche pena. +Io: «Uomo di Dio, da dove vieni? Quale incredibile destino ti conduce qui, per +giunta in compagnia del Rosso?». +A: «Non amo parlare con te. Ma pare che sia un disegno divino cui non ci si +può sottrarre. Dunque, sappi che tu, spirito malvagio, hai compiuto su di me +un’azione terribile. Mi hai sedotto / con la tua maledetta curiosità, inducendomi +a tendere avidamente la mano verso i misteri divini, perché mi hai fatto capire +che non ne sapevo proprio nulla. La tua osservazione, secondo cui avrei forse +avuto bisogno di stare vicino agli uomini per raggiungere i misteri più elevati, mi +ha intontito come un veleno infernale. Poco dopo, ho chiamato a raccolta i +fratelli della valle, annunciando loro che mi era apparso un messaggero di Dio – +௹no a tal punto mi hai accecato! – che mi aveva ordinato di fondare un +monastero insieme ai fratelli. +Quando fratel Fileto mosse delle obiezioni, le confutai citando quel passo delle +Sacre Scritture in cui si legge che non è bene che l’uomo sia solo.86 Così + fondammo il monastero nei pressi del Nilo, da dove potevamo veder passare le +navi. +Abbiamo coltivato campi grassi, e c’era talmente tanto da fare che per questo +motivo i santi studi caddero nell’oblio. Diventammo opulenti e un giorno mi +prese una terribile nostalgia di rivedere Alessandria. Intendevo far visita al +vescovo della città, almeno così m’ero messo in testa. Ma dapprima la vita sulla +nave e poi l’animazione delle strade di Alessandria mi inebriarono a un punto +tale che mi persi del tutto. +Come trasognato salii su una delle grandi navi che vanno in Italia. Ero pervaso +da un’insaziabile avidità di vedere il mondo; bevevo vino e ammiravo la bellezza +delle donne. Sguazzavo nei piaceri e mi ero completamente abbrutito. Quando +arrivai a Napoli scesi a terra, lì c’era il Rosso e capii di essere ௹nito nelle mani +del Maligno». +R: «Taci, vecchio pazzo, se non ci fossi stato io, saresti diventato un vero +maiale. Quando mi hai visto, hai ௹nalmente ripreso il controllo di te stesso, hai +maledetto il bere e le donne e fatto ritorno in convento. +Adesso ascolta la mia storia, dannato folletto dei boschi. Anch’io sono caduto +nella tua rete; le tue arti pagane mi hanno allettato. Dopo quella conversazione +in cui mi hai messo in trappola con la tua osservazione sulla danza, sono +diventato serio, talmente serio che sono entrato in convento, ho pregato, +digiunato e mi sono convertito. +Nel mio accecamento, ho voluto riformare la liturgia della Chiesa e, con +l’approvazione del vescovo, ho introdotto le danze nel rituale. +Sono diventato abate e, in quella veste, ho avuto il diritto esclusivo di danzare +davanti all’altare, così come Davide danzò davanti all’Arca dell’Alleanza.87 A +poco a poco, però, cominciarono a danzare anche i fratelli, anzi persino la +comunità dei fedeli, e alla fine danzava l’intera città. +Fu terri௹cante. Mi ritirai in solitudine e ballavo tutto il giorno, ௹no allo +sfinimento, ma al mattino seguente ricominciava di nuovo quella danza infernale. +Cercavo di sfuggire a me stesso, di notte vagavo senza meta. Di giorno mi +tenevo nascosto e danzavo da solo nei boschi e sulle montagne deserte. Così, un +passo dopo l’altro, giunsi in Italia. Giù nel Meridione non davo tanto nell’occhio +come al Nord e potevo mescolarmi tra la gente. Solo a Napoli tornai in qualche +misura a sentirmi a mio agio, e lì incontrai anche quest’uomo di Dio, ridotto +come un pezzente. La sua vista mi diede forza. Grazie a lui ho potuto guarire. +Hai sentito che anche lui s’è tirato su incontrando me ed è riuscito a rimettersi +in carreggiata». +A: «Devo ammettere che col Rosso non è andata poi così male. È un tipo di +diavolo all’acqua di rosa». +R: «Anch’io devo dire che il mio monaco è di tipo poco fanatico, sebbene dai +tempi delle mie esperienze in monastero io abbia maturato una profonda + avversione per la religione cristiana nel suo complesso». +Io: «Cari amici, gioisco di cuore nel vedervi così felici e contenti di stare +insieme». +Entrambi: «Noi non siamo contenti e felici, sfottitore e nemico, scansati, +brigante, pagano!». +Io: «Ma perché andate in giro insieme per il paese, se non siete amici e +contenti?». +A: «Che cosa si deve fare? Ci vuole anche il Diavolo, altrimenti non si ha nulla +per incutere rispetto alla gente». +R: «E per me è necessario scendere a patti col clero, altrimenti perdo la mia +clientela». +Io: «Dunque sono le necessità della vita ad avervi messo insieme! Allora fate +pace e cercate di andare d’accordo». +Entrambi: «Non ci riusciremo mai». +Io: «Oh, lo vedo, è colpa del sistema. Preferireste piuttosto scomparire. +Adesso sgombratemi la via, vecchi fantasmi!». +[2] [IC, 33] Dopo che avevo visto la Morte e tutto ciò che di terribilmente +sublime le sta intorno, e che ero diventato notte e ghiaccio io stesso, iniziarono +a muoversi in me una vita e una turbolenza incresciose. La mia sete delle acque +scroscianti del più profondo sapere88 cominciò a far tintinnare i calici di vino; +sentivo in lontananza urla di ubriachi, risate di donne, fracasso della strada. +Musica da ballo, / [Foglio 33 / 34] batter dei piedi e grida di giubilo sprizzavano da +ogni angolo, e invece del vento del sud profumato di rose, mi alitava intorno il +௹ato dell’animale umano. Lungo le pareti ridacchiavano e scoppiettavano ciance +di battone formose e laide, mi arrivavano nuvole di vapori di mosto e di fumi di +cucina, e ondate di beceri schiamazzi del popolino. Mi a௸erravano mani focose +di vischiosa tenerezza ed ero avvolto da coperte tolte da letti di infermi. Dal +basso fui generato alla vita e crebbi come crescono gli eroi, in ore piuttosto che +in anni. E quando fui cresciuto, mi ritrovai nella terra di mezzo e vidi che era +primavera. +[IC, 34] Tuttavia non ero più l’uomo di prima, ma dentro mi era cresciuta una +strana creatura. Quella creatura era un ridanciano spiritello dei boschi, un +mostriciattolo tutto verde di foglie, un folletto e uno scherzo della natura che se +ne vive solitario nei boschi, essendo lui stesso un essere arboreo verdeggiante, +che ama soltanto ciò che cresce e verdeggia, non ben disposto ma neanche mal +disposto verso gli uomini, tutto capriccio e caso, obbediente a leggi invisibili, che +insieme agli alberi rinverdisce e appassisce, né bello né brutto, né buono né +cattivo, semplicemente vivo, molto antico eppur giovanissimo, nudo eppure +rivestito dalla natura. Non uomo, ma natura, pauroso, ridicolo, potente, puerile, +debole, ingannevole e ingannato, molto volubile e super௹ciale, eppure + profondamente radicato, giù giù fino al centro del mondo. +Avevo assorbito la vita dei miei due amici; sulle rovine dei templi era spuntato +un albero verde. Essi non avevano retto alla vita, ma – sedotti dalla vita stessa – +erano diventati entrambi la propria caricatura; erano cascati nel letame, e per +questo chiamavano Diavolo e traditore me che vivevo. Poiché credevano +entrambi, ciascuno a modo suo, in se stessi e nella propria bontà, erano poi ௹niti +nel letame quale luogo di sepoltura naturale e de௹nitivo di tutti gli ideali +sopravvissuti. Le cose più belle e le migliori, così come le più brutte e le +peggiori, ௹niscono tutte quante prima o poi nel luogo più ridicolo del mondo, +messe in maschera, scortate da bu௸oni, ௹niscono – degradate e inorridite –89 nel +pozzo nero. +Dopo la bestemmia viene la risata, affinché l’anima sia salvata dai morti. +Gli ideali, in conformità con la loro natura, sono stati desiderati e pensati, ed +esistono in questo senso, solo in questo senso. Ma la loro e௻cacia è innegabile. +Chi pensa di vivere o di poter vivere nella realtà i propri ideali so௸re di +megalomania e si comporta da pazzo, atteggiandosi lui stesso a ideale: ma l’eroe +è caduto. Gli ideali sono mortali, per cui è meglio prepararsi alla loro ௹ne: forse +questo ti costerà la vita. Ma non vedi che eri tu stesso a dare senso, valore e +forza e௸ettiva al tuo ideale? Se sei divenuto vittima dell’ideale, l’ideale +impazzisce e festeggia il carnevale con te, e al mercoledì delle ceneri ti porta +all’inferno. L +’ideale è uno strumento che possa essere accantonato in ogni +momento, una ௹accola sulla strada buia. Ma chi va in giro munito di ௹accola +anche di giorno è un folle. Come sono scesi in basso i miei ideali, e com’è fresca +la verzura del mio albero! +90Quando rinverdii, ecco presentarsi i miseri resti degli antichi templi e i +roseti, e io ne riconobbi rabbrividendo l’intima a௻nità. Mi parve che si fossero +uniti in un’alleanza spudorata. Ma capii che la loro alleanza era già di antica +data. Quando infatti sostenevo ancora che i miei sacri ideali erano di cristallina +purezza, e allorché paragonavo ancora la mia gioia alla fragranza delle rose di +Persia,91 quei due strinsero un patto di tacita alleanza. In apparenza si +sfuggivano, ma in segreto facevano l’uno il gioco dell’altro. Il silenzio solitario +dei templi mi attirava lontano dagli uomini, verso i misteri sovrannaturali, in cui +mi persi ௹no a restarne nauseato. E mentre lottavo con Dio, il Diavolo fu pronto +ad accogliermi, e mi trasse nella stessa misura dalla sua parte. Anche qui non +trovai limiti, a parte il disgusto e la nausea. Non vivevo, ma ero trascinato, +schiavo dei miei ideali.92 +Lì restavano ormai soltanto ruderi a questionare tra loro, senza riuscire a +riconciliarsi, pur nella comune miseria. Io avevo trovato l’armonia con me stesso +in quanto creatura naturale, ma ero un folletto dei boschi93 che spaventava i +viandanti solitari ed evitava i luoghi frequentati dagli umani. Ma rinverdivo e + ௹orivo per mia forza. Non ero ancora tornato uomo, col suo con௺itto tra piacere +mondano e piacere dello spirito. Non vivevo nessuno di quei piaceri, vivevo me +stesso ed ero un albero di un bel verde allegro, in uno sperduto bosco +primaverile. In tal modo ho imparato a vivere senza mondo né spirito, e mi +stupivo di quanto bene si vivesse a quel modo. +Ma l’essere umano, l’umanità? Lì stavano i due ponti deserti che avrebbero +dovuto facilitare il passaggio verso l’umanità: uno di essi conduce dall’alto verso +il basso, e gli uomini vi scivolano giù provando piacere. / [Foglio 34 / 35] L +’altro +porta dal basso verso l’alto, e gli uomini lo risalgono gemendo; e questo dà loro +pena. Vivendo facciamo penare o gioire i nostri simili. Se non vivo in prima +persona, ma mi limito ad arrampicarmi, questo mio comportamento procura agli +altri un immeritato piacere. Se invece mi limito a divertirmi, provoco negli altri +una pena che non hanno meritato. Se mi limito a vivere, resto lontano dagli +uomini. Non mi vedono più, e quando mi vedono restano sconcertati e sgomenti. +Io stesso però, col mio semplice vivere, rinverdire, ௹orire e appassire, resto – in +quanto albero – sempre al medesimo posto e, indi௸erente, lascio le so௸erenze e +le gioie degli uomini stormire su di me. E tuttavia sono un uomo che non può +sottrarsi al conflitto insito nel cuore umano. +Ma i miei ideali possono anche essere come i miei cani, che non mi disturbano +quando abbaiano oppure bisticciano fra loro. In tal caso, per gli uomini io sono +perlomeno sia un cane buono che un cane cattivo. Ma così non si è ottenuto quel +che si dovrebbe, ossia di vivere e di essere uomo. Vivere da uomo pare impresa +quasi impossibile. Puoi vivere ௹nché non sei consapevole di te stesso; ma quando +acquisti consapevolezza passi da una tomba all’altra. Tutte le tue94 rinascite +potrebbero alla ௹ne guastarti.95 Per questo anche il Buddha, alla ௹ne, ha +rinunciato a rinascere, perché ne aveva abbastanza di strisciare attraverso +tutte le forme umane e animali.96 Dopo tutte quelle rinascite, tu resti ancora il +leone che striscia per terra, il ΧΑΜΑΙΛΕΩΝ [chamaileon], una caricatura, un +tipo incline a cambiar colore, un sauro cangiante che striscia, ma appunto non +un leone, che per sua natura è apparentato col sole, trae il suo potere da se +stesso e non si rifugia, strisciando, nei colori protettivi dell’ambiente, né si +difende andando a nascondersi. Ho conosciuto il camaleonte, e non voglio più +strisciare per terra, cambiare colore o rinascere, ma voglio esistere solo in virtù +delle mie forze, come il sole, che dà luce e non l’assorbe. Quest’atteggiamento è +proprio della terra. Mi rammento della mia natura solare, e vorrei a௸rettarmi +verso la mia alba. Però mi sono di intralcio le rovine.97 Esse dicono: «Nei +confronti degli uomini dovresti essere questo o quello». La mia pelle da +camaleonte rabbrividisce. Loro mi fanno pressione e vogliono attribuirmi un +colore. Ma questo non deve più succedere. Né il bene né il male saranno più i +miei padroni. Li spingo di lato, questi ridicoli superstiti, e continuo per la mia +strada, che mi porta a Oriente. Alle mie spalle restano le forze discordi che + tanto a lungo si sono frapposte fra me e me stesso. +Ormai sono completamente solo. Non posso più dirti: «Ascolta!», oppure «Tu +devi», oppure «Potresti», ora invece parlo soltanto con me stesso. Adesso +nessun altro potrà più fare qualcosa per me, neanche una minima cosa. Non ho +più alcun dovere verso di te, né tu hai più alcun dovere verso di me, poiché io +scompaio e tu scompari per me. Non ascolto più le tue richieste, né ti chiedo più +nulla. Non litigo più con te, né faccio più la pace, ma pongo il silenzio tra noi. +Lontano da me si spegne il tuo richiamo, e tu non potrai trovare tracce dei +miei passi. Insieme al vento dell’ovest, che spira dalla distesa dell’oceano, io +viaggio infatti per la verde campagna, mi aggiro per i boschi calpestando la +tenera erbetta. Parlo con gli alberi e gli animali del bosco, e i sassi m’indicano la +via. Se ho sete e la fonte non viene a me, sono io ad andare alla fonte. Se ho +fame e il pane non viene a me, vado a cercare il mio pane e lo prendo dove lo +trovo. Non o௸ro aiuto né ho bisogno di aiuto. Se mi sorge qualche necessità, non +mi guardo attorno per vedere se qualcuno mi soccorre, ma accetto la mia +necessità e mi piego, mi contorco e mi arrangio. Rido, piango, impreco, ma non +mi guardo attorno. +Su questa via nessuno mi segue, e non incrocio la strada di nessuno. Sono solo, +ma colmo la solitudine con il mio vivere. Basto a me stesso come uomo, rumore, +intrattenimento, conforto e aiuto. E procedo verso il lontano Oriente. Non che io +sappia quale potrà essere la mia meta remota. Scorgo dinanzi a me azzurri +orizzonti: mi bastano come traguardo. Mi a௸retto verso Oriente, verso il luogo +in cui sorgerò. Voglio la mia alba. / [Ill., 36]98/ [Foglio 35 / 37] +Primo giorno99 +[IF, 37] +Cap. VIII +La terza notte100 però mi sbarra la strada una terribile montagna rocciosa, +anche se una stretta gola mi consente il passaggio. La via prosegue obbligata +tra alte pareti di roccia. I miei piedi sono nudi e si feriscono sulle pietre aguzze. +A un certo punto il sentiero diventa piano; una metà della via è bianca, l’altra +metà nera. Poso il piede sul lato nero e balzo indietro inorridito: è ferro +rovente. Passo sulla metà bianca: è di ghiaccio. Ma è necessario. Mi a௸retto a +passare, e ௹nalmente la gola si allarga in un’enorme conca rocciosa. Uno stretto +sentiero s’inerpica sulle rocce a strapiombo, sino a raggiungere la cresta della +montagna. +Non appena mi avvicino alla vetta, dall’altro lato del monte giunge un enorme +rimbombo, come di metallo percosso. Il suono cresce gradualmente e l’eco si +moltiplica con gran fragore su per le montagne. Raggiunto il passo, vedo un + uomo gigantesco che si avvicina dall’altro versante. +Corna taurine gli spuntano dalla testa enorme e gli ricopre il petto una nera +corazza tintinnante. La barba nera è arru௸ata e adorna di pietre preziose. Il +gigante tiene in mano una lucente ascia bipenne, come quelle con cui si +macellano i tori. Prima che mi sia ripreso dallo spavento e dallo sbalordimento, +quell’uomo immenso è già davanti a me, e io posso guardarlo in viso: è pallido, +giallognolo e segnato da profonde rughe. I suoi neri occhi a mandorla mi ௹ssano +attoniti. Rabbrividisco. È Izdubar, il possente, l’uomo toro. Resta immobile e mi +௹ssa: la sua faccia esprime la paura devastante che ha dentro, le mani e le +ginocchia gli tremano. Izdubar, il toro gigantesco, trema? Ha paura? Io gli +parlo: +«O potentissimo Izdubar, risparmia la mia vita e perdona se io, verme, mi son +messo sulla tua strada». +Iz: «Non voglio la tua vita. Da dove vieni?». +Io: «Vengo da Occidente». +Iz: «Vieni da Occidente? Sai qualcosa della Terra d’Occidente? È questa la via +giusta per la Terra d’Occidente?».101 +Io: «Vengo da un paese occidentale le cui coste sono bagnate dal grande Mare +d’Occidente». +Iz: «Il sole s’inabissa forse in quel mare? Oppure nel suo tramonto tocca la +terraferma?». +Io: «Il sole sprofonda lontano, dietro il mare». +Iz: «Dietro il mare? Che cosa c’è là dietro?». +Io: «Non c’è nulla, solo spazio vuoto. La terra è rotonda e gira pure intorno al +sole». +Iz: «Maledetto! Da dove ti viene un simile sapere? Allora non esiste da +nessuna parte quella terra immortale dove il sole entra per poi rinascere? Dici il +vero?». +Nei suoi occhi passano lampi di rabbia e di paura. E avanza di un passo, con +gran rimbombo. Tremo. +Io: «Oh grande e potente Izdubar, perdona la mia impertinenza, ma io dico la +pura verità. Vengo da un paese dove queste cose fanno parte della scienza +assodata e dove abitano persone che fanno il giro del globo con le loro navi. I +nostri scienziati sanno con precisione, perché l’hanno misurato, quanto il sole +disti da ogni punto della super௹cie terrestre. Esso è un corpo celeste che si +trova indicibilmente lontano, là nello spazio infinito». +Iz: «In௹nito... dici? Il cosmo è in௹nito, e noi non potremo mai arrivare ௹no al +sole?». +Io: «Potentissimo, dato che sei di stirpe mortale, non potrai mai raggiungere il +sole». +Vedo che è sopraffatto da un’angoscia opprimente. + Iz: «Io sono mortale... e non potrò mai raggiungere né il sole né +l’immortalità?». +Con un colpo violento e stridente fracassa la sua ascia sulla roccia. +Iz: «Sparisci, miserabile arma! Non sei buona a nulla. Che cosa potresti +valere contro l’in௹nito, il vuoto eterno / [Foglio 37 / 38] e incolmabile? Non ti è +rimasto più nessuno da conquistare. Fracassati da sola... Per quel che importa!» +(A occidente il sole sprofonda sanguigno nel grembo di nubi infuocate). «Così te +ne vai, o sole, dio tre volte maledetto, e ti chiudi nella tua immensità!». +(Raccatta da terra i pezzi della sua ascia fracassata e li scaglia contro il sole). +«Eccoti la tua vittima, la tua ultima vittima sacrificale!». +Crolla a terra e si mette a singhiozzare come un bambino. Sono sconvolto, e +non oso quasi muovermi. +Iz: «Miserabile verme, dove hai succhiato questo veleno?». +Io: «O grandissimo Izdubar, quel che tu chiami veleno è la scienza. Nel nostro +paese veniamo nutriti in questo modo sin da ragazzi, e questo può essere uno dei +motivi per cui non cresciamo tanto bene e restiamo piccoli come dei nani. Se ti +guardo, però, mi sembra che siamo un po’ avvelenati tutti quanti».102 +Iz: «Nessuno, per quanto gagliardo, mi ha mai battuto, né mostro alcuno ha +mai resistito alla mia forza. Ma il tuo veleno, o verme che ti sei trovato sulla mia +strada, mi ha paralizzato ௹n nel midollo. Il tuo vene௹co incantesimo è più +potente dell’esercito di Tiamat».103 (Se ne sta, come paralizzato, lungo disteso al +suolo). «O dèi, aiutatemi. Qui giace vostro figlio, abbattuto dal morso al tallone a +opera dell’invisibile serpente. Oh, se solo ti avessi schiacciato non appena ti ho +visto e non avessi mai ascoltato le tue parole!». +Io: «O grande e miserevole Izdubar, avessi saputo che la mia scienza poteva +abbatterti, mi sarei proprio tappato la bocca. Ma volevo dirti la verità». +Iz: «Chiami verità il veleno? Il veleno è forse verità? Oppure la verità è +veleno? Forse che non ci dicono la verità anche i nostri astrologhi e sacerdoti? +Quella però non agisce come un veleno». +Io: «O Izdubar, si fa notte, e qui in alto comincia a far freddo. Vuoi che vada a +cercare per te aiuto dagli uomini?». +Iz: «Lascia stare. Piuttosto rispondimi». +Io: «Non possiamo metterci qui a ௹losofare. Il tuo stato miserevole impone di +cercare aiuto». +Iz: «Ti dico di lasciar stare. Se ho da crepare stanotte, che sia pure. Adesso +però dammi una risposta». +Io: «Temo che le mie parole non abbiano la forza di guarirti». +Iz: «Di peggio non potrebbero fare. Il guaio è già accaduto. Dimmi dunque +quel che sai. Forse hai una parola magica per combattere il veleno». +Io: «Le mie parole, o potentissimo, sono povere e non hanno virtù magiche». +Iz: «Fa lo stesso, parla!». + Io: «Non dubito che i vostri sacerdoti dicano la verità. È sicuramente una +verità, soltanto suona diversa dalla nostra». +Iz: «Allora esistono due tipi di verità?». +Io: «A me pare proprio così. La nostra verità è quella che ci proviene dalle +cose esterne. La verità dei vostri sacerdoti è quella che ௺uisce loro dal mondo +interiore». +Iz: (Sollevandosi per metà) «Questa è stata una parola salutare». +Io: «Sono felice che le mie deboli parole ti abbiano recato sollievo. Oh, ne +conoscessi ancora molte altre di queste parole capaci di aiutarti! Ma comincia a +farsi freddo e buio. Voglio accendere un fuoco per riscaldarci». +Iz: «Fallo, questo può essere di aiuto». (Raccolgo della legna e accendo un +grande fuoco). «Il sacro fuoco mi riscalda. Ma dimmi: come hai potuto +accendere il fuoco in modo così rapido e misterioso?». +Io: «Per questo mi bastano dei semplici ௹ammiferi. Vedi, sono minuscoli +legnetti trattati con una particolare sostanza sulla punta. Li si sfrega sulla +scatola e si ottiene il fuoco». +Iz: «È davvero sorprendente, dove hai imparato quest’arte?». +Io: «Nel nostro paese chiunque possiede dei ௹ammiferi. Ma questo è il meno. +Noi siamo anche in grado di volare con l’aiuto di macchine ingegnose». / [Foglio +38 / 39] +Iz: «Sapete volare come gli uccelli? Se le tue parole non contenessero una +magia così potente, direi che stai mentendo». +Io: «Di certo non sto mentendo. Vedi, per esempio qui ho anche un orologio +che mostra con grande precisione le ore del giorno e della notte». +Iz: «È una cosa meravigliosa. Vedo che provieni da un paese strano e +magni௹co. Ormai è certo che tu vieni dalla beata Terra d’Occidente. Sei +immortale?». +Io: «Io... immortale? Non c’è nulla che sia più mortale di noi». +Iz: «Cosa? Non siete neppure immortali, e vi intendete di simili arti?». +Io: «Purtroppo la nostra scienza non è ancora riuscita a trovare un rimedio +contro la morte». +Iz: «Chi mai vi ha insegnato queste arti?». +Io: «Nel corso dei secoli gli uomini hanno compiuto molte invenzioni mediante +un’esatta osservazione e la scienza del mondo esterno». +Iz: «Ma è proprio quella scienza la sciagurata magia che mi ha paralizzato. +Com’è possibile che siate ancora in vita, se ogni giorno vi sorbite questo +veleno?». +Io: «Col tempo ci siamo assuefatti, dato che l’essere umano si può assuefare a +qualsiasi cosa. Ma un po’ paralizzati lo siamo davvero. D’altro canto, questa +scienza riserva grandi vantaggi, come hai visto. Ciò che abbiamo perso in forza +௹sica l’abbiamo riguadagnato abbondantemente attraverso il dominio delle + forze naturali». +Iz: «Non è penoso essere paralizzati a quel modo? Da parte mia, alle forze +della natura preferisco la mia forza personale. Lascio le forze occulte ai vili +prestigiatori e ai maghi rammolliti. Una volta che avrò spappolato il cranio a +qualcuno di loro, sparirà anche la sua miserabile magia». +Io: «Ma non vedi che e௸etto ti ha fatto entrare in contatto con la nostra +magia? Terribile, direi». +Iz: «Purtroppo hai ragione». +Io: «Lo vedi, non avevamo scelta. Abbiamo dovuto trangugiare il veleno della +scienza. Altrimenti a tutti noi sarebbe successo quello che è capitato a te: se ci +fossimo imbattuti ignari e impreparati in questo veleno, esso ci avrebbe +paralizzato del tutto. Ha una forza talmente insuperabile da stroncare chiunque, +anche i più forti, persino gli dèi sempiterni. Se ci è cara la vita, preferiamo +sacri௹care una parte della nostra forza vitale piuttosto che esporci a morte +certa». +Iz: «Adesso non credo più che tu venga dalla beata Terra d’Occidente. Il tuo +dev’essere un paese desolato, dove regnano la paralisi e la rinuncia. Ho +nostalgia dell’Oriente, dove scorre la fonte cristallina della nostra saggezza +vitale». +Muti, sediamo accanto al fuoco sfavillante. La notte è fredda. Izdubar trae un +profondo sospiro e guarda in alto, verso il cielo stellato. +Iz: «Questo è il giorno più orribile della mia vita... un giorno interminabile... +così distante... così distante... Miserabili arti magiche... i nostri sacerdoti non +ne sanno nulla, altrimenti avrebbero potuto proteggermi... Persino gli dèi +muoiono, ha detto costui. Non avete dunque più dèi?». +Io: «No, non ci restano che le parole». +Iz: «Ma sono potenti, queste parole?». +Io: «Così dicono, ma non te ne accorgi». +Iz: «Neanche gli dèi li vediamo, eppure crediamo nella loro esistenza. Li +vediamo agire negli eventi naturali». +Io: «La scienza ci ha tolto la capacità di avere fede».104 +Iz: «Avete perduto anche questo. Ma allora che razza di vita conducete?». +Io: «Viviamo in questo modo: un piede al freddo e l’altro al caldo, e per il resto +succeda quel che vuole». +Iz: «Il tuo parlare è oscuro». +Io: «Da noi è così, c’è oscurità». +Iz: «Riuscite a tollerarlo?». +Io: «In modo non proprio brillante. Io personalmente non mi sento a mio agio. +Per questo sono partito per l’Oriente, per la Terra del Sol Levante, per cercare +la luce che ci manca. Dov’è dunque che si leva il sole?». +Iz: «Come tu dici, la terra è tutta tonda. Perciò il sole non sorge da nessuna + parte». +Io: «Voglio dire: avete voi la luce che manca a noi?». / [Foglio 39 / 40] +Iz: «Guardami: sono cresciuto alla luce del mondo orientale. Di qui puoi +dedurre quanto sia fertile quella luce. Se però tu provieni da una terra così +oscura, allora proteggiti dalla luce oltremodo intensa; potresti restarne +accecato, così come noi siamo tutti un po’ ciechi». +Io: «Se la vostra luce è favolosa come lo sei tu, allora ci andrò cauto». +Iz: «E ben farai». +Io: «Io anelo alla vostra verità». +Iz: «E io alla Terra d’Occidente. Stai attento!». +Cala il silenzio; è notte fonda. Ci addormentiamo accanto al fuoco. +[2] [IF, 40] Sono andato verso Sud e ho trovato l’intollerabile bruciore +dell’essere solo con me stesso. Sono andato verso Nord e ho trovato la gelida +morte che colpisce il mondo intero. Mi sono ritirato nella mia landa occidentale, +dove gli esseri umani sono ricchi di conoscenze e di capacità e ho cominciato a +patire l’oscurità priva di sole. Ho gettato via ogni mia cosa per muovermi verso +Est, dove ogni giorno sorge la luce. Come un bambino, sono andato a Est. Non +ho chiesto nulla, semplicemente ho atteso. +Fiancheggiavano il mio sentiero bei prati fioriti e ameni boschi primaverili. Ma +la terza notte venne il di௻cile. Dinanzi a me si ergeva una sorta di montagna +rocciosa deserta e desolata, e tutto in quel luogo sembrava volermi scoraggiare +dal proseguire per il sentiero della mia vita. Trovai però l’entrata e la stretta +via. Grande fu la so௸erenza, perché aver respinto da me quei due tipi dissipati e +dissoluti non era stato senza conseguenze. Ciò che respingo lo accolgo in me pur +senza accorgermene. Ciò che accetto ௹nisce nella parte della mia anima a me +nota; ciò che ri௹uto va nella parte della mia anima che non conosco. Quello che +accetto lo faccio io stesso, quello che rifiuto viene fatto a me. +Il sentiero della mia vita mi condusse quindi attraverso gli opposti che avevo +ri௹utato e che ora stavano davanti a me riuniti in una strada scivolosa e, ahimè!, +tanto dolorosa. Ci camminavo sopra, ma essi bruciavano, e gelavano le mie +suole. E così passai oltre. Ma il veleno del serpente, cui hai schiacciato il capo, +penetra in te attraverso il morso nel calcagno. E così il serpente diventa per te +più pericoloso di prima. Infatti, qualunque cosa io respinga fa parte comunque +della mia natura. Pensavo che fosse esterna a me, e perciò ho creduto di poterla +distruggere. Invece è dentro di me, e solo momentaneamente ha assunto +sembianze esterne. E mi si è contrapposta. Ne ho distrutto le sembianze +credendo di esserne vincitore. Invece non ho ancora vinto me stesso. +L +’opposizione esterna è un’immagine della mia opposizione interiore. Dopo +che l’ho capito, taccio e penso alla voragine dei con௺itti presenti nella mia +anima. Le opposizioni esterne sono facili da superare. Esistono, è vero; ma tu + puoi nondimeno essere in sintonia con te stesso. Saranno le tue suole ad ardere +e gelare; ma, appunto, soltanto le tue suole. Fa male, ma tu continui a +camminare e punti lo sguardo verso mete lontane. +Quando salii ad altezze vertiginose e la mia speranza si stava dirigendo verso +Est, accadde un miracolo: così come io andavo a Oriente, un altro – giungendo +proprio da Oriente – si a௸rettava verso di me in cerca della luce calante. Io +volevo la luce, lui la notte. Io volevo salire, lui discendere. Io ero minuscolo +come un bambino, lui gigantesco, un eroe dalla forza primordiale. Io giunsi +paralizzato dal sapere, lui accecato dalla pienezza della luce, e così ci +muovevamo rapidi l’uno incontro all’altro: lui dalla luce, io dall’oscurità; lui +forte, io debole; lui Dio, io serpente; lui antichissimo, io del tutto nuovo; lui +ignorante, io sapiente; lui mitico, io reale; lui coraggioso e violento, io vigliacco +e astuto; entrambi però sbalorditi di vedere l’altro sulla soglia che separa il +mattino dalla sera. +Quand’ero bambino e crescevo come un albero verdeggiante e, indi௸erente, +lasciavo passare attraverso i miei rami il vento, grida lontane e la baraonda +degli opposti, / [Foglio 40 / 41] quand’ero fanciullo e mi facevo be௸e degli eroi +caduti, quand’ero giovane e spingevo da parte, a destra e a manca, ciò che mi +limitava, non avevo alcun sentore del Potente, del Cieco e dell’Immortale, che +con desiderio avanza verso il sole calante e che vorrebbe dividere sino al fondo +l’oceano per discendere ௹no alla sorgente della vita. Piccolo è ciò che si a௸retta +verso l’alba, grande ciò che si volge al tramonto. Perciò ero piccolo, perché ero +appena arrivato dalla profondità del mio tramonto. Io ero stato là dove lui +bramava di andare. Grande è colui che tramonta, e facile sarebbe per lui +annientarmi. Un Dio che si è scelto il sole non dà la caccia ai vermi. Il verme +invece mira al tallone del Potente e gli prepara il declino di cui egli necessita. La +sua forza è grande e cieca. Lui è magni௹co a vedersi e terri௹cante. Ma il +serpente trova il punto giusto. Una stilla di veleno, e il grande uomo stramazza. +Le parole di colui che sorge non hanno suono e sono di sapore amaro. Non è +dolce il veleno, ma letale per tutti gli dèi. +Ah, lui è il mio amico più caro e più bello, che corre dietro al sole e, simile al +sole, vuol congiungersi con la madre in௬nita. Come sono a௮ni, anzi quasi del +tutto una cosa sola, serpente e Dio! La parola, che era la nostra redentrice, è +diventata arma mortale, serpente che morde a tradimento. +A sbarrarmi la via non sono più le opposizioni esterne, ma il mio personale +opposto, che mi viene incontro levandosi gigantesco dinanzi a me, e noi ci +sbarriamo la strada a vicenda. È vero che la parola del serpente vince il +pericolo, ma la mia via rimane bloccata, poiché nel procedere devo uscire dalla +paralisi per cadere nella cecità, mentre il Potente, per uscire dalla sua cecità, è +preda della paralisi. Non posso raggiungere la potenza accecante del sole, così + come lui, il Potente, non può giungere al grembo rigenerante dell’oscurità. Pare +che a me sia negato il potere e a lui la rinascita, ma io fuggo dall’accecamento +che si ha nel potere, e lui fugge dalla morte che si ha nell’annullamento. La mia +speranza nella pienezza della luce si infrange, così come va in pezzi il suo +desiderio di una vita conquistata senza alcun limite. Ho abbattuto il più forte, e +il Dio si abbassa a ciò che è mortale. +[BD, 41] Il Potente è caduto, giace a terra.105 +Per amore della vita la forza deve cedere. +Dovrà essere ridotto il raggio della vita esteriore. +Molta più intimità, fuochi solitari, caverne, grandi foreste oscure, piccoli +insediamenti di pochi individui, ௬umi dal pigro corso, silenti notti invernali ed +estive, poche navi e pochi carri, e tener nascosto in casa ciò che è raro e +prezioso. +Da lontano i viandanti si mettono in cammino su strade solitarie e vedono le +cose più varie. +La fretta diventa impossibile, cresce la pazienza. / [Foglio 41 / 42] +[BD, 42] Tace il frastuono del giorno secolare, e all’interno divampa il fuoco +che scalda. +Attorno al fuoco siedono le ombre di un tempo, si lamentano sommesse e +danno notizie del passato. +Venite al fuoco solitario, voi ciechi e paralitici, e ascoltate la duplice verità: il +cieco sarà paralizzato, e chi è paralizzato sarà accecato, ma entrambi +verranno scaldati dal fuoco condiviso che arde solitario nella lunga notte. +Tra noi arde un antico fuoco segreto che manda poca luce e grande calore. +Il fuoco ancestrale, che ha vinto ogni necessità, deve tornare ad ardere, +poiché la notte del mondo è lunga e fredda, e grande è la necessità. +Il fuoco ben custodito riunisce quelli che sono lontani e quelli che sono +infreddoliti, quelli che non possono vedersi né toccarsi; esso vince la sofferenza +e spezza la necessità. +Le parole dette accanto al fuoco sono ambigue e profonde e portano la vita +sulla retta via. +Il cieco dev’essere paralizzato per non ௬nire nell’abisso, e il paralizzato +dev’essere cieco per non guardare con desiderio e disprezzo le cose che non +può raggiungere. +Siano entrambi consapevoli della loro profonda impotenza, in modo da +tornare a onorare il fuoco sacro, le ombre che siedono accanto al focolare e le +parole che volteggiano intorno alla fiamma. +Gli antichi chiamavano Logos la parola che redime, un’espressione della +ragione divina.106 Tanta era l’irrazionalità / [Foglio 42 / 43] presente nell’uomo che +gli era necessaria la ragione per salvarsi. Se si attende abbastanza a lungo, si + vede che alla ௹ne gli dèi si trasformano tutti in serpenti e draghi del mondo +infero. Questo è anche il destino del Logos: alla ௹ne ci avvelena tutti quanti. Nel +tempo siamo stati avvelenati, ma tenevamo lontano dal veleno – pur senza +saperlo – l’Uno, il Potente, l’eterno Errante in noi. Di௸ondiamo intorno a noi +veleno e paralisi con la nostra smania di educare all’uso della ragione tutti quelli +che ci stanno attorno. +Gli uni hanno la propria ragione nel pensare, gli altri nel sentire. Entrambi +servitori del Logos, sono diventati, in segreto, adoratori di serpenti.107 +Puoi pure sottometterti, incatenarti, ௺agellarti a sangue ogni giorno: ti sarai +schiacciato, ma non avrai vinto te stesso. Ma avrai proprio in questo modo +aiutato il Potente, ra௸orzato la tua paralisi e accentuato la tua cecità. Lui +vorrebbe sempre che lo si vedesse negli altri e lo si in௺iggesse loro, vorrebbe +imporre a te e agli altri il Logos in modo smanioso e tirannico, con cieco +accanimento e taurina testardaggine. Dagli da assaggiare del Logos; lui ha +paura, già trema da lontano, perché intuisce di essere ormai superato e che +basterà una minuscola stilla di veleno del Logos per paralizzarlo. Ma poiché egli +è il tuo leggiadro e amatissimo fratello, tu gli sei servilmente devoto e vorresti +risparmiargli ciò che non hai risparmiato a nessuno dei tuoi simili. Non sei mai +rifuggito da mezzi subdoli o violenti per colpire con una freccia avvelenata i tuoi +simili. Un animale selvatico paralizzato è preda indegna. Lo stesso potente +cacciatore che ha atterrato il toro, dilaniato il leone e battuto l’esercito di +Tiamat, è invece degno bersaglio per il tuo arco.108 +Se vivi come colui che sei, Lui si getterà impetuosamente contro di te e tu non +potrai mancarlo. Ti userà violenza e ti costringerà a servirlo come uno schiavo, +se non ti ricorderai della tua terribile arma segreta che hai sempre rivolto +contro di te, mentre lo servivi. Astuto, crudele e freddo devi essere quando vai +ad abbattere il Bello-e-Benamato. Ucciderlo però non devi, anche se so௸re e si +contorce in preda ad atroci tormenti. Lega san Sebastiano a un albero e con +calma razionale scaglia freccia su freccia nella sua carne palpitante.109 Ricordati +che ogni freccia che lo colpisce è risparmiata a uno dei tuoi fratelli nani e +paralizzati. Perciò scaglia pure molte frecce. Ma c’è un malinteso troppo +frequente e quasi inestirpabile: gli uomini vogliono sempre distruggere ciò che è +bello e benamato fuori di loro, e mai in loro stessi. +Lui, il Bello-e-Benamato, mi si fece incontro da Oriente, proprio dal luogo che +io mi sforzavo di raggiungere. Ne ammirai la forza e la magni௹cenza e riconobbi +che lui mirava a raggiungere appunto ciò che io avevo lasciato, ossia i miei +oscuri bassifondi brulicanti di uomini. Riconobbi la cecità e l’ignoranza delle sue +aspirazioni che contrastavano il mio desiderio, gli aprii gli occhi e paralizzai con +una stilettata velenosa le sue membra possenti. Ed egli si accasciò +singhiozzando come un bambino, quale lui era, un primordiale bambinone + bisognoso del Logos umano. Così se ne stava davanti a me, inerme, il mio Dio +cieco, divenuto semivedente e paralizzato. E fui colto da compassione, perché +avvertii con piena lucidità che non poteva morirmi, lui che mi veniva incontro da +Levante, dal luogo in cui lui certo poteva stare, ma dove io non sarei mai potuto +arrivare. Colui che cercavo, adesso lo possedevo. L +’Oriente non poteva o௸rirmi +nient’altro che lui, il malato, colui che era stato abbattuto. +Devi compiere soltanto la metà del percorso, l’altra metà la coprirà lui; se lo +superi, resterai accecato. Se è lui a superarti, resterà paralizzato. Perciò, dato +che è nell’indole degli dèi superare i mortali, essi restano paralizzati e +divengono inermi come bambini. Divinità e umanità restano intatte, invece, se +l’uomo si arresta dinanzi a Dio, e Dio dinanzi all’uomo. La ௹amma che alta +divampa è la via di mezzo, che corre luminosa tra l’umano e il divino. +Il potere divino primordiale è cieco, perché il suo volto si è fatto uomo. La +creatura umana è il volto della divinità. Se Dio ti si avvicina, supplicalo di +risparmiarti la vita, perché Dio è terrore amoroso. Gli antichi dicevano: è +terribile cadere nelle mani del Dio vivente.110 Parlavano in questo modo perché +lo sapevano, dato che erano ancora vicini all’antica foresta, e rinverdivano come +gli alberi in maniera infantile, e salivano verso Oriente. / [Foglio 43 / 44] E lì +cadevano nelle mani del Dio vivente. Imparavano a inginocchiarsi, a prostrarsi +faccia a terra e a implorare pietà, e apprendevano la paura più vile e la +gratitudine. Ma colui che lo vedeva, lui, il Bello-e-Terribile, coi suoi vellutati +occhi neri e le lunghe ciglia, occhi che non vedono ma guardano soltanto, teneri +e tremendi, quello stesso ha imparato a gridare e a guaire per raggiungere +perlomeno l’orecchio della divinità. Soltanto il tuo grido di angoscia può fermare +il Dio. E allora vedrai che anche il Dio trema, perché in te si trova di fronte al +suo volto, al suo sguardo che osserva, e avverte un potere sconosciuto. Il Dio ha +paura dell’uomo. +Se il mio Dio è paralizzato devo restargli accanto, perché non posso +abbandonare il Benamato. Sento che fa parte di me, è mio fratello che dimorava +e cresceva nella luce, mentre io [ero] nel buio e mi nutrivo di veleno. È bene +sapere queste cose: se noi siamo nella notte, allora nostro fratello si trova nella +pienezza della luce, compie le sue grandi imprese, dilania il leone e uccide il +drago. E tende l’arco verso mete sempre più lontane, ௹nché non si accorge del +sole che si muove alto nel cielo e non vuole catturarlo. Ma quando avrà scoperto +la sua preda più preziosa crescerà anche in te la voglia di luce. Getterai le +catene e ti metterai in cammino verso il luogo della luce che sorge. E così vi +correrete incontro l’un l’altro. Lui credeva di poter catturare il sole e si è +imbattuto nel verme dell’ombra. Tu credevi di poterti abbeverare in Oriente alla +fonte della luce e catturi il gigante munito di corna davanti al quale cadi in +ginocchio. La sua natura è desiderio cieco e smodato, è forza burrascosa; la mia + natura è limitatezza che osserva, è l’inettitudine dell’uomo che usa l’intelligenza. +Egli possiede in abbondanza quel che a me manca. Perciò non voglio lasciarlo, +questo Dio taurino che un tempo paralizzò l’anca di Giacobbe e che ora ho +paralizzato per me.111 Vorrei appropriarmi della sua forza. +Sarà perciò mia premura mantenere in vita colui che è stato così gravemente +colpito, a௻nché mi sia conservata la sua forza. Nulla ci manca più della forza +divina. Diciamo: «Sì, sì, così dovrebbe o potrebbe essere. Si potrebbe ottenere +questo o quello». Parliamo in questo modo e stiamo lì fermi, guardandoci attorno +smarriti per vedere se da qualche parte accada qualcosa. E nel caso in cui +dovesse accadere qualcosa, allora guardiamo e diciamo: «Sì, sì, comprendiamo, +è questo o quello, oppure è simile a questo o a quello». E così parliamo e stiamo +fermi guardandoci attorno per vedere se da qualche parte torni ad accadere +qualcosa. Qualcosa accade sempre, noi però non accadiamo, perché il nostro +Dio è malato. L +’abbiamo ucciso a furia di osservarlo con velenosi occhi di +basilisco e a forza di volerlo comprendere. Dobbiamo pensare alla sua +guarigione. Di nuovo ho sentito con certezza che la mia vita sarebbe rimasta +spezzata a metà se non fossi riuscito a guarire il mio Dio. Perciò rimasi accanto +a lui in quella lunga e fredda notte. +[Ill., 44] / [Ill., 45]112/ [Foglio 44 / 46] +Secondo giorno +[IF, 46] +Cap. IX +Non giunse alcun sogno a o௸rirmi la parola che salva.113 Izdubar rimase tutta +la notte disteso, immobile e muto, ௹nché non spuntò il nuovo giorno.114 +Camminai meditabondo avanti e indietro sulla cresta della montagna, guardando +indietro, verso la Terra d’Occidente, dove si hanno a disposizione tante +conoscenze e ampie possibilità di soccorso. Sono a௸ezionato a Izdubar, non +deve perire miseramente. Ma da dove può arrivare il soccorso? Nessuno +riuscirà a superare la strada rovente e gelida. E io? Ho forse paura di ritornare +per quella via? E in Oriente? Lì troverò forse aiuto? Ma i pericoli ignoti che mi +aspettano? Non vorrei essere accecato. Che giovamento ne avrebbe Izdubar? +Da cieco, inoltre, non potrei trasportare questo Dio paralizzato. Oh, se avessi la +possanza di Izdubar! A che serve tutta la nostra scienza in questi frangenti? +Verso sera, tuttavia, andai da Izdubar e gli dissi: +«Izdubar, mio principe, ascolta! Non voglio lasciarti morire. Siamo già arrivati +alla seconda sera. Non abbiamo cibo e, se non mi riesce di trovare soccorso, ci +aspetta morte sicura. Dall’Occidente non possiamo attenderci aiuti. Forse il +soccorso può invece arrivarci da Oriente. Lungo la strada non hai incontrato + nessuno che potremmo chiamare in aiuto?». +Iz: «Lascia stare, che la morte venga pure quando vuole». +Io: «Mi sanguina il cuore al pensiero di doverti lasciare qui, senza aver tentato +il tutto per tutto per te». +Iz: «A cosa servono le tue arti magiche? Se tu fossi forte come me potresti +trasportarmi. Ma il vostro veleno può solo distruggere e non riesce a portare +soccorso». +Io: «Se fossimo nel mio paese, potrebbero venirci in soccorso vetture veloci». +Iz: «Se fossimo nel mio paese, la tua puntura velenosa non mi avrebbe mai +raggiunto». +Io: «Dimmi: non conosci qualche soccorso che possa venire dall’Oriente?». +Iz: «La via per arrivarci è lunga e solitaria, e se dalla montagna scendi giù in +pianura, troverai il sole abbagliante che ti acceca». +Io: «Se invece cammino di notte e, durante il giorno, mi tengo al riparo dal +sole?». +Iz: «Di notte tutti i serpenti e i draghi escono dalle tane e tu, indifeso, non +avresti scampo. Lascia stare! A che può servire? Le mie gambe sono rinsecchite +e come morte. Preferisco non portare a casa il bottino di questo viaggio». +Io: «Non vuoi che io osi tutto il possibile?». +Iz: «Inutile! Non ci guadagniamo nulla, se muori». +Io: «Fammi ri௺ettere ancora un momento, forse mi viene un’idea che possa +salvarci». +Mi allontano e mi siedo su una lastra di roccia molto in alto, in cresta. E inizio +a ragionare dentro di me: Grande Izdubar, tu ti trovi in una situazione +disperata… e io non meno di te.115 Che fare? Non sempre è necessario fare, +talvolta è meglio pensare. In fondo sono convinto che Izdubar non sia a௸atto +reale, nel senso usuale del termine, ma che sia una fantasia. Si potrebbe giovare +alla situazione se le si attribuisse un altro aspetto... attribuisse... attribuisse... +curioso che qui riecheggino persino i pensieri, si è davvero molto soli. Ma sarà +di௻cile. Lui non accetterà ovviamente di essere una fantasia, ma sosterrà di +essere assolutamente reale e di poter essere aiutato soltanto su un piano reale. +Comunque posso pure provare questo mezzo. Perciò voglio chiamarlo e parlare +con lui. +Io: «Mio principe, potentissimo, ascolta: mi è venuta un’idea che forse ci può +salvare. Penso che tu non sia reale, ma una semplice fantasia». +Iz: «I tuoi pensieri mi fanno orrore. Sono pensieri assassini. Intendi +addirittura dichiarare che non sono reale, / [Foglio 46 / 47] dopo che mi hai +paralizzato in maniera così miserevole?». +Io: «Forse mi sono espresso in modo un po’ equivoco, troppo legato al +linguaggio della Terra d’Occidente. Non voglio dire, naturalmente, che tu sia del +tutto irreale, ma soltanto reale come una fantasia. Se tu potessi accettare + questo, molto sarebbe guadagnato». +Iz: «Guadagnato cosa? Sei un diavolo che mi tormenta». +Io: «O tu che sei degno di commiserazione, non voglio tormentarti. La mano +del medico non vuole tormentare, anche quando fa male. Non riusciresti +davvero ad accettare di essere una fantasia?». +Iz: «Ohimè, in quale incantesimo mi vuoi intrappolare? Come potrebbe +aiutarmi il fatto di credermi una fantasia?». +Io: «Lo sai, il nome che si porta signi௹ca molto. Sai anche che ai malati spesso +si dà un nuovo nome per guarirli, perché col nuovo nome essi ricevono anche +una nuova essenza. Il tuo nome è la tua essenza». +Iz: «Hai ragione, questo lo dicono anche i nostri sacerdoti». +Io: «Dunque, vuoi ammettere che sei una fantasia?». +Iz: «Se serve... d’accordo!». +La voce interiore mi disse allora quanto segue: È vero che adesso lui è una +fantasia; ma, ciò malgrado, la situazione resta estremamente complicata. Anche +una fantasia non si lascia semplicemente negare e trattare con su௻cienza. +Qualcosa bisogna farle. Perlomeno lui è una fantasia... dunque molto più +volatile... Credo di intravedere una possibilità: adesso posso caricarmelo sulle +spalle. +Andai da Izdubar e gli dissi: «Ho trovato una via. Sei diventato leggero, più +leggero di una piuma. Adesso riesco a portarti». Lo cingo con le braccia e lo +sollevo da terra; è più leggero dell’aria e faccio addirittura fatica a tenere i piedi +per terra, perché il mio carico mi solleva in alto. +Iz: «È stato un colpo da maestro. Dove mi porti?». +Io: «Ti porto giù, nella Terra d’Occidente. I miei compagni saranno contenti di +poter ospitare una fantasia tanto grande. Solo quando ci saremo lasciati alle +spalle la montagna e saremo approdati alle capanne ospitali degli uomini, potrò +cercare in tutta tranquillità un rimedio che ti rimetta completamente in sesto». +Portandomelo in spalla, discendo con cautela il sentierino tra le rocce, +correndo più il pericolo di essere sollevato dal vento che non di essere +trascinato giù dal mio carico. Sono appeso al mio lievissimo fardello. Finalmente +raggiungiamo il fondovalle, ed ecco la via dolorosa, rovente e gelida. Questa +volta però un sibilante vento dell’est mi sospinge giù, attraverso la fenditura +nella roccia e poi lungo i campi coltivati, incontro a luoghi abitati. La via +dolorosa non ha nemmeno s௹orato le mie suole. Con le ali ai piedi percorro una +ridente contrada. Davanti a me, sulla strada, ci sono due viandanti. Sono +Ammonio e il Rosso. Quando arriviamo alle loro spalle, si voltano e si danno alla +fuga tra i campi, con urla di raccapriccio. Il mio aspetto dev’essere di certo un +po’ strano. +Iz: «Che razza di mostri sono quelli? Son loro i tuoi compagni?». +Io: «Non sono uomini, ma – come si suol dire – relitti del passato, che + s’incontrano ancora spesso in Occidente. Un tempo avevano grande rilievo. +Adesso li si adopera principalmente come cani da pastore». +Iz: «Ma che strano paese! Guarda laggiù, non è una città? Non vuoi andarci?». +Io: «No, Dio me ne guardi, non voglio causare un assembramento di persone, +là abitano gli illuminati. Non ne senti già l’odore? Quelli sono davvero pericolosi, +perché confezionano i peggiori veleni da cui devo stare alla larga io stesso. La +gente di quel luogo è completamente paralizzata, avvolta in un vene௹co fumo +marrone, circondata da macchinari schiamazzanti e riesce a muoversi ormai +soltanto con mezzi arti௹ciali. / [Foglio 47 / 48] Ma non preoccuparti. È già così +buio che nessuno riuscirà a vederci. Oltre tutto nessuno ammetterebbe di +avermi visto. Conosco qui una casa isolata, dove ho amici ௹dati che ci +accoglieranno per la notte». +Giungo con Izdubar a un giardino buio e silenzioso, dove c’è una casa +appartata. Nascondo Izdubar sotto gli ampi rami spioventi di un albero e vado +verso la porta di casa, per bussare. Osservo la porta perplesso. È troppo +piccola. Non riesco a farci passare Izdubar. Ma sì, invece... una fantasia non ha +bisogno di spazio! Perché non sono arrivato prima a questa idea eccellente? +Ritorno in giardino, comprimo senza fatica Izdubar ௹no a ridurlo alla dimensione +di un uovo e me lo metto in tasca. Così entro nella casa ospitale degli uomini, +dove Izdubar dovrebbe trovare la guarigione. +[2] [IF, 48 (1)] 116Così il mio Dio si salvò. La salvezza derivò dal fatto che gli +capitasse proprio quello che si sarebbe dovuto ritenere assolutamente letale, +ossia che lo si dichiarasse un prodotto d’immaginazione. Quante volte si è già +creduto di aver liquidato gli dèi in questo modo!117 Questo si rivelò +evidentemente un grosso abbaglio: perché è proprio così che il Dio viene +salvato. Non scomparve, ma diventò una fantasia vivente, la cui e௻cacia ho +esperito sul mio corpo: sparì la pesantezza che faceva parte della mia natura, la +via dolorosa, rovente e gelida, non bruciava né gelava più le mie suole, la gravità +non mi teneva più schiacciato al suolo, ma leggero come una piuma mi sollevava +il vento, mentre io trasportavo il gigante.118 +Si credeva di poter compiere un deicidio. Ma il Dio fu salvato, forgiò una +nuova ascia nel fuoco e s’immerse nuovamente nelle ௹umane di luce +dell’Oriente, per ricominciare il suo corso primordiale.119 Ma noi, uomini furbi, +ci trascinavamo in giro paralizzati e vene௹ci, senza sapere che ci mancava +qualcosa. Io invece ho amato il mio Dio e me lo sono portato nella casa degli +uomini, perché ero convinto che anche in quanto fantasia esso fosse dotato di +vita reale e non lo si potesse perciò abbandonare così ferito e malato. Perciò +vissi il prodigio del mio corpo che perdeva peso, quando mi feci carico del mio +Dio. +San Cristoforo, il gigante, portò con fatica un grave peso, malgrado + trasportasse soltanto il Bambin Gesù.120 Io invece ero piccolo come un bambino +e trasportavo un gigante, e tuttavia il mio fardello mi sollevava in alto. Per il +Bambin Gesù il gigante Cristoforo sarebbe stato un carico lieve poiché Cristo +stesso a௸ermò: «Il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero».121 Non siamo noi +a dover portare Cristo, perché Cristo non è sop-portabile, ma dobbiamo essere +noi stessi come dei Cristi, perché allora dolce sarà il nostro giogo e lieve il +nostro carico. Questo mondo tangibile e visibile è, certo, un mondo reale, ma la +fantasia è l’altro mondo reale. Finché lasciamo Dio fuori di noi, nella sfera di ciò +che è tangibile e visibile, non sarà sop-portabile e non avrà più speranze. Se +invece lo trasformiamo in una fantasia, allora si troverà in noi e lieve sarà il suo +peso. Dio fuori di noi accresce la pesantezza di ogni peso, Dio dentro di noi +allevia ogni peso. È per questo che tutti i Cristofori hanno la schiena curva e il +fiato corto, appunto perché il mondo pesa. +[IF, 48 (2)] Ci sono molti che, volendo andare in cerca di aiuto per il loro Dio +malato, sono stati inghiottiti dai serpenti e dai draghi che stanno in agguato sulla +via che porta alla Terra del Sole. Sono tramontati nel giorno rischiarato da una +luce straordinaria e sono diventati uomini dell’oscurità, perché i loro occhi si +sono accecati. Ora vanno in giro come ombre, parlano di luce e non vedono +nulla. Il loro Dio è però presente in tutto ciò che essi non vedono: è nell’oscura +Terra d’Occidente, rende più acuto lo sguardo di chi vede, aiuta i cucinieri di +veleni e addestra serpenti per i talloni dei violenti che sono accecati. Perciò, se +sei intelligente, prendi con te il Dio, così sai dov’è. Se non lo tieni con te nella +Terra d’Occidente, allora egli ti raggiungerà di notte, munito di corazza +sferragliante e impugnando la scure che annienta.122 Se non l’hai con te nella +Terra del Levante, ti imbatterai all’improvviso nel verme divino, che tende +agguati al tuo tallone ignaro. / [Foglio 48 / 49] +[IF, 49] Tutto ricavi dal Dio che trasporti, tranne la sua arma, perché lui l’ha +fracassata. L +’arma serve a chi vuole fare conquiste. Ma che cosa vuoi ancora +conquistare? Di più della terra non puoi conquistare. E cos’è poi la terra? È +tutta tonda, una goccia sospesa nell’universo. Al sole non puoi arrivare, e +neppure per la desolata luna basta il tuo potere; non puoi assoggettare il mare, +la neve dei poli o la sabbia del deserto, ma alla ௹n ௹ne soltanto qualche lembo di +terra verde. E le tue conquiste non sono nemmeno di lunga durata. Domani la +tua sovranità sarà ridotta in cenere, perché dovresti soprattutto – e perlomeno – +assoggettare la morte. Dunque, non essere folle e metti via le armi. Dio stesso +ha fatto in mille pezzi la sua arma. L +’armatura ti sia su௻ciente a proteggerti dai +folli che pensano ancora alle conquiste. L +’armatura di Dio ti rende invulnerabile +e persino invisibile ai folli più beceri. +Prendi con te il tuo Dio. Portalo giù nella tua terra oscura, dove abita la gente + che ogni mattina si sfrega gli occhi continuando a vedere la stessa cosa e mai +nulla di diverso. Porta il tuo Dio tra le esalazioni vene௹che, non come quegli +accecati che vogliono rischiarare la tenebra con luci che la tenebra non +comprende; porta però in segreto il tuo Dio sotto un tetto ospitale. Piccole sono +le capanne degli uomini e, pur con tutto il loro senso dell’ospitalità e la loro +buona volontà, non possono accogliere il Dio. Perciò non aspettare che mani +impacciate e rozze facciano a pezzi il tuo Dio, ma abbraccialo ancora una volta, +con amore, ௹nché egli non abbia assunto la forma dei suoi primissimi inizi. Non +lasciare che gli occhi di un uomo scorgano il Benamato, il Tremendamente +Magni௹co, nel momento in cui è malato e impotente, poiché i tuoi simili sono +bestie, senza saperlo. Finché vanno al pascolo, se ne stanno sdraiati al sole, +allattano i loro piccoli o si accoppiano, sono gradevoli e innocenti creature della +nera Madre Terra. Ma quando appare il Dio, incominciano a smaniare, perché +la vicinanza al Dio li rende forsennati. Tremano di paura e di rabbia e si gettano +di colpo in una lotta fratricida, perché ognuno ௹uta nell’altro il Dio che si +avvicina. Nascondi dunque il Dio che hai portato con te. Lasciali impazzare e +dilaniarsi l’un l’altro. La tua voce è troppo debole perché i furiosi possano +intenderla. Perciò non parlare e non mostrare il Dio, ma siediti in un luogo +solitario e canta le formule d’incantesimo secondo un’antichissima melodia: +Dinanzi a te poni l’uovo, il Dio al suo principio. +E guardalo. +E covalo con il tuo sguardo di magico calore. +QUI COMINCIANO GLI INCANTESIMI. / [Foglio 49 / 50] +Gli incantesimi123 +Cap. X +[Ill., 50]124 +È iniziato il Natale. Il Dio è nell’uovo. +Ho steso davanti al mio Dio un tappeto, uno splendido tappeto rosso +d’Oriente. +Egli sia circonfuso dalla fulgida magnificenza della sua Terra d’Oriente. +Io sono la madre, la vergine ingenua, che ha concepito e non sapeva come. +Io sono il padre premuroso che ha protetto la vergine. +Io sono il pastore che ha accolto l’annuncio, mentre di notte attendeva al +suo gregge nella buia campagna.125 / [Foglio 50 / 51] +[Ill., 51] +Io sono il sacro bestiame che rimane stupefatto e non può comprendere il + divenire del Dio. +Io sono il saggio venuto dall’Oriente, che da lungi ha presagito il +miracolo.126 +E io sono l’uovo, racchiudo e covo in me il germe del Dio. / [Foglio 51 / 52] +[Ill., 52] +Avanzano le ore solenni. +E il mio lato umano è misero e soffre. +Perché io sono una partoriente. +Verso quale destinazione tu m’incanti, o Dio? +Egli è l’eternamente vuoto e l’eternamente pieno.127 +Nulla lo eguaglia, mentre lui eguaglia ogni cosa. +Eternamente oscuro ed eternamente chiaro. +Eternamente in basso ed eternamente in alto. +Duplice natura nella semplicità. +Semplice nella molteplicit��. +Senso nell’assurdo. +Libertà nei vincoli. +Sottomesso seppur vittorioso. +Vecchio in gioventù. +Sì nel no. / [Foglio 52 / 53] +[Ill., 53] +Oh +luce della via di mezzo +racchiusa nell’uovo, +germogliante, +colma di affanni, avvilita. +Ricca di tensione, memoria +perduta in attesa, irreale. +Pesante come pietra, irrigidita. +Fondente per il proprio calore, +trasparente. +Che brilla radiosa, +rivolta a se medesima. / [Foglio 53 / 54] +[Ill., 54]128 +Amen, tu sei il signore dell’alba. +Amen, tu sei la stella d’Oriente. +Amen, tu sei il fiore che sboccia più di ogni altro. +Amen, tu sei il cervo che sbuca fuori dal bosco. +Amen, tu sei il canto che risuona lontano sull’acqua. + Amen, tu sei fine e principio. / [Foglio 54 / 55] +[Ill., 55]129 +Una parola che mai è stata detta. +Una luce che ancora non ha brillato. +Una confusione senza confronti. +E una strada senza fine. / [Foglio 55 / 56] +[Ill., 56] +Io mi perdono queste parole, così come anche tu mi perdoni +in virtù della tua luce fiammeggiante. / [Foglio 56 / 57] +[Ill., 57] +Levati, o fuoco pieno di grazia dell’antica notte. +Io bacio la soglia dove sorgerai. +La mia mano ti srotola tappeti e sparge per te fiori rossi in abbondanza. +Esci fuori, amico mio che giacevi ammalato, erompi dal guscio. +Ti abbiamo allestito un banchetto. +Ti sono offerti doni votivi. +Le danzatrici ti attendono. +Per te abbiamo costruito una casa. +I tuoi servi sono a tua disposizione. +Per te abbiamo raccolto greggi su verdi pascoli. +Abbiamo colmato di rosso vino il tuo calice. +Abbiamo disposto su coppe d’oro frutti profumati. +Bussiamo alla tua prigione e vi appoggiamo l’orecchio in ascolto. +Le ore incalzano, non indugiare ancora. / [Foglio 57 / 58] +[Ill., 58]130 +Senza di te miseri siamo, e languono i nostri canti. +Ti abbiamo detto ogni parola che il nostro cuore potesse offrirci. +Che vuoi tu ancora? +Che dobbiamo fare per te? +Noi ti spalanchiamo ogni porta. +Noi ci mettiamo in ginocchio dove tu vuoi. +Noi andiamo in tutte le direzioni del cielo, secondo la tua volontà. +Noi portiamo sopra ciò che è sotto, e ciò che è sopra lo abbassiamo, +come tu comandi. +Noi diamo e prendiamo, come vuoi tu. +Noi volevamo andare a destra, ma ci dirigiamo a sinistra, +ossequienti al tuo cenno. +Noi saliamo in alto e cadiamo giù, traballiamo e restiamo saldi, + vediamo e siamo ciechi, udiamo e siamo sordi, diciamo sì e no, +sempre ascoltando la tua parola. +Noi non comprendiamo e viviamo eventi incomprensibili. +Noi amiamo e viviamo ciò che non amiamo. +E di nuovo ci giriamo, comprendiamo e viviamo eventi comprensibili. +Amiamo e viviamo quel che amiamo, fedeli alla tua legge. / [Foglio 58 / 59] +Vieni a noi, che vogliamo per nostra volontà. +Vieni a noi, che ti comprendiamo con la nostra mente. +Vieni a noi, che ti scaldiamo con il nostro fuoco. +Vieni a noi, che ti guariamo con le nostre arti. +Vieni a noi che ti generiamo dal nostro corpo. +Vieni, bambino, da padre e madre. +[Ill., 59]131/ [Foglio 59 / 60] +[Ill., 60] +Abbiamo interrogato la terra. +Abbiamo interrogato il cielo. +Abbiamo interrogato il mare. +Abbiamo interrogato il vento. +Abbiamo interrogato il fuoco. +Presso tutti i popoli ti abbiamo cercato. +Presso tutti i re ti abbiamo cercato. +Presso tutti i saggi ti abbiamo cercato. +Nella nostra testa e nel nostro cuore ti abbiamo cercato. +E nell’uovo, infine, ti abbiamo trovato. / [Foglio 60 / 61] +Per te ho sgozzato preziose vittime umane, un ragazzo e un vecchio. +Con i coltelli ho inciso la mia pelle. +Del mio sangue ho cosparso il tuo altare. +Mio padre e mia madre ho ripudiato, affinché tu dimori in me. +Ho fatto della mia notte giorno e da sonnambulo ho vagato a mezzodì. +Ho rovesciato tutti gli dèi, infranto le leggi, mangiato cibo impuro. +Ho gettato la spada e indossato abiti da donna. +Ho distrutto la mia solida fortezza132 e giocato come un bimbo nella sabbia. +Ho visto i guerrieri muovere battaglia, e con la mazza ho fracassato +la mia armatura. +Ho coltivato il mio campo e lasciato marcire il raccolto. +Ho reso piccolo tutto ciò che era grande, e grande quel che era piccolo. +Ho barattato le mie mete più lontane con ciò che è più immediato, +e ora sono pronto. + [Ill., 61]133/ [Foglio 61 / 62] +[IF, 62] Eppure non sono pronto, perché non ho ancora accettato in me quel +fatto sconvolgente. Il terribile è racchiudere il Dio nell’uovo. Certamente mi +rallegro che la grande impresa sia riuscita, ma ho dimenticato il terrore che ho +provato nel compierla. Amo e ammiro ciò che è immenso. Nessuno è più grande +del Dio dalle corna taurine, eppure con facilità io l’ho paralizzato, trasportato e +rimpicciolito. Sono quasi svenuto dallo spavento quando l’ho visto, e ora lo tengo +chiuso nel cavo della mano. Queste sono le forze che ti spaventano e ti +dominano, questi sono i tuoi dèi, i tuoi signori da tempo immemorabile: puoi +anche metterteli in tasca. Che cos’è al confronto una bestemmia? Vorrei poter +bestemmiare Dio: perlomeno avrei un Dio da poter ingiuriare, ma non vale la +pena di dire parole blasfeme a un uovo che ci si porta in tasca. È un Dio che non +si può nemmeno bestemmiare. +Odio questo aspetto miserabile del Dio. Ne ho già abbastanza della mia +personale indegnità. Essa non sopporta di essere ancora oppressa dall’aspetto +miserevole del Dio. Non c’è nulla che si salvi: se ti tocchi, ti riduci in cenere. +Come tocchi il Dio, lui si rintana spaventato in un uovo. Fai saltare le porte +dell’inferno e ti si fanno incontro sberle௻ da carnevale e musiche burlesche. +Prendi d’assalto il cielo e le quinte teatrali vacillano, mentre il suggeritore +sviene nella sua buca. Ti accorgi che non sei autentico, che il Sopra è ௹nto e che +il Sotto non è vero, che Sinistra e Destra sono illusioni. Ovunque ti giri, stringi +solo aria, aria, aria. +Ma io l’ho catturato, quel Dio terribile sin dai primordi, l’ho rimpicciolito, la +mia mano lo contiene. Questa è la ௹ne degli dèi: l’uomo se li mette in tasca. +Questa è la ௹ne della storia degli dèi. Di essi nulla è rimasto tranne un uovo. E +quest’uovo è in mio possesso. Forse potrei annientare quest’unico e ultimo uovo +e sterminare così de௹nitivamente la stirpe degli dèi. Adesso, sapendo che gli dèi +sono caduti in mio potere... che cosa possono signi௹care ancora per me? Vecchi +e disfatti, sono ormai decaduti e sepolti nell’uovo. +Com’è successo dunque? Ho abbattuto il grande Dio, l’ho compianto, non +volevo lasciarlo, giacché lo amavo, in quanto nessuno degli uomini mortali lo può +eguagliare. Per amore ho escogitato lo stratagemma di privarlo del suo peso e +di liberarlo dalla spazialità. Gli ho tolto – per amore – forma e ௹sicità. L +’ho +rinchiuso amorevolmente nell’uovo materno. Dovrei forse ucciderlo, lui, così +inerme, che amo? Dovrei forse frantumare il delicato involucro della sua tomba +ed esporlo ai quattro venti, lui che non ha peso né dimensione? Non ho forse +cantato le formule d’incantesimo per la sua cova? Non l’ho fatto forse per amor +suo? Perché lo amo? Non voglio estirpare dal mio cuore l’amore per il grande +Dio. Voglio amare il mio Dio, che è inerme e indifeso. Voglio prendermi cura di +lui come di un bimbo. + Non siamo forse ௹gli degli dèi? Perché mai gli dèi non dovrebbero essere +nostri ௹gli? Anche se il mio Dio padre per me è morto, dal mio cuore materno +può nascermi un Dio ௹glio. Infatti io amo il Dio e non lo voglio lasciare. Soltanto +chi lo ama può abbattere il Dio, e il Dio si arrende al suo vincitore, si rannicchia +nella sua mano e muore sul suo cuore, che lo ama e gli promette nuova nascita. +Dio mio, io ti amo, come una madre ama il frutto del suo ventre, che porta +sotto il cuore. Cresci nell’uovo dell’Oriente, nutriti del mio amore, bevi la linfa +della mia vita, a௮nché tu possa diventare un Dio radioso. Noi abbiamo bisogno +della tua luce, o ௬glio. Poiché camminiamo nell’oscurità illuminaci il sentiero. +La tua luce risplenda davanti a noi, il tuo fuoco riscaldi i rigori della nostra vita. +Non del tuo potere abbiamo bisogno, bensì della vita. / [Foglio 62 / 63] +A che ci serve il potere? Noi non vogliamo dominare. Vogliamo vivere, +vogliamo luce e calore e perciò abbiamo bisogno di te. Così come la terra +verdeggiante e ogni corpo vivente necessitano del sole, anche a noi, in quanto +spiriti, sono necessari la tua luce e il tuo calore. Uno spirito senza sole diventa +parassita del corpo. Ma il Dio nutre lo spirito. [Ill., 63] / [Ill., 64]134/ [Foglio 63 / +65] +L’apertura dell’uovo135 +Cap. XI +[IF, +65] La sera del terzo giorno136 m’inginocchio sul tappeto e con +precauzione apro l’uovo. Se ne sprigiona una specie di fumo, e di colpo... ecco +comparirmi davanti Izdubar, gigantesco, trasformato e perfetto. È sano in +tutte le membra e non v’è in lui traccia di malanni. È come se si ridestasse da +un sonno profondo. Esclama: +«Dove sono? Com’è stretto qui... Com’è buio... freddo... Sono nella tomba? +Dov’ero? Mi pare di essere stato fuori, nel cosmo... con un nero e infinito +firmamento scintillante di stelle sopra e sotto di me... +Bruciavo di indicibile struggente desiderio… +Correnti di fuoco fuoriuscivano dal mio corpo radioso… +Io stesso fluttuavo tra le fiamme divampanti… +Io stesso nuotavo in un mare di fuoco vivissimo che mi comprimeva... +Soltanto luce, soltanto desiderio, soltanto eternità... +Antichissimo e in eterno rinnovamento… +Cadevo dall’empireo nell’abisso più profondo +e dall’abisso, splendente, mi sollevavo in un vortice verso il punto più alto... +librandomi in nuvole ardenti attorno a me... +rovesciandomi come una pioggia di fuoco + simile a spuma che si frange sulla battigia, / [Foglio 65 / 6] +sommergendomi rovente… +abbracciandomi e respingendomi +in un gioco senza fine… +Dov’ero io? Ero tutto sole».137 +Io: «O Izdubar! Divino! Quale prodigio! Sei guarito!». +[Izdubar:] «Guarito? Ero forse malato? Chi parla di malattia? Io ero sole, +soltanto sole. Io sono il sole». +Una luce ine௸abile emana dal suo corpo, una luce che i miei occhi non possono +reggere. Devo coprirmi il volto e nasconderlo a terra. +Io: «Tu sei il sole, la luce eterna... Perdona, o potentissimo, che la mia mano +abbia osato trasportarti». +È tutto buio e silenzio. Mi guardo attorno. Sul tappeto rimane il guscio vuoto +di un uovo. Mi palpo, tasto il suolo e le pareti: tutto è com’è sempre stato, molto +semplice e molto reale. Vorrei dire: tutto intorno a me si è trasformato in oro. +Ma non è vero: tutto è com’è sempre stato. Qui siamo stati inondati di luce +eterna, infinita e straripante.138 +[2] [IF, 66] Accadde che aprissi l’uovo e che il Dio abbandonasse l’uovo. Lui +era illeso e risplendeva, tras௹gurato; io m’inginocchiai come un bambino, senza +riuscire a capacitarmi del miracolo. Lui, che giaceva compresso nel guscio degli +inizi, si levò in alto senza più traccia di malattia. Se mi ero illuso di aver +catturato quel forte e di tenerlo nel cavo della mano, lui era invece il sole stesso. +Andavo a Oriente verso il levar del sole. Forse volevo sorgere anch’io, come il +sole. Volevo abbracciare il sole e insieme a lui ascendere alla luce del giorno. +Ma egli mi venne incontro e mi sbarrò il passo. Da lui dovetti udire che mi era +stata tolta ogni possibilità di giungere agli inizi. Lui però, che voleva affrettarsi a +raggiungere il tramonto, per poter calare insieme al sole nel grembo della notte, +fu da me paralizzato, e gli fu tolta ogni speranza di raggiungere la beata Terra +d’Occidente. +Eppure, guarda! Ho catturato il sole senza saperlo e l’ho portato in mano. Lui, +che voleva tramontare insieme al sole, trovò grazie a me il suo occaso. Io stesso +ne divenni la madre notturna, che covava l’uovo dei primordi. E lui si levò, +rinnovato, rigenerato a maggiore magnificenza. +Mentre lui sorge, io giungo invece al tramonto. Quando ho avuto la meglio sul +Dio, la sua forza è ௺uita in me. Ma mentre il Dio riposava nell’uovo attendendo il +suo inizio, la mia forza è passata a lui. E allorché egli ascese radioso, io caddi a +testa in giù. Lui prese la mia vita con sé. Tutta la mia forza era con lui. La mia +anima nuotava come un pesce nel suo mare di fuoco. Ma il mio lato umano +rimaneva nell’orrendo gelo dell’ombra della terra e sprofondava sempre più, +௹no alla più ௹tta oscurità. Da me era svanita ogni luce. Il Dio ascese alla Terra + d’Oriente e il mio Io sprofondò negli orrori del mondo infero. Come una +partoriente atrocemente lacerata e sanguinante esala la propria vita nel +neonato e unisce vita e morte nell’ultimo sguardo, così stavo io, madre del +giorno, divenuto preda della morte. Il mio Dio mi ha atrocemente lacerato, si è +abbeverato alla mia linfa vitale, ha assorbito la forza suprema del mio amore ed +è diventato magni௹co e forte come il sole, un Dio sano, senza macchia né difetto. +Mi ha preso le ali, ha rubato la potenza dei miei muscoli, ha fatto venir meno la +mia forza di volontà. Mi ha lasciato soltanto impotenza e gemiti. / [Foglio 66 / 67] +Non sapevo che mi stesse accadendo, poiché in quell’istante erano spariti dal +mio grembo materno ogni potere, bellezza, beatitudine, ogni aspetto che +oltrepassi l’uomo; non mi rimaneva nemmeno un briciolo di oro rilucente. +Crudele e ingrato, l’uccello del sole dispiegava le ali e volava in alto verso lo +spazio in௹nito. A me restava il guscio spezzato, il misero involucro delle sue +origini, e sotto i miei piedi si spalancava il vuoto dell’abisso. +Guai alla madre che dà alla luce un Dio! Se partorisce un Dio ferito e molto +so௸erente, una spada le trapasserà l’anima. Se invece partorisce un Dio sano, le +si spalancherà l’inferno, da cui usciranno mostruosi serpenti, che la +so௸ocheranno con esalazioni pestilenziali. Se il parto è già di௻cile, mille volte +più di௻cile e infernale è però ciò che viene espulso in seguito.139 Dopo il ௹glio +divino, escon fuori tutti i draghi e i mostruosi serpenti dell’eterno vacuo. +Che cosa rimane della natura umana, se il Dio è diventato maturo e ha attirato +a sé ogni forza? Tutto ciò che è inetto, spossato, eternamente meschino, vuoto, +avverso e sfavorevole, ripugnante, sminuente, distruttivo, assurdo, tutto ciò che +la notte impenetrabile della materia racchiude in sé, tutto questo è la placenta +del Dio, che viene espulsa, e il suo fratello infernale di mostruosa deformità. +Il Dio so௸re se l’uomo non si fa carico della propria tenebra. Perciò gli uomini +dovettero avere un Dio so௸erente ௹nché pativano il male. Patire il male signi௹ca +che tu ami ancora il male e nello stesso tempo non lo ami più. Te ne riprometti +ancora qualche vantaggio, però non vuoi guardare, per paura di scoprire che +ami ancora il male. Perciò il Dio so௸re, perché tu, amando il male, ancora ne +so௸ri. Non perché tu debba riconoscere il male ne so௸ri, ma perché esso ti +procura ancora un segreto piacere e sembra prometterti un qualche godimento +in un’eventuale ignota situazione. +Finché il tuo Dio soffre, tu hai compassione di lui e di te stesso. In questo modo +ti risparmi il tuo inferno e prolunghi la sua so௸erenza. Se tu, senza segreta +compassione per te stesso, vuoi guarirlo, il male ti blocca il braccio, quel male di +cui tu riconosci in generale l’esistenza, ma di cui non conosci la forza infernale +radicata in te stesso. La tua ignoranza del male deriva dall’ingenuità della vita +da te condotta ௹nora, dalla tranquillità di questi tempi e dall’assenza del Dio. +Quando però il Dio si avvicina, la tua natura entra in subbuglio e solleva la nera +melma del profondo. + L’uomo si situa tra il pieno e il vuoto. Se la sua forza si lega al pieno, +v’in௺uisce dandogli forma. Questo dar forma è sempre in qualche modo +bene௹co. Se invece la sua forza si lega al vuoto, avrà un e௸etto dissolvente e +distruttivo, in quanto il vuoto non può mai ricevere forma, ma tende solo a +colmarsi a spese del pieno. Così collegata, la forza umana rende il vuoto un +male. Se la tua forza dà forma al pieno, lo fa in virtù del suo legame con il pieno. +A௻nché però si possa mantenere la forma che hai dato, è necessario che vi resti +legata la tua forza. A causa del continuo dar forma tu perdi gradatamente la tua +forza, in quanto da ultimo ogni forza resta legata a ciò che ha ricevuto forma. +Alla ௹ne, quando ti credi ricco, sei diventato povero e resti come un mendicante +in mezzo alle tue forme. Questo è proprio l’attimo in cui l’uomo, accecato, viene +colto da una maggiore brama di creare forme, perché egli pensa che il suo +struggimento possa essere placato da una sempre maggiore produzione di +forme. Poiché la sua forza è esaurita, diventa bramoso e inizia a costringere +altri al suo servizio e ne prende la forza per dar forma a ciò che è suo. +In questo istante ti è necessario il male. Se ti accorgi, infatti, che la tua forza +si sta esaurendo e che comincia la bramosia, allora devi ritirarla dal processo +formativo per ricondurla nel tuo vuoto, e attraverso questo collegamento con il +vuoto riesci ad annullare in te la creazione di forme. In tal modo ritrovi la +libertà, in quanto liberi la tua forza dal legame opprimente con l’oggetto. Finché +rimani fermo sulla posizione del bene, non puoi dissolvere le forme che hai +creato, perché proprio loro costituiscono il tuo bene. Non puoi dissolvere il bene +col bene. Puoi dissolvere il bene solo col male. Alla ௹ne infatti anche il tuo bene +ti porta alla morte col progressivo incatenamento della tua forza. Senza il male +non puoi proprio vivere. +Il tuo dar forma produce anzitutto in te stesso un’immagine delle forme +create. Quest’immagine rimane in te ed è la prima e / [Foglio 67 / 68] più diretta +espressione del tuo dar forma. Successivamente da quest’immagine ne nasce +una esterna, che può sussistere senza di te e a te sopravvivere. La tua forza non +è direttamente connessa al tuo processo formativo esterno, ma soltanto +all’immagine che rimane in te. Se ti accingi a dissolvere con il male le forme che +hai creato, non distruggerai la forma esterna, altrimenti annienteresti la tua +propria opera. Tu invece distruggerai soltanto l’immagine che hai prodotto +dentro di te. È quest’ultima infatti a trattenere la tua forza. Nella misura in cui +quest’immagine incatena la tua forza, avrai bisogno di altrettanto male per +dissolvere le forme da te create e liberarti dal potere del passato. +Ci sono perciò molti uomini validi che muoiono dissanguati a motivo del loro +dar forma, perché non riescono a interessarsi anche del male nella stessa +misura. Quanto migliore uno è e quanto più tiene alle forme da lui create, tanto +più perderà forza. Che succede però quando la persona valida avrà perduto +interamente la sua forza nel processo formativo? Non solo cercherà, con + inconscia astuzia e violenza, di costringere altri a mettersi al servizio delle +forme che ha creato, ma senza volerlo diverrà anche lui meno valido, perché il +suo forte desiderio di appagarsi e rinvigorirsi lo renderà sempre più +egocentrico. In tal modo però la persona di valore distruggerà alla ௹n ௹ne la +propria opera, e tutti coloro che ha costretto a servire tale opera diverranno +suoi nemici, perché li ha alienati da se stessi. Tu comincerai a odiare +segretamente, anche se non lo vorresti, chi ti aliena da te stesso, sia pure per +servire la miglior causa. Disgraziatamente, alla persona di valore, che ha +vincolato la propria forza, risulta sin troppo facile trovare schiavi al proprio +servizio, poiché esiste sin troppa gente che non desidera niente di meglio che +essere alienata da se stessa con un buon pretesto. +Tu so௸ri a causa del male, perché segretamente lo ami, senza esserne +consapevole dinanzi ai tuoi occhi. Vorresti sfuggirlo e cominci a odiarlo. E +ancora una volta resti legato al male dal tuo odio perché, sia che tu lo ami sia +che lo odi, per te è lo stesso: sei legato al male. Il male va accettato. Quel che +vogliamo, rimane nelle nostre mani. Ciò che non vogliamo, ma che è più forte di +noi, ci trascina con sé e noi non possiamo fermarlo, senza recar danno. La +nostra forza resta infatti incatenata al male. Dunque dobbiamo accettare il +nostro male, senza amore né odio, riconoscendo che esso esiste e che deve +avere la sua parte nella vita. In questo modo gli togliamo la forza di sopraffarci. +Se siamo riusciti a creare un Dio e se l’intera nostra forza è assorbita da +questo processo formativo, ci coglierà un’enorme nostalgia di salire in alto +insieme al Figlio divino e di diventare parte della sua magni௹cenza. +Dimentichiamo però di essere soltanto una forma svuotata, da cui la formazione +del Dio ha trascinato a sé tutta la nostra forza. Non soltanto ci siamo impoveriti, +ma la nostra materia si è guastata, e non le spetterebbe di partecipare alla +divinità. +Come una terribile so௸erenza o un’ineluttabile diabolica persecuzione, +penetrano in noi la povertà e l’indigenza della nostra materia. La materia +impotente comincia a succhiare e vorrebbe tornare a inghiottire la propria +creazione. Ma poiché siamo sempre innamorati del nostro dar forma, crediamo +che il Dio ci chiami a sé e compiamo sforzi disperati per seguire il Dio nella sfera +superiore, oppure ci volgiamo ai nostri simili predicando e avanzando pretese, +per costringere perlomeno altri a diventare seguaci del Dio. Purtroppo ci sono +persone che volentieri si lasciano persuadere a far questo, a loro e nostro +danno. +C’è molta fatalità in questo impulso: infatti chi potrebbe mai sospettare che +sia condannato all’inferno colui che ha creato il Dio? Eppure è così, perché la +materia è vuota e buia, se spogliata del divino splendore della forza. Se il Dio si +è levato dalla materia, allora avvertiamo il vuoto della materia come una parte +dell’infinito spazio vuoto. + Con fretta e accrescendo il volere e il fare vogliamo sfuggire al vuoto, dunque +al male. Ma la via giusta è accettare il vuoto, distruggere in noi l’immagine della +forma creata, negare il Dio e discendere nell’abisso e nell’ignominia della +materia. Il Dio, in quanto opera nostra, si trova fuori di noi e non ha più bisogno +del nostro aiuto. È creato e lasciato a se stesso. Un’opera prodotta, che torna +ben presto a perire, se noi le giriamo le spalle, non ha alcun valore, quand’anche +/ [Foglio 68 / 69] fosse un Dio. +Dove sta però il Dio dopo che fu creato e separato da me? Se costruisci una +casa, la vedi poi rimanere nel mondo esterno. Se hai creato un Dio, che non vedi +con occhi ௹sici, lui si trova nel mondo spirituale, che non ha minor valore di +quello ௹sico esterno. Lui è là e compie per te e per gli altri tutto ciò che ti +aspetteresti da un Dio. +Così l’anima tua è il tuo Sé nel mondo spirituale. Ma il mondo spirituale è, in +quanto dimora degli spiriti, anche un mondo esterno. Allo stesso modo in cui nel +mondo visibile tu non sei solo, ma circondato dagli oggetti che ti appartengono e +che soltanto a te obbediscono, così hai anche pensieri che ti appartengono e che +solo a te obbediscono. Ma come nel mondo visibile sei circondato da cose e +creature che non ti appartengono né ti obbediscono, così anche nel mondo +spirituale sei circondato da pensieri e da forme di pensiero che non ti +obbediscono né ti appartengono. Allo stesso modo in cui i tuoi ௹gli carnali, che +sono stati generati o partoriti da te, crescono e si separano da te per vivere il +proprio destino, così tu generi o partorisci anche pensieri, che si separano da te +per vivere una vita autonoma. Così come un individuo lascia i suoi ௹gli, allorché +diventa vecchio e ridà il suo corpo alla terra, così io mi separo dal mio Dio, il +sole, sprofondo nel vuoto della materia e cancello dentro di me l’immagine di +mio ௹glio. Questo accade mentre assumo la natura della materia e lascio ௺uire +nel suo vuoto la forza della mia creazione. Allo stesso modo in cui attraverso la +mia forza generativa ho dato nuovi natali al Dio malato, così ora animo il vuoto +della materia, da cui si sviluppa la configurazione del male. +La natura è giocosa e terri௬ca. Gli uni ne scorgono il lato giocoso, si +trastullano con quello e lo fanno sfavillare. Gli altri scorgono l’orrore, si +coprono il capo e sono più morti che vivi. La via non passa in mezzo a questi +due estremi, bensì li contiene entrambi. È gioco divertente e al tempo stesso +freddo orrore.140 [Ill., 69]141/ [Ill., 70] / [Ill., 71]142/ [Ill., 72] / [Foglio 69 / 73] +L’inferno +[IF, 73] +Cap. XII +Nella seconda notte143 che seguì alla creazione del mio Dio una visione mi + annunciò che avevo raggiunto il mondo infero. +Mi trovo in un ambiente buio col so௻tto a volta, il suolo è lastricato di pietre +bagnate. Nel mezzo si erge una colonna, da cui penzolano corde e ganci. Ai +piedi della colonna c’è uno spaventoso groviglio di corpi umani, avvinghiati come +serpenti. Anzitutto scorgo la ௹gura di una giovane ragazza dalla meravigliosa +chioma rosso oro... Per metà sotto di lei giace un uomo dall’aspetto diabolico... +La sua testa è chinata all’indietro... Dalla fronte gli cola un sottile rivolo di +sangue... Sui piedi e sul corpo della ragazza si sono gettati altri due demoni +simili al primo. Le loro facce hanno un’espressione disumana... il male vivente... +Hanno i muscoli contratti e sodi e i corpi ௺essuosi come quelli dei serpenti. +Giacciono immobili. La ragazza tiene una mano sull’occhio dell’uomo che sta +sotto di lei, il più robusto dei tre... La mano stringe forte una piccola canna da +pesca, che ha infilato nell’occhio del Diavolo. +Trasudo angoscia da ogni poro: volevano seviziare a morte la ragazza, lei si è +ribellata con la forza dell’estrema disperazione ed è riuscita ad agganciare con +il minuscolo amo l’occhio del Maligno. Se soltanto lui si muove, lei, con un ultimo +strattone, gli strapperà via l’occhio. Sono paralizzato dall’orrore: che cosa +succederà? Si fa sentire una voce: +«Il Maligno non può o௫rire sacri௬ci, non può sacri௬care il suo occhio, la +vittoria è di colui che può sacrificare».144 +[2] La visione scomparve. Vidi che la mia anima era caduta in potere del male +abissale. Il potere del male è indubitabile, a ragione dunque lo temiamo. Qui non +ci sono né preghiera, né parola devota, né formula magica che tengano. Nel +momento in cui verrai a contatto con la violenza bruta, non troverai aiuto da +nessuna parte. Il giorno in cui il male ti assalirà spietatamente, non ti potranno +soccorrere né padre né madre, né giustizia né mura e torri, né corazze o forze +protettive. Invece, impotente e completamente solo, cadrai in mano al potere +supremo del male. In questa lotta tu sei solo. Ho voluto partorire il mio Dio, +perciò ho voluto anche il male.145 Chi vuole creare l’eternamente pieno, si +creerà anche l’eternamente vuoto. Non puoi avere l’uno senza l’altro. Se però +vuoi sfuggire al male, non ti creerai alcun Dio, ma ogni tua azione sarà ௹acca e +bigia. Ho voluto il mio Dio nella buona e nella cattiva sorte. Perciò voglio anche +il mio male. Se il mio Dio non fosse straordinariamente potente, neppure il mio +male sarebbe straordinariamente potente. Ma io voglio che il mio Dio sia +potente, sovrano e radioso oltre ogni misura. Solo così lo amo. Per la sua fulgida +bellezza assaporerò anche il fondo dell’inferno. +Il mio Dio è assurto al cielo d’Oriente, più luminoso di ogni stella, e ha recato +un nuovo giorno a tutti i popoli. Perciò posso anche andare all’inferno. Forse che +una madre non darà la propria vita per il ௹glio? Tanto più darò io la mia vita, +purché il mio Dio superi il tormento dell’ultima ora della notte e sorga vittorioso +dalla rossa nebbia del mattino. Non ho dubbi. Per amore del mio Dio voglio + anche il male. Accetto la lotta impari, perché questa lotta è sempre impari e +senza dubbio non ha prospettive. E come potrebbe essere altrimenti, questa +lotta terribile e disperata? Ma precisamente questo dev’essere e anche sarà. / +[Foglio 73 / 74] +Per il Maligno nulla è più prezioso del suo occhio, poiché solo grazie al suo +occhio il vuoto può cogliere la pienezza radiosa. Dato che il vuoto sente la +mancanza del pieno, esso brama il pieno e la sua forza luminosa. E la beve +tramite il suo occhio capace di cogliere la bellezza e lo splendore immacolato +del pieno. Il vuoto è povero, e se non avesse l’occhio sarebbe privo di ogni +speranza. Scorge ciò che vi è di più bello e vuole inglobarselo per sciuparlo. Il +Maligno sa che cosa è bello, per questo è l’ombra del bello e lo segue ovunque +aspettando l’attimo in cui la bellezza, contorcendosi nelle doglie, vorrebbe dar +vita al Dio. +Quando la tua bellezza cresce, l’orrendo verme sale e striscia anche su di te, +in attesa della sua preda. Nulla gli è sacro tranne che il suo occhio, con cui +scorge ciò che vi è di più bello. L +’occhio non l’abbandonerà mai. Egli è +invulnerabile, ma nulla protegge il suo occhio che è delicato e limpido, capace di +assorbire in sé la luce eterna. Egli vuole te, la luce rosata della tua vita. +Riconosco il lato spaventosamente diabolico della natura umana. A tale vista +mi copro gli occhi. Tendo la mano per respingere chi vuole avvicinarsi a me, per +timore che la mia Ombra possa ricadere su di lui, oppure la sua su di me, poiché +scorgo anche il lato diabolico in lui, nel compagno ino௸ensivo della propria +Ombra. +Che nessuno mi tocchi, assassinio e crimine tendono agguati a te e a me. Tu +fai un sorriso innocente, amico mio? Non vedi forse che un leggero tremito del +tuo occhio tradisce il messaggio terri௹co di cui sei latore inconsapevole? La tua +tigre assetata di sangue brontola sommessa, la tua serpe velenosa emette un +sibilo nascosto, mentre tu, consapevole soltanto della tua bontà, mi o௸ri la tua +mano umana per salutarmi. Conosco la tua e la mia Ombra, che ci segue e ci +accompagna e attende solo l’ora del crepuscolo, quando, in compagnia di tutti i +demoni della notte, strangolerà te e me. +Quale abisso di storia truculenta separa noi due, me e te! Ti ho preso per +mano e guardato nell’occhio umano. Ho posato il mio capo nel tuo grembo e ho +sentito il calore vitale del tuo corpo, che era il mio stesso calore, come se si +trattasse del mio stesso corpo, e all’improvviso ho avvertito intorno al collo una +corda liscia che stringeva senza pietà, e una crudele martellata che mi ha +conficcato un chiodo nella tempia. Sono stato trascinato per i piedi sul selciato, e +cani randagi si sono cibati del mio corpo nella notte solitaria. +Nessuno deve meravigliarsi che gli uomini siano talmente distanti tra loro da + non capirsi, da farsi guerra e uccidersi a vicenda. Ci si deve invece meravigliare +assai di più che gli uomini credano di essere vicini l’uno all’altro, di capirsi e di +amarsi. Due sono le cose ancora da scoprire: la prima è l’abisso in௹nito che +separa gli uomini tra loro; la seconda è il ponte che potrebbe collegare due +esseri umani. Non hai mai considerato quanta insospettata animalità ti rende +possibile la convivenza con gli esseri umani?146 +Quando la mia anima cadde in mano al Maligno era priva di difese, a parte la +debole canna con cui riuscì a tirar fuori di nuovo il pesce – ovvero la sua forza – +dal mare del vuoto. L +’occhio del Maligno assorbì tutta la forza della mia anima, +le rimase soltanto la sua volontà, che è proprio quel minuscolo amo. Poiché ho +voluto il male, l’anima mia ha tenuto in mano il prezioso amo, che doveva +agganciare la parte vulnerabile del Maligno. Chi non vuole il male non ha la +possibilità di salvare la propria anima dall’inferno. Egli resta, è vero, nella luce +del mondo superiore, ma diventa l’ombra di se stesso. E la sua anima languisce +nel carcere dei demoni. Così gli si è creato un contrappeso che lo limiterà per +sempre. A lui resteranno irraggiungibili le sfere superiori del mondo interiore. +Egli rimane dov’era, anzi arretra. Tu conosci queste persone e sai quanto +copiosamente la natura disperda vita / [Foglio 74 / 75] e vigore degli uomini in +sterili deserti. Non devi deplorarlo, altrimenti diverrai un profeta e vorrai +salvare ciò che non va salvato. Non sai forse che la natura concima i propri +campi anche di esseri umani? Accogli colui che sta cercando, ma non andare tu +alla ricerca di coloro che errano. Che ne sai tu del loro errore? Forse è +sacrosanto. Non disturbare ciò che è sacrosanto. Non guardare indietro e non +dispiacerti. Vedi cadere molti accanto a te? Provi compassione? Ma tu devi +vivere la tua vita, in modo che, tra mille, almeno uno ne rimanga. La morte non +puoi arrestarla. +Ma perché la mia anima non ha strappato l’occhio al Maligno? Il male ha molti +occhi; se ne perde uno, non è poi un gran danno. Se l’avesse fatto, si sarebbe +abbandonata totalmente al male. Il Maligno è solo incapace di fare sacri௹ci. +Non devi danneggiarlo, soprattutto non il suo occhio, poiché le cose più belle +non esisterebbero se il Maligno non le vedesse e desiderasse. Il Maligno è +sacro. +Il vuoto non può sacri௹care nulla perché so௸re sempre di carenza. Solo ciò +che è pieno può sacri௹care, perché ha la pienezza. Il vuoto non può sacri௹care +la sua fame di pienezza, perché non può rinnegare la propria natura. Per questo +abbiamo bisogno anche del male. Ma io posso sacri௹care la mia voglia di male +perché prima ho accolto la pienezza. Tornano ad a௼uirmi le forze perché il +Maligno mi ha distrutto l’immagine della creazione del Dio. Ma tale immagine +non era ancora distrutta dentro di me. Mi fa orrore compiere questa distruzione +perché è terribile, è una profanazione del tempio senza eguali. Tutto in me si + oppone a quest’abissale abominio. Non sapevo ancora, infatti, che cosa +significasse dare alla luce un Dio. [Ill., 75] / [Foglio 75 / 76] +L’assassinio sacrificale147 +[IF, 76] +Cap. XIII +Questa è però la visione che non volevo vedere, l’orrore che non avrei voluto +vivere. S’insinua in me un malsano senso di nausea. Abominevoli e per௹di +serpenti strisciano frusciando attraverso i cespugli riarsi, pendono pigri e +immersi in un sonno ripugnante, intrecciati tra i rami in orrendi grovigli. Sono +restio a metter piede in questa valle dalla conformazione così uggiosa e +insigni௹cante, dove i cespugli crescono su pendii aridi e pietrosi. La valle +sembra tanto ordinaria, nell’aria si ௹utano delitti, codarde e malvagie imprese. +Mi coglie la nausea e un senso di orrore. Cammino esitante sul fondo sassoso, +evitando le zone buie per timore di pestare un serpente. Un pallido sole sbircia +da un cielo bigio e distante, e ogni foglia è rinsecchita. Ecco davanti a me, tra le +pietre, una bambola con la testa fracassata... Qualche passo più in là un +grembiulino... e dietro al cespuglio il corpo di una bambina... ricoperto di +orrende ferite... imbrattato di sangue... Un piede rivestito di calza e scarpa, +l’altro nudo, maciullato e sanguinolento... La testa... dov’è la testa?... La testa è +ridotta a poltiglia insanguinata, con frammenti biancastri di osso... Le pietre +tutt’intorno sono imbrattate di materia cerebrale e sporche di sangue. Il mio +sguardo è avvinto dall’orrore. Accanto alla bambina148 una ௹gura velata, si +direbbe di una donna, il volto coperto da un velo impenetrabile. Mi chiede: +Lei: «Che cosa ne dici?». +Io: «Che cosa devo dire? Per questo non ci sono parole». +Lei: «Lo comprendi?». +Io: «Mi ri௹uto di capire una cosa del genere. Non riesco a parlarne senza +impazzire». +Lei: «Perché dovresti impazzire? Allora dovresti impazzire ogni giorno della +tua vita, poiché cose del genere accadono quotidianamente sulla terra». +Io: «Ma perlopiù non le vediamo». +Lei: «Dunque non ti basta saperlo per impazzire?». +Io: «Se ne sono soltanto a conoscenza, è più facile e più semplice. L +’orrore è +meno reale se ne sono soltanto a conoscenza». +Lei: «Avvicinati. Vedi, il ventre della bambina è stato squarciato. Tirane fuori +il fegato». +Io: «Non toccherò quel cadavere. Se qualcuno mi sorprendesse a farlo, +penserebbe che sono l’assassino». + Lei: «Sei un vigliacco; prendi il fegato». +Io: «E perché mai dovrei farlo? È assurdo». +Lei: «Voglio che tu estragga il fegato. Devi farlo». +Io: «Chi sei tu che credi di potermi dare un ordine del genere?». +Lei: «Sono l’anima di questa bambina. Devi fare questo per me». +Io: «Non ci capisco niente, ma voglio crederti e fare questa cosa assurda e +tremenda». / [Foglio 76 / 77] +A௸ondo la mano nelle viscere della bambina... Sono ancora calde... il fegato è +ben attaccato... Prendo il coltello e lo libero dai legamenti. Poi lo estraggo e con +le mani insanguinate lo porgo a quella figura. +Lei: «Ti ringrazio». +Io: «Che cosa devo farne?». +Lei: «Conosci il signi௹cato del fegato,149 con esso devi compiere la cerimonia +sacra». +Io: «Di che cosa si tratta?». +Lei: «Prendi un pezzo di fegato, un pezzo per il tutto, e mangialo». +Io: «Che cosa mi stai chiedendo! È una spaventosa follia. Questo signi௹ca +profanazione di cadavere, necrofagia. Mi rendi complice del più terribile dei +delitti». +Lei: «Per l’assassino tu hai già escogitato nella tua mente i più orribili +tormenti, per fargli espiare questo delitto. C’è un solo modo di espiare: umiliati +e mangia...». +Io: «Non posso, mi rifiuto... Non posso aver parte in questa terribile colpa». +Lei: «Tu hai parte in questa colpa». +Io: «Io? Parte in questa colpa?». +Lei: «Tu sei un uomo, ed è stato un uomo a compiere questo delitto». +Io: «Sì, sono un uomo... Maledico lui perché è un uomo, e maledico me stesso +perché sono un uomo». +Lei: «Allora... prendi parte al suo crimine, umiliati e mangia. Ho bisogno di +questa espiazione». +Io: «Che questo avvenga per amor tuo, per te, che sei l’anima di questa +bambina». +Mi inginocchio sulle pietre, recido un pezzo di fegato e me lo metto in bocca. +Le viscere mi si strozzano in gola... Dagli occhi mi sgorgano lacrime... Un sudor +freddo mi ricopre la fronte... Avverto un insulso sapore dolciastro di sangue... +Deglutisco con uno sforzo disperato... Non riesco... Provo e riprovo... Perdo +quasi i sensi... Ecco, l’ho fatto. L’orrore è compiuto.150 +Lei: «Grazie». +Scosta il velo… Ecco una bella ragazza dai capelli biondo rame. +Lei: «Mi riconosci?». + Io: «Mi sei stranamente familiare! Chi sei?». +Lei: «Sono la tua anima».151 +[2] Il sacri௹cio è compiuto: la creatura divina, l’immagine della forma data al +Dio, è stata uccisa e io mi sono cibato della carne della vittima.152 Nella +bambina, nell’immagine della forma data al Dio, erano racchiusi non soltanto il +mio desiderio umano, ma anche ogni aspetto primordiale e le forze primigenie +che i ௹gli del sole possiedono come eredità inalienabile. Di tutto ciò ha bisogno il +Dio per nascere. Quando però è stato creato ed è fuggito via nello spazio +in௹nito, allora abbiamo nuovamente bisogno dell’oro del sole. Dobbiamo +rigenerarci. Ma come la creazione di un Dio è un atto creativo di amore +supremo, così la rigenerazione della nostra vita umana è un’impresa che nasce +dal basso. Questo è un grande e oscuro mistero. L +’uomo non può compiere +quest’impresa da solo; gli viene in aiuto il Maligno, che la compie al posto suo. +L +’uomo deve però riconoscere la sua complicità nell’impresa del Maligno. Deve +testimoniare questo riconoscimento, cibandosi di sanguinolente carni sacri௹cali. +Attraverso quest’azione egli denuncia di essere una creatura umana, di +riconoscere sia il male che il bene e di distruggere, ritraendo la propria forza +vitale, l’immagine della formazione del Dio, e nel far questo si stacca dal Dio +stesso. Ciò accade per la salvezza dell’anima, che è la vera madre della bambina +divina. / [Foglio 77 / 78] +Quando era gravida del Dio e lo diede alla luce, la mia anima era di natura +pienamente umana, possedeva da tempo immemorabile le forze primordiali, ma +ancora assopite. Senza che io facessi nulla, esse con௺uirono nella formazione +del Dio. Attraverso l’uccisione sacri௹cale ho ripreso in me le mie forze +primigenie, aggiungendole alla mia anima. Esse infatti erano con௺uite in una +con௹gurazione vitale, si sono ridestate a vita propria. Se ora le riprendo, esse +non sono più assopite, ma deste e attive e irradiano nella mia anima lo splendore +della loro azione divina. In tal modo essa acquisisce una qualità divina che va al +di là della sua qualità umana. Perciò mangiare carne sacri௹cale giova alla sua +salvezza. Anche gli antichi ci hanno dato questa indicazione insegnandoci a bere +il sangue del Salvatore e a mangiare della sua carne. Gli antichi pensavano che +questo153 giovasse alla salvezza dell’anima. +Non esistono molte verità, ma solo alcune. Il vero signi௹cato è troppo +profondo perché lo si possa cogliere altrimenti che nel simbolo.154 +Un Dio che non sia più forte degli uomini... che cos’è mai? Dovete ancora +assaporare il sacro terrore. Come volete gustare degnamente del pane e del +vino, se non avete ancora toccato il fondo oscuro della natura umana? Per +questo siete ombre tiepide e noiose, e vi compiacete delle vostre coste piatte e +delle ampie strade. Ma si apriranno le chiuse. Ci sono cose ineluttabili da cui +solo Dio vi potrà salvare. + La forza primigenia è splendore solare che i ௹gli del sole portano con sé +dall’eternità e che lasceranno in eredità ai propri ௹gli. Quando però l’anima +s’immerge nello splendore, diventa inesorabile come Dio stesso, perché la vita +della bambina divina di cui ti sei cibato brucerà in te come carbone ardente. È +come un fuoco tremendo e inestinguibile. Tuttavia, malgrado ogni tormento, non +puoi lasciarla perdere, perché è lei che non ti lascia. Da ciò riconoscerai che il +tuo Dio vive e che la tua anima ha incominciato a muoversi su sentieri inevitabili. +Senti che il fuoco del sole si è acceso in te. Qualcosa di nuovo ti si è aggiunto: un +morbo sacro. +A volte non ti riconosci più. Vuoi dominarlo, ma è lui a dominare te. Vuoi +mettergli dei limiti, ma è lui a tenerti ben stretto. Vuoi sfuggirgli, ma lui viene +con te. Vuoi usarlo, ma sei tu il suo strumento; vuoi inventarlo, ma i tuoi pensieri +gli obbediscono. Alla ௹ne vieni a௸errato dalla paura dell’ineluttabile, perché +esso ti si accosta lento e irresistibile. +Non vi si può sfuggire. Da questo conoscerai che cosa sia un vero Dio. Ora +escogiti intelligenti frasi fatte, misure preventive, segrete scappatoie, pretesti e +pozioni di ogni genere, buone per dimenticare, ma tutto è inutile. Il fuoco arde in +te. La tua guida ti forza a trovare la via. +La via è però il mio Sé più personale, la mia propria vita fondata su di me. Il +Dio vuole la mia vita. Vuol venire con me, sedere a tavola insieme a me, lavorare +con me. Vuol essere sempre e ovunque presente.155 Io però mi vergogno del mio +Dio. Non vorrei essere divino, ma ragionevole. Il divino mi appare come +un’irragionevole illusione. Lo odio in quanto insensato disturbo della mia sensata +attività umana. Esso mi appare come un morbo sconveniente che si è insinuato +nel ௺usso regolare della mia vita. Sì, trovo che il divino sia del tutto super௺uo. / +[Ill., 79] / [Ill., 80] / [Ill., 81] / [Ill., 82] / [Ill., 83] / [Ill., 84]156/ [Ill., 85] / [Ill., 86] +/ [Ill., 87] / [Ill., 88] / [Ill., 89]157/ [Ill., 90] / [Ill., 91] / [Ill., 92] / [Ill., 93]158/ [Ill., +94]159/ [Ill., 95] / [Ill., 96] / [Ill., 97] / [Foglio 78 / 98] +La follia divina160 +[IF, 98] +Cap. XIV +Mi trovo161 in una sala dalle alte pareti. Davanti a me vedo un sipario verde +tra due colonne. Il sipario si apre senza far rumore. Vedo un ambiente non +molto profondo, dai muri spogli, in alto c’è una ௹nestrella tonda col vetro blu. +Poggio il piede sul gradino che conduce nel vano tra le colonne, ed entro. A +destra e a sinistra, nella parte posteriore del vano, scorgo una porta. Ho la +sensazione di dover scegliere tra destra e sinistra. +Scelgo la destra. La porta non è chiusa a chiave... Entro: sono nella sala + lettura di una grande biblioteca. Sullo sfondo siede un uomo minuto, magro e dal +viso pallido, evidentemente il bibliotecario. L +’atmosfera è opprimente... +ambizioni enciclopediche... presunzione di eruditi... vanità o௸esa di studiosi... +Non vedo altri all’infuori del bibliotecario. Vado verso di lui, che alza gli occhi +dal suo libro dicendo: +«Che cosa desidera?». +Mi sento un po’ imbarazzato, perché in realtà non so che cosa voglio. Mi viene +in mente Tommaso da Kempis. +Io: «Vorrei l’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis».162 +Lui mi guarda un po’ stupito, come se non mi ritenesse capace di richiedere +quel testo, e mi consegna un modulo da compilare. Penso anch’io che sia +sorprendente voler leggere proprio Tommaso da Kempis. +«Si stupisce che abbia chiesto proprio Tommaso da Kempis?». +«Ebbene sì, questo libro viene richiesto di rado, e proprio da lei non mi sarei +aspettato un simile interesse». +«Devo confessare di essere io stesso un po’ sorpreso da quest’idea, ma di +recente ho letto un passo di Tommaso che mi ha fatto particolare impressione; +non saprei dire il perché. Se ricordo bene, si trattava proprio del problema +dell’imitazione di Cristo». +«Lei ha particolari interessi teologici o filosofici, oppure...?». +«Lei pensa forse... che io voglia leggerlo per devozione?». +«Beh, questo mi pare un po’ difficile». +«Se leggo Tommaso da Kempis lo faccio piuttosto a scopo di devozione o per +qualcosa del genere, e non per interesse scientifico». +«È dunque così religioso? Non lo sapevo proprio». +«Lei sa che tengo in altissima considerazione la scienza, ma nella vita arrivano +davvero dei momenti in cui anche la scienza ci lascia vuoti e malati. In simili +momenti un libro come quello di Tommaso da Kempis signi௹ca moltissimo per +me, perché è scritto dal profondo dell’anima». +«Ma è assai antiquato. Al giorno d’oggi non possiamo più farci coinvolgere dal +dogmatismo cristiano». +«Con il cristianesimo non siamo arrivati alla fine semplicemente mettendolo da +parte. Mi sembra che di esso resti più di quanto possiamo vedere». +«Che cosa deve restarne? È soltanto una religione». / [Foglio 98 / 99] +«Per quali motivi e a che età poi lo si mette da parte? Perlopiù, probabilmente, +nel periodo degli studi universitari, o anche prima. Lo de௹nirebbe un periodo +particolarmente adatto a giudicare? E ha mai esaminato più da vicino per quali +motivi la gente mette da parte la religione positiva? I motivi sono perlopiù futili, +per esempio perché il contenuto della fede si scontra con le scienze naturali o +con la filosofia». +«Questa obiezione non mi pare poi tanto da disprezzare, sebbene ci siano + motivi ancora migliori. Io, per esempio, considero un vero danno la mancanza di +senso della realtà che caratterizza le religioni. Del resto, si è ormai +abbondantemente provveduto a trovare surrogati alla perdita di occasioni +devozionali, causata dalla decadenza della religione. Nietzsche, per esempio, ha +scritto più di un autentico libro di devozione;163 per non parlare poi del Faust». +«Questo è vero, in un certo senso. Ma proprio la verità di Nietzsche, a mio +giudizio, è troppo inquieta e provocatoria... adatta a quelli che devono ancora +essere liberati. Ma per questo la sua verità è adatta soltanto a loro. Credo di +aver scoperto recentemente che abbiamo bisogno di una verità anche per chi +deve ௹nire in un vicolo cieco. Per costoro è forse più indispensabile una verità +deprimente, che renda l’uomo più modesto e lo arricchisca spiritualmente». +«Ma la prego, Nietzsche è straordinario nell’arricchire spiritualmente +l’uomo». +«Forse lei ha ragione dal suo punto di vista, io però non posso sottrarmi +all’impressione che Nietzsche, parlando di se stesso, parli a coloro che +avrebbero bisogno di maggiore libertà, e non a quelli che si sono scontrati +duramente con la vita e sanguinano per le ferite causate dal contatto con le cose +reali». +«Ma anche a queste persone Nietzsche dà un prezioso senso di superiorità». +«Non posso negarlo. Ma conosco persone che hanno bisogno non tanto di +sentirsi superiori, quanto piuttosto inferiori». +«Lei si esprime in modo molto paradossale. Non la capisco. L +’inferiorità non +dovrebbe essere affatto auspicabile». +«Forse mi capirà meglio se invece di inferiorità dico “rassegnazione”, un +termine che un tempo si sentiva spesso, ma che ormai è sempre più raro». +«Suona anche molto cristiano». +«Come ho detto, mi pare che nel cristianesimo ci siano forse parecchie cose +da salvare. Nietzsche vi si oppone eccessivamente. Purtroppo, come tutto ciò +che è sano e durevole, la verità si tiene più sulla via di mezzo che noi a torto +detestiamo». +«Non sapevo davvero che lei avesse una posizione tanto conciliante». +«Neanche io. La mia posizione non mi è del tutto chiara. Se sono conciliante lo +sono perlomeno in modo molto peculiare». +Proprio a questo punto l’inserviente mi consegna il volume e io saluto il +bibliotecario. +[2] Il divino vuole vivere con me. Vano è resistergli. Ho interrogato il mio +pensiero, che mi ha detto: «Prenditi un modello che ti mostri come vivere il +divino». Il nostro modello naturale è Cristo. Da sempre siamo stati sotto la sua +legge, prima sul piano esteriore, poi su quello interiore. Prima lo sapevamo, poi +non l’abbiamo più saputo. Abbiamo combattuto il Cristo, l’abbiamo destituito e +ci siamo sentiti vincitori. Ma lui è rimasto in noi e ci ha soggiogato. + Meglio essere legati da catene visibili che da catene invisibili. Tu puoi +abbandonare Cristo, ma lui non ti abbandonerà. Il tuo volerti liberare di lui è +illusione. Cristo è la Via. Tu puoi certamente compiere delle deviazioni, ma poi +non sei più sulla Via. La via di Cristo ௹nisce sulla croce. Perciò siamo croci௹ssi +con lui in noi stessi. Insieme a lui attendiamo la nostra risurrezione ௹no alla +morte.164 Con Cristo chi è in vita non sperimenta risurrezione alcuna, se non +dopo la morte.165 +Se seguo Cristo, lui è sempre più avanti di me, e io non posso mai giungere alla +meta / [Foglio 99 / 100] tranne che in lui. Ma così facendo esco fuori da me stesso e +dall’epoca in cui e mediante cui io sono quello che sono. Entro invece in Cristo e +nel suo tempo, che lo ha creato in quel modo e non diversamente. E così sarò +fuori dal mio tempo, sebbene la mia vita si svolga nel tempo presente, e sono +scisso tra la vita del Cristo e la mia, che appartiene appunto a questo tempo +presente. Se voglio comprendere veramente Cristo, devo capire che Cristo ha +vissuto realmente solo la sua propria vita e non ha imitato nessuno. Non ha +copiato alcun modello.166 +Se perciò intendo davvero imitare Cristo, allora non imiterò né copierò +proprio nessuno, ma andrò per la mia strada, senza più neppure de௹nirmi +cristiano. Dapprima ho voluto copiare Cristo, imitarlo, cercando di vivere la mia +vita nel rispetto dei suoi comandamenti. Una voce in me si è però ribellata e ha +voluto ricordarmi che anche questo mio tempo ha i suoi profeti, che si sono +ribellati al giogo impostoci dal passato. Non sono riuscito a conciliare Cristo e il +profeta di questo tempo. L +’uno ci chiede di portare il giogo, l’altro di scuoterlo; +l’uno impone rassegnazione, l’altro volontà.167 Come potevo risolvere questa +contraddizione senza far torto all’uno o all’altro? Forse ciò che non riesco a +pensare unito può essere vissuto in tempi diversi. +Decisi perciò di passare alla vita umile e ordinaria, alla mia propria vita, e di +cominciare da quel punto, in basso, in cui effettivamente mi trovavo. +Se il pensiero porta a ciò che è inconcepibile, allora è tempo di tornare alla +vita semplice. Quello che non risolve il pensiero, lo risolve invece la vita, e quello +che il fare non decide mai, è riservato al pensiero. Se da un lato sono asceso a +mete molto elevate e impervie e voglio ottenere una redenzione che mi sollevi +ancor più, la vera via non mi porterà verso l’alto, ma verso il basso, perché solo +l’altro lato presente in me mi può portare oltre me stesso. Accettare l’Altro +signi௹ca però discendere nel lato opposto, passare dal serio al ridicolo, dal triste +al sereno, dal bello al brutto, dal puro all’impuro.168 +Nox secunda169 +[IF, 100] +Cap. XV + Lasciata la biblioteca, mi trovai di nuovo nell’anticamera. Questa volta lancio +un’occhiata verso la porta a sinistra. Mi sono messo in tasca il libretto. Vado +alla porta; si apre anch’essa: dietro, una grande cucina; sopra i fornelli +un’enorme cappa. Al centro della stanza ci sono due lunghi tavoli, e accanto +delle panche. Sugli sca௸ali alle pareti sono allineate padelle in ottone e rame e +altri recipienti. Ai fornelli c’è un donnone grande e grosso... evidentemente la +cuoca, con indosso un grembiule a quadretti. La saluto, un po’ stupito. Anche lei +pare imbarazzata. Le chiedo: «Potrei sedermi qui un momento? Fuori fa freddo +e devo aspettare». +«Prego, si accomodi pure». +Pulisce il tavolo davanti a me. Non sapendo che altro fare, tiro fuori il mio +Tommaso e comincio a leggere. La cuoca è curiosa e mi osserva di sottecchi. +Ogni tanto mi passa accanto. +«Posso chiederle se lei è un religioso?». +«No, come mai pensa questo?». +«Oh, solo perché legge un libriccino nero. Ne ho uno anch’io, della buonanima +di mia madre». +«Ah sì, e che libro è?». +«Si intitola L +’imitazione di Cristo . È un libro così bello! Spesso, alla sera lo +uso per pregare». +«Ha proprio indovinato, anche quello che sto leggendo io è l’Imitazione di +Cristo». +«Non ci credo, un signore come lei non leggerà un libretto del genere, se non +è un pastore». +«Perché mai non dovrei leggerlo? Anche a me fa bene leggere qualcosa di +edificante». +«La buonanima di mia madre se lo tenne con sé ௹n sul letto di morte, e prima +di morire me l’ha messo in mano». +Mentre parla, sfoglio distrattamente il libro. L +’occhio mi cade sul seguente / +[Foglio 100 / 101] passo del diciannovesimo capitolo: «I giusti basano le loro +intenzioni più sulla grazia divina, cui a௻dano tutto quello che intraprendono, che +sulla propria saggezza».170 Mi viene da pensare che proprio questo è il metodo +intuitivo raccomandato da Tommaso. 171 Volgendomi alla cuoca, osservo: «Sua +madre era una donna saggia, ha fatto bene a lasciarle questo libro in eredità». +«Sì, certo, mi ha spesso confortato in ore di௻cili, e se ne può sempre ricavare +un consiglio». +Sono di nuovo sprofondato nei miei pensieri. Penso che si potrebbe anche +andare a lume di naso. Anche questo sarebbe un metodo intuitivo.172 Ma la bella +forma in cui lo fa il Cristo ha forse un valore particolare. Vorrei proprio imitare +il Cristo... Mi coglie un’intima inquietudine... Che cosa sta succedendo? Si sente +uno strano fragore e un frullio d’ali... e di colpo si riversa nella stanza come uno + stormo di grandi uccelli... con un battito d’ali fragoroso... Vedo scorrermi veloci +davanti, come ombre, molte ௹gure umane, e dal brusio di svariate voci distinguo +le parole: «Lasciateci pregare nel Tempio». +«Dove correte?», Vedi sopraesclamo. Un uomo barbuto coi capelli arru௸ati e +gli occhi che emanano un cupo bagliore si ferma e si volta verso di me: «Siamo +diretti a Gerusalemme per pregare sul Santo Sepolcro». +«Prendetemi con voi!». +173«Tu non puoi venire con noi: hai un corpo. Noi invece siamo morti». +«Chi sei?». +«Mi chiamo Ezechiele e sono un anabattista».174 +«Chi sono quelli con i quali stai vagando?». +«Sono i miei fratelli nella fede». +«Perché vagate così?». +«Non possiamo mai smettere, dobbiamo andare in pellegrinaggio in ogni luogo +sacro». +«Che cosa vi induce a farlo?». +«Non lo so. Ma ci pare di non poter ancora aver pace, benché siamo morti +nella vera fede». +«Perché non trovate pace, se siete morti nella vera fede?». +«Ho sempre l’impressione che non siamo riusciti a vivere bene la nostra vita». +«Curioso... E come mai?». +«È come se avessimo dimenticato qualcosa di importante, che avrebbe dovuto, +anch’esso, essere vissuto». +«E sarebbe...?». +«Tu lo sai?». +A queste parole mi a௸erra con fare bramoso e inquietante, mentre gli occhi gli +brillano di intimo ardore. +«Lasciami, demonio, tu non hai vissuto l’animale che è in te!».175 +Davanti a me c’è la cuoca con un’espressione sconvolta; mi a௸erra per le +braccia e mi tiene fermo: «Per amor del cielo! – esclama – Aiuto! Che le +succede? Si sente male?». +La guardo con stupore e mi rendo conto di dove mi trovo. Ma a questo punto +degli estranei si precipitano nella stanza... Tra di loro c’è anche il +bibliotecario... In un primo momento è estremamente sorpreso e sbigottito, ma +sfodera poi un sorriso malizioso: «Oh, me l’ero immaginato! Presto, la polizia!». +Prima che io possa raccapezzarmi, vengo sospinto in una vettura da una folla +di gente che si accalca tutt’intorno. Tengo ancora ben stretto fra le mani il mio +Tommaso, e mi viene da chiedermi: «Che cosa direbbe lui di questa nuova +situazione?». Apro il libretto, e l’occhio mi cade sul tredicesimo capitolo, in cui è +scritto: «Finché viviamo qui in terra non possiamo sfuggire alle tentazioni. +Nessun uomo è così perfetto, e nessun santo è così santo da non poter più + essere indotto in tentazione. Anzi, senza tentazioni non potremmo esistere».176 +Saggio Tommaso, tu sai trovare sempre la risposta appropriata! Questo il folle +anabattista forse non lo sapeva, altrimenti avrebbe potuto ௹nire i suoi giorni in +pace. Avrebbe anche potuto leggerlo in Cicerone: rerum omnium satietas vitae +facit satietatem – satietas vitae tempus maturum mortis a௫ert.177 Riconoscere +questo principio mi ha evidentemente messo in con௺itto con la società: un +poliziotto è seduto alla mia destra, e un altro alla mia sinistra. «Bene – ho detto +loro – adesso potreste anche lasciarmi andare». «Lo sappiamo», / [Foglio 101 / 102] +dice uno dei due sorridendo. «Basta solo che lei adesso se ne stia calmo», +soggiunge l’altro, con aria severa. Dunque: il viaggio porta evidentemente al +manicomio. È un alto prezzo da pagare, ma si direbbe che anche questa via sia +da percorrere. Questa via non è poi così inusuale, la percorrono migliaia di +nostri simili. +Siamo arrivati... un portone, l’atrio... un capo infermiere cortese e zelante... e +ora anche due dottori, uno di loro è un professore basso e grassoccio. +Pr: «Che libro ha qui?». +«È Tommaso da Kempis, l’Imitazione di Cristo». +Pr: «Dunque una chiarissima forma di paranoia religiosa.178 Lei vede, mio +caro, l’Imitazione di Cristo porta dritto in manicomio». +«Su questo non c’è alcun dubbio, professore». +Pr: «Quest’uomo è spiritoso... evidentemente con un pizzico di eccitazione +maniacale. Sente delle voci?». +«Altroché! Oggi c’era tutta una schiera di anabattisti che facevano sarabanda +per la cucina». +Pr: «Bene, eccoci. È perseguitato dalle voci?». +«Oh no, per carità! Sono io che me le vado a cercare». +Pr: «Ah, è così! Ecco un altro caso che dimostra chiaramente che gli allucinati +vanno a cercarsi loro stessi le voci. Questo è da ricordare nell’anamnesi. Vuole +annotarselo subito, dottore?». +«Mi consenta un’osservazione, professore: la cosa non è assolutamente +patologica, è piuttosto metodo intuitivo». +Pr: «Eccellente! Quest’uomo presenta anche neoformazioni linguistiche. +Bene... La diagnosi dovrebbe essere chiara quanto basta. Dunque le auguro di +ristabilirsi presto, e faccia in modo di stare molto calmo». +«Ma professore, io non sono affatto malato. Mi sento benissimo». +Pr: «Vede, mio caro: le manca ancora la visione della sua malattia. +Naturalmente la prognosi è pessima, nel migliore dei casi si può arrivare a una +guarigione parziale». +Capoinfermiere: «Il paziente può tenere il libro?». +Pr: «Sì, parrebbe un innocuo libretto di devozione». + A questo punto fanno l’inventario dei miei abiti... poi viene il bagno... e adesso +mi portano in reparto. Arrivo in uno stanzone di degenti in cui devo mettermi a +letto. Il mio vicino di sinistra giace immobile, col viso impietrito. Quello di destra +sembra avere un cervello ridotto di peso e di dimensione. Mi godo la quiete +assoluta. Il problema della follia è profondo. La divina follia... una forma +avanzata di irrazionalità della vita che ௺uisce in noi... In ogni caso, follia che non +si può integrare nella società odierna... Ma come? Se invece si integrasse la +forma della società nella follia? A questo punto tutto si fa buio e non si vede una +fine.179 +[2] [IF, 102] La pianta che cresce mette un germoglio sulla destra, e quando +quest’ultimo s’è formato completamente, la spinta naturale della crescita non +continua ad avanzare nella gemma, ma ri௺uisce nel tronco, nella madre del +ramo, e si apre una via incerta nell’oscurità e attraverso il tronco per trovare +in௹ne il punto giusto, a sinistra, dove mettere un nuovo germoglio. Questa nuova +direzione della crescita è però completamente opposta alla precedente. E +tuttavia la pianta cresce in questo modo armonioso, senza tensione eccessiva o +disturbo dell’equilibrio. +A destra c’è il mio pensiero, a sinistra il mio sentimento. Entro nello spazio del +mio sentire, che prima mi era ignoto, e noto con stupore la di௸erenza dei miei +due spazi. Non riesco a so௸ocare il riso... Molti ridono invece di piangere. Sono +passato dal piede destro a quello sinistro, e sussulto, colpito da una ௹tta interna. +Troppo grande è la di௸erenza tra il freddo e il caldo torrido. Abbandono lo +spirito di questo mondo, che nel pensiero ha esaurito il Cristo, e passo nell’altro +regno gioioso e tremendo in cui ritrovo nuovamente Cristo. +L’Imitazione di Cristo mi ha condotto direttamente al maestro e al suo regno +stupefacente. Io non so che cosa voglio lì, posso solo seguire il maestro che +domina quest’altro regno in me. In questo regno vigono altre leggi, diverse dalle +direttive che mi dà la mia avvedutezza. Qui la legge suprema dell’agire è la +«grazia divina» a cui, per buone ragioni dettate dall’esperienza, non mi ero mai +a௻dato nel mio regno. La grazia divina indica un particolare / [Foglio 102 / 103] +stato dell’anima in cui mi a௻do con tremore e titubanza a tutto ciò che verrà, +animato dalla più intensa speranza che tutto finirà bene. +Non posso più dire: occorre raggiungere questa o quella meta, vale questo o +quel principio perché è buono; procedo invece a tentoni attraverso la nebbia e +la notte. Non emerge alcuna linea, né appare legge alcuna, tutto è +assolutamente e persuasivamente casuale, per௹no terribilmente casuale. Una +cosa però mi si chiarisce, con mio sgomento: ossia che nei confronti della mia via +precedente, con tutte le sue intuizioni e intenzioni, tutto è ormai una falsa +strada. Risulta sempre più chiaro che nulla conduce, come voleva farmi credere +la mia speranza, ma che tutto seduce. + E d’un tratto, con tuo immenso orrore, ti diverrà chiaro che tu sei caduto in +ciò che è scon௹nato e disordinato, nella stupidità del caos eterno. E questo si +avvicina sibilando come portato sulle ali mugghianti della tempesta, come +sull’onda travolgente del mare. +Ogni essere umano ha nella sua anima un luogo tranquillo dove tutto è +naturale e facilmente spiegabile, un luogo dove gli piace rifugiarsi di fronte alle +sconcertanti possibilità della vita, perché lì tutto è semplice e chiaro e ha uno +scopo evidente e circoscritto. A nulla al mondo l’uomo può dire con altrettanta +convinzione come a questo luogo: «Non sei altro che...», cosa che egli ha anche +già detto. +E questo luogo è una super௹cie piana, una parete quotidiana, una crosta ben +protetta e spesso levigata sopra il mistero del caos. Se tu infrangi questa +banalissima parete, il caos si riverserà all’interno, in un ௺usso travolgente. Il +caos non è cosa semplice, ma in௹nita molteplicità. Non è amorfo, altrimenti +sarebbe semplice, ma è colmo di ௹gure che, per la loro ricchezza, hanno un +effetto sconcertante e sconvolgente.180 +Queste ௹gure sono i morti, non solo i tuoi morti, vale a dire tutte le immagini a +cui hai dato forma in passato e che la tua vita si lascia alle spalle nel suo +procedere, bensì le masse di morti della storia umana, il corteo di fantasmi del +passato, un oceano di fronte alla goccia costituita dallo spazio della tua vita. +Scorgo dietro di te, dietro lo specchio del tuo occhio, l’a௸ollarsi di ombre +minacciose, dei morti che avidi scrutano dalle orbite vuote, che gemono e +sperano di portare a compimento attraverso di te tutto ciò che in ogni tempo è +rimasto irrisolto e che in loro sospira. Il fatto che tu non te ne renda conto non +dimostra alcunché. Appoggia l’orecchio alla parete, e percepirai il fruscio delle +loro schiere. +Ora sai perché ponevi in quel luogo quel che vi è di più semplice e di più +facilmente spiegabile, perché tu decantavi quel posto tranquillo come il luogo più +sicuro: a௻nché nessuno – e tanto meno tu stesso – ne disseppellisse il segreto. È +questo infatti il luogo in cui il giorno e la notte si mescolano con tormento. Le +cose che hai sempre escluso dalla tua vita, che hai rinnegato e condannato, tutto +ciò che per te è stato e avrebbe potuto essere sbagliato ti aspetta dietro quella +parete davanti a cui siedi tranquillo. +Se leggi i libri di storia vi trovi notizie di individui che hanno cercato cose +strane e inaudite, che hanno teso tranelli a se stessi e sono stati catturati da +altri in trappole per lupi, di uomini che volevano ciò che vi era di più elevato e di +più profondo e che, senza essere giunti a compimen-to, dal destino furono +cancellati con un colpo di spugna dalla lavagna di coloro che continuavano a +vivere. Pochi dei viventi sanno di loro, e anche quei pochi non ne sanno +apprezzare alcunché, ma scuotono il capo riguardo alla loro follia. +Mentre tu te ne prendi gioco, uno di loro ti sta alla spalle ansimando per la + rabbia e la disperazione che la tua ottusità non si prenda cura di lui. Ti tormenta +in notti insonni, a volte ti a௸erra quando sei ammalato, a volte sventa i tuoi +intenti. Ti rende altezzoso e bramoso, pungola i tuoi desideri verso tutto ciò che +non ti fa bene, si mangia i tuoi successi rendendoti insoddisfatto. Ti accompagna +come il tuo genio cattivo cui non hai concesso riscatto. +Hai mai sentito parlare di quei tenebrosi che correvano in incognito accanto ai +dominatori del giorno, cospirando a creare inquietudine? Che hanno escogitato +imprese temerarie e che, in onore del loro Dio, non sono arretrati di fronte ad +alcun sacrilegio? +A loro tu devi accostare il Cristo, che fu il più grande di tutti. Per lui soltanto +fu poca cosa spezzare il mondo, e perciò egli ha spezzato se stesso. Per questo +motivo è stato il più grande di tutti, e le potenze di questo mondo non l’hanno +raggiunto. Io invece parlo dei morti che caddero preda del potere, spezzati dalla +violenza, e non da se medesimi. Le loro schiere popolano la terra dell’anima. Se +tu li accogli, / [Foglio 103 / 104] essi ti riempiono di follia e di indignazione contro +ciò che domina il mondo. Da ciò che c’era di più profondo e di più elevato +escogitavano le cose più pericolose. Non erano di tempra comune, ma nobili +lame d’acciaio durissimo. Disdegnarono di partecipare in qualsiasi modo alla vita +meschina dell’uomo. Vissero sulle vette e compirono gli atti più riprovevoli. +Dimenticarono una cosa: non vissero il proprio animale. +L’animale non si ribella contro la propria natura. Osserva gli animali: come +sono retti e modesti, come obbediscono alle tradizioni, come sono fedeli alla +terra che li sostiene, come ritornano sui loro passi abituali, come curano i +piccoli, come vanno a cibarsi insieme e si attirano l’un l’altro alla fonte. Non ve +n’è uno che nasconda la preda che sopravanza, lasciando morire di fame i propri +fratelli. Non ve n’è uno che costringa al proprio volere la sua specie. Non ve n’è +uno che vaneggi di essere un elefante quando invece è una zanzara. L +’animale +vive con modestia e fedeltà la vita della propria specie, nulla di più e nulla di +meno. +Chiunque non viva il proprio animale deve trattare il suo fratello come un +animale. Umiliati e vivi il tuo animale per poter rendere giustizia a tuo fratello. +Così riscatterai tutti quei morti che vagano, cercando di trarre alimento da tutto +ciò che vive. Non trasformare mai in legge ciò che fai, perché questa è +arroganza del potere.181 +Se è giunto per te il momento di aprire le porte ai morti, i tuoi terrori +colpiranno anche tuo fratello, perché il tuo volto preannuncia sventura. Perciò +ritirati in solitudine, giacché nessun essere umano può darti consigli mentre stai +lottando coi morti. Non gridare per ottenerne aiuto quando i morti ti attorniano, +altrimenti i vivi ti fuggiranno, loro che sono il tuo unico ponte con il giorno. Vivi +la vita del giorno e non parlare dei segreti, ma consacra la notte ai morti, per +amor di redenzione. + Chi però, per soccorrerti, ti strappa via dai morti, ti ha reso il peggior +servizio, perché ha strappato il tuo ramo vitale dall’albero della divinità. Egli +pecca anche contro il recupero di ciò che è stato creato e successivamente +assoggettato e perduto.182 «La bramosa attesa della creazione aspetta la +manifestazione dei ௹gli di Dio. Perché la creazione fu soggetta alla caducità, non +di sua propria volontà, ma a motivo di colui che l’ha assoggettata, nella speranza +che anche la creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, per +entrare nella gloriosa libertà dei ௹gli di Dio. Sappiamo infatti che ௹nora anche +tutta la creazione geme ed è in travaglio». +Ogni scalino verso l’alto ripristinerà uno scalino verso il basso, a௻nché i morti +vengano riscattati alla libertà. La creazione del nuovo rifugge dal giorno, poiché +segreta è la sua natura. Prepara proprio la distruzione di questo giorno nella +speranza di ricondurlo in una nuova creazione. Alla creazione del nuovo è legato +un male che tu non puoi annunciare ad alta voce. L +’animale che cerca nuovi +terreni di caccia procede ௹utando rasoterra su sentieri oscuri, e non vuole +essere sorpreso. +Considera che questa è la so௸erenza di colui che crea, che reca in sé una +parte di male, una lebbra dell’anima, che lo separa dai suoi compagni. Potrebbe +decantare la sua lebbra come una virtù, e in verità potrebbe farlo perché è +virtuoso. Ma agirebbe allo stesso modo del Cristo, e ne sarebbe perciò un +imitatore. Soltanto uno fu però il Cristo, e uno soltanto ha potuto violare le leggi, +come ha fatto lui. È impossibile compiere trasgressioni più forti mettendosi sulla +sua strada. Adempi ciò che ti pertiene. Spezza il Cristo che è in te, a௻nché tu +possa arrivare a te stesso e in௹ne al tuo animale, che se ne sta con modestia nel +suo branco, senza trasgredirne le leggi. Sia su௻ciente alla trasgressione della +legge il fatto che tu non imiti il Cristo, perché così farai un passo indietro alle +spalle del cristianesimo, e un passo oltre esso. Col suo potere Cristo ha portato +la redenzione; sarà il non-potere a redimerti. +Hai contato i morti che il Signore ha degnato di sacri௹cio? Li hai interrogati +sulle idee per le quali hanno dovuto subire la morte? Ti sei reso conto della +bellezza del loro pensiero e della purezza della loro intenzione? «Usciranno e +vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati a me; perché il loro verme +non morirà e il loro fuoco non si estinguerà».183 +Perciò fa’ penitenza e considera ciò ch’è stato preda della morte per amore +del cristianesimo, ponilo davanti a te e costringiti ad accoglierlo in te. I morti +hanno infatti bisogno di essere redenti. Il numero dei morti irredenti è diventato +superiore a quello dei cristiani viventi; perciò è tempo che ci prendiamo cura dei +morti.184 +Non slanciarti con rabbia o con intento distruttivo contro ciò che è compiuto. +Che cosa vorresti mettere al suo posto? Non sai che, se riesci a distruggere ciò +che è compiuto, rivolgerai poi contro te stesso la volontà distruttiva? Tuttavia + chiunque faccia della distruzione il proprio scopo perirà per autodistruzione. +Rispetta piuttosto ciò che è compiuto, poiché il profondo rispetto è una +benedizione. +Quindi volgiti ai morti,185 ascoltane il lamento e prenditi amorevolmente cura +di loro. Non esserne l’abbagliato portavoce,186/ [ill., 105]187/ [Foglio 104 / 106] ci +sono profeti che alla ௹ne si lapidano da soli. Ma noi cerchiamo la redenzione, +perciò abbiamo bisogno di rispettare profondamente ciò che è compiuto e di +accettare i morti, che da tempo immemorabile ௺uttuano nell’aria e a guisa di +pipistrelli dimorano sotto il nostro tetto. Qualcosa di nuovo si costruirà sul +vecchio, e si moltiplicherà il signi௹cato di ciò che è stato compiuto. Così +riscatterai la tua povertà in ciò che è compiuto trasformandola in ricchezza del +futuro. +Ciò che ti vorrebbe allontanare dal cristianesimo e dalla sua sacra legge +dell’amore sono i morti che non riescono a trovare pace nel Signore, poiché le +loro opere incompiute li hanno seguiti. Una nuova redenzione è sempre un +riacquistare ciò che prima era andato perduto. Cristo stesso non ha forse +ripristinato il sacri௹cio umano che, sin dai tempi più antichi, costumi migliori +avevano escluso dalle pratiche religiose? Non ha forse lui stesso reintrodotto la +pratica religiosa del cibarsi della vittima umana? Nella tua pratica religiosa +verrà nuovamente inserito ciò che la legge sinora condannava. +Ma se Cristo ha ripristinato il sacri௹cio umano e il cibarsi della vittima, questo +è accaduto a lui e non a un fratello, perché Cristo ha instaurato la suprema +legge dell’amore, per cui nessuno dei fratelli ne ha riportato danno, ma tutti +hanno potuto gioire di questa restituzione. Succedevano le stesse cose dei tempi +antichi, ma sotto la legge dell’amore.188 Per cui, se non hai un profondo rispetto +di ciò che è stato compiuto, distruggerai la legge dell’amore.189 Che cosa quindi +accadrà di te? Sarai costretto a ripristinare ciò che c’era prima, ossia atti di +violenza, assassini, azioni illecite e disprezzo per il fratello. E l’uno sarà +estraneo all’altro, e la confusione regnerà sovrana. +Devi perciò avere profondo rispetto di ciò che è stato compiuto, a௻nché la +legge dell’amore possa diventare redenzione mediante il recupero di ciò che è +umile e passato, anziché dannazione per l’illimitato predominio dei morti. +Tuttavia gli spiriti di coloro che sono divenuti anzitempo preda della morte +dimoreranno, aggregati in oscure schiere, fra le travi delle nostre case e +tempesteranno le nostre orecchie con lamenti penetranti ௹nché noi non +assicureremo loro la redenzione restituendo loro ciò che si è compiuto da tempo +sotto la legge dell’amore. +Ciò che chiamiamo tentazione è una richiesta dei morti che se ne sono andati +prematuramente e senza aver vissuto pienamente la loro vita, per colpa del +bene e della legge. Infatti nessun bene è tanto perfetto da non arrecare + ingiustizia e da non infrangere ciò che non dovrebbe essere infranto. +Siamo una razza accecata. Viviamo solo in super௹cie, solo nell’oggi, e +pensiamo solo al domani. Trattiamo brutalmente il passato, perché non ci +prendiamo cura dei morti. Vogliamo fare soltanto lavori che assicurino un +successo visibile. Soprattutto vogliamo essere pagati. Ci parrebbe folle +compiere un’opera nascosta che non sia visibilmente utile all’uomo. Non v’è +dubbio che le necessità della vita ci hanno costretto a preferire frutti tangibili. +Ma chi so௸re più di coloro che si sono smarriti alla super௹cie del mondo, sotto +l’influsso seduttivo e fuorviante dei morti? +C’è un’opera necessaria ma nascosta e singolare, un’opera magistrale, che +devi compiere segretamente per amore dei morti. Chiunque non riesca a +raggiungere il suo campo e la sua vigna visibili è trattenuto dai morti, che +esigono da lui espiazione. E se prima non l’ha compiuta, egli non potrà arrivare +a compiere la sua opera esterna, perché i morti non lo lasciano. Rientri in sé e +agisca in silenzio, secondo il loro ordine, e completi il mistero, a௻nché i morti lo +lascino libero. Non guardare troppo avanti; guarda piuttosto indietro e dentro di +te, per non mancare di dar ascolto ai morti. +Fa parte della via di Cristo che egli abbia portato in alto con sé pochi viventi +ma molti defunti. La sua opera riscattò quel che era disprezzato e perduto. E +per tale motivo egli fu crocifisso tra due delinquenti. +Vivo il mio tormento in mezzo a due pazzi. In verità mi elevo mentre scendo in +basso. Abituati a stare da solo con i morti. È di௻cile, ma proprio in questo modo +scoprirai il valore dei tuoi compagni che sono ancora vivi. +Che cosa non fecero gli antichi per i loro morti! Tu credi forse di poterti +esimere dal prenderti cura dei morti e dal compiere l’opera così necessaria per +loro perché ritieni che ciò che è morto sia ormai passato. Ti scusi sostenendo di +non credere nell’immortalità dell’anima. Pensi che i morti non esistano perché +ritieni impossibile l’immortalità? Tu credi ai tuoi idoli di parole. I morti agiscono +e basta. Nel mondo interiore non puoi eliminare nulla con le tue spiegazioni, così +come non potresti far sparire il mare nel mondo esterno. Devi comprendere una +buona volta quale sia l’intento delle tue spiegazioni: il tentativo di cercare +protezione.190 +Accettai il caos, e la notte seguente l’anima mia mi visitò. / [Ill., 107] / [Foglio +106 / 108] + Nox tertia191 +[IF, 108] +Cap. XVI +L’anima mia mi sussurrò, insistente e inquietante: «Parole, parole, non fare +troppe parole. Taci e ascolta: hai riconosciuto la tua pazzia e la ammetti? Hai +notato che le tue fondamenta sono a௸ondate completamente nella pazzia? Non +vorresti riconoscere la tua pazzia e darle un amichevole benvenuto? Non volevi +accettare ogni cosa? Accetta dunque anche la pazzia. Lascia risplendere la luce +della tua pazzia e di fronte a te si aprirà una grande luce. La pazzia non è da +disprezzare, né da temere, ma devi infonderle vita». +Io: «Dure suonano le tue parole e difficile è il compito che mi dai». +A: «Se vuoi trovare delle vie, non disdegnare la pazzia, perché costituisce una +parte tanto grande della tua natura». +Io: «Non sapevo che fosse così». +A: «Sii lieto di poterlo riconoscere, così eviti di diventarne vittima. La pazzia è +una forma particolare dello spirito e aderisce a tutte le dottrine e le ௹loso௹e, ma +ancor più alla vita di ogni giorno, poiché la vita stessa è colma di follia ed è +sostanzialmente irragionevole. L +’uomo aspira alla ragione solo per potersi +creare delle regole per lui stesso. La vita in sé non ha regole. Questo è il suo +segreto, questa è la sua legge sconosciuta. Quello che tu chiami conoscenza è un +tentativo di imporre alla vita qualcosa che risulti comprensibile». +Io: «Tutto questo suona molto sconfortante, ma desta il mio spirito di +contraddizione». +A: «Non hai nulla da contraddire, tu sei in manicomio». +Davanti a me c’è il piccolo professore grassoccio... Era lui a parlare in questo +modo? E io l’ho scambiato per la mia anima? +Prof: «Sì, mio caro. Lei è confuso. Parla in modo del tutto sconnesso». +Io: «Anch’io penso di essermi perso completamente. Ma sono davvero pazzo? +È tutto terribilmente confuso». +Prof: «Abbia pazienza. Tutto andrà a posto. Dunque, dorma bene!». +Io: «Grazie, ma ho paura». +In me tutto ondeggia e precipita in completo subbuglio. La faccenda si fa +seria, il caos avanza. Ho proprio toccato il fondo dei fondi? Il caos è anche un +fondamento? Se solo non ci fosse quest’ondeggiamento terribile... Come nere +ondate tutto si rovescia e si scompiglia. Sì, ora vedo e capisco: è l’oceano, la +possente marea notturna... Laggiù c’è una nave... una grossa nave a vapore... +Sto entrando nel fumoir... Tanta gente... begli abiti... Tutti mi guardano +stupiti... Qualcuno mi si avvicina: «Che cosa c’è? Ha un’aria spettrale! Cos’è +accaduto?». + Io: «Nulla... o meglio, credo di essere impazzito... Il pavimento ondeggia... +tutto si muove». +Qualcuno: «Il mare è un po’ mosso stasera, ecco tutto... Si beva un grog bello +caldo... Lei ha il mal di mare». +Io: «Sì, è vero, ho il mal di mare, ma in un modo particolare, visto che sono +infatti in manicomio». +Qualcuno: «Bene, sta di nuovo scherzando, la vita ritorna». +Io: «Questo lo chiama scherzare? Proprio adesso il professore ha detto che +sono totalmente pazzo». +E௸ettivamente il piccolo professore grassoccio è seduto a un tavolino coperto +da un panno verde e gioca a carte. Quando mi sente parlare si volta verso di me +e ride: «Bene, dov’è stato, ritorni qua. Beve anche lei qualcosa? Lei è un tipo +incredibilmente originale. Con le sue idee questa sera ha messo in agitazione +tutte le signore». +Io: «Professore, per me questo non è uno scherzo. Poco fa ero ancora un suo +paziente...». +La mia frase suscita un’irrefrenabile ilarità generale. +Professore: «Spero che non l’abbia presa troppo sul tragico». +Io: «Beh, essere internati in manicomio non è proprio una bazzecola». +Quel tale con cui ho parlato prima si avvicina all’improvviso, ௹ssandomi in +faccia. È un uomo dalla barba nera, dai capelli arru௸ati e occhi di un cupo +luccichio. Mi parla irruente e con insistenza: «A me è capitato qualcosa di +peggio, ormai sono qui già da cinque anni». +Mi accorgo che è il mio vicino, il quale si è evidentemente riscosso dall’apatia +e adesso è seduto sul mio letto. Continua a parlare con vigore e insistenza: «Io +sono Nietzsche, ma ribattezzato, e sono anche Cristo, il Salvatore incaricato di +redimere il mondo, ma loro non me lo permettono». +Io: «Chi è che non glielo permette?». +Il matto: «Il Diavolo. Visto che qui siamo all’inferno. Naturalmente anche lei +non ha ancora notato niente. Anch’io mi sono accorto che il direttore è il Diavolo +solo nel secondo anno che ero qui». +Io: «Vuol dire il professore? Sembra incredibile». +Il matto: «Lei è un ignorante. Già da un pezzo avrei dovuto sposare la Madre +di Dio.192 Ma il professore, quel demonio, la tiene in suo potere. Ogni sera, +quando il sole tramonta, lui la mette incinta. Al mattino presto, al sorgere del +sole, lei partorisce. Poi arrivano tutti i diavoli insieme e uccidono il neonato in un +modo / [ill., 109]193/ crudele. Sento distintamente le sue urla». +Io: «Quello che racconta è pura mitologia». +Il matto: «Tu sei pazzo, perciò non ne capisci niente. Devi proprio stare in +manicomio. Dio mio, perché la mia famiglia mi rinchiude sempre coi pazzi? Io +devo redimere il mondo, io sono il Redentore». + Si corica nuovamente e ricade nella sua apatia. Mi aggrappo alle sponde del +letto per proteggermi dal terribile ondeggiamento. Guardo ௹sso la parete per +ancorarmi a qualcosa almeno con lo sguardo. Sulla parete corre una linea +orizzontale e, al di sotto, il muro è di tinta più scura. Davanti c’è un calorifero... +è una balaustra oltre cui intravedo il mare. La linea è l’orizzonte. E lì, in questo +momento, il sole si sta levando in un rosso splendore, solitario e magni௹co... +Dentro c’è una croce a cui è appeso un serpente... o forse è un toro, squarciato +come al macello... o magari è un asino? Forse è un ariete con la corona di +spine... oppure è il Croci௹sso, io stesso? È sorto il sole del martirio, che riversa +sul mare raggi sanguigni. Questo spettacolo si protrae a lungo, il sole sale più in +alto, i suoi raggi si fanno più lucenti194 e più caldi, e il sole abbagliante +௹ammeggia sul mare azzurro. Il moto ondeggiante si è placato. Sul mare +scintillante si stende una bene௹ca quiete da mattinata estiva. Si leva un odore +salmastro di acqua di mare. Un’ampia e stanca onda di risacca s’infrange sulla +sabbia con sordo fragore e continua a ritornare, dodici volte, i rintocchi +dell’orologio del mondo...195 È terminata la dodicesima ora, e a questo punto +subentra il silenzio. Nessun rumore, neppure un alito, tutto è immobile e +mortalmente quieto. Io aspetto, in preda a una segreta angoscia. Vedo un albero +sorgere dal mare, la sua chioma arriva al cielo, e le radici si spingono ௹no +all’inferno. Sono completamente solo e sconsolato, e guardo da lontano. È come +se la vita se ne fosse fuggita via da me, del tutto abbandonata a eventi +incomprensibili e spaventevoli. Mi sento debolissimo e inetto. «Salvezza?», +sussurro. Una voce sconosciuta dice: «Qui non c’è salvezza,196 ma lei deve stare +calmo, altrimenti disturba gli altri. È notte, e gli altri vogliono dormire». Vedo +che si tratta del sorvegliante. La sala è ௹ocamente illuminata da una piccola +lampada, e su quel luogo incombe una triste atmosfera. +Io: «Non ho trovato la via». +Lui: «Adesso non ha bisogno di cercare nessuna via». +Lui dice la verità. La via, o qualunque cosa sia quello su cui uno cammina, è la +nostra via, la via giusta. Non ci sono strade spianate verso il futuro. Diciamo: +questa sia la via, ed essa lo è. Creiamo le strade mentre le percorriamo. La +nostra vita è la verità che noi cerchiamo. Soltanto la mia vita è la verità, la +verità assoluta. Noi creiamo la verità vivendola. +[2] Questa è la notte in cui si ruppero tutte le dighe, in cui si mosse ciò che +prima era solido, in cui le pietre si trasformarono in serpenti e tutto ciò che era +vivo si congelò. Si tratta di una ragnatela di parole? Se è così, allora una +ragnatela di parole è l’inferno per chi vi resta impigliato. +Esistono infernali ragnatele di parole, mere parole; ma che cosa sono le +parole? Sii cauto con le parole, sceglile bene, prendi parole sicure, parole prive +di appigli, non tesserle l’una all’altra, a௻nché non ne nasca una ragnatela, +perché tu saresti il primo a restarvi impigliato.197 Poiché le parole implicano dei + signi௹cati. Con le parole scoperchi il mondo infero. La parola è quel che vi è di +più futile e di più potente. Nella parola con௺uiscono il vuoto e il pieno. La parola +è perciò un’immagine di Dio. La parola è quanto di più grande e di più piccolo +l’uomo abbia creato, proprio come ciò che opera in modo creativo attraverso +l’uomo è esso stesso quanto vi è di più grande e di più piccolo. +Dunque, se resto impigliato nella ragnatela delle parole, divengo preda di quel +che vi è di più grande e di più piccolo. Sono in balia del mare, dell’onda indistinta +che cambia luogo senza sosta. La sua natura è il movimento, e il movimento è il +suo ordine. Chi si oppone all’onda è esposto all’arbitrio. Stabile è l’opera +dell’uomo, ma galleggia sul caos. A chi viene dal mare l’a௸accendarsi degli +uomini appare come una follia. Ma gli uomini lo guardano come se il pazzo fosse +lui.198 Chi viene dal mare è malato. Può a malapena sopportare la vista di esseri +umani. Tutti gli appaiono infatti ebbri e istupiditi da veleni narcotizzanti. +Vogliono a௸rettarsi in tuo soccorso, e tu vorresti non tanto il loro aiuto, quanto +piuttosto introdurti furtivamente nella loro compagnia, ed essere proprio come +uno che non ha mai visto il caos, ma ne parla soltanto. +Ma per colui che ha visto il caos non c’è più possibilità di nascondersi, egli sa +piuttosto che la terra gli oscilla sotto i piedi e sa che cosa signi௹ca quel +movimento. Ha visto l’ordine e il disordine dell’in௹nito, sa dell’esistenza di leggi +illegali. Conosce il mare e non può più scordarlo. Tremendo è il caos: giorni di +piombo, notti d’orrore. +Ma come Cristo sapeva di essere la Via, la Verità e la Vita, in quanto tramite +lui giungevano nel mondo il nuovo tormento e la rinnovata salvezza,199 così io so +che il caos deve piombare sugli uomini e che sono già all’opera le mani di coloro +che, sia pure inconsapevoli e ignari, stanno buttando giù le sottili pareti che ci +separano dal mare. Poiché questa è la nostra via, la nostra verità e la nostra +vita. +Come i discepoli di Cristo riconobbero che Dio si è fatto carne e ha vissuto tra +loro come uomo, così ora noi riconosciamo che l’Unto di questo tempo è un Dio +che non si manifesta nella carne; non è un uomo, e tuttavia è ௹glio dell’uomo, ma +nello spirito, e non nella carne; perciò può nascere soltanto attraverso lo spirito +dell’uomo in quanto utero capace di concepire Dio.200 A questo Dio è stato fatto +quello che tu fai a ciò che di più vile è presente in te, sotto la legge dell’amore +per cui nulla è perso. Perché, come potrà altrimenti essere salvato dalla +perdizione / [ill., 111]201/ [Foglio 110 / 112] il tuo lato più in௹mo? Chi potrà +prendersi cura del lato più vile presente in te, se non lo farai tu stesso? Chi però +lo fa non per amore ma per superbia, egoismo o cupidigia è dannato. Anche nella +dannazione nulla si perde.202 +Se ti prendi cura di ciò che in te è più vile è inevitabile che tu so௸ra, perché +compi ciò che è abietto e rimetti in piedi quel che giaceva a terra distrutto. In +noi ci sono molte tombe e carogne, un fetore di decomposizione.203 Come il + Cristo vinse la carne mediante il martirio della santi௹cazione, così il Dio di +questo tempo vincerà lo spirito mediante il martirio della santi௹cazione. Come il +Cristo martoriò la carne tramite lo spirito, così il Dio di questo tempo +tormenterà lo spirito tramite la carne. Giacché il nostro spirito è diventato una +sfrontata baldracca, uno schiavo delle parole create dagli uomini, e non più la +parola divina stessa.204 +La parte in te più vile è la fonte della grazia. Ci facciamo carico di questa +malattia, dell’incapacità di trovar pace, della bassezza e della spregevolezza, +a௻nché il Dio sia risanato e ascenda radioso, puri௹cato dalla putrefazione della +morte e dal fango del mondo infero. Chi era catturato in modo spregevole +ascenderà verso la propria redenzione luminoso e pienamente risanato.205 +Quale so௸erenza sarebbe troppo grande per amore del nostro Dio? Tu vedi +solo l’Uno, senza notare l’Altro. Se però esiste un Uno esiste anche l’Altro, che è +la parte più vile in te. Ma questa parte più vile è anche l’occhio del male, che ti +guarda ௹sso e gelido, e risucchia la tua luce nell’oscuro abisso. Benedite la +mano che vi tiene in alto, aggrappati al minimo umano, al più vile vivente. Non +pochi preferiranno la morte. Infatti, così come il Cristo impose all’umanità +sacrifici cruenti, anche il Dio rinnovato non risparmierà spargimento di sangue. +Perché la tua veste è così rossa e il tuo abito è simile a quello di un pigiatore +d’uva? Io pigio l’uva da solo, e non c’è nessuno con me. Mi sono pigiato nella mia +ira e schiacciato nel mio furore. Perciò il sangue mi è schizzato sugli abiti e ha +insudiciato le mie vesti. Mi sono infatti ripromesso un giorno di vendetta; è +arrivato l’anno del mio riscatto. Mi sono guardato intorno e non c’era nessuno +ad aiutarmi; mi sono meravigliato e nessuno mi dava aiuto, ma soltanto il mio +braccio dovette soccorrermi, e la mia ira mi sostenne. Mi sono schiacciato nella +mia ira e ubriacato nella mia furia, e ho riversato il mio sangue sulla terra.206 +Poiché mi sono fatto carico della mia colpa affinché il Dio guarisse. +Così come Cristo ha detto di non esser venuto a portare la pace ma la +spada,207 anche colui che realizza il Cristo in sé non si darà la pace, ma una +spada. Si rivolterà contro se stesso, e l’Uno sarà contro l’Altro dentro di lui. Egli +odierà ciò che ama in se stesso. Verrà fustigato in se stesso, deriso e consegnato +al martirio della crocifissione e nessuno lo soccorrerà o mitigherà il suo strazio. +Allo stesso modo in cui Cristo fu croci௹sso tra due ladroni, la nostra parte più +vile si trova ai due lati della nostra via. E così come un ladrone ௹nì all’inferno e +l’altro ascese al cielo, la nostra parte più vile verrà separata in due metà nel +giorno del nostro giudizio. Una è destinata alla dannazione e alla morte, mentre +all’altra spetterà di elevarsi verso l’alto.208 Ma ci vorrà molto tempo prima che +tu comprenda che cosa è destinato a morire e che cosa a vivere, perché la tua +parte più vile è ancora indivisa ed è un’unica cosa, immersa in un sonno +profondo. +Se accetto quanto c’è di più vile in me metto un seme in fondo all’inferno. Il + seme è piccolo e invisibile, ma da esso cresce l’albero della mia vita, che collega +il Sotto col Sopra. Alle due estremità ci sono fuoco e braci ardenti. Il Sopra è +infuocato, ed è infuocato anche il Sotto. Tra questi due fuochi insopportabili +cresce la tua vita. Tu sei sospeso tra questi due poli. In un movimento terribile e +interminabile ondeggia avanti e indietro ciò che è teso e sospeso tra di essi.209 +Per questo si teme la propria parte più vile, perché quel che non si possiede è +sempre unito al caos e partecipa del suo enigmatico ௺uire e ri௺uire come una +marea. In quanto io accetto la mia parte più vile, ossia quel sole del profondo +che arde rossastro, e divento in tal modo preda della confusione del caos, sorge +per me anche il sole che brilla in alto. Per questo chi lotta per arrivare in alto +trova ciò che è più basso. +Per redimere gli uomini del suo tempo da ciò che è teso e sospeso tra i due +poli, Cristo si addossò realmente tale tormento e diede loro questo precetto: +«Siate astuti come serpenti, e senza falsità come colombe».210 Infatti l’astuzia +aiuta contro il caos, e l’ingenuità copre l’aspetto tremendo. Quindi gli uomini +poterono seguire la sicura via di mezzo, ben delimitata sopra e sotto. +Ma i morti del Sopra e del Sotto si ammassavano, e le loro richieste si +facevano sempre più chiassose. E si ribellavano sia i nobili d’animo che i +malvagi, che infransero pur senza saperlo la legge della via di mezzo. +Spalancarono porte verso l’alto e verso il basso. Attrassero a sé molti, +trascinandoli verso la pazzia dell’alto e del basso, seminando così confusione e +preparando la via a quel che doveva venire. Ma chi va nell’Uno senza andare al +tempo stesso nell’Altro, accogliendo quel che gli si fa incontro, insegnerà e vivrà +esclusivamente l’Uno e lo trasformerà in realtà. Egli diventa infatti vittima +dell’Uno. Se tu entri nell’Uno e per questo consideri nemico l’Altro che ti viene +incontro, allora lotterai contro l’Altro. Non ti accorgi infatti che l’Altro è anche +dentro di te. Pensi invece che venga in qualche modo da fuori e ritieni di +scorgerlo anche nelle opinioni e azioni del tuo prossimo che ti ripugnano. Lì lo +combatti, essendo del tutto accecato. Chi invece accetta l’Altro che gli viene +incontro, perché è presente anche in lui, non lotta più, ma guarda dentro di sé e +tace. / [Ill., 113]211/ [Foglio 112 / 114] +Egli vede l’albero della vita, le cui radici a௸ondano nell’inferno, mentre la +cima tocca il cielo. Neppure lui riconosce più le di௸erenze:212 Chi ha ragione? +Che cosa è sacro? Che cos’è la verità? Che cosa è buono? Che cosa è giusto? Lui +conosce solo una distinzione: la distinzione tra il Sotto e il Sopra, poiché vede +che l’albero della vita cresce da sotto a sopra e che ha la chioma in alto ben +distinta dalle radici. Questo è fuor di ogni dubbio. In tal modo conosce la via +della redenzione. +Fa parte della tua redenzione disimparare ogni forma di distinzione, tranne +quella relativa alla direzione. In tal modo ti liberi dall’antica maledizione della +conoscenza del bene e del male. Poiché hai separato il bene dal male in base + alla tua migliore capacità di discernimento e hai aspirato soltanto al bene +rinnegando il male che nondimeno continuavi a commettere e non l’hai preso su +di te, le tue radici non assorbivano più l’oscuro nutrimento del profondo, e il tuo +albero s’è ammalato ed è avvizzito. +Per questo gli antichi dicevano che l’albero del paradiso era avvizzito dopo +che Adamo ebbe mangiato la mela.213 Nella tua vita hai bisogno del lato oscuro. +Ma se sai che esso è il male non lo accogli più, non vuoi più accettarlo, so௸ri di +una mancanza, e non sai perché. E neppure puoi accettarlo come male, +altrimenti vieni respinto dal tuo bene. Né puoi negare che conosci il bene e il +male. Per questo la conoscenza del bene e del male rappresentò una +maledizione insormontabile. +Se però ritorni al caos primigenio e senti e riconosci ciò che è sospeso e teso +tra i due insopportabili poli di fuoco, allora ti accorgerai che non puoi più +separare nettamente il bene dal male, né mediante il sentimento né mediante la +conoscenza, ma che ti è concesso soltanto di percepire la direzione della +crescita, quella che va da sotto a sopra. In tal modo disimpari la distinzione tra +bene e male e non la conosci più ௹nché il tuo albero cresce da sotto a sopra. Ma +appena la crescita si arresta, ciò che era unito indissolubilmente nella crescita +decade, e ancora una volta tu conoscerai il bene e il male. +Mai potrai rinnegare di fronte a te stesso la conoscenza del bene e del male, +così da poter tradire ciò che per te è bene, per vivere il male. Infatti, non +appena separerai il bene dal male, li riconoscerai entrambi. Essi sono uniti solo +nella crescita. Ma tu cresci quando ti fermi nel grande dubbio, e perciò lo star +fermi nel grande dubbio porta a un vero rifiorire della vita. +Chi non sopporta il dubbio, non sopporta nemmeno se stesso. Una persona del +genere, così piena di dubbi, non cresce, e perciò neppure vive. Il dubbio è il +segno del più forte e del più debole. Chi è forte ha dei dubbi, mentre è il dubbio +a possedere chi è debole. Perciò il più debole è prossimo al più forte, e quando +può dire al proprio dubbio: «Io ti possiedo», allora è lui il più forte.214 Nessuno +però può dire di sì al proprio dubbio, a meno che non sopporti l’aperto caos. +Poiché tra di noi ci sono tante persone capaci di dire qualsiasi cosa, fa’ +attenzione a quello che esse vivono. Quel che uno dice può essere tantissimo +oppure pochissimo. Indaga perciò la sua vita. +Il mio discorso non è né chiaro né oscuro, perché è il discorso di uno che sta +crescendo. +Nox quarta +[IF, 114] +Cap. XVII +Sento215 so௻are con forza il vento mattutino che viene dai monti. È superata + ormai la notte in cui la mia vita era abbandonata alla deriva, invischiata in un +eterno disordine, sospesa e tesa tra i poli infuocati. +La mia anima mi parla con voce argentina: «Si dovrà scardinare la porta per +aprire un varco tra qui e là, sì e no, sopra e sotto, sinistra e destra. Si dovranno +creare passaggi ariosi tra le cose opposte e strade piane e agevoli condurranno +da un polo all’altro. Si dovrà collocare una bilancia dall’ago in lieve oscillazione. +Dovrà ardere una ௹amma, che il vento non possa spegnere. Un ௹ume dovrà +scorrere ௹no alla sua meta più profonda. Branchi di animali selvatici dovranno +andare verso i pascoli seguendo i loro antichi sentieri. D’ora in poi la vita +proceda dalla nascita alla morte, dalla morte alla nascita, lineare come il +percorso del sole. Tutto vada per questa strada». +Così parla la mia anima. Ma io gioco disinvolto e crudele con me stesso. È +giorno o notte? Dormo o son desto? Sono vivo, oppure già morto? +Mi assedia una cieca tenebra... una grande muraglia... Lungo il muro striscia +un grigio verme del crepuscolo. Ha la faccia tonda e ride. È una risata +irrefrenabile e così reale da avere un e௸etto liberatorio. Apro gli occhi: davanti +a me c’è la pingue cuoca: «Lei sì che ha un sonno sano. Ha dormito per più di +un’ora». +Io: «Davvero? Ho dormito? Devo aver sognato, che scherzo terribile! Mi sono +addormentato in questa cucina; forse è questo il regno delle Madri?».216 +«Beva un bicchier d’acqua, è ancora ubriaco di sonno». +Io: «Sì, un sonno del genere può ubriacare. Dov’è il mio Tommaso? Eccolo qui, +aperto al capitolo ventuno: “ +Anima mia, in ogni cosa e sopra ogni cosa cerca +sempre il tuo riposo in Dio, perché è Lui il riposo eterno di tutti i santi”».217 +Leggo questo passo ad alta voce. Non c’è forse un punto interrogativo dietro +ogni parola? +«Se si è addormentato su questa frase, avrà forse fatto un bel sogno». +Io: «Ho sognato davvero... e mi ricorderò di questo sogno. Tra l’altro, mi dica +un po’, di chi è la cuoca, lei?». +«Del signor bibliotecario. Gli piace la buona cucina e lavoro per lui già da +molti anni». / [Ill., 115]218/ [Foglio 114 / 116] +Io: «Oh, non sapevo che il bibliotecario fosse dotato di una cucina del genere». +«Sì, deve sapere che è un buongustaio». +Io: «Stia bene, signora cuoca, e grazie mille per l’ospitalità». +«Prego, prego, l’onore è tutto mio». +Ora sono fuori. Così, quella era la cucina del bibliotecario. Ma lui saprà che +cosa bolle in pentola? Forse non ha mai cercato di dormire in questo tempio.219 +Penso che gli restituirò il Tommaso da Kempis. Entro in biblioteca. +B: «Ah, buona sera, eccola di nuovo». +Io: «Buona sera, signor bibliotecario. Sono venuto a restituire il Tommaso. Mi + sono seduto un po’ nella sua cucina qui accanto a leggere, senza però sospettare +che fosse proprio la sua cucina». +B: «Oh prego, non fa nulla. Spero che la mia cuoca l’abbia ricevuta bene». +Io: «Non mi posso lamentare dell’accoglienza. Ho persino schiacciato un +pisolino pomeridiano sul Tommaso». +B: «La cosa non mi meraviglia. Questi libri di devozione sono terribilmente +noiosi». +Io: «Sì, per gente come noi. Ma per la sua cuoca questo libretto è molto +edificante». +B: «Già, per la cuoca». +Io: «Mi consenta una domanda indiscreta: ha mai fatto un sonno incubatorio +nella sua cucina?». +B: «No, non mi è mai venuta un’idea così bizzarra». +Io: «Mi lasci dire che in quel modo imparerebbe molto sulla natura della sua +cucina. Buona notte, signor bibliotecario!». +Dopo questa conversazione lasciai la biblioteca e uscii nell’anticamera dove +mi accostai al sipario verde, lo spinsi da un lato e... che cosa vidi? Vidi una sala a +colonne dall’alto so௻tto... Sullo sfondo un giardino, di cui si dice che sia +bellissimo, mi accorgo subito che è il magico giardino di Klingsor. Infatti sono +௹nito nel teatro: ecco due che fanno parte dello spettacolo, sono Amfortas e +Kundry +, o meglio... cosa vedo? Si tratta del bibliotecario e della cuoca. Lui è +so௸erente, pallido, ha lo stomaco rovinato, lei è delusa e furente. Klingsor è in +piedi, sulla sinistra, impugnando la penna che il bibliotecario soleva sistemarsi +dietro l’orecchio. Quanto mi somiglia Klingsor! Che spettacolo ripugnante! Ma +guarda, ecco Parsifal che compare da destra. Che strano! Anche lui mi somiglia. +Klingsor getta con astio la penna contro Parsifal. Ma questi, con calma, l’a௸erra +al volo. +La scena cambia: sembra che il pubblico – io in questo caso – partecipi alla +recita dell’ultimo atto. Bisogna inginocchiarsi, perché incomincia la cerimonia +del Venerdì santo: entra Parsifal... a passi lenti, la testa coperta da un elmo +nero. Porta sulle spalle la pelle di leone tipica di Eracle e in mano tiene la +mazza; indossa inoltre moderni pantaloni neri in onore della solenne festività +religiosa; io mi ribello e metto avanti le mani in segno di ri௹uto, ma lo spettacolo +continua. Parsifal si toglie l’elmo. Non c’è però Gurnemanz che gli asperga la +testa per consacrarlo. Kundry rimane a distanza e si copre il capo ridendo. Il +pubblico è estasiato e si riconosce in Parsifal. Lui è me. Mi libero della mia +armatura rivestita di storia, del mio ornamento chimerico e vado alla fonte in +candida veste penitenziale, mi lavo piedi e mani senza l’aiuto di nessuno. Quindi +mi tolgo anche la mia veste da penitente e indosso i miei abiti civili. Esco di +scena e mi avvicino a me stesso, io che – in quanto pubblico – mi trovo ancora +devotamente inginocchiato. Mi rialzo da terra da solo e rientro in me stesso.220 + [2] Che cosa sarebbe la derisione se non fosse reale derisione? Che cosa +sarebbe il dubbio se non fosse dubbio reale? Che cosa sarebbe l’opposizione se +non fosse un’opposizione reale? Chi vuole accettare se stesso deve anche +accettare realmente il proprio Altro. Ma nel sì ogni no non è vero, e nel no ogni +sì è una bugia. Ma siccome io posso essere oggi nel sì e domani nel no, sono +entrambi veri e non veri. Sì e no non possono cedere, poiché esistono, ma i +nostri concetti di verità e di errore lo possono fare. +Suppongo che tu vorresti avere certezza sulla verità e sull’errore. La certezza +entro l’Uno o l’Altro non è soltanto possibile, ma anche necessaria, sebbene la +certezza nell’Uno sia protezione e resistenza contro l’Altro. Se sei nell’Uno, la +tua certezza a proposito dell’Uno esclude l’Altro. Ma come puoi allora +raggiungere l’Altro? E perché l’Uno non può mai bastarci? L +’Uno non ci può +bastare perché è presente in noi anche l’Altro. Se ci accontentassimo dell’Uno, +l’Altro so௸rirebbe e ci a௼iggerebbe con la sua fame. Ma noi fraintendiamo +questa fame e crediamo ancora di essere a௸amati dell’Uno, e così insistiamo +ancor più nel nostro tendere verso l’Uno. +In questo modo però induciamo l’Altro in noi ad avanzare ancora più +vigorosamente le proprie richieste. Se allora siamo disponibili a riconoscere la +richiesta dell’Altro in noi, possiamo passare nel nostro Altro per appagarlo. Ma +possiamo approdare all’Altro solo perché siamo diventati consapevoli della sua +esistenza. Se però il nostro accecamento dovuto all’Uno è forte, ci allontaniamo +ancor più dall’Altro e in noi si apre un disastroso abisso tra l’Uno e l’Altro. +L +’Uno diventa troppo satollo, e l’Altro troppo a௸amato. La parte sazia si +impigrisce, e quella a௸amata si indebolisce. E così so௸ochiamo nel grasso, +consunti dalla mancanza. +Questo è patologico, ma di situazioni di tal genere ne puoi vedere in quantità. +Così dev’essere, ma allo stesso tempo non necessariamente dev’essere così. Ci +sono motivi e cause su௻cienti perché sia così, ma noi vogliamo anche che / +[Foglio 116 / 117] non sia così. All’uomo è data infatti la libertà di vincere la causa, +perché egli è creativo in sé e per sé. Se attraverso la so௸erenza del tuo spirito +hai raggiunto la libertà di accettare anche l’Altro, nonostante la tua fortissima +fede nell’Uno, perché tu sei anche quello, allora comincia la tua crescita. +Se altri mi deridono, nondimeno sono loro a far questo, e a loro posso dare la +colpa, dimenticando così di deridermi da solo. Ma chi non è capace di fare +dell’ironia su se stesso diverrà lo zimbello di altri. Allora accetta anche di fare +dell’ironia su te stesso a௻nché scompaia da te ogni aspetto divino ed eroico e tu +divenga interamente e soltanto umano. Il tuo lato divino ed eroico muove a +derisione l’Altro in te. Per amore dell’Altro in te, deponi il tuo ruolo di +personaggio ammirato che ௹nora hai recitato davanti a te stesso, e diventa +quello che sei. + Chi ha la fortuna o la disgrazia di possedere un talento particolare è vittima +dell’illusione di essere quello stesso talento. Perciò ne è sovente anche il +bu௸one. Un talento particolare è qualcosa che sta al di fuori di me. Io non sono +identico a esso. La natura del talento non ha nulla a che fare con la natura della +persona che ne è fornita. Sovente esso vive alle spese del carattere di chi ne è +portatore. La sua personalità è segnata dagli svantaggi del suo talento, anzi +persino dal suo opposto. Di conseguenza, egli non è mai all’altezza del suo +talento, ma ne resta sempre al di sotto. Se accetta il suo Altro, egli diviene +capace di reggere il proprio talento senza svantaggio. Se invece vuol vivere solo +nel suo talento, ri௹utando perciò il suo Altro, perde di vista la misura, poiché la +natura del suo talento trascende l’umano ed è un fenomeno naturale. +Trascenderà lui stesso l’umano, diverrà lui stesso un fenomeno naturale, cosa +che in realtà non è. Tutti scorgeranno il suo errore, ed egli sarà vittima della +loro derisione. Allora dirà che sono gli altri a deriderlo, mentre a renderlo +ridicolo è soltanto il fatto che trascura il proprio Altro. +Quando il Dio fa il suo ingresso nella mia vita, io torno alla mia miseria per +amore del Dio stesso. Mi assumo il peso della miseria e sopporto ogni mia +bruttezza e ridicolaggine e anche tutto ciò che di riprovevole è in me. In tal +modo sollevo il Dio dal peso di tutta quella confusione e assurdità che lo +assalirebbe se io non accettassi tale fardello. Così preparo la via all’agire del +Dio. È ancora notte, una lunga notte piena d’inquietudine. Che dovrà succedere? +Gli abissi più tenebrosi si sono svuotati ed esauriti? Oppure che cosa sta in +attesa, là sotto, minaccioso e ardente come brace? [Ill., 117]221/ [Foglio 117 / 118] +Quale fuoco non è stato spento, e quali braci ardono ancora? Abbiamo +sgozzato in௹nite vittime per l’abisso oscuro, eppure esso ne esige ancora. Che +cos’è quel desiderio dissennato che dev’essere appagato? Chi leva queste folli +grida? Chi tra i morti so௸re a questo modo? Vieni qui ad abbeverarti di sangue +a௻nché tu possa parlare.222 Perché respingi il sangue? Vuoi del latte? Oppure il +rosso succo della vite? Forse preferiresti l’amore? Amore per i morti? Essere +innamorati dei morti? Stai chiedendo forse il seme vitale per il millenario corpo +defunto del mondo infero? Una voluttà incestuosa e impudica per i morti? Cose +che raggelano il sangue. Desideri una voluttuosa unione carnale con un +cadavere? Ho parlato di «accettare», ma tu vuoi che io «attragga con forza al +mio petto, stringa tra le mie braccia, mi congiunga sessualmente»? Tu pretendi +la profanazione della morte? Quel profeta, tu dici, si coricò sul fanciullo e pose la +sua bocca sulla sua bocca, gli occhi sui suoi occhi, le mani sulle sue mani e si +distese sopra di lui ௹nché il corpo del fanciullo non si riscaldò. Egli però si rialzò +e andò qua e là per la casa, poi risalì e si distese sopra di lui. Allora il fanciullo +starnutì sette volte. Quindi aprì gli occhi.223 Così dev’essere la tua accettazione. +Così devi accettare, non con distacco, né con superiorità, né in modo a௸ettato, o +sottomesso, né come un’autopunizione, ma con piacere. Proprio con + quell’ambiguo piacere impuro che attira ciò che è più profondo e, grazie alla sua +ambiguità, lo collega a una realtà superiore, con quel malvagio piacere sacro +che non sai se sia virtù oppure vizio, con quel piacere che è ripugnanza colma di +voluttà, angoscia lasciva, immaturità sessuale. Con questo piacere si risvegliano +i morti. +La tua parte più vile è immersa in un sonno simile alla morte e necessita del +calore vitale che contiene, indistinti e indistinguibili, il male e il bene. Questa è +la via della vita, tu non puoi de௹nirla né buona né cattiva, né pura né tanto meno +impura. Questa però non è la meta, ma via e passaggio. È anche malattia e inizio +della guarigione. È la madre di ogni infamia e di ogni simbolo salvi௹co. È la +forma primordiale della creazione, il primissimo oscuro impulso che ௺uisce in +segretezza per tutti i nascondigli mai svelati e i passaggi occulti con la +regolarità involontaria dell’acqua, e rende fertile la terra arida scaturendo in un +luogo inaspettato dal fondo poroso o da una minima fessura. È il primissimo, +segreto maestro della natura che ha insegnato agli animali e alle piante le +astuzie e le arti stupefacenti e oltremodo scaltre che il nostro intelletto riesce a +malapena a comprendere. È il grande saggio che ha conoscenze che vanno oltre +l’umano, che possiede la massima tra tutte le scienze, che crea l’ordine dalla +confusione e predice profeticamente il futuro da una inconcepibile pienezza. È +simile a un serpente, è dannoso e bene௹co, tremendamente e ridicolmente +demoniaco. È la freccia che colpisce sempre il punto debole, la radice di +mandragola che apre le camere sigillate del tesoro. +Tu non puoi de௹nirlo né intelligente né stupido, né buono né cattivo, perché la +sua natura è totalmente inumana.224 È l’oscuro Figlio della Terra, che devi +risvegliare. È uomo e donna allo stesso tempo, sessualmente immaturo, ricco di +buone ed errate interpretazioni, così povero di senso eppure così ricco. Questo +è l’essere morto che gridava più forte, che stava più in basso e attendeva, quello +che so௸riva più crudelmente. Non desiderava sangue, latte o vino, come o௸erte +sacri௹cali ai morti, ma la disponibilità della nostra carne. Il suo desiderio non +badava ai tormenti del nostro spirito che si sforzava e si martoriava per +escogitare cose inconcepibili, che si autolacerava e o௸riva se stesso in sacri௹cio +per questo. Quando il nostro spirito giacque, smembrato, sull’altare, solo allora +udii la voce del Figlio della Terra, e solo allora mi accorsi che era il grande +so௸erente, bisognoso di redenzione. Egli è l’eletto, poiché era il più abietto. È +brutto doverlo dire, ma forse io non sento bene, forse intendo in modo errato +quel che dice l’abisso. È triste dover dire queste cose, ma devo farlo. +L’abisso tace. Il Figlio della Terra è salito verso l’alto, guarda la luce del sole +e dimora tra i vivi. Insieme a lui sono emersi l’inquietudine e la discordia, il +dubbio e la pienezza della vita. +Amen, tutto è compiuto. È reale quel che era irreale, irreale quel che era +reale. Però non mi va, non voglio, non posso. Oh umana bassezza! Oh cattiva + volontà in noi! Oh dubbio e disperazione! Questo è davvero il Venerdì santo, +quando il Signore morì, discese all’inferno e portò a compimento il mistero.225 +Questo è il Venerdì santo in cui portiamo a compimento il Cristo in noi e +discendiamo anche noi all’inferno. Questo è il Venerdì santo in cui noi gemiamo e +piangiamo per il compimento del Cristo, perché dopo il suo compimento noi +andremo all’inferno. Così potente è stato il Cristo che il suo regno ha +abbracciato tutto il mondo, escludendo solo l’inferno. +Chi mai è riuscito ad attraversare i con௹ni di questo regno a buon diritto e con +la coscienza pura, obbedendo alla legge dell’amore? Chi, tra i viventi, è il Cristo +e va all’inferno da vivo? Chi amplia il regno di Cristo aggiungendovi l’inferno? +Chi è completamente ebbro senza aver bevuto? Chi si è abbassato dal suo +essere uno all’essere due? Chi ha dilaniato il proprio cuore per unire ciò che era +separato? +Sono io, il senza-nome, colui che non conosce se stesso e il cui nome è celato +per௹no a lui stesso. Io non ho nome, perché prima non esistevo ancora, ma +soltanto adesso sono divenuto. Mi sento come un ribattezzato, estraneo a me +medesimo. Io non sono più l’io che sono. Sono invece quello che era prima di me +e quello che sarà dopo di me. Essendomi umiliato mi sono innalzato per +diventare un altro. Avendo accettato me stesso, mi sono diviso in due, ed +essendomi congiunto a me stesso sono diventato la parte minore di me. A ogni +modo, questo sono io nella mia coscienza. E tuttavia nella mia coscienza mi +sento come se ne fossi anche separato. Non sono / [ill., 119]226/ [Foglio 119 / 120] +nella mia parte seconda e maggiore, come se fossi io stesso questa parte +seconda e maggiore, ma permango sempre nella mia coscienza abituale, +separato e distinto da essa a tal punto come se fossi nella mia parte seconda e +maggiore, ma senza la consapevolezza di esserlo davvero. Sono persino +divenuto più piccolo e più povero, ma proprio per la mia piccolezza posso essere +consapevole che sono prossimo alla grandezza. +Sono stato battezzato in acqua impura per rinascere. Sopra il fonte +battesimale mi attendeva una lingua del fuoco infernale. Nell’impurità mi sono +bagnato e puri௬cato con la sporcizia. Ho accolto e accettato il fratello divino, il +Figlio della Terra, bisessuato e immaturo, e durante la notte egli è diventato +pienamente uomo. Gli sono spuntati due denti incisivi e il suo mento si è +coperto di tenera peluria. L +’ho acciu௫ato, vinto e tenuto stretto. Mi ha chiesto +tanto, pur avendo già tutto con sé. Poiché egli è ricco: la terra gli appartiene. +Ma il suo cavallo nero si è separato da lui. +In verità, ho abbattuto un superbo nemico, costringendo uno più grande e più +forte di me a diventarmi amico. Nulla deve separarmi da lui, l’oscuro. Se voglio +lasciarlo, mi segue come un’ombra. Se non penso a lui, mi è comunque vicino in +modo inquietante. Se lo rinnego si trasforma in paura. Devo pensare molto a lui, + devo o௸rirgli cibo sacri௹cale; riempio per lui un piatto sulla mia tavola. Molto di +ciò che prima avrei fatto per gli uomini devo ora farlo per lui. Per questo vengo +ritenuto un egoista da chi non sa che cammino insieme al mio amico e che a lui +dedico molti giorni.227 Ma sono subentrati l’inquietudine, lievi scosse +sotterranee, un grande fragore in lontananza. Si sono aperte vie verso il passato +primigenio e il futuro. Sono vicini prodigi e tremendi segreti. Sento le cose che +sono state e che saranno. Dietro ciò che è abituale si spalancano gli eterni +abissi. La terra mi restituisce ciò che nascondeva. / [Ill., 121]228/ [Ill., 122]229/ +[Ill., 123]230/ [Foglio 120 / 124] +Le tre profezie +[IF, 124] +Cap. XVIII +Si approssimavano cose strane.231 Chiamai la mia anima e le chiesi di tu௸arsi +nei ௺utti di cui avevo udito il fragore in lontananza. Questo accadde il 22 +gennaio 1914, come è scritto nel mio Libro nero. Rapida come una freccia, si +slanciò nell’oscurità. E dal profondo gridò: «Accetterai quello che ti porto?». +Io: «Accetterò quello che mi dai. Non ho il diritto di giudicare o di rifiutare». +A: «Allora ascolta: qua sotto ci sono vecchie corazze, l’armamentario dei +nostri padri divorato dalla ruggine, ne pendono strisce di cuoio marcite, e poi +aste di lance tarlate, punte contorte di giavellotti, frecce spezzate, scudi +imputriditi, teschi, ossa di uomini e cavalli morti, vecchi cannoni, ௹onde, ௹accole +consumate, attrezzi d’assalto fracassati, punte e mazze di pietra, ossa a௻late, +denti aguzzi adatti per le frecce... insomma, tutto quanto le battaglie dei tempi +antichi hanno lasciato sul campo. Vuoi accettare tutto questo?». +Io: «Lo accetto. Tu ne sai più di me, anima mia». +A: «Trovo pietre dipinte, ossa incise con segni magici, incantesimi impressi su +strisce di cuoio e piastrine di piombo, sudicie sacche colme di denti, capelli +umani e unghie, fasci di legni, palle annerite, pelli di animali ammu௻te... ogni +sorta di superstizione escogitata ௹n dalla più oscura preistoria. Vuoi tutto +questo?». +Io: «Accetto tutto; come potrei rifiutare qualcosa?». +A: «Ma trovo anche di peggio: fratricidi, infami omicidi... torture, sacri௹ci di +bambini, stermini di interi popoli, incendi, tradimenti, guerre, rivolte... Vuoi +anche questo?». +Io: «Anche questo, se così dev’essere. Come posso giudicare?». +A: «Trovo epidemie, catastro௹ naturali, navi a௸ondate, città rase al suolo, atti +selvaggi di orrenda bestialità, carestie, crudeltà umana... e paura, intere +montagne di paura». + Io: «Così sarà, perché sei tu a darci tutto questo». +A: «Trovo i tesori di ogni civiltà passata, splendide immagini di dèi, templi +spaziosi, a௸reschi, rotoli di papiro, fogli di pergamena che recano impressi +caratteri di lingue scomparse, libri ricchi di saggezza ormai perduta, inni e canti +di antichi sacerdoti, storie raccontate per migliaia di generazioni». +Io: «È un intero mondo... Non riesco a coglierlo in tutta la sua portata. Come +posso accettare?». +A: «Ma non volevi accettare ogni cosa? Tu non conosci i tuoi limiti. Non riesci +a porti dei limiti?». +Io: «Devo pormi dei limiti. Chi potrebbe mai cogliere tanta ricchezza?». +A: «Sii modesto e coltiva il tuo orto con sobrietà».232 +Io: «Lo farò. Vedo che non vale la pena di conquistare una parte più grande +dell’incommensurabile anziché una più piccola. Un orticello ben curato è meglio +di uno grande e mal tenuto. Di fronte all’incommensurabile entrambi gli orti +sono egualmente piccoli, per quanto non curati allo stesso modo». +A: «Prendi le cesoie e pota i tuoi alberi». +[2] Dall’oscurità dilagante portata dal Figlio della Terra la mia anima trasse +per me antiche cose che spiegano il futuro. Tre cose mi diede: la miseria della +guerra, l’oscurità della magia e il dono della religione. +Se sei assennato, capirai che queste tre cose vanno insieme. Queste tre cose +signi௹cano lo scatenamento del caos e delle sue forze, e allo stesso modo anche +il suo incatenamento. La guerra è evidente, e ognuno la vede; la magia è oscura +e nessun la vede; la religione non è ancora manifesta, ma lo diverrà. Immaginavi +forse che ci sarebbero piombati addosso gli orrori di una guerra tanto atroce? +Immaginavi che esistesse la magia? Immaginavi una nuova religione? Per lunghe +notti sono rimasto sedutoa guardare ciò che doveva venire e ne sono rimasto +orripilato. Chissà se mi credi? Non me ne importa poi molto. A che serve +credere? A che serve non credere? Ho visto, e ne sono rimasto orripilato. +Ma il mio spirito non è riuscito a cogliere quanto c’era di straordinario, non è +riuscito a concepire la portata di ciò che sarebbe venuto. La forza del mio +desiderio si è a௻evolita, e le mani pronte a raccogliere si sono arrese, s௹nite. +Ho avvertito il peso del lavoro immenso dei tempi a venire. Ho visto il dove e il +come, ma non c’è parola in grado di esprimerlo, non c’è volontà che possa +soggiogarlo. Non potevo fare altro che lasciarlo a௸ondare di nuovo nel +profondo. +Non posso consegnartelo, posso soltanto parlare della via di ciò che ha da +venire. Poco di buono vi arriverà dall’esterno. Ciò che vi spetta è dentro di voi. +Ma che cosa non c’è lì dentro! Vorrei volgere gli occhi dall’altra parte, tapparmi +le orecchie e rinnegare tutti i miei sensi, vorrei essere uno tra voi che non sa +niente e non ha mai visto niente. È troppo e troppo inaspettato, ma l’ho visto, e +la memoria non mi dà pace.233 Tuttavia io sacri௹co il mio intenso desiderio che + vorrebbe allungarsi ௹no al futuro e me ne ritorno nel mio orticello che sta +adesso fiorendo e di cui posso misurare i confini. Sarà ben coltivato. +Il futuro va lasciato a quelli che vivranno in futuro. Io ritorno a ciò che è +piccolo e reale, perché è questa la via maestra, la via di quel che ha da venire. +Torno alla mia semplice realtà, al mio essere innegabilmente minuscolo. E +prendo un coltello e faccio giustizia di tutto ciò che è cresciuto a dismisura e +senza meta. In verità attorno a me sono cresciute foreste, piante rampicanti mi +hanno avvolto e sono tutto ricoperto da getti rigogliosi inarrestabili. Il profondo +è inesauribile, dà tutto. Il Tutto è, in pratica, come il Nulla. Tieniti il poco che +hai e avrai qualcosa. Smisurate sono la tua ambizione e la tua avidità di +conoscere e di sapere, la tua smania / [ill., 125]234/ [Foglio 124 / 126] di +raccogliere, +assemblare, +inglobare, +utilizzare, +in௺uenzare, +dominare, +classificare, attribuire significati e interpretazioni. +Questo è follia, come tutto ciò che travalica i propri limiti. Come puoi +arrestare quello che non sei? Vorresti per caso costringere sotto il giogo del tuo +misero sapere e della tua povera conoscenza il Tutto che tu non sei? Rammenta: +puoi sapere di te stesso, e con ciò sai abbastanza. Ma non puoi sapere dell’Altro +e di tutto il resto. Guardati dal sapere oltre te stesso, altrimenti so௸ocherai la +vita degli altri con l’arroganza del tuo sapere; l’Altro sa di se stesso. Il sapiente +sappia di se stesso. Questo è il suo limite. +Con un taglio doloroso sfrondo via ciò che pretendevo di sapere di ciò che mi +trascende. Mi taglio via dai lacci astuti dei signi௹cati che avevo assegnato a ciò +che è fuori di me. E il mio coltello taglia ancora più a fondo e mi separa dai +signi௹cati che avevo attribuito a me stesso. Incido sino al midollo, ௹nché ogni +cosa signi௹cativa si scrolla via da me, ௹nché non sono più niente di quello che +potrei sembrare a me stesso, ௹nché so soltanto che io sono, senza sapere che +cosa sono. +Voglio essere povero e spoglio, voglio restare nudo di fronte all’inesorabile. +Voglio essere il mio corpo nella sua povertà. Voglio appartenere alla terra e +vivere la sua legge. Voglio essere il mio animale umano e accettarne tutte le +paure e i piaceri. Voglio passare attraverso lo strazio e la beatitudine di colui +che stava, solo, sulla terra baciata dal sole, con un povero corpo indifeso, preda +dei suoi istinti e delle bestie feroci in agguato, di colui che era atterrito dagli +spiriti e sognava dèi lontani, di colui che apparteneva a ciò che era vicino e a cui +fu nemico ciò che era lontano, di colui che accendeva il fuoco con le pietre e le +cui greggi furono rubate da potenze sconosciute che distrussero anche ciò che +aveva seminato nei suoi campi, di colui che non sapeva e non conosceva, ma che +ha vissuto le cose più prossime e a cui toccarono per grazia le cose più distanti. +Era un bambino, insicuro e tuttavia pieno di sicurezza, debole eppure dotato +di forza inaudita. Quando il suo Dio non gli venne in soccorso ne prese un altro, +e quando anche questo non gli diede aiuto, egli lo castigò. Ed ecco che la volta + dopo gli vennero in soccorso gli dèi. Per questo si sbarazzò di tutto ciò che è +carico di signi௹cati, di tutto il divino e il diabolico con cui il caos mi opprimeva. +In verità non sta a me provare l’esistenza degli dèi, dei diavoli e dei mostri del +caos, di ingrassarli ben bene, di trascinarli cautamente con me, di contarli e di +dar loro un nome e di proteggerli con fede dall’incredulità e dal dubbio. +Un uomo libero conosce solo dèi e diavoli liberi, che sono autonomi e agiscono +con le proprie forze. E se non agiscono, è a௸ar loro e io posso disfarmi di questo +fardello. Se invece agiscono non avranno certo bisogno né della mia protezione, +né del mio interessamento, né della mia fede. Attendi dunque tranquillo di +vedere se agiscono. Ma se agiscono, allora sii astuto, perché la tigre è più forte +di te. Devi poterti alleggerire di ogni cosa, altrimenti diverrai schiavo, +quand’anche schiavo di un Dio. La vita è libera e sceglie la sua via. È già +abbastanza limitata, perciò non porle altri limiti. Per questo ho tagliato tutto +quello che è limitante. Qui stavo io, e là stava l’enigmatica multiformità del +mondo. +E s’insinuò in me un senso d’orrore. Non sono forse io quello che ha i limiti più +angusti? Non è forse quel mondo a essere illimitato? E divenni cosciente della +mia fragilità. Che cosa sarebbero povertà, nudità e inermità senza la coscienza +della fragilità e senza l’orrore dell’impotenza? Cosìristetti, inorridito. Allora la +mia anima mi sussurrò: +Il dono della magia +[IF, 126] +Cap. XIX +«Non senti niente?».235 +Io: «Non mi risulta. Cosa dovrei sentire?». +A: «Dei rintocchi». +Io: «Dei rintocchi? E di cosa? Non sento niente». +A: «Ascolta meglio». +Io: «Forse nell’orecchio sinistro. Che cosa può significare?». +A: «Disgrazia». +Io: «Accetto quello che dici. Voglio accogliere sia la fortuna che la disgrazia». +A: «Allora alza le mani e tienile aperte per ricevere quel che ti spetta». +Io: «Che cos’è? Una bacchetta? Una serpe nera? Una bacchetta nera a forma +di serpente... due perle come occhi... un cerchio d’oro intorno al collo. Non +assomiglia a una bacchetta magica?». +A: «È una bacchetta magica». +Io: «Che cosa dovrei farmene della magia? La bacchetta magica è una +disgrazia? La magia è una disgrazia?». + A: «Sì, per quelli che la possiedono». +Io: «Mi sembra di sentire un’antica ௹aba... Come sei strana, anima mia! Che +cosa dovrei fare con la magia?». +A: «La magia può fare molto per te». +Io: «Temo che tu desti la mia avidità e mi induca a malintesi. Lo sai, l’uomo +non smette mai di bramare l’arte nera e cose che non gli costino fatica». +A: «La magia non è facile e costa sacrificio». +Io: «Costa il sacri௹cio dell’amore? Dell’umanità? Allora riprenditi indietro la +bacchetta». +A: «Non essere precipitoso. La magia non richiede questi sacri௹ci. Essa +chiede un altro sacrificio». +Io: «E quale?». +A: «Il sacrificio che la magia richiede è la consolazione». +Io: «Consolazione? Capisco bene? È molto di௻cile capirti. Dimmi che cosa +vuol dire questo». +A: «Va sacrificata la consolazione». +Io: «Che intendi dire? Va sacri௹cata la consolazione che do, oppure quella che +ricevo?». +A: «Entrambe». +Io: «Mi sento confuso. È troppo oscuro». +A: «Per amore della bacchetta nera devi sacri௹care la consolazione, la +consolazione che dai e quella che ricevi». +Io: «Non dovrei forse accettare consolazione da quelli che amo? E non dovrei +a mia volta consolare le persone che amo? Questo signi௹ca perdere una parte di +umanità e far subentrare al posto suo quel che si chiama durezza verso se stessi +o verso gli altri».236 +A: «Proprio così». +Io: «La bacchetta richiede questo sacrificio?». +A: «Esige questo sacrificio». +Io: «Mi è consentito di compiere questo sacri௹cio per amore della bacchetta? +Devo accettare la bacchetta?». +A: «Vuoi o non vuoi?». +Io: «Non saprei dire. Che cosa so io di questa bacchetta nera? Chi è che me la +dà?». +A: «L +’oscurità che sta di fronte a te. È la prossima cosa che ti arriverà. Vuoi +accettarla e offrirle il tuo sacrificio?». +Io: «È duro sacrificare all’oscurità, alla cieca tenebra... e quale sacrificio!». +A: «La natura... la natura consola? Riceve consolazione?». +Io: «Tu osi dire parole gravi. Quale solitudine mi stai chiedendo?». +A: «Questa è la tua disgrazia, e... la forza della bacchetta nera». +Io: «Quali cupi presagi nelle tue parole! Mi cingi con una corazza / [ill., + 127]237/ [Foglio 126 / 128] di glaciale durezza? Mi accerchi il cuore in un guscio di +ferro? Provavo gioia per il calore della vita. Dovrei rinunciarvi?... Per la magia? +Che cos’è la magia?». +A: «Tu non la conosci. Dunque non giudicare. Contro cosa ti ribelli?». +Io: «Magia! A cosa serve la magia? Io non ci credo, non posso crederci. Sento +il cuore sprofondare. E io dovrei sacri௹care alla magia una grandissima parte +della mia umanità?». +A: «Te lo consiglio vivamente. Non ti opporre, e soprattutto... non darti questa +posa da “illuminato”, come se nel tuo intimo tu non credessi alla magia». +Io: «Sei implacabile. Ma io non posso credere alla magia... Oppure ne ho +un’idea completamente sbagliata». +A: «Giusta l’ultima che hai detto. Lascia stare una buona volta i tuoi ciechi +pregiudizi e le pose critiche, altrimenti non capirai mai nulla. Vuoi sprecare +ancora tanti anni nell’attesa?». +Io: «Abbi pazienza, la mia scienza non è ancora stata superata». +A: «Sarebbe ora che tu la superassi!». +Io: «Tu chiedi molto, quasi troppo. In ௹n dei conti... la scienza non è forse +indispensabile alla vita? La scienza è vita? Esistono uomini che vivono senza +scienza. Ma superare la scienza per seguire la magia? Questo è inquietante e +rischioso». +A: «Hai paura? Non vuoi rischiare la vita? Non è forse la vita a presentarti +questo problema?». +Io: «Tutto questo mi lascia così stordito e confuso! Non hai una parola che mi +possa illuminare?». +A: «Oh... adesso chiedi consolazione? La vuoi o non la vuoi questa +bacchetta?». +Io: «Tu mi spezzi il cuore. Io voglio sottomettermi alla vita. Ma... com’è +di௻cile! Voglio la bacchetta nera perché è la prima cosa che mi viene dal regno +dell’oscurità. Non so che signi௹chi, né che cosa o௸ra questa bacchetta... Sento +soltanto che cosa prende. Voglio inginocchiarmi e ricevere questo messaggero +dell’oscurità... Ho ricevuto la bacchetta nera e la tengo in mano; quest’oggetto +misterioso... è freddo e pesante come il ferro. Gli occhi perlacei del serpente mi +scrutano ciechi e cangianti. Che vuoi tu, dono misterioso? In te, nero e duro +acciaio, si concentra tutta l’oscurità dei tempi più antichi! Sei tempo e destino? +Essenza della natura, dura ed eternamente sconsolata, ma somma di ogni +segreta forza creativa? Da te paiono provenire ancestrali parole magiche... +Misteriosi e௸etti si intrecciano intorno a te... Quali arti possenti sonnecchiano in +te? Tu mi pervadi di una tensione insopportabile. Quali smor௹e potranno +sfuggirti? Quale terribile segreto creerai? Porterai burrasca, tempesta, freddo, +fulmini, oppure renderai fertili i campi e benedirai il ventre delle donne gravide? +Qual è il segno della tua esistenza? Oppure tu che sei ௹glia del grembo delle + tenebre non ne hai bisogno? Ti è su௻ciente il buio nebuloso di cui sei +concrezione e cristallo? In quale angolo della mia anima posso ospitarti? Nel +mio cuore? Ahimè, dovrebbe il mio cuore farti da scrigno? Da sancta +sanctorum? Però scegliti pure il posto tuo. Io ti ho accettata. Quale grave +tensione porti con te! Non mi farai saltare i nervi? Ho dato ospitalità alla +messaggera della notte». +A: «In essa risiede la magia più potente». +Io: «Lo sento, eppure non riesco a descrivere quale forza raccapricciante le +sia data. Volevo ridere, perché tante cose cambiano quando si ride e spesso solo +in questo modo trovano soluzione. Ma la risata mi si spegne sulle labbra. La +magia della bacchetta è solida come il ferro e fredda come la morte. Perdonami, +anima mia, non voglio essere impaziente, ma mi pare che dovrebbe succedere +qualcosa che rompa questa insopportabile tensione procuratami dalla +bacchetta». +A: «Aspetta, tieni occhi e orecchie ben aperti». +Io: «Rabbrividisco e non so perché». +A: «A volte si rabbrividisce di fronte a... ciò che è più grande di tutto». +Io: «Mi inchino di fronte a potenze ignote... Vorrei consacrare un altare a ogni +Dio ignoto. Devo adattarmi. Il nero ferro nel mio cuore mi dà una forza segreta. +È come una sfida, come... il disprezzo per gli uomini».238 +[ 2 ] Oh impresa tenebrosa, profanazione, assassinio! O abisso, partorisci +l’abietto! Chi è il nostro salvatore? Chi è la nostra guida? Dove sono le vie che +attraversano i neri deserti? Dio, non ci abbandonare. Perché chiami Dio? +Solleva le mani all’oscurità sopra di te, prega, disperati, torciti le mani, +inginocchiati, premi la fronte nella polvere, urla, ma non fare il suo nome, non +volgere il tuo sguardo verso di lui, lascialo senza nome e senza forma. Che cosa +se ne fa della forma chi è senza forma? A che serve un nome per chi è senza +nome? Entra nella grande via e cogli ciò che è più prossimo. Non guardarti +attorno, non volere nulla, ma tieni sollevate le mani. Enigmatici sono i doni +dell’oscurità. A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. +Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono +ponti / [ill., 129] / [Foglio 128 / 130] da capogiro, sospesi su abissi di perenne +profondità. Ma tu segui gli enigmi. +Sopportali, sono terribili. È ancora buio, ciò che è terribile non smette di +crescere. Perduti, inghiottiti dalle correnti della fertile vita, ci avviciniamo alle +inumane potenze superiori che sono all’opera, inda௸arate a creare i tempi +futuri. Quanto futuro cela il profondo! In esso non vengono forse intrecciati i ௹li +per migliaia e migliaia di anni?239 Custodisci gli enigmi, portali nel tuo cuore, +riscaldali, restane gravido. Così porterai il futuro nel tuo grembo. +Insopportabile è la pressione delle cose future in noi. Dovrà erompere da + minimi spiragli, aprirsi a forza nuove vie. Tu vorresti sbarazzarti del tuo +fardello, evitare l’inevitabile. Ogni fuga è tuttavia inganno e deviazione. Chiudi +gli occhi, per non vedere la multiformità, la molteplicità delle cose esteriori, +quello che ti travolge e quello che ti tenta! Esiste un’unica via, ed è la tua via, +soltanto una redenzione, ed è la tua personale redenzione. Perché ti guardi +intorno in cerca di aiuto? Credi che l’aiuto venga da fuori? L +’avvenire si crea in +te e a partire da te. Guarda perciò in te stesso, non fare confronti, non +misurare. Non c’è altra via simile alla tua. Ogni altra via ti ingannerà o ti +sedurrà. Tu devi seguire la via che è in te. +Oh, se potessero diventarti estranei tutti gli uomini e tutte le loro vie! Potresti +allora ritrovarli per conto tuo e riconoscerne le vie. Ma quale debolezza! Quale +disperazione! Quale sgomento! Non sopporterai di percorrere la tua via. Tu vuoi +sempre tenere almeno un piede sulla via di altri per evitare la grande solitudine! +A௻nché la madre consolatrice ti sia sempre attorno! A௻nché qualcuno ti dia +conferme, ti riconosca, ti dia ௹ducia, ti consoli, ti incoraggi. A௻nché qualcuno ti +attiri su sentieri estranei dove tu ti allontani da te stesso e dove tu possa con +sollievo metterti da parte. Come se non fossi te stesso! Chi deve compiere le tue +imprese? Chi deve praticare le tue virtù e i tuoi vizi? Tu non vieni a capo della +tua vita, e i morti ti incalzeranno terribilmente a causa della tua vita non +vissuta. Tutto, tutto dev’essere compiuto. Il tempo stringe; perché vuoi che una +cosa diventi grande come una montagna e un’altra vada invece in rovina? +Grande è il potere della via.240 In essa si uniscono paradiso e inferno, le forze +del Sotto e quelle del Sopra. Magica è la natura della via, magiche sono la +supplica e l’invocazione,241 magiche sono la maledizione e l’azione, se avvengono +sulla grande via. La magia è l’in௺uenza di un uomo su un altro uomo, però non +[è] che la tua pratica magica riguardi il tuo prossimo: riguarda anzitutto te +stesso; e soltanto se riuscirai a reggerla, un e௸etto invisibile ௺uirà da te verso il +tuo prossimo. Nell’aria ce n’è più di quanta io non pensassi. Tuttavia è +inafferrabile. Ascolta: + + Il Sopra è potente, + + I venti di mezzo legano il segno crociato, + + Il Sotto è potente, + + i poli si uniscono attraverso i poli intermedi. + + Doppia potenza è +nell’Uno. + + Da sopra a sotto discendono i gradini. + + Nord, vieni qua! + + L’acqua bollente gorgoglia nei paioli. + + + Ovest, fatti sotto! + Cenere ardente ne ricopre i fondi arrotondati. + + Est, scorri via! + + Dall’alto cala la profonda notte turchina, + + Sud, trabocca! + + dal basso si staglia, nera, la terra. / [Ill., 131] / +[Foglio 130 / 131] + +Un solitario prepara pozioni benefiche, +lancia la sua offerta ai quattro venti. +Saluta le stelle e tocca la terra. +Nelle mani tiene qualcosa che brilla. + +Ai suoi piedi nascono ௬ori, e le sue membra sono baciate dall’estasi di una +nuova primavera. +Gli uccelli accorrono in volo e le timide creature del bosco stanno a +guardarlo. +Lontano egli è dagli uomini, e tuttavia per le sue mani passa il ௬lo del loro +destino. +Possa la vostra preghiera essere dedicata a lui, perché la sua bevanda +diventi matura e potente, e guarisca le ferite più profonde. +Per amor vostro egli è solitario e aspetta da solo fra cielo e terra che la terra +s’innalzi fino a [lui] e il cielo discenda su di lui. +Tutti i popoli sono ancora lontani e stanno oltre la parete dell’oscurità. +Ma io ascolto le sue parole che mi giungono di lontano. +Lui si è scelto un cattivo scrivano, duro d’orecchio e che persino s’inceppa +quando scrive. +Io non lo conosco, quel solitario. Che cosa sta dicendo? Dice: «Io patisco +paura e miseria per amore degli uomini». +Ho riportato alla luce antiche rune e formule magiche perché le parole non +arrivano più agli uomini. Le parole sono divenute ombre. Per questo ho preso +un antico arnese magico e ho preparato pozioni bollenti e vi ho mescolato +ingredienti segreti e di ancestrale vigore, cose che neppure il più astuto +riuscirà a indovinare. +Ho fatto bollire le radici di ogni pensiero e azione umana. +Per molte notti stellate ho atteso al paiolo. La bevanda fermenta con in௬nita +lentezza. Io ho bisogno dell’intercessione vostra, del vostro inginocchiarvi, +della vostra disperazione e pazienza. Ho bisogno del vostro ultimo e supremo +desiderio, del vostro più puro volere, della vostra più umile sottomissione. +Solitario, chi stai aspettando? Di chi attendi l’aiuto? +Non c’è nessuno che possa accorrere in tuo aiuto, perché tutti guardano a te +e attendono la tua arte benefica. + Tutti noi siamo totalmente inetti, e più ancora di te abbiamo bisogno di aiuto. +Concedici il tuo aiuto, cosicché possiamo poi restituirtelo. +Il solitario dice: «Ma non c’è nessuno che mi verrà in aiuto in questo +frangente? Devo abbandonare la mia opera per aiutarvi, a௮nché voi mi +possiate a vostra volta aiutare? Ma come posso aiutarvi, se la mia pozione non +matura e non si ra௫orza? Essa avrebbe dovuto aiutarvi. Che cosa sperate da +me?». +Vieni a noi! Perché te ne resti lì a preparare strani intrugli? A che servono le +tue pozioni bene௬che e i tuoi ௬ltri magici? Credi in una pozione che guarisce? +Osserva la vita, e vedi quanto essa ha bisogno di te! / [Ill., 133] / [Foglio 132 / 134] +Il solitario dice: «Stolti, non siete capaci di vegliare con me neppure un’ora, +௬nché l’opera ardua e imperitura non sia giunta a compimento e la pozione +non sia maturata?242 +Ancora un poco e la fermentazione sarà ultimata. Perché non riuscite ad +aspettare? +Perché +la +vostra +impazienza +dovrebbe +vani௬care +l’opera +suprema?». +Cosa signi௬ca opera suprema? Noi non viviamo più, siamo infreddoliti e +irrigiditi. La tua opera, o solitario, in eterno non si compirà, anche se +progredisce giorno per giorno. +Senza ௬ne è l’opera della redenzione. Perché vuoi attendere la ௬ne di +quest’opera? E se la tua attesa ti pietri௬casse per un tempo scon௬nato, non +potresti perdurare ௬no alla ௬ne. E se la tua redenzione si completasse, +dovresti essere di nuovo redento dalla tua redenzione. +Il solitario dice: «Quale commovente lamento giunge alle mie orecchie! Che +piagnisteo! Quanto siete sciocchi e pieni di dubbi, bambini riottosi! +Perseverate, in questa stessa notte tutto sarà compiuto». +Non aspetteremo una notte di più, basta con l’attesa. Sei un Dio per il quale +mille notti sono come un’unica notte? Quest’unica notte sarebbe come mille +notti per noi che siamo uomini. Abbandona l’opera della redenzione, e saremo +subito redenti. Per quanto tempo ancora vuoi redimerci? +Il solitario dice: «Penoso popolo degli uomini, stupido bastardo di un Dio e di +una bestia, all’intruglio del mio paiolo manca solo un pezzo della tua carne +pregiata. Sono forse io il tuo pezzo di carne più pregiato? Vale la pena che io +mi faccia bollire per voi? Uno si è fatto inchiodare alla croce per voi. Questo è +stato davvero su௮ciente. Lui mi sbarra la strada. Perciò non seguo le sue vie, +non vi preparo alcuna pozione, non vi lascio da bere sangue d’immortalità,243 +ma per amor vostro lascio la pozione, il paiolo e le loro virtù segrete, perché +voi non potete attendere e vedere il compimento. Mollo le vostre preghiere, il +vostro stare in ginocchio, le vostre invocazioni. Redimetevi da soli dal vostro +essere redenti e irredenti. Il vostro valore è cresciuto già abbastanza per il +fatto che già uno è morto per voi. Dimostrate ora il vostro valore vivendo + ciascuno per conto suo. Dio mio, quant’è di௮cile lasciare un’opera incompiuta +per amore dell’uomo! Ma per amore dell’uomo rinuncio a essere un redentore. +Ora la mia pozione ha concluso la sua fermentazione. Non sono io che mi sono +mescolato all’intruglio, ma ho reciso un pezzo di umanità, ed ecco depurata la +bevanda dalla torbida spuma. + + + Quanto è dolce, + + Doppia si è fatta + + Est, espanditi, + + quanto è amaro + + la forma dell’Uno. + + Sud, chétati. + + il suo sapore! + + Nord, alzati e +vattene, + + I venti di mezzo + + Il Sotto è +debole, + + Ovest, ritirati + + sciolgono + + il Sopra è +debole, + + al tuo posto, + + il segno crociato. / + + + + + +[Ill., 135] / 244 [Foglio 134 / +136] + + + I poli lontani sono separati + + Al fondo, la cenere si fa bigia. + + dai poli intermedi. + + La notte ricopre il cielo, e in basso, + + Gli scalini sono lunghe vie, + + remota, sta la nera terra. + + strade pazienti. + + + + Si raffredda il gorgogliante +paiolo. + + + +Spunta il dì e il sole remoto sopra le nubi. +Non c’è solitario che prepari pozioni benefiche. + I quattro venti soffiano e deridono la sua offerta. +Ed egli si fa beffe dei quattro venti. +Ha veduto le stelle e toccato la terra. +Perciò la sua mano stringe qualcosa che brilla, +e la sua ombra è cresciuta sino al cielo. [Ill., 136] +Accade l’inspiegabile. Ti piacerebbe molto abbandonare te stesso e passare +nel regno delle molteplici possibilità. Ti piacerebbe molto osare ogni empietà +per impadronirti del segreto di ciò che è mutevole. Ma la strada non ha mai fine. +La via della croce +[IF, 136] +Cap. XX245 +Vidi246 il serpente nero247 salire, strisciando, lungo il legno della croce. +Penetrò nel corpo del Croci௹sso, per uscir poi, trasformato, dalla sua bocca. Era +diventato bianco. Si attorcigliò come un diadema attorno alla testa del morto, +una luce s’irradiò sopra il suo capo, e a est si levò il sole sfolgorante. Restai a +guardare, ero confuso e sentivo un gran peso opprimermi l’anima. Ma il bianco +uccello posato sulla mia spalla mi disse: «Lascia che piova, che so௻ il vento; +lascia che l’acqua scorra e che il fuoco bruci. Lascia che ogni cosa abbia la sua +crescita, lascia tempo a ciò che è in divenire».248 +[2] 2. In verità la via passa per il Croci௹sso, ossia colui per il quale non fu +troppo poco vivere la propria vita, e che perciò fu innalzato alla gloria. Non si +limitava a insegnare quel che si poteva conoscere ed era degno di essere +conosciuto, ma lo viveva in concreto. Non si può dire quanta umiltà debba avere +chi si fa carico di vivere la propria vita. È quasi impossibile de௹nire quanto +disgusto senta chi voglia entrare davvero nella propria vita. La ripugnanza lo fa +star male, ௹no a farlo vomitare di se stesso. Gli si torcono le budella, e il suo +cervello va in deliquio. Inventa ogni sotterfugio pur di trovare una via d’uscita, +perché nulla è paragonabile al tormento di percorrere la propria via. Pare cosa +d’inaudita di௻coltà, così di௻cile che non vi è nulla che non si preferirebbe a +simile tortura. Non pochi sono quelli che amano gli altri per paura di se stessi. +Credo che alcuni siano capaci persino di commettere un crimine, pur di trovare +qualcosa da obiettare a se stessi. Perciò mi aggrappo a qualunque cosa mi +ostacoli il percorso verso me stesso. +3. 249Colui che va verso se stesso scende in basso. Al grande profeta che ha +precorso quest’epoca apparvero miserabili e ridicole ௹gure che erano le ௹gure +della sua stessa natura. Egli non le accettò, ma le rinfacciò ad altri. Alla ௹ne si +vide costretto a celebrare una Santa Cena con la propria personale miseria e ad + accettare quelle ௹gure della sua stessa natura con quella compassione che è +precisamente l’accettazione di ciò che di più vile è presente in noi.250 Ma allora +il leone della sua potenza s’infuriò e ricacciò nell’oscurità del profondo ciò che +prima era perduto e che venne poi restituito.251 E come una ௹gura potente, colui +che porta quel gran nome volle, come il sole, sbucar fuori dal ventre della +montagna.252 Ma cosa gli accadde? La sua via lo condusse davanti al Croci௹sso +ed egli iniziò a dare in escandescenze. S’infuriò contro l’Uomo dello scherno e +del dolore, poiché la potenza della sua stessa natura lo costrinse a percorrere +proprio quella via, così come Cristo aveva fatto prima di noi. Lui però annunciò a +gran voce la propria potenza e grandezza. Non c’è nessuno che esalti +maggiormente la propria potenza di colui che sente tremargli il terreno sotto i +piedi. In௹ne fu raggiunto da ciò che in lui è più vile, l’impotenza che gli croci௹sse +lo spirito, cosicché, come lui stesso aveva predetto, la sua anima morì prima del +corpo.253 +4 . Nessuno può elevarsi al di sopra di se stesso se non ha prima puntato +contro di sé la sua arma più pericolosa. Chi voglia elevarsi al di sopra di sé +scenda in basso e si faccia carico di sé e trascini se stesso sino all’ara +sacri௹cale. Ma quante cose devono accadere a un uomo prima che egli si renda +conto che il successo esteriore visibile, che si può toccare con / [Foglio 136 / 137] +mano, è una via sbagliata! Quali so௸erenze devono colpire gli uomini prima che +essi rinuncino a saziare sul prossimo la loro brama di potere e a volere che +tocchi sempre all’Altro! Quanto sangue deve ancora scorrere prima che agli +uomini si aprano gli occhi per vedere la loro personale via e il proprio nemico, +௹nché non si rendano conto di quali siano i loro veri successi! Tu devi poter +vivere con te stesso, non a spese del tuo vicino. L +’animale del gregge non è il +parassita di suo fratello né il suo tormentatore. O uomo, hai persino dimenticato +che anche tu sei un animale. Ma credi ancora che si stia meglio là dove tu non ci +sei. Guai a te, se anche il tuo vicino la pensa allo stesso modo. Ma puoi essere +certo che lo fa. Qualcuno deve pur incominciare a non esser più infantile. +5 . Che il tuo desiderio trovi soddisfazione in te stesso. Al tuo Dio non puoi +o௸rire in sacri௹cio cibo più prelibato di te stesso. Che la tua brama ti consumi, +così essa si stancherà e si acquieterà e tu farai un buon sonno e considererai un +bene il sole di ogni giorno. Se invece divorerai altri e altre cose rispetto a te, la +tua brama rimarrà perennemente insoddisfatta, perché essa vuole di più, vuole +ciò che vi è di più prelibato, vuole te. E così costringi la tua brama a seguire la +tua via personale. Puoi chiedere agli altri, quando senti bisogno di consiglio e di +aiuto. Ma non devi pretendere, né desiderare, né aspettarti nulla da nessuno, +tranne che da te stesso. Infatti il tuo desiderio si placa soltanto in te. Tu temi di +ardere nel tuo proprio fuoco. Che nulla ti distolga da questo, né la compassione +di altri, né l’autocommiserazione, che è ancora più pericolosa. Perché è con te +stesso che hai da vivere e da morire. + 6. Se la ௹amma della tua brama ti consuma, e di te non rimane null’altro che +cenere, allora in te non c’era niente che potesse resistere. Ma la ௹amma in cui +tu ti senti consumato ha illuminato molti. Se invece fuggi pieno di paura davanti +al tuo fuoco, inaridisci i tuoi simili, e il bruciante tormento della tua brama non si +potrà mai placare, finché non si rivolgerà a te stesso.254 +7. Dalla bocca esce la parola, il segno e simbolo. Se è segno, la parola non +signi௹ca nulla. Se invece è simbolo, signi௹ca tutto.255 Quando la via si addentra +nella morte e noi siamo circondati da putrefazione e cose ripugnanti, la via +risale nell’oscurità ed esce dalla bocca in qualità di simbolo che redime, in +quanto parola. Essa porta in alto il sole, poiché nel simbolo c’è la redenzione +della forza umana incatenata, in lotta contro l’oscurità. La nostra libertà non sta +fuori di noi, ma in noi. Si può essere vincolati all’esterno e tuttavia sentirsi liberi, +perché ci si è liberati dalle catene interiori. Si può forse guadagnare la libertà +esteriore mediante un’azione energica, ma la libertà interiore si crea solo +mediante il simbolo. +8 . Il simbolo è la parola che esce di bocca e che non si dice, ma si posa +inaspettata sulla lingua come parola forte e urgente che sale dal profondo del +Sé. È una parola che appare stupefacente e forse irragionevole, ma la si +riconosce come simbolo in quanto è estranea alla mente conscia. Se si accoglie +il simbolo, è come se si spalancasse una porta che conduce in una nuova stanza +di cui prima non si sospettava neppure l’esistenza. Se invece non si accoglie il +simbolo, è come se si passasse davanti a quella porta senza badarci, e poiché +quella era l’unica porta che conduceva alle stanze interne, allora bisogna +ritornare sulla strada e nella mera esteriorità. L +’anima però so௸re di una +mancanza, perché la libertà esteriore non le serve. La redenzione è una lunga +strada che passa attraverso molte porte. Queste porte sono i simboli. Ogni +nuova porta è dapprima invisibile, anzi è come se dovesse prima / [Foglio 137 / 138] +essere costruita, perché appare soltanto quando verrà dissotterrata la radice di +mandragola, ossia il simbolo. +Per trovare la mandragola256 ci vuole il cane nero perché, se si vuole creare il +simbolo, si devono dapprima riunire il bene e il male. Il simbolo non si escogita e +non si inventa: nasce. Il suo nascere assomiglia al prodursi della vita umana nel +grembo materno. È vero che la gravidanza è causata da un accoppiamento +intenzionale; il che avviene con attenzione voluta. Ma quando il profondo è stato +fecondato, allora il simbolo cresce da solo e viene partorito dalla testa, come si +addice a un Dio. Ma subito la madre, come un mostro, vorrebbe gettarsi sulla +creatura, per inghiottirla nuovamente. +Al mattino, quando si leva il nuovo sole, dalla mia bocca esce la parola; ma +verrà uccisa freddamente, perché io ignoravo che recasse la redenzione. Se +invece accolgo la neonata, essa crescerà in fretta e ben presto mi farà da +auriga. La parola è la guida, la via di mezzo che facilmente oscilla come l’ago + della bilancia. La parola è il Dio che ogni mattina sorge dalle acque e annuncia +ai popoli la legge che li guida. Una legge esterna, una saggezza esteriore sono +perpetuamente insu௻cienti, perché esiste un’unica legge e un’unica saggezza, +ossia la mia legge quotidiana e la mia saggezza quotidiana. Ogni notte il Dio si +rinnova. +Il Dio appare in molteplici forme. Quando compare, ha in sé qualche aspetto +della notte e delle acque notturne in cui è rimasto assopito e in cui ha lottato per +rinnovarsi +nell’ultima +ora +della +notte. +La +sua +apparizione +è +perciò +contraddittoria e ambigua; anzi, è persino straziante per il cuore e la ragione. Al +suo comparire, il Dio mi chiama da destra e da sinistra; da entrambi i lati +risuona per me il suo richiamo. Il Dio però non vuole né l’Uno né l’Altro, vuole la +via di mezzo. Nel mezzo ha inizio il lungo cammino. +Questo inizio, tuttavia, l’uomo non può mai vederlo; vede sempre e soltanto +l’Uno o l’Altro, oppure l’Uno e l’Altro, mai ciò che racchiude in sé sia l’Uno che +l’Altro. Il punto d’inizio è dove si arrestano la mente e la volontà, uno stato di +sospensione che provoca la mia ribellione, la mia ostinazione, e in௹ne la mia +paura più grande. Infatti non vedo più nulla né posso più volere alcunché. Così +almeno mi pare. La via è un singolare arrestarsi di tutto ciò che prima era +movimento, una cieca attesa e un porgere l’orecchio e sondare il terreno qua e +là, pieno di dubbi. Si ha la sensazione di andare in pezzi. Ma la soluzione nasce +proprio da questa tensione e quasi sempre compare là dove uno non se +l’aspetterebbe. +Ma qual è l’elemento risolutivo? È sempre qualcosa di antichissimo, e proprio +per questo qualcosa di nuovo, perché quando una cosa passata da molto tempo +ritorna, oggi, in un mondo mutato, è nuova. Dar vita a cose antichissime in +un’epoca nuova signi௹ca creare. È la creazione del nuovo, ed essa mi redime. +Redenzione è risoluzione del compito. Il compito è partorire ciò che è vecchio in +un tempo nuovo. L +’anima dell’umanità è come la grande ruota dello zodiaco che +rotola sulla via. Ogni cosa che arriva in costante movimento dal basso verso +l’alto, una volta era già in alto. Non c’è parte della ruota che non ritorni. Perciò, +tutto ciò che è stato tornerà a ria௻orare, e quello che è stato sarà di nuovo. +Tutte queste cose sono infatti qualità congenite dell’umana natura. Il ritorno di +quel che è stato fa parte della natura del movimento in avanti.257 Solo gli +ignoranti possono meravigliarsi di questo. Comunque il senso non risiede +nell’eterno ritorno dell’uguale,258 ma nel modo in cui esso viene ricreato nel +tempo. +Il senso sta nella modalità e nella direzione in cui si ricrea. Ma in che modo mi +creo il mio auriga? Oppure intendo essere io l’auriga di me stesso? Io posso +guidarmi soltanto con la volontà e l’intenzione. Ma volontà e intenzione sono +solo parti di me. Di conseguenza sono insu௻cienti a esprimere la mia interezza. +Intenzione è ciò che posso prevedere, e volontà signi௹ca volere una meta già + prevista. Ma da dove traggo la mia meta? La traggo da ciò che mi è noto nel +momento presente. Metto quindi il presente al posto del futuro. In / [Foglio 138 / +139] questo modo non posso raggiungere il futuro, ma creo arti௹cialmente un +continuo presente. Avverto come un disturbo tutto ciò che vorrebbe +interrompere questo presente e cerco di rimuoverlo, a௻nché la mia intenzione +possa permanere. In tal modo escludo il progredire della vita. Ma come posso +essere il mio auriga se non mediante la volontà e l’intenzione? Chi è saggio non +desidera perciò essere un auriga, perché sa che volontà e intenzione +raggiungono – è vero – le mete, ma disturbano il divenire del futuro. +Il futuro cresce da me, non lo creo eppure lo creo, ma non con l’intenzione e la +volontà, bensì anche contro la mia stessa intenzione e volontà. Se intendo +creare il futuro, allora lavoro contro il mio futuro. E se non voglio crearlo, +invece non prendo abbastanza parte alla creazione del futuro, e allora tutto +accadrà secondo leggi inevitabili di cui sarò vittima. Gli antichi idearono la +magia per forzare il destino. La adoperavano per determinare il destino +esteriore. Noi la usiamo per de௹nire il destino interiore e trovare la via che non +siamo in grado di ideare. Per molto tempo ho ri௺ettuto su come dovesse essere +tale magia. E alla ௹ne non ho trovato nulla. Chi non riesce a trovare da solo +deve imparare il mestiere da un altro; quindi mi recai in un paese lontano in cui +viveva un grande mago, la cui fama era giunta alle mie orecchie. +Il mago259 +[IF, 139] +Cap. XXI +{1} [1] Dopo lunghe ricerche, ho trovato260 la casetta in campagna che ha +davanti una grande aiuola di tulipani in ௹ore e in cui abitano il mago ΦΙΛΗΜΩΝ +[Philemon] e sua moglie BΑΥKΙΣ [Baukis].261 ΦΙΛΗΜΩΝ è un mago che, pur non +essendo ancora riuscito a scongiurare la vecchiaia, la vive nondimeno con +dignità, e anche sua moglie non può fare diversamente.262 Pare che i loro +interessi si siano ristretti e si siano fatti addirittura infantili. Inna௻ano l’aiuola +di tulipani e parlano dei ௹ori appena sbocciati. E le loro giornate tirano avanti in +uno sfocato e precario chiaroscuro, illuminate a tratti dalle luci del passato e +solo lievemente turbate dall’incognita del futuro. +Per quale motivo ΦΙΛΗΜΩΝ è un mago?263 Con le formule magiche vuole +forse procurarsi l’immortalità o una vita nell’aldilà? È stato probabilmente solo +un mago di professione, adesso sembra un mago in pensione, che si è ritirato +dall’attività. Sopita ogni avidità e spento ogni impulso creativo, per pura assenza +di poteri, egli si gode ora il ben meritato riposo, come ogni vecchio che altro non +può più fare se non piantare tulipani e bagnare il suo giardinetto. La bacchetta + magica è riposta nell’armadio, insieme al sesto e al settimo libro di Mosè264 e +alla sapienza di ΕΡΜΗΣ TΡΙΣΜΕΓΙΣTOΣ [Hermes Trismegistos].265 ΦΙΛΗΜΩΝ +è vecchio e un po’ svanito, mormora ancora qualche incantesimo per il +benessere del bestiame stregato, in cambio di un bel regalo in moneta sonante +oppure in natura. Ma non v’è certezza che questi incantesimi siano ancora +e௻caci e neppure che egli ne comprenda il signi௹cato. È anche chiaro che poco +importa quel che egli mormora, perché / [Foglio 139 / 140] il bestiame potrebbe +anche guarire per conto suo. Ecco che il vecchio ΦΙΛΗΜΩΝ s’incammina in +giardino, tutto curvo, con un anna௻atoio nella mano tremante. BΑ ΥKΙΣ è +a௸acciata alla ௹nestra della cucina e lo osserva, apatica e indi௸erente. Lo ha già +visto almeno mille volte in quell’atteggiamento... ogni volta un po’ più fragile, più +debole... vedendolo anche un po’ meno bene ogni volta, dato che la vista le si +indebolisce gradualmente.266 +Mi trovo al cancello del giardino. I due non hanno fatto caso al forestiero. +«Filemone, vecchio mago, come stai?», lo chiamo. Lui non mi sente, sembra +sordo come una campana. Lo seguo e gli poso la mano sul braccio. Si volta e mi +saluta impacciato e tremolante. Ha la barba bianca, ௹nissimi capelli bianchi e il +volto rugoso, e nel suo viso c’è qualcosa di particolare. Gli occhi sono grigi e +invecchiati, e hanno un che di strano, si direbbe di vivo. «Sto bene, straniero», +dice, «ma che cosa vuoi da me?». +Io: «Mi hanno detto che t’intendi di arte nera. M’interessa. Non vorresti dirmi +qualcosa al riguardo?». +Φ: «Che cosa dovrei dirti? Non c’è niente da dire». +Io: «Non essere sgarbato, vecchio, vorrei imparare qualcosa». +Φ: «Tu sei certamente più erudito di me. Che cosa potrei insegnarti?». +Io: «Non essere meschino. Non ho certo intenzione di farti concorrenza. Sono +soltanto curioso di sapere che cosa combini e quale magia tu stia praticando». +Φ: «Che vuoi? In passato, di tanto in tanto aiutavo la gente a difendersi da +malattie e danni di vario genere». +Io: «E come facevi?». +Φ: «Molto semplicemente, con simpatia». +Io: «Questa parola, vecchio mio, suona strana ed è ambigua». +Φ: «Come sarebbe a dire?». +Io: «Potrebbe signi௹care che tu hai aiutato la gente per partecipazione +personale, oppure con mezzi simpatetici di superstizione». +Φ: «Forse entrambe le cose». +Io: «E stava qui tutta la tua magia?». +Φ: «Ne so anche di più». +Io: «Che cosa, dimmelo!». +Φ: «Non sono affari tuoi. Sei sfacciato e saccente». +Io: «Ti prego, non o௸enderti per la mia curiosità. Di recente ho sentito + qualcosa sulla magia, e ciò ha risvegliato il mio interesse per quest’arte del +passato. E allora sono venuto da te perché ho sentito dire che t’intendi di arte +nera. Se la magia fosse insegnata ancor oggi all’università, l’avrei studiata lì. +Ma già da molto tempo è stato chiuso l’ultimo corso di arti magiche. Al giorno +d’oggi non c’è più un professore che sappia qualcosa di magia. Dunque non +essere permaloso e meschino, ma fammi ascoltare qualcosa della tua arte. Non +vorrai certo portarti i tuoi segreti nella tomba, non è vero?». +Φ: «Tu ti prendi gioco di queste cose. Perché mai dovrei dirti qualcosa? +Meglio che tutto venga sepolto insieme a me. Qualcuno potrà riscoprirlo, in +futuro. Non andrà perso per l’umanità, perché la magia rinasce con ogni +individuo». +Io: «Che cosa intendi dire? Credi davvero che la magia sia innata nell’uomo?». +Φ: «Vorrei dire di sì, naturalmente. Ma tu lo troveresti ridicolo». +Io: «No, questa volta non riderò, perché mi sono già spesso meravigliato che +tutti i popoli in ogni tempo e in ogni luogo presentino le medesime usanze +magiche. Io stesso ho già avuto pensieri simili ai tuoi». +Φ: «Che pensi della magia?». +Io: «Per dirla chiara, niente o molto poco. Mi pare che la magia sia uno di +quegli strumenti escogitati dall’uomo per rimediare alla sua inferiorità nei +confronti della natura. Altri significati tangibili non riesco proprio a trovarne». +Φ: «Questo, probabilmente, lo sanno persino i tuoi professoroni». +Io: «Sì, ma tu cosa ne sai, invece?». +Φ: «Preferirei non dirlo». +Io: «Non fare tanto il misterioso, vecchio mio, altrimenti dovrò supporre che +non ne sai più di me». +Φ: «Supponi pure, se ti garba». +Io: «A giudicare da questa risposta, devo però arguire che ne capisci un po’ +più degli altri». +Φ: «Strano individuo, come sei ostinato! Ma quello che mi piace in te è che non +ti lasci minimamente scoraggiare dalla tua ragione». +Io: «Proprio così. Ogni volta che voglio imparare e capire qualcosa, lascio a +casa la mia cosiddetta ragione e do alla cosa che voglio acquisire la necessaria +fede piena di attese. L +’ho imparato a poco a poco, perché nel mondo della +scienza attuale ho visto troppi esempi scoraggianti dell’atteggiamento +contrario». +Φ: «Allora potresti ancora fare strada». / [Foglio 140 / 141] +Io: «Lo spero. Ma non divaghiamo dalla magia». +Φ: «Perché sei così tenace nel tuo proposito di apprendere qualcosa della +magia, se dici di aver lasciato a casa la ragione? Oppure non ritieni che la +coerenza faccia parte della ragione?». +Io: «Certo... capisco, o piuttosto mi sembra che tu sia un so௹sta assai scaltro, + che mi fa abilmente girare attorno alla casa, per poi accompagnarmi di nuovo +alla porta». +Φ: «Ti sembra così, perché tu giudichi tutto dal punto di vista del tuo intelletto. +Se per un momento vuoi mettere da parte la tua ragione, allora lascia perdere +anche la coerenza». +Io: «È una di௻cile prova d’apprendistato. Ma se devo diventare un adepto, sia +soddisfatta anche questa richiesta. Ti ascolto». +Φ: «Che cosa vuoi sentire?». +Io: «Non mi faccio abbindolare da te. Aspetterò semplicemente quel che +vorrai dirmi». +Φ: «E se non dico nulla?». +Io: «Allora mi ritirerò con un po’ d’imbarazzo e penserò che Filemone sia +perlomeno una vecchia volpe da cui ci sarebbe molto da imparare». +Φ: «Con ciò, ragazzo, hai già imparato qualcosa di magia». +Io: «Dovrò rimuginarci sopra. Devo confessare che è un po’ sorprendente. Mi +ero figurato che la magia fosse un po’ diversa». +Φ: «Di qui puoi vedere quanto poco ne capisci e che idea sbagliata ne avevi». +Io: «Se così fosse o se così è, devo confessare tuttavia di aver a௸rontato il +problema in modo del tutto scorretto. In base a quel che dici parrebbe che +queste faccende non seguano la via della normale comprensione». +Φ: «Questa non è effettivamente la via della magia». +Io: «Non mi hai a௸atto scoraggiato; anzi, ardo dalla voglia di saperne di più. +Quel che so finora è essenzialmente negativo». +Φ: «Così hai scoperto un secondo punto importante: soprattutto devi sapere +che la magia è il negativo di ciò che possiamo sapere». +Io: «Pure questo, mio caro Filemone, è un boccone di௻cile da digerire, che mi +dà non poco da penare. Il negativo di ciò che possiamo sapere? Con questo vuoi +forse dire che non lo si può conoscere, vero? Qui cessa la mia capacità di +comprensione». +Φ: «Ecco il terzo punto che devi segnarti come essenziale, ossia che tu non +devi comprendere nulla». +Io: «Beh, devo confessare che questa è una cosa nuova e ben strana. Dunque +nella magia non c’è niente da capire?». +Φ: «Esattamente. La magia è appunto tutto quello che non si capisce». +Io: «Ma come diamine si può fare per imparare e insegnare la magia?». +Φ: «La magia non va imparata e neppure insegnata. È sciocco che tu voglia +imparare la magia». +Io: «Allora la magia è una bella bidonata». +Φ: «Attento, hai di nuovo tirato in ballo la tua ragione». +Io: «È difficile vivere senza la ragione». +Φ: «Altrettanto difficile è la magia». + Io: «Bene, in tal caso è un arduo compito. Ne deduco che per l’adepto una +condizione inevitabile sia quella di dimenticarsi completamente della propria +ragione». +Φ: «Mi rincresce, ma è così». +Io: «Oh dèi, questo è grave». +Φ: «Non così grave come pensi. Con l’età la ragione declina naturalmente, +perché è un utile contrappeso degli istinti, che in gioventù sono anche molto più +violenti che nell’età avanzata. Hai mai visto dei maghi giovani?». +Io: «No, è persino proverbiale che il mago sia vecchio». +Φ: «Ho ragione, come vedi». +Io: «Allora l’adepto non ha buone prospettive. Deve aspettare l’età senile per +venire a conoscenza dei segreti della magia». +Φ: «Se in precedenza rinuncia alla ragione, potrà apprendere già prima +qualcosa di utile». +Io: «Mi sembra un esperimento rischioso. Alla ragione non si può rinunciare +su due piedi». +Φ: «E neppure si può / [Foglio 141 / 142] diventare maghi su due piedi». +Io: «Tu mi tendi delle maledette trappole». +Φ: «Che vuoi? Questa è magia». +Io: «Vecchio diavolo, mi fai provare invidia della vecchiaia che sragiona». +Φ: «Ma guarda un po’! Un giovanotto che vorrebbe essere un vecchio! Perché +mai? Lui vorrebbe imparare la magia e non osa farlo perché è giovane». +Io: «Mi stai tendendo una trappola spaventosa, vecchio accalappiatore!». +Φ: «Forse sarà meglio che per la magia tu aspetti ancora qualche annetto, +௹nché non ti siano ingrigiti i capelli e la ragione non ti sia un po’ svanita per +conto suo». +Io: «Non mi va di ascoltare i tuoi sarcasmi. Sono ௹nito scioccamente nel tuo +tranello. Non riesco a divenire più furbo con quel che tu dici». +Φ: «Ma forse più sciocco. Questo sarebbe già un bel progresso sulla strada +della magia». +Io: «Del resto, cosa riesci mai a ottenere con la tua magia?». +Φ: «Io vivo, come vedi». +Io: «Lo fanno anche altri vecchi». +Φ: «Sì, ma hai visto come?». +Io: «D’accordo, non è proprio una visione gradevole. Del resto anche su di te il +tempo ha lasciato i suoi segni». +Φ: «Lo so». +Io: «Dunque, dove sono i vantaggi?». +Φ: «Sono quelli che non vedi». +Io: «E quali sarebbero i vantaggi che non si vedono?». +Φ: «Sono quelli che uno ha». + Io: «E come li chiami questi vantaggi?». +Φ: «Li chiamo magia». +Io: «Ti muovi in un circolo vizioso. Che il Diavolo ti prenda!». +Φ: «Vedi, anche questo è un vantaggio della magia: neanche il Diavolo riesce a +prendermi. Stai facendo progressi nella conoscenza della magia, tanto che devo +presumere che tu abbia al riguardo una buona attitudine». +Io: «Ti ringrazio, ΦΙΛΗΜΩΝ, basta così, ho le vertigini. Addio!». +Lascio il piccolo giardino e scendo giù per la strada. Lì intorno ci sono +capannelli di persone che mi osservano furtivamente. Le sento bisbigliare alle +mie spalle: «Guardate, ecco che se ne va, il discepolo del vecchio ΦΙΛΗΜΩΝ. +Ha parlato a lungo con il vecchio. Ha imparato qualcosa. Conosce i segreti. Oh, +se sapessi fare io quello che lui sa fare adesso». «Tacete, dannati idioti!», vorrei +gridar loro, ma non posso, perché non so se non ho poi davvero imparato +qualcosa. E siccome me ne resto zitto, ormai sono ancora più convinti che io +abbia ricevuto l’arte nera da ΦΙΛΗΜΩΝ. +[2] [IF, 142] È267 un errore credere che esistano pratiche magiche da +imparare. La magia non si può comprendere. Si può capire solo quello che è +razionale. La magia è invece l’elemento irrazionale che non si può comprendere. +Il mondo non è soltanto razionale, ma anche irrazionale. E come la +ragionevolezza del mondo si può decifrare con la ragione, poiché la +ragionevolezza del mondo è adatta alla ragione, così anche l’incapacità di +comprendere si accompagna all’irrazionale. / [Foglio 142 / 143] +Quest’incontro è magico e per nulla comprensibile. La comprensione +attraverso la magia è quel che si chiama «non capire». Tutto ciò che ha e௸etti +magici è incomprensibile, e spesso l’incomprensibile ha e௸etti magici. Un e௸etto +incomprensibile viene detto magico. Ciò che è magico include sempre anche me, +mi coinvolge sempre, apre stanze che non hanno porte, e conduce fuori là dove +non c’è via d’uscita. Il magico è buono e cattivo, e insieme né buono né cattivo. +La magia è pericolosa, perché l’irrazionale confonde, attrae e produce e௸etti, e +io ne sono sempre la prima vittima. +Nel campo razionale non si ha bisogno della magia, per questo il nostro tempo +non ne ha più avuto bisogno. Solo le persone irrazionali ne hanno fatto uso, per +compensare la loro mancanza di razionalità. È però molto irragionevole mettere +insieme la razionalità con la magia, perché non hanno nulla a che fare l’una con +l’altra. In questo connubio si guastano entrambe. Perciò quelle persone +irrazionali sono giustamente ritenute super௺ue e vengono disprezzate. Quindi, +un uomo razionale del nostro tempo non si servirà mai della magia.268 +Diversa è però la situazione di chi si è aperto interiormente al caos. Noi +abbiamo bisogno della magia per essere in grado di accogliere oppure di +invocare il messaggero o il messaggio di ciò che non è comprensibile. Abbiamo + riconosciuto che il mondo consta di razionalità e di irrazionalità, e abbiamo +capito che la nostra via ha bisogno non solo della razionalità, ma anche del suo +contrario. Questa distinzione è arbitraria e dipende dal livello di comprensione. +Ma si può essere certi che la maggior parte del mondo continua a sfuggire alla +nostra comprensione. Incomprensibile e irrazionale devono essere considerati +come la stessa cosa, per quanto essi non lo siano necessariamente; una parte di +ciò che non si comprende è infatti incomprensibile solo al momento presente, già +domani potrebbe essere considerata in accordo con la ragione. Nella misura in +cui l’incomprensibile è di per sé razionale, si può, con successo, cercare di +accostarsi a esso con la mente. Ma nella misura in cui esso è irrazionale, / [Foglio +143 / 144] è necessaria la pratica magica per renderlo accessibile. +La pratica magica consiste in questo: ciò che non è compreso viene reso +comprensibile in una maniera incomprensibile. La modalità magica non è legata +all’iniziativa dell’individuo, perché ciò sarebbe comprensibile, ma si produce per +cause incomprensibili. Non è neppure esatto parlare di cause, perché le cause +sono razionali. Né si può parlare di infondatezza, perché al riguardo non si può +dire nulla. La modalità magica si produce da sola. Se si aprono le porte al caos, +ne scaturisce anche la magia. +Si può insegnare la via che porta al caos, ma non si può insegnare la magia. +Rispetto a essa si può solo tacere, il che pare, appunto, il miglior insegnamento. +Quest’idea confonde, ma così è la magia. La ragione crea ordine e chiarezza, la +magia desta inquietudine e mancanza di chiarezza.269 Nella magica traduzione +di ciò che non si è capito in qualcosa di comprensibile si ha bisogno persino della +ragione, dato che solo per mezzo della ragione si può creare qualcosa di +comprensibile. Tuttavia nessuno è in grado di dire come vada impiegata in +questo caso la ragione. Ma ciò risulta senz’altro evidente quando un individuo +cerchi di esprimere che cosa può significare per lui il dischiudersi del caos.270 +La magia è un modo di vivere. Se uno ha fatto del suo meglio per guidare il +carro e poi si accorge che c’è un altro più grande di lui che lo guida, ecco che si +produce un e௸etto magico. Non si può dire come sarà, quest’e௸etto magico, +poiché nessuno è in grado di prevederlo, dato che la magia è, appunto, al di fuori +di ogni legge, accade senza regole, per così dire a caso. Ma la condizione è che +uno si accetti totalmente e che non si ri௹uti nulla per ricondurre tutto alla +crescita dell’albero. In ciò rientrano anche la stupidità di cui ciascuno è dotato +in abbondanza e la mancanza di gusto, che per molti è lo scandalo maggiore. +Perciò una certa solitudine e un certo isolamento sono le condizioni di vita +indispensabili per il benessere nostro e degli altri, altrimenti non si può / [Foglio +144 / 145] essere su௻cientemente se stessi. Sarà inevitabile che la vita assuma +una certa lentezza, che quasi si arresti. L +’incertezza di una vita del genere sarà +forse il maggior peso, ma io devo pur sempre ricongiungere i due poteri della +mia anima che si a௸rontano l’un l’altro e tenerli uniti in un fedele connubio ௹no + al termine della mia vita, perché il mago si chiama ΦΙΛΗΜΩΝ e sua moglie +BΑΥKΙΣ. Quello che il Cristo ha tenuto separato in sé e, tramite il suo esempio, +anche in altri, io lo tengo unito, poiché quanto più una metà del mio essere tende +verso il bene, tanto più l’altra metà viaggia verso l’inferno. +Allorché terminò il mese dei Gemelli, gli uomini dissero alla propria Ombra: +«Tu sei me», perché prima avevano avuto il proprio spirito attorno a sé, quasi +fosse una seconda persona. Così i due divennero uno, e da questo scontro +scaturì qualcosa di grandioso, appunto la primavera della coscienza, che si +chiama civiltà e che continuò ௹no all’epoca di Cristo.271 Il Pesce però indicò il +momento in cui ciò che era unito si era separato – secondo l’eterna legge della +corsa nell’opposto – in un mondo infero e un mondo superiore. Quando le +energie della crescita incominciano ad a௻evolirsi, quel che era unito si divide +nelle due parti opposte. Cristo mandò all’inferno ciò che era in௹mo, perché esso +si muove nella direzione opposta al bene. Così doveva essere. Ma ciò che è +separato non può restarlo per sempre. Si unirà nuovamente, e presto avrà ௹ne +anche il mese dei Pesci.272 Noi presagiamo e comprendiamo che per crescere +sono necessari entrambi, perciò teniamo accostati bene e male. Poiché +sappiamo che troppo avanti nel bene vuol dire anche troppo avanti nel male, li +manteniamo entrambi insieme.273 +In tal modo però perdiamo l’orientamento, e le cose non scorrono più da +monte a valle, ma crescono adagio da valle a monte. Ciò che non possiamo più +ostacolare o nascondere è il nostro frutto. Il ௹ume che scorre diventa un lago e +un mare / [Foglio 145 / 146] che non ha sfogo, a meno che la sua acqua non si +sollevi sino al cielo come vapore per ricadere poi dalle nubi sotto forma di +pioggia. È vero che il mare è morte, ma è anche il luogo del sorgere. Questo è +ΦΙΛΗΜΩΝ che inna௻a il suo giardino. Le nostre mani sono legate, e ognuno se +ne deve rimanere seduto tranquillo al suo posto. Egli s’innalza invisibile e cade +in forma di pioggia su terre lontane.274 L +’acqua sulla terra non è nuvola che porti +pioggia. Soltanto le gravide possono partorire, non di certo quelle che devono +ancora concepire.275 +[IF, 146] A quale segreto mi accenni, o ΦΙΛΗΜΩΝ, con il tuo stesso nome? Tu +sei davvero l’amante che una volta accolse gli dèi quando essi vagavano per la +terra, quando tutti gli altri si erano ri௹utati di dar loro ospitalità. Tu sei colui +che, senza sospettarlo, diede accoglienza agli dèi, i quali poi, in segno di +ringraziamento, trasformarono la tua capanna in un aureo tempio, mentre il +diluvio inghiottiva ovunque tutte le genti. Quando irruppe il caos, tu hai +continuato a vivere; eri tu a prestare servizio al santuario quando gli dèi +venivano invano invocati dalle loro genti. In verità, sopravvive chi ama. Perché +mai non ce ne siamo accorti? E in quale istante gli dèi si sono manifestati? +Precisamente quando BAΥKΙΣ volle servire ai pregiati ospiti la sua unica oca, + quella benedetta stupidità; allora l’animale andò a rifugiarsi proprio dagli dèi, ed +essi si rivelarono ai loro ospiti proprio in quell’istante. Ho visto dunque che +sopravvive chi ama e che è proprio lui a o௸rire, senza sospettarlo, ospitalità agli +dèi.276 +In verità, o ΦΙΛΗΜΩΝ, non ho visto che la tua capanna è un tempio e che tu +stesso, o ΦΙΛΗΜΩΝ, tu e BΑΥKΙΣ, prestate servizio al santuario. / [Foglio 146 / +147] Questo potere magico non si può davvero né insegnare né imparare. O lo +possiedi, o non lo possiedi. Ora io conosco il tuo segreto ultimo: tu sei colui che +ama. Tu sei riuscito a unire ciò che era separato, a collegare insieme il Sopra e +il Sotto. Non lo sapevamo forse già da tempo? Sì, lo sapevamo; no, non lo +sapevamo. Da sempre è stato così, eppure non è mai stato così. Perché mai ho +dovuto fare tanta strada per arrivare da ΦΙΛΗΜΩΝ se lui doveva insegnarmi la +cosa che tutti sanno già da tempo? Ah, noi sappiamo già tutto da tempi +immemorabili, e tuttavia non lo sapremo mai, ௹nché non l’avremo conquistato +con fatica. Chi può esaurire il mistero dell’amore? +[IF, 147] Sotto quale maschera, o ΦΙΛΗΜΩΝ, ti stai nascondendo? Non mi sei +sembrato uno che ama. Ma mi sono stati aperti gli occhi e ho visto che sei un +amante della tua anima, uno che veglia con ansia e gelosia sul suo tesoro. Ci +sono quelli che amano le persone, quelli che amano le anime delle persone e +altri ancora che amano la propria anima. Uno di questi è ΦΙΛΗΜΩΝ, l’oste degli +dèi. +Te ne stai al sole, o ΦΙΛΗΜΩΝ, come un serpente che si arrotola su se stesso. +La tua saggezza è la saggezza dei serpenti, fredda, con un grano di veleno, +salutare se preso a piccole dosi. La tua magia è paralizzante, e perciò dà forza +alle persone, in modo che si sottraggano a se stesse. Ma esse ti amano, ti sono +riconoscenti, sono amanti della propria anima? Oppure ti maledicono per il tuo +magico veleno di serpente? Rimangono a distanza, scuotono il capo e +mormorano. +Sei ancora un uomo, ΦΙΛΗΜΩΝ, ovvero / [Foglio 147 / 148] è uomo solo colui che +è amante della propria anima? Tu sì che sei ospitale, ΦΙΛΗΜΩΝ; nella tua +capanna hai accolto senza nulla sospettare quei lerci viandanti, la tua casa è +veramente diventata un aureo tempio e davvero io mi sono alzato a௸amato dal +tuo desco? Che cosa mi hai dato? Mi hai forse invitato alla tua tavola? Tu sei +stato sfuggente, nei tuoi ri௺essi cangianti, indistricabile, e mai ti sei fatto +catturare da me, ti sei sottratto alla mia presa, non ti ho trovato da nessuna +parte. Sei ancora un uomo? Tu appartieni piuttosto alla specie dei serpenti. +Volevo agguantarti e strapparti il tuo segreto, poiché i cristiani hanno +imparato anche a mangiare il loro Dio. E quanto è più probabile che ciò che +accade a Dio accada anche all’uomo? Spingo il mio sguardo nel vasto paese e +non sento altro che gemiti, e non vedo altro che uomini che si divorano l’un +l’altro. + O ΦΙΛΗΜΩΝ, tu non sei cristiano, non ti sei lasciato divorare e non mi hai +divorato; per questo non hai né aule accademiche, né sale con colonnati, né +discepoli che facciano capannello e parlino del maestro sorbendosi le sue parole +come un elisir di lunga vita. Non sei né un cristiano né un pagano, ma un ospite +inospitale, un ospite degli dèi, un superstite, un essere eterno, il padre di ogni +eterna verità. +Ma è vero che sono andato via da te ancora a௸amato? No, me ne sono andato +perché ero davvero sazio. Però che cosa ho mangiato? Le tue parole non mi +hanno dato nulla. Le tue parole mi hanno lasciato a me stesso e al mio dubbio. E +così mi sono cibato di me stesso. Perciò, o ΦΙΛΗΜΩΝ, tu non sei un cristiano +perché ti alimenti di te medesimo e costringi gli uomini a fare lo stesso. Questa è +per loro la cosa più sgradevole, perché nulla disgusta l’animale umano più di se +medesimo; perciò preferiscono divorare qualsiasi creatura che striscia, saltella, +nuota e vola, anzi della loro stessa specie, prima di rosicchiare se stessi. Ma +questo cibo è nutriente, e subito se ne viene saziati. Per questo, o ΦΙΛΗΜΩΝ, ci +alziamo sazi dalla tua tavola. +Il tuo modo di fare, o ΦΙΛΗΜΩΝ, è istruttivo. Tu mi lasci in un’oscurità +salutare, dove non ho nulla da vedere o da cercare. Non sei una luce che brilla +nelle tenebre.277 Non sei il salvatore che stabilisce una verità eterna e così +facendo / [Foglio 148 / 149] spegne la luce notturna dell’intelletto umano. Tu lasci +spazio alla stupidità o all’intelligenza degli altri. Tu, o benedetto, non vuoi dare +nulla agli altri, ma inna௻ i ௹ori del tuo proprio giardino. Chi ha bisogno di te, +chiede, e io scommetto che anche tu, o sapiente ΦΙΛΗΜΩΝ, chieda a colui dal +quale vuoi ottenere qualcosa, e che poi paghi quello che hai ricevuto. Cristo ha +reso gli uomini avidi, perché da allora essi si aspettano doni dai loro salvatori, +senza nulla dare in cambio. Elargire doni è infantile come il potere. Chi dona si +arroga potere. La virtù del donare è il manto celeste del tiranno. Tu sei saggio, +o ΦΙΛΗΜΩΝ, non regali nulla. Tu vuoi che il tuo giardino fiorisca e che ogni cosa +cresca per forza propria. +In te, o ΦΙΛΗΜΩΝ, lodo l’assenza di pose da salvatore; tu non sei il pastore +che corre dietro alle pecorelle smarrite, poiché credi alla dignità dell’uomo, che +non è necessariamente una pecora. Se però è una pecora, gli concedi i diritti e +la dignità della pecora; perché mai infatti le pecore dovrebbero essere +trasformate in uomini? Di uomini, in verità, ce n’è già a sufficienza. +Tu conosci, o ΦΙΛΗΜΩΝ, la saggezza delle cose ancora a venire. Per questo +tu sei vecchio, addirittura antichissimo, e allo stesso modo in cui sovrasti me in +fatto di anni, così sovrasti il presente in fatto di futuro, e il tuo passato è di +durata incommensurabile. Sei leggendario e irraggiungibile. Tu sei stato e tu +sarai, ritornando periodicamente. Invisibile è la tua saggezza, inconoscibile la +tua verità, forse non vera in ogni epoca, e tuttavia vera per l’eternità, ma tu +versi acqua viva da cui sbocceranno i ௹ori del tuo giardino, un’acqua di stelle, + una rugiada della notte. +Di chi o di che cosa hai bisogno, o ΦΙΛΗΜΩΝ? Hai bisogno degli uomini per le +piccole cose, poiché è presente in te già tutto ciò che è grande e sommo. Cristo +ha viziato gli uomini, poiché ha insegnato loro che potevano trovare la +redenzione solo in uno, cioè proprio in Lui, il Figlio di Dio. E da allora gli uomini +richiedono agli altri sempre le cose più grandi, in particolare la loro redenzione; +e quando una pecora si è smarrita / [Foglio 149 / 150] da qualche parte, essa +accusa il pastore. O ΦΙΛΗΜΩΝ, tu sei uomo, e dimostri che gli uomini non sono +pecore, perché hai cura di ciò che in te è sommo, e quindi nel tuo giardino, da +una brocca inesauribile, fluisce acqua di fertilità. +[IF, 150] Tu sei solo, o ΦΙΛΗΜΩΝ; non vedo persone al tuo seguito, né una +compagnia attorno a te; BAUKΙS stessa è solo l’altra tua metà. Tu vivi insieme ai +fiori, agli alberi e agli uccelli, ma non con gli uomini. Non dovresti vivere insieme +agli uomini? Sei ancora un essere umano? Non vuoi nulla dagli uomini? Non vedi +come se ne stanno insieme e mettono in giro voci ed escogitano sul tuo conto +favolette per bambini? Non vuoi andar da loro e dire che sei uomo e mortale +proprio come loro e che desideri amarli? O ΦΙΛΗΜΩΝ, tu ridi? Ti capisco. +Proprio ora sono entrato nel tuo giardino e volevo strapparti quello che invece +devo comprendere da solo. +O ΦΙΛΗΜΩΝ, capisco: ti ho trasformato subito in un salvatore che si lascia +divorare e che lega a sé elargendo doni. Così sono gli uomini, tu pensi; sono tutti +ancora cristiani. Essi però vogliono ancora di più: vogliono te, così come sei, +altrimenti per loro non saresti ΦΙΛΗΜΩΝ ed essi sarebbero inconsolabili se non +trovassero un soggetto per le loro leggende. Quindi riderebbero pure se tu +andassi da loro e dicessi di essere un mortale esattamente come loro e volessi +amarli. Infatti, se lo facessi, non saresti ΦΙΛΗΜΩΝ. Essi vogliono te, +ΦΙΛΗΜΩΝ, non un altro mortale che soffra degli stessi loro mali. +Ti capisco, o ΦΙΛΗΜΩΝ, tu sei un vero / [Foglio 150 / 151] amante, poiché ami la +tua anima per amore degli uomini, perché essi hanno bisogno di un re che vive +per forza propria e non deve dir grazie a nessuno per la sua vita. Così ti +vogliono. Tu esaudisci il desiderio della gente e scompari. Tu sei un ricettacolo +di favole; t’infangheresti se andassi dagli uomini in quanto uomo, poiché tutti +riderebbero di te dandoti del bugiardo e dell’imbroglione, poiché ΦΙΛΗΜΩΝ non +è affatto un essere umano. +Ho visto, o ΦΙΛΗΜΩΝ, quella ruga sul tuo volto. Hai avuto il tuo tempo +quando eri giovane e volevi essere un uomo fra tanti uomini. Ma la tua umanità +pagana non piacque alle bestie cristiane, perché sentivano che tu eri colui di cui +avevano bisogno. Essi cercano sempre uno che sia segnato, e non appena lo +abbiano sorpreso in libertà da qualche parte, lo rinchiudono in una gabbia d’oro +sottraendogli il vigore della sua virilità, in modo che resti paralizzato e silente. + Allora lo esaltano e inventano favole su di lui. Lo so, essi la chiamano +venerazione, e se non trovano quello vero, hanno perlomeno un papa che per +professione mette in scena la divina commedia. Quello vero però rinnega +sempre se stesso perché non conosce nulla di più elevato del fatto di essere un +uomo. +Tu ridi, o ΦΙΛΗΜΩΝ? Ti capisco: ti è passata la voglia di essere un uomo +come gli altri. E poiché hai amato davvero il fatto di essere un uomo, l’hai messo +sottochiave spontaneamente, per dare agli uomini perlomeno quello che essi +volevano da te. Per questo ti vedo, o ΦΙΛΗΜΩΝ, non insieme agli uomini, ma tra +i ௹ori, gli alberi e gli uccelli e tutte le acque che scorrono o ristagnano, che non +infangano la tua umanità. Perché per i ௹ori, gli alberi, gli uccelli e le acque tu +non sei ΦΙΛΗΜΩΝ, bensì un semplice essere umano. Ma quale solitudine, quale +disumana crudeltà! / [Foglio 151 / 152] +[IF, 152] Perché tu rida, o ΦΙΛΗΜΩΝ, non riesco a indovinarlo. Ma non vedo +forse l’aria azzurra del tuo giardino? Quali magni௬che ombre ti circondano? +Forse che il sole sta covando attorno a te azzurri spettri meridiani? +Tu ridi, o ΦΙΛΗΜΩΝ? Oh, ti capisco: forse hai perduto l’umanità, ma la sua +ombra è risorta per te. Quanto più grande e più splendida dell’umanità stessa è +la sua ombra! Le azzurre ombre meridiane dei morti! Oh, lì c’è la tua umanità, o +ΦΙΛΗΜΩΝ, tu sei maestro e amico dei morti. Sospirando indugiano all’ombra +della tua casa, dimorano sotto i rami dei tuoi alberi. Bevono la rugiada delle tue +lacrime, si scaldano alla bontà del tuo cuore, hanno fame delle parole della tua +saggezza, che per loro risuona piena, colma dei suoni della vita. Ti ho visto, o +ΦΙΛΗΜΩΝ, nell’ora del mezzodì, col sole alto nel cielo, parlare con un’ombra +azzurra; la sua fronte era macchiata di sangue e oscurata da un nobile +tormento. Posso indovinare, o ΦΙΛΗΜΩΝ, chi fosse il tuo ospite di +mezzogiorno.278 Quanto sono stato cieco, sciocco che ero! +Quello sei tu, o ΦΙΛΗΜΩΝ! Ma dove sono io? Vado per la mia strada, +scuotendo il capo, seguito dagli sguardi della gente, e rimango in silenzio: che +silenzio disperato! / [Foglio 152 / 153] +[IF, 153] O signore del giardino! In lontananza, nel sole scintillante, vedo i +tuoi alberi oscuri. La mia strada porta nelle valli in cui vivono gli uomini. Io +sono un mendico vagabondo. E taccio. +Uccidere i falsi profeti reca giovamento alla gente. Se essa vuole uccidere, +allora uccida i suoi falsi profeti. Se la bocca degli dèi rimane silenziosa, ciascuno +potrà udire il proprio linguaggio. Chi ama la gente, tace. Se a insegnare restano +solo i falsi maestri, la gente ucciderà i falsi maestri e, sulla via dei propri +peccati, potrà persino imbattersi nella verità. Solo dopo la notte più buia si farà +giorno. Coprite dunque i lumi e restate in silenzio, a௻nché la notte divenga buia + e silente. Il sole sorge senza il nostro aiuto. Solo chi conosce l’errore più nero sa +che cos’è la luce. +O signore del giardino! In lontananza rilucono per me i tuoi boschetti +incantati. Io venero il tuo manto ingannevole, o tu che sei padre di ogni luce, +fissa ed errante. / [Foglio 153 / 154] [Ill., 154]279 +{ 2 } Proseguo per la mia strada. Mi accompagna un’a௻latissima lama +d’acciaio, temprata in dieci fuochi, ben nascosta nelle mie vesti. Mi protegge il +petto una cotta di maglia nascosta sotto il mantello. Nella notte mi sono +appassionato di serpenti, ne ho risolto l’enigma. Mi siedo accanto a loro sulle +pietre roventi, al bordo della via. So come catturarli con astuzia e crudeltà, quei +freddi diavoli che tra௹ggono il calcagno di chi non se l’aspetta. Ne sono +diventato amico e suono per loro un ௺auto dalle note soavi. Orno però la mia +caverna con le loro pelli dai riflessi cangianti. +Andandomene per la mia strada, giunsi a un masso rossastro dove si trovava +un grosso serpente280 iridescente. Poiché avevo imparato la magia dal grande +Filemone, trassi fuori il mio ௺auto e gli suonai una dolce melodia incantatrice, +che gli fece credere di essere la mia anima. Quand’esso fu ammaliato a +sufficienza, / [Foglio 154 / 155] [ill., 155]281 [1] gli dissi:282 «Sorella mia, anima mia, +che dici?». Lusingato e perciò indulgente, rispose: «Mettiamo una pietra sopra +tutto quel che combini». +Io: «Questo è confortante, ma non mi pare che dica molto». +A: «Vuoi che io dica molto? Posso anche essere banale, come sai, e questo mi +basta». +Io: «Mi è di௻cile da capire. Credevo che fossi in stretto contatto con tutto ciò +che è trascendente, / [Foglio 155 / 156] 283 sommo e assolutamente non comune. +Perciò pensavo che la banalità ti fosse estranea». +A: «La banalità è il mio elemento vitale». +Io: «Questo sarebbe meno stupefacente se lo dicessi io di me stesso». +A: «Quanto più straordinario sei tu, tanto più ordinaria posso essere io. Un +vero relax per me. Penso che tu possa sentire che oggi io non mi devo +tormentare». +Io: «Lo sento, e sono preoccupato che, alla ௹ne, il tuo albero non mi porti più +frutti». +A: «Già preoccupato? Non essere sciocco, e lasciami in pace». +Io: «Noto che ti piace la banalità. Ma io non ti prendo sul tragico, mia cara +amica, perché adesso ti conosco molto meglio di prima». +A: «Ti stai prendendo troppa con௹denza. Temo che incominci a mancarmi di +rispetto». +Io: «Sei turbata? Credo che sarebbe super௺uo. So abbastanza bene che + pathos e banalità sono molto vicini». +A: «Dunque hai notato la linea a serpentina del divenire dell’anima? Hai visto +che il giorno si alterna alla notte? Che l’acqua lascia il posto alla terra asciutta? +E che qualsiasi accanimento reca solo danno?». +Io: «Credo di aver visto tutto questo. Voglio starmene per un po’ disteso al +sole su questa calda pietra. Forse il sole mi coverà». +Ma il serpente strisciò silenzioso verso di me e si avvolse ௺essuoso e +inquietante attorno ai miei piedi.284 E si fece sera, e giunse la notte. Io parlai al +serpente dicendo: «Non so che cosa ci sia da dire. C’è qualcosa che bolle in ogni +pentola». +A: «Si sta preparando una cena».285 +Io: «Magari una Santa Cena?». +A: «Un’unione con l’intera umanità». +Io: «Un’idea orribilmente soave quella di partecipare a questa Cena come +ospite e come cibo allo stesso tempo».286 +A: «Questo fu anche il supremo piacere di Cristo». +Io: «Oh come tutto con௺uisce insieme, il sacro e il peccaminoso, il caldo e il +freddo! La pazzia e la ragione vogliono convolare a nozze, il lupo e l’agnello +pascolano paci௹camente ௹anco a ௹anco.287 Tutto è sì e no. Gli opposti si +abbracciano, si guardano con aria di intesa e si scambiano l’uno con l’altro. Con +straziante diletto, riconoscono di essere uniti. Il mio cuore è pieno di lotte +selvagge. Le onde di un ௹ume chiaro e quelle di un ௹ume scuro si precipitano le +une verso le altre, con௺uendo insieme. Non avevo mai avvertito questa +sensazione in precedenza». +A: «Questa, mio caro, è una novità, almeno per te». +Io: «Suppongo che tu mi stia prendendo in giro. Ma lacrime e riso288 sono / +[Foglio 156 / 157] una cosa sola. Di entrambi però mi è passata la voglia e sono +rigido e teso. Ciò che ama arriva ௹no al cielo, e alle stesse altezze arriva anche +ciò che oppone resistenza. Si tengono abbracciati, e non vogliono lasciarsi, +perché l’eccesso della loro tensione pare rappresentare l’ultima e suprema +possibilità di provare sentimenti». +A: «Tu ti esprimi in termini patetici e ௹loso௹ci. Sai che tutto questo si può dire +anche in modo molto più semplice. Per esempio si potrebbe dire che tu sei +innamorato di tante cose, a cominciare dalle lumache ௹no a Tristano e +Isotta».289 +Io: «Sì, lo so, ma nondimeno...». +A: «La religione ti sta ancora tormentando, non è vero? Quanti scudi ti +servono ancora per proteggerti? Meglio se lo dici apertamente». +Io: «Con questo non mi tocchi». +A: «Bene. Come la mettiamo con la morale? Oggigiorno la morale e + l’immoralità sono diventate anch’esse un’unica cosa?». +Io: «Tu ti prendi gioco di me, sorella mia e diavolo ctonio. Ma devo dirti che +quei due che, tenendosi avvinghiati, s’innalzano ௹no al cielo sono anche il bene e +il male. Io non scherzo, ma gemo, perché gioia e dolore insieme sono stridenti». + A: «Dov’è ௹nita tutta la tua intelligenza? Sei diventato totalmente stupido. Tu +potresti risolvere tutto col pensiero». +Io: «La mia intelligenza? Il mio pensiero? Non ho più neanche un barlume +d’intelligenza. Mi è diventata inaccessibile». +A: «Ma tu stai rinnegando tutto quello in cui credevi. Dimentichi +completamente chi sei. Anzi, rinneghi persino Faust, che passava davanti agli +spettri con andatura tranquilla». +Io: «Non posso più farlo. Anche il mio spirito è uno spettro». +A: «Ah, vedo che segui i miei insegnamenti». +Io: «È vero, purtroppo. E questo mi procura un doloroso piacere». +A: «Tu trai piacere dal tuo dolore. Sei contorto, accecato; soffri pure, folle!». +Io: «Questa disgrazia dovrebbe rendermi felice». +A questo punto il serpente s’infuriò e cercò di mordermi al cuore, ma si spezzò +i denti del veleno contro la mia armatura nascosta.290 Deluso, indietreggiò e +disse sibilando: «Tu ti comporti davvero come se fossi inafferrabile». +Io: «Questo succede perché ho imparato l’arte di passare dal piede sinistro a +quello destro, e viceversa, cosa che altre persone hanno sempre fatto senza +pensarci». +Allora il serpente si sollevò di nuovo, tenendosi come per caso / [Foglio 157 / 158] +la punta della coda davanti alla bocca, in modo che non potessi scorgere i suoi +denti rotti, e disse, con calma e con ௹erezza:291 «Ci sei arrivato, ௹nalmente?». +Ma io gli risposi, sorridendo: «A lungo andare non poteva sfuggirmi la linea a +serpentina della vita». +[2] [IF, 158] Dove stanno la fedeltà e la fede? Dov’è la calorosa ௹ducia? Tutto +questo lo trovi tra gli uomini, ma non tra uomini e serpenti, anche se si tratta di +serpenti anima. Tuttavia, ovunque ci sia amore c’è anche qualcosa del serpente. +Cristo stesso si è paragonato a un serpente,292 e il suo fratello infernale, +l’Anticristo, è il vecchio drago stesso.293 L +’elemento che trascende l’umano e che +si manifesta nell’amore ha la natura del serpente e dell’uccello, e spesso il +serpente incanta l’uccello, mentre più raramente l’uccello porta via il serpente. +L +’uomo sta in mezzo ai due. Quello che a te pare un uccello, per un altro è un +serpente; e quello che a te pare un serpente, per un altro è un uccello. Per +questo incontrerai l’Altro solo in ciò che è umano. Se tu vorrai divenire, ci sarà +lotta tra uccelli e serpenti. E solo se vorrai essere, sarai uomo per te stesso e +per gli altri. Chi diviene è al proprio posto nel deserto oppure in carcere, perché +trascende l’umano. Gli uomini, quando vogliono divenire, si comportano come +bestie. Nessuno ci può redimere dal male del divenire, a meno che scegliamo +volontariamente di passare per l’inferno. +{3} Per qual motivo mi comportai come se quel serpente fosse la mia anima? +Ovviamente solo perché la mia anima era un serpente. L +’averlo riconosciuto + diede un nuovo volto alla mia anima, perciò decisi di incantarla io stesso e di +assoggettarla al mio potere. I serpenti sono saggi, e io volevo che il mio +serpente anima mi trasmettesse la sua saggezza. Mai prima d’ora la vita era +stata tanto piena di dubbi, una notte carica di tensione senza scopo, un essere +uniti nell’essere rivolti l’uno contro l’altro. Nulla si muoveva: né Dio né il +Diavolo. Così io mi accostai al serpente che se ne stava disteso al sole, come se +non pensasse a nulla. I suoi occhi erano invisibili, ridotti a fessure nella +scintillante luce solare, e io / [ill., 159]294/ [Foglio 158 / 160] [1] gli parlai:295 «Come +sarà, ora che Dio e Diavolo si sono uniti? Si sono accordati per fermare la vita? +Il con௺itto tra gli opposti fa parte delle condizioni insopprimibili della vita? E +colui che riconosce e vive l’unità degli opposti si trova forse a un punto morto? +Si è schierato completamente dalla parte della vita vera e non agisce più come +se appartenesse a un solo partito e dovesse lottare contro l’altro, ma li incarna +entrambi e ha messo ௹ne alla loro discordia. Togliendo questo peso alla vita è +possibile che egli le abbia tolto anche lo slancio?».296 +Allora il serpente si voltò e disse di malumore: «Tu mi tormenti veramente. La +contrapposizione fra gli opposti era per me un elemento vitale. Te ne sarai ben +accorto. Le tue innovazioni mi privano di quella fonte di energia. Non riesco né +a sedurti col pathos né a irritarti con la banalità. Non so più che fare». +Io: «Se non sai più che fare, dovrei forse io portarti consiglio? Tu௸ati piuttosto +nei luoghi più profondi a cui hai accesso e chiedi ad Ade o ai celesti: forse +qualcuno saprà darti consiglio». +A: «Sei diventato imperioso». +Io: «La necessità è ancora più imperiosa. Devo vivere e riuscire a muovermi». +A: «Tu hai già la terra intera. Cosa vuoi chiedere all’aldilà?». +Io: «A muovermi non è la curiosità, ma la necessità; non cedo». +A: «Obbedisco, ma controvoglia. Questo tono è nuovo, e non ci sono abituata». +Io: «Mi rincresce, ma la necessità incalza. Dì al profondo che da noi le cose +vanno male, perché abbiamo tagliato fuori un organo importante per la vita. +Come sai, non sono io il colpevole, perché sei tu ad avermi condotto in modo +meditato su questa via». +A: «Avresti potuto rifiutare la mela».297 +Io: «Basta con questi scherzi! Tu conosci quella storia meglio di me. Dico sul +serio. Abbiamo bisogno di aria. Mettiti in moto e va’ a prendere il fuoco. Da +troppo tempo, ormai, è buio intorno a me. Sei pigra, oppure sei vigliacca?». +A: «Mi metto all’opera. Prenditi quello che porterò su». +[IF, 160] Lentamente298 s’innalza nel vuoto il trono di Dio, poi seguono la +Santa Trinità, l’intero cielo, quindi tutto l’inferno, e in௹ne Satana in persona. +Egli fa resistenza e si aggrappa al suo aldilà. Non / [Foglio 160 / 161] vuole +lasciarlo andare. Il mondo superiore è troppo fresco per lui. + A: «Lo tieni ben stretto?».299 +Io: «Benvenuto, ardente creatura delle tenebre! La mia anima ti ha forse +prelevato a forza?». +S: «Perché tutto questo chiasso? Protesto, sono stato tirato via con la +violenza». +Io: «Stai calmo! Non ti aspettavo. Arrivi per ultimo. Sembri essere il pezzo più +pesante». +S: «Che cosa vuoi da me? Io non ho bisogno di te, brutto impertinente». +Io: «Meno male che abbiamo te. Tu sei il personaggio più vivace di tutta la +dogmatica».300 +S: «Che me ne importa delle tue chiacchiere? Falla breve, ho freddo». +Io: «Sta’ a sentire, ci è successa una cosa: abbiamo uni௹cato gli opposti. Tra +l’altro abbiamo anche unito te con Dio».301 +S: «Dio buono, era per questo tutto quel chiasso? Ma che scemenze +combinate?». +Io: «Per favore, la cosa non era poi così sciocca. Questa uni௹cazione è un +principio importante. Abbiamo messo ௹ne a quella disputa interminabile per +avere finalmente mano libera per la vita vera». +S: «Questo puzza di monismo. Mi sono segnato il nome di alcuni di questi +signori. Per loro teniamo già in caldo delle camere speciali». +Io: «Ti sbagli. Da noi non si procede in modo così razionale.302 Infatti non +abbiamo neppure una verità esatta. Si tratta piuttosto di un fatto strano e +sconcertante: dopo l’uni௹cazione degli opposti è accaduto infatti – cosa inattesa +e incomprensibile – che non accadesse più nulla. Tutto si è arrestato in modo +pacifico restando completamente immobile, la vita si è trasformata in stasi». +S: «Ah ah! Voi stupidoni: allora l’avete fatta grossa». +Io: «Beh, la tua ironia è superflua. Le nostre intenzioni erano serie». +S: «S’è visto che facevate sul serio. L +’ordine dell’aldilà è stato scardinato ௹n +dalle fondamenta». +Io: «Come vedi, la questione è seria. Voglio avere risposta alla mia domanda +su cosa debba accadere ora, in questa situazione. Infatti non sappiamo più come +andare avanti». +S: «Un bel pasticcio! Di௻cile dare un buon consiglio, anche volendolo. Siete +pazzi accecati, gente arrogante. Perché non ve ne siete tenuti fuori? Come +pretendete di intendervi dell’ordine cosmico?». +Io: «Da come sbraiti, sembra proprio che la cosa ti abbia o௸eso in modo +particolare. Guarda com’è tranquilla la Santa Trinità. Sembra che le novità non +le dispiacciano». +S: «Ah, la Trinità è così irrazionale che / [Foglio 161 / 162] non ci si può mai +௹dare delle sue reazioni. Ti consiglio caldamente di non prendere assolutamente +sul serio quei simboli».303 + Io: «Ti ringrazio del consiglio amichevole. Però tu mi sembri interessato. Dalla +tua proverbiale intelligenza ci si potrebbe attendere un giudizio imparziale». +S: «Non sono prevenuto. Puoi giudicare da te. Se consideri questa assolutezza +in tutta la sua calma inerte, non ti sarà di௻cile scoprire che la situazione attuale +e lo stato di arresto provocati dalla tua impertinenza hanno una grande +somiglianza con l’assoluto. Se io invece ti dessi un consiglio, passerei +completamente dalla tua parte, perché anche tu trovi insopportabile questa +situazione immobile». +Io: «Come? Tu stai dalla mia parte? Questo è strano». +S: «Non c’è nulla di strano. L +’assoluto è sempre stato avverso a ciò che è vivo. +Sono io il vero maestro di vita». +Io: «Questo mi fa insospettire. Reagisci in modo troppo personale». +S: «Io non reagisco a௸atto in modo personale. Non sono altro che vita +frenetica in perenne agitazione. Non sono mai contento, mai tranquillo. Io +distruggo ogni cosa e ricostruisco in fretta e furia. Io sono l’ambizione, la sete di +gloria, l’intraprendenza; io sono la fonte e௸ervescente di nuovi pensieri e azioni. +L’assoluto è noioso e vegetativo». +Io: «Voglio crederti. Dunque... che cosa consigli?». +S: «Il miglior consiglio che posso darti è di cancellare al più presto tutta la tua +dannosa innovazione». +Io: «Che guadagno se ne avrebbe? Dovremmo ricominciare da capo e ancora +una volta arriveremmo immancabilmente alla medesima conclusione. Compresa +una cosa, non la si può ignorare intenzionalmente, né fare come se non fosse +accaduta. Il tuo non è un buon consiglio». +S: «Ma non siete proprio capaci di vivere senza discordia e litigi? Per vivere, +voi dovete sempre agitarvi per qualcosa, prendere partito, superare gli +opposti». +Io: «Questo non ci aiuta per niente. Noi vediamo noi stessi anche nell’opposto. +Ci siamo stufati di questo gioco». +S: «E così pure della vita». +Io: «Dipende, mi pare, dal tuo modo di intendere la vita. Il tuo concetto di vita +ha qualcosa dell’arrampicarsi e dello strappar via, dell’asserire e del mettere in +dubbio, dell’impaziente trascinare di qua e di là, / [ill., 163]304/ [Foglio 162 / 164] +degli appetiti frettolosi. Ti mancano l’assoluto e la sua longanime pazienza». +S: «Proprio così, la mia vita ribolle, spumeggia e solleva ondate turbolente. È +tutta un accaparrarsi e un gettar via, è fatta di ardenti desideri e di +irrequietezza. Questa è vita, non è vero?». +Io: «Ma anche l’assoluto vive». +S: «Quella non è vita. È uno stato di immobilità, oppure gli assomiglia, o +ancora più precisamente vive con in௹nita lentezza e spreca millenni, proprio +come la miserevole condizione che voi avete creato». + Io: «Mi hai fatto capire una cosa: tu sei la vita personale, ma l’apparente stato +di immobilità è la vita longanime dell’eternità, la vita della divinità! Stavolta mi +hai ben consigliato. Ti lascio andare. Addio!». +[IF, 164 (1)] Satana, svelto come una talpa, torna a rintanarsi nel suo buco. I +simboli della Trinità e il loro seguito ascendono al cielo, in pace e serenità. Ti +ringrazio, serpente, di aver tirato fuori per me il tipo giusto. Il suo linguaggio è +comprensibile a tutti, perché è personale. Possiamo tornare a vivere, una lunga +vita. Abbiamo ancora millenni da sprecare. +[2] [IF, 164 (2)] Come cominciare, o dèi? Nel dolore o nella gioia, oppure nel +sentimento spiacevole situato tra i due? L +’inizio è sempre la cosa più piccola, +comincia dal nulla. Se comincio di lì, vedo la goccia di «qualcosa» che cade nel +mare del nulla. Bisogna sempre ricominciare da capo dal punto più basso, là +dove il nulla si dilata divenendo libertà senza con௹ni.305 Non è ancora accaduto +nulla, il mondo deve ancora cominciare, il sole non è ancora nato, e la +terraferma non è ancora stata separata dalle acque;306 ancora non siamo saliti +sulle spalle dei nostri padri, perché anch’essi non esistono ancora. Sono appena +morti, e riposano nel grembo della nostra Europa assetata di sangue. +Noi siamo in lontananza, accoppiati al serpente, e cerchiamo di comprendere +quale potrebbe essere la prima pietra / [Foglio 164 / 165] dell’edi௹cio che ancora +non conosciamo. Qualcosa di primordiale? Servirebbe da simbolo. Ma noi +vogliamo cose tangibili. Siamo stanchi delle ragnatele che il giorno tesse e la +notte disfa. Dovrebbe forse riuscirci il Diavolo, quel misero fazioso, dall’ingegno +abietto e dalle avide mani? È sbucato fuori, quel pezzo di merda dove gli dèi +hanno nascosto il loro uovo. Mi piacerebbe allontanare da me con un calcio +quell’immondizia, se il granello d’oro non stesse proprio nel cuore schifoso di +quel mostro. +Vieni fuori, dunque, Figlio della tenebra e della puzza! Quanto forte ti tieni +aggrappato alle macerie e ai ri௹uti della cloaca eterna! Io non ti temo, ma ti +odio, fratello di ogni cosa riprovevole in me. Oggi sarai forgiato con possenti +magli ௹nché dal tuo corpo non sprizzi fuori l’oro degli dèi. Il tuo tempo è ௹nito. I +tuoi anni sono contati, e oggi è arrivato il tuo ultimo giorno. Che la tua carcassa +esploda! Con le nostre mani vogliamo toccare il germe che racchiudi, il nucleo +d’oro, e liberarlo dal viscido luridume. Dovrai gelare, Diavolo, poiché noi ti +forgiamo a freddo. L +’acciaio è più duro del ferro. Dovrai adattarti alla forma che +ti daremo, ladro del miracolo divino, scimmia di tutte le scimmie, che riempi il +tuo corpo con l’uovo degli dèi e in tal modo ti dai peso! Per questo siamo dannati +a restare legati a te, non per amor tuo, ma per amore del nucleo d’oro. +Quali ௹gure servizievoli escono dal tuo corpo, o abisso di latrocinio! Sono +spiriti elementari avvolti in mantelli grinzosi, Cabiri,307 dilettevoli mostriciattoli, +giovani e insieme vecchi, nanerottoli, raggrinziti, inappariscenti custodi di arti + segrete, possessori di ridicola saggezza, prime forme dell’oro informe, vermi +che strisciano fuori dall’uovo divino ormai libero, elementi dell’inizio, non nati, +tuttora invisibili. Che signi௹cato può avere per noi la vostra comparsa? Quali +nuove arti portate allo scoperto dall’inaccessibile camera del tesoro, dal tuorlo +solare dell’uovo divino? Avete ancora radici con௹ccate nella terra, come le +piante, e siete smor௹e animalesche / [Foglio 165 / 166] del corpo umano. Siete +strambi e bu௻, inquietanti, creature degli inizi, appartenenti alla terra. Noi non +cogliamo la natura di voi gnomi, di voi anime della materia. Avete origine nelle +sfere più basse. Volete diventare dei giganti, voi Pollicini? Siete al seguito del +Figlio della Terra? Siete i piedi terrestri della divinità? Che cosa volete? +Parlate! +[1] I Cabiri: «Veniamo a salutarti in quanto signore della natura inferiore». +Io: «Dite proprio a me? Sono io il vostro signore?». +I Cabiri: «Non lo eri, ma ora lo sei». +Io: «Lo dite voi. Così sia. Ma che cosa dovrei farmene della vostra scorta?». +I Cabiri: «Noi portiamo dal basso verso l’alto ciò che non è trasportabile. +Siamo la linfa che sale misteriosamente, non per forza, ma risucchiata e +attaccata per inerzia a ciò che sta crescendo. Noi conosciamo le vie sconosciute +e le leggi inspiegabili della materia vivente. Noi facciamo salire quel che +sonnecchia nella terra, ciò che è morto e che tuttavia si trasformerà in forme +viventi. Compiamo lentamente e con semplicità quello che tu invano ti dai pena +di fare alla tua maniera umana. Portiamo a termine quel che per te è +impossibile». +Io: «Che compito dovrei lasciarvi? Quale fatica posso cedervi? Che cosa è +meglio che io non faccia, e che cosa voi fate meglio di me?». +I Cabiri: «Tu dimentichi l’inerzia della materia. Tu vuoi estrarre a forza ciò +che può salire solo a poco a poco, risucchiandosi, agglutinandosi internamente. +Cessa di affannarti, altrimenti disturbi il nostro lavoro!». +Io: «Dovrei ௹darmi di voi, proprio di voi che siete ina௻dabili, di voi servi e +anime servili? Allora mettetevi al lavoro. Che sia!». +[IF, 166] «Mi pare di avervi concesso parecchio tempo.308 Non sono sceso giù +da voi, né ho disturbato il vostro lavoro. Sono vissuto alla luce del giorno e ho +atteso all’opera del giorno. E voi che cosa avete prodotto?». +I Cabiri: «Abbiamo portato alla luce, abbiamo costruito. Abbiamo posato una +pietra sopra l’altra. Così tu stai al sicuro». +Io: «Mi sento su un terreno più solido. Mi ergo verso l’alto». +I Cabiri: «Per te abbiamo forgiato una spada / [Foglio 166 / 167] sfolgorante con +cui puoi recidere il nodo che ti irretisce». +Io: «Impugno saldamente la spada. Alzo il braccio per colpire». +I Cabiri: «Noi ti mettiamo davanti anche il nodo intrecciato con arte diabolica + che ti chiude e sigilla. Colpisci! Soltanto una lama affilata lo può troncare». +Io: «Fatemelo vedere, questo nodo ritorto! Un vero capolavoro di natura +imperscrutabile, un intrico di radici che si sono aggrovigliate con per௹da +naturalezza nella crescita! Solo Madre Natura, la cieca tessitrice, poteva +creare un simile intrico! Un grande groviglio e mille piccoli nodi, tutti legati ad +arte, intrecciati, radicati, un vero cervello umano! Vedo bene? Che cosa avete +fatto? Mi mettete davanti il mio cervello! Mi avete messo in mano una spada +perché, con la sua lama lucente e a௻lata, tagliasse a metà il mio cervello. Cosa +vi salta in mente?».309 +I Cabiri: «Il grembo della natura ha intessuto il cervello, il grembo della terra +ha prodotto il ferro; così la madre ti ha dato entrambe le cose: l’intreccio e la +separazione». +Io: «Questo mi è oscuro! Volete forse fare di me il carne௹ce del mio +cervello?». +I Cabiri: «Tocca a te farlo, in quanto signore della natura inferiore. L +’uomo è +impigliato nel proprio cervello, e gli è data anche la spada per districare questo +intreccio». +Io: «Di quale intreccio parlate? E qual è la spada che dovrebbe districarlo?». +I Cabiri: «L’intreccio è la tua pazzia; la spada, il superamento della pazzia».310 +Io: «Oh creature del Diavolo, chi vi dice che io sia pazzo? Voi, fantasmi della +terra, radici di argilla e sterco, non siete per caso voi stessi le barbe del mio +cervello? Voi, rampicanti polipoidi, canali di linfa intrecciati alla rinfusa, mucchio +di parassiti, risucchiati e con inganno risaliti, creature che nel cuore della notte +si arrampicano furtivamente una sopra l’altra, a voi il colpo sfolgorante della +mia spada a௻lata. Volete convincermi a staccarvi da me? Meditate di +autodistruggervi? Com’è possibile che la natura dia origine a creature che +vogliono distruggersi da sole?». +I Cabiri: «Non esitare. Noi abbiamo bisogno di essere distrutti perché siamo +noi stessi l’intreccio. Chi vuole conquistare la terra nuova /311 [Foglio 167 / 168] +taglia i ponti dietro di sé. Non permettere che continuiamo a esistere. Noi siamo +i mille canali in cui ogni cosa torna a rifluire, di nuovo, ai propri inizi». +Io: «Dovrei recidere le mie stesse radici? Uccidere il mio stesso popolo di cui +sono il re? Dovrei far avvizzire il mio albero? Voi siete davvero ௹gli del +Diavolo». +I Cabiri: «Colpisci, noi siamo servitori che vogliono morire per il loro signore». +Io: «Che succede se colpisco?». +I Cabiri: «Allora non sarai più il tuo cervello, ma ti troverai al di là della tua +pazzia. Tu non lo vedi, ma la tua pazzia è il tuo cervello, l’intreccio orrendo e +l’intrico nel viluppo delle radici, nel reticolato di canali, nella confusione delle +௹bre. A farti impazzire è il tuo essere immerso nel cervello. Colpisci! Chi ha +trovato la via s’innalzerà sopra il proprio cervello. Nel cervello sei un Pollicino; + spingendoti oltre il cervello diverrai un gigante. È vero, siamo ௹gli del Diavolo; +ma non ci hai forgiato tu dal caldo e dalla tenebra? Così partecipiamo della sua e +della tua natura. Il Diavolo dice che tutto quello che nasce merita di ௹nire +disfatto.312 In quanto ௹gli del Diavolo vogliamo la distruzione, ma in quanto tue +creature vogliamo la nostra distruzione. Attraverso la morte vogliamo +dissolverci in te. Siamo radici che hanno succhiato ovunque. Ora hai tutto quel +che ti occorre, perciò tagliaci, strappaci via». +Io: «Dovrei rinunciare ai vostri servigi? In quanto signore, ho bisogno di +servi». +I Cabiri: «Il signore si serve da solo». +Io: «Ambigui ௹gli del Diavolo, con queste parole per voi è ௹nita. Che la mia +spada vi colpisca e sia un colpo valido per sempre». +I Cabiri: «Ahi, ahi! È successo quello che temevamo, quello che abbiamo +desiderato». / [Ill., 169] / [Foglio 168 / 171] +[2] [IF, 171] Ho messo piede su una terra nuova. Nulla di ciò che è stato +portato di sopra dovrà ri௺uire indietro. Nessuno dovrà demolire quello che ho +costruito. La mia torre è d’acciaio, tutta d’un pezzo. Il Diavolo è stato forgiato e +inserito nelle fondamenta, i Cabiri hanno edi௹cato questa torre e, sulla sua cima, +gli stessi costruttori sono stati sacri௹cati con la spada. Come una torre sovrasta +la vetta di una montagna su cui si erge, così io mi trovo al di sopra del mio +cervello da cui sono spuntato. Mi sono temprato e nessuno mi può far tornare +indietro. Io non scorro all’indietro. Sono il padrone di me stesso. Sono fiero della +mia signoria. Sono forte, bello e ricco. Le vaste contrade e il cielo azzurro si +sono disposti intorno a me e si piegano alla mia signoria. Non sono servo di +nessuno, e nessuno si serve di me. Io servo me stesso e mi accudisco da solo. +Perciò ho quello che mi occorre.313 +La mia torre è cresciuta attraverso i millenni, incrollabile. Non può più +sprofondare. Ma può ancora essere sopraelevata, e lo sarà. Pochi comprendono +la mia torre, perché si trova su un alto monte. Molti però la vedranno, / [Foglio +171 / 172] pur senza comprenderla. Perciò la mia torre persisterà intatta. +Nessuno ne scalerà le lisce pareti. Nessuno si poserà in volo sul suo tetto +aguzzo. Soltanto colui che trova l’ingresso nascosto nella montagna e sale lungo +i meandri delle sue viscere può arrivare ௹n dentro la torre e giungere alla +magni௹cenza di chi contempla e vive con le sue sole forze. Questo è stato +raggiunto e compiuto. Non è stato creato ra௸azzonando pensieri umani, ma è +forgiato al calore ardente delle viscere; i Cabiri stessi hanno portato la materia +sul monte e consacrato l’edi௹cio col loro sangue, in quanto unici conoscitori del +segreto della sua origine. L +’ho creato a partire dall’aldilà infero e supero, e non +dalla piattezza del mondo. Per questo è nuovo ed estraneo e sovrasta la pianura +abitata dagli uomini. È la solida base e l’inizio.314 + [IF, 172] Mi sono congiunto col serpente dell’aldilà. Ho accolto in me ogni +aspetto dell’aldilà. Da questo ho costruito il mio inizio. Quando quest’opera fu +terminata ne rimasi contento, e fui colto dalla curiosità di sapere che cos’altro +potesse esserci ancora nel mio aldilà. Mi avvicinai perciò al mio serpente e gli +chiesi / [Foglio 172 / 173] gentilmente se non volesse strisciare dall’altra parte per +portarmi notizie di quello che stava succedendo nell’aldilà. Ma il serpente era +stanco e disse che non ne aveva voglia. +{4} [1] Io: «Non voglio315 forzare nulla, ma forse, chissà, troveremo qualcosa +di utile». Il serpente esitò ancora un attimo, poi scomparve nell’abisso. Presto +ne udii la voce: «Credo di essere ௹nito all’inferno. Qui c’è un impiccato». Ho +davanti a me un uomo insigni௹cante, brutto e dalla faccia tutta contorta. Ha le +orecchie a sventola e la gobba. Dice: «Sono un avvelenatore che fu condannato +al capestro». +Io: «E che hai fatto?». +Lui: «Ho avvelenato i miei genitori e mia moglie». +Io: «Perché l’hai fatto?». +Lui: «Per onorare Dio». +Io: «Ma cosa stai dicendo? Per onorare Dio? Cosa intendi dire?». +Lui: «In primo luogo: tutto ciò che avviene avviene per onorare Dio. E poi +avevo le mie idee». +Io: «Che cosa ti è saltato in mente?». +Lui: «Io li amavo e volevo farli passare più in fretta da una vita miserabile alla +beatitudine eterna. Gli ho dato un potente sonnifero, troppo potente». +Io: «In questo non hai trovato anche un vantaggio personale?». +Lui: «Sono rimasto solo ed ero molto infelice. Volevo restare in vita per amore +dei miei due ௹gli, per i quali prevedevo un futuro migliore. Fisicamente stavo +meglio di mia moglie, perciò / [Foglio 173 / 174] volevo rimanere in vita». +Io: «Tua moglie era consenziente?». +Lui: «No, lei non lo sarebbe stata di certo, ma non sapeva nulla delle mie +intenzioni. Purtroppo il delitto venne scoperto e fui condannato a morte». +Io: «Adesso, nell’aldilà, hai ritrovato i tuoi familiari?». +Lui: «Questa è una storia strana e inverosimile. Immagino di essere +all’inferno. A volte mi pare che anche mia moglie sia qui, altre volte non ne sono +sicuro, così come non sono sicuro nemmeno di me stesso». +Io: «Come? Racconta!». +Lui: «Di tanto in tanto mi pare che lei mi parli e che io le risponda. Ma ௹nora +non abbiamo mai parlato dell’omicidio e neppure dei nostri ௹gli. Ci parliamo solo +ogni tanto e sempre di cose indi௸erenti, di piccole cose della nostra precedente +vita quotidiana, ma del tutto impersonali, come se non avessimo più a che fare +l’uno con l’altra. Io stesso non capisco come stiano le cose. Dei miei genitori mi + accorgo ancora di meno, mia madre, credo, non l’ho mai incontrata. Mio padre è +stato qui una volta, e ha detto qualcosa sulla sua pipa, che doveva aver perso da +qualche parte». +Io: «Ma come passi il tuo tempo?». +Lui: «Per noi, credo, il tempo non esiste, e quindi non si può neanche farlo +passare. Non succede proprio un bel niente». +Io: «Non / [Foglio 174 / 175] è oltremodo noioso?». +Lui: «Noioso? Non ci avevo ancora pensato. Noioso? Forse, in ogni caso non +c’è niente di interessante. In fondo tutto è indifferente». +Io: «E il Diavolo non vi tormenta mai?». +Lui: «Il Diavolo? Non l’ho mai visto». +Io: «Ma tu vieni dall’aldilà e non hai niente da riferire? È quasi incredibile!». +Lui: «Quando avevo ancora un corpo, ho pensato spesso che sarebbe stato +davvero interessante parlare con qualcuno che ritornasse dopo la morte. Adesso +non riesco più a trovarci niente di interessante. Come ho detto, da noi tutto è +impersonale e puramente oggettivo. Si dice così, credo». +Io: «Questo è sconfortante. Suppongo che tu sia nell’inferno più profondo». +Lui: «Per quel che me ne importa! Posso andare? Addio». +Scomparve di botto, io mi rivolsi al serpente316 e dissi: «Che signi௹cato +avrebbe questo noioso ospite dell’aldilà?». +A: «L +’ho incontrato di là mentre brancolava irrequieto come tanti altri. L +’ho +pescato a caso. È un buon esempio, mi pare». +Io: «Ma l’aldilà è così incolore?». +A: «Così mi pare. C’è un po’ di movimento soltanto quando arrivo io. Altrimenti +ci sono solo ombre che ௺uttuano di qua e di là. Manca completamente ogni +aspetto personale». +Io: «Ma che cos’è allora questo dannato aspetto personale? Di recente Satana +mi ha fatto / [Foglio 175 / 176] una forte impressione, come se fosse la quintessenza +della personalità». +A: «Naturale. È l’eterno avversario, perché non puoi mai conciliare la vita +personale con quella dell’assoluto». +Io: «Ma questi opposti non è possibile conciliarli?». +A: «Non sono opposti, ma semplicemente cose diverse, così come tu non +de௹nirai il giorno come l’opposto dell’anno, oppure lo staio come l’opposto del +cubito». +Io: «Questo è comprensibile, ma piuttosto noioso». +A: «Come sempre, quando si parla di aldilà. Esso si sta prosciugando sempre +più, specialmente da quando abbiamo equilibrato gli opposti e ci siamo sposati. +Credo che i morti siano ormai a rischio di estinzione». +[IF, 176] [2] Il Diavolo è il condensato dell’oscurità dell’umana natura. Chi + vive nella luce tende a seguire l’immagine di Dio. Chi vive nell’oscurità tende a +seguire l’immagine del Diavolo. Poiché io volevo vivere nella luce, mi si è spento +il sole quando ho toccato il profondo. Era oscuro e con le caratteristiche del +serpente. Mi sono unito a esso, senza sopra௸arlo. Abbracciando la natura del +serpente ho assunto la mia parte di umiliazione e di sottomissione. +Se non avessi / [Foglio 176 / 177] accettato le caratteristiche del serpente, il +Diavolo, che è la quintessenza di ogni serpentinità, avrebbe mantenuto questa +parte di potere su di me. Su quello avrebbe potuto far presa e mi avrebbe +costretto a venire a patti con lui, così come aveva astutamente ingannato anche +Faust.317 Ma io l’ho prevenuto, unendomi al serpente, allo stesso modo in cui un +uomo si congiunge con una donna. +In questo modo ho sottratto al Diavolo la possibilità di avere su di me quel tipo +di in௺uenza, che passa sempre e soltanto attraverso il nostro essere serpenti,318 +che in genere si attribuisce al Diavolo e non a se stessi. Me௹stofele è Satana +sotto le vesti della mia natura serpentina. Satana stesso è la quintessenza del +male, nudo e perciò non seduttivo, e neppure assennato, ma semplice negazione +priva di forza persuasiva. Così mi opposi al suo in௺usso distruttivo, lo acciu௸ai e +lo misi in catene. La sua progenie mi prestò i suoi servigi e io la sacri௹cai con la +spada. +Così ho costruito un solido edi௹cio. In tal modo ho ottenuto solidità e durata, e +ho potuto resistere alle oscillazioni legate al mio elemento personale. In tal +modo si è salvato ciò che vi è di immortale in me. Portando l’oscurità alla luce +del giorno dal mio aldilà, ho svuotato quest’ultimo. In tal modo le richieste dei +morti sono svanite, poiché sono state placate. / [Foglio 177 / 178] +Non sono più minacciato dai morti, perché ho accolto le loro rivendicazioni, +accogliendo il serpente. In tal modo però ho anche portato nel mio giorno +qualcosa di morto. Ma era necessario, perché la morte è quanto vi è di più +duraturo, l’elemento che non si può annullare. La morte mi conferisce durata e +solidità. Finché ho voluto soddisfare unicamente le mie esigenze ero personale, +e perciò ero vivo nel senso in cui lo intende il mondo. Quando però ho +riconosciuto in me le esigenze dei morti e le ho placate, ho abbandonato le mie +aspirazioni personali di un tempo, e il mondo ha dovuto considerarmi morto. Un +grande freddo sopravviene infatti a chi riconosca e cerchi di soddisfare la +richiesta dei morti, mentre si trova nel culmine delle sue ambizioni personali. +È vero che in seguito egli si sente come se un veleno misterioso avesse +paralizzato la vitalità delle sue relazioni personali, ma d’altro lato, nel suo aldilà, +tace la voce dei morti; cessano ogni minaccia, paura e inquietudine, poiché tutto +ciò che prima, famelico, stava in agguato in lui, ormai convive insieme a lui alla +luce del giorno. La sua vita è bella e ricca perché lui è se stesso. +Brutto è invece colui che vuole sempre e soltanto la felicità degli altri, perché +/ [Foglio 178 / 179] mutila se stesso. Chi voglia costringere gli altri a essere felici è + un assassino, perché uccide la propria crescita. È un folle colui che per amore +distrugge il proprio amore. Un individuo del genere si comporta in modo +personale verso gli altri. Il suo aldilà è grigio e impersonale. Egli si è imposto +agli altri, perciò è condannato a imporsi a se stesso in un gelido nulla. Colui che +ha riconosciuto le richieste dei morti ha esiliato nell’aldilà tutta la sua bruttezza. +Non s’impone più avidamente sugli altri, vive in solitudine nella bellezza e parla +coi morti. Ma verrà il giorno in cui anche le richieste dei morti saranno +soddisfatte. Se allora si persiste ancora nella solitudine, la bellezza sparirà +nell’aldilà e arriverà la noia nell’aldiquà. Dopo una fase bianca arriva una fase +nera, sempre sono presenti cielo e inferno.319 +{5} [1] [IF, 179] Una volta che ebbi trovato la bellezza in me, stando con me +stesso, parlai al mio serpente:320 «Mi guardo indietro come alla ௹ne di un +lavoro». +Serpente: «Ancora niente è concluso». +Io: «Cosa vuoi dire? Niente è concluso?». +Serp: «Si comincia solo adesso». +Io: «Tu stai mentendo, mi pare». +Serp: «Con chi ce l’hai? Ne sai più tu?». +Io: «Non so / [Foglio 179 / 180] nulla, ma mi sono già abituato all’idea di aver +raggiunto una meta, perlomeno provvisoria. Se persino i morti stanno +scomparendo, che cosa dovrà ancora accadere?». +Serp: «Allora dovranno cominciare a vivere quelli che sono in vita». +Io: «Quest’osservazione potrebbe sembrare profonda, ma mi pare solo una +battuta spiritosa». +Serp: «Diventi impertinente. Non sto scherzando. La vita deve ancora +cominciare». +Io: «Che cosa intendi per vita?». +Serp: «Dico che la vita deve ancora cominciare. Non ti sei sentito vuoto, oggi? +E questa la chiami vita?». +Io: «Quel che dici è vero. Ma io mi sforzo di trovare tutto il più bello possibile +e di accontentarmi facilmente». +Serp: «Questo potrebbe essere anche molto comodo. Ma tu puoi e devi avere +aspirazioni molto più alte». +Io: «Ne ho orrore. Non voglio pensare di poterle realizzare io stesso, ma non +ho neppure ௹ducia che possa realizzarle tu. Può darsi che ancora una volta io +nutra troppo poca ௹ducia in te. Questo può essere dovuto al fatto che di recente +ti trovo così umanamente vicino e così cortese». +Serp: «Questo non prova nulla. Non illuderti di potermi in qualche modo +inglobare e assorbire in te». +Io: «Dunque, che si fa? Sono pronto». +Serp: «Tu hai diritto a una ricompensa per / [Foglio 180 / 181] quello che si è + fatto finora». +Io: «Che pensiero carino che per questo debba esserci una ricompensa!». +Serp: «Ti do la ricompensa sotto forma d’immagine. Guarda!». +[IF, 181] Elia e Salomè! Il cerchio si è chiuso e le porte del mistero si sono +riaperte. Elia guida Salomè, colei che ora vede, tenendola per mano. Lei +abbassa gli occhi, amorevole, arrossendo. +E: «Ecco, ti consegno Salomè. Che sia tua!». +Io: «Per amor del cielo... Che me ne devo fare di Salomè? Sono già sposato, e +non siamo mica in Turchia!».321 +E: «Uomo senza risorse! Come sei tardo a comprendere! Non è un bel regalo? +La sua guarigione non è forse stata opera tua? Non vuoi accettare il suo amore +come meritata ricompensa per la pena che ti sei dato per lei?». +Io: «Mi pare che sarebbe un regalo alquanto strano, più un peso che una gioia. +Sono contento che Salomè mi sia grata e che mi ami. L +’amo anch’io, in una certa +misura... Del resto la pena che mi sono dato per lei mi è stata – letteralmente – +spremuta, più che essere frutto di una scelta volontaria e intenzionale. Sono già +abbastanza contento che questa / [Foglio 181 / 182] tortura cui non avevo +intenzione di sottopormi abbia avuto un esito così positivo». +Salomè a Elia: «Lascialo, è un tipo strano. Sa il cielo quali motivi lui abbia, ma +pare che faccia sul serio. Io non sono mica brutta e per molti sicuramente +desiderabile». +Rivolta a me: «Perché mi ri௹uti? Io voglio essere la tua ancella e servirti. +Voglio cantare e danzare davanti a te, voglio suonare il liuto per te, consolarti +quando sei triste, ridere insieme a te quando sei allegro. Voglio portare in cuore +ogni tuo pensiero. Voglio baciare le parole che mi dici. Tutti i giorni voglio +cogliere rose per te, e tutti i miei pensieri ti attenderanno e ruoteranno sempre +intorno a te». +Io: «Ti ringrazio per il tuo amore. È bello sentir parlare d’amore. È musica, ed +è un’antica e lontana nostalgia. Come vedi, le tue buone parole mi strappano le +lacrime. Vorrei inginocchiarmi ai tuoi piedi e baciare cento volte la tua mano +che ha voluto donarmi amore. Tu hai parlato così bene d’amore! Non si è mai +sazi di sentir parlare d’amore». +Sal: «Perché solo parlare? Io voglio essere tua, appartenerti completamente». +Io: «Sei come il serpente che avvolgendomi mi ha spremuto il sangue.322/ +[Foglio 182 / 183] Le tue dolci parole mi avvolgono e me ne sto come un crocifisso». +Sal: «Perché ancora un crocifisso?». +Io: «Non vedi quale necessità inesorabile mi ha inchiodato alla croce? È +l’impossibilità che mi paralizza». +Sal: «Non vuoi spezzare la necessità? E quello che tu chiami necessità è +veramente tale?».323 + Io: «Stammi a sentire: dubito che la tua vocazione sia quella di appartenere a +me. Non voglio immischiarmi nella tua vita, che è soltanto tua, perché non potrò +mai aiutarti a portarla a termine. Che cosa ci guadagneresti se poi io ti dovessi +mettere da parte come un vestito usato?». +Sal: «Dici cose crudeli, ma io ti amo a tal punto che potrei farmi da parte +spontaneamente quando per te fosse giunto il momento». +Io: «So che per me sarebbe il massimo tormento lasciarti andar via in quel +modo. Ma se tu lo puoi fare per me, anch’io lo posso fare per te. Potrei +continuare per la mia via senza un lamento, perché non dimentico quel sogno in +cui ho visto il mio corpo disteso su aghi appuntiti e una ruota di ferro rotolarmi +sul petto, stritolandolo. Ogni volta che penso all’amore mi viene in mente questo +sogno. Se è necessario, sono pronto». +Sal: «Non voglio un simile sacri௹cio. Volevo portarti gioia. Non posso essere +una gioia per te?». +Io: «Non so... Forse... / [Foglio 183 / 184] Forse anche no». +Sal: «Tenta, perlomeno». +Io: «Il tentativo equivale al fatto. Tentativi del genere costano cari». +Sal: «Non vuoi pagare questo prezzo per me?». +Io: «Sono troppo debole, troppo spossato, dopo quello che ho so௸erto a causa +tua, per essere ancora in grado di spendermi ulteriormente per te. Non potrei +reggerlo». +Sal: «Se non vuoi prendermi tu, non potrei essere io a prendere te?». +Io: «Non è tanto questione di prendere, ma se di qualcosa si tratta, allora si +tratta di dare». +Sal: «Io mi do a te volentieri. Basta che mi prendi». +Io: «Se fosse solo per quello! Ma l’irretimento nell’amore! È terribile già il +semplice pensarci». +Sal: «Tu pretendi che io ci sia, e che al tempo stesso non ci sia. Questo è +impossibile. Che cosa ti manca?». +Io: «Mi manca la forza di caricarmi sulle spalle un altro destino. È già +abbastanza quel che ho da portare». +Sal: «Ma se io ti aiutassi a portare questo peso?». +Io: «E come potresti? Dovresti portare me, un fardello poco docile. Non devo +portarmelo da solo?». +E: «Tu dici la verità. Ognuno porti il proprio fardello. Chi addossa ad altri il +proprio fardello, diventa loro schiavo.324 Non sia troppo grave per nessuno farsi +carico di se stesso». +Sal: «Padre, ma non potrei aiutarlo a portare una parte del suo fardello?». +E: «Allora diverrebbe il tuo schiavo». / [Foglio 184 / 185] +Sal: «Oppure il mio signore e padrone». +Io: «Non voglio esserlo. Tu dovrai essere una creatura libera. Non posso + sopportare né schiavi né padroni. Desidero ardentemente esseri umani». +Sal: «E io non sono forse un essere umano?». +Io: «Che tu sia padrona e insieme schiava di te stessa. Non appartenere a me, +ma solo a te stessa. Non portare il mio fardello, ma il tuo. Così mi lascerai la mia +libertà umana, una cosa che per me ha più valore del diritto di proprietà su un +altro essere umano». +Sal: «Mi mandi via?». +Io: «Io non ti mando via. Non stare lontana da me. Ma che il tuo dono non +nasca dal tuo desiderio, bensì dalla tua pienezza. Io non sono in grado di +colmare la tua povertà, così come tu non puoi placare il mio struggente +desiderio. Se hai un raccolto abbondante, regalami qualche frutto del tuo +giardino. Se tu so௸ri di sovrabbondanza, io berrò alla traboccante coppa della +tua gioia. So che questo mi sarà di ristoro. Mi posso saziare solo alla tavola di +chi è sazio, non alle scodelle vuote di quelli che si struggono dal desiderio. Non +voglio rubare la mia ricompensa. Se tu non possiedi, come potresti dare? Nel +momento in cui doni, tu chiedi. Elia, vecchio mio, ascolta: tu mostri una strana +riconoscenza. Non fare dono di tua ௹glia; fa’ in modo che si regga sulle / [Foglio +185 / 186] sue gambe, che possa danzare, cantare o suonare il liuto davanti alla +gente, e probabilmente la gente getterà monete lucenti ai suoi piedi. Salomè, io +ti ringrazio per il tuo amore. Se mi ami davvero, danza dinanzi alla folla, cerca +di piacere alla gente, in modo che essa elogi la tua bellezza e la tua bravura. E +se avrai un ricco bottino, gettami dalla ௹nestra una delle tue rose, e quando +traboccherà la fonte della gioia, danza e canta una volta anche per me. Io +desidero la gioia degli uomini, la loro sazietà e il loro appagamento, e non il loro +stato di bisogno». +Sal: «Che uomo duro e incomprensibile sei!». +E: «Sei cambiato da quando ti ho visto l’ultima volta. Parli un’altra lingua che +mi suona estranea». +Io: «Caro vecchio mio, lo credo bene che tu mi trovi cambiato. Ma anche in te +mi sembra cambiato qualcosa. Dov’è infatti il tuo serpente?». +E: «L +’ho smarrito. Credo che mi sia stato rubato. Da allora siamo un po’ giù di +morale. Sarei stato contento che ti fossi preso cura almeno di mia figlia». +Io: «Io so dov’è il tuo serpente. Ce l’ho io. L +’abbiamo tirato fuori dal mondo +infero. Mi / [Foglio 186 / 187] ha dato durezza, saggezza e poteri magici. Ne +abbiamo avuto bisogno nel mondo superiore, altrimenti il mondo sotterraneo se +ne sarebbe avvantaggiato a nostro danno». +E: «Guai a te, maledetto ladro! Che Dio ti punisca!». +Io: «La tua maledizione non ha alcuna forza. Chi possiede il serpente non è +toccato da maledizioni. Ora, vecchio, sii saggio: chi possiede la saggezza non sia +avido di potere. Il potere ce l’ha soltanto chi non lo esercita. Salomè, non +piangere! La felicità sta solo in quello che crei tu stessa, e non in ciò che ricevi. + Svanite, tristi amici miei, ormai è notte fonda! Elia, leva alla tua saggezza il falso +luccichio del potere. E tu, Salomè, non dimenticarti di danzare in nome del +nostro amore». +[2] 325Quando in me tutto fu compiuto, tornai inaspettatamente al mistero, a +quella prima contemplazione delle potenze ultraterrene dello spirito e del +desiderio. Come io avevo raggiunto il piacere in me e ottenuto il potere su me +stesso, così Salomè aveva perduto il piacere in se stessa e appreso l’amore +verso un altro, ed Elia aveva perso il potere della sua saggezza, ma imparato a +riconoscere lo spirito dell’Altro. In tal modo Salomè ha perso il potere della +seduzione e si è trasformata in / [Foglio 187 / 188] amore. Poiché ho acquisito +piacere in me, voglio anche amore per me. Forse questo sarebbe troppo e mi +chiuderebbe in un so௸ocante cerchio di ferro. Ho accettato Salomè in quanto +piacere, ma la respingo in quanto amore. Lei però vuole stare con me. Ma +come... devo avere anche amore verso me stesso? Io credo che l’amore faccia +parte dell’Altro. Il mio amore vuole invece stare con me. Ne ho paura. Possa il +potere del mio pensiero spingerlo lontano da me, nel mondo, nelle cose, verso gli +uomini. Qualcosa, infatti, dovrà unire gli uomini, fare da ponte. Gravissima +tentazione, se persino il mio amore vuole stare con me! Mistero, apri di nuovo il +tuo sipario! Voglio combattere questa battaglia ௹no in fondo. Vieni su, serpente, +dall’abisso oscuro. +{6} [1] Sento326 che Salomè continua a piangere. Che cosa vuole ancora? +Oppure che cosa voglio io ancora? Maledetta è la ricompensa che mi hai +destinato, una ricompensa che non si può toccare senza sacrifici; poiché richiede +sacrifici perfino più grandi una volta che la si sia sfiorata. +Serpente:327 «Ma allora tu vuoi vivere senza far sacri௹ci? La vita deve costarti +qualcosa, non è vero?». +Io: «Credo di aver già pagato. Ho ri௹utato Salomè. Non basta come +sacrificio?». +Serp: «È troppo poco per te. Come ti ho già detto, puoi essere esigente». +Io: «Con la tua dannata logica vorresti forse dire: esigente nel sacri௹care? +Non è così come / [Foglio 188 / 189] io l’ho inteso. Mi sono ingannato, ovviamente a +mio vantaggio. Dimmi, non basta se metto il mio sentimento in secondo piano?». +Serp: «Tu non metti a௸atto il tuo sentimento in secondo piano, ma è molto +meglio per te che Salomè non ti dia altri grattacapi». +Io: «È un guaio, se dici il vero. È per questo motivo che Salomè continua a +piangere?». +Serp: «Sì, è per questo motivo». +Io: «Ma cosa si può fare?». +Serp: «Oh, tu hai voglia di fare? Si può anche pensare». +Io: «Ma che cosa c’è da pensare? Confesso che in questo caso non so cosa + pensare. Magari mi puoi dare un consiglio? Ho la sensazione di dovermi elevare +al di sopra della mia testa. Solo che non ci riesco. Che ne pensi?». +Serp: «Io non penso niente, e non so neanche darti consiglio». +Io: «Allora interroga quelli dell’aldilà, va’ all’inferno oppure in cielo. Forse vi +troverai consiglio». +Serp: «Sono attirato verso l’alto». +A questo punto il serpente si tramutò in un uccellino bianco che si alzò in volo +verso le nubi, dove scomparve. Io lo seguii a lungo con lo sguardo.328 +Uccello: «Mi senti? Sono lontano. Il cielo è così distante! L +’inferno è molto più +vicino alla terra. Ho trovato qualcosa per te, una corona abbandonata. Era lì su +una strada, negli immensi spazi celesti, una corona d’oro». +Ed eccola già in329/ [Foglio 189 / M] mano mia, una regale corona d’oro. Al suo +interno sono incise delle lettere; che cosa dicono? «L +’amore non viene mai +meno».330 Un dono del cielo! Ma che significa? +U: «Io sono qui. Non sei contento?». +Io: «In parte... Comunque ti ringrazio per questo regalo così signi௹cativo. Ma +è enigmatico, e i tuoi doni ormai mi rendono un po’ diffidente». +U: «Però il dono viene dal cielo». +Io: «Per quanto sia molto bello, tu sai bene come ci siamo accordati a +proposito del cielo e dell’inferno». +U: «Non esagerare. Tra cielo e inferno, comunque, c’è sempre una di௸erenza. +Io credo però, a giudicare da quel che ho visto, che in cielo succeda altrettanto +poco che all’inferno, sebbene probabilmente in un modo diverso. Anche quel che +non accade può non accadere in un modo particolare». +Io: «Parli per enigmi, da starci male a prenderli sul serio. Parla! Che pensi +della corona?». +U: «Che ne penso? Niente. In verità, parla da sola». +Io: «Vuoi dire: con le parole che reca incise?». +U: «Precisamente. Ti sembra convincente?». +Io: «Beh, in un certo senso, sì. Ma questo lascia maledettamente in sospeso la +domanda». +U: «Sarà proprio voluto». +A questo punto l’uccello si ritrasformò in serpente.331 +Io: «Sei snervante». +Serpente:332 «Solo per chi non è in sintonia con me». +Io: «Io certamente non lo sono. Ma come si potrebbe? È crudele stare sospesi +nell’aria».333 +Serp: «Questo sacri௹cio è troppo grande per te? Devi anche essere in grado di +restare sospeso, se vuoi risolvere i problemi. Guarda Salomè!». +Io (a Salomè): «Vedo, Salomè, che stai ancora piangendo. Non ho ancora ௹nito +con te. Io sono sospeso e maledico questo mio restare sospeso. Sono appeso per + te e per me. Prima ero croci௹sso e ora sono solo sospeso... cosa meno nobile, +ma non meno straziante. Perdonami se volevo sbarazzarmi di te; avevo pensato +di salvarti come allora, quando ho guarito la tua cecità tramite il sacri௹cio di me +stesso. La terza volta dovrò magari essere decapitato, come è successo al tuo +amico di un tempo, Giovanni, quello che ci ha regalato il Cristo so௸erente. Sei +insaziabile? Non intravedi vie per diventare ragionevole?». +Sal: «Amore, che colpa ne ho io? Ho rinunciato completamente a te». +Io: «Allora perché continui a piangere? Sai bene che non riesco a sopportare +di vederti sempre in lacrime». +Sal: «Credevo che tu non fossi più vulnerabile, da quando possiedi la bacchetta +nera a forma di serpente». +Io: «L +’e௸etto della bacchetta mi pare dubbio. In una cosa comunque la +bacchetta mi aiuta: almeno non so௸oco, anche se sono appeso. Non c’è dubbio +che la bacchetta magica mi aiuti a sopportare di essere appeso; ma si tratta di +un crudele sollievo e aiuto. Non mi vuoi perlomeno staccare dalla fune?». +Sal: «E come potrei farlo? Sei appeso troppo in alto.334 Sei appeso troppo in +alto, in cima all’albero della vita, dove io non riesco ad arrivare. Non puoi +aiutarti da solo, tu che sei iniziato alla saggezza del serpente?». +Io: «Dovrò restare appeso ancora per molto?». +Sal: «Finché non avrai escogitato un aiuto». +Io: «Dimmi almeno che cosa pensi della corona che la mia anima, sotto +sembianze d’uccello, è andata a prendermi in cielo». +Sal: «Che cosa stai dicendo? La corona? Hai la corona? Beato te! Di cosa ti +lamenti ancora?». +Io: «Un re impiccato farebbe volentieri il cambio con qualsiasi mendicante non +impiccato che chieda l’elemosina per strada». +Sal (estasiata): «La corona! Tu hai la corona!». +Io: «Abbi pietà di me, Salomè! Che cosa vuol dire questa corona?». +Sal (estasiata): «La corona... Tu sarai incoronato! Che felicità per me e per +te!». +Io: «Ah, perché ti ecciti tanto per questa corona? Non riesco a capirlo e sto +soffrendo un tormento indicibile». +Sal (con aria crudele): «Resta appeso finché non capirai». +Taccio e rimango appeso, sollevato dal suolo sul ramo oscillante dell’albero +divino, a causa del quale già i nostri antenati non riuscirono a fare a meno di +peccare. Ho le mani legate e sono in stato di totale impotenza. Così resto +appeso per tre giorni e tre notti. Da dove potrebbe giungere il soccorso? Ecco il +mio uccello, il serpente che ha indossato la livrea di candide piume. +Uccello: «Noi trarremo aiuto dalle nuvole che scorrono sopra la tua testa, se +non ci arrivano altri soccorsi». +Io: «Vuoi trarre aiuto dalle nuvole? Com’è possibile?». + U: «Vado e ci provo». +L +’uccello si alza in volo come un’allodola, rimpicciolisce sempre di più, per +scomparire in௹ne nella spessa coltre di nubi grigie che ricoprono il cielo. Lo +seguo con sguardo nostalgico e non vedo più nulla all’infuori dell’immenso cielo +grigio e nuvoloso sopra di me, di un grigio impenetrabile, uniforme e +indecifrabile. Ma la scritta sulla corona... Quella sì che è decifrabile. «L +’amore +non verrà mai meno»... Vuol forse dire rimanere appeso per sempre? Non per +nulla ero di௻dente quando il mio uccello mi ha portato la corona, la corona della +vita eterna, la corona del martirio... tutte cose infauste e pericolosamente +ambigue. +Sono stanco, non soltanto di essere appeso, ma di lottare per l’immensità. +Lontano, sotto i miei piedi, sul terreno, si trova la corona misteriosa, +risplendente nella luce dorata. Non ௺uttuo, no, sono appeso; oppure, ancor +peggio, sono sospeso fra cielo e terra, e non posso saziarmi di questo stato... +Potessi saziarmi una volta per tutte, ma l’amore non verrà mai meno. È proprio +vero che l’amore non verrà mai meno? Se, per loro, questo era un messaggio +lieto, che cos’è per me? +«Dipende tutto dal concetto», dice a un tratto un vecchio corvo, appollaiato su +un ramo non lontano da me, in attesa di cibarsi del mio cadavere e assorto in +filosofici pensieri. +Io: «In che senso dipende dal concetto?». +Corvo: «Dal concetto dell’amore che hai tu e che avevano quelli di una volta». +Io: «Lo so, vecchio uccellaccio del malaugurio, tu intendi l’amore celeste e +quello terreno.335 L +’amore celeste sarebbe bellissimo, ma noi siamo esseri +umani e, proprio perché siamo umani, ho scommesso la testa di essere anche un +uomo autentico e completo». +C: «Tu sei un ideologo». +Io: «Stupido corvaccio, vattene via!». +Allora, vicinissimo al mio viso, ecco muoversi un ramo, attorno al quale si è +attorcigliato un serpente nero, che mi guarda con lo spento ri௺esso perlaceo +delle sue pupille. Ma non è il mio serpente? +Io: «Miracolosa bacchetta nera, sorella mia, da dove vieni? Pensavo che fossi +volata in cielo come un uccello, e adesso sei qui. Porti aiuto?». +Serpente: «Io sono solo una metà di me; non sono uno, ma due; sono l’Uno e +l’Altro. Sono qui solo in quanto elemento serpentino, magico. Ma qui la magia +non giova a nulla. Mi sono attorcigliato pigramente attorno a questo ramo per +aspettare quello che succederà. Puoi usarmi nella vita, ma non mentre sei +appeso. Mal che vada, sono disposto a portarti giù nell’Ade. Conosco la strada». +Nell’aria davanti a me s’addensa una nera ௹gura, Satana, con la sua risata +be௸arda. Mi grida: «Ma questo è il frutto del bilanciamento degli opposti. +Ritratta, e sarai subito da basso, sulla terra verdeggiante». + Io: «Io non ritratto, non sono un cretino. Se deve finire così, che finisca pure». +Serp: «E che è successo della tua incoerenza? Ricorda, per favore, +quest’importante regola dell’arte del vivere». +Io: «È già abbastanza incoerente il fatto che io me ne stia qui appeso. Ho +vissuto fino alla nausea in modo incoerente. Che vuoi di più?». +Serp: «Non ci vorrà l’incoerenza al posto giusto?». +Io: «Smettila! Come faccio a sapere qual è il posto giusto e quale quello +sbagliato?». +Satana: «Chi manovra gli opposti con tale sovranità sa bene dove stanno la +destra e la sinistra». +Io: «Taci, tu sei di parte. Se solo arrivasse il mio uccello bianco a portarmi +aiuto! Temo di starmi indebolendo». +Serp: «Non essere stupido, anche la debolezza è una via, la magia rimedia +all’errore». +Satana: «Cosa, non hai neppure il coraggio di essere debole? Vuoi essere un +uomo completo; ma gli uomini sono forti?». +Io: «Candido uccellino mio, non trovi la strada del ritorno? Sei fuggito per +sempre perché con me non si può vivere? Ah, Salomè! Eccola che viene. Vieni +qui, Salomè! È passata un’altra notte. Non ti ho sentita piangere, ma sono +rimasto appeso, e lo sono tuttora». +Sal: «Non ho più pianto perché in me la felicità e l’infelicità si bilanciano». +Io: «Il mio uccello bianco se n’è andato e non è ancora tornato. Io non so nulla +e non capisco nulla. Dipende dalla corona? Parla!». +Sal: «Cosa vuoi che ti dica? Interroga te stesso». +Io: «Non posso, il mio cervello è pesante come il piombo; posso solo +piagnucolare e chiedere aiuto. Non so se tutto stia crollando o se invece +qualcosa resti ancora in piedi. La mia speranza è riposta nel mio uccello bianco. +Ah, ma non è possibile che essere uccelli ed essere appesi abbiano lo stesso +significato?». +Satana: «Il bilanciamento degli opposti! Parità di diritti per tutti e per tutto! +Idiozie!». +Io: «Sento cinguettare un uccello. Sei tu? Sei tornato?». +Uccello: «Se ami la terra, stai appeso; se ami il cielo, ti libri in alto». +Io: «Che cos’è terra? Che cos’è cielo?». +U: «Terra è tutto quello che sta sotto di te, cielo tutto quello che è sopra di te. +Tu voli se aspiri a ciò che sta sopra di te. Sei appeso se tendi verso ciò che è +sotto di te». +Io: «Che cosa c’è sopra di me? E cosa c’è sotto?». +U: «Sopra di te c’è quello che ti supera, spingendosi oltre te; sotto di te c’è +quello che va indietro, al di sotto di te». +Io: «E la corona? Risolvimi l’enigma della corona». + U: «La corona e il serpente sono opposti e anche una cosa sola. Non hai visto +il serpente che incoronava il capo del Crocifisso?». +Io: «Ahimè, non ti capisco». +U: «Che messaggio ti ha portato la corona? “L +’amore non viene mai meno”... +È questo il segreto della corona e del serpente». +Io: «Ma Salomè? Che ne sarà di lei?». +U: «Lo vedi, Salomè è come sei tu. Tu alzati in volo, e a lei spunteranno le ali». +Le nubi si diradano e il cielo è arrossato dal tramonto del terzo giorno ormai +concluso.336 Il sole sprofonda nel mare, insieme a lui io scivolo dalla cima +dell’albero verso terra. Lieve e placida scende la notte. +[2] Mi è presa paura. Chi avete portato sul monte, voi Cabiri? E chi ho +sacri௹cato in voi? Voi mi avete fatto torreggiare, mi avete trasformato in una +torre eretta su rupi inaccessibili, avete fatto di me la mia chiesa, il mio +convento, il mio patibolo, la mia prigione. Dentro di me sono il prigioniero e il +giustiziato. Dentro di me sono il sacerdote e la comunità, il giudice e il giudicato, +sono Dio e insieme il sacrificio umano. +Ahimè, quale opera siete riusciti a compiere, o Cabiri! Dal caos avete +generato una legge crudele che non può più essere revocata. Ormai è compresa +e accettata. +Si sta avvicinando il compimento di ciò che si è attuato in segreto. Quello che +ho visto l’ho descritto in parole, come meglio potevo. Misere sono le parole e a +loro non è data bellezza; ma è forse bella la verità ed è vera la bellezza?337 +Dell’amore si può parlare con belle parole; ma della vita? La vita sta al di +sopra dell’amore. Ma l’amore è la madre insostituibile della vita. La vita non +dovrà mai essere costretta nell’amore; invece l’amore dovrà essere costretto a +entrare nella vita. L +’amore potrà anche essere soggetto a so௸erenza, non così +la vita. Finché l’amore è pregno di vita, dev’essere tenuto in gran conto; ma una +volta che abbia dato origine alla vita, diventa un guscio vuoto e preda della +caducità. +Io parlo contro la madre che mi portò in seno, e mi separo dal grembo che mi +ha generato.338 Non parlo più in nome dell’amore, ma della vita. +La parola mi è divenuta di௻cile, a malapena lotta per liberarsi dall’anima. Si +sono richiusi i portoni di ferro, spenti e ridotti in cenere i fuochi. Le fonti si sono +esaurite, e dove c’erano laghi compare ora la nuda terra. La mia torre si erge +nel deserto; beato colui che può essere un eremita nel proprio deserto. Lui +sopravvivrà.339 +Non sarà il potere della carne a essere infranto, ma quello dell’amore, in +nome della vita, perché la vita sta al di sopra dell’amore. Un essere umano ha + bisogno della madre ௹nché la sua vita non si sia sviluppata. Poi si separerà da +lei. E la vita ha bisogno dell’amore ௹nché non si sia sviluppata, poi se ne +separerà. Dura è la separazione del bambino dalla madre, ma ancora più duro è +separare la vita dall’amore. L +’amore cerca l’avere, ma la vita vorrebbe +spingersi oltre. +Il principio di tutte le cose è l’amore, ma l’essenza delle cose è la vita.340 +Questa distinzione è crudele. Perché, o spirito del profondo più tenebroso, mi +costringi a dire: chi ama non vive, e chi vive non ama? Ho sempre sostenuto il +contrario! Proprio tutto dovrà essere ribaltato nel suo opposto?341 Ci sarà un +mare dove si erge il tempio di ΦΙΛΗΜΩΝ? La sua isola ombrosa sprofonderà +nell’abisso più profondo? Nel gorgo delle acque del diluvio che si ritirano, che +prima avevano inghiottito tutti i paesi e i popoli? Ci sarà il fondo del mare dove +ora s’innalza l’Ararat?342 +Che parole disgustose vai mormorando, muto Figlio della Terra? Vuoi +sciogliere l’abbraccio della mia anima? Tu, ௹glio mio, ti metti in mezzo con la +forza? Chi sei mai? E chi ti dà questo potere? Ogni cosa a cui ho aspirato, ogni +cosa che ho strappato a me stesso, vuoi forse nuovamente rovesciarla e +annientarla? Tu sei il ௹glio del Diavolo, che prova inimicizia verso tutto ciò che è +sacrosanto. Tu cresci in modo travolgente. Mi infondi terrore. Lasciami godere +dell’abbraccio della mia anima, e non turbare la quiete del tempio. +Ahimè, tu mi pervadi col tuo potere paralizzante. Ma io non voglio la tua via. +Vuoi che cada impotente ai tuoi piedi? Parla, Diavolo e ௹glio del Diavolo! Il tuo +silenzio è insopportabile e terribilmente stupido. +Ho conquistato la mia anima; e lei chi mi ha generato? Proprio te, mostro, un +௹glio, ah ah... un crudele essere deforme, balbuziente, un cervello da tritone, un +sauro primordiale! Vuoi essere il re della terra? Vuoi avvincere gli uomini ௹eri e +liberi, stregare le belle donne, violare le fortezze, squarciare il ventre di antiche +cattedrali? Un essere muto, un ranocchio dagli occhi pigramente sgranati con la +sommità del povero cranio ricoperta dalle piante dello stagno! E tu vorresti dirti +௹glio mio? Non sei ௹glio mio, ma ௹glio del Diavolo. Il padre del Diavolo è entrato +nel grembo della mia anima e si è incarnato in te. +Ti riconosco, ΦΙΛΗΜΩΝ, tu che sei il più astuto di tutti gli impostori! Mi hai +ingannato. Da te la mia anima incontaminata ha partorito quel verme abietto. +ΦΙΛΗΜΩΝ, maledetto ciarlatano, hai simulato i misteri per me, hai steso +attorno a me il manto di stelle, hai recitato con me quella bu௸a commedia su +Cristo, mi hai appeso all’albero con ridicolo riguardo, allo stesso modo di Odino, +mi hai fatto ideare rune per liberare Salomè dall’incantesimo e nel frattempo hai +generato con la mia anima quel verme nato dalla polvere.343 Un inganno dopo +l’altro! Un incredibile miraggio diabolico. +Mi hai dato potere magico, mi hai incoronato, mi hai rivestito del luccichio del +potere, per farmi svolgere la parte di Giuseppe, padre putativo di tuo ௹glio. Nel + nido della colomba hai messo un uovo di basilisco. +Anima mia, adultera sgualdrina, sei rimasta incinta di questo bastardo! Sono +disonorato, io padre zimbello dell’Anticristo. Quanto ho di௻dato di te! E quanto +misera è stata la mia di௻denza che non ha saputo comprendere la portata di +questo fatto scandaloso! +Che cosa hai infranto? Hai spezzato l’amore e la vita. Da questa lacerazione e +crudele separazione sono usciti il ranocchio e il ௹glio dei ranocchi. Uno +spettacolo ridicolo e ripugnante. Inevitabilmente si avvicina! Sederanno sulle +rive di acqua dolce e ascolteranno il canto notturno dei ranocchi, perché il loro +Dio è nato come figlio dei ranocchi. +Dov’è Salomè? Dov’è l’insolubile questione dell’amore? Basta con le domande; +il mio sguardo si è volto oltre, alle cose dell’avvenire, e Salomè è dove sono io. +La femmina non segue te, ma ciò che in te è più forte. Così partorisce i tuoi ௹gli, +nel bene e nel male. +{7} [1] Mentre me ne stavo così solo sulla terra, avvolto da nubi che +minacciavano pioggia e dalla notte imminente, il mio serpente si avvicinò e mi +raccontò una storia:344 +«C’era una volta un re che non aveva ௹gli. Gli sarebbe però piaciuto avere un +maschietto. Si recò perciò da una saggia donna che viveva come una strega nel +bosco e le confessò tutti i suoi peccati, come se lei fosse un sacerdote ordinato +da Dio. Allora la donna disse: “Maestà, voi avete fatto quel che non avreste +dovuto. Ma ormai quel che è stato è stato, e vediamo come potete rimediare per +il futuro. Prendete una libbra di strutto di lontra, seppellitelo sotto terra e +lasciate passare nove mesi. Poi scavate di nuovo al solito posto e guardate che +cosa vi troverete”. Il re tornò a casa pieno di vergogna e di tristezza per essersi +umiliato davanti alla strega nel bosco. Tuttavia ascoltò il consiglio che lei gli +aveva dato: nella notte scavò una buca in giardino e vi seppellì un vaso con lo +strutto di lontra, che aveva penato a procurarsi. Lasciò poi passare nove mesi. +Allo scadere del termine, tornò di notte nel luogo dov’era sepolto il vaso e lo +disseppellì. Con suo massimo stupore, vi trovò dentro un bimbetto +addormentato, mentre lo strutto era scomparso. Trasse fuori il bimbo e con +immensa gioia lo portò a sua moglie. Lei lo accostò subito al seno e – oh +meraviglia – il latte cominciò a ௺uirle copioso. Il bambino prosperò e divenne +grande e forte. Divenne un uomo più grande e più forte di tutti gli altri. +Quando il ௹glio del re ebbe compiuto vent’anni, si presentò al padre e disse: +“So bene che mi hai generato per magia e che non sono nato come qualunque +altro uomo. Mi hai creato dal pentimento dei tuoi peccati e questo mi ha reso +forte. Non sono nato da donna e questo mi ha reso accorto. Sono forte e +intelligente e per questo pretendo da te la corona del regno”. Il vecchio re +rimase spaventato da quel che sapeva il ௹glio, ma ancora di più dal suo + veemente desiderio del potere regale. Rimase in silenzio e pensò: “Che cosa ti +ha generato? Strutto di lontra. Chi ti ha portato a compimento? Il grembo della +terra. Da un vaso ti ho tirato fuori, una strega mi ha umiliato”. E decise di farlo +uccidere in segreto. +Ma poiché suo ௹glio era più forte di tutti quanti, egli lo temeva e volle +ricorrere a uno stratagemma. Tornò dalla maga nel bosco per chiederle +consiglio. Lei disse: “Maestà, questa volta non mi confessate un peccato, perché +lo volete ancora commettere. Vi consiglio di seppellire nuovamente un vaso +pieno di strutto di lontra e di lasciarlo per nove mesi sotto terra. Poi scavate di +nuovo e guardate che cosa è successo”. Il re fece come la maga gli aveva detto. +E da quel momento suo ௹glio divenne sempre più debole, e quando, nove mesi +dopo, il re tornò sul luogo in cui era stato seppellito il vaso, poté scavare la +tomba al figlio. E depose il morto nella fossa, accanto al vaso vuoto. +Ma il re era rattristato e, allorché non riuscì più a dominare la sua mestizia, +tornò a recarsi nottetempo dalla maga, per chiederle consiglio. Lei gli disse: +“Maestà, voi desideravate un ௹glio, ma quando il ௹glio bramava di diventare re +a sua volta e ne aveva anche la forza e l’intelligenza, non l’avete più voluto. +Perciò avete perduto vostro ௹glio. Perché vi lamentate? Avete avuto, o re, tutto +quello che volevate”. Il re però disse: “Hai ragione. L +’ho voluto. Ma non volevo +questa malinconia. Non conosci un rimedio contro i rimorsi?”. La maga replicò: +“Maestà, andate alla tomba di vostro ௹glio, riempite di nuovo il vaso con lo +strutto di lontra, e dopo nove mesi guardate che cosa vi troverete”. Il re fece +come gli era stato comandato, e da quel momento si sentì felice, senza saperne il +perché. +Quando i nove mesi furono passati, tornò ancora una volta a dissotterrare il +vaso; il cadavere era scomparso, ma nel vaso c’era un bambino addormentato, e +in quel bimbetto lui riconobbe il ௹glio che gli era morto. Lo strinse a sé e da +quell’istante il bambino iniziò a crescere; in una settimana crebbe quanto gli +altri bambini crescono in un anno intero. Dopo che furono trascorse venti +settimane, il ௹glio si ripresentò al padre per chiedergli il regno. Il padre però, +ammaestrato dall’esperienza precedente, sapeva già da tempo come sarebbero +andate le cose. Prima che il ௹glio esprimesse il suo desiderio, il vecchio si alzò +dal trono, lo abbracciò con lacrime di gioia, per incoronarlo re lui stesso. Ma il +௹glio, una volta diventato re, si dimostrò grato al padre e, ௹nché al genitore fu +concesso di vivere, lo tenne in grande onore». +Dissi allora al mio serpente: «In verità, serpente mio, non sapevo che fossi +anche un contafiabe. Dimmi, però, come devo interpretare la tua fiaba». +Serp: «Immagina di essere tu il vecchio re e di avere un figlio». +Io: «Chi sarebbe il figlio?». +Serp: «Beh, mi era parso che tu avessi giusto parlato di un ௹glio che ti dà +poche soddisfazioni». + Io: «Come? Non penserai mica che... dovrei incoronarlo?». +Serp: «Sì, chi altri, se no?». +Io: «Questo è inquietante. Ma che cosa dire della strega?». +Serp: «La strega è una donna materna, di cui tu dovresti essere ௹glio, perché +sei una creatura che si rinnova in continuazione». +Io: «Oh no; sarà impossibile per me essere un uomo?». +Serp: «Di uomo ne hai quanto basta, e oltre a questo hai molti tratti infantili. +Perciò hai bisogno di una madre». +Io: «Mi vergogno di essere un bambino». +Serp: «In questo modo uccidi il ௹glio. Uno che crea ha bisogno della madre, +perché non sei una donna». +Io: «Questa verità è terribile. Pensavo e speravo di poter essere un uomo, +fuor di ogni dubbio». +Serp: «Non puoi esserlo per amore del figlio. Creare significa: madre e figlio». +Io: «Il pensiero di dover restare bambino è insopportabile». +Serp: «Per amore di tuo ௹glio devi essere un po’ bambino e lasciargli la +corona». +Io: «Il pensiero di dover restare bambino è umiliante e distruttivo». +Serp: «Un antidoto salutare contro il potere!345 Non opporre resistenza alla +condizione di bambino, altrimenti ti opponi a tuo figlio,346 che desideri sopra ogni +cosa». +Io: «È vero. Desidero il ௹glio e voglio sopravvivere. Ma alto è il prezzo da +pagare». +Serp: «Il ௹glio sta ancora più in alto. Tu sei più piccolo e più debole del ௹glio. +Questa è un’amara verità, ma non te la posso risparmiare. Non essere testardo, +i bambini devono fare i bravi». +Io: «Dannato sarcasmo». +Serp: «Uomo dello scherno! Avrò pazienza con te. I miei pozzi devono +scrosciare per te e donarti la bevanda di salvezza, quando tutte le terre saranno +asciutte e tutti verranno da te a implorare l’acqua. Sottomettiti dunque al +figlio». +Io: «Dove posso attingere all’incommensurabile? Le mie conoscenze e le mie +possibilità sono scarse, la mia forza non basta». +Allora il serpente si arrotolò e si annodò su se stesso: «Non chiedere mai del +domani, ti sia su௻ciente l’oggi. Non preoccuparti dei mezzi. Lascia che tutto +cresca, che tutto germogli; il figlio cresce per conto suo». +[2] Inizia il mito, quello che è solo da vivere, non da cantare, quello che si +canta da solo. Mi sottometto al ௹glio, quello generato magicamente, quello nato +in modo irreale, il ௹glio dei ranocchi, che sta sulla riva delle acque e parla con i +suoi padri e ne ascolta il canto notturno. È davvero misterioso e supera in forza + tutti gli uomini. Nessun uomo l’ha generato, né donna l’ha partorito. +L +’assurdo è penetrato nella madre primigenia, e nel terreno più profondo è +cresciuto il ௹glio. Egli germogliò e fu ucciso. Risorse per magia e crebbe più in +fretta di prima. Io gli ho dato la corona che unisce ciò che è separato. E così egli +unisce per me ciò che è separato. Io gli ho dato il potere e ora comanda lui, +perché quanto a forza e intelligenza batte tutti. +Non gli ho ceduto spontaneamente, ma a ragion veduta. Nessun uomo collega +insieme il Sotto con il Sopra. Invece fu capace di unirli solo colui che non era +stato generato come un uomo e tuttavia ha le sembianze di uomo. Il mio potere +è paralizzato, ma io continuo a vivere in mio ௹glio. Abbandono ogni +preoccupazione, possa egli dominare le genti. Io sono solitario, le genti hanno +esultato per lui. Io ero potente, ora sono privo di potere. Ero forte, ora sono +debole. Egli si è preso infatti ogni forza. Per me ogni cosa si è rovesciata nel suo +contrario. +Amavo la bellezza dei belli, lo spirito degli spiritosi, la forza dei forti; irridevo +la stupidità degli stupidi, disprezzavo la debolezza dei deboli, l’avarizia degli +avari e odiavo la cattiveria dei cattivi. Adesso, invece, devo amare la bellezza +dei brutti, lo spirito degli stolti e la forza dei deboli. Devo ammirare la stupidità +degli assennati, rispettare la debolezza dei forti e l’avarizia dei generosi, +onorare la bontà dei cattivi. Dove sono finiti lo scherno, il disprezzo e l’odio? +Sono passati al ௹glio, come segni del potere. Il suo scherno è sanguinario, che +lampi di disprezzo nel suo occhio! Il suo odio è fuoco divampante. Invidiabile sei +tu, ௹glio degli dèi; chi mai potrebbe non obbedirti? Egli mi ha spezzato, mi ha +tagliato a pezzi. Tiene unito ciò che era separato. Senza di lui mi dissolverei, ma +la mia vita procede insieme a lui. Il mio amore è rimasto con me. +{8} Così mi avviai verso la solitudine con lo sguardo cupo, colmo di astio e di +indignazione contro il potere del ௹glio. Come poteva mio ௹glio arrogarsi il mio +potere? Andai nei miei giardini e mi sedetti in un posto solitario sulle pietre +vicine all’acqua a covare sinistri pensieri. Chiamai il serpente, compagno delle +mie notti, che in tanti crepuscoli mi era rimasto accanto sulle rocce a parlarmi +con saggezza serpentina. Ma ecco sbucare fuori dall’acqua mio ௹glio, grande e +possente, la corona in capo, la criniera leonina al vento, il corpo ricoperto da +una pelle di serpente dai ri௺essi cangianti, e [1] mi disse:347 «Vengo da te a +reclamare la tua vita». +Io: «Che significa? Sei addirittura diventato un Dio?». +Lui: «Risalgo in alto, mi ero fatto carne, adesso ritorno all’eterno fulgore e +splendore, all’eterna vampa del sole e ti lascio alla tua esistenza terrena. Tu +rimani con gli uomini. Sei stato già abbastanza in compagnia degli immortali. La +tua opera appartiene alla terra». +Io: «Che linguaggio! Non ti sei forse rivoltolato nelle cose più terrene e +sotterranee?». + Lui: «Ero diventato uomo e animale e ora torno a risalire alla mia terra». +Io: «Dov’è la tua terra?». +Lui: «Nella luce, nell’uovo, nel sole, nel più intimo contatto reciproco, +nell’eterna vampa del desiderio. Così si leva il sole nel tuo cuore e manda i suoi +raggi nel freddo mondo». +Io: «Come ti trasfiguri!». +Lui: «Voglio sottrarmi al tuo sguardo. Devi vivere in buia solitudine; lumi +umani, non lumi divini dovranno rischiarare la tua oscurità». +Io: «Che durezza e alterigia! Vorrei lavarti i piedi con le mie lacrime e +asciugarli con i miei capelli...348 Sto delirando, sono una donna?». +Lui: «Anche una donna, anche una madre, che è gravida. Ti toccherà +partorire». +Io: «O Spirito santo, lasciami una scintilla della tua luce eterna!». +Lui: «Tu porti in seno il bambino». +Io: «Sento il tormento, la paura e il senso di abbandono della partoriente. Te +ne vai da me, Dio mio?». +Lui: «Tu hai il bambino». +Io: «Anima mia, sei ancora tu? Tu serpente, tu ranocchio, tu fanciullo generato +per magia, che le mie mani hanno seppellito, tu creatura derisa, disprezzata, +odiata che mi è apparsa in una forma assurda? Guai a coloro che guardano la +propria anima e la toccano con mano. Io sono impotente nelle tue mani, o mio +Dio!». +Lui: «Le gravide vanno lasciate al loro destino. Lasciami andare: io ascendo +verso gli spazi eterni». +Io: «Non sentirò più la tua voce? O maledetto inganno! Perché chiedo? +Domani mi parlerai ancora, tornerai a chiacchierare nel tuo specchio d’acqua». +Lui: «Non fare discorsi blasfemi. Sarò presente e non sarò presente. Mi +sentirai e non mi sentirai. Ci sarò e non ci sarò». +Io: «Tu parli per crudeli enigmi». +Lui: «Questo è il mio linguaggio e lascio a te il compito di comprenderlo. +Nessuno ha il tuo Dio, se non tu stesso. È sempre con te e tu lo scorgi nell’Altro +e così non è mai da te. Vuoi attirare a te gli uomini che ti sembrano avere il tuo +stesso Dio. Vedrai che loro non ce l’hanno, che solo tu ce l’hai. Così sei solo in +mezzo agli uomini, sei nella folla, eppure solo. Solo in mezzo a molti... Ri௺etti su +questo». +Io: «Ora suppongo che dovrei rimanere in silenzio, ma non ci riesco; il mio +cuore sanguina, se vedo che ti stai allontanando da me». +Lui: «Lasciami andare. Ritornerò sotto nuove sembianze. Vedi come il sole +sprofonda tra le montagne in un rosso tramonto? L +’opera di questo giorno è +compiuta e un nuovo sole sorgerà. Perché rimpiangi il sole di oggi?». +Io: «Calerà la notte?». + Lui: «Non è forse la madre del giorno?». +Io: «Potrei disperarmi a causa di questa notte». +Lui: «Perché ti lamenti? È il destino. Lasciami andare, mi crescono le ali e +prepotente in me si fa strada la nostalgia della luce eterna. Non puoi più +trattenermi. Frena le tue lacrime e lasciami salire nel giubilo. Tu sei un uomo +che coltiva i campi, pensa alle tue semine. Mi sento leggero come l’uccello che si +libra in cielo al mattino. Non trattenermi, non ti lamentare, già io ௺uttuo in alto, +da me prorompe il grido della vita, non posso trattenere oltre il mio supremo +piacere. Devo salire... È accaduto, l’ultimo laccio è strappato, le ali mi portano +in alto. Mi tu௸o nel mare di luce. O uomo che stai in basso, lontano, in +penombra... stai svanendo alla mia vista». +Io: «Dove sei andato? È accaduto qualcosa. Sono paralizzato. Non è +scomparso il Dio?». +[2] Dov’è il Dio? +Che cosa è accaduto? +Che vuoto, che vuoto abissale! Devo annunciare questo agli uomini, come tu +sei scomparso? Devo predicare il vangelo della solitudine abbandonata da Dio? +Dovremo tutti andare nel deserto e cospargerci il capo di cenere perché il Dio +ci ha lasciato? +Io credo e riconosco che il Dio349 è qualcosa di diverso da me. +Egli si è slanciato verso l’alto esultando di gioia. +Io resto nella notte dei dolori. +Non più insieme a Dio,350 ma solo con me stesso. +Ora chiudetevi, porte di ferro, che avevo aperto per covare la marea di +devastazioni e di assassinii riversatasi sui popoli, che avevo aperto per aiutare il +Dio a nascere. +Chiudetevi, montagne vi seppelliranno e mari vi ricopriranno.351 +Sono giunto al mio Sé,352 a un dubbio e miserabile personaggio. Il mio Io! Non +volevo questo tizio per compagno. Mi sono trovato insieme a lui. Meglio +piuttosto una compagna cattiva oppure un cane maleducato, ma il proprio Io… +Mi vengono i brividi! +È necessaria353 un’opera su cui si possano e si debbano, se occorre, spendere +decenni. Devo recuperare una fetta di Medioevo… in me stesso. Abbiamo +terminato solo il Medioevo degli… altri. Devo incominciare presto, nel periodo +in cui sono scomparsi gli eremiti.354 Ascesi, inquisizione, tortura sono a portata +di mano e s’impongono. Il barbaro necessita di barbari metodi di educazione. +Mio caro Io, tu sei un barbaro. Voglio vivere con te, perciò ti trascinerò +attraverso tutto l’inferno medievale, ௹nché tu non sia in grado di rendere + sopportabile il vivere insieme a te. Dovrai essere vaso e grembo della vita, +perciò ti purificherò. +Pietra di paragone è l’essere soli con se stessi. +Questa è la via.355 + +Prove + + + + + +{1} Sono riluttante, non riesco ad accettare questo nulla vuoto che sono. Che +cosa sono io? Che cos’è il mio Io? Ho sempre dato per scontato il mio Io. Adesso +è lui a stare davanti a me... e io sto davanti a lui. Adesso ti parlo, o mio Io:1 +Noi +siamo +soli, +e +il +nostro +stare +insieme +rischia +di +diventare +insopportabilmente noioso. Dobbiamo far qualcosa, escogitare un passatempo; +per esempio, potrei istruirti. Iniziamo dal tuo difetto principale, quello più +evidente: non hai la giusta stima di te stesso. Non hai buone qualità di cui +andare ௹ero? Tu ritieni che l’essere capaci sia un’arte. Però le arti, in una certa +misura, si possono anche imparare. Provaci, te ne prego. Lo trovi di௻cile... ma +tutti gli inizi sono di௻cili!2 Presto ci riuscirai meglio. Ne dubiti? Questo non ti +serve a nulla; devi farcela, altrimenti non posso vivere con te. Da quando il Dio è +sorto e si dispiega in non so quali cieli infuocati, per far non so bene che cosa, +noi abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Per questo devi pensare come migliorare, +altrimenti la nostra convivenza sarà una vita da cani. Perciò tirati su e abbi +stima di te! Non vuoi farlo? +Essere miserevole! Ti tormenterò un po’, se non ti darai da fare. Di che ti +lamenti? Ci vuole forse la frusta? +Così magari si colpisce la propria carne? Su, ancora una frustata... e poi +un’altra ancora. Che gusto ha? Di sangue, magari? Di un po’ di Medioevo ad +majorem Dei gloriam?3 +Oppure vuoi l’amore, o quello che va sotto tale nome? Si può anche educare +con l’amore, se le percosse non danno frutto. Allora vuoi che io ti ami? Vuoi che +ti stringa teneramente a me? +A dir la verità, mi pare che tu stia facendo uno sbadiglio. +Come? Tu vuoi parlare? Ma io non te lo permetto, altrimenti ௹nisci per +credere che sei la mia anima. La mia anima però – è bene che tu lo sappia – è +con quel verme di fuoco, il ௹glio di rana ch’è volato nei cieli superiori, verso le +sorgenti supreme. So forse che cosa stia facendo lassù? Tu comunque non sei la +mia anima, ma il mio nudo e vuoto Io-nulla, quell’essere sgradevole al quale non +si può nemmeno negare il diritto di considerarsi una nullità. +Si potrebbe disperare di te: la tua suscettibilità e la tua avidità superano ogni +ragionevole misura. E io dovrei vivere proprio con te? Eppure devo farlo, da +quando è capitata la strana disgrazia che mi ha dapprima fatto avere un ௹glio e +poi me l’ha portato via. +Mi rincresce doverti dire simili verità. Sì, tu sei ridicolmente suscettibile, +prepotente, ribelle, di௻dente, pessimista, codardo, disonesto con te stesso, +astioso, vendicativo; non si può quasi parlare, senza sentirsi nauseati, della tua + infantile superbia, della tua brama di potere, del tuo desiderio di stima, della tua +ridicola ambizione, della tua sete di fama. E poi non ti si addice quel tuo recitare +e darti delle arie, cosa di cui abusi appena puoi. +Credi che sia non disgustoso, anzi piacevole vivere con te? No, tre volte no! Io +però ti prometto che ti stringerò nella morsa e ti scuoierò a poco a poco. Ti +offrirò la possibilità di cambiar pelle. +Tu, proprio tu, volevi trovare da ridire sugli altri? +Vieni qua, voglio cucirti addosso una pezza di nuova pelle, a௻nché tu possa +sentire l’effetto che fa. +Tu vuoi lamentarti degli altri, vai dicendo di aver subito ingiustizie, di non +esser stato compreso, di esser stato frainteso, o௸eso, trascurato, misconosciuto, +accusato ingiustamente, e così via. Riconosci in questo la tua vanità, la tua +vanità perennemente ridicola? +Ti lamenti che i tormenti non sono ancora terminati? +Lascia che te lo dica: sono appena cominciati. Tu non hai né pazienza né +serietà. Solo quando si tratta del tuo piacere, tu elogi la tua pazienza. Per +questo raddoppierò i tuoi tormenti, affinché impari la pazienza. +Tu trovi insopportabile il dolore, ma ci sono cose che fanno ancora più male, e +puoi in௺iggerle agli altri con la massima ingenuità, adducendo come scusa di +essere ignaro. +Ma tu imparerai il silenzio. A tale scopo ti strapperò la lingua con cui hai +deriso, sparlato e – peggio ancora – fatto dello spirito. Attaccherò con spilli al +tuo corpo, a una a una, tutte le tue parole ingiuste e blasfeme, a௻nché tu possa +sentire come trafiggono le parole malvagie. +Ammetti di provare anche piacere in questi tormenti? Io voglio accrescere +tale piacere ௹nché non ti venga la nausea per tanto godimento, a௻nché tu +sappia che cosa significa provare piacere nel tormentare se stessi. +Ti ribelli contro di me? Allora io non farò altro che stringere ancor più la +morsa. Ti romperò le ossa, ௹n quando in esse non rimarrà più alcuna traccia di +durezza. +Voglio trovare un modo di intendermi con te... devo farlo... che il Diavolo ti +porti... tu sei il mio Io, con il quale dovrò trascinarmi ௹no alla tomba. Credi che +io voglia avere attorno a me per tutta la vita una simile banalità? Se tu non fossi +il mio Io, ti avrei già fatto a pezzi da parecchio tempo. +E invece sono condannato a trascinarti attraverso un purgatorio per farti +diventare in qualche modo accettabile. +Tu invochi Dio in tuo soccorso? +Il caro vecchio Dio è morto,4 ed è bene che sia così, altrimenti avrebbe +misericordia della tua peccaminosità contrita e mi guasterebbe l’esecuzione +concedendoti la grazia. Tu devi sapere che non è ancora sorto né un Dio +d’amore né un Dio amorevole, ma che invece è sgusciato fuori un verme di + fuoco, un’entità magni௹camente spaventosa che fa piovere fuoco sulla terra, +provocando grida di dolore.5 Perciò leva pure le tue grida a Dio, lui ti brucerà +con il fuoco per perdonarti i tuoi peccati. Contorciti pure e suda sangue. Già da +molto tempo avevi bisogno di una cura simile. Sì... gli altri sono ingiusti... e tu? +Tu sei l’innocente, il giusto, tu devi difendere il tuo buon diritto e hai dalla tua +parte +un +buon +Dio +amorevole +che +perdona +sempre +i +peccati +misericordiosamente. Sono gli altri a dover mettere giudizio, non tu, poiché tu +ne hai da sempre il monopolio, e sei sempre convinto di aver ragione. Perciò +leva pure con forza le tue grida al tuo buon Dio amorevole... Lui ti esaudirà e +farà piovere il fuoco su di te. Non ti sei ancora accorto che il tuo Dio è diventato +un verme di fuoco col cranio piatto che striscia incandescente sulla terra? +Tu volevi essere superiore! Fai ridere! Eri inferiore, sei inferiore. Che +cos’altro sei? Sei feccia che mi disgusta. +Sei per caso mezzo svenuto? Io ti metto in un angolo dove puoi restare ௹nché +non riprendi i sensi. Se non provi più nulla, il metodo non serve. Dobbiamo pur +procedere a regola d’arte. Su di te la dice lunga il fatto che per correggerti +occorrano strumenti così barbari; la tua evoluzione a partire dagli inizi del +Medioevo appare infinitamente modesta. +Oggi6 ti sei sentito depresso, perdente, inferiore? Vuoi che te ne dica il +motivo? +La tua ambizione è scon௹nata. Le tue motivazioni non sono dettate dall’amore +per la causa, ma dal voler accrescere il tuo onore. Tu non lavori per l’umanità, +ma per il tuo interesse personale. Non aspiri a perfezionare l’opera, ma a +ottenere il riconoscimento generale e a tutelare il tuo vantaggio personale. Io +voglio onorarti con una corona di ferro irta di spine e munita al suo interno di +denti che ti perforeranno le carni. +E ora veniamo al grave imbroglio che persegui con la tua intelligenza. Tu parli +con perizia e abusi della tua capacità, e sbiadisci, attenui, rinforzi, distribuisci +luci e ombre e sbandieri ad alta voce la tua onestà e la tua brava buona fede. +Sfrutti la buona fede degli altri, con malignità li irretisci nei tuoi tranelli e per di +più parli della tua benevola superiorità e della fortuna che tu rappresenti per gli +altri. Simuli modestia e non menzioni i tuoi meriti, nella sicura speranza che +qualcun altro lo faccia per te, e sei deluso e offeso se questo non accade. +Predichi ipocritamente la pacatezza. Ma al momento richiesto sei davvero +pacato? No, perché sei un bugiardo. Ti consumi nella rabbia, e con la tua lingua +assesti gelide pugnalate, e sogni la vendetta. +Sei per௹do e invidioso. Invidi agli altri la luce del sole, poiché vorresti +concederla ai tuoi favoriti, perché loro favoriscono te. Sei invidioso di ogni +benessere intorno a te, e asserisci sfacciatamente il contrario. +Nel tuo intimo pensi spietatamente e volgarmente solo e sempre a ciò che +conviene a te, senza sentirti minimamente responsabile nei confronti + dell’umanità. Invece sei responsabile verso di essa in tutto ciò che pensi, provi e +fai. Non ௹ngere con me di௸erenze tra il pensare e il fare. Tu fai assegnamento +soltanto sull’immeritato vantaggio di non essere costretto a dire o a fare quello +che pensi o provi. +Se però nessuno ti vede, sei spudorato in tutto. Se fosse un altro a dirti questo, +ti o௸enderesti a morte, pur sapendo che è vero. Tu vuoi rimproverare gli altri +per i loro difetti? In modo che essi migliorino? Confessalo: hai forse migliorato +te stesso? Chi ti dà il diritto di avere opinioni sugli altri? Quale è la tua opinione +su te stesso? E quali sono i buoni motivi che la sostengono? I tuoi motivi sono +ragnatele di bugie che ricoprono un angolo sudicio. Tu giudichi gli altri e li +rimproveri per quello che dovrebbero fare. Lo fai perché non hai ordine in te +stesso e sei invece immondo. +E poi... come pensi veramente? Ho l’impressione che tu addirittura pensi +servendoti degli uomini senza tener conto della loro dignità umana; osi forse +pensare per mezzo di loro utilizzandoli quali pedine sulla tua scacchiera, come +se essi fossero identici a quello che tu pensi di loro? Ti è mai venuto in mente +che in questo modo commetti un ignobile atto di violenza, altrettanto riprovevole +di quello per cui condanni gli altri, ossia che essi dicono di amare i loro simili, +mentre in realtà li sfruttano per i loro scopi? Il tuo peccato prospera +nascostamente, ma non è meno grande, imperdonabile e volgare. +Svergognato! Voglio trarre fuori alla luce ciò che in te è nascosto. Voglio +schiacciare sotto i miei piedi la tua superiorità. +Non mi parlare del tuo amore. Quel che tu chiami amore gronda egoismo e +avidità. Ma tu ne parli con paroloni, con parole tanto più grandi quanto più +misero è il tuo cosiddetto amore. Non parlarmi mai del tuo amore, ma tieni ben +chiusa la bocca. Essa mente. +Voglio che tu parli della tua vergogna e che, invece di riempirti la bocca di +parole altisonanti, levi grida sgraziate di fronte a coloro da cui intendevi +ottenere considerazione. Tu meriti scherno, non stima. +Voglio distruggere col fuoco quello che tu contieni e di cui andavi orgoglioso, +cosicché tu divenga vuoto come un recipiente svuotato. Non dovrai più esser +orgoglioso se non della tua vacuità e del tuo squallore. Dovresti essere un +recipiente di vita; perciò abbatti i tuoi idoli! +A te appartiene non la libertà, ma la forma; non la potenza, ma la so௸erenza e +il concepimento. +Devi fare del disprezzo di te stesso una virtù, che io voglio distendere dinanzi +agli uomini come un tappeto. Essi dovranno camminarci sopra coi loro piedi +sporchi, e tu dovrai vedere che sei più sporco di tutti i piedi che ti hanno +calpestato. +Se ti domo,7 o bestia, do agli altri l’opportunità di domare anche le loro bestie. +La domatura comincia da te, dal mio Io, da null’altro. Non perché tu, stupido + fratello Io, sia stato particolarmente sfrenato. Ci sono altri ancora più sfrenati di +te. Ma io devo frustare te ௹nché tu non sopporti la sfrenatezza degli altri. Allora +io potrò vivere con te. Se qualcuno ti fa un torto, io ti tormenterò a sangue, +௹nché tu non abbia perdonato il torto che hai patito; però, non solo a parole, ma +anche nel tuo cuore maligno, con la sua sensibilità scellerata. La tua sensibilità +è la tua forma di violenza particolare. +Perciò ascolta, tu che mi sei fratello nella solitudine: se mai dovesse venirti in +mente di essere sensibile, io ho in serbo per te ogni sorta di tortura. Tu devi +sentirti inferiore. Devi saper sopportare che la tua purezza venga chiamata +sporcizia e che la tua sporcizia venga desiderata, che il tuo sperpero venga +lodato come avarizia, e la tua avidità come una virtù. +Riempi il tuo bicchiere con l’amara bevanda dei perdenti, perché tu non sei la +tua anima. La tua anima è col Dio di fuoco che si levò come ௹amma sino al tetto +del cielo. +Possibile che tu sia ancora sensibile? Noto che stai preparando piani segreti di +vendetta, escogitando ingannevoli astuzie. Ma tu sei un allocco, non puoi +vendicarti del destino. Sei puerile! Forse vuoi sferzare il mare. Costruisci +piuttosto ponti migliori; puoi sprecare il tuo ingegno in questo compito. +Vorresti essere compreso? Ci mancava anche questa! Comprendi te stesso, +allora sarai compreso a su௻cienza. Così avrai abbastanza da fare. I cocchi di +mamma vogliono essere compresi. Comprendi te stesso, è il miglior modo di +tutelarsi contro la suscettibilità, e questo appaga il tuo puerile desiderio di +essere compreso. E ancora vorresti rendere gli altri magari schiavi della tua +avidità. Ma tu sai che io devo vivere con te e che non tollererò mai più in te +simili miserie.8 +{2} Dopo aver rivolto al mio Io queste e molte altre irate parole, notai che +cominciavo a sopportare di star da solo con me stesso. Tuttavia, ancora +abbastanza spesso si ridestava in me la suscettibilità, e altrettanto sovente +dovevo sferzarmi per questo. E lo feci ௹nché non venne meno anche il piacere di +tormentare me stesso.9 +Allora udii nella notte10 una voce che veniva da lungi, la voce della mia anima. +Essa diceva: «Come sei lontano!». +Io: «Sei tu, anima mia? Da quali altezze e distanze stai parlando?». +A: «Io sono sopra di te. La mia lontananza è una lontananza dal mondo reale. +Ho raggiunto la somiglianza col sole. Ho concepito il seme del fuoco. Tu dove +sei? Non riesco quasi a trovarti, nelle tue nebbie». +Io: «Io sono giù in basso, nell’oscura terra, nell’oscuro fumo lasciatoci dal +fuoco, e il mio sguardo non arriva sino a te. Ma la tua voce mi risuona più +vicina». +A: «Lo avverto. La pesantezza della terra mi penetra, mi avvolge l’umida + frescura, mi assale il tetro ricordo delle sofferenze precedenti». +Io: «Non lasciarti trascinare giù nel fumo e nell’oscurità della terra. Vorrei +che qualcosa a cui ancora attingo mantenesse una somiglianza col sole. +Altrimenti perdo il coraggio di calarmi ancor più in una vita immersa +nell’oscurità della terra. Lascia soltanto che io oda la tua voce. Non voglio mai +più vedere la tua incarnazione. Riservami una parola! Traila dal profondo, da +dove forse mi affluisce l’angoscia». +A: «Non posso, perché da lì affluisce la tua fonte creativa». +Io: «Tu vedi la mia incertezza». +A: «La via incerta è quella buona. In essa stanno le possibilità. Sii saldo e +creativo». +Sentii il fruscio delle ali. Mi resi conto che l’uccello s’innalzava, oltre le nubi, +nello splendore di fuoco della divinità dispiegata. +Mi volsi11 al mio fratello, l’Io; se ne stava triste e guardava verso terra +sospirando; e avrebbe probabilmente preferito morire, perché era oppresso dal +peso di un inaudito dolore. Ma da me si levò una voce che pronunciò queste +parole: +«È dura... Le vittime cadono a destra e a sinistra... E tu sei croci௹sso per +amore della vita». +Io dissi al mio Io: «Fratello mio, come ti pare questo discorso?». +Lui però sospirò profondamente e gemendo disse: «È un discorso amaro, e io +provo una grande sofferenza». +Al che risposi: «Lo so, ma non si può più cambiare». Non sapevo però che +cosa, perché ancora ignoravo che cosa il futuro nascondesse. (Questo accadde il +21 maggio dell’anno 1914). Con enorme tristezza guardai su verso le nubi, e +chiamai la mia anima. E udii la sua voce, gioiosa e nitida, ed essa rispose: +«Provo una gran gioia. Mi sto innalzando, le mie ali crescono». +Quelle parole mi amareggiarono, ed esclamai: «Tu vivi del sangue del cuore +umano!». +La sentii ridere... o forse non rideva a௸atto? «Nessuna bevanda mi è più cara +del sangue rosso». +Fui allora pervaso da un’ira impotente e gridai: «Se tu non fossi la mia anima +che ha seguito il Dio negli spazi eterni, ti de௹nirei il più tremendo ௺agello +dell’uomo. Ma chi ti raggiunge? Lo so, ciò che è divino non è umano. Il divino +consuma l’umano. Lo so, è il rigore, è la crudeltà; chi ti ha toccato con le sue +mani non potrà più cancellare il sangue da esse. Io sono dedito a te». +Essa rispose: «Non essere in collera, non lamentarti. Lascia che le vittime +insanguinate cadano al tuo ௹anco. Non è tua la durezza, non è tua la crudeltà, +ma è necessità. La via della vita è disseminata di caduti». +Io: «Sì, vedo, è un campo di battaglia. Fratello mio, che ti sta succedendo? Tu +gemi?». + Allora il mio Io rispose: «Perché non dovrei gemere e lamentarmi? Io mi faccio +carico dei morti e non posso trascinarli tutti quanti». +Io però non compresi il mio Io, e perciò gli dissi: «Tu sei un pagano, amico +mio! Non sai che è scritto: “Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”?12 +Perché vuoi farti carico di persone morte? Trascinandotele dietro non le +favorisci». +Allora il mio Io così si lamentò: «Ma io commisero questi poveri caduti; non +arrivano più alla luce. Magari... E se me li trascinassi dietro?». +Io: «Che cosa vai pensando? Le loro anime hanno raggiunto tutto quello che +potevano. Poi il destino le ha colpite. Capiterà la stessa cosa anche a noi. La tua +compassione è morbosa». +Ma la mia anima esclamò di lontano: «Lascia che lui provi compassione. La +compassione tiene unite la morte e la vita». +Queste parole della mia anima mi irritarono. Parlava di compassione proprio +lei che senza compassione saliva al seguito del Dio! Allora le chiesi: +«Perché hai fatto questo?».13 +La mia umana sensibilità, infatti, non comprendeva la crudeltà di quell’ora. +Essa rispose: +«Non è mio destino essere nel vostro mondo. Io mi imbratto nello sterco della +vostra terra». +Io: «Non sono io terra? Non sono io sterco? Ho commesso un errore che ti ha +costretto a seguire il Dio negli spazi superiori?». +A: «No, fu intima necessità. Io appartengo all’Alto». +Io: «Nessuno ha subito una perdita irreparabile con la tua scomparsa?». +A: «Al contrario: tu trai da ciò il massimo beneficio». +Io: «Se interrogo il mio sentimento umano, potrei avere dei dubbi». +A: «Che cosa hai notato? Perché dev’essere sempre non vero quello che tu +vedi? Il tuo particolare torto è che non puoi fare a meno di renderti ridicolo. +Non puoi rimanere, una volta tanto, sulla tua via?». +Io: «Tu lo sai, io dubito a causa del mio amore per gli uomini». +A: «No, a causa della tua debolezza, dei tuoi dubbi e della tua incredulità. +Mantieniti sulla tua via e non scappare da te stesso. Ci sono un’intenzione divina +e un’intenzione umana. Esse si contrastano nella gente sciocca ed empia di cui +di tanto in tanto fai parte anche tu». +Non potendo comprendere a che cosa si riferissero le parole della mia anima +e di che cosa so௸risse il mio Io (poiché questo successe due settimane prima +dell’inizio della guerra),14 ௹nii per intendere tutto quanto come un’esperienza +personale, e perciò non potei né comprendere né credere ogni cosa. Giacché la +mia fede è debole. E io credo che nel nostro tempo sia meglio che la nostra fede +sia debole. Ormai siamo cresciuti e abbiamo superato quell’infanzia in cui la +semplice fede era il mezzo più idoneo per far volgere gli uomini a ciò che è bene + e ragionevole. Per cui, se oggi volessimo avere nuovamente una fede forte, +torneremmo in quella prima infanzia. Ma noi sappiamo talmente tanto e +abbiamo una tale sete di conoscenza che ci occorre più la conoscenza che la +fede. E la forza della fede ci impedirebbe di raggiungere la conoscenza. Per +quanto la fede possa essere qualcosa di forte, è comunque vuota, e solo una +parte troppo piccola dell’intero essere umano può essere coinvolta se la nostra +vita con Dio si basa unicamente sulla fede. E poi: è lecito che noi crediamo +semplicemente? Questo mi sembra troppo banale. Le persone dotate di +intelligenza non possono limitarsi a credere, ma devono lottare per ottenere +quanta più conoscenza possibile. La fede non è tutto, così come non lo è neppure +la conoscenza. La fede non ci dà la sicurezza e la ricchezza del conoscere. E a +volte il desiderio di conoscere ci porta via troppa fede. Ambedue le cose devono +trovare insieme l’equilibrio. +È però anche pericoloso credere eccessivamente, poiché al giorno d’oggi +ognuno deve cercare la propria via e va incontro a un aldilà pieno di cose grandi +e singolari. Si potrebbe facilmente prendere ogni cosa alla lettera con troppa +fede, e in tal caso non si sarebbe altro che pazzi. La puerilità della fede fallisce +di fronte alle nostre necessità odierne. A noi occorre una conoscenza capace di +di௸erenziare, per far luce nella confusione introdotta dalla scoperta dell’anima. +È perciò forse meglio attendere di avere una migliore conoscenza prima di +accettare le cose con fede eccessiva.15 +Partendo da simili considerazioni dissi alla mia anima: +«Bisogna accettare tutto questo? Tu sai in che senso te lo chiedo. Fare una +simile domanda non è da sciocchi o da miscredenti, ma è un dubbio di genere più +elevato». +Al che essa ribatté: «Ti capisco... ma bisogna accettarlo». +A mia volta dissi: «Mi spaventa la solitudine di quest’accettazione. Ho orrore +della follia di cui è vittima il solitario». +Ed essa: «Come sai, già da parecchio tempo ti ho predetto la solitudine. Non +hai da temere la follia. Devi tener conto di ciò che ti predìco». +Queste parole mi riempirono di inquietudine, poiché sentii che quasi non +potevo accettare ciò che la mia anima prediceva, perché non lo capivo. Infatti +volevo capire sempre in relazione a me stesso. Perciò dissi all’anima: +«Quale timore non compreso mi tormenta?». +«È la tua incredulità, il tuo dubbio. Tu non vuoi credere che si richiederà una +gran quantità di vittime. Ma si spargerà sangue. La grandezza richiede +grandezza. Tu continui a essere troppo banale. Non ti ho forse parlato del +bisogno di solitudine? Vuoi cavartela meglio degli altri uomini?». +«No», replicai, «no, non è questo. Ma temo di fare un torto agli altri uomini, se +vado per la mia strada». +«Che cosa vuoi evitare?», disse lei. «Non c’è modo di evitare. Devi andare per + la tua strada, incurante degli altri, poco importa se buoni o cattivi. Tu hai messo +la tua mano su quel divino che gli altri non hanno». +Non potevo accettare queste parole, perché temevo l’inganno. Per questo non +volevo neppure accettare questa via, che mi costringeva a dialogare con la mia +anima. Avrei preferito parlare con gli uomini. Ma mi sentivo costretto alla +solitudine, e al tempo stesso temevo la solitudine delle mie ri௺essioni, che si +discostavano da tutti i percorsi abituali.16 Mentre così pensavo, la mia anima mi +disse: «Non ti ho forse predetto buia solitudine?». +«Lo so», risposi, «ma non pensavo che si avverasse. Dev’essere proprio +così?». +«Tu puoi solo dire di sì. Tu non puoi far altro che prenderti cura delle tue +cose. Se qualcosa dovrà avvenire, potrà essere solo per questa via». +«Allora ribellarsi alla solitudine è un’impresa disperata», esclamai. +«È un’impresa assolutamente disperata. Tu devi essere costretto con la forza +a compiere la tua opera». +Mentre la mia anima diceva questo, si avvicinò a me un vecchio con la barba +bianca e la faccia addolorata.17 Gli chiesi che cosa volesse da me. Replicò: +«Io sono un anonimo, uno dei tanti che vissero e morirono nella solitudine. Ce +lo hanno richiesto lo spirito del tempo e la verità riconosciuta. Guardami... +questo devi imparare. Tu hai vissuto troppo bene».18 +«Ma», replicai, «questo è ancora necessario in un’epoca come la nostra, così +diversa sotto tanti aspetti?». +«È vero oggi come ieri. Non dimenticare mai che sei un uomo, e che per +questo devi cedere il tuo sangue per il traguardo dell’umanità. Pratica la +solitudine con assiduità e senza brontolare, a௻nché ogni cosa maturi a tempo +debito. Devi diventare serio, perciò distaccati dalla scienza. In essa c’è troppa +puerilità. La tua via va verso il profondo. La scienza resta troppo in super௹cie, è +mero linguaggio, mero strumento. Ma tu devi metterti all’opera».19 +Io non sapevo a quale opera. Perché tutto era oscuro. E tutto mi divenne +di௻cile e incerto, e una tristezza in௹nita s’impossessò di me, opprimendomi per +parecchi giorni. Finché udii la voce del vecchio. Parlava lentamente, con aria +grave, e le frasi che pronunciava mi sembravano sconnesse e tremendamente +assurde, per cui venni ria௸errato dalla paura di impazzire.20 Egli disse infatti le +seguenti parole:21 +«Non siamo ancora giunti alla fine dei giorni. Il peggio deve ancora venire. +La mano che colpisce per prima colpisce meglio delle altre. +La sciocchezza sgorga dai pozzi più profondi, copiosa come il Nilo. +Il mattino è più bello della sera. +Il fiore profuma, finché non sfiorisce. +In primavera la maturazione arriva il più tardi possibile, altrimenti manca il +proprio scopo». + Queste frasi, che il vecchio mi disse la notte del 25 maggio 1914, mi parvero +di una crudele insensatezza. Sentivo che il mio Io si contorceva nel dolore. +Gemeva e si lamentava per il carico dei morti che gravava su di lui. Era come se +dovesse trascinarsi migliaia di morti. +Questa tristezza non venne meno sino al 24 giugno 1914.22 Durante la notte, +la mia anima mi disse: «Ciò che è più grande arriva al più piccolo». Dopo, non +venne detto altro. E poi scoppiò la guerra. Allora mi si apersero gli occhi su +molte cose vissute in precedenza, e ciò mi diede anche il coraggio di dire tutto +ciò che ho annotato nelle precedenti parti di questo libro. +{3} Da questo momento in avanti le voci del profondo tacquero per un anno +intero. Poi, nell’estate, navigando da solo sull’acqua, vidi non lontano da me un +falco pescatore tu௸arsi, a௸errare dall’acqua un grosso pesce e innalzarsi in aria +con esso.23 Udii allora la voce della mia anima che diceva: «Questo è un segno +che il basso viene portato verso l’alto». +Qualche tempo dopo, in una notte d’autunno, udii la voce del vecchio (e +stavolta sapevo che era ΦΙΛΗΜΩΝ).24 Egli disse:25 «Ti sbatterò di qua e di là. +Voglio dominarti. Voglio coniarti come una moneta. Voglio metterti in +commercio. Sarai comprato e venduto.26 Tu devi passare da una mano all’altra. +Tu non hai una tua volontà. Tu sei la volontà di tutti. L +’oro non è padrone per +sua volontà, e tuttavia domina tutti, disprezzato e avidamente voluto, un signore +inesorabile: se ne sta lì e aspetta. Chiunque lo vede lo brama. Non insegue +nessuno, se ne sta lì in silenzio, con il suo aspetto fulgido, autosu௻ciente, un +sovrano che non ha bisogno di dimostrare il proprio potere. Tutti lo cercano, +pochi lo trovano, ma anche il pezzetto più minuscolo è altamente apprezzato. +Non si dà e non si sperpera. Ciascuno lo prende dove lo trova, e si preoccupa +ansiosamente di non perderne neppure la più piccola parte. Tutti negano di +esserne dipendenti, e nondimeno tendono segretamente e ardentemente la +mano per averlo. Deve l’oro dimostrare la propria necessità? Essa è +comprovata dalla brama degli uomini. Forse che esso domanda: “Chi mi +prende?” Colui che lo prende, ce l’ha. L +’oro non si muove. Dorme e risplende. Il +suo splendore è inebriante. Senza dire una parola, promette tutto ciò che agli +uomini appare desiderabile. Porta alla rovina chi deve rovinarsi, aiuta ad +ascendere chi sta salendo.27 +C’è accumulato un tesoro abbagliante, esso attende chi se lo voglia prendere. +Quante tribolazioni non a௸rontano gli uomini per via dell’oro? Esso sta lì ad +aspettare, e non abbrevia certo le tribolazioni dell’uomo... Quanto più durano le +tribolazioni, tanto più lo si stima. Cresce dalle profondità della terra, dal fuoco +liquido che scorre sotterraneo. Si cristallizza lentamente, nascosto nei ௹loni +aurei della roccia. L’uomo mobilita tutta la sua astuzia per estrarlo, per averlo». +Costernato, esclamai: «Che ambiguo discorso, o ΦΙΛΗΜΩΝ!». + Ma ΦΙΛΗΜΩΝ continuò:28 «Non solo insegnare, ma anche rinnegare; +altrimenti a che cosa è servito il mio insegnamento? Se non insegno, non devo +neppure rinnegare. Se però ho insegnato, allora devo poi rinnegare. Se infatti +insegno, allora do all’Altro ciò che avrebbe dovuto prendersi da solo. Quello che +egli acquisisce è un bene, mentre un male è il dono che non è stato acquisito. +Sprecarsi signi௹ca voler opprimere molti. La falsità circonda colui che regala, +poiché anche il suo proposito è subdolo. Egli viene costretto ad annullare i +propri doni e a rinnegare la propria virtù. +Il peso del silenzio non è più grande del peso del mio Io, che vorrei addossare +a te. Per questo parlo e insegno. Che il discepolo si difenda contro la mia +astuzia, con cui gli addosso il mio carico. +La migliore verità è anche un inganno così abile che io stesso vi resto +intrappolato finché non comprendo il valore di un’astuzia riuscita». +E di nuovo mi spaventai ed esclamai: «O ΦΙΛΗΜΩΝ, gli uomini si sono +ingannati sul tuo conto, perciò tu li inganni. Ma colui che risolve il tuo enigma, +risolve anche il proprio». +Ma ΦΙΛΗΜΩΝ tacque e si ritrasse nelle ௺uttuanti nebbie dell’incertezza.29 Mi +lasciò ai miei pensieri. E io pensai che forse occorreva erigere ancora alte +pareti divisorie tra gli uomini, per proteggerli non tanto contro i reciproci vizi, +quanto piuttosto contro le reciproche virtù. Ebbi la netta sensazione che la +cosiddetta morale cristiana del nostro tempo favorisse la reciproca attrazione. +Come può ciascuno portare il fardello dell’Altro se il massimo che ci si possa +aspettare da un uomo è che porti perlomeno il proprio fardello? +Ma il peccato risiede probabilmente nel restare attratti. Se accetto la virtù +altruistica, trasformo me stesso nell’egoistico tiranno dell’Altro, e in tal modo la +prossima volta sarò costretto ad arrendermi io per fare dell’Altro il mio +padrone; e questo lascia sempre in me una cattiva impressione, che non torna a +vantaggio dell’Altro. Questo gioco scambievole aiuta la società, ma l’anima del +singolo individuo ne resta danneggiata, in quanto da ciò l’uomo impara a vivere +sempre a spese degli altri, anziché per forza propria. A me pare che, se si +riesce, non si dovrebbe abbandonare se stessi, perché altrimenti si induce – o +addirittura si costringe – anche l’Altro ad agire allo stesso modo. Che cosa +succede, però, se tutti abbandonano se stessi? Sarebbe una follia. +Non che il vivere con il proprio Sé sia bello o piacevole, ma questo serve alla +redenzione del Sé . Del resto, è possibile abbandonare se stessi? In tal modo si +diventa schiavi di se stessi. E questo è il contrario dell’accettare il Sé. Se si +diventa schiavi di se stessi – il che accade a chiunque abbandoni se stesso – si +viene vissuti dal Sé. Non si vive il proprio Sé; quest’ultimo vive se stesso.30 +La virtù ignara di se stessa è un’innaturale alienazione dalla propria essenza, +che in tal modo viene privata della maturazione. È un peccato alienare l’Altro +dal proprio Sé facendo valere la propria virtuosità, per esempio addossandosi il + suo fardello. Questo peccato si ripercuote su di noi.31 +La sottomissione è già su௻ciente, ampiamente su௻ciente, se noi ci +sottomettiamo al nostro Sé. L +’opera di redenzione, semmai fosse lecito +pronunciare questa parola così grande, va sempre praticata anzitutto su noi +stessi. Senza amore verso noi stessi quest’opera non può essere realizzata. Ma +va poi realizzata davvero? Ovviamente no, se si è in grado di sopportare +l’attuale situazione e non si avverte il bisogno di redenzione. Alla ௹ne, il gravoso +sentimento di aver bisogno di redenzione può diventare nauseante. Allora si +cerca di liberarsene, e in questo modo si finisce nell’opera di redenzione. +A me pare particolarmente auspicabile e persino doveroso eliminare dal +concetto di redenzione ogni bella parvenza, altrimenti torniamo a ingannare noi +stessi, perché ci dilettiamo di tale parola e perché questa grande parola spande +un bell’alone luminoso su tutta la faccenda. Ma si può almeno restare nel dubbio +sul fatto che l’opera di redenzione sia, di per sé, anche una cosa bella. Forse i +romani non trovarono proprio di loro gusto l’ebreo appeso alla croce, e ai loro +occhi il losco fanatismo delle catacombe, con i suoi miseri e barbarici simboli, +non aveva probabilmente alcun piacevole alone luminoso, sebbene essi +provassero una morbosa curiosità per ogni aspetto barbarico e infero. +Io penso che la cosa più giusta e decente sia a௸ermare che si ௹nisce +nell’opera di redenzione per così dire involontariamente, se si vuole sfuggire +all’inevitabile sentimento del bisogno di redenzione, un male apparentemente +insopportabile. Questo passo verso l’opera di redenzione non è né bello né +piacevole, e neppure diffonde un invitante alone luminoso. E la cosa stessa è così +complicata e tormentosa che ci si dovrebbe annoverare tra i malati, e non tra +quelli che scoppiano di salute e che vogliono impartire agli altri il proprio +eccesso di salute. +Perciò, per la nostra sedicente redenzione non dobbiamo usare l’Altro. L +’Altro +non è una scala per i nostri piedi. Dobbiamo piuttosto restare con noi stessi. Il +bisogno di redenzione ama esprimersi attraverso un accresciuto bisogno +d’amore con cui noi crediamo di rendere felici gli altri. Nel frattempo però +siamo immersi ௹no al collo nella brama e nel desiderio di cambiare la nostra +condizione, e a tale scopo amiamo l’Altro. Se avessimo già raggiunto il nostro +scopo, l’Altro ci lascerebbe freddi. Però è vero che per la nostra redenzione +abbiamo anche bisogno dell’Altro. Esso ci o௸rirà forse il suo aiuto +spontaneamente, perché siamo in una condizione di malattia e di impotenza. +L +’amore per lui non è – e non deve essere – dimentico di sé. Sarebbe una +menzogna. Giacché il suo scopo è la nostra redenzione. L +’amore dimentico di sé +è vero soltanto ௹nché l’esigenza del Sé può essere messa in disparte. Ma una +volta o l’altra è il turno del Sé. Chi vorrebbe per amore prestare se stesso a un +simile Sé? Sicuramente soltanto uno che non sa ancora quale eccesso di +amarezza, ingiustizia e veleno è nascosto nel Sé di un uomo che si è dimenticato + di sé e ha fatto di ciò una virtù. +Nell’interesse del Sé, l’amore dimentico di sé sarebbe un vero e proprio +peccato. +Forse32 dobbiamo andare di frequente a noi stessi, per ristabilire il nesso con +il Sé, perché tale nesso viene troppo facilmente lacerato non solo dai nostri vizi, +ma anche dalle nostre virtù. Sia i vizi che le virtù infatti vogliono sempre vivere +fuori di noi. Ma attraverso il costante vivere fuori di noi perdiamo il Sé e con ciò, +anche coi nostri sforzi migliori, diventiamo segretamente egoisti.33 Ciò che +trascuriamo in noi si aggiunge segretamente alle nostre azioni nei riguardi degli +altri. +Mediante l’unione con il Sé raggiungiamo il Dio.34 +Devo dire questo non in riferimento alle opinioni degli antichi o a questo e +quello, ma perché l’ho sperimentato di persona. Mi è successo. Ed è avvenuto in +un modo che io né mi ero aspettato né avevo desiderato. L +’esperienza di Dio in +questa forma è stata per me non desiderata. Mi piacerebbe dire che è stata un +inganno, e persino troppo volentieri la rinnegherei. Non posso però negare che +essa mi ha preso oltre ogni misura e che continua ad agire su di me. Per cui, se è +un inganno, l’inganno è il mio Dio. Allora raggiungo Dio nell’inganno. E se questa +fosse già la più grande amarezza che mi potrebbe toccare, dovrei professare +questa esperienza e in essa riconoscere il Dio. Per me non c’è comprensione né +obiezione talmente forte da superare l’intensità di simile esperienza. E anche se +il Dio stesso si fosse rivelato in una scelleratezza insensata, io non potrei fare a +meno di professare che in essa ho conosciuto il Dio. Io so per௹no che non è +troppo di௻cile addurre una teoria che spieghi su௻cientemente la mia +esperienza e la riconduca a qualcosa di già noto. Potrei io stesso indicare tale +teoria, dichiarandomi con ciò intellettualmente soddisfatto, e tuttavia questa +teoria non sarebbe in grado di togliere una sia pur minima parte dalla mia +consapevolezza +di +aver +conosciuto +il +Dio. +Da +questa +irremovibilità +dell’esperienza io riconosco il Dio. Non posso fare a meno di riconoscerlo da ciò. +Non lo voglio credere, non ho bisogno di crederlo, e neppure sarei capace di +crederlo. Come si potrebbe credere una cosa del genere? La mia mente +dovrebbe essere totalmente confusa per credere tali cose. Esse sono +estremamente improbabili per loro natura. Non soltanto improbabili, ma anche +impossibili per il nostro intelletto. Solo un cervello malato è in grado di produrre +simili inganni. Io assomiglio a quei malati che sono a௸etti da delirio e da disturbi +percettivi. Devo però dire che è il Dio a renderci malati. Nella malattia +esperisco il Dio. Un Dio vivente signi௹ca malattia per la nostra ragione. Colma +l’anima di ebbrezza. Ci riempie di caos ௺uttuante. Quanti individui Dio +spezzerà? +Il Dio ci appare in un determinato stato della nostra anima. Per questo +raggiungiamo il Dio attraverso il Sé.35 Non36 il Sé è il Dio, anche se + raggiungiamo il Dio tramite il Sé. Il Dio è dietro al Sé, al di sopra del Sé, ed è +anche lo stesso Sé, quando esso compare. Egli però compare come la nostra +malattia, da cui dobbiamo guarirci.37 Noi dobbiamo guarirci dal Dio, perché egli +è anche la nostra ferita più grave. +Dio ha infatti dapprima tutta la sua forza nel Sé, poiché il Sé è interamente nel +Dio, in quanto noi non eravamo nel Sé. Noi dobbiamo tirare il Sé dalla nostra +parte. Perciò dobbiamo lottare con il Dio per il Sé. Il Dio è infatti un movimento +inconcepibilmente immenso che trascina il Sé in spazi illimitati, alla dissoluzione. +Di conseguenza, quando Dio ci appare, siamo per il momento impotenti, +estasiati, dispersi, malati, avvelenati dal più potente dei veleni, e però +nell’ebbrezza della suprema salute. +Ma in simile condizione non è possibile restare, poiché tutte le forze del +nostro corpo si consumano come grasso sulla ௹amma. Per tale motivo dobbiamo +adoprarci per liberare il Sé dal Dio, in modo che possiamo vivere.38 +Naturalmente39 è possibile – e persino facile per la nostra ragione – negare il +Dio e parlare soltanto di malattia. In questo modo accettiamo la parte malata e +possiamo anche guarirla. Ma sarà una guarigione con perdita. Noi perdiamo una +parte della vita. Certo, noi continuiamo a vivere, ma come esseri paralizzati da +Dio. Dove prima c’era fuoco vivo, ora c’è cenere morta. +Credo che abbiamo l’opportunità della scelta; io ho preferito le meraviglie +viventi del Dio. Soppeso quotidianamente tutta la mia vita, e ancora lo splendore +ardente di Dio continua a signi௹care per me una vita superiore e assoluta +rispetto alla cenere del raziocinio. La cenere è per me un suicidio. Potrei forse +spegnere il fuoco, ma non posso negare a me stesso l’esperienza divina. Né +posso separarmi da questa esperienza. E neppure lo voglio, perché voglio +vivere. La mia vita stessa si vuole intera. +Perciò devo essere servitore del mio Sé. Così lo devo conquistare. Ma devo +conquistarlo a௻nché la mia vita sia intera. Giacché mi sembra un peccato +rendere storpia la vita se è possibile viverla per intero. Perciò essere il +servitore del Sé è u௻cio divino, opera al servizio dell’umanità. Se sorreggo me +stesso, io sgravo da me stesso l’umanità e guarisco il mio Sé dal Dio. +Devo liberare da Dio il mio Sé,40 poiché il Dio che ho conosciuto è più che +amore, è anche odio; è più che bellezza, è anche ripugnanza; è più che sapienza, +è anche assurdità; più che forza, è anche impotenza; più che onnipresenza, è +anche la mia creatura. +Nella notte seguente udii intanto nuovamente la voce di ΦΙΛΗΜΩΝ, che +disse:41 +«Avvicinati, entra nella tomba del Dio. Il tuo luogo di lavoro sarà nella volta +stessa. Non è il Dio che deve abitare in te, ma tu nel Dio». +Queste42 parole mi disturbarono; prima avevo infatti creduto di essere vicino a +liberarmi dal Dio. ΦΙΛΗΜΩΝ invece mi consigliava di compenetrami ancor più + con Dio. +Da quando il Dio è asceso sino agli spazi superiori, anche ΦΙΛΗΜΩΝ è +cambiato. All’inizio egli è stato per me un mago che risiedeva in un paese +remoto, poi però ho avvertito la sua vicinanza e, da quando il Dio è asceso, so +che ΦΙΛΗΜΩΝ mi aveva inebriato e mi aveva ispirato un linguaggio a me +estraneo e un diverso modo di sentire. Tutto questo era svanito quando il Dio +era asceso e soltanto ΦΙΛΗΜΩΝ aveva conservato quel linguaggio. Ma sentii +che lui andava per vie che non erano le mie. Probabilmente il grosso di ciò che +ho annotato nelle precedenti parti di questo libro mi è stato suggerito da +ΦΙΛΗΜΩΝ.43 Per questo io ero come in uno stato di ebbrezza. Adesso però mi +accorgo che ΦΙΛΗΜΩΝ ha assunto una forma da me distinta. +{4} Diverse settimane più tardi,44 mi si avvicinarono tre ombre, persone già +morte, come notai dal gelo che emanavano. La prima ௹gura era quella di una +donna. Ella mi si accostò ed emise un lieve ronzio, simile a quello prodotto dalle +ali dello scarabeo. Ciò mi permise di riconoscerla. Da viva lei racchiuse per me +il segreto dell’Egitto, il rosso disco solare e il canto delle ali dorate. Restava +vaga, e la sua voce somigliava a un lontano rantolo bramoso, e ne distinguevo a +fatica le parole. Ella disse: +«Era notte quando morii... Tu vivi ancora nel giorno... dinanzi a te hai ancora +giorni, anni... Che cosa farai?... Lascia che io abbia la parola... Ah, com’è +triste... che tu non possa sentire!... Dammi la parola!». +Io replicai sgomento: «Non conosco la parola che tu cerchi». +Ma lei esclamò: «Il simbolo, l’elemento mediatore, noi abbiamo bisogno del +simbolo, ne abbiamo fame, illuminaci!». +«Ma da dove? Come posso farlo? Io non conosco il simbolo che tu richiedi». +Lei però mi incalzò dicendo: «Tu lo puoi, prendilo semplicemente!». +E proprio in quell’istante mi fu posto in mano il segno, e io lo guardai, con +immenso stupore. Allora lei mi parlò vivace e gioiosa:45 +«Eccolo, è ḤĀP +, il simbolo che desideravamo, di cui avevamo bisogno. Esso è +brutalmente semplice, insulsamente primordiale, naturalmente divino, l’altro +polo del Dio. Proprio di questo polo abbiamo bisogno». +«Perché avete bisogno di ḤĀP?»,46 domandai. +«Lui è nella luce, l’altro Dio è nella notte». +«Oh», risposi, «che cosa dici, amata? Il Dio dello spirito è nella notte? È il +figlio? Il figlio dei rospi? Poveri noi se è il Dio del nostro giorno!». +La morta disse però con aria di trionfo: +«Lui è lo spirito della carne, lo spirito del sangue, è l’estratto di tutte le linfe +corporee, lo spirito dello sperma e delle viscere, dei genitali, della testa, dei +piedi, delle mani, delle articolazioni, delle ossa, degli occhi e degli orecchi, dei +nervi e del cervello; è lo spirito dello sputo e degli escrementi». + «Sei una creatura del Diavolo?», esclamai inorridito. «E la mia sfolgorante +luce divina?». +Ma lei disse: «Ti resta il corpo, il tuo corpo vivo, o amato. Dal corpo viene il +pensiero illuminante». +«Di che pensiero stai parlando? Io non conosco questo pensiero», dissi. +«Esso striscia in giro come un verme, come un serpente, ora qui ora lì, come +un cieco tritone delle caverne». +«Allora io devo essere un sepolto vivo. Ah orrore! Ah putrefazione! Devo +attaccarmici e succhiare come una sanguisuga?». +«Sì, succhiare sangue», disse lei, «sino all’ultima goccia, riempirti di tutto il +sangue che c’è nella carogna, ci sono dentro dei succhi, certo disgustosi, ma +nutrienti. Tu non devi comprendere, ma succhiare!». +«Maledetto orrore! No, no e poi no!», gridai sdegnato. +Ma lei replicò: «La cosa non deve irritarti, noi abbiamo bisogno di cibarci di +questo, della linfa vitale degli uomini, perché vogliamo prendere parte alla +vostra vita. Così possiamo avvicinarci a voi. Vorremmo informarvi di quello che +avreste bisogno di sapere». +«Ma è una spaventosa assurdità! Di che cosa stai parlando?». +Lei47 però mi guardò con lo stesso sguardo che aveva avuto verso di me il +giorno in cui la vidi per l’ultima volta tra i vivi, quando mi fece intravedere – +senza rendersi conto del signi௹cato – qualcosa del mistero lasciatoci dall’Egitto. +E mi disse: +«Fallo per me, per noi. Ricordi il mio lascito, il rosso disco solare, le ali dorate +e la corona della vita e della durata? L +’immortalità: di essa bisognerebbe sapere +qualcosa». +«La via che conduce a questo sapere è l’inferno». +Sentendo questo,48 sprofondai in tristi pensieri, poiché immaginavo la +di௻coltà, l’equivoco e l’immensa solitudine di questa via. E dopo una lunga lotta +con tutte le debolezze e codardie presenti in me, mi decisi a prendere su di me +la solitudine del santo errore e della verità eternamente valida.49 +E nella terza notte che seguì, io chiamai l’amata morta e le chiesi: +«Insegnami la sapienza dei vermi e delle creature che strisciano, dischiudimi +le tenebre dello spirito!». +Lei sussurrò: «Da’ sangue, in modo che io beva e acquisti la parola. Hai +mentito quando hai detto che avresti lasciato il potere al figlio?». +«No, non ho mentito. Ma dissi qualcosa che non ho capito». +«Beato te», disse lei, «se puoi dire cose che non capisci. Ascolta, dunque: +ḤĀP50 non è la base, ma la sommità della chiesa che ancora giace sprofondata. +Noi necessitiamo di questa chiesa, perché in essa possiamo vivere insieme a voi +e prendere parte alla vostra vita. Voi ci avete esclusi a vostro stesso danno». +«Dimmi: ḤĀP è per te il segno della chiesa in cui tu ti aspetti la comunione con + i viventi? Parla. Perché esiti?». +Allora lei emise un gemito e sussurrò con voce flebile: «Da’ sangue, ho bisogno +di sangue».51 +«Allora prendi sangue dal mio cuore», dissi. +«Ti ringrazio», disse lei, «questa è vitalità. L +’aria del mondo delle ombre è +sottile, poiché noi ௺uttuiamo sull’oceano dell’aria come uccelli sul mare. Molti si +sono spinti oltre i con௹ni, svolazzando lungo incerti sentieri del cosmo, +incontrando per caso mondi ignoti. Noi però che siamo ancora vicini e +incompiuti vorremmo immergerci nel mare dell’aria e far ritorno alla terra, a ciò +che vive. Non hai una forma animale in cui io possa entrare?». +«Come?», esclamai inorridito. «Tu vorresti diventare il mio cane?». +«Se possibile, sì», replicò lei, «vorrei essere persino il tuo cane. Tu sei di +indicibile valore per me, sei tutta la mia speranza, che si aggrappa ancora alla +terra. Vorrei ancora veder compiuto quello che ho lasciato troppo presto. +Dammi sangue, tanto sangue!». +«Allora bevi», dissi disperato, «bevi, affinché accada ciò che deve accadere». +Lei sussurrò con voce strozzata: «Brimo…52 così forse voi la chiamate… +l’anziana... con lei tutto comincia... lei che partorì il ௹glio… il potente ḤĀP +, il +quale crebbe dalle sue vergogne e volle ottenere la femmina celeste, che si +stende ad arco sopra la terra, poiché Brimo, di sotto e di sopra, cinge il ௹glio.53 +Essa lo partorisce e lo alleva. Partorito dal Sotto, egli feconda il Sopra, poiché la +donna è sua madre, e la madre è la sua donna». +«Maledetto insegnamento! Non basta ancora con i misteri tremendi?», +esclamai io pieno di indignazione e disgusto. +«Quando il cielo è gravido e non può più trattenere il suo frutto, allora genera +un essere umano che porta il peso del peccato... È l’albero della vita e +dell’in௹nita durata. Dammi il tuo sangue! Ascolta! Questo enigma è crudele: +quando Brimo, la celeste, fu gravida, allora partorì il drago, prima la placenta e +poi il ௹glio, ḤĀP +, e colui che ḤĀP porta. ḤĀP è la ribellione del Sotto; ma, da +sopra, ecco arrivare l’uccello, che si posa sulla testa di ḤĀP. È la pace. Tu sei un +recipiente. Parla tu, o cielo, e௸ondi le tue piogge. Tu sei un guscio. I gusci vuoti +non e௸ondono nulla, essi ricevono. Possa riversarvisi la pioggia portata da tutti i +venti. Ti dico che un’altra sera si sta avvicinando. Un giorno, due giorni, molti +giorni sono giunti alla ௹ne. La luce del giorno scende e illumina l’ombra, essa +stessa un’ombra del sole. La vita diviene ombra, e l’ombra, l’ombra che è più +grande di te, prende ad animarsi. Credevi che la tua ombra fosse tuo figlio? Esso +è piccolo al mezzodì, a mezzanotte riempie i cieli.54 +Io però ero esausto e disperato e non potevo ascoltare più a lungo; perciò +dissi alla morta: +«Tu55 dunque conduci a me quel terribile ௹glio che abitava sotto gli alberi +vicino all’acqua? Lo spirito che i cieli e௸ondono è lui, oppure è il verme + senz’anima generato dalla terra? Oh cielo... oh alvo funesto! Volete succhiarmi +via la vita per amore delle ombre? L +’elemento umano va perso, così, a favore di +quello divino?56 Devo io vivere con le ombre, anziché con i vivi? Deve +appartenere a voi morti ogni nostalgia di ciò che è vivo? Eppure avete avuto il +vostro tempo per vivere. Non l’avete sfruttato? Deve un vivente dare la propria +vita per voi che non avete vissuto l’eterno? Parlate, ombre silenziose che state +alla mia porta e chiedete il mio sangue!». +Allora l’ombra della morta levò la sua voce e disse: «Tu vedi... o forse ancora +non vedi quello che i vivi fanno della tua vita. Essi la vivono al tuo posto. Con me +invece tu vivi te stesso, perché io appartengo a te. Io appartengo al tuo seguito +e alla tua comunità, che sono invisibili. Credi che i vivi vedano te? Essi vedono +soltanto la tua ombra, non te... tu che sei servitore, portatore, recipiente...». +«Che linguaggio azzardi! Sono forse alla vostra mercé? Non dovrò più vedere +lo splendore del giorno? Dovrò divenire l’ombra di un corpo vivente? Voi non +avete né forma né realtà tangibile, e da voi emana il freddo della tomba, alito +del vuoto. Farmi seppellire vivo... che cosa vi viene in mente? È prematuro, mi +pare... prima dovrei essere morto. Avete del miele, che mi rallegri il cuore, e del +fuoco, che mi riscaldi le mani? Che cosa siete voi, ombre tristi? Voi fantasmi che +fate paura ai bambini! A che pro volete il mio sangue? In verità, voi siete ancora +peggiori degli uomini. I quali danno poco; ma voi che cosa date? Create forse +qualcosa di vivo? Calda bellezza, gioia? O tutto questo dovrà andare al vostro +tetro Ade? Che cosa o௸rite in cambio? Segreti? Vivrà di questo il vivente? Per +me i vostri segreti sono pagliacciate, se il vivente non vive di essi». +Lei però mi interruppe esclamando: «Fermati, impetuoso, tu mi togli il respiro! +Noi siamo ombre, diventa un’ombra anche tu e capirai quello che noi diamo». +«Non ho voglia di morire, per scendere alle vostre tenebre». +«Ma tu», disse lei, «non hai bisogno di morire. Devi soltanto farti seppellire». +«Nella speranza della risurrezione? Non scherziamo!». +Lei però disse, calma: «Tu intuisci quel che accadrà. Per te ci saranno un +triplo catenaccio e l’invisibilità... All’inferno coi tuoi desideri e sentimenti! +Perlomeno non ci ami, così noi ti costeremo meno caro degli uomini, che si +rotolano nel tuo amore e nella tua pazienza e si prendono gioco di te». +«Morti miei, mi sembra che voi parliate la mia lingua». +Sprezzante, lei mi rispose: «Gli uomini amano... e tu! Quale errore! Questo +signi௹ca soltanto che tu vuoi scappare da te stesso. In questo modo che cosa fai +per gli uomini? Li seduci e aumenti in loro la mania di grandezza, di cui sei +vittima». +«Ma questo mi fa pena, mi addolora, mi fa piangere, mi fa struggere; ogni cosa +tenera suscita la mia compassione, il mio cuore è pieno di nostalgia». +Lei fu però inesorabile. «Il tuo cuore appartiene a noi», disse, «che cosa ne fai +con gli uomini? Devi difenderti da solo contro gli uomini... per poter camminare + con le tue gambe, anziché con stampelle umane. Gli uomini hanno bisogno di chi +è sobrio, epperò desiderano sempre colui che ama, per poter scappare da se +stessi. Questo dovrà ௹nire. Perché questi sciocchi vanno a predicare ai negri il +Vangelo che essi stessi denigrano nel proprio paese? Perché mai questi ipocriti +pretacci parlano di amore, di amor divino e profano usando poi lo stesso Vangelo +per giusti௹care il diritto di far guerre e commettere ingiustizie micidiali? +Soprattutto, che cosa insegnano agli altri quando loro stessi sono immersi ௹no al +collo nella scura melma della falsità e dell’autoinganno? Hanno essi pulito la +propria casa, riconosciuto e cacciato fuori il loro proprio Diavolo? Siccome non +fanno nulla di tutto questo, predicano l’amore per poter scappare da se stessi, +per fare agli altri quello che dovrebbero fare a se stessi. Ma l’amore tanto +osannato, dato al proprio Sé, brucia come fuoco. Questi ipocriti e mentitori +l’hanno notato... come fai anche tu ... e preferiscono amare gli altri. Questo è +amore? È ipocrita falsità.57 Comincia sempre da te, in tutte le cose e soprattutto +con l’amore. Credi che uno che si autodistrugge senza riguardo faccia qualcosa +di buono all’Altro col suo amore? No, non lo credi sicuramente. Sai persino che +in tal modo lui insegna agli altri come si fa a nuocere a se stessi, per obbligare +gli altri a dimostrargli compassione. Per questo dovrai essere un’ombra, poiché +è questo che occorre agli uomini. Come possono essi liberarsi dell’ipocrisia e +della follia del loro amore se tu stesso non puoi farlo? Tutto infatti comincia da +te medesimo. Ma il tuo cavallo non riesce a fare a meno di nitrire. E peggio +ancora, la tua virtù assomiglia a un cane che scodinzola, che ringhia, che lecca e +che abbaia, e tutto questo tu lo chiami amore per gli uomini. Ma amore è +portare e sopportare se stessi. La cosa comincia così. Si tratta veramente di te; +tu non hai ancora ௹nito di ardere; devono arrivarti ancora altri fuochi ௹nché tu +non abbia accettato la tua solitudine e imparato ad amare. +Perché chiedi sull’amore? Che cos’è l’amore? Vivere soprattutto, questo è più +che amore. La guerra è amore? Hai ancora da vedere a che cosa è utile l’amore +degli uomini... è uno strumento come gli altri. Perciò, soprattutto la solitudine, +௹nché non sia estinta ogni tenerezza con te stesso. Tu devi imparare a sentire il +gelo».58 +«Io vedo soltanto tombe davanti a me», risposi. «Quale volontà maledetta sta +al di sopra di me?». +«La volontà di Dio, che è più forte di te, servitore e recipiente. Tu sei caduto +nelle mani di chi è più grande di te. Egli non conosce pietà. Sono caduti i vostri +rivestimenti mimetici cristiani, i veli che rendevano ciechi i vostri occhi. Il Dio è +tornato a essere forte. Il giogo degli uomini è più leggero di quello del Dio, per +questo ognuno per pietà vuol mettere un giogo agli altri. Chi però non cade nelle +mani degli uomini, diventa schiavo del Dio. Bene per lui, e male per lui! Non c’è +modo di sfuggire!». +«È questa la libertà?», esclamai. + «Massima libertà. Soltanto Dio al di sopra di te, attraverso te stesso. +Consolati con questo e con quello, per quanto puoi. Il Dio metterà catenacci alle +porte che tu non riesci ad aprire. Lascia che i tuoi sentimenti piagnucolino come +cagnolini. Lassù ci sono orecchi che non sentono». +«Ma», replicai, «non c’è ribellione, per amore della causa umana?». +«Ribellioni? Io rido delle tue ribellioni. Il Dio conosce soltanto potere e +creazione. Lui comanda e tu fai. Le tue paure sono ridicole. Non c’è che una +strada, la strada militare della divinità». +Queste furono le parole spietate rivoltemi dalla morta.59 Poiché non volevo +ubbidire a nessuno, dovetti ubbidire a questa voce. Ed essa pronunciò parole +spietate a proposito del potere di Dio. Io dovetti accettarle.60 Noi dobbiamo +salutare una nuova luce, un sole tinto di sangue, un prodigio doloroso. Nessuno +mi obbliga a farlo, solamente l’ignota volontà in me comanda, e io non posso +sfuggire, poiché non trovo motivi per farlo. +Il sole che mi apparve galleggiava in un mare di sangue e di disperazione, +perciò io dissi alla morta: +«Dev’essere questo il sacrificio della gioia?». +La morta però replicò: «Il sacri௹cio di ogni gioia, purché lo compia tu stesso. +La gioia non dev’essere né creata né cercata, viene quando deve venire. Io +chiedo che tu mi serva. Tu non devi servire il tuo Diavolo personale. Questo +porta a un dolore super௺uo. La vera gioia è semplice e viene ed esiste da se +stessa, e non viene cercata qui o là. Anche se rischi di vedere la nera notte +dinanzi a te, tu devi votarti a me e non cercare gioia alcuna. La gioia non va mai +preparata, ma esiste da sé, oppure non esiste a௸atto. Tu devi soltanto +adempiere il tuo compito, nient’altro. La gioia viene dall’adempimento, non dalla +brama. Io possiedo il potere. Io comando, tu obbedisci». +«Temo che tu mi distrugga». +Lei però rispose: «Io sono la vita che distrugge solo ciò che è inadatto. Abbi +cura di non essere uno strumento inadatto. Vuoi governare tu stesso? Condurrai +la tua nave sulla sabbia. Edi௹ca il tuo ponte, pietra su pietra, ma non pensare di +voler prendere il timone della nave. Ti confondi e ti perdi, se vuoi sfuggire al mio +servizio. Senza di me non c’è salvezza. Perché sogni e sei esitante?». +«Tu vedi», risposi, «che sono cieco e non so dove cominciare». +«Si comincia sempre dal prossimo. Dov’è la chiesa? Dov’è la comunità?». +«Questa è pura follia!», esclamai sdegnato. «Perché parli di chiesa? Sono io +forse un profeta? Come potrei arrogarmi una cosa del genere? Io sono soltanto +un uomo che non ha il diritto di saperne più degli altri». +Lei però replicò: «Io voglio la chiesa, è necessaria per te e per gli altri. +Altrimenti che cosa farai con quelli che io costringo ai tuoi piedi? Ciò che è bello +e naturale si stringerà a௸ettuosamente a ciò che è crudele e oscuro e indicherà +delle vie. La chiesa è una cosa naturale. La sacra cerimonia va dissolta e + spiritualizzata. Il ponte deve passare oltre le cose umane, inviolabile, lontano e +aereo.61 Esiste una comunità degli spiriti fondata su segni esteriori con un saldo +significato». +«Smettila!», gridai. «Questo è inconcepibile, incomprensibile». +Ma lei continuò: «La comunione coi morti è necessaria a voi e anche ai morti. +Non mescolarti con alcuno dei morti, ma resta separato da loro, e dà a ciascuno +ciò che gli spetta. I morti richiedono le vostre preghiere di espiazione». +E dicendo questo, alzò la voce ed evocò i morti in nome mio: +«O morti, io vi chiamo! +Ombre dei trapassati, voi che vi siete liberati del tormento della vita, +accorrete! +Il mio sangue, la linfa della mia vita, sia vostro cibo e vostra bevanda. +Consumatemi, affinché acquistiate vita e parola. +Venite, voi anime oscure e senza quiete, io vi voglio ristorare col mio sangue, +il sangue di un vivente, a௻nché acquisiate vita e parola, in me e attraverso di +me. +Il Dio mi costringe a rivolgervi questa preghiera, a௻nché otteniate la vita. Già +troppo a lungo vi abbiamo lasciati soli. +Creiamo insieme un vincolo di comunione, in modo che l’immagine vivente e +l’immagine morta diventino una cosa sola, e il passato continui a vivere nel +presente. +Il nostro desiderio ci trascina verso il mondo vivente, e noi siamo smarriti nel +nostro desiderio. +Venite a bere il sangue vivo, bevete a sazietà, a௻nché noi veniamo liberati +dalla forza indelebile e spietata del nostro vivo desiderio di cose visibili, tangibili +ed esistenti nel presente. +Bevete il nostro sangue colmo del desiderio che genera il male, sotto forma di +conflitto, discordia, bruttezza, violenza, insaziabilità. +Prendete, mangiate, questo è il mio corpo che vive per voi. Prendete, bevete, +questo è il mio sangue, il cui desiderio scorre per voi. +Venite e celebrate una Santa Cena con me, per la mia salvezza e la vostra. +Ho bisogno di essere in comunione con voi, per non divenire vittima della +comunità dei vivi e del mio e loro desiderio, che è insaziabile e perciò produce il +male. +Aiutatemi a non dimenticare che il mio desiderio è un fuoco sacrificale per voi. +Voi siete la mia comunità. Io vivo per i vivi quel che posso vivere. Ma... +l’eccesso del mio desiderio appartiene a voi, ombre. Per noi è necessario che +viviate insieme a noi. +Siateci propizi e aprite il nostro spirito chiuso, a௻nché diveniamo partecipi +della luce che redime. Amen!». +Dopo aver terminato questa preghiera, la morta si volse nuovamente verso di + me e disse: +«Grande è il bisogno dei morti. Il Dio non necessita di o௸erte sacri௹cali. Non +ha né atteggiamenti favorevoli, né avversione. È benevolo e tremendo, anche se +non è tale, ma così vi appare soltanto. I morti comunque odono le vostre +preghiere, perché essi sono ancora di natura umana e non sono liberi da favori e +sfavori. Non capisci? La storia dell’umanità è più antica e più savia di te. Si è +mai avuta un’epoca in cui i morti non c’erano? Pura illusione! Soltanto da poco +gli uomini hanno cominciato a dimenticarsi dei morti e a pensare che essi +abbiano appena iniziato la vera vita, e perciò sono finiti nella follia». +{ 5 } Dopo aver pronunciato tutte queste parole, la morta scomparve. Io +sprofondai nella tristezza e nella cupa confusione. E quando alzai nuovamente lo +sguardo, vidi la mia anima negli spazi superiori, sospesa e illuminata dallo +splendore remoto della divinità.62 E gridai: +«Tu sai che cosa sia avvenuto. Vedi che ciò supera la forza e la comprensione +di un essere umano. Ma voglio accettarlo per amor tuo e per amor mio. Essere +croci௹sso all’albero della vita, che amarezza! Oh doloroso silenzio! Se non ci +fossi tu, anima mia, che tocchi il cielo infuocato e l’eterna pienezza, io come +potrei? +Mi prosterno dinanzi alle bestie umane... Che tormento, e quanto poco virile! +Devo lasciar dilaniare la mia virtù, le mie migliori capacità, poiché anch’esse +sono ancora spine nell’occhio della bestia umana. Non la morte per amore del +meglio, ma l’insozzamento e la lacerazione di ciò che è più bello per amore della +vita. +Ah, ma non esiste da nessuna parte un salutare stratagemma per proteggermi +dalla comunione con la carogna? I morti vogliono vivere tramite me. +Perché mi hai prescelto come colui che deve bere il liquame che de௺uiva dal +cristianesimo per restituirlo all’umanità? Non ti basta, anima mia, guardare la +pienezza ௹ammeggiante? Vuoi ancora salire interamente entro la luce +abbagliante della divinità? In quali ombre di orrore mi stai sospingendo? Il +pantano del Diavolo non è talmente profondo che la sua melma insudicia persino +la tua veste lucente? +Da dove ti viene il diritto di recarmi un’infamia del genere? Lascia che il calice +pieno del disgustoso sudiciume passi oltre da me.63 Ma se questa non è la tua +volontà, sali sul cielo infuocato e grida la tua accusa e rovescia il trono di Dio, +del Terribile, proclama il diritto dell’uomo anche dinanzi agli dèi e vendica al +loro cospetto il crimine dell’umanità, poiché soltanto gli dèi hanno potuto +incitare il verme umano64 a compiere l’atto di gigantesca crudeltà. Accontentati +del mio destino e lascia che gli uomini governino l’umano destino. +Oh madre mia umanità, caccia via da te l’orrendo Dio verme, strangolatore di +uomini. Non venerarlo per amore del suo terribile veleno... Una goccia è +su௻ciente... E che cos’è una goccia per lui... per lui che al contempo è ogni + pienezza e ogni vuoto?». +Ma dopo aver pronunciato queste parole, notai che ΦΙΛΗΜΩΝ stava dietro di +me e che proprio lui mi aveva ispirato tali parole. Venne accanto a me, invisibile, +e io avvertii la presenza del buono e del bello. E mi parlò con voce sommessa e +profonda: +«Togli,65 o uomo, più che puoi anche il divino dalla tua anima. Quali diaboliche +farse essa inscena con te ௹nché continua ad arrogarsi i poteri di Dio su di te! +Essa è una creatura capricciosa e allo stesso tempo anche un demone assetato +di sangue, un impareggiabile tormentatore degli uomini, perché ha per l’appunto +la natura della divinità. Come mai? Da dove le viene? Per il fatto che tu la +veneri. Anche i morti vogliono la stessa cosa. Perché non se ne stanno in +silenzio? Per il motivo che non sono passati dall’altra parte. Come mai vogliono +o௸erte sacri௹cali? Per poter vivere. Ma come mai vogliono vivere ancora con gli +uomini? Il motivo è che vogliono dominare. Non hanno ancora vissuto ௹no in +fondo la loro brama di potere, in quanto sono morti da uomini con il desiderio di +potere. Un bambino, un vecchio, una femmina malvagia, uno spettro di uomo, un +Diavolo sono esseri che vogliono essere tenuti di buon umore. Abbi timore +dell’anima, disprezzala, amala, e parimenti ama gli dèi. Possano loro star lontani +da noi! Però per carità non perderli! Perché, una volta che siano stati perduti, +essi sono più per௹di del serpente, ancora più assetati di sangue della tigre che +balza sulla preda ignara assalendola alle spalle. Un uomo che si smarrisce +diventa un animale, un’anima persa diventa un Diavolo. Attaccati all’anima con +amore, con timore, con disprezzo, con odio, e non perderla di vista. Essa è un +tesoro infernale e divino che va tenuto soltanto dietro pareti di ferro e negli +scantinati più profondi. Essa vorrebbe sempre evadere e di௸ondere abbagliante +bellezza. Attenzione, sei già perduto! Non hai mai trovato una donna più +infedele, più astuta e più scellerata della tua anima. Come posso cantare il +portento della sua bellezza e perfezione? Non si trova essa nello splendore di +un’intramontabile giovinezza? Il suo amore non è vino inebriante, e la sua +saggezza l’ancestrale astuzia del serpente? +Proteggi gli uomini da lei, e lei dagli uomini. Ascolta ciò che lei lamenta e +canta nella prigione, ma fa’ che non possa fuggire, perché diverrebbe subito una +sgualdrina. In quanto suo marito, sei benedetto perché la possiedi, ma sei anche +maledetto a motivo di tale possesso. Essa appartiene alla stirpe demonica dei +Pollicini e dei Giganti, e solo alla lontana è imparentata col genere umano. Se +cerchi di a௸errarla in termini umani, impazzirai. A lei appartengono l’eccesso +della tua rabbia, della tua disperazione e del tuo amore, ma proprio soltanto +l’eccesso. Se tu le dai tale eccesso, allora l’umanità viene liberata dall’incubo. +Se infatti non vedi la tua anima, la vedi nei tuoi consimili, e questo ti farà +impazzire, poiché questo diabolico mistero e questa apparizione infernale +difficilmente potranno essere intuiti. + Guarda l’uomo, quest’essere debole nella sua miseria e nei suoi tormenti, che +gli dèi hanno prescelto come loro preda di caccia... Squarcia il velo insanguinato +che l’anima perduta ha tessuto intorno all’uomo, le reti crudeli intrecciate da +questa portatrice di morte, e a௸errala, la divina sgualdrina che non s’è ancora +riavuta dal proprio peccato e che nel suo folle accecamento continua a bramare +sudiciume e potere. Rinchiudila come una cagna lasciva che vorrebbe mischiare +il suo nobile sangue con ogni cagnaccio immondo. Catturala: che ௹nalmente sia +௹nita. Falle una volta assaporare i tuoi tormenti, a௻nché possa sentire l’uomo e +quel martello che lui ha strappato agli dèi.66 +Che nel mondo degli uomini regni sovrano l’uomo! Vigano lì le sue leggi. Tratta +però le anime, i demoni e gli dèi alla loro maniera, o௸rendo ciò che è richiesto. +Ma non opprimere con queste cose l’uomo, non pretendere o attendere da lui +nessuno di quei trucchi inscenati per te dai diavoli della tua anima, ma sopporta +in silenzio, e fa’ devotamente ciò che si addice alla tua specie. Tu non devi +intervenire sull’Altro, ma su di te, a meno che l’Altro richieda il tuo aiuto o la tua +opinione. Comprendi tu quello che l’Altro fa? Mai... D’altronde come potresti? E +un altro comprende ciò che fai tu? Da dove ti viene il diritto di avere opinioni +sugli altri o di agire su di loro? Tu hai trascurato te stesso, il tuo giardino è +pieno di erbacce, e tu vuoi insegnare al tuo vicino l’ordine e fargli notare i suoi +difetti! +Perché hai da tacere sugli altri? Perché ci sarebbe molto da dire sui tuoi +propri demoni. Ma se tu hai opinioni sull’Altro e agisci senza che lui abbia +chiesto la tua opinione o il tuo consiglio, lo fai perché non riesci a distinguere te +stesso dalla tua anima. Perciò divieni vittima della tua presunzione, e così la +aiuti a fare la sgualdrina. Oppure credi di dover prestare il tuo vigore umano +alla tua anima o agli dèi, o che sia un’opera utile e pia far valere gli dèi +sull’Altro? Sei accecato, questa è presunzione cristiana! Gli dèi non hanno +bisogno del tuo aiuto, ridicolo idolatra che ti credi anche tu un Dio e pretendi di +formare, migliorare, rimproverare, educare e creare uomini. Tu stesso sei forse +perfetto?... Perciò taci e fa’ la tua parte e considera ogni giorno la tua +inadeguatezza. Tu stesso hai anzitutto bisogno del tuo aiuto; devi tener pronti +per te stesso opinioni e buoni consigli anziché correre dagli altri, come una +sgualdrina, a o௸rire comprensione e a voler dare aiuto. Non hai bisogno di +atteggiarti a Dio. Che cosa sono dei demoni che non agiscono per conto loro? +Perciò lasciali agire, ma non attraverso di te, altrimenti tu stesso sarai un +demone per gli altri. Lasciali a loro stessi, e non volerteli accaparrare con +amore maldestro, apprensione, prudenza, consigli e altre presunzioni. Altrimenti +faresti il lavoro dei demoni, saresti tu stesso un demone e ௹niresti nella pazzia. I +demoni però gioiscono della pazzia degli uomini indifesi che vogliono consigliare +e aiutare gli altri. Perciò taci, compi in te stesso la maledetta opera di +redenzione; allora i demoni dovranno tormentare se stessi, così come tutti i tuoi + simili, che non distinguono se stessi dalla propria anima e si lasciano perciò +ingannare dai demoni. È crudele abbandonare a se stesso il proprio simile +accecato? Sarebbe crudele se tu potessi aprirgli gli occhi. Ma tu potresti +aprirgli gli occhi soltanto se lui ti richiedesse la tua opinione e il tuo aiuto. Se +però non richiede il tuo aiuto, allora non ne ha bisogno. Se tu, malgrado questo, +imponi a lui la tua opinione, allora per lui tu sei un demone e aumenti il suo +accecamento, poiché gli dai un cattivo esempio. Ricopriti di pazienza e silenzio, +siediti e lascia che il demone compia la sua opera. Se compie qualcosa, farà +meraviglie. Così tu siedi sotto un albero che dà frutti. +Sappi che i demoni vorrebbero indurti ad aderire alla loro opera, che non è la +tua. E tu, scioccamente, credi che quella sia la tua stessa opera. Per quale +motivo? Perché non riesci a distinguerti dalla tua anima. Invece tu sei di௸erente +da essa, non devi puttaneggiare con altre anime come se tu stesso fossi +un’anima, tu sei un uomo inerme che ha bisogno di tutta la sua forza per +perfezionare se stesso. Perché guardi agli altri? Quello che vedi in loro, giace +trascurato in te stesso. Tu devi essere la sentinella davanti alla prigione della +tua anima. Sei l’eunuco della tua anima, che la protegge dagli dèi e dagli uomini, +o che protegge da essa gli dèi e gli uomini. All’uomo nella sua debolezza è dato +infatti potere, un veleno che paralizza persino gli dèi, così come alla piccola ape, +la cui forza è di gran lunga inferiore alla tua, è dato un doloroso pungiglione +velenoso. La tua anima potrebbe impadronirsi di questo veleno e con esso +diventare un pericolo persino per gli dèi. Perciò custodisci la tua anima, +distinguiti da essa, perché non solo i tuoi simili ma anche gli dèi devono vivere». +Quando ΦΙΛΗΜΩΝ ebbe terminato, mi volsi alla mia anima, che durante il +discorso di ΦΙΛΗΜΩΝ s’era avvicinata da sopra, e le dissi: +«Hai udito quanto ha detto ΦΙΛΗΜΩΝ? Ti è piaciuto questo tono? Ti va bene il +suo consiglio?». +Ma lei disse: «Non fare dell’ironia, altrimenti colpisci te stesso. Non +dimenticare di amarmi». +«Faccio fatica a tenere uniti odio e amore», ribattei. +«Comprendo», disse lei, «però tu sai che si tratta della stessa cosa; per me +odio e amore si equivalgono. Per me, come per ogni donna del mio genere, non +importa tanto la forma, quanto piuttosto il fatto che tutto appartenga a me e a +nessun altro. Io sono gelosa persino dell’odio che tu hai per altri. Io voglio tutto, +perché ho bisogno di tutto per il grande viaggio che intendo cominciare dopo la +tua scomparsa. Devo provvedere per tempo. Devo essere pronta prima di allora, +e mancano ancora molte cose». +«E sei d’accordo che io ti getti in prigione?», chiesi. +«Certamente», rispose, «lì ho pace e posso concentrarmi. Il tuo mondo umano +mi rende ebbra... Tanto sangue umano... me ne potrei ubriacare ௹no alla follia. +Porte di ferro, mura di pietra, fredda oscurità e cibi quaresimali... ecco l’estasi + della redenzione. Tu non immagini il mio tormento quando mi prende l’ebbrezza +sanguinaria di gettarmi sempre di nuovo entro la materia vivente per un oscuro +e terribile impulso creativo che in passato mi ha avvicinato a ciò che è inanimato +e ha acceso in me l’orrenda brama di procreare. Allontana da me la materia che +concepisce, l’elemento appassionatamente femminile del grande vuoto. +Sospingimi nella limitatezza, dove io trovi resistenza e la mia propria legge. +Dove io possa pensare al viaggio, all’ascesa verso il sole di cui ha parlato la +morta, e alle vibranti e fruscianti ali dorate. Ti ringrazio... Tu volevi ringraziare +me? Sei accecato! Sei tu a meritare sommo ringraziamento». +Deliziato per queste parole, esclamai: +«Come sei divinamente bella!». E allo stesso tempo fui assalito dalla collera: +«Che amarezza!67 Tu mi hai trascinato attraverso un inferno di follia, mi hai +tormentato ௹n quasi alla morte... e io bramo il tuo ringraziamento. Sì, sono +commosso che tu mi ringrazi. Nel mio sangue c’è la natura del cane. Per questo +sono amaro... Ma che sia così, poiché... la cosa non può toccarti! Tu sei +divinamente e diabolicamente grande, dovunque e comunque tu sia. Io non sono +che il tuo guardiano eunuco, altrettanto prigioniero di te. Parla, concubina del +cielo, mostro divino! Non ti ho forse pescato dalla palude? Ti piace la melma +nera? Parla, senza sangue, canta con le forze che hai, ti sei rimpinzata a +sufficienza di uomini». +Allora la mia anima si contorse e si voltò come un verme calpestato, e gridò: +«Pietà, abbi compassione!». +«Compassione? Tu hai mai avuto compassione verso di me? Tu che maltratti +gli animali! Non sei mai andata oltre capricciosi momenti di compassione! Sei +vissuta di cibo umano e hai bevuto il mio sangue. Te ne sei rimpinguata? +Imparerai a nutrire profondo rispetto per il tormento dell’animale umano? Che +cosa volete fare, anime e dèi, senza l’uomo? Perché lo cercate così tanto? Parla, +sgualdrina!». +Lei singhiozzò: «Le parole mi si fermano in gola. Sono inorridita per la tua +accusa». +«Stai mica diventando seria? Vorresti cambiare idea? Imparare la modestia o +magari qualche altra virtù umana, tu, essere animato senz’anima? Sì... tu non +hai l’anima, perché sei anima tu stessa, mostro che sei! Magari vorresti +un’anima umana. Devo forse diventare io la tua anima terrena, in modo che tu +abbia un’anima?68 Come vedi, sono andato a scuola da te. Ho imparato come ci +si comporta da anima, in modo esemplare, misteriosamente menzognero e +ipocrita». +Mentre parlavo in questo modo alla mia anima, ΦΙΛΗΜΩΝ se ne stava +silenzioso a qualche distanza. Adesso si fece avanti, mi posò la mano sulla spalla +e disse a nome mio: +«Che tu sia benedetta, vergine anima, lodato sia il tuo nome. Tu sei la + prescelta fra le donne. Sei la generatrice di Dio. Tu sia lodata! A te onore e +gloria per l’eternità. +Tu abiti in un tempio d’oro. I popoli vengono di lontano e ti venerano. +Noi, tuoi servitori, aspettiamo la tua parola. +Noi beviamo del vino rosso, o௸rendo a te una bevanda sacri௹cale in ricordo +della comunione di sangue che tu hai celebrato con noi. +Noi prepariamo una gallina nera per il pasto sacri௹cale in ricordo dell’uomo +che ti ha nutrito. +Noi invitiamo i nostri amici al pasto sacri௹cale, recando corone di edera e +rose in ricordo del congedo che tu prendesti dai tuoi servi e dalle tue serve +rattristati. +Che sia una festa della gioia e della vita questo giorno in cui tu, benedetta, +iniziasti il viaggio di ritorno dalla terra degli uomini a cui hai insegnato come +essere anima. +Tu hai seguito il figlio, che è asceso ed è passato di là. +Tu ci porti in alto come l’anima tua, e ti metti dinanzi al ௹glio di Dio, tutelando +il tuo immortale diritto di creatura dotata di un’anima. +La gioia è con noi, e le cose buone ti seguono. Noi ti diamo forza. Siamo nella +terra degli uomini e siamo vivi». +Dopo che ΦΙΛΗΜΩΝ ebbe terminato, la mia anima aveva uno sguardo +rattristato e compiaciuto, e titubando ma insieme a௸rettandosi si accinse a +lasciarci e ad ascendere di nuovo, lieta della libertà riacquistata. Io però intuii in +lei un tratto furtivo, qualcosa che lei cercava di nascondermi. Per questo non la +lasciai allontanare, ma le dissi:69 +«Che cosa tieni ancora per te? Che cosa nascondi? Magari un vaso d’oro, un +gioiello che hai rubato agli uomini? Attraverso il tuo vestito non traluce forse +una pietra preziosa, o un bagliore di oro? Che cos’è quella bella cosa che tu +rubasti allorché bevesti il sangue dell’uomo e mangiasti la sua sacra carne? Dì la +verità, perché sulla tua faccia vedo la menzogna». +«Non ho preso nulla», replicò lei prontamente. +«Tu menti, vuoi gettare il sospetto su di me, mentre in difetto sei tu. Il tempo +in cui potevi depredare l’uomo restando impunita è passato. Consegna tutto ciò +che per lui è una sacra eredità e che tu, con fare rapace, ti sei arrogata. Tu +defraudi il servitore e il mendicante. Dio è ricco e potente. Da lui puoi prendere. +Il suo regno non conosce perdita. Infame bugiarda, quando smetterai in௹ne di +affliggere e derubare la tua umanità?». +Lei però mi guardò con l’innocenza di una colomba e disse con dolcezza: +«Io non sospetto te. Ti voglio bene, sai? Rispetto il tuo diritto. Rispetto la tua +umanità. Io non ti sottraggo nulla. Non ti privo di nulla. Tu possiedi tutto, io +nulla». +«E invece sì», gridai, «tu menti in modo insopportabile. Non soltanto possiedi + quello splendido oggetto che appartiene a me, ma puoi anche accedere agli dèi e +all’eterna pienezza. Perciò consegnalo, imbrogliona!». +A questo punto si irritò e mi rispose: +«Come puoi dir questo? Non ti riconosco più. Tu sei pazzo, anzi: sei ridicolo, +sei uno scimmiotto che allunga la zampa verso tutto quel che luccica. Ma io non +lascerò che mi sia tolto ciò che è mio». +Allora, con rabbia, gridai: «Tu menti, menti! Ho visto l’oro, la luce scintillante +del gioiello, so che appartiene a me. Non devi portartelo via. Consegnalo!». +Allora lei scoppiò in lacrime indispettite e disse: «E io non voglio darlo, è +troppo prezioso per me. Vuoi derubarmi dell’ultimo ornamento?». +«Adornati con l’oro degli dèi, non con i magri tesori degli uomini che popolano +la terra. Devi provare la povertà celeste dopo aver predicato per così tanto +tempo al tuo uomo la povertà e il bisogno terrestri come un vero pretaccio +bugiardo che si riempie il ventre e il portafoglio e parla di povertà». +«Tu mi tormenti orribilmente», si lamentò lei, «lasciami dunque quest’unica +cosa. Voi uomini ne avete abbastanza. Io non posso esistere senza quest’unica +cosa, incomparabile, per la quale persino gli dèi invidiano gli uomini». +«Non sarò ingiusto», replicai. «Ma dammi quello che mi appartiene, e chiedimi +la parte di cui hai bisogno! Che cos’è? Parla!». +«Ah, io non posso trattenerlo né nasconderlo. È l’amore, il caldo amore +umano, il sangue, il caldo sangue rosso, la sacra fonte di vita, il congiungimento +di tutto ciò che è separato e si strugge». +«Dunque è l’amore», dissi, «che voi reclamate come un diritto e una proprietà +naturale, mentre dovreste andare a elemosinarlo. Voi vi ubriacate del sangue +dell’uomo e lasciate che lui conduca una vita di stenti. L +’amore appartiene a me. +Voglio essere io ad amare e non che siate voi attraverso di me. Vi trascinerete e +supplicherete come i cani, per averlo. Alzerete le vostre mani, scodinzolerete +come cani famelici. Io posseggo la chiave. Sarò un amministratore più giusto di +voi, o dèi senza Dio. Vi accalcherete intorno alla sorgente del sangue, intorno a +quel bel miracolo, e recherete i vostri doni in modo da ricevere quello di cui +avete bisogno. Io proteggo la sacra sorgente, a௻nché nessun Dio se ne +impadronisca. Gli dèi non conoscono né misura né clemenza. Si inebriano della +bevanda più preziosa. Ambrosia e nettare70 sono la carne e il sangue dell’uomo, +un nutrimento davvero nobile. Nella sbornia, sprecano la bevanda, questo bene +dei poveri, perché non hanno né Dio né anima quali giudici al di sopra di loro. +Presunzione e smodatezza, durezza e mancanza d’amore sono la vostra +essenza. Avidità per il gusto dell’avidità, potere per il gusto del potere, piacere +per il gusto del piacere, smodatezza e insaziabilità: da questo vi si riconosce, voi +demoni. +Sì, voi diavoli e dèi, voi demoni e anime, dovete ancora imparare a strisciare +nella polvere per avere l’amore in modo da a௸errare da qualche parte e da + qualcuno un grammo della dolcezza vivente. Imparate dall’uomo l’umiltà e +l’orgoglio, per amore dell’amore. +Oh dèi, il vostro ௹glio primogenito è l’uomo. Egli si generò un ௹glio di Dio +terribilmente bello e brutto, che è il rinnovamento di voi tutti. Ma questo +mistero si compie anche in voi: voi vi siete generati un ௹glio dell’uomo che è il +mio rinnovamento, non meno splendido e orrendo, e anche voi sarete sotto il suo +dominio». +Allora ΦΙΛΗΜΩΝ mi si avvicinò, alzò la mano e disse:71 +«Entrambi, Dio e l’uomo, sono delusi deludenti, benedetti benedicenti, potenti +privi di potere. L +’universo eternamente ricco si dispiega di nuovo in cielo +terreno e in cielo divino, in mondi inferi e in mondi superiori. Ciò che è +tormentosamente uni௹cato e costretto sotto un unico giogo torna a separarsi di +nuovo. Al posto dell’unità compressa subentra l’in௹nita molteplicità, poiché +soltanto la varietà è ricchezza, fioritura, raccolto». +Trascorsero un giorno e una notte, e quando fu di nuovo notte e io mi guardai +intorno, vidi che la mia anima esitava e aspettava. Perciò le dissi:72 +«Come? Tu sei ancora lì? Non hai trovato la tua strada, oppure non hai +trovato le parole che appartengono a me? È questo il modo di onorare la tua +anima terrena, l’uomo? Ricordati di ciò che ho portato per te e di quello che ho +patito, in che modo ho sprecato me stesso, in che modo stetti davanti a te e mi +contorsi, in che modo ti o௸rii il mio sangue! Da te pretendo una cosa: tu devi +imparare la venerazione dell’uomo, poiché io ho veduto la terra a lui promessa +in cui scorrono latte e miele.73 +Ho veduto la terra dell’amore promesso. +Ho veduto lo splendore del sole sopra quella terra. +Ho veduto le verdi foreste, i vigneti dorati e i villaggi degli uomini. +Ho veduto le montagne che s’innalzavano sino al cielo, con le distese di neve +eterna a strapiombo. +Ho veduto la fecondità e la felicità della terra. +Ma da nessuna parte ho veduto la felicità dell’uomo. +Tu obblighi, anima mia, l’uomo mortale a lavorare e a so௸rire per il tuo bene. +Io pretendo da te che tu faccia la tua parte per la felicità terrena dell’uomo. +Ri௺ettici! Io parlo in nome mio e degli uomini, poiché tue sono la nostra forza e +la nostra magni௹cenza, tuoi sono il regno e la nostra terra promessa. Dunque fa’ +in modo che ciò avvenga, impiegando la tua abbondanza! Io tacerò, scomparirò +dinanzi a te, dipende da te, tu puoi realizzare ciò che l’uomo non è riuscito a +creare. Io rimango in attesa. Tormentati ௹nché non trovi il modo. Dov’è il tuo +bene se tu non compi il tuo dovere di recare all’uomo la salvezza? Ri௺ettici! Tu +lavorerai per me, e io resterò in silenzio». +«Orsù», disse lei, «voglio mettermi all’opera. Ma tu devi costruire la fornace +per la fusione. Getta nel paiolo le cose vecchie, rotte, consumate, inutilizzate e + rovinate, affinché vengano rinnovate per un nuovo uso. +È tradizione, costume degli avi, esercizio di sempre. Occorre un adattamento +al nuovo uso. È esercizio e incubazione nella fornace, un ritorno verso l’interno, +nel ristagno rovente, dove ruggine e fratture vengono eliminate dal calore del +fuoco. È una cerimonia sacra, un aiuto per me, affinché la mia opera riesca. +Tocca la terra, premi la mano contro la materia, forgiala con cura. Grande è il +potere della materia. ḤĀP non è forse venuto dalla materia? Non è forse la +materia il riempimento del vuoto? Mentre tu plasmi la materia, io do forma alla +tua salvezza. Tu che non dubiti del potere di ḤĀP, come puoi dubitare del potere +di sua madre, la materia? La materia è più potente di ḤĀP +, poiché ḤĀP è il +Figlio della Terra. La materia più dura è la migliore, tu devi plasmare la materia +più duratura. Questo dà forza al pensiero». +{6} Io feci come la mia anima mi consigliò e plasmai nella materia i pensieri +che ella mi diede. La mia anima mi parlò spesso e a lungo della saggezza che sta +nel nostro passato.74 Ma una notte, all’improvviso, essa venne da me lasciando +trapelare inquietudine e angoscia, e gridò:75 «Che cosa vedo? Che cosa +nasconde il futuro? Fuoco divampante? Un fuoco in attesa nell’aria... si +avvicina... Una ௹amma... tante ௹amme... un prodigio ardente... Quante faci si +accendono? Oh mio amato, è la grazia del fuoco eterno... Lo spirito del fuoco +discende su di te!». +Ma io gridai inorridito: «Temo qualcosa di terribile e di spaventoso, sono +pervaso dall’angoscia; tremende erano le cose che tu prima mi hai annunciato... +Dovrà essere distrutto, bruciato, annientato tutto?». +«Abbi pazienza», disse lei guardando ௹ssa in lontananza, «il fuoco è sopra di +te, un mare sterminato di fuoco incandescente». +«Non torturarmi... Quali crudeli misteri custodisci? Parla, ti supplico! Oppure +stai di nuovo mentendo, dannato spirito tormentatore, mostro ingannatore? A +che servono i tuoi spettri menzogneri?». +Lei però rispose pacata: «Io voglio anche la tua paura». +«A che scopo? Per tormentarmi?». +Ma lei proseguì: «Per portarla davanti al signore di questo mondo.76 Egli +richiede l’o௸erta sacri௹cale della tua paura. Ti ritiene degno di tale sacri௹cio. +Egli77è clemente con te». +«Clemente con me? Che cosa vuol dire? Io vorrei nascondermi di fronte a lui. +Il mio volto ha paura del signore di questo mondo, perché è segnato: ha +guardato ciò che è proibito. Per questo ho paura del signore di questo mondo». +«Ma tu devi presentarti davanti a lui», disse lei, «lui ha percepito la tua +paura». +«Tu hai prodotto in me questa paura. Perché mi hai tradito?». +«Tu sei chiamato al suo servizio». +Ma io mi lamentai e gridai: «Destino tre volte maledetto! Perché non puoi + lasciarmi nascosto in disparte? Perché lui mi ha scelto come dono sacri௹cale? A +migliaia si prostrerebbero volentieri dinanzi a lui! Perché devo essere io? Non +posso, non voglio». +Ma l’anima disse: «Tu possiedi la parola che non deve rimanere nascosta». +«Che cos’è la mia parola?», risposi. «È il balbettare di un minore, è la mia +povertà e la mia incapacità, il mio non poter fare diversamente. E tu la vuoi +trascinare davanti al signore di questo mondo?». +Lei però guardò ௹ssa nella lontananza e disse: «Vedo la super௹cie della terra, +e il fumo si sta dirigendo verso di essa... Un mare di fuoco dal Nord si riversa su +di essa, incendia le città e i villaggi, piomba sulle montagne, si infrange +attraversando la valle, brucia le foreste... La gente è fuori di sé... Tu cammini +precedendo il fuoco con le vesti bruciacchiate e i capelli strinati, i tuoi occhi +hanno lo sguardo di un folle, la tua lingua è arida, la tua voce è arrochita e ha un +brutto suono... A௸retti il passo, annunci ciò che si avvicina, sali sui monti, vai in +tutte le valli e pronunci parole di orrore e annunci il tormento del fuoco. Tu porti +il marchio del fuoco, e gli uomini sono atterriti da te. Non vedono il fuoco, non +credono alle tue parole, però vedono il tuo marchio e, seppure ignari, +immaginano che tu sia il messaggero del bruciante tormento. “Quale fuoco?”, +chiedono, “quale fuoco?”. Tu balbetti, farfugli, che ne sai tu del fuoco? Io ho +potuto vedere il rogo, ho veduto la ௹amma avvampante. Possa Dio salvarci da +tutto questo». +«Anima mia», gridai disperato, «parla, spiegami: che cosa devo annunciare? Il +fuoco? Quale fuoco?». +«Leva in alto lo sguardo, guarda la ௹amma che avvampa sopra la tua testa... +Leva in alto lo sguardo, i cieli si tingono di rosso». +Dette queste parole, la mia anima svanì. +Ma io rimasi inquieto e confuso per diversi giorni. E la mia anima non si fece +sentire né vedere. Una notte,78 però, un’oscura schiera batté alla mia porta, e io +tremai di paura. Ed ecco apparve la mia anima e disse frettolosa: «Sono qui e +apriranno a forza le tue porte». +«Come può il branco malvagio irrompere nel mio giardino? Verrò depredato e +gettato fuori sulla strada? Tu ti fai be௸e di me, mi consideri un giocattolo per +bambini. Oh Dio mio, per qual motivo devo essere salvato da quest’inferno +pazzesco? Ma io farò a pezzi le vostre ragnatele maledette; andate all’inferno, +folli che non siete altro! Che cosa volete da me?». +Lei però m’interruppe e disse: «Che vai dicendo? Lascia la parola agli oscuri». +Io le replicai: «Come posso ௹darmi di te? Tu lavori per te, non per me. A che +cosa potresti servire se non puoi nemmeno proteggermi da questa confusione +del Diavolo?». +«Calmati!», ribatté lei, «altrimenti disturbi l’opera». +Ed ecco che, non appena lei ebbe detto queste parole, venne da me + ΦΙΛΗΜΩΝ nella candida veste sacerdotale e mi pose la mano sulla spalla.79 +Allora mi rivolsi agli oscuri e dissi: «Orsù, morti, parlate!». Ed essi +immediatamente esclamarono in un coro di voci:80 «Stiamo tornando da +Gerusalemme, dove non abbiamo trovato ciò che cercavamo.81 Ti imploriamo di +lasciarci entrare. Tu hai ciò che noi desideriamo. Non il tuo sangue, ma la tua +luce. Esattamente quello!». +Allora ΦΙΛΗΜΩΝ levò la sua voce e li istruì con le seguenti parole82 (e questo +è il primo Sermone ai morti):83 +«Ascoltate, dunque. Io inizio dal nulla. Il nulla e la pienezza sono la stessa +cosa. Nell’in௹nito, pieno e vuoto hanno lo stesso valore. Il nulla è vuoto e pieno. +Del nulla, voi potreste dire ugualmente anche altre cose, per esempio che è +bianco, o che è nero, oppure che non è, o che è. Una cosa in௹nita ed eterna non +ha qualità, poiché ha tutte le qualità. +Noi al nulla o alla pienezza diamo il nome di pleroma.84 In esso sia il pensiero +che l’essere cessano, poiché ciò che è eterno e in௹nito non possiede qualità. In +esso non c’è alcuno, poiché altrimenti sarebbe distinto dal pleroma, e avrebbe +qualità che lo distinguerebbero dal pleroma come un qualcosa. +Nel pleroma non c’è nulla e c’è tutto; non val la pena ri௺ettere sul pleroma, +poiché ciò significherebbe dissolvere se stessi. +Il creato85 non è nel pleroma, ma in se stesso. Il pleroma è il principio e la ௹ne +del creato.86 Lo pervade così come la luce del sole pervade l’aria, ovunque. +Sebbene il pleroma lo pervada totalmente, il creato non ne fa parte, così come +un corpo completamente trasparente non diviene né chiaro né scuro per via +della luce che lo pervade. +Noi, comunque, siamo il pleroma stesso, poiché siamo una parte dell’eterno e +dell’in௹nito. E tuttavia non ne partecipiamo, poiché siamo in௹nitamente lontani +dal pleroma; non sul piano spaziale o temporale, ma su quello dell’essenza, in +quanto ci di௸erenziamo dal pleroma nella nostra essenza di creature con௹nate +entro il tempo e lo spazio. +Però, siccome siamo parti del pleroma, il pleroma è anche in noi. Per௹no nel +punto più piccolo il pleroma è in௹nito, eterno e intero, poiché piccolo e grande +sono proprietà in esso contenute. Esso è il nulla che ovunque è intero e +inesauribile. Io parlo quindi solo simbolicamente del creato come parte del +pleroma, poiché in realtà il pleroma non è diviso in nessuna parte, essendo il +nulla. Noi siamo anche l’intero pleroma perché, simbolicamente, il pleroma è il +più piccolo punto, soltanto presunto, non esistente, in noi e l’illimitato +௹rmamento intorno a noi. Ma perché mai parliamo allora del pleroma, se esso è +tutto e nulla? +Io ne parlo per avere un qualche punto d’inizio, e anche per togliervi l’illusione +che da qualche parte, fuori o dentro, esista un qualcosa di certo o, in qualche +modo, di determinato ௹n dall’inizio. Ogni cosa cosiddetta certa o determinata è + soltanto relativa. Soltanto ciò che è soggetto al mutamento è certo e +determinato. +Ma ciò che è soggetto al mutamento è il creato; esso è quindi il solo a essere +certo e determinato, perché ha delle proprietà, anzi è esso stesso una proprietà. +Allora noi ci domandiamo: come è stato originato il creato? Ad arrivare a +esistere furono le creature, ma non il creato, perché esso è la proprietà del +pleroma stesso, tanto quanto l’increato o la non creazione, la morte eterna. Il +creato è presente sempre e ovunque, così come anche la morte è in ogni tempo +e ovunque. Il pleroma ha tutto, differenziazione e indifferenziazione. +La di௸erenziazione87 è il creato. Esso è di௸erenziato. La di௸erenziazione è la +sua essenza, e per questo anch’esso di௸erenzia. Per questo l’uomo di௸erenzia, +perché la sua essenza è la di௸erenziazione. Perciò egli di௸erenzia anche le +proprietà del pleroma, che non esistono. Egli le di௸erenzia a partire dalla sua +stessa essenza. Per questo l’uomo deve parlare delle proprietà del pleroma che +non esistono. +Voi direte: A che serve parlare di questo? Hai detto tu stesso che non val la +pena riflettere sul pleroma! +Io ve ne ho parlato per liberarvi dall’illusione che si possa ri௺ettere sul +pleroma. Quando noi di௸erenziamo le proprietà del pleroma, parliamo a causa e +a proposito del nostro esser di௸erenti, ma non abbiamo detto nulla circa il +pleroma. Della nostra di௸erenziazione, però, abbiamo necessità di parlare, in +modo da poter su௻cientemente di௸erenziare noi stessi. La nostra essenza è +infatti la di௸erenziazione. Se non siamo fedeli a questa essenza, non +di௸erenziamo a su௻cienza noi stessi; per questo dobbiamo di௸erenziare fra le +proprietà. +Voi chiedete: Che danno si ha dal non di௸erenziare se stessi? Se noi non ci +di௸erenziamo, andiamo fuori dalla nostra essenza, fuori dal creato, e cadiamo +nell’indi௸erenziazione, che è l’altra proprietà del pleroma. Cadiamo nel pleroma +stesso e cessiamo di essere creature. Diveniamo preda del dissolvimento nel +nulla. E questa è la morte del creato. Quindi noi moriamo nella misura in cui non +di௸erenziamo. Perciò il creato aspira naturalmente alla di௸erenziazione, alla +lotta contro il primordiale pericolo dell’identità. Questo viene detto principium +individuationis.88 Tale principio è l’essenza di ciò che è creato. Da ciò voi vedete +perché l’indi௸erenziazione e il non operare distinzioni siano un grave pericolo +per il creato. +Per questo dobbiamo di௸erenziare tra le proprietà del pleroma. Tali proprietà +sono le coppie di opposti, quali: +l’efficace e l’inefficace, +il pieno e il vuoto, +il vivo e il morto, + il diverso e l’identico, +il chiaro e lo scuro, +il caldo e il freddo, +la forza e la materia, +il tempo e lo spazio, +il bene e il male, +il bello e il brutto, +l’uno e i molti ecc. +Le coppie di opposti sono le proprietà del pleroma, che non esistono perché si +annullano a vicenda. Dato che noi siamo il pleroma stesso, abbiamo in noi anche +tutte queste proprietà; dato che il fondamento della nostra essenza è la +di௸erenziazione, noi possediamo queste proprietà in nome e nel segno della +differenziazione; il che significa: +Primo: le proprietà sono in noi distinte e separate l’una dall’altra; perciò non +si annullano a vicenda, ma producono e௸etti. Quindi noi siamo le vittime delle +coppie di opposti. In noi il pleroma è lacerato. +Secondo: le proprietà appartengono al pleroma, e noi possiamo e dobbiamo +possederle o viverle soltanto in nome e nel segno della di௸erenziazione. +Dobbiamo di௸erenziarci dalle proprietà. Nel pleroma esse si annullano, in noi +no. Il distinguersi da esse è salvifico. +Se aspiriamo al bene o al bello ci dimentichiamo della nostra essenza, che è la +di௸erenziazione, e ௹niamo preda delle proprietà del pleroma, quali sono le +coppie di opposti. Ci sforziamo di raggiungere il bene e il bello, ma al tempo +stesso cogliamo anche il male e il brutto, poiché nel pleroma essi formano un +tutt’uno col bene e col bello. Se invece restiamo fedeli alla nostra essenza, cioè +alla di௸erenziazione, allora ci di௸erenziamo dal bene e dal bello, e perciò anche +dal male e dal brutto, e non cadiamo nel pleroma, ossia nel nulla e nel +dissolvimento.89 +Voi obietterete: Hai detto che anche la diversità e l’identità sono proprietà del +pleroma. Che cosa succede quando noi aspiriamo alla diversità? Siamo, in tal +caso, fedeli alla nostra essenza? E dobbiamo ௹nire preda dell’identità anche +quando aspiriamo alla diversità? +Non dovete dimenticare che il pleroma non ha proprietà. Siamo noi a crearle +col pensiero. Perciò, se aspirate alla diversità o all’identità o a una qualche altra +proprietà, allora aspirate a pensieri che a௼uiscono a voi dal pleroma, ossia a +pensieri che riguardano le proprietà inesistenti del pleroma. Se rincorrete +questi pensieri, ricadete di nuovo nel pleroma, e raggiungete al tempo stesso la +diversità e l’identità. La di௸erenziazione non è il vostro pensiero, ma la vostra +essenza. Perciò voi dovete aspirare non alla diversità quale voi la pensate, ma +a lla vostra stessa essenza. Perciò esiste, in fondo, una sola aspirazione: +l’aspirazione alla vostra essenza. Se possedeste tale aspirazione non avreste + bisogno di conoscere nulla sul pleroma e sulle sue proprietà, e perverreste al +vostro vero ௹ne in virtù della vostra stessa essenza. Ma dal momento che il +pensiero estrania dall’essenza, devo insegnarvi come conoscere il modo con cui +possiate tenere a bada il vostro pensiero». +I morti90 si dileguarono brontolando e imprecando, e le loro grida si spensero +in lontananza. +Ma io mi volsi a ΦΙΛΗΜΩΝ e dissi:91 «Padre mio, tu enunci una curiosa +dottrina. Gli antichi non insegnarono forse cose analoghe? E non fu una dottrina +erronea e riprovevole, distante in egual misura dall’amore e dalla verità? E +perché tu insegni una simile dottrina a questa orda che il vento notturno +trascina vorticosamente dagli oscuri campi di sangue d’Occidente?». +«Figlio mio», replicò ΦΙΛΗΜΩΝ, «questi morti ௹nirono di vivere troppo +presto. Sono coloro che erano ancora in ricerca, e che perciò sono ancora +sospesi sopra le proprie tombe. La loro vita era incompiuta, poiché essi +ignoravano la via oltre quel punto in cui la fede li aveva abbandonati. Siccome +però nessuno li istruisce, sono io a dover dare loro un insegnamento. Lo richiede +l’amore, poiché essi vogliono ascoltare, anche se brontolano. E per qual motivo +io trasmetto questa dottrina degli antichi? Impartisco loro tale insegnamento +perché la loro fede cristiana una volta ha rigettato e perseguitato proprio +questa dottrina. Essi però hanno ri௹utato anche la fede cristiana e perciò +௹nirono tra coloro che sono stati ri௹utati dalla fede cristiana. Essi non lo sanno, +e per questo devo insegnarglielo io, a௻nché la loro vita sia compiuta ed essi +possano accedere alla morte». +«Ma tu, saggio Filemone, credi in quello che insegni?». +«Figlio mio», replicò ΦΙΛΗΜΩΝ, «perché mi fai questa domanda? Come potrei +insegnare quello in cui credo? Chi mi darebbe il diritto di avere una simile fede? +Ciò che io so dire è tale non perché lo credo, ma perché lo so. Se io sapessi di +meglio, lo insegnerei. Per me sarebbe facile credere in qualcosa di meglio. Ma +devo insegnare una fede a coloro che si ri௹utano di credere? Ed è bene – ti +chiedo – credere in qualcosa di meglio se non si sa nulla di meglio?».92 +«Ma», ribattei, «sei sicuro che le cose vadano realmente come tu dici?». +A ciò ΦΙΛΗΜΩΝ rispose: «Non so se è il meglio che si possa sapere. Io però +non so niente di meglio, e perciò sono sicuro che queste cose vanno nel modo +che ho detto. Se andassero diversamente, direi altro, perché le saprei essere in +un modo diverso. Ma queste cose vanno come io le so, poiché il mio sapere è +esattamente queste stesse cose». +«Padre mio, questo tuo non sbagliarti è per te una garanzia?». +«In queste cose non ci sono errori», rispose ΦΙΛΗΜΩΝ, «ci sono solo livelli +diversi di sapere. Queste cose sono come tu le sai. Soltanto nel tuo mondo le +cose sono sempre diverse da come tu le sai, per questo gli errori esistono solo + nel tuo mondo». +Dopo queste parole, ΦΙΛΗΜΩΝ si chinò, toccò con la mano la terra e +scomparve. +{ 7 } Nella notte seguente ΦΙΛΗΜΩΝ era accanto a me, e i morti si +accostarono, rimasero lungo le pareti e gridarono:93 «Vogliamo sapere di Dio. +Dov’è Dio? Dio è morto?».94 +Ma ΦΙΛΗΜΩΝ prese a parlare dicendo (e questo è il secondo Sermone ai +morti): +«Dio non è morto, è vivo come sempre. Dio è creato, perché è determinato e +quindi distinto dal pleroma. Dio è una proprietà del pleroma, e tutto ciò che si è +detto del creato vale anche per lui. +Egli è tuttavia distinto dal creato perché è molto più inde௹nito e +indeterminabile di esso. È meno distinto del creato perché il fondamento della +sua essenza è la pienezza operante, ed egli è creato soltanto nella misura in cui +è determinato e distinto, e in questa misura egli è la manifestazione della +pienezza operante del pleroma. +Tutto ciò che noi non di௸erenziamo cade nel pleroma, e si annulla insieme al +suo opposto. Perciò, se non di௸erenziamo Dio, la pienezza operante è per noi +annullata. +Dio è anche il pleroma stesso, così come ogni più piccolo punto nel creato e +nell’increato è il pleroma stesso. +Il vuoto operante è l’essenza del Diavolo. Dio e Diavolo sono le prime +manifestazioni del nulla che chiamiamo pleroma. È indi௸erente se il pleroma è o +non è, poiché esso stesso si annulla in ogni cosa. Non così il creato. Nella misura +in cui Dio e il Diavolo sono creato, non si annullano a vicenda, ma sussistono +l’uno di fronte all’altro come opposti operanti. Non abbiamo bisogno di provare +la loro esistenza, è su௻ciente il fatto che dobbiamo continuamente parlare di +loro. Anche se non esistesse nessuno dei due, il creato, a causa della sua +essenza distintiva, li differenzierebbe sempre dal pleroma. +Tutto ciò che la distinzione estrapola dal pleroma è una coppia di opposti; per +questo anche il Diavolo fa sempre parte di Dio.95 +Questo coappartenersi è altrettanto stretto e – come avete appreso – +altrettanto indissolubile, anche nella nostra vita, di come lo è il pleroma stesso. +Ciò deriva dal fatto che entrambi sono vicinissimi al pleroma, nel quale tutti gli +opposti si annullano e sono un tutt’uno. +Dio e il Diavolo sono di௸erenziati in virtù del pieno e del vuoto, del generare e +del distruggere. L +’essere efficaci è comune a entrambi. È questo elemento a +unirli. Per cui l’essere e௻caci è al di sopra di entrambi e rappresenta un Dio al +di sopra di Dio, poiché nell’efficacia esso unisce pienezza e vuoto. +Questo è un Dio del quale non avete saputo, perché gli uomini lo hanno + dimenticato. Noi lo chiamiamo con il suo nome, ABRAXAS.96 Esso è ancora più +indeterminato di Dio e del Diavolo. +Per tener distinto Dio da lui, noi chiamiamo Dio HELIOS o Sole.97 Abraxas è +azione, a lui si contrappone soltanto l’irreale; perciò la sua natura operante si +dispiega liberamente. L +’irreale non è, e non oppone resistenza. Abraxas sta al di +sopra del Sole e al di sopra del Diavolo. È la probabilità improbabile, l’elemento +irrealmente operante. Se il pleroma avesse un’essenza, la sua esplicazione +sarebbe Abraxas. +Per quanto egli sia ciò che è operante, tuttavia non è un’azione determinata, +ma azione in generale. +È irrealmente operante, perché non ha un’azione determinata. +È anche creato, perché è distinto dal pleroma. +Il Sole ha un’azione determinata, e così pure il Diavolo; perciò ci appaiono +molto più operanti di Abraxas, che è indeterminato. +È forza, durata, mutamento». +A questo punto i morti si produssero in un grande schiamazzo, perché erano +cristiani.98 +Ma quando ΦΙΛΗΜΩΝ ebbe terminato il suo discorso, anche i morti +ritornarono a uno a uno nell’oscurità, e a poco a poco il frastuono della loro +indignazione si smorzò nella lontananza. E dopo che fu tornata la calma, io mi +volsi a ΦΙΛΗΜΩΝ ed esclamai: +«Abbi pietà di noi, oh sommo sapiente! Tu sottrai agli uomini gli dèi ai quali +essi potrebbero rivolgere le loro preghiere. Tu togli le elemosine a chi mendica, +il pane a chi ha fame, il fuoco a chi sta congelando». +In risposta, ΦΙΛΗΜΩΝ disse: «Figlio mio, questi morti hanno dovuto ri௹utare +la fede dei cristiani, e per questo non hanno più pregato alcun Dio. E io dovrei +insegnare loro un Dio al quale essi potrebbero rivolgere le loro preghiere? È +proprio ciò che hanno ri௹utato! E perché l’hanno ri௹utato? Essi dovettero +ri௹utare perché non potevano fare diversamente. E perché non potevano fare +diversamente? Perché il mondo – senza che questi esseri umani lo sapessero – +era entrato in quel mese del grande anno in cui si deve solo credere ciò che si +sa.99 Questo è piuttosto di௻cile, ma è un rimedio per la lunga malattia che +deriva dal fatto di credere in ciò che non si sapeva. Io insegno loro il Dio che io +so e che essi inconsapevolmente sanno, un Dio in cui non credono e che essi non +pregano, ma sanno. Insegno ai morti proprio questo Dio, poiché essi hanno +chiesto di arrivare a lui e di conoscerlo. Non lo insegno però a persone viventi, +perché esse non desiderarono i miei insegnamenti. Perché dunque dovrei +istruirli? Perciò non tolgo loro nessun Dio benevolo che esaudisce le loro +preghiere, nessun Padre celeste. Che cosa interessa ai vivi la mia follia? I morti +necessitano della salvezza, perché molti di loro sono sospesi, in attesa, sopra le + loro tombe e agognano al sapere che è stato so௸ocato dalla fede e dal rigetto +della fede. Ma chi si è ammalato ed è prossimo alla morte vuole sapere e +sacrifica la supplica». +«Ho come l’impressione», replicai, «che tu insegni un Dio smisuratamente +terribile e crudele, per il quale il bene e il male e la so௸erenza e la gioia umane +non significano nulla». +«Figlio mio», disse ΦΙΛΗΜΩΝ, «non hai visto che questi morti avevano un Dio +dell’amore e l’hanno ri௹utato? Debbo insegnare loro un Dio che ama? Essi +hanno dovuto ri௹utarlo dopo aver già ri௹utato da lungo tempo il Dio malvagio +che essi chiamano Diavolo. Per questo motivo essi devono sapere di un Dio per il +quale tutto ciò ch’è stato creato è nulla, perché lui stesso è il creatore, l’intero +creato e la distruzione di ogni cosa creata. Non hanno essi ri௹utato un Dio che è +padre, un essere amorevole, buono e bello? Uno che essi pensavano avesse dei +precisi attributi e una precisa esistenza? Per questo io devo insegnare loro un +Dio al quale non può essere attribuito nulla, un Dio che possiede tutte le +caratteristiche e quindi nessuna, poiché io e loro possiamo sapere soltanto di un +Dio del genere». +«Ma, padre mio, come possono unirsi gli uomini in un simile Dio? Il sapere di +un tale Dio non è forse la distruzione dei legami umani e della comunione basata +su ciò che è buono e bello?». +ΦΙΛΗΜΩΝ rispose: «Questi morti hanno ri௹utato il Dio dell’amore, del buono +e del bello, hanno dovuto ri௹utarlo, ri௹utando in tal modo l’unità e la comunione +nell’amore, nel buono e nel bello. E così si uccisero l’un l’altro e dissolsero la +comunità umana. Devo io insegnare loro il Dio che li unì nell’amore e che essi +ri௹utarono? Per questo insegno loro il Dio che dissolve l’unità, che disperde +tutto ciò che è umano, che crea con la sua potenza e distrugge con la sua forza. +Quelli che l’amore non unisce, li costringe la paura». +E dicendo queste parole, ΦΙΛΗΜΩΝ si chinò rapidamente verso la terra, la +toccò con la mano e scomparve. +{8} Di nuovo la notte seguente,100 come brume scaturite da una palude, i +morti si accostarono e implorarono: «Parlaci ancora del Dio supremo». +E ΦΙΛΗΜΩΝ si fece avanti e disse (e questo è il terzo Sermone ai morti):101 +«Abraxas è il Dio di௻cile da conoscere. Il suo potere è il più grande, perché +l’uomo non lo vede. Dal Sole l’uomo trae il summum bonum,102 dal Diavolo +l’in௬mum malum, mentre invece da Abraxas trae la VITA, indeterminata sotto +ogni aspetto, la quale è la madre del bene e del male.103 +Rispetto al summum bonum, la vita appare più esile e più debole; per questo è +anche di௻cile concepire che Abraxas trascenda in potenza per௹no il Sole, che +pure è la fonte radiosa di ogni forza vitale stessa. +Abraxas è il Sole e al tempo stesso la gola perennemente succhiante del vuoto, +di colui che sminuisce e smembra, del Diavolo. + Il potere di Abraxas è duplice. Ma voi non lo vedete, perché ai vostri occhi gli +opposti di questo potere, in conflitto tra loro, si annullano. +Ciò che dice il Dio Sole è vita, ciò che dice il Diavolo è morte. +Ma Abraxas dice la parola venerabile e maledetta che è al tempo stesso vita e +morte. +Abraxas genera verità e menzogna, bene e male, luce e tenebra nella stessa +parola e nello stesso atto. Per questo motivo Abraxas è terribile. +È splendido come il leone nell’istante in cui abbatte la preda. È bello come un +giorno di primavera. +Sì, lui è il grande Pan e anche il piccolo Pan. +È Priapo. +È il mostro del mondo sotterraneo, polipo dalle mille braccia, groviglio di +serpenti alati, frenesia. +È l’ermafrodito del primissimo inizio. +È il signore dei rospi e delle rane che vivono nell’acqua e salgono sulla terra, +che cantano in coro a mezzogiorno e a mezzanotte. +È la pienezza che si unisce col vuoto. +È il sacro accoppiamento. +È l’amore e il suo assassinio. +È il santo e il suo traditore. +È la più risplendente luce del giorno e la più cupa notte della follia. +Vederlo fa divenire ciechi. +Conoscerlo porta a diventare malati. +Adorarlo significa morire. +Temerlo significa essere saggi. +Non resistergli significa essere salvi. +Dio dimora dietro il sole, il Diavolo abita dietro la notte. Ciò che Dio genera +dalla luce, il Diavolo lo trascina entro la notte. Ma Abraxas è il mondo, il suo +stesso divenire e il suo stesso trapassare. Su ogni dono del Dio Sole il Diavolo +lancia la sua maledizione. +Tutto ciò che implorate dal Dio Sole genera un atto del Diavolo. Tutto ciò che +create col Dio Sole dà al Diavolo il potere di essere operante. +È questo il terribile Abraxas. +È la creatura più potente, e in lui il creato si spaventa di se stesso. +È l’obiezione, resasi manifesta, della creatura nei confronti del pleroma e del +suo nulla. +È l’orrore del figlio verso la madre. +È l’amore della madre verso il figlio. +È l’incanto della terra e la crudeltà dei cieli. +Di fronte al suo volto l’uomo impietrisce. +Di fronte a lui non c’è domanda né risposta. + È la vita del creato. +È l’efficacia della differenziazione. +È l’amore degli esseri umani. +È l’eloquio degli umani. +È la parvenza e l’ombra dell’uomo. +È l’ingannevole realtà».104 +A questo punto i morti urlarono e s’infuriarono, perché loro erano degli esseri +incompiuti.105 +Ma quando le loro grida strepitanti furono svanite, io dissi a ΦΙΛΗΜΩΝ: +«Padre mio, come posso comprendere questo Dio?». +ΦΙΛΗΜΩΝ rispose dicendo: +«Figlio mio, perché vuoi comprendere Dio? Questo Dio è da sapere, non da +comprendere. Se lo comprendi, allora puoi dire che sia – o non sia – questo o +quello. Così lo tieni nel cavo della mano, e per questo la tua mano deve +ri௹utarlo. Il Dio del quale io so è questo e quello e anche quest’altro e +quell’altro. Per questo motivo nessuno può comprendere questo Dio ma soltanto +sapere di lui, e per questo motivo io parlo di lui e lo insegno». +«Ma questo Dio», ribattei, «non porta un disperato scompiglio nel modo di +pensare degli uomini?». +ΦΙΛΗΜΩΝ rispose: «Questi morti hanno ri௹utato l’ordine dell’unità e della +comunione, avendo ri௹utato la fede nel Padre celeste che giudica con giusta +misura. Essi hanno dovuto ri௹utarlo. Per questo motivo io insegno loro il caos, +che è smisurato e assolutamente scon௹nato e per il quale giustizia e ingiustizia, +indulgenza e severità, pazienza e collera, amore e odio sono nullità. Come posso +infatti insegnare altro che il Dio del quale io so e del quale anch’essi, sia pure +inconsapevolmente, sanno?». +Io replicai: «Perché, o sublime, chiami Dio l’elemento eternamente +incomprensibile e terribilmente contraddittorio della natura?». +ΦΙΛΗΜΩΝ disse: «Che altro nome potrei dargli? Se la superiore essenza di +ciò che accade nell’universo e nel cuore degli uomini fosse codi௹cata, la +chiamerei probabilmente legge. Ma non è neanche legge, bensì casualità, +irregolarità, peccato, errore, stupidità, indolenza, follia, illegalità. Per questo +non posso chiamarla legge. Voi sapete che così dev’essere, e insieme sapete +anche che non doveva essere così, e che un’altra volta non sarà neppure così. È +qualcosa di superiore, e accade come in virtù di una legge eterna; un’altra volta, +invece, un vento di traverso con il suo so௻o fa ௹nire un granello di polvere negli +ingranaggi, e allora questo nulla è una strapotenza, più pesante di una montagna +di ferro. Perciò sapete che la legge eterna è anche una non legge. Dunque, non +posso chiamarla legge. Ma allora come debbo chiamarla? Io so che la lingua +degli uomini non ha mai dato altro nome che Dio al grembo materno + dell’incomprensibilità. In verità, questo Dio è e non è, perché tutto quello che è +stato, che è e che sarà è scaturito dall’essere e dal non essere». +Dopo aver pronunciato queste ultime parole, però, ΦΙΛΗΜΩΝ toccò con la +mano la terra e svanì. +{9} La notte seguente,106 i morti accorsero di buon’ora, brontolando invasero +il luogo e dissero: +«Maledetto, parlaci degli dèi e dei diavoli!». +E ΦΙΛΗΜΩΝ comparve e prese a parlare dicendo (e questo è il quarto +Sermone ai morti):107 +«Il Dio Sole è il sommo bene, il Diavolo è l’opposto, perciò voi avete due dèi. +Ci sono però molte ed elevate cose buone e molti gravi mali, e tra questi vi sono +due diavoli divini; uno è quello che brucia, l’altro è quello che cresce. +Quello che brucia è EROS, sotto forma di ௹amma. E la ௹amma fa luce +consumando.108 +Quello che cresce è l’Albero della vita; esso prospera accumulando, nel +crescere, materia vivente.109 +L +’Eros si in௹amma e va verso la morte, invece l’Albero della vita cresce lento +e costante per un tempo smisurato. +Il bene e il male si congiungono nella fiamma. +Il bene e il male si congiungono nella crescita dell’albero; vita e amore, nella +loro divinità, sono opposti l’uno all’altro. +Sterminato, come la moltitudine delle stelle, è il numero degli dèi e dei diavoli. +Ogni stella è un Dio, e ogni spazio che una stella riempie è un Diavolo. Ma la +vuota pienezza del tutto è il pleroma. +L’azione del tutto è Abraxas, al quale si contrappone soltanto l’irreale. +Quattro è il numero degli dèi principali, come quattro è il numero delle +dimensioni del mondo. +Uno è l’inizio, il Dio Sole. +Due è l’Eros, perché congiunge due esseri e si espande luminoso. +Tre è l’Albero della vita, perché riempie lo spazio con forme corporee. +Quattro è il Diavolo, perché apre tutto ciò che è chiuso; egli dissolve tutto ciò +che ha forma e corpo; è il distruttore nel quale ogni cosa viene annientata. +Me beato, a cui è stato dato di conoscere la molteplicità e diversità degli dèi. +Guai a voi, che sostituite questa irriducibile molteplicità con il Dio unico. Così +facendo provocate il tormento del non comprendere, e mutilate il creato, la cui +essenza e la cui aspirazione è la di௸erenziazione. Come potete essere fedeli alla +vostra essenza se volete rendere uno il molteplice? Quel che voi fate agli dèi +verrà fatto anche a voi. Verrete resi tutti uguali, e così la vostra essenza 110 è +mutilata. +L’uguaglianza deve regnare per l’uomo, ma non per Dio, perché gli dèi sono +molti mentre gli uomini sono pochi. Gli dèi sono potenti e sopportano la loro + varietà perché, al pari delle stelle, se ne stanno in solitudine e in un’immensa +distanza l’uno dall’altro. Gli uomini sono deboli e non sopportano la loro varietà, +perché dimorano vicini e hanno bisogno della comunione per poter reggere alla +loro singolarità. Per amore della salvezza vi insegno111 quello che è riprovevole +e che mi ha reso oggetto di riprovazione. +La pluralità degli dèi corrisponde alla pluralità degli uomini. +Innumerevoli dèi attendono di diventare uomini. Innumerevoli dèi sono stati +uomini. L +’uomo partecipa dell’essenza degli dèi, proviene dagli dèi e va verso +Dio. +Come non giova ri௺ettere sul pleroma, così non giova adorare una pluralità di +dèi. Meno che mai giova adorare il Dio primo, la pienezza operante e il +summum bonum. Con le nostre preghiere non possiamo aggiungervi né togliervi +nulla, perché il vuoto operante inghiotte tutto.112 +Gli dèi luminosi formano il mondo celeste, che è molteplice e si espande e +cresce all’infinito. Il sommo signore di questo mondo è il Dio Sole. +Gli dèi oscuri formano il mondo terreno. Sono semplici e diminuiscono e +rimpiccioliscono all’in௹nito. Il loro in௹mo signore è il Diavolo, lo spirito lunare, +che è il satellite della terra, più piccolo, più freddo e più inerte della terra. +Non c’è di௸erenza, in fatto di potere, tra gli dèi celesti e gli dèi terreni. Gli dèi +celesti rendono più grandi, gli dèi terreni fanno diminuire. Non si può calcolare +la direzione in cui vanno gli uni e gli altri». +A questo punto113 i morti interruppero il discorso di ΦΙΛΗΜΩΝ con risate +irose e con grida be௸arde e, mentre si ritiravano a poco a poco, il loro dissenso, +lo scherno e le risate scemarono in lontananza. Io mi volsi a ΦΙΛΗΜΩΝ e gli +dissi: +«O ΦΙΛΗΜΩΝ, ho l’impressione che tu sia in errore. Si direbbe che tu stia +insegnando una grossolana superstizione che i Padri hanno superato felicemente +e gloriosamente, ossia quel politeismo che è prodotto soltanto da uno spirito +incapace di liberare il proprio sguardo dalla costrizione del desiderio legato alle +cose sensibili». +«Figlio mio», replicò ΦΙΛΗΜΩΝ, «questi morti hanno ripudiato il concetto di +un Dio unico e onnipotente. Come posso io insegnare loro il Dio che è uno e non +molteplice? Dovrebbero credermi. Ma loro hanno ripudiato la fede. Allora +insegno loro il Dio del quale io so, quello molteplice e di௸uso, che è la Cosa e al +tempo stesso la sua parvenza, un Dio di cui anch’essi sanno, sebbene non ne +siano consapevoli. +Questi morti diedero nomi a tutti gli esseri, a quelli nell’aria, sulla terra e +nell’acqua. Pesarono e contarono le cose. Contarono una serie sterminata di +cavalli, di mucche, di pecore, di alberi, di appezzamenti di terreno, di sorgenti; +dissero: questo è adatto a tale scopo, quello a tal altro. Che cosa fecero del + venerabile albero? Che cosa accadde al sacro ranocchio? Videro il suo occhio +dorato? Dov’è l’espiazione per i 7777 buoi di cui versarono il sangue e +divorarono le carni? Fecero penitenza per i sacri minerali che scavarono nelle +viscere della terra? No, essi a௻bbiarono nomi, pesarono, contarono e +ripartirono senza risparmiare alcunché. Fecero delle cose quello che andava +bene per loro. E che cosa non ne ricavarono! Hai visto quale imponenza!... +Proprio in questo modo però diedero potere alle cose, senza accorgersene. Ma +è arrivato il momento in cui le cose parlano. Il pezzo di carne dice: Quanti +uomini? Il pezzo di minerale dice: Quanti uomini? La nave dice: Quanti uomini? Il +carbone dice: Quanti uomini? E la casa dice: Quanti uomini? E le cose si +ribellano e contano e pesano e suddividono e divorano milioni di umani. +La vostra mano s’impossessò della terra, le strappò via la sacra parvenza, +pesò e contò le ossa delle cose. L +’ingenuo Dio unico non è forse la parvenza – +s௹lata via, gettata su un mucchio e ammassata – delle singole cose morte e +viventi? Sì, fu questo Dio a insegnarvi a pesare e a contare le ossa. Ma il mese di +questo Dio è prossimo alla ௹ne. Un nuovo mese è alla porta. Tutto dovette +perciò essere così, e tutto dovrà perciò anche essere diverso. +Non è un politeismo inventato da me! Sono, invece, tanti dèi che levano forte +le loro voci e dilaniano l’umanità facendone brandelli insanguinati. Una mole +sterminata di umani, pesati, contati, ripartiti, fatti a pezzi e divorati. Per questo +parlo di molti dèi, come parlo di molte cose, perché io so di loro. Perché li +chiamo dèi? A motivo della loro superiorità? Voi sapete di questa superiorità? +Oggi è arrivato per voi il momento di saperlo. +Questi morti ridono della mia stoltezza. Ma avrebbero alzato la mano +assassina contro i propri fratelli se avessero espiato per il bue dagli occhi di +velluto? Se avessero fatto penitenza per il minerale lucente? Se avessero +venerato il sacro albero?114 Se avessero riconciliato l’anima del ranocchio dagli +occhi dorati? Che cosa dicono i morti e le cose viventi? Chi è più grande, l’uomo +o gli dèi? In verità, questo sole è divenuto una luna, e nessun nuovo sole è sorto +dalle doglie dell’ultima ora della notte». +E quand’ebbe terminato tali parole, ΦΙΛΗΜΩΝ si chinò verso la terra, la +baciò e disse: «Madre, possa tuo ௹glio essere forte». Poi si alzò, volse lo +sguardo al cielo e disse: «Com’è buio il tuo luogo della luce nuova!». Dopodiché +scomparve. +{10} Al principio della notte seguente, i morti si avvicinarono vociando e +ammassandosi, e gridarono con tono di scherno: «Istruiscici, o folle, sulla Chiesa +e sulla sacra comunione».115 +Allora ΦΙΛΗΜΩΝ venne dinanzi a loro e prese a parlare dicendo116 (e questo è +il quinto Sermone ai morti): +«Il mondo degli dèi si manifesta nella spiritualità e nella sessualità. Gli dèi + celesti si manifestano nella spiritualità, quelli terreni nella sessualità.117 +La spiritualità concepisce e accoglie. È femminile, e perciò la chiamiamo +MATER COELESTIS, la madre celeste.118 La sessualità genera e crea. Essa è +maschile, e perciò la chiamiamo PHALLOS,119 il padre terreno.120 +La sessualità dell’uomo è più terrena, la sessualità della donna è più spirituale. +La spiritualità dell’uomo è più celeste, essa procede verso ciò che è più +grande. +La spiritualità della donna è più terrena, essa procede verso ciò che è più +piccolo. +Menzognera e diabolica è la spiritualità dell’uomo, che procede verso ciò che +è più piccolo. +Menzognera e diabolica è la spiritualità della donna, che procede verso ciò +che è più grande. +Ognuno proceda verso il luogo che gli è proprio. +L +’uomo e la donna divengono l’uno per l’altro dei diavoli se non tengono +distinte le loro vie spirituali, poiché l’essenza del creato è la differenziazione. +La sessualità dell’uomo va verso ciò che è terreno, quella della donna verso +ciò che è spirituale. L +’uomo e la donna divengono l’uno per l’altro dei diavoli se +non tengono distinta la loro sessualità. +L +’uomo impari a conoscere ciò che è più piccolo, la donna ciò che è più +grande. +L’essere umano si di௸erenzi sia dalla spiritualità che dalla sessualità. Chiami +Madre la spiritualità e la ponga tra il cielo e la terra. Chiami Fallo la sessualità +e lo ponga tra sé e la terra, perché la Madre e il Fallo sono demoni sovrumani e +manifestazioni del mondo degli dèi. Per noi essi sono più e௻caci degli dèi, +perché sono strettamente imparentati con la nostra essenza.121 Se voi non vi +differenziate dalla sessualità e dalla spiritualità e non le considerate come esseri +al di sopra di voi e intorno a voi, allora vi abbandonate a esse in quanto +proprietà del pleroma. Spiritualità e sessualità non sono vostre proprietà, non +sono cose che voi possedete e contenete, sono invece loro a possedere e a +contenere voi, perché sono demoni potenti, manifestazioni degli dèi, e perciò +cose che vanno al di là di voi e che esistono di per sé. Nessun individuo ha una +spiritualità o una sessualità di per sé, ma sottostà alla più generale legge della +spiritualità e della sessualità. Perciò nessuno sfugge a questi demoni. Dovete +considerarli come demoni e come un fatto e un pericolo comune, come un +fardello comune che la vita vi ha addossato. E così anche la vita è per voi un +fatto e un pericolo comune, e altrettanto lo sono gli dèi, e primo fra tutti il +terribile Abraxas. +L’essere umano è debole, per questo ci vuole la comunione con altri. Se non è +la comunione nel segno della Madre, allora è quella nel segno del Fallo. Non c’è +comunione nella so௸erenza e nella malattia. La comunione in ogni cosa + comporta lacerazione e dissolvimento. +La di௸erenziazione porta all’essere individui. L +’essere individui si oppone alla +comunione. Tuttavia la comunione è necessaria, a causa della debolezza +dell’uomo nei confronti degli dèi, dei demoni e della loro legge insormontabile. +Perciò ci sia tanta comunione quanta ne è necessaria, non per amore degli +uomini ma a causa degli dèi. Sono gli dèi a costringervi a stare in comunione. +Occorre tanta comunione quanta essi vi impongono; se fosse di più sarebbe un +male. +Quando siete in comunione, ciascuno si sottometta all’Altro, in modo che la +comunione si mantenga, perché essa vi è necessaria. +Quando siete soli, il singolo anteponga se stesso agli altri, in modo che +ciascuno torni a se stesso ed eviti la schiavitù. +Nella comunione ci sia la continenza, nell’esser soli viga la prodigalità. +Comunione significa profondità, l’esser soli significa elevazione. +La giusta misura nella comunione purifica e mantiene. +La giusta misura nell’esser soli purifica e aggiunge. +L’essere in comunione ci dà il calore, l’esser soli ci dà la luce».122 +{11} Quando ΦΙΛΗΜΩΝ ebbe terminato, i morti rimasero in silenzio e non si +mossero, ma guardarono ΦΙΛΗΜΩΝ restando in attesa. E ΦΙΛΗΜΩΝ, quando +vide che i morti rimanevano in silenzio e in attesa, si accinse nuovamente a +parlare e disse (e questo è il sesto Sermone ai morti):123 +«Il demone della sessualità si accosta alla nostra anima sotto forma di +serpente. Per metà è anima umana ed è un desiderio-pensiero. +Il demone della spiritualità scende nella nostra anima sotto forma di uccello +bianco. Per metà è anima umana ed è un pensiero-desiderio. +Il serpente è un’anima terrena, per metà demonica, uno spirito simile agli +spiriti dei morti. Al pari di questi ultimi, si aggira fra le cose terrene, +facendocele temere o facendo sì che stimolino la nostra bramosia. Il serpente ha +una natura femminile e ricerca sempre la compagnia dei morti, ௹ssati alla terra, +di quei morti che non hanno trovato la via per l’aldilà, quella dell’essere +individui. Il serpente è come una sgualdrina e fornica col Diavolo e con gli spiriti +malvagi, è un tiranno nefasto e uno spirito tormentatore che non smette mai di +sedurre alla comunione più malvagia. L +’uccello bianco è l’anima di una creatura +semicelestiale. Esso dimora presso la Madre e discende di tanto in tanto. +L +’uccello è maschile ed è pensiero operante. È casto e solitario, un inviato della +Madre. Volteggia in alto sopra la terra. Ispira la solitudine. Reca notizie dai +lontani predecessori che hanno attinto alla perfezione. Porta la nostra parola in +alto, alla Madre. La quale intercede, ammonisce, ma non ha alcun potere contro +gli dèi. È un recipiente del sole. Il serpente scende e con l’astuzia paralizza il +demone fallico, oppure lo pungola. Porta verso la luce gli astutissimi pensieri + dell’elemento terrestre, che si insinuano in ogni pertugio e si attaccano ovunque, +suggendo avidamente. Anche se non lo vuole, il serpente deve esserci utile. +Sfugge alla nostra presa, e così ci mostra la via, che non abbiamo trovato con la +nostra umana intelligenza». +Quando ΦΙΛΗΜΩΝ ebbe terminato,124 i morti lanciarono occhiate sdegnose, +dicendo: «Smettila di parlare di dèi, di demoni e di anime. In ௹n dei conti, queste +cose le sapevamo già da tempo». +Ma ΦΙΛΗΜΩΝ sorrise e rispose: «O voi, poveri nella carne e ricchi nello +spirito! La carne era forse bella grassa, e lo spirito era forse magro. Ma come +potete raggiungere la luce eterna? Voi vi fate be௸e della mia stoltezza, che +anche voi possedete: vi fate be௸e di voi stessi. Il sapere libera dal pericolo. Ma +le be௸e sono l’altra faccia della vostra fede. Il nero è forse meno del bianco? Voi +avete ripudiato la fede e vi siete tenuti lo scherno. In questo modo, siete liberati +dalla fede? No, vi siete legati allo scherno, e in questo modo di nuovo alla fede. +E perciò siete miseri». +Ma i morti si indignarono e gridarono: «Non siamo miseri, siamo intelligenti; i +nostri pensieri e sentimenti sono puri come l’acqua limpida. Noi lodiamo la +nostra ragione. E deridiamo la superstizione. Credi forse che le tue vecchie +sciocchezze ci abbiano raggiunto? Vecchio mio, ti sei lasciato prendere da una +follia infantile; di quale utilità può essere per noi?». +ΦΙΛΗΜΩΝ ribatté: «Di quale utilità può essere per voi? Io vi libero da ciò che +vi tiene ancora legati all’ombra della vita. Portate con voi questo sapere, +aggiungete queste sciocchezze alla vostra saggezza, quest’irragionevolezza alla +vostra ragione, e troverete voi stessi! Se voi foste dei viventi, allora +comincereste la vostra vita e la via della vostra vita tra ragione e irrazionalità e +vivreste avanzando verso l’eterna luce, la cui ombra avete sperimentato in +anticipo. Ma siccome siete dei morti, questo sapere vi distacca dalla vita, vi +sottrae la brama verso gli uomini e libera il vostro Sé dai veli che luce e ombra +hanno gettato su di voi; proverete compassione nei confronti dell’uomo e, +staccandovi dalla corrente, raggiungerete la terraferma; e uscendo dall’eterno +vortice salirete sulla salda pietra della quiete; il ciclo del ௺uire del tempo si +spezzerà, e la fiamma si spegnerà. +Ho attizzato un fuoco che arde, ho dato un coltello all’assassino, ho aperto +ferite già rimarginate, ho accelerato ogni movimento, ho dato al folle ancora una +bevanda inebriante, ho reso il freddo ancora più freddo, il caldo ancora più +caldo, la falsità ancora più falsa, la bontà ancora più buona, la debolezza ancora +più debole. +Questo sapere è l’ascia del sacrificatore». +Ma i morti gridarono: «Il tuo sapere è una follia e una maledizione. Tu vuoi +girare la ruota in senso contrario? Essa ti farà a pezzi, o uomo accecato!». +ΦΙΛΗΜΩΝ rispose: «E avvenne che la terra fu di nuovo verde e fertile per il + sangue del sacri௹cio, sono spuntati i ௹ori, l’onda s’infrange contro la sabbia, ai +piedi delle montagne ristagna una nebbia argentea, dall’uomo è giunto l’uccello +anima, nel campo si ode il rumore di una zappa, nel bosco quello di un’ascia, il +vento fa stormire gli alberi e il sole scintilla nella rugiada dello splendido +mattino, i pianeti osservano le nascite, dalla terra è emerso l’essere dalle molte +braccia, le pietre parlano e mormora l’erba. L +’uomo ha trovato se stesso, e gli +dèi vanno a passeggio per i cieli, la pienezza genera l’aurea goccia, l’aureo +seme, che si libra con piume nuove». +Allora i morti tacquero e guardarono ௹ssi Φ ΙΛΗΜΩΝ e si dileguarono in +silenzio. Ma ΦΙΛΗΜΩΝ si chinò a terra e disse: «L +’azione è riuscita, ma non è +ancora giunta a compimento. Frutto della terra, germoglia, cresci! E tu, cielo, +effondi l’acqua di vita!». +Dopodiché ΦΙΛΗΜΩΝ scomparve. +Quando,125 la notte seguente, ΦΙΛΗΜΩΝ mi si avvicinò, dovevo essere +probabilmente molto turbato, perché lo chiamai dicendo: «Che cosa hai fatto, o +ΦΙΛΗΜΩΝ? Quali fuochi hai acceso? Che cosa hai separato? È ferma la ruota +delle creazioni?». +Ma lui rispose e disse: «Tutto segue il suo corso abituale. Non è accaduto +nulla, e tuttavia si è prodotto un soave e ine௸abile mistero: io sono uscito dal +cerchio che ruota». +«Che cosa dici?», esclamai. «Le tue parole muovono le mie labbra, la tua voce +risuona dalle mie orecchie, i miei occhi ti vedono da dentro di me. Sei davvero +un mago! Tu sei uscito dal cerchio che ruota?... Che confusione! Sei tu me, +oppure sono io te? Non ho forse sentito la ruota delle creazioni quasi arrestarsi? +E tu dici di essere uscito dal cerchio che ruota? Io sono forse legato alla ruota... +Sento il suo sibilante roteare... E tuttavia per me la ruota delle creazioni è +anche ferma. Che cosa hai fatto, o padre? Istruiscimi!». +Allora ΦΙΛΗΜΩΝ disse: «Ho messo il piede su ciò che è solido, l’ho preso e +l’ho salvato dal moto dell’onda, dal ciclo delle nascite e dalla ruota vorticosa +dell’in௹nito accadere. È al sicuro. I morti hanno ricevuto la follia +dell’insegnamento, sono accecati dalla verità e capaci di vedere grazie +all’errore. Hanno riconosciuto e percepito ogni cosa, ne sono pentiti e +torneranno, chiedendo con umiltà. Poiché ciò che essi avevano ripudiato diverrà +per loro la cosa più preziosa». +Io volevo rivolgere domande a ΦΙΛΗΜΩΝ, poiché l’enigma mi tormentava. Ma +lui aveva già toccato la terra con la mano ed era scomparso. E l’oscurità della +notte era muta e non mi o௸riva risposta. E la mia anima rimaneva in silenzio, +scuoteva la testa e non sapeva dire nulla sul mistero che ΦΙΛΗΜΩΝ aveva +soltanto accennato e non svelato. +{12} E trascorse un altro giorno, e spuntò la settima notte. + E tornarono i morti, stavolta con gesti lamentosi, e dissero: «C’è una cosa +ancora che abbiamo dimenticato di discutere. Istruiscici sull’uomo». +Allora ΦΙΛΗΜΩΝ comparve dinanzi a me e prese a parlare dicendo (e questo +è il settimo Sermone ai morti):126 +«L’uomo è una porta attraverso cui, dal mondo esterno degli dèi, dei demoni e +delle anime, voi passate nel mondo interiore; dal mondo più grande a quello più +piccolo. Piccolo è l’uomo, una nullità; già lo avete alle vostre spalle e vi trovate +di nuovo nello spazio infinito, nell’infinità più piccola o interiore. +A una distanza sconfinata, allo zenith, c’è un’unica stella. +Questa stella è il Dio unico di quest’unico uomo, è il suo mondo, il suo pleroma, +la sua magnificenza. +In questo mondo l’uomo è Abraxas che crea e inghiotte il suo stesso mondo. +Questa stella è il Dio e la meta dell’uomo. +È il Dio che lo guida, +in lui l’uomo giunge al riposo, +verso di lui procede il lungo viaggio dell’anima dopo la morte, +in lui risplende come luce tutto ciò che l’uomo riporta dal mondo più grande. +L’uomo preghi quest’unico Dio. +La preghiera accresce la luce della stella, +getta un ponte al di sopra della morte, +prepara la vita del microcosmo, e modera i vani desideri del macrocosmo. +Quando il macrocosmo si raffredda, la stella risplende. +Nulla divide l’uomo dal suo Dio unico, nella misura in cui l’uomo può +distogliere gli occhi dalla fiammeggiante visione di Abraxas. +Qui l’uomo, lì il Dio. +Qui debolezza e nullità, lì perenne forza creativa. +Qui tenebra totale, freddo e umidità, +lì sole pieno».127 +Ma quando ΦΙΛΗΜΩΝ ebbe terminato,128 i morti rimasero in silenzio. Il senso +di pesantezza che li opprimeva scomparve da loro, ed essi ascesero come il fumo +sopra il fuoco acceso da un pastore che, di notte, custodisce il proprio gregge. +Ma io mi volsi a ΦΙΛΗΜΩΝ e dissi: «O eccelso, tu insegni che l’uomo è una +porta. Una porta attraverso cui passa il plotone degli dèi? attraverso cui scorre +la corrente della vita? attraverso cui entra l’intero futuro per poi gettarsi +nell’immensità del passato?». +ΦΙΛΗΜΩΝ rispose dicendo: «Questi morti credevano nella trasformazione e +nello sviluppo dell’uomo. Erano convinti dell’umana insigni௹canza e caducità. +Nulla era per loro più chiaro di questo, e tuttavia essi sapevano che l’uomo crea +persino i propri dèi, e perciò sapevano che gli dèi non valevano nulla. Perciò + devono imparare quello che non sapevano, e cioè che l’uomo è una porta +attraverso cui si spingono gli dèi in corteo insieme al divenire e al tramontare di +tutte le epoche. Lui non lo fa, non ci riesce, non lo sopporta, perché è l’essere, +l’essere unico, dato che è l’istante del mondo, l’istante eterno. Chiunque lo +capisca cessa di essere ௹amma, diventa fumo e cenere. Egli perdura, e la sua +caducità è svanita. È diventato colui che permane nell’essere. Voi avete sognato +la ௹amma, come se fosse la vita. Ma la vita è durata, mentre invece la ௹amma +svanisce. Io l’ho portata di là, l’ho salvata dal fuoco. È il ௹glio del ௹ore del fuoco. +L +’hai vista in me, che sono fatto io stesso dell’eterna ௹amma di luce. Ma sono +stato io a salvarla per te, anche i granelli neri e dorati e la loro azzurra luce +siderale. Oh Essere eterno... che cosa sono lunghezza e brevità? che cosa sono +l’istante e l’eterna durata? Essere, tu sei eterno in ogni istante. Che cos’è il +tempo? Il tempo è il fuoco che si accende, si consuma e si spegne. Io ho salvato +ciò che esiste dal tempo, l’ho liberato dai fuochi e dalle oscurità del tempo, dagli +dèi e dai diavoli». +Ma io gli dissi: «O eccelso, quando mi donerai l’oscuro e aureo tesoro e la sua +azzurra luce siderale?». +ΦΙΛΗΜΩΝ rispose: «Quando avrai consegnato alla sacra ௹amma tutto ciò che +vuole ardere».129 +{13} E mentre ΦΙΛΗΜΩΝ diceva queste parole, si avvicinò a me dalle ombre +della notte uno scuro personaggio con occhi color dell’oro.130 Io mi spaventai ed +esclamai: «Sei un nemico? Chi sei? Da dove vieni? Non t’ho mai visto prima +d’ora. Parla, che cosa vuoi?». +Lo Scuro rispose dicendo: «Arrivo di lontano. Vengo dall’Oriente e seguo la +௹amma luminosa che mi precede, Φ ΙΛΗΜΩΝ. Non ti sono ostile, ti sono +estraneo. La mia pelle è scura e i miei occhi sfavillano come l’oro». +«Che cosa porti?», chiesi angosciato. +«Porto l’astinenza... l’astinenza dalle gioie e so௸erenze dell’uomo. La +partecipazione +produce +alienazione. +Ci +vuole +compassione, +ma +senza +partecipazione... la compassione con il mondo e un volere quietato verso gli +altri. +La compassione rimane incompresa, per questo è efficace. +Restando lontani dal desiderio non si conosce paura. +Astenendosi dall’amore, il tutto ama». +Io lo guardai con timore e dissi: «Come mai sei scuro come la terra dei campi +e nero come il ferro? Mi fai paura; sono molto rattristato, che cosa mi hai +fatto?». +«Mi puoi chiamare Morte... la morte che si levò con il sole. Io arrivo con +dolore lieve e lunga pace. Metto intorno a te il manto dell’armatura. La morte +comincia nel mezzo della vita. Pongo intorno a te manto su manto, in modo che il +tuo calore non venga mai meno». + «Tu porti lutto e scoramento», risposi, «io volevo avvicinarmi all’uomo». +Ma lui disse: «Tu vai dall’uomo come una ௹gura velata. La tua luce risplende +nella notte. La tua natura solare ti abbandona, e nasce la tua natura siderale». +«Sei crudele», sospirai. +«Quel che è semplice, è crudele: non si unisce al molteplice». +E dicendo queste parole, il misterioso Scuro scomparve. Allora Filemone mi +guardò, serio e con aria interrogativa. «L +’hai osservato attentamente, ௹glio +mio?», disse. «Avrai di nuovo sue notizie. Adesso però vieni, a௻nché io possa +adempiere ciò che lo Scuro ti ha predetto». +E, proferendo tali parole, mi toccò gli occhi, mi aprì la vista e mi mostrò +l’insondabile mistero. E io guardai a lungo, ௹n quando riuscii a comprenderlo. +Ma che cosa vidi? Vidi la notte, vidi la scura terra, sovrastata dal cielo +sfavillante nello splendore di innumerevoli stelle. E vidi che il cielo aveva il +sembiante di una donna, avvolta sette volte in un manto stellato che la ricopriva +interamente. +E quando l’ebbi contemplata, ΦΙΛΗΜΩΝ disse:131 +«O Madre che stai nel cerchio più alto, tu senza-nome, che avvolgi sia me sia +lui proteggendoci entrambi dagli dèi: lui vuole diventare tuo figlio. +Accetta la sua nascita! +Possa tu rinnovarlo! Io mi separo da lui.132 Il freddo aumenta e la sua stella +brilla più fulgida. +Lui ha bisogno della condizione di figlio. +Tu hai generato da te il serpente divino, l’hai fatto uscire dalle doglie del +parto, adotta quest’uomo come figlio: ha bisogno della madre». +Allora, da lontano giunse una voce,133 ed era come una stella cadente: +«Non posso adottarlo come figlio, a meno che prima si purifichi». +Allora ΦΙΛΗΜΩΝ134 chiese: «Qual è la sua impurità?». +La voce disse: «È la promiscuità: lui si astenga dal dolore e dalla gioia +dell’uomo. Rimanga segregato ௹n quando l’astinenza non sia compiuta e lui non +sia liberato dalla promiscuità con gli uomini. Solo allora potrà essere accolto +come figlio». +In quell’istante terminò la mia visione. E ΦΙΛΗΜΩΝ se ne andò e io fui solo. E, +ubbidiente, rimasi segregato. Ma alla quarta notte intravidi una ௹gura a me +sconosciuta, un uomo con un lungo mantello e un turbante, con gli occhi dalla +luce intelligente e benevola come quelli di un medico saggio.135 Mi si avvicinò e +disse: «Ti parlerò della gioia». Io però replicai: «Vuoi parlarmi della gioia? Io sto +sanguinando dalla ferita millenaria dell’umanità». +«Io porto guarigione», rispose. «Sono state le donne a insegnarmi quest’arte. +Loro sanno come guarire i ௹gli malati. La ferita ti brucia? La guarigione è +vicina. Presta ascolto al buon consiglio, senza ribellarti». +A ciò ribattei: «Che cosa vuoi? Indurmi in tentazione? Prenderti gioco di me?». + «Che cosa vai pensando?», mi interruppe lui. «Io ti porto la delizia del +paradiso, il fuoco risanatore, l’amore delle donne».136 +«Intendi dire», gli chiesi, «la discesa nello stagno dei ranocchi?137 Il dissolversi +nella pluralità, la dispersione, la lacerazione?». +Ma mentre parlavo, il vegliardo si tramutò in ΦΙΛΗΜΩΝ,138 e io vidi che lui +era il mago che mi stava tentando. ΦΙΛΗΜΩΝ però continuò a parlarmi dicendo: +«Tu non hai ancora provato che cosa vuol dire lacerazione. È necessario che +tu venga disintegrato, dilaniato e disperso ai quattro venti. Gli uomini si +preparano per la Santa Cena con te». +«E allora che cosa rimarrà di me?», esclamai. +«Nient’altro che la tua ombra. Tu sarai un corso d’acqua che si riversa sulle +terre. Esso cercherà ogni valle e fluirà verso la profondità». +Al che chiesi, pieno d’a௼izione: «Ma dove rimarrà ciò che è propriamente +mio?». +«Te lo procurerai rubandolo», replicò ΦΙΛΗΜΩΝ,139«tu reggerai, in mani +titubanti, il regno invisibile, che sospinge le sue radici nelle grigie tenebre e nei +segreti della terra e protende i suoi rami frondosi su nell’aria dorata. +Animali popolano i suoi rami. +Uomini si accampano alla sua ombra. +Il loro mormorio si avverte da sotto. +La linfa di quest’albero è uno sconfinato disinganno. +Esso verdeggerà a lungo. +Silenzio regna alla sua cima. +Silenzio nelle sue radici profonde». +Da queste parole di ΦΙΛΗΜΩΝ compresi che dovevo rimanere fedele +all’amore per eliminare la promiscuità che deriva dall’amore non vissuto. +Compresi che la promiscuità è un vincolo che prende il posto della dedizione +spontanea. Come mi aveva insegnato ΦΙΛΗΜΩΝ, dalla dedizione spontanea +deriva lo scioglimento o la lacerazione, che rimuove la promiscuità. Io sciolgo +dunque il vincolo mediante la dedizione spontanea. Perciò devo rimanere fedele +all’amore e, dedicandomi spontaneamente a esso, patisco la lacerazione e in +questo modo divento ௹glio della Grande Madre, ossia ottengo la natura siderale, +la liberazione dal vincolo con persone e cose. Se sono vincolato da persone e +cose, la mia vita non può procedere verso la sua destinazione e io non posso +pervenire alla mia natura più profonda. Né la morte può iniziare in me come una +nuova vita; invece posso soltanto aver timore della morte. Devo perciò rimanere +fedele all’amore; altrimenti come potrei arrivare allo scioglimento e al +dissolversi dei vincoli? Altrimenti come potrei sperimentare la morte, se non +restando fedele all’amore e subendo spontaneamente il dolore e tutte le +so௸erenze dell’amore? Finché non mi dedico spontaneamente alla lacerazione, +alcune parti del mio Sé, di nascosto, rimarranno con le persone e con le cose e + mi legheranno a loro, e così, volente o nolente, dovrò far parte di loro, a loro +mescolato e a loro vincolato. Solo la fedeltà all’amore e la dedizione spontanea +all’amore sono in grado di rimuovere questo vincolo e questa mescolanza e di +ricondurre a me quelle parti del mio Sé che di nascosto erano con le persone e +con le cose. Soltanto così la luce della stella aumenta, soltanto così io giungo alla +mia natura siderale, al mio Sé più vero e più intimo, che è semplice e unico. +È di௻cile rimanere fedeli all’amore, poiché l’amore sta al di sopra di ogni +peccato. Chi vuol rimanere fedele all’amore deve anche superare il peccato. È +facilissimo non vedere che si sta commettendo un peccato, che si cade in un +peccato. Invece è di௻cile superare anche il peccato per voler rimanere fedeli +all’amore, talmente difficile che il mio piede esitava a procedere. +Quando cominciò a far notte, ΦΙΛΗΜΩΝ mi si avvicinò in una veste color +terra, tenendo in mano un pesce argenteo: «Guarda, ௹glio mio», disse, «stavo +pescando e ho preso questo pesce, che ti porto per la tua consolazione». E +mentre lo guardavo stupito e con aria interrogativa, nel buio vidi che accanto +alla porta stava un’ombra che indossava la veste della sublimità.140 Il suo volto +era pallido, e nei solchi della sua fronte era colato del sangue. Allora ΦΙΛΗΜΩΝ +s’inginocchiò, toccò la terra e disse all’ombra:141 «Mio Signore e fratello, sia +santi௹cato il tuo nome. Tu hai fatto per noi la cosa più grande: dagli animali hai +creato uomini, per gli uomini hai dato la vita perché arrivasse loro la salvezza. Il +tuo Spirito è stato con noi per un tempo interminabile. E gli uomini guardano +ancora a te e chiedono ancora la tua pietà e implorano ancora la grazia divina e +la remissione dei peccati attraverso di te. Tu non ti stanchi di dare agli uomini. +Io lodo la tua divina pazienza. Gli uomini non sono forse degli ingrati? La loro +avidità non è forse smisurata? Continuano ancora a pretendere da te? Hanno +ricevuto tantissimo, e rimangono pur sempre dei mendicanti. +Guarda, mio Signore e fratello: loro non amano me, ma bramano avidamente +te, allo stesso modo in cui bramano i beni del loro prossimo. Il loro prossimo non +lo amano, ma lo bramano. Se fossero fedeli al loro amore non avrebbero brame. +Colui che dà, invece, suscita la brama. Non volevano forse imparare l’amore? La +fedeltà all’amore? La libera scelta della dedizione? Invece chiedono, bramano +ed elemosinano da te, senza aver tratto alcun insegnamento dalla tua vita +sublime. Magari l’hanno imitata, ma non hanno vissuto la propria vita così come +tu hai vissuto la tua. Con la tua vita sublime tu hai mostrato come ognuno +dovrebbe assumersi la propria vita, rimanendo fedele alla propria essenza e al +proprio amore. Non hai forse perdonato all’adultera?142 Non ti sei seduto in +compagnia di prostitute e pubblicani?143 Non sei stato tu a non osservare il +precetto del riposo del Sabato?144 Tu hai vissuto la tua vita, gli uomini invece +non lo fanno, ma rivolgono a te le loro preghiere, pretendono da te e ti ricordano +incessantemente che la tua opera non è ancora compiuta. Ma la tua opera +sarebbe compiuta se l’uomo riuscisse a vivere la propria vita senza imitare + nessuno. Gli uomini sono ancora infantili e dimenticano la gratitudine, perché +ancora adesso non riescono a dire: “Grazie, Signore, di averci portato la +salvezza. L +’abbiamo accolta in noi, le abbiamo fatto posto nei nostri cuori, e +abbiamo imparato a proseguire in noi e per nostro conto la tua opera. Siamo +maturati grazie al tuo aiuto nel portare avanti in noi l’opera della redenzione. Sii +ringraziato, la tua opera è stata accolta in noi, abbiamo compreso il tuo +insegnamento salvi௹co, abbiamo completato in noi quello che tu hai iniziato per +noi versando il tuo sangue. Non siamo ௹gli ingrati che desiderano i beni dei +genitori. Grazie, Signore, faremo fruttare i tuoi talenti, non li nasconderemo +nella terra e non stenderemo più, inermi, le nostre mani esortandoti a compiere +in noi la tua opera. Vogliamo assumere su di noi le tue fatiche e la tua opera, +a௻nché la tua opera sia compiuta e tu possa riporre nel tuo grembo le tue mani +stanche, come fa il lavoratore dopo le fatiche di una lunga giornata. Benedetto il +morto che trova riposo dopo aver compiuto la sua opera”. +Vorrei che gli uomini si rivolgessero a te in questo modo. Ma loro non hanno +amore per te, mio Signore e fratello. Non sono capaci di farti godere il dono del +riposo. Eternamente bisognosi della tua misericordia e della tua assistenza, +lasciano incompiuta la tua opera. +Io credo però, mio Signore e fratello, che tu hai compiuto la tua opera, perché +chi ha dato la sua vita, tutta la sua verità, tutto il suo amore e tutta la sua anima, +ha compiuto la sua opera. Quello che uno può fare per gli uomini, tu l’hai fatto e +compiuto. È giunto il tempo in cui ognuno deve realizzare la propria opera +salvifica. L’umanità è ormai maggiorenne e un nuovo mese ha avuto inizio».145 +Quando ΦΙΛΗΜΩΝ ebbe terminato,146 io alzai lo sguardo e vidi che il posto in +cui l’ombra aveva sostato era vuoto. Allora mi rivolsi a ΦΙΛΗΜΩΝ dicendo: +«Padre mio, tu hai parlato degli uomini. Io sono uomo, perdonami!». +Ma ΦΙΛΗΜΩΝ si dissolse nel buio, e io decisi di fare ciò che mi spettava. E +accettai tutta la gioia e ogni tormento della mia natura e rimasi fedele al mio +amore, per subire quello che a ciascuno spetta secondo la propria indole. E +rimasi solo e provai paura. +{14} Una notte in cui regnava il silenzio assoluto, udii un mormorio simile a +quello di molte voci; tra esse distinsi più chiaramente quella di ΦΙΛΗΜΩΝ, ed +era come se lui stesse facendo un discorso. E quando a௻nai ulteriormente +l’udito, percepii queste parole: +«E dopo che147 ebbi ingravidato il corpo morto del mondo infero e che ne +nacque il serpente divino, andai dagli uomini e vidi tutta la loro a௼izione e follia. +Vidi che si uccidevano a vicenda cercando di trovare motivi per le loro azioni. Lo +facevano perché non avevano nient’altro – o niente di meglio – da fare. Ma +essendo abituati a non far nulla, senza motivazione escogitarono motivi che li +obbligavano a continuare a uccidere. “Smettetela, siete fuori di mente”, disse il +saggio. “Su, smettete e calcolate quanto danno avete fatto”, disse l’assennato. + Ma il folle rise, perché all’improvviso veniva rispettato. Come mai gli uomini non +si accorgono della propria follia? Perché la follia è ௹glia di Dio. Per questo gli +uomini non possono smettere di commettere omicidi; in questo modo infatti, +senza saperlo, servono il serpente divino, per servire il quale vale la pena dare +la propria vita. Perciò siate riconciliati! Meglio sarebbe però vivere malgrado il +Dio. Ma il serpente divino vuole sangue umano. Il sangue lo nutre e lo rende +splendente. Non voler uccidere e morire è un inganno nei confronti del Dio. Per +cui chi vive inganna il Dio. Chi vive è in vita a causa delle proprie bugie. Ma il +serpente vuole essere ingannato, nella speranza di avere sangue: quanti più +uomini rubarono la propria vita agli dèi, tanto più crebbe il campo seminato a +sangue per il raccolto del serpente. Il Dio si ra௸orza attraverso gli omicidi +commessi dagli uomini. Il serpente diventa ardente e focoso per l’eccesso di +nutrimento. Il suo grasso brucia nella ௹amma divampante. La ௹amma diventa la +luce dell’uomo, il primo raggio di un sole rinnovato, Egli, la prima luce che +appare». +Non potei comprendere quello che ΦΙΛΗΜΩΝ stava ancora dicendo. Ri௺ettei +a lungo sulle sue parole, che apparentemente aveva rivolto ai morti, e fui +inorridito di fronte alle atrocità che accompagnano la rinascita di un Dio. +E poco dopo148 vidi in sogno Elia e Salomè. Elia appariva a௼itto e impaurito. +Per questo allorché, la notte seguente, tutte le luci furono spente e tutti i rumori +vivaci furono cessati, invocai Elia e Salomè per ottenere risposta alle mie +domande. Ed Elia si fece avanti e disse: +«Sono diventato debole, sono povero, una parte troppo grande del mio potere +è passata a te, ௹glio mio. Tu mi hai preso troppo. Ti sei allontanato troppo da +me. Ho udito cose strane e incomprensibili, e la pace del mio profondo è stata +disturbata». +Al che io domandai: «Ma che cosa hai udito? Quale voce hai percepito?». +Elia rispose: «Ho udito una voce che risentiva di una gran confusione, una +voce preoccupante piena di avvertimenti e di cose inconcepibili». +«Che cosa diceva?», domandai. «Hai afferrato qualche parola?». +«Non chiaramente, erano parole confuse e confondenti. All’inizio la voce parlò +di un coltello che recideva o forse raccoglieva qualcosa, forse i grappoli d’uva +che ௹niscono nel tino. Forse era quello dalla veste tinta di rosso che pigia le uve +nel tino da cui fuoriesce il sangue.149 E poi si sentì una parola sull’oro che sta al +di sotto, e sul fatto che chi lo tocca muore. Poi una parola sul fuoco che brucia in +maniera terribile e che in questo tempo divamperà. E in௹ne si sentì una parola +blasfema, che non vorrei pronunciare». +«Una parola blasfema? Quale parola?», domandai. +Lui rispose: «Sulla morte di Dio. Ma esiste un unico Dio, e Dio non può +morire».150 +Allora replicai: «Sono stupito, Elia. Non sai quello che è accaduto? Non sai + che il mondo ha indossato una nuova veste? Che il Dio unico se n’è andato di qui +e che molti dèi e molti demoni sono tornati dall’uomo? Mi meraviglio davvero, +sono assolutamente meravigliato. Com’è possibile che tu non l’abbia saputo? Sei +all’oscuro di tutto quel ch’è accaduto di recente? Eppure conosci il futuro! Hai la +preveggenza! Possibile che tu non sappia quello che accade? Oppure neghi, per +caso, quello che è?».151 +A questo punto Salomè m’interruppe: «Ciò che è non dà piacere. Il piacere +viene solo dal nuovo. Anche la tua anima vorrebbe un marito nuovo... ha ha... +Essa ama lo svago. Tu non sei abbastanza divertente per lei. In questo è +incorreggibile, e per questo tu la prendi per pazza. Noi amiamo solo ciò che ha +da venire, non ciò che è. Solo il nuovo ci dà piacere. Elia non pensa mica a ciò +che esiste; pensa solo a ciò che ha da venire. Per questo lo sa». +Io ribattei: «Che cosa sa? Allora lo dica». +Disse Elia: «L +’ho già detto: l’immagine che ho veduto aveva il colore del +sangue, il colore del fuoco, e aveva ri௺essi dorati. La voce che ho udito +somigliava a un tuono lontano, al fragore del vento nel bosco, a un terremoto. +Non era la voce del mio Dio, ma un fragoroso vociare pagano, un richiamo che i +miei antenati probabilmente conoscevano, ma che io non ho mai udito. Era come +un suono preistorico, quasi provenisse da una foresta vicina a una remota costa +marina; tutte le voci delle lande selvagge ne risuonarono. Quel grido era +spaventoso e tuttavia pieno di armonia». +Io replicai: «Mio buon vecchio, forse hai ascoltato i miei pensieri. Che strano! +Vuoi che te ne parli? Ti avevo già detto che il mondo ora ha un nuovo aspetto. +Gli è stato gettato addosso un nuovo vestito. È curioso che tu non lo sappia. +Gli antichi dèi sono diventati nuovi. Il Dio unico è morto... Sì, veramente +morto. Si è disperso in tante cose, e così il mondo, all’improvviso, è diventato +ricco. E qualcosa è accaduto anche all’anima di ciascuno... Chi riuscirebbe a +descriverlo? Ma così anche gli uomini divennero all’improvviso ricchi. Possibile +che tu non lo sapessi? +Dal Dio unico ne vennero due: uno multiplo il cui corpo è formato da molti dèi, +e uno unico il cui corpo è un uomo e che comunque è più luminoso e più forte del +sole. +Che vuoi che ti dica dell’anima? Non hai notato che è diventata multipla? È +diventata qualcosa che è vicinissimo, più vicino, vicino, lontano, più lontano, +lontanissimo, e tuttavia è una com’era prima. Innanzitutto si è divisa in un +serpente e in un uccello, poi in padre e madre e dopo ancora in Elia e Salomè... +Cosa ti succede, mio caro? La cosa ti colpisce? Sì, tu devi renderti conto che sei +già molto lontano da me, per cui solo a malapena riesco a considerarti parte +della mia anima; infatti se tu appartenessi alla mia anima dovresti sapere quel +che sta succedendo. Perciò devo separare te e Salomè dalla mia anima e +collocarvi fra i demoni. Voi due siete legati a ciò che è stravecchio e sempre + esistente, per questo non sapete nulla dell’essere uomini, ma solo di passato e +futuro. +E tuttavia è cosa buona che, al mio richiamo, voi siate venuti. Prendete parte +a ciò che è! Ciò che è sia, cosicché voi possiate averne parte». +Ma Elia replicò di malumore: «Questa pluralità non mi piace. Non è facile +concepirla». +E Salomè disse: «Solo ciò che è semplice è divertente. Non occorre pensare». +Al che io risposi: «Elia, tu non hai bisogno di concepirla. Non è da pensare; è +da guardare, è un dipinto». +E a Salomè dissi: «Salomè, non è vero che solo ciò che è semplice è +divertente; alla lunga, è persino noioso. Quello che ti diletta veramente è la +pluralità». +Ma Salomè si volse a Elia, dicendo: «Padre, mi pare che gli uomini ci abbiano +superato. Lui ha ragione: la pluralità è più divertente. L +’Uno è troppo semplice +ed è sempre uguale».152 +Elia parve rattristato e disse: «Allora che cosa succede con l’Uno? Esiste +ancora l’Uno se è a fianco della pluralità?». +Io risposi: «Questo è il tuo antico e monotono errore: pensare che l’Uno +escluda i molti. Tuttavia esistono molte cose uniche. La pluralità delle cose +uniche è il Dio uno e multiplo il cui corpo è composto da molti dèi, mentre +l’unicità dell’unica cosa è l’altro Dio il cui corpo è un uomo, ma il cui spirito è +grande quanto il mondo». +Elia però scosse il capo, dicendo: «Questo è nuovo, figlio mio. E il nuovo è cosa +buona? Buono è ciò che è stato, e ciò che è stato sarà. Non è questa la verità? +C’è mai stato alcunch�� di nuovo? E quello che voi chiamate nuovo è mai stato +buono? Tutto rimane sempre lo stesso, anche se gli date un nuovo nome. Non +c’è nulla di nuovo, non ci può esser nulla di nuovo; altrimenti, come potrei +prevedere il futuro? Io guardo il passato e in esso, come in uno specchio, vedo il +futuro. E vedo che non accade nulla di nuovo, tutto è soltanto ripetizione di quel +che era da tempo immemorabile.153 Che cos’è il vostro esistere? Un’apparenza, +una luce che s’ingrandisce, e che domani non sarà più vera. Sarà passata; sarà +come se non fosse mai stata. Vieni, Salomè, ce ne andiamo. Si va errando nel +mondo degli umani». +Ma Salomè si volse indietro, e mentre andava mi sussurrò: «L +’esistere e la +pluralità mi piacciono, anche se non sono nuovi e non durano in eterno». +Così i due scomparvero nel buio della notte, e io tornai al peso di ciò che vuol +dire il mio esistere. E cercai di fare correttamente tutto ciò che mi pareva fosse +mio compito e di incamminarmi su ogni via che mi sembrasse necessaria per me. +Ma i miei sogni divennero grevi e angoscianti, senza che io sapessi perché. Una +notte, all’improvviso la mia anima venne da me, come impaurita, e disse:154 +«Ascoltami: io sono in grande tormento, il ௹glio del grembo oscuro mi angustia. + Per questo anche i tuoi sogni sono grevi, perché tu avverti il tormento del +profondo, il dolore della tua anima e la sofferenza degli dèi». +Io risposi: «Posso essere di aiuto? Oppure è super௺uo che un uomo si elevi a +mediatore a favore degli dèi? È presunzione, oppure un uomo potrà forse +diventare salvatore degli dèi dopo che gli uomini sono stati redenti dal +mediatore divino?». +«Tu dici il vero», replicò la mia anima, «gli dèi hanno bisogno del mediatore e +salvatore umano. Così l’uomo si prepara la strada verso l’aldilà e verso la +divinità. Io ti ho inviato un sogno spaventoso a௻nché il tuo viso si volgesse agli +dèi. Ho lasciato che i loro tormenti ti raggiungessero a௻nché ti ricordassi degli +dèi so௸erenti. Tu fai troppo per gli uomini, lascia stare gli uomini e volgiti agli +dèi, perché essi sono i sovrani del tuo mondo. Puoi essere veramente di aiuto +agli uomini soltanto attraverso gli dèi, non in modo diretto. Attenua il bruciante +tormento degli dèi». +Io le chiesi: «Dimmi dove cominciare. Io sento il loro tormento e al contempo il +mio, che non è veramente il mio, reale e irreale allo stesso tempo». +«È tutto qui: qui bisognerebbe separare», rispose la mia anima. +«Ma in che modo? La mia intelligenza viene a mancare. Sei tu che devi sapere +come fare». +«La tua intelligenza viene a mancare in fretta», rispose, «ma gli dèi hanno +bisogno proprio della tua intelligenza umana». +«E io dell’intelligenza divina», replicai. «Ci siamo già arenati?». +«No, tu sei troppo impaziente; la soluzione arriva soltanto da un confronto +paziente, non dalla decisione veloce di una sola parte. Questo richiede lavoro». +Perciò le chiesi: «Ma di che cosa soffrono gli dèi?». +«Ebbene», replicò la mia anima, «tu hai lasciato loro il tormento, e da allora +essi soffrono». +«È giusto così», esclamai, «hanno tormentato gli uomini abbastanza. Che +adesso provino loro». +Essa rispose: «Ma se il tormento raggiunge anche te? Allora che cosa ne hai +guadagnato? Tu non puoi lasciare tutta la so௸erenza agli dèi, altrimenti loro ti +trascineranno nel loro tormento. Essi hanno pur sempre il potere. D’altra parte +devo ammettere che anche l’uomo, attraverso la sua intelligenza, possiede un +potere straordinario sugli dèi». +Risposi: «Ammetto che il tormento degli dèi mi ha raggiunto; perciò è anche +logico che io mi pieghi agli dèi. Qual è il loro desiderio?». +«Vogliono obbedienza», replicò lei. +«E sia», risposi, «però ho paura del loro volere, perciò dico: voglio quello che +posso. Non voglio assolutamente riprendere su di me tutto il tormento che ho +dovuto lasciare agli dèi. Nemmeno il Cristo ha tolto ai suoi seguaci il tormento, +ma piuttosto l’ha accresciuto. Io faccio valere delle riserve. Gli dèi devono + riconoscerlo e regolarsi di conseguenza. Non esiste più l’obbedienza cieca, +poiché l’uomo ha cessato di essere uno schiavo degli dèi; lui ha la sua dignità di +fronte agli dèi. Ormai è un membro indispensabile persino per gli dèi. Non c’è +più alcun crollo dinanzi agli dèi. Che essi dicano pure, dunque, il loro desiderio. +Un compromesso sistemerà poi il resto, cosicché ognuno abbia la parte che gli +spetta». +Al che la mia anima rispose: «Gli dèi vogliono che tu, per amor loro, faccia +quello che sai di non voler fare». +«È quel che pensavo», esclamai, «è chiaro che gli dèi vogliono questo. Ma gli +dèi fanno quello che io voglio? Io voglio i frutti del mio lavoro. Che cosa fanno gli +dèi per me? Loro vogliono che vengano raggiunti i loro traguardi; ma che ne +sarà del mio?». +A questo punto la mia anima si rabbuiò e disse: «Tu sei incredibilmente +testardo e ribelle. Considera che gli dèi sono potenti». +«Lo so», replicai, «ma non esiste più l’obbedienza cieca. Quando useranno la +loro potenza a mio favore? Eppure vogliono anche che io metta le mie forze al +loro servizio. Dove si vede la loro potenza? Nel fatto che sono tormentati? +L +’uomo ha patito le pene dell’inferno, e con questo gli dèi non furono ancora +soddisfatti, ma furono insaziabili nell’escogitare nuovi tormenti. Essi permisero +per௹no che l’uomo divenisse così cieco da credere che non ci fossero gli dèi, ma +che ci fosse un unico Dio che era un padre amorevole, cosicché oggi chiunque +lotti con gli dèi viene addirittura giudicato pazzo. Così essi hanno predisposto +ancora questa vergogna persino per uno che li riconosce, per l’immensa avidità +di potere, perché guidare i ciechi non è di௻cile. Essi rovineranno persino i +propri schiavi». +«Tu non vuoi obbedire agli dèi?», esclamò inorridita la mia anima. +Io risposi: «Credo che lo si sia fatto già ௹n troppo. Gli dèi sono insaziabili +proprio perché hanno ricevuto troppe o௸erte sacri௹cali: gli altari dell’umanità +accecata trasudano sangue. È invece la penuria, non l’eccesso, a rendere +contenti. Essi potranno imparare dagli uomini la penuria. Chi fa qualcosa per +me? Ecco la domanda che devo rivolgere. In nessun caso io farò quello che +dovrebbero fare gli dèi. Chiedi agli dèi che cosa pensano della mia proposta». +Allora la mia anima si divise: in quanto uccello, si elevò verso le sfere degli dèi +superi; e in quanto serpente strisciò giù verso gli dèi inferi. E poco dopo tornò e, +afflitta, disse: «Gli dèi sono indignati perché tu non vuoi obbedire». +«Questo non m’importa granché», risposi. «Ho fatto di tutto per placare gli +dèi. Ora tocca a loro fare la loro parte. Diglielo. Io posso aspettare. Non lascerò +più che dispongano di me a loro piacimento. Che essi trovino un contraccambio; +tu puoi andare. Ti chiamerò domani, perché mi dica che cosa gli dèi hanno +deciso». +Mentre la mia anima si allontanava, vidi che era spaventata e preoccupata, + perché essa appartiene alla specie degli dèi e dei demoni e vorrebbe sempre +convertirmi alla loro specie, così come il mio lato umano vorrebbe sempre +convincermi che io appartengo alla stirpe umana e debbo sempre servirla. +Mentre dormivo, la mia anima tornò e, nel sogno, astutamente mi dipinse sulla +parete come uno dotato di corna, per spaventarmi e farmi aver paura di me +stesso. La notte successiva, però, io chiamai la mia anima e le dissi: «Il tuo +stratagemma è chiaro. Non serve a niente. Tu non mi spaventi. Adesso parla, e +di’ il tuo messaggio!». +Lei rispose: «Gli dèi si arrendono. Tu hai infranto l’obbligo della legge. Per +questo ti ho ritratto da Diavolo, perché lui è l’unico, tra gli dèi, a non piegarsi +alle costrizioni. È il ribelle contro le leggi eterne, a cui – grazie al suo operato – +esistono anche delle eccezioni. Per questo è possibile che non vi siano obblighi. +In ciò il Diavolo può essere di aiuto. Ma la cosa non dovrà succedere senza +consultarsi con gli dèi. Questa deviazione è necessaria, altrimenti tu cadrai sotto +la loro legge, malgrado il Diavolo». +A questo punto l’anima mi si avvicinò all’orecchio, per bisbigliarmi: «Gli dèi +sono persino contenti di poter chiudere un occhio, di tanto in tanto, perché in +fondo sanno benissimo che le cose andrebbero male per la vita se non +esistessero eccezioni alla legge eterna. Così si spiega la loro tolleranza nei +confronti del Diavolo». +Poi, alzando la voce, gridò: «Gli dèi sono benevoli con te e hanno accettato la +tua offerta sacrificale!». +E così il Diavolo mi aiutò a puri௹carmi dalla mescolanza con i vincoli, e la +so௸erenza dell’unilateralità mi penetrò il cuore, e la ferita della lacerazione +divenne bruciante. +{15} Era una calda giornata estiva,155 verso mezzogiorno, e mi incamminai +nel giardino. Quando arrivai all’ombra degli alti alberi, incontrai ΦΙΛΗΜΩΝ che +stava passeggiando nella fragranza dell’erba. Ma appena feci per avvicinarmi a +lui, dall’altro lato arrivò un’ombra azzurra,156 e subito ΦΙΛΗΜΩΝ, al vederla, +disse: «Ti trovo nel giardino, amato. Il peccato del mondo ha conferito bellezza +al tuo volto. +Il dolore del mondo ha elevato la tua statura. +Tu sei veramente un re. +La tua porpora è sangue. +Il tuo ermellino è neve dal gelo polare. +La tua corona è l’astro del sole che tu porti sul capo. +Benvenuto nel giardino, mio Signore, mio amato, fratello mio!». +Allora l’ombra replicò: «Oh Simon Mago,157 o qualunque sia il tuo nome, sei tu +nel mio giardino, oppure sono io a essere nel tuo?». +ΦΙΛΗΜΩΝ disse: «Tu sei nel mio giardino, o Signore. Elena, o comunque tu +voglia chiamarla, e io siamo i tuoi servitori. Tu puoi trovare dimora presso di + noi. Simone ed Elena sono diventati ΦΙΛΗΜΩΝ e BΑUKΙS, e così siamo diventati +ospiti degli dèi. Abbiamo dato ospitalità al tuo orribile verme. E quando compari +tu, noi ti accogliamo. Quello che hai intorno è il mio giardino».158 +L +’ombra rispose: «Non è mio questo giardino? Non è mio il mondo dei cieli e +degli spiriti?». +ΦΙΛΗΜΩΝ disse: «Tu ti trovi, o Signore, nel mondo degli uomini. Gli uomini +sono mutati. Non sono più gli schiavi o gli ingannatori degli dèi, e non piangono +più nel tuo nome, ma danno ospitalità agli dèi. Prima di te è venuto l’orrendo +verme159 che probabilmente conosci, tuo fratello, in quanto sei di natura divina, +e tuo padre, in quanto sei stato di natura umana. Tu l’hai scacciato da te quando +ti diede un astuto consiglio nel deserto.160 Accettasti il consiglio, ma scacciasti +da te il verme: lui trovò posto da noi. Ma dove lui è, lì sarai anche tu.161 +Quand’ero Simone, cercai di sfuggirgli con il trucco della magia, e così sfuggii a +te. Adesso che ho fatto posto al verme nel mio giardino, tu vieni da me». +L’ombra replicò: «Finirò sotto il potere del tuo inganno? Mi hai catturato di +nascosto? Il tuo modo di fare non è forse sempre stato l’inganno?». +Ma ΦΙΛΗΜΩΝ rispose: «Riconosci, mio Signore e amato, che la tua natura è +anche quella del serpente.162 Non fosti innalzato sul legno come il serpente? +Non hai messo da parte il tuo corpo, come il serpente la sua pelle? Non hai +praticato l’arte medica allo stesso modo del serpente? Non sei andato all’inferno +prima della tua ascensione? E non vedesti lì tuo fratello ch’era stato rinchiuso +nell’abisso?».163 +Allora l’ombra disse: «Tu dici il vero. Non stai mentendo. Però... sai che cosa +ti porto?». +«Non lo so», rispose ΦΙΛΗΜΩΝ, «so soltanto una cosa: che chiunque ospita il +verme ha bisogno anche di suo fratello. Che cosa mi porti, mio bell’ospite? I doni +del verme sono stati la desolazione e l’abominio. Tu che cosa ci darai?». +L +’ombra rispose: «Io ti porto la bellezza della so௸erenza. È quello di cui ha +bisogno chi ospita il verme». + +Epilogo1 + + + +1959 +Ho lavorato a questo libro per sedici anni. Me ne ha distolto il mio incontro +con l’alchimia nel 1930. L +’inizio della ௹ne sopraggiunse nel 1928, quando +Wilhelm mi spedì il testo di un trattato alchemico, Il ௬ore d’oro. A quel punto il +contenuto di questo libro trovò la sua strada verso la realtà e non potei più +continuare a lavorarci. All’osservatore super௹ciale esso si presenterà come +un’assurdità. E lo sarebbe e௸ettivamente diventato, se non fossi riuscito a +cogliere la forza travolgente delle esperienze originarie. Con l’aiuto +dell’alchimia, alla ௹ne sono riuscito a sistemarlo in un tutto organico. Ho sempre +saputo che quelle esperienze contenevano qualcosa di prezioso, e perciò non ho +saputo far niente di meglio che trascriverle in un libro «prezioso», ovvero con un +suo prezzo, e dipingere – meglio che potevo – le immagini che emergevano +mentre le rivivevo. So che è stata un’impresa spaventosamente inadeguata, ma +nonostante il molto lavoro e le distrazioni le sono rimasto fedele, anche se io mai +un’altra / possibilità… + +Appendice + Appendice A +Mandala +1. Abbozzo di mandala (cm 19,4×14,3). A quanto pare, primo di una serie di ventisette mandala +(vedi sopra). Datato 2 agosto 1917. Costituisce la base per l’immagine 80. Scritta centrata in alto: +«ΦΑΝΗΣ» (Phanes) (Vedi sopra). Scritta in basso: «Stoffwechsel im Individuum» (Metabolismo di un +individuo). + +2. Abbozzo di mandala (cm 14,9×12,4). Datato 4 e 7 agosto 1917. Costituisce la base per +l’immagine 82. + +3. Abbozzo di mandala (cm 18,2×12,4). Datato 1° settembre 1917. Costituisce la base per +l’immagine 89. + +4. Piantina topogra௹ca del sogno di Liverpool (cm 13,3×19,1). Da LN7, p. 124b. Costituisce la +base per l’immagine 159, collegando il sogno con il mandala. Scritta in alto: «Ich sehe den +Stadtplan» (Vedo la pianta della città). Scritte all’interno, a partire da sinistra: «Abitazione +dello svizzero», sopra «case»; al centro: «isola», «albero», «lago», sotto «case»; a destra: +«strade», sopra «case». + +5. Systema Munditotius (cm 30×34). Pubblicato anonimo nel 1955 in un numero speciale della +rivista culturale «Du» dedicato ai Convegni di Eranos. In una lettera dell’11 febbraio 1955 a +Walter Corti (AJ), Jung, dopo aver espresso il desiderio di non comparire come autore +dell’immagine, aggiunse la seguente spiegazione: «[Il mandala] ra௻gura gli opposti del +microcosmo all’interno del mondo macrocosmico e delle sue antinomie. Alla sommità sta la +௹gura del fanciullo nell’uovo alato, chiamato Erikapaios o Fanes, che in tal modo rimanda, +come ௹gura spirituale, agli dèi or௹ci. Il suo oscuro antagonista nel profondo viene qui indicato +come Abraxas. Egli rappresenta il dominus mundi, il signore di questo mondo ௹sico, ed è un +creatore di natura contraddittoria. Da lui scaturisce l’albero della vita, con la scritta vita, +mentre la sua controparte in alto è un albero di luce a forma di candelabro a sette bracci, con +le scritte ignis (fuoco) ed Eros (amore). La sua luce mira al mondo spirituale del fanciullo +divino. Di questo mondo spirituale fanno parte anche l’arte e la scienza: la prima rappresentata +come serpente alato, la seconda come topo alato (in quanto attività dello scavare buche!). – Il +candelabro si basa sul principio del numero spirituale tre (due volte tre ௹amme, con l’unica +௹amma grande al centro), mentre il mondo inferiore di Abraxas è caratterizzato dal cinque, il + numero dell’uomo naturale (due volte le cinque punte della sua stella). Gli animali che lo +accompagnano nel mondo naturale sono un mostro diabolico e una larva. Quest’ultima +rimanda alla morte e alla rinascita. Un’altra suddivisione del mandala è quella orizzontale: un +cerchio interno che simboleggia il corpo oppure il sangue; da esso esce (a sinistra) il serpente, +che si avvolge intorno al fallo, principio generativo. Il serpente è chiaro e oscuro, mira al +mondo oscuro della terra, della luna e del vuoto (perciò è indicato come Satana). Il regno +luminoso della pienezza si trova a destra, dove dal cerchio chiaro frigus sive amor dei [freddo o +l’amore di Dio] si libra la colomba dello Spirito Santo, e dove la saggezza (Sophia) si riversa a +destra e a sinistra da un calice a due coppe. Questa sfera femminile è quella del cielo. – Il +cerchio maggiore, contraddistinto dalle punte o dai raggi, rappresenta un sole interiore; +all’interno di questa sfera è ripetuto il macrocosmo, ma con il sopra e il sotto scambiati +specularmente. Occorre immaginare che queste ripetizioni siano innumerevoli e che via via si +rimpiccioliscano ௹no a raggiungere il centro più interno, il microcosmo vero e proprio». Il +mandala è riprodotto in Aniela Ja௸é (a cura di), C. G. Jung. Immagine e parola (1977), Magi, +Roma 2003, p. 77. © Stiftung der Werke von C. G. Jung, per gentile concessione della +fondazione e di Robert Hinshaw. + +6. Abbozzo del Systema Munditotius (cm 22,9×17,8). Da LN5, p. 169, 16 gennaio 1916. Per un +approfondimento, vedi oltre, app. C. +Legenda: + =Anthropos. Uomo + =Anima umana + =Serpente=anima terrena + =Uccello=anima celeste + =Madre celeste + =Fallo (Diavolo) + =Angelo + =Diavolo + =Mondo celeste + =Anima umana + =Sole, occhio del pleroma + =Luna, occhio del pleroma +[Vicino alla Luna] +[Verso il Sole] +Luna=Satana +Sole=Dio + =Dio dei ranocchi=Abraxas + =La pienezza + =Il vuoto + =Fiamma, fuoco +Amore=Eros, un demone + =Dèi, stelle senza numero +Il punto centrale è nuovamente il pleroma. Il Dio in esso è Abraxas, un mondo di demoni lo +incornicia, e nuovamente in un punto centrale è l’umanità, che comincia e finisce. + Appendice B +Commenti + + + +Età +Maschile +Enantiodromia del tipo di vita +MC, pp. 86-951 +È di௻cile estrarre a tutti i costi da quest’immagine un messaggio. Essa è però +talmente allegorica che dovrebbe parlare da sé. Di௸erisce dalle esperienze +precedenti per il fatto di essere molto più legata alla visione che all’esperienza +vissuta. Generalmente tutte le immagini da me riunite sotto il termine di +«rappresentazione dei misteri» sono più esperienze di tipo allegorico che vere e +proprie esperienze vissute. Del resto esse non sono allegorie intenzionali, non +sono state inventate coscientemente al ௹ne di ra௻gurare qualcosa in modo +velato o fantastico, ma sono apparse come visioni. Solo quando le rielaborai +successivamente mi resi sempre più conto che esse non potevano assolutamente +essere paragonate alle esperienze descritte negli altri capitoli. Queste immagini +sono manifestamente visioni di pensieri inconsci personi௹cati. Ciò deriva dalla +loro speci௹ca natura ௹gurativa. Esse mi hanno anche richiesto uno sforzo di +ri௺essione e di interpretazione maggiore rispetto alle altre esperienze a cui non +potevo rendere giustizia con la ri௺essione, proprio perché sono semplicemente +qualcosa di vissuto. Invece le immagini della «rappresentazione dei misteri» +personi௹cano principi che sono accessibili al pensiero e alla comprensione +intellettuale e che al tempo stesso, in virtù del loro carattere allegorico, +sollecitano un simile tentativo di spiegazione. +Luogo dell’azione è un’oscura profondità della terra, evidentemente una +rappresentazione allegorica della profondità interiore situata al di sotto +dell’area luminosa della coscienza o dell’orizzonte psichico. L +’immergersi in una +simile profondità coincide con un allontanare lo sguardo mentale dalle cose +esteriori per focalizzarlo sull’oscura profondità interiore. Se si volge lo sguardo +all’oscurità, in un certo modo lo sfondo precedentemente oscuro prende ad +animarsi. Dato che la contemplazione dell’oscurità avviene senza un’aspettativa +consapevole, l’inanimato sfondo psichico è in grado di lasciar a௻orare i propri +contenuti senza essere disturbato da presupposti consci. +Le esperienze precedenti indicavano già la presenza di forti movimenti +psichici che la coscienza non poteva cogliere. Senza che la coscienza se lo +aspetti, ma in modo caratteristico per lo spirito mitologico che sta alla base +della coscienza, si presentano al centro dell’attenzione due ௹gure:il vecchio + saggio e la giovane. Questa con௹gurazione è un’immagine che ricorre +perennemente nello spirito umano. L +’anziano rappresenta un principio spirituale +che si potrebbe indicare come Logos, mentre la fanciulla rappresenta il principio +non spirituale del sentimento che si potrebbe chiamare Eros. Un derivato del +Logos è il Nous, l’intelletto, che si è disfatto della mescolanza con sentimento, +presagio e sensazione. Invece il Logos contiene questa mescolanza. Esso non è +però il prodotto di tale mescolanza, altrimenti sarebbe un’attività psichica +elementare e animalesca, ma domina la mescolanza, di modo che le quattro +attività fondamentali della psiche si subordinano al suo principio. Esso è un +autonomo principio formale che signi௹ca comprensione, intuizione, previsione, +ordinamento, saggezza. Un’allegoria appropriata per questo principio è quindi la +figura di un vecchio profeta, poiché lo spirito profetico riunisce in sé tutte queste +qualità. Al contrario, Eros è un principio che, pur contenendo ugualmente una +mistura di tutte le attività fondamentali della psiche e padroneggiandole non +meno bene, ha tuttavia una destinazione completamente diversa. Esso non dà +forma, ma riempie la forma; è il vino che viene versato nel recipiente; non è il +letto del ௹ume e non è neppure la direzione della corrente, ma l’irruenza +dell’acqua che vi scorre. L +’Eros è bramosia, desiderio, vigore, esuberanza, +piacere, passione. Il Logos è ordine e perseveranza, l’Eros dissoluzione e +movimento. Sono due fondamentali potenze psichiche che rappresentano una +coppia di opposti, ciascuno dei quali condiziona l’altro. +Nell’età avanzata del profeta è espressa la perseveranza, nella giovinezza +della ragazza è espresso il movimento. La loro natura sovrapersonale è +espressa nel fatto che sono ௹gure appartenenti alla storia universale +dell’umanità; non appartengono a una persona, ma sono da sempre un contenuto +spirituale dei popoli. Tutti possiedono tali ௹gure, per questo ci si imbatte in esse +continuamente nelle opere dei pensatori e dei poeti. +Tali immagini primordiali hanno un potere segreto che agisce tanto +sull’intelletto quanto sul cuore dell’uomo. Ovunque si presentino, esse smuovono +in lui qualcosa che è legato al misterioso, a ciò ch’è scomparso da lungo tempo +ed è carico di presentimenti. Risuona una corda la cui vibrazione riecheggia nel +petto di ogni essere umano; in ciascuno, infatti, risiedono queste immagini +primordiali, poiché esse sono patrimonio di tutta l’umanità.2 Questa potenza +segreta è come un incantesimo, come una magia, e produce allo stesso modo +elevazione e seduzione. La caratteristica delle immagini primordiali è che esse +a௸errano l’uomo là dove egli è uomo solamente, ed egli viene a௸errato da una +forza come se fosse spinto dall’accalcarsi di un intero popolo. E questo accade +anche quando vi si oppongono l’intelletto e il sentimento del singolo. Che cos’è la +forza di un singolo di fronte alla voce dell’intero popolo che si fa sentire in lui? +Egli ne viene ammaliato, a௸errato e divorato. Nulla più del serpente può +esprimere con chiarezza tale effetto. Esso significa tutto ciò che di pericoloso, di + malvagio, di notturno e di perturbante è tipico sia del Logos sia dell’Eros ௹nché +possono agire come principi oscuri e non riconosciuti dello spirito inconscio. +La casa indica una dimora ௹ssa, il che denota che Logos ed Eros dimorano in +noi in modo durevole. +Salomè è rappresentata come la ௹glia di Elia. Così è espresso il rapporto di +successione. Il profeta è il suo genitore, lei è la sua creatura. Il fatto che essa +sia abbinata a lui come ௹glia allude a una subordinazione dell’Eros al Logos. Per +quanto questo rapporto – come risulta dalla costanza di tali immagini primordiali +– sia molto frequente, esso è tuttavia un caso particolare, che non ha dunque +validità universale. Infatti, se si tratta di due principi che stanno tra loro in un +rapporto di opposizione, l’uno non può derivare dall’altro e così dipendere dal +primo. Perciò Salomè apparentemente non è una vera incarnazione di Eros, ma +una varietà di esso. (Questa supposizione troverà conferma più avanti). Che +essa sia e௸ettivamente un’allegoria non esatta dell’Eros si evince anche dal +fatto che essa è cieca. L +’Eros non è cieco, in quanto dispone – come il Logos – di +tutte le attività fondamentali dell’anima. La cecità indica la sua incompletezza e +la sua mancanza di una caratteristica essenziale. Grazie a questa sua mancanza, +essa dipende dal padre. +Le pareti vagamente scintillanti della sala rimandano a qualcosa di incognito, +forse di prezioso, che ridesta la curiosità e attira su di sé l’attenzione. In tal +modo la partecipazione creativa viene coinvolta nell’immagine in maniera +ancora più profonda, il che permette un’animazione dello sfondo oscuro ancora +più grande. A causa dell’aumento di attenzione, si crea l’immagine di un oggetto +che esprime propriamente la concentrazione, ed esattamente l’immagine di un +cristallo che viene utilizzato da sempre per produrre simili visioni. Le ௹gure, che +dapprima sono incomprensibili per colui che guarda, provocano nella sua psiche +processi misteriosi, che in un certo senso si trovano a un livello ancora più +profondo (all’incirca come nella visione del sangue) e che per poter essere +percepiti richiedono l’ausilio di un cristallo. Ma con ciò, come già detto, non si +esprime altro che una concentrazione dell’attenzione creativa ancora più forte. +Una ௹gura come quella del profeta, di per sé completa e chiara, attira la +curiosità meno della ௹gura inattesa di una cieca Salomè, per cui ci si può +aspettare che il processo formativo si volgerà per prima cosa alla questione +dell’Eros. È questo il motivo per cui la prima a comparire è un’immagine di Eva, +insieme a quella dell’albero e del serpente. Evidentemente con ciò si intende la +seduzione, elemento che è già inconfondibile nella ௹gura di Salomè. La +seduzione determina un ulteriore movimento verso il lato dell’Eros. Ne deriva il +presagio di molteplici possibilità di avventura, la cui immagine appropriata è +costituita dalla peregrinazione di Odisseo. Quest’immagine è stimolante e +invitante per il gusto dell’intraprendenza: è come se si aprisse una porta verso +una nuova opportunità in grado di liberare lo sguardo dall’oscura ristrettezza e + profondità di cui egli era prigioniero. Di qui il fatto che la visione si apra su un +giardino soleggiato, i cui alberi dalla ௹oritura rosseggiante rappresentano +un’apertura del sentimento erotico e il cui pozzo signi௹ca una sorgente +continua. La fresca acqua del pozzo, che non dà ebbrezza, rimanda al Logos. +(Ed è per questo motivo che anche Salomè, più tardi, parlerà dei «pozzi» +profondi del profeta). Con ciò si allude al fatto che il manifestarsi dell’Eros +significa anche una fonte di conoscenza. E a questo punto Elia inizia a parlare. +In questo mio caso, il Logos ha indubbiamente la prevalenza, in quanto Elia +dice che lui e sua ௹glia sono sempre stati una cosa sola. E tuttavia Logos ed +Eros non sono una cosa sola, ma due. In questo caso però il Logos ha accecato a +suo favore e soggiogato l’Eros. Ma se così vanno le cose, emergerà la necessità +di liberare l’Eros dalla stretta del Logos, a௻nché il primo recuperi nuovamente +la vista. Salomè si rivolge infatti a me, perché l’Eros ha bisogno di aiuto, e +perché anch’io sono chiamato ovviamente solo per questo motivo a contemplare +quest’immagine. La psiche maschile è più incline al Logos che all’Eros, il quale +meglio caratterizza la natura femminile. La repressione dell’Eros da parte del +Logos non spiega soltanto la cecità dell’Eros, ma anche il fatto, di per sé +sorprendente, che l’Eros sia rappresentato proprio dalla ௹gura poco piacevole +di Salomè. Salomè signi௹ca cattive qualità. Essa richiama alla mente non +soltanto l’assassinio del santo,3 ma anche l’incestuoso compiacimento del padre. +Un principio ha sempre la dignità dell’indipendenza. Ma se questa dignità gli +viene tolta, esso è umiliato e allora assume una forma sgradevole. Sappiamo +bene che le attività e le caratteristiche psichiche il cui sviluppo viene inibito +mediante la repressione, degenerano e si alterano. A un’attività positiva +subentra un vizio palese o nascosto, dando origine a una disarmonia della +personalità che comporta una so௸erenza morale oppure una vera e propria +malattia. A chi voglia liberarsi da tale so௸erenza resta aperta un’unica strada: +prendersi cura della parte repressa della propria psiche; addirittura amare la +propria inferiorità, i propri vizi, a௻nché ciò che è degenerato ritrovi la via dello +sviluppo. Ma proprio questo è infinitamente difficile e incerto. +Ovunque domini il Logos c’è ordine, ma c’è anche troppa costanza. A ciò ben si +addice l’allegoria del paradiso, in cui non esiste la lotta, e di conseguenza +neppure lo sviluppo. In simile stato di cose il movimento represso degenera, il +suo valore si perde. È l’assassinio del santo, e l’assassinio avviene perché il +Logos, al pari di Erode, non è in grado di proteggere il santo a causa della sua +debolezza, poiché non può far a meno di restar fedele a se stesso, spingendo +appunto l’Eros alla sua degenerazione. Solo la disubbidienza al principio +dominante fa uscire da questa condizione di persistenza priva di sviluppo. La +storia del paradiso si ripete, e perciò il serpente si sta anche già avvinghiando +all’albero, perché Adamo dev’essere sedotto e indotto alla disobbedienza. +Ogni sviluppo passa attraverso ciò che non è sviluppato, ma che è in grado di + svilupparsi. Nella sua condizione di non-sviluppo tale elemento è quasi senza +valore, mentre ciò che è sviluppato rappresenta indubitabilmente un valore +altissimo. E bisogna rinunciare a questo valore, o rinunciarvi almeno in +apparenza per potersi interessare di ciò che non è sviluppato. Ma quest’ultimo è +in nettissima opposizione con ciò che è sviluppato, che rappresenta forse la +nostra prestazione migliore e più grande. L +’adozione di ciò che non è sviluppato +è perciò come un peccato, come un passo falso, una degenerazione, una discesa +a un livello più basso, ma in verità è un passo più grande che rimanere fermi in +una condizione di ordine, a sfavore dell’altro lato della nostra esistenza, che in +questo modo è in balia del decadimento. +MC, pp. 103-194 +Il luogo dell’azione è lo stesso della prima immagine. L +’accenno a un cratere +ra௸orza l’impressione di una grande profondità che in un certo qual modo si +spinge ௹n nelle viscere della terra e che tuttavia non è inattiva, ma espelle con +forza dei contenuti. +Visto che l’Eros è in un primo tempo l’elemento più problematico, ecco Salomè +che entra in scena avanzando a tentoni, alla cieca, cercando a sinistra la propria +via. In queste immagini visionarie sono signi௹cativi anche quei dettagli che +parrebbero inezie. La sinistra è il lato di ciò che è sfavorevole. Con questo si +accenna al fatto che l’Eros non ha propensione a volgersi verso destra, che è il +lato della coscienza, del volere e della scelta consapevoli, ma verso la parte in +cui è situato il cuore, parte che è anche meno assoggettata alla nostra volontà +consapevole. Questo movimento verso sinistra viene sottolineato dal fatto che +anche il serpente segue Salomè. Il serpente è la forza magica che compare +sempre là dove gli impulsi animaleschi vengono stimolate a nostra insaputa +senza essere da noi riconosciute. Esse danno al movimento dell’Eros quel vigore +perturbante che noi avvertiamo come magico. L +’e௸etto magico è un +ammaliamento e un’accentuazione del nostro pensare e sentire mediante oscuri +moti pulsionali di natura animale. +Il movimento verso sinistra è cieco, ovvero non ha scopo né intenzione. Esso +ha perciò bisogno di essere guidato, non però dall’intenzione consapevole, ma +dal Logos. Elia richiama indietro Salomè. La sua cecità è una so௸erenza, e una +so௸erenza richiede di essere guarita. Il pregiudizio nei suoi confronti viene +superato almeno in parte grazie a una contemplazione più ravvicinata. Lei +sembra essere innocente, per cui la sua malvagità va attribuita forse proprio +alla sua cecità. +Col richiamare indietro Salomè, il Logos a௸erma il proprio potere sull’Eros. +Anche il serpente gli obbedisce. Esso è collocato dinanzi al Logos e all’Eros, per +sottolineare il potere e la signi௹catività di quest’immagine. Una conseguenza +naturale di questa visione magicamente potente dell’unione di Logos ed Eros si + trova nella piccolezza e insigni௹canza dell’Io, che sono fortemente avvertite, e +che vengono espresse da una sensazione di giovinezza. +Sembrerebbe che il movimento verso sinistra, seguendo il cieco Eros, non sia +possibile e in un certo senso non sia consentito senza l’intervento del Logos. Dal +punto di vista del Logos seguire ciecamente un movimento è un peccato, perché +è unilaterale e insieme viola la legge per cui l’uomo deve mirare sempre al più +alto grado di consapevolezza. In questo sta infatti la sua umanità. Il resto egli lo +ha in comune con gli animali. Anche Gesù dice: «Se sai quello che fai sei beato; +ma se non lo sai sei maledetto».5 Il movimento verso sinistra sarebbe possibile e +ammissibile soltanto se ne esistesse una comprensione consapevole, e non +cieca. Ma senza l’intervento del Logos è impossibile arrivare a una simile +comprensione. +Il primo passo per sviluppare questa comprensione è la presa di coscienza +della meta o dell’intenzionalità del movimento. Per questo Elia s’informa circa +l’intenzione dell’Io. E quest’ultimo deve confessare la cecità, ovvero la propria +ignoranza riguardo all’intenzionalità. L +’unica cosa che si può riconoscere è un +anelito, un desiderio di risolvere la complicazione creatasi con la prima +immagine. +Questa presa di coscienza suscita in Salomè un lieve moto di felicità. Ciò è +comprensibile, in quanto la presa di coscienza equivale al ridare la vista, e +quindi alla guarigione della sua cecità. Così viene fatto un passo verso la meta +della guarigione dell’Eros. +L +’Io resta dapprima fermo nella sua situazione di inferiorità poiché, a causa +della propria ignoranza, non può rendersi conto dell’ulteriore sviluppo del +problema. Esso non saprebbe neppure indicare quale direzione sia da prendere, +poiché non ha ancora mai gettato lo sguardo nelle profondità del suo substrato +psichico, ma ha soltanto guardato verso ciò che è esteriore e consapevole, e +riconosciuto come potenze operanti soltanto le forze della coscienza e del +mondo conscio, negando semiconsapevolmente i propri moti interiori. Messo di +fronte alle proprie profondità, un simile Io può soltanto provare imbarazzo. La +sua fede nel proprio mondo superiore conscio era stata talmente consolidata che +una discesa nel profondo del Sé equivale a una colpa, a un’infedeltà verso gli +ideali consci. +Ma siccome il suo anelito a risolvere le complicazioni è più grande della sua +repulsione per la propria inferiorità, l’Io si a௻da alla guida del Logos. Poiché +nulla sembra in grado di offrire risposta alla questione formulata, evidentemente +bisogna trovare l’accesso a una profondità ancora maggiore. Ciò accade ancora +una volta con l’aiuto del cristallo, ossia mediante la massima concentrazione +dell’attenzione già vigile. La prima immagine ad apparire nel cristallo è la +Madre di Dio col Bambino. +Quest’immagine è manifestamente in rapporto e anche in contrapposizione + con la visione di Eva nella prima immagine. Come Eva rappresenta la tentazione +carnale e la maternità incarnata, così la Madre di Dio personi௹ca la verginità +carnale e la maternità spirituale. La spinta iniziale sarebbe un movimento +dell’Eros verso la carne, quella ௹nale un movimento verso lo spirito. Eva è +l’espressione del lato carnale, mentre Maria è l’espressione del lato spirituale +dell’Eros. Fintantoché l’Io vedeva soltanto Eva era cieco. Ma la presa di +coscienza dischiude una visione spirituale dell’Eros. Nel primo caso l’Io è +diventato un Odisseo, in una peregrinazione avventurosa che si conclude con il +ritorno dell’uomo attempato dalla donna materna, Penelope. +Nel secondo caso l’Io viene ra௻gurato come Pietro, come la rocca pietrosa +prescelta sulla quale dev’essere fondata la Chiesa. Quest’idea viene avvalorata +dalle chiavi quali simbolo del potere di legare e di sciogliere e introdotta +mediante l’immagine del papa quale rappresentante di Dio in terra, con la +triplice corona. +Non v’è dubbio che qui l’Io viene coinvolto in una spinta verso il potere +religioso. Ciò si spiega con l’unilateralità del movimento. La visione di Eva +seduce portando a una peregrinazione avventurosa, da Circe e da Calipso. +Invece la visione della Madre di Dio distoglie il desiderio dalla carne, per +volgerlo all’umile venerazione dello spirito. L +’Eros incarnato è soggetto +all’errore, in versione spiritualizzata invece esso si eleva al di sopra della carne +e dell’inferiorità di chi resta nell’errore carnale. Però, sotto forma di amore per +lo spirito, esso diventa quasi impercettibilmente potere sulla carne, e dalle +spoglie dell’amore si s௹la via il potere religioso, che crede di amare lo spirito ma +che in verità e di fatto è un dominio sulla carne. E quanto più è potere, tanto +meno è amore. E quanto meno è amore per lo spirito, tanto più è potere +carnale. E così, a motivo del suo potere sulla carne, l’amore per lo spirito +diventa spinta al potere mondano sotto sembianze religiose. +Cristo ha vinto il mondo addossandosi le so௸erenze del mondo. Ma il Buddha +ha vinto entrambi, i piaceri e le so௸erenze del mondo, liberandosi dai piaceri e +dalle so௸erenze. E così egli entrò nella non-esistenza, nella condizione da cui +non c’è ritorno. Buddha è un potere religioso ancora più elevato, che non prova +più neppure piacere nel dominare la carne, poiché piacere e so௸erenza sono +interamente scomparsi alle sue spalle. La passione, che nel superamento di se +stessa è ancora così potente in Cristo e che ha bisogno di se stessa +continuamente e in misura sempre maggiore per il trionfo del proprio superarsi, +è fuoriuscita da Buddha e lo circonda come un fuoco divampante. Egli non ne +viene toccato ed è intoccabile. +Ma se l’Io vivente si avvicina a questa condizione, tuttavia non morrà la sua +passione, anche se essa lo abbandonerà. L +’individuo non è forse la propria +passione? E che cosa succede alla sua passione quando essa abbandona l’Io? +L +’Io è la coscienza, e la coscienza ha occhi solo davanti. Non vede mai quello + che le sta alle spalle. Ma lì si concentra la sua passione che l’Io ha superato +davanti a sé. Non guidato dall’occhio della ragione, non mitigato dall’aspetto +umano, il fuoco diventa una Kali devastante, assetata di sangue, che divora +dall’interno la vita dell’uomo, come dice il mantra della sua cerimonia +sacri௹cale: «Salve, o Kali, dea dal triplice occhio, dall’aspetto tremendo, al cui +collo è appesa una collana di teschi umani. Che tu sia onorata con questo +sangue!». +Salomè dovrà certamente disperare di un tale ௹nale, che vorrebbe tramutare +l’Eros in spirito, poiché l’Eros non può fare a meno della carne. Se l’Io si oppone +all’inferiorità della carne, però anche la sua anima femminile, che incarna tutto +ciò che la coscienza vorrebbe so௸ocare, si oppone allo spirito. Così anche +questa via sfocia nel con௺itto. Per questo l’Io, dalla contemplazione, torna +indietro alle figure che incarnano il suo dilemma. +Nuovamente Logos ed Eros stanno insieme, come se avessero superato quel +con௺itto fra spirito e carne. Sembrano conoscere la soluzione. La spinta verso +sinistra, che all’inizio dell’immagine ha preso avvio dall’Eros, avviene ora a +partire dal Logos. Quest’ultimo innesca il movimento verso sinistra per +concludere con occhi che vedono ciò che è iniziato nella cecità. Dapprima esso +conduce in un’oscurità che si intensi௹ca, ma che poi viene discretamente +illuminata dalla luce rossastra. Il colore rosso rimanda all’Eros, che pur non +emettendo una luce vivida, perlomeno o௸re una possibilità di riconoscere +qualcosa, magari semplicemente mettendo l’uomo in una situazione in cui egli +può riconoscere qualcosa se assistito dal Logos. +Elia si appoggia al leone di marmo. In quanto animale regale, il leone signi௹ca +potere. La pietra rimanda alla saldezza imperturbabile. Con ciò si esprimono il +potere e la saldezza del Logos. Ancora una volta si comincia dapprima a rendere +consapevoli, stavolta a una profondità maggiore e in un ambiente nuovo. L +’Io +percepisce la propria piccolezza ancora di più, in quanto qui è ancora molto più +distante dal mondo che conosce, dove è conscio del proprio valore e signi௹cato. +Qui non c’è nulla che possa ricordargli il suo signi௹cato. Ovviamente perciò esso +è sopra௸atto da una tale diversità di essere, che è completamente sottratta alla +sua discrezionalità. La ௹gura di Elia assume la guida nel processo della presa di +coscienza. +Come le visioni attraverso il cristallo hanno mostrato, l’idea che dovrebbe +essere portata al livello della coscienza è un’idea di potere religioso; l’Io è stato +tentato di arrogarsi il diritto di essere un profeta. Ma quest’idea ha incontrato +un sentimento di resistenza tale da non potersi a௸ermare contro la coscienza, +rimanendo perciò dietro il sipario. Siccome l’Io non ha potuto seguire +ciecamente l’Eros, ha voluto perlomeno scambiarlo – per equilibrare tale +perdita – con il potere religioso: un fenomeno che osserviamo con straordinaria +frequenza nella vita umana! È anche quasi inevitabile che una perdita così grave + come quella dell’Eros induca l’uomo a cercare una compensazione almeno nella +sfera del potere. Ciò accade in maniera così segretamente astuta che il più delle +volte l’Io stesso non si avvede del trucco. Ragion per cui un simile Io solitamente +non può poi nemmeno rallegrarsi di possedere potere, poiché esso non possiede +potere, ma è posseduto dal demone del potere. In questo caso sarebbe stato +facile per l’Io cogliere il fatto che la ௹gura di Elia si sia imposta con tale vivida +realtà, e rivendicare per sé quella ௹gura come un valore personale. Ma la presa +di coscienza ha impedito quest’inganno. +La comparsa di ௹gure viventi non va infatti assunta in riferimento alla propria +persona, anche se naturalmente si è propensi a sentirsi in un certo qual modo +responsabili per tali ௹gure. In realtà, però, esse appartengono alla nostra +personalità altrettanto o altrettanto poco delle nostre mani o dei nostri piedi. Il +semplice fatto che si disponga di mani e di piedi non è caratteristico della +personalità. Se qualcosa in loro è caratteristico è soltanto la loro natura +individuale. Così per l’Io è caratteristico il fatto che il vecchio e la giovane +ragazza vengano de௹niti proprio come Elia e Salomè; essi avrebbero potuto +chiamarsi anche Simon Mago ed Elena. È però signi௹cativo che essi abbiano +sembianze bibliche. Come risulterà in seguito, ciò rientra nelle peculiarità delle +complicazioni psichiche presenti in questo momento. +Con la presa di coscienza dell’idea seducente del potere religioso ritorna in +primo piano la questione dell’Eros, ancora una volta in una forma nuova: sia la +possibilità allusa da Eva che quella incarnata da Maria sono escluse. Resta +quindi la terza possibilità, che evita sia l’estremo della carne che quello dello +spirito, ovvero il rapporto ௹liale: Elia come padre, Salomè come sorella, l’Io +come ௹glio e fratello. Questa soluzione corrisponde all’idea cristiana della +௹gliolanza divina. La madre, ancora assente, viene integrata in maniera +estremamente imbarazzante da Salomè in quanto Maria. Anche le ripercussioni +sull’Io sono conformi a ciò. La soluzione cristiana della ௹gliolanza ha qualcosa di +innegabilmente catartico, poiché essa appare come qualcosa di assolutamente +possibile. In ciascuno di noi è ancora vivo l’elemento infantile, nell’anziano esso +è persino l’ultima cosa a essere ancora viva. All’elemento infantile si può far +ricorso in qualsiasi momento, per via della sua inesauribile e perenne +freschezza. Ritraducendola nell’infantile è possibile rendere innocua ogni cosa, +anche quella più sospetta. In fondo, lo si fa già abbastanza sovente nella vita di +ogni giorno. Si riesce persino a neutralizzare una passione riconducendola al +livello infantile, e forse ancora più sovente la ௹amma della passione si spegne in +lacrime infantili. Ci sono dunque parecchie possibilità perché l’elemento infantile +appaia come una soluzione adatta, tra cui non ultime le ripercussioni prolungate +della nostra educazione cristiana, che ci imprime l’idea della ௹gliolanza in +centinaia di formule di preghiera e di canti. +Tanto più devastante dev’essere l’e௸etto dell’osservazione fatta da Salomè, + secondo cui Maria è la madre comune. In questo modo infatti viene meno, sin dal +suo sorgere, la soluzione infantile e si fa emergere immediatamente l’idea che, +se Maria è la Madre, allora inevitabilmente l’Io dev’essere Cristo. La soluzione +infantile avrebbe reso possibile un venir meno di tutti i sospetti: Salomè non +sarebbe più un pericolo, poiché sarebbe la sorellina. Elia sarebbe il ௹do padre +premuroso, alla cui saggezza e preveggenza l’Io, con infantile ௹ducia, si sarebbe +potuto affidare. +Ma il malaugurato svantaggio della soluzione rappresentata dall’idea della +௹gliolanza è questo: che ogni bambino vorrebbe crescere. Fanno parte +dell’essere bambini l’ardente desiderio e l’impazienza di un futuro da adulti. Se +torniamo allo stato di bambini per paura dei pericoli dell’Eros, allora il bambino +vorrà svilupparsi ottenendo potere religioso. Se invece ci rifugiamo nell’infanzia +per paura dei pericoli dello spirito, allora ௹niamo vittime di un Eros che si +arroga il potere. +La situazione in cui ci si trova nella condizione spirituale di ௹gli è un periodo +transitorio in cui non tutti possono rimanere. È comprensibile che in questo caso +sia l’Eros a dimostrare all’Io l’impossibilità di essere un bambino. Si potrebbe +pensare che non sarà troppo grave dover rinunciare alla condizione dell’essere +௹gli. Ma solo chi non si chiarisce le conseguenze di tale rinuncia può pensare a +questo modo. Non è soltanto la perdita delle immemorabili idee cristiane e delle +possibilità religiose da esse assicurate (una perdita sopportata con troppa +leggerezza da molti); invece la perdita si riferisce a quell’atteggiamento, assai +più profondo e ben più ampio della concezione cristiana, che dà all’individuo una +determinata e valida direzione della propria vita e del proprio pensiero. Anche +se ormai da parecchio tempo ci si astiene dal praticare la religione cristiana e si +è smesso da tempo di rimpiangere tale perdita, tuttavia ci si continua ancora a +comportare in modo sentimentale, come se le concezioni originarie avessero il +diritto di esistere. Non si pensa che una visione del mondo accantonata +dev’essere sostituita da una nuova, e soprattutto non ci si avvede che la nostra +attuale morale viene minata dalla rinuncia alla visione cristiana. La rinuncia +all’idea della ௹gliolanza signi௹ca che non è possibile, al livello delle emozioni e +delle abitudini, basarsi su concezioni morali valide sino a questo momento. La +concezione morale ௹nora valida è nata infatti dallo spirito della visione cristiana +del mondo. +Per esempio, malgrado tutta la libertà di pensiero, la nostra posizione +riguardo all’Eros continua a essere la vecchia concezione cristiana. A questo +riguardo non possiamo restare tranquillamente fermi attenendoci a essa senza +porci domande o dubbi, altrimenti restiamo fermi proprio nella condizione di +௹gli. Se ci limitiamo a respingere la concezione dogmatica, la liberazione da ciò +che è stato a noi tramandato è soltanto intellettuale, mentre il nostro sentimento +più profondo continuerà a seguire la vecchia strada. Nella maggior parte dei + casi, però, le persone non si accorgono che questo le mette in una condizione di +profonda lacerazione con se stesse. Ma le generazioni successive lo +percepiranno sempre di più. Comunque, chi se ne rende conto si accorgerà con +sgomento che, rinunciando all’idea della ௹gliolanza, egli fuoriesce dal tempo +attuale e non può più seguire alcuna delle strade abituali. Entra in una terra +nuova che non ha né sentieri battuti né con௹ni. A lui manca qualsiasi +orientamento, poiché ha abbandonato qualsiasi orientamento abituale. Questa +conoscenza d’altra parte diviene chiara soltanto a pochi, poiché la stragrande +maggioranza si accontenta della propria super௹cialità e resta imperturbata di +fronte all’imbecillità della propria condizione spirituale. Non tutti però sono così +tiepidi e ௹acchi. Qualcuno perciò preferirà rifugiarsi nel coraggio della +disperazione anziché voler persistere in una visione del mondo che non ha nulla +a che fare con la troppo dissestata carreggiata del proprio agire abitudinario. +Preferirà avventurarsi in un’oscura terra senza strade, correndo il pericolo di +perirvi, anche se tutta la sua viltà dovesse ribellarvisi. +Quando Salomè a௸erma che la madre comune è Maria (il che in fondo voleva +dire che l’Io è Cristo), si esprime in breve e chiaramente il fatto che l’Io ha +lasciato la condizione cristiana della ௹gliolanza, prendendo così il posto di +Cristo. Naturalmente nulla sarebbe più assurdo del supporre che in questo +modo l’Io si arroghi un’importanza eccessiva; al contrario, esso si colloca in una +posizione decisamente inferiore. Prima esso aveva il vantaggio di essere, +insieme all’intera umanità, al seguito di un potente; adesso, invece, ha scambiato +ciò con la solitudine e con la condizione dell’essersi smarrito. D’altra parte, +rispetto al proprio mondo esso è estraneo e solo quanto Gesù nel suo tempo, +senza però possedere le grandi virtù di quel grand’uomo. Il contrasto col mondo +richiede grandezza, mentre l’Io sente la sua quasi ridicola piccolezza. Questo +spiega l’orrore dell’Io per le rivelazioni di Salomè. +Chiunque fuoriesca dalla concezione cristiana ponendosi al di sopra di essa, e +lo faccia davvero, ௹nisce in un qualcosa che è senza fondo, in una solitudine +estrema che egli non può nascondere a se stesso in alcun modo. Sicuramente +vorrebbe convincersi che le cose non sono così tremende. Ma esse sono proprio +così tremende. Lo stato di abbandono è la cosa peggiore che possa capitare +all’istinto gregario dell’uomo; per non parlare, poi, del compito immane che egli +si addossa. È facile distruggere, ma ricostruire è difficile. +Per cui quest’immagine termina con una sensazione di depressione che si +contrappone invece all’alta ௹amma che divampa tranquilla, cinta dal serpente. +Questo aspetto simboleggia devozione abbinata a una costrizione magica, +espressa dal serpente. In questo modo all’inquietante sensazione del dubbio e +della paura si oppone un e௻cace pendant, come se si dicesse: «Certamente il +tuo Io è pieno di inquietudine e di dubbi, ma ancora più forte brucia in te la +fiamma perpetua della devozione, e più forte è la costrizione del tuo destino». + MC, pp. 127-506 +I grandi presentimenti della seconda immagine gettano l’Io in un caos di dubbi. +Di qui l’emergere di un comprensibile desiderio di elevarsi al di sopra della +confusione per giungere a una chiarezza più alta. Esso trova espressione +nell’immagine della ripida cresta rocciosa. A fare da guida si direbbe sia il +Logos. La prima cosa che ora si pro௹la è l’immagine di due opposti, espressi +nell’immagine dei serpenti, oltre che nella separazione fra giorno e notte. Il +chiaro del giorno signi௹ca il bene, l’oscurità il male. In quanto forze coercitive, +hanno ambedue la ௹gura di serpenti. In ciò è nascosta un’idea che assume +grande importanza per quello che segue: chiunque sarebbe altrettanto +spaventato se incontrasse un serpente bianco o un serpente nero. Non è il +colore a far sparire la paura. In questo modo si indica che, a volte, anche nel +bene può essere insito un potere altrettanto pericoloso e a௸ascinante che nel +male. Di conseguenza, in questa situazione il bene andrebbe considerato +essenzialmente come un principio non meno pericoloso del male. L +’Io, +comunque, avrebbe la stessa di௻coltà a volersi avvicinare al serpente bianco +oppure a quello nero, sebbene creda di potersi o doversi a௻dare in tutti i casi +più al bene che al male. Qui, invece, l’Io resta fermo, come incantato, nel centro +e osserva la lotta dei due principi​ in se stesso. +Il fatto che l’Io mantenga questa posizione di mezzo implica già un’avanzata +del male, poiché si è già distaccati dal bene se non ci si dedica +incondizionatamente a esso. Ciò è espresso dall’attacco del serpente nero. Però +il fatto che l’Io non partecipi del male è già una vittoria del bene. Ciò viene +espresso dal fatto che la testa del serpente nero assume un colore bianco. +La scomparsa dei serpenti signi௹ca che il contrasto fra bene e male è +diventato ine௻cace, che cioè esso ha perlomeno perso la sua importanza +immediata. Per l’Io questo signi௹ca una liberazione dal potere incondizionato +del punto di vista morale ௹nora determinante, in favore di una posizione +mediana, liberata dagli opposti. In questo modo, però, non si è ancora ottenuta +alcuna chiarezza o visione d’insieme; perciò l’ascesa continua ௹no a un punto di +elevazione finale che offre forse tale visione d’insieme. + Appendice C +Sulla cosmologia +dei Septem sermones ad mortuos + + + +LN5, pp. 163-78, 16 gennaio 1916 +Tremenda è la forza del Dio. +Ne saprai ancora di più. Ti trovi nel secondo periodo. Il primo è superato. +Questo è il periodo del dominio del ௹glio, che tu chiami Dio dei rospi. Seguirà un +terzo periodo: quello della ripartizione e del potere equilibrato. +Anima mia, dove sei andata? Sei forse andata dagli animali? +Io collego il superiore e l’inferiore. Collego Dio e animale. Qualcosa in me +proviene dall’animale, qualcosa da Dio e una terza parte dall’uomo. Sotto di te +serpente, in te uomo, sopra di te Dio. Al di là del serpente viene il fallo. E oltre +ancora la terra, quindi la luna, e poi il freddo e il vuoto dello spazio cosmico. +Sopra di te c’è la colomba, o l’anima celeste, in cui sono uniti amore e +preveggenza, così come nel serpente sono uniti veleno e astuzia. L +’astuzia è +l’intelletto del Diavolo, che nota sempre anche le cose più minuscole e trova +pertugi dove meno lo aspettavi. +Se non sono composto dall’unione del superiore e dell’inferiore, mi disgrego in +tre pezzi: il serpente, e sotto questa o altre forme animali io vago e vivo la +natura demonicamente, suscitando paura e desiderio; l’anima umana, ciò che +vive sempre con te; l’anima celeste, con la quale poi indugio tra gli dèi, lontano +da te e a te ignoto, presentandomi sotto forma di uccello. Ciascuna di queste tre +parti è allora autonoma. +Al di là di me c’è la Madre celeste. Il suo opposto è il fallo, la cui madre è la +terra e la cui meta è la Madre celeste. +La Madre celeste è la figlia del mondo celeste. Il suo opposto è la terra. +Il mondo celeste è illuminato dal sole spirituale. Il suo opposto è la luna. E +come la luna è il transito nella morte dello spazio, così il sole spirituale è il +transito nel pleroma, il mondo superiore della pienezza. La luna è l’occhio divino +del vuoto, e lo stesso dicasi del sole è l’occhio divino del pieno. La luna che vedi +è un simbolo, come pure il sole che tu vedi. Sole e luna, vale a dire i loro simboli, +sono dèi. Ci sono anche altri dèi, i loro simboli sono i pianeti. +La Madre celeste è un demone, nel rango inferiore degli dèi, un’abitante del +mondo celeste. +Gli dèi sono favorevoli e sfavorevoli, impersonali, anime siderali, in௺uenze, +forze, padri dei padri delle anime, signori del mondo celeste sia nello spazio che + nella forza. Essi non sono né pericolosi né benevoli, forti e tuttavia ௺essibili, +esplicazioni del pleroma e del vuoto eterno, configurazioni delle qualità eterne. +Il loro numero è in௹nitamente grande e conduce nell’Unico sovraessenziale +che contiene in sé tutte le qualità senza averne alcuna, un tutto e un nulla, totale +dissolversi dell’uomo, morte e vita eterna. +L +’uomo diviene attraverso il principium individuationis. Egli tende verso +l’assoluta individualità, e così facendo condensa sempre più l’assoluta +dispersione del pleroma. In tal modo fa del pleroma un punto che contiene la +massima tensione, ed è esso stesso un astro lucente incommensurabilmente +piccolo, così come il pleroma è incommensurabilmente grande. Quanto più il +pleroma viene condensato, tanto più forte diventa l’astro del singolo. Egli è +circondato da nubi luminose, un corpo celeste in formazione, paragonabile a un +piccolo sole. Egli emette fuoco, perciò si dice: ἐγώ[εἰμι]σύμπλανος ὑμπῖν +ἀστήρ.1 Come il sole, che è anch’esso una tale stella, un Dio e padre dei padri +delle anime, anche l’astro del singolo è un Dio e padre dei padri delle anime. È +visibile a volte esattamente come l’ho descritto. La sua luce è azzurra come +quella di una stella lontana. Esso è molto lontano nello spazio, freddo e solitario, +perché è al di là della morte. Per arrivare alla condizione di singoli individui +abbiamo bisogno di una sostanziosa porzione di morte. Perciò si dice: qeoΙ¢ +e,ste,2 perché c’è un numero in௹nito sia di uomini che dominano la terra sia di +stelle e di dèi che governano il mondo celeste. +Questo Dio è probabilmente quello che sopravvive alla morte degli uomini. Chi +considera cielo la solitudine va in cielo, chi invece la considera inferno va +all’inferno. Chi non porta alle estreme conseguenze il principium individuationis +non diventa Dio, perché non può sopportare la condizione dell’essere un singolo +individuo. +I morti che ci assediano sono anime che non hanno adempiuto al principium +individuationis, altrimenti sarebbero diventati stelle lontane. Nella misura in cui +noi non vi adempiamo, i morti hanno un diritto su di noi e ci assediano, senza che +noi possiamo sfuggire loro. [Fig.]3 +Il Dio dei ranocchi o dei rospi, il decerebrato, è l’unione del Dio cristiano e di +Satana. La sua natura è simile alla ௹amma, egli è simile a Eros, e tuttavia è un +Dio; Eros è soltanto un demone. +Il Dio unico al quale spetta venerazione sta nel mezzo. +Tu devi venerare un unico Dio. Gli altri dèi non importano. +Abraxas è da temere. Fu perciò una liberazione quando egli si separò da me. +Tu non hai bisogno di cercarlo. Lui ti troverà esattamente come ti trova l’Eros. +È il Dio del cosmo, estremamente potente e terribile. È l’impulso creativo, è +forma e creazione, al tempo stesso materia e forza, perciò superiore a tutti gli +dèi sia luminosi che oscuri. Egli strappa via le anime e le getta nella +procreazione. È creatore e creato. È il Dio che sempre si rinnova, nei giorni, nei + mesi, negli anni, nella vita umana, nelle epoche, nei popoli, nei viventi, negli +astri. Egli costringe, è inesorabile. Se lo veneri, accresci il suo potere su di te, +che perciò diventa insopportabile. Faticherai terribilmente a liberarti di lui. +Quanto più ti liberi di lui, tanto più ti avvicini alla morte, giacché lui è la vita +cosmica. Egli è però anche la morte universale. Perciò tu torni in suo potere non +in vita, ma nella morte. Dunque ricordati di lui, non venerarlo, ma non ti illudere +di potergli sfuggire, perché lui è tutt’intorno a te. Tu devi essere in mezzo alla +vita, circondato dalla morte.4 Teso come un croci௹sso, tu sei appeso in lui che è +il terribile e l’immensamente potente. +Ma tu hai in te il Dio unico, il mirabilmente bello e benevolo, il solitario, simile +a una stella, non mosso da nulla, lui che è più vecchio e più saggio del Padre, lui +che ha una mano sicura, che ti guida in tutte le oscurità e in tutto l’orrore della +morte minacciata dal terribile Abraxas. Lui dà gioia e pace, poiché è al di là +della morte e di ciò che è soggetto al cambiamento. Non è né servitore né amico +di Abraxas. Anzi, è un Abraxas lui stesso, ma non per te, bensì in se stesso e nel +suo mondo lontano, poiché tu stesso sei un Dio che vive in spazi lontani e che si +rinnova nelle sue epoche, nelle sue creazioni e nei suoi popoli, essendo per loro +potente tanto quanto Abraxas lo è per te. +Tu stesso sei creatore di un mondo e creatura. +Hai il Dio unico, diventi il tuo Dio unico nel novero infinito degli dèi. +In quanto Dio, sei il grande Abraxas del tuo mondo. In quanto uomo invece sei +il cuore del Dio unico che appare al suo mondo come il grande Abraxas, il +temuto, il potente, colui che dà la pazzia, che dispensa l’acqua di vita, lo spirito +dell’albero della vita, il demone del sangue, colui che reca la morte. +Sei il cuore so௸erente del tuo unico Dio siderale che per il proprio mondo è +Abraxas. +Per questo e perché sei il cuore del tuo Dio, aspira a lui, amalo, vivi per lui. +Temi Abraxas, che governa il mondo degli uomini. Accetta quello che lui ti +impone con la forza, perché è il signore della vita di questo tempo, e nessuno gli +può sfuggire. Se non accetti, lui ti tormenterà a morte, e il cuore del tuo Dio +so௸rirà allo stesso modo in cui il Dio unico del Cristo, di fronte alla sua morte, +soffrì le pene più terribili. +La so௸erenza dell’umanità è in௹nita, perché senza ௹ne è la sua vita. Infatti, +non c’è ௹ne là dove almeno uno non vede che c’è una ௹ne. Se il genere umano è +giunto alla ௹ne, non c’è nessuno che potrebbe vedere la sua ௹ne e nessuno che +potrebbe dire che il genere umano ha avuto ௹ne. Esso dunque non ha una ௹ne +per sé, ma per gli dèi. +La morte di Cristo non ha tolto alcuna so௸erenza nel mondo, ma la sua vita ci +ha insegnato molto, ossia che piace al Dio unico il fatto che il singolo viva la +propria vita contro il potere di Abraxas. In tal modo il Dio unico si libera dalla +so௸erenza della terra in cui lo fece precipitare il suo Eros; infatti, quando il Dio + unico vide la terra, allora la desiderò per procreare, dimenticando che gli era +già dato un mondo in cui egli era Abraxas. Così il Dio unico divenne uomo. +Perciò l’Uno innalza l’uomo nuovamente a sé e lo attira in sé a௻nché l’Uno torni +a essere completo. +La liberazione dell’uomo dal potere di Abraxas non avviene tuttavia per il fatto +che l’uomo si sottrae al potere di Abraxas – nessuno può sottrarglisi – ma per il +fatto che gli si sottomette. Cristo stesso dovette sottomettersi al potere di +Abraxas, e Abraxas lo portò a una morte crudele. +Soltanto vivendo la vita te ne puoi liberare. Dunque vivila nella misura in cui +essa ti spetta. Nella misura in cui tu la vivi, cadi in preda del potere di Abraxas e +dei suoi terribili inganni. Ma nella stessa misura il Dio siderale acquista +desiderio e forza in te, in quanto il frutto dell’inganno e della delusione dell’uomo +tocca a lui. Dolore e delusione riempiono di freddezza il mondo di Abraxas. A +poco a poco tutto il calore della tua vita cala nel profondo della tua anima, nel +punto centrale dell’uomo, dove sta svanendo l’azzurra e remota luce siderale del +tuo Dio unico. +Se tu, per paura, rifuggi da Abraxas, allora sfuggi al dolore e alla delusione e, +con paura, ossia con amore a te inconscio, rimani attaccato ad Abraxas, e il tuo +Dio unico non può accendersi. Ma attraverso il dolore e la delusione ti togli dai +vincoli, perché il tuo desiderio cadrà poi da solo nel profondo, come un frutto +maturo, seguendo la legge di gravità, mirando al punto centrale dove proprio +ora nasce l’azzurra luce del Dio siderale. +Dunque non rifuggire da Abraxas, non cercarlo. Tu senti la sua coercizione; +non resistergli, in modo che tu vivrai e pagherai il tuo riscatto. +Le opere di Abraxas devono essere adempiute, perché – pensaci – nel tuo +mondo sei tu stesso Abraxas e costringi la tua creatura ad adempiere la tua +opera. Qui dove sei una creatura sottomessa ad Abraxas devi imparare a +compiere le opere della vita. Là dove sei Abraxas, tu costringi le tue creature. +Ti chiedi come mai tutto questo sia così? Comprendo che tu possa provare +perplessità. Il mondo è discutibile. È la follia scon௹nata degli dèi, della quale tu +sai che è in௹nitamente saggia. Certamente è anche un’empietà, un peccato +imperdonabile, ed è perciò anche l’amore più elevato e la virtù suprema. +Dunque vivi la vita, non rifuggire da Abraxas, se lui ti costringe e tu puoi +riconoscere la sua necessità. Da un lato io dico: non temerlo, non amarlo. +Dall’altro io dico: temilo, amalo. Lui è la vita della terra. Questo ti dice +abbastanza. +Ti è necessario riconoscere la molteplicità degli dèi. Non puoi unire tutto in un +solo essere. Allo stesso modo in cui tu non sei uno con la molteplicità degli +uomini, il Dio unico non è uno con la molteplicità degli dèi. Questo Dio unico è il +benevolo, colui che ama, che guida, che guarisce. A lui spettano tutto il tuo +amore e la tua venerazione. È lui che devi pregare; soltanto con lui sei una cosa + sola, lui ti è vicino, più vicino della tua anima. +Io, la tua anima, sono tua madre, che tenera e terribile ti circonda, colei che ti +nutre e ti rovina. Io preparo per te il bene e il veleno. Sono colei che intercede +per te presso Abraxas. Ti insegno le arti che ti proteggono da Abraxas. Sto fra +te e Abraxas che è dappertutto. Sono il tuo corpo, la tua ombra, la parte di te +che opera in questo mondo; sono la tua manifestazione nel mondo degli dèi, la +tua gloria, il tuo respiro, il tuo odore, il tuo potere magico. Rivolgiti a me se vuoi +vivere insieme agli uomini, rivolgiti invece al Dio unico se vuoi elevarti al di +sopra del mondo degli uomini per ascendere alla divina ed eterna solitudine +dell’astro. + Note + + + + +Prefazione all’edizione originale +1Ricordi, cap. 6, pp. 231 sgg. +2Ibid., pp. 219-20. [La prima delle tre citazioni fa parte di un passo non tradotto +nell’edizione italiana. Vedi Erinnerungen, p. 175]. +3Ricordi, p. 448; vedi anche oltre, p. 427, «Epilogo». + Liber novus +1 Quanto segue riprende, in parte direttamente, la mia ricostruzione della genesi +della psicologia junghiana presentata in Jung e la creazione della psicologia +moderna. Il sogno di una scienza (2003), Magi, Roma 2007. Jung era solito +riferirsi al Libro rosso sia con questa denominazione, oggi invalsa, sia con quella +d i Liber novus. Poiché in base a varie indicazioni quest’ultima sembra +corrispondere al titolo e௸ettivo, per coerenza ho preferito attenermi alla +dizione Liber novus. Le abbreviazioni e le sigle usate nelle note sono sciolte a p. +XXI. +2 Vedi Jacqueline Carroy +, Les personnalités multiples et doubles. Entre science +et fiction, Presses Universitaires de France, Paris 1993. +3 G. Fechner, Nanna o L +’anima delle piante (1848), a cura di Giampiero +Moretti, Adelphi, Milano 2008. +4 Vedi Jean Starobinski, Freud, Breton, Myers (1968), in Piera Aulagnier e altri, +Per Freud. Saggi sul pensiero freudiano, Bertani, Verona 1973, pp. 157-62; W. +B. +Yeats, Una visione (1925), Adelphi, Milano 1973 (Jung possedeva un +esemplare dell’edizione originale). +5 H. Ball, Flight out of Time. A Dada Diary (1927), a cura di John Eder௹eld, +University of California Press, Berkeley 1996, p. 1 [trad. it. La fuga dal tempo. +Fuga saeculi, a cura di Piergiulio Taino, Campanotto, Pasian di Prato 2006]. +6 Quest’opera viene considerata di solito come l’autobiogra௹a di Jung: del tutto a +torto, come ho mostrato nel mio Jung messo a nudo dai suoi biogra௬, anche +(2004), Magi, Roma 2008, cap. 1, «“Come acchiappare l’uccello”. Jung e i suoi +primi biogra௹». Vedi anche Alan C. Elms, Uncovering Lives. The Uneasy +Alliance of Biography and Psychology +, Oxford University Press, New York +1994, cap. 3, «The Aunti௹cation of Jung». Lo scritto inedito citato nel testo è +Von den anfänglichen Ereignissen meines Lebens (AJ). +7Ricordi, p. 40. +8 Jung, Fondamenti della psicologia analitica (1936), OJ 15, p. 176. +9Ricordi, p. 68. +10Ibid., p. 85. +11 Emanuel Swedenborg (1688-1772), scienziato e mistico cristiano svedese, nel + 1743 attraversò una profonda crisi religiosa, descritta nel suo Libro dei sogni +(1744; trad. it. a cura di Michelangelo Coviello, Abete, Roma 1982). Due anni +più tardi, in seguito a una visione di Cristo, si convinse di essere stato chiamato +da Dio a riferire quanto aveva visto e udito nei regni del cielo e dell’inferno, a +trasmettere gli insegnamenti ricevuti dagli angeli e a disvelare il signi௹cato +spirituale e simbolico della Sacra Scrittura. A௸ermò l’esistenza nei testi biblici +di due livelli di senso, fra loro interconnessi da reciproche corrispondenze: uno +materiale, letterale, e uno interiore, spirituale. Proclamò inoltre l’avvento di una +Nuova Chiesa, che avrebbe dato inizio a una novella era spirituale. Secondo +Swedenborg, al momento della nascita ogni essere umano acquisisce dai propri +genitori il male connaturato all’uomo naturale, che è opposto all’uomo spirituale. +Destinato al paradiso, l’essere umano può tuttavia raggiungerlo solo in virtù di +una rinascita e di un processo di rigenerazione spirituale che si realizza per +mezzo della fede e della carità. Vedi Eugene Taylor, Jung on Swedenborg +Redivivus, in «Jung History», 2, 2 (2007), pp. 27-31. +12Ricordi, p. 139. +13 Jung, Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti (1902), OJ 1, p. +51, fig. 2. +14 Jung, Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti cit. +15 Th. Flournoy +, From India to the Planet Mars. A Case of Multiple Personality +with Imaginary Languages (1900), a cura di Sonu Shamdasani, commento di +Mireille Cifali, Princeton University Press, Princeton 1994 [trad. it. Dalle Indie +al pianeta Marte: il caso Hélène Smith. Dallo spiritismo alla nascita della +psicoanalisi, a cura di Mario Trevi, Feltrinelli, Milano 1985]. +16 P +. Janet, Névroses et idées ௬xes, Alcan, Paris 1898; M. Prince, Clinical and +Experimental Studies in Personality, Sci-Art, Cambridge, Mass. 1929. Vedi il +mio Automatic Writing and the Discovery of the Unconscious, in «Spring. A +Journal of Archetype and Culture», 54 (1993), pp. 100-31. +17 LN2, p. 1. +18 CJR, p. 164. +19 Vedi Gerhard Wehr, An Illustrated Biography of Jung, Shambala, Boston +1989, p. 47; Aniela Ja௸é (a cura di), Carl Gustav Jung. Immagine e parola +(1979), Magi, Roma 2003, pp. 46-47. +20 CJR, p. 164, e corrispondenza inedita conservata in AFJ. + 21 Jung e Riklin, Ricerche sperimentali sulle associazioni di individui normali +(1904), OJ 2/1. +22 Jung, Psicologia della dementia praecox (1907), OJ 3. +23 Jung, Il contenuto della psicosi (1908/1914), OJ 3, p. 171. +24 Corrispondenza conservata presso i Freud Archives, Library of Congress, +Washington. Vedi Ernst Falzeder, The Story of an Ambivalent Relationship. +Sigmund Freud and Eugen Bleuler, in «Journal of Analytical Psychology», 52 +(2007), pp. 343-68. +25 Jung, Das Schisma in der Freudschule, AJ. +26Psicologia analitica (1925), p. 58. +27 Jung ne possedeva la collezione completa. +28Libido (1912), pp. 23-24. Nella redazione de௹nitiva di quest’opera (1952), +Jung limitò la portata di tale a௸ermazione (Simboli della trasformazione, OJ 5, +p. 38). +29 Jung, Discorso tenuto in occasione della fondazione dell’«Istituto Carl Gustav +Jung» di Zurigo il 24 aprile 1948, OJ 18, p. 177. +30 Jung, Simboli della trasformazione, OJ 5, p. 14. +31Ibid., p. 12. +32Ibid., p. 13. +33 Vedi Psicologia analitica (1925), p. 60. +34 LN2, pp. 25-26. +35 Nel 1925 Jung ne diede la seguente interpretazione: «Il signi௹cato del sogno +risiede nel concetto di ௹gura ancestrale: non il funzionario austriaco – che +ovviamente rappresentava la teoria freudiana – ma l’altro, il crociato, è una +௹gura archetipica, un simbolo cristiano risalente al xii secolo, un simbolo che +oggi in realtà non esiste più, ma che neppure si è estinto del tutto. Proviene +dall’epoca di Meister Eckhart, l’epoca della cultura cavalleresca nella quale +௹orirono molte idee in seguito abbandonate, ma che stanno ritornando in auge. +Tuttavia, quando feci questo sogno non avevo idea di questa interpretazione» +(Psicologia analitica, p. 81). + 36 LN2, pp. 17-18. +37Ibid., p. 17. +38Psicologia analitica, p. 81. +39Ibid., p. 83. In merito a questo sogno Edward A. Bennet riporta le seguenti +osservazioni di Jung: «All’inizio pensò che i “dodici morti” si riferissero ai dodici +giorni precedenti il Natale, il periodo dell’anno tradizionalmente considerato +tenebroso in quanto caratterizzato dall’attività delle streghe. Dire “prima di +Natale” è come dire “prima che il sole sorga ancora”, perché il giorno di Natale +segna quella fase transitoria dell’anno durante la quale la religione mitraica +celebrava la nascita del sole (...). Solo molto più tardi Jung collegò il sogno a +Hermes +e +alle +dodici +colombe» +(E.A. +Bennet, Meetings +with +Jung. +Conversations Recorded during the Years 1946-1961, Daimon, Einsiedeln +1985, p. 93 [trad. it. Conversazioni con Jung. Quaderno di appunti 1946-1961, +Vivarium, Milano 2000]). Nel 1951, nel riportare in forma anonima («caso Z») +materiale proveniente dal Liber novus, Jung inquadrò il sogno in questione nel +contesto di una serie onirica illustrante le trasformazioni dell’Anima: esso, +osservò, «caratterizza l’Anima come un essere di natura el௹ca, vale a dire solo +limitatamente umano. L +’Anima può essere anche un uccello, può appartenere +cioè completamente al mondo della natura e scomparire (diventare cioè +inconscio) dalla scena umana (dalla coscienza)» (Aspetto psicologico della +figura di Core, OJ 9/1, pp. 195-96). Vedi inoltre Ricordi, pp. 213-14. +40 Vedi Jung, Sulla questione dei tipi psicologici (1913), OJ 6, pp. 502-11. +41Vedi oltre. Cfr. Ricordi, pp. 217-18. +42Psicologia analitica, pp. 87 e 88. +43 Barbara Hannah ricorda che «Jung era solito dire che i suoi tormentosi dubbi +circa la propria sanità mentale avrebbero dovuto essere alleviati dai successi +che stava in pari tempo mietendo nel mondo esterno, soprattutto in America» +(B. Hannah, Vita e opere di C.G. Jung [1976], Rusconi, Milano 1980, p. 151). +44Ricordi, p. 218. +45 M, p. 8. +46 Gerda Breuer e Ines Wagemann, Ludwig Meidner. Zeichner, Maler, Literat +1884-1966, Hatje, Stuttgart 1991, vol. 2, pp. 124-49. Vedi Jay Winter, Sites of +Memory +, Sites of Mourning. The Great War in European Cultural History , + Cambridge University Press, Cambridge 1995, pp. 145-77. +47 A. C. Doyle, The New Revelation and the Vital Message, Psychic Press, +London 1918, p. 9 [trad. it. La nuova rivelazione, a cura di Alessandro Caboni, +Sellerio, Palermo 1993]. +48Psicologia analitica (1925), p. 62. +49Ibid., p. 63. +50Ibid. +51 In seguito utilizzerà dei taccuini di colore nero, da cui la denominazione Libri +neri. +52 CJR, p. 23. +53Psicologia analitica, p. 89. +54 Agostino, Soliloqui, 1, 1; ed. it. a cura di Aldo Moda, Utet, Torino 1997. +Osserva Gerard Watson che, nei tre anni precedenti la conversione al +cristianesimo (386), Agostino «aveva attraversato un periodo particolarmente +di௻cile, al limite del collasso nervoso, e i Soliloqui costituiscono una forma di +terapia, un tentativo di autoguarigione attraverso la parola o per meglio dire la +scrittura» (Saint Augustine, Soliloquies and Immortality of the Soul, a cura di G. +Watson, Aris & Phillips, Warminster 1990, p. V). +55Psicologia analitica (1925), pp. 84-85. Dal resoconto di Jung è possibile far +risalire con buona probabilità questo dialogo all’autunno del 1913, benché la +mancanza di riferimenti nei Libri neri e nella restante documentazione +disponibile lasci un certo margine al dubbio; qualora tale datazione risultasse +corretta, e in assenza di indizi in contrario, il materiale cui si riferisce la voce +corrisponderebbe alle annotazioni riportate nel Libro nero 2 nel mese di +novembre, e non al testo successivo del Liber novus o alle immagini. +56Psicologia analitica (1925), pp. 88-89. +57Ibid., p. 91. +58 CJR, p. 171. +59 Peter Riklin, archivio privato. Presso il Kunsthaus di Zurigo è esposto un +quadro di Riklin dal titolo Verkündigung (Annunciazione) risalente al 1915-16 e +donato da Maria Moltzer nel 1945. Secondo Giacometti «le conoscenze + psicologiche di Riklin erano per me nuove e di straordinario interesse. Era un +mago moderno. Avevo la sensazione che fosse in grado di compiere delle vere e +proprie magie» (Von Stampa bis Florenz. Blätter der Erinnerung, Rascher, +Zürich 1943, pp. 86-87). +60Psicologia analitica, p. 92. +61 La visione che ne seguì è riportata nel quinto capitolo del Liber primus +intitolato «Viaggio infernale nel futuro» (vedi oltre). +62 Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, es. 5, §§ 65-70; ed. it. a cura di Pietro +Schiavone, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1995. Jung propose un commento +psicologico degli Esercizi di sant’Ignazio in un ciclo di lezioni tenute presso +l’Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo tra il 1939 e il 1940 (Modern +Psychology +. Process of Individuation: Exercitia Spiritualia of St Ignatius of +Loyola, di prossima pubblicazione nella «Philemon Series»). +63 Il brano è riprodotto in William White, Swedenborg. His Life and Writings, +Bath, London 1867, vol. 1, pp. 293-94. Jung possedeva un esemplare del libro ed +evidenziò la seconda parte della citazione con una linea a margine. +64 Vedi H. Silberer, Bericht über eine Methode, gewisse symbolische +Halluzinations-Erscheinungen hervorzurufen und zu beobachten, in «Jahrbuch +für psychoanalytische und psychopathologische Forschungen», 2 (1909), pp. +513-25. +65 Jung possedeva un esemplare del libro e ne sottolineò vari passi. +66 +L. +Staudenmaier, Die Magie als experimentelle Naturwissenschaft, +Akademische Verlagsgesellschaft, Leipzig 1912, p. 19. +67 LN2, p. 58. +68 CJR, p. 381. +69Träume, p. 9. +70 +CJR, +p. +145. +A +Margaret +Ostrowski-Sachs +disse: +«La +tecnica +dell’immaginazione attiva può rivelarsi molto importante in situazioni di௻cili, +per esempio nel caso di un’apparizione. Ha senso solo quando si ha la +sensazione di trovarsi in un vicolo cieco. È quel che ho sperimentato quando mi +sono allontanato da Freud: non sapevo che cosa pensare, ma sentivo che le cose +non stavano a quel modo. Quindi ho sviluppato il “pensiero simbolico” e in due +anni di pratica dell’immaginazione attiva si è a௸astellata in me una tale quantità + di idee che a fatica riuscivo a difendermene. Continuavano a presentarsi +pensieri ricorrenti. Allora ho fatto appello alle mie mani e ho iniziato a intagliare +il legno – e così la mia via si è chiarita» (M. Ostrowski-Sachs, From +Conversations with C.G. Jung, Juris, Zürich 1971, p. 18). +71Ricordi, p. 225. +72Ibid. +73Ibid., pp. 225-26. +74Ibid., p. 237. +75Vedi oltre. +76 MSPZ. +77 Agende degli appuntamenti di Jung, AFJ. +78 Come risulta da un’accurata analisi della corrispondenza di Jung ௹no al 1930, +depositata presso l’Eidgenössische Technische Hochschule e in altri archivi e +raccolte documentarie. +79 Dal foglio matricolare relativo allo stato di servizio militare di Jung (AFJ) +risultano i seguenti periodi: 16 giorni nel 1913, 14 giorni nel 1914, 67 giorni nel +1915, 34 giorni nel 1916, 117 giorni nel 1917. +80Vedi oltre. +81Ricordi, p. 233. +82 Jung, Sulla comprensione psicologica di processi patologici (1914), OJ 3, p. +188. +83Ibid., p. 189. +84Ibid. +85 Jung, Importanza dell’inconscio in psicopatologia (1914), OJ 3, pp. 211-17. +86Psicologia analitica, p. 88. +87Intervista di Eliade per «Combat» (1952), in Jung parla. Interviste e incontri, +a cura di William McGuire e Richard F.C. Hull, Adelphi, Milano 1995, pp. 299- +300. Vedi oltre. + 88Vedi oltre. +89Vedi oltre. +90 Jung, Mysterium coniunctionis, OJ 14/2, p. 530. Sul mito della pazzia di Jung, +inizialmente accreditato dai freudiani allo scopo di invalidarne la teoria, vedi il +mio Jung messo a nudo dai suoi biografi, anche cit. +91Vedi sopra, e oltre. +92 Jung, Nietzsche’s Zarathustra. Notes of the Seminar Given in 1934-1939, a +cura di James Jarrett, Bollingen Series, Princeton University Press, Princeton +1988, p. 259, cfr. p. 391 [ed. it. a cura di Alessandro Croce, Lo «Zarathustra» +di Nietzsche, 3 voll., Bollati Boringhieri, Torino 2011-12]. Sull’interpretazione +junghiana di Nietzsche vedi: Paul Bishop, The Dionysian Self. C.G. Jung’s +Reception of Nietzsche, De Gruyter, Berlin 1995; Martin Liebscher, Die +«unheimliche +Ähnlichkeit». +Nietzsches +Hermeneutik +der +Macht +und +analytische Interpretation bei Carl Gustav Jung, in Rüdiger Görner e Duncan +Large (a cura di), Ecce Opus. Nietzsche-Revisionen im 20. Jahrhundert, +Vandenhoeck & Ruprecht, London-Göttingen 2003, pp. 37-50; Id., Jungs Abkehr +von Freud im Lichte seiner Nietzsche-Rezeption, in Renate Reschke (a cura di), +Zeitenwende-Wertewende, Akademie Verlag, Berlin 2001, pp. 255-60; Graham +Parkes, Nietzsche and Jung. Ambivalent Appreciations, in Jacob Golomb, +Weaver Santaniello e Ronald Lehrer (a cura di), Nietzsche and Depth +Psychology, Suny Press, Albany 1999, pp. 205-27. +93 In LN2, p. 104, in data 26 dicembre 1913, Jung cita alcuni canti del +Purgatorio. Vedi oltre. +94 +Vedi +Alphonse +Maeder, Über +Traumproblem, +in +«Jahrbuch +für +psychoanalytische und psychopathologische Forschungen», 5 (1913), pp. 657- +58, dove si fa riferimento all’«eccellente formula» di Jung «al livello dell’oggetto +e del soggetto». Jung discusse la questione nella seduta del 30 gennaio 1914 +della Società psicoanalitica di Zurigo (MSPZ). +95 Si legge per esempio sul margine di MC, p. 39: «Giustissimo! Perché +tagliarlo?». Jung evidentemente accolse il suggerimento e mantenne il passo +nella redazione finale. Vedi oltre. +96 Nel 1921 Jung menzionò The Marriage of Heaven and Hell di Blake in Tipi +psicologici (OJ 6, p. 275, nota 196; p. 226); in Psicologia e alchimia (1944) fece +riferimento a due acquerelli di Blake (OJ 12, pp. 58 e 63, ௹gg. 14 e 19). L +’11 +novembre 1948 scrisse a Piloo Nanavutty: «Trovo che lo studio di Blake sia + tormentoso, poiché nelle sue fantasie ha accumulato un sapere poco o nulla +elaborato. A mio parere si tratta di prodotti costruiti piuttosto che di autentiche +rappresentazioni di processi inconsci» (Lettere, II, pp. 121-22). +97 [Vedi ed. ril., app. A, p. 363, n. 10]. +98 O. Redon, Œuvre graphique complet, Secrétariat, Paris 1913; André +Mellerio, Odilon Redon. Peintre, dessinateur et graveur, Floury +, Paris 1923. La +biblioteca contiene inoltre un libro assai critico sull’arte moderna: Max Raphael, +Von Monet zu Picasso. Grundzüge einer Ästhetik und Entwicklung der +Modernen Malerei, Delphin, München 1913. +99 Jung tornò a visitare Ravenna nell’aprile 1914. +100Psicologia analitica, p. 102. +101 Vedi Rainer Zuch, Die Surrealisten und C.G. Jung. Studien zur Rezeption +der analytischen Psychologie im Surrealismus am Beispiel von Max Ernst, +Victor Brauner und Hans Arp, VDG, Weimar 2004. +102 Ball, Flight out of Time cit., p. 102. +103 Vedi Greta Stroeh, Biographie, nel catalogo della mostra Sophie Taeuber: +15 décembre 1989 - mars 1990, Musée d’art moderne de la ville de Paris, +Paris-Musées, Paris 1989, p. 124; intervista ad Aline Valangin, Jung +Biographical Archive, Countway Library of Medicine (Harvard University +, +Boston), p. 29. +104 Le marionette sono esposte al museo Bellerive di Zurigo. Vedi Bruno Mikol, +Sur le théatre de marionnettes de Sophie Taeuber-Arp, in Sophie Taeuber cit., +pp. 59-68. +105 H. Ball ed E. Hennings, Damals in Zürich. Briefe aus den Jahren 1915-1917, +Die Arche, Zürich 1978, p. 132. +106 Jung, Sull’inconscio (1918), OJ 10/1, p. 26. [L +’articolo uscì originariamente +nella rivista «Schweizerland. Monatshefte für Schweizer Art und Arbeit» +(Zürich), vol. 4, n. 9, pp. 464-72 e nn. 11-12, pp. 548-58]. Per le reazioni dei +dadaisti vedi Pharmouse, nella rivista dada «391» (1919) e Tristan Tzara, in +«Dada», n. 4-5 (1919). +107 A. Maeder, F. Hodler. Eine Skizze seiner seelischen Entwicklung und +Bedeutung für die schweizerisch-nationale Kultur, Rascher, Zürich 1916. + 108 Carte Maeder. +109 Intervista ad Alphonse Maeder, Jung Biographical Archive, p. 9. +110 Durante l’analisi Bowditch Katz annotò nel suo diario (Countway Library of +Medicine) in data 17 agosto 1916: «Suo [di Maria Moltzer] libro – la sua bibbia +–, con immagini corredate ciascuna di testo – che devo fare anch’io». Secondo +Bowditch Katz, Moltzer considerava i suoi dipinti «puramente soggettivi, non +opere d’arte» (31 luglio). In un’altra occasione (24 agosto) appuntò una +de௹nizione di arte data da Moltzer: «l’arte, la vera Arte, espressione della +religione». Sempre nel 1916, in una conferenza tenuta al Club psicologico, +Moltzer propose un’interpretazione psicologica di alcuni quadri di Riklin. Vedi il +mio Fatti e artefatti. Su C.G. Jung, sul Club psicologico e su un culto che non è +mai esistito (1998), Magi, Roma 2004, p. 126. +111 Franz Riklin a Sophie Riklin, 20 maggio 1915 (carte Riklin). +112 Su Lang vedi «Die dunkle und wilde Seite der Seele». Briefwechsel von +Hermann Hesse mit seinem Psychoanalytiker Josef Lang, 1916-1944, a cura di +Thomas Feitknecht, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2006. +113«Das Neue Leben», Erste Ausstellung, Kunsthaus, Zurigo. Nel suo diario +(carte Lang, Schweizerisches Literaturarchiv, Berna) J.B. Lang annotò che in +un’occasione erano presenti in casa Riklin sia Jung che Augusto Giacometti (3 +dicembre 1916, p. 9). +114 Carte Schlegel. +115Zur Entstehung von C.G. Jungs «Psychologischen Typen». Der Briefwechsel +zwischen C.G. Jung und Hans Schmid-Guisan im Lichte ihrer Freundschaft, a +cura di Hans Konrad Iselin, Sauerländer, Aarau 1982. [Ed. ingl. The Question of +Psychological Types. The Correspondence of C.G. Jung and Hans Schmid- +Guisan, 1915-1916, a cura di John Beebe ed Ernst Falzeder, Philemon Series, +Princeton University Press, Princeton (NJ) 2012]. +116 John Burnham, Jelli௫e. American Psychoanalyst and Physician & His +Correspondence with Sigmund Freud and C.G. Jung, a cura di William +McGuire, University of Chicago Press, Chicago 1983, pp. 196-97. +117 CJR, p. 174. +118Ricordi, p. 219. +119 CJR, p. 174. + 120Ricordi, p. 219. +121 Sulla fondazione del Club psicologico vedi il mio Fatti e artefatti cit. +122Psicologia analitica, p. 73. +123 T. Keller, C.G. Jung. Some Memories and Re௭ections, in «Inward Light», 35 +(1972), p. 11 [Wendy Swan (a cura di), The Memoir of Tina Keller-Jenny +. A +Lifelong Confrontation with the Psychology of C.G. Jung , Spring Journal Books, +New Orleans 2009]. Su Tina Keller vedi Wendy Swan, C.G. Jung and Active +Imagination, VDM, Saarbrücken 2007. +124 Vedi Winter, Sites of Memory, Sites of Mourning cit., pp. 18, 69 e 133-44. +125 Un’annotazione in LN5, p. 86, informa: «In questo periodo le parti prima e +seconda [del Libro rosso] erano ormai state scritte. Immediatamente dopo +l’inizio della guerra». La gra௹a è quella di Jung, mentre la precisazione «del +Libro rosso» è stata aggiunta da un’altra mano. +126 CCB. +127Ricordi, pp. 234-35. +128Vedi oltre. +129 Il Basilide storico era uno gnostico vissuto nella prima metà del II secolo d.C. +ad Alessandria, dove fondò una scuola. Vedi oltre. +130 CJR, p. 26. Vedi sopra, p. LXI. +131Lettere, I, p. 65 (19 gennaio 1917). Inviando una copia dei Sermones a +Jolande Jacobi, Jung li de௹nì «una curiosità uscita dal laboratorio dell’inconscio» +(7 ottobre 1928, AJ). +132 Burnham, Jelliffe cit., p. 199. +133 CJR, p. 172. +134Vedi oltre, nn. 1-3. +135Ricordi, p. 239. +136Ibid. La lettera di Moltzer non è stata ritrovata. Ma in una successiva lettera +inedita scritta a Château d’Oex il 21 novembre 1918 (AFJ) Jung lamentò che + «M. Moltzer mi ha disturbato di nuovo con le sue lettere». Di Moltzer esiste +anche un dipinto non datato, che sembra ra௻gurare un mandala quadrato e che +in una breve nota di accompagnamento l’autrice de௹nì «una rappresentazione +pittorica dell’individuazione o del processo di individuazione» (Biblioteca del +Club psicologico, Zurigo). +137Ricordi, p. 240. +138 [Vedi ed. ril., app. A, p. 361, n. 4]. +139 J.W. Goethe, Faust, II, atto 1, «Galleria oscura», vv. 6283-93 (ed. it. a cura +di Franco Fortini, Mondadori, Milano 1992, vol. 2, p. 557). +140Ricordi, p. 240. Oltre a taluni passi dello Zarathustra nicciano, la fonte +diretta della nozione junghiana di Sé sembra essere stata la concezione induista +dell’ātman-brahman, di cui Jung aveva trattato nel 1921 in Tipi psicologici (OJ +6, pp. 203 sgg.). Vedi oltre. +141Ricordi, p. 241. +142 A p. 23 del manoscritto delle Prove viene indicata la data «27/11/17» (vedi +oltre). Se ne deduce che la loro composizione risale alla seconda metà del 1917, +ed è quindi posteriore alle esperienze da cui presero forma i mandala eseguiti a +Château d’Oex. +143Vedi oltre. +144Vedi oltre. +145 Archivio privato di Stephen Martin. Le parole messe in bocca al Diavolo sono +pronunciate da Me௹stofele nel Faust, I, «Studio», vv. 1851-52 (ed. cit., vol. 1, p. +141). +146Vedi oltre e nota. +147 Archivio privato di Stephen Martin. +148 Jung, La struttura dell’inconscio (1916), OJ 7, pp. 265-305. Dopo il distacco +da Freud, Jung aveva trovato in Flournoy un importante sostegno alle sue idee. +Vedi Jung in Flournoy, From India to the Planet Mars cit., p. IX. +149 Jung, La struttura dell’inconscio, OJ 7, p. 284. +150Ibid., p. 304. + 151 OJ 7, pp. 309-12 e 313-14. +152 Jung, Adattamento, OJ 7, p. 312. +153 Jung, Individuazione e collettività, OJ 7, pp. 313-14. +154 OJ 8, pp. 81-106. +155Träume, AFJ. +156 Jung, La funzione trascendente, OJ 8, p. 93. +157Ibid., pp. 98-99. La planchette è una tavoletta di legno munita di matita, +applicata a un sottobottiglia: viene usata per consentire la scrittura automatica. +158 Jung, La funzione trascendente, OJ 8, p. 104. +159 CJR, p. 380. +160 [Jung, Die Psychologie der unbewussten Prozesse. Ein Überblick über die +moderne Theorie und Methode der analytischen Psychologie, Rascher, Zürich +1917. L +’opera, redazione interamente rifatta del saggio Vie nuove della +psicologia (1912, OJ 7, pp. 239-61), fu poi sottoposta da Jung a una serie di +successive ed estese revisioni, ௹no ad apparire in quinta e de௹nitiva edizione nel +1943, con il titolo Psicologia dell’inconscio (OJ 7, da cui si cita)]. +161 Jung, Psicologia dell’inconscio, OJ 7, pp. 3-4. +162 Nel 1943, in occasione dell’ultima revisione dell’opera, Jung aggiunse che +l’inconscio personale «corrisponde alla ௹gura, variamente presente nei sogni, +dell’Ombra», e de௹nì questa ௹gura come «il lato “negativo” della personalità, e +precisamente la somma delle caratteristiche nascoste, sfavorevoli, delle funzioni +sviluppatesi in maniera incompleta e dei contenuti dell’inconscio personale» +(Jung, Psicologia dell’inconscio, OJ 7, p. 67). Jung descrisse in seguito questa +fase del processo di individuazione come l’incontro con l’Ombra (Aion, 1951, OJ +9/2, pp. 8-10). +163 Jung, Psicologia dell’inconscio, OJ 7, p. 74. +164Ibid., p. 96. +165Ibid., p. 99. +166Psicologia analitica (1925), p. 154. + 167Vedi oltre. +168 Jung, Die Psychologie der unbewussten Prozesse cit., p. 135. La frase +compare solo nella prima edizione del libro. +169 Jung, Sull’inconscio, OJ 10/1, pp. 3-28, p. 17. +170Ibid., p. 27. +171 Jung, I fondamenti psicologici della credenza negli spiriti (1920/1948), OJ 8, +pp. 323-41. +172 Jung, Tipi psicologici, OJ 6, pp. 173-275. +173Ibid., p. 468. +174Ibid., pp. 420-21. +175Ibid., p. 256. +176 LN7, p. 92c. +177Ibid., p. 95. In un seminario dell’anno successivo Jung riprese il tema del +rapporto individuo-religione: «Non c’è individuo che possa esistere senza +relazioni individuali, e su questo poggiano le fondamenta della vostra Chiesa. +Sulle relazioni individuali si basa la forma della Chiesa invisibile» (Notes on the +Seminar in Analytical Psychology Conducted by Dr C.G. Jung , Polzeath, +Inghilterra, 14-27 luglio 1923, a cura dei partecipanti, p. 82). +178 Sulla concezione junghiana della psicologia della religione vedi James Heisig, +Imago Dei. A Study of Jung’s Psychology of Religion, Bucknell University Press, +Lewisburg 1979 e Ann Lammers, In God’s Shadow. The Collaboration between +Victor White and C.G. Jung, Paulist Press, New York 1994. Vedi inoltre il mio In +Statu Nascendi, in «Journal of Analytical Psychology», 44 (1999), pp. 539-45. +179 OJ 10/1, pp. 335-54. +180Ibid., p. 353. +181 Nel 1930 Jung approfondì la questione, de௹nendo «psicologico» il primo tipo +di opera e «visionario» il secondo (Psicologia e poesia, 1930/1950, OJ 10/1, p. +362). +182 Vedi G. Meyrink, Il domenicano bianco (1921), a cura di Anna Maria + Baiocco, Tre Editori, Roma 1997, cap. 7. Il «padre fondatore» informa l’eroe del +romanzo, Christopher, che «chiunque possiede il Libro rosso-cinabro, la pianta +dell’immortalità, il risveglio del so௻o spirituale e il segreto per dare la giusta +direzione alla vita, si dissolverà col proprio cadavere. (…) Si chiama “Libro del +cinabro” perché, secondo un’antica credenza cinese, quel rosso è il colore delle +vesti di coloro che hanno raggiunto il più alto grado di perfezione e sono rimasti +in terra per la salvezza dell’umanità». Jung, che considerava Meyrink un artista +«visionario» (Psicologia analitica e arte poetica, 1922, OJ 10/1, p. 364) e +guardava con interesse alle sue sperimentazioni alchemiche (Psicologia e +alchimia, 1944, OJ 12, p. 238, nota 22), riservava uno speciale apprezzamento +alla sua produzione narrativa. Nel 1921, parlando della funzione trascendente e +delle fantasie inconsce, osservò che la letteratura o௸re esempi di elaborazione +estetica di materiale del genere, «fra i quali vorrei soprattutto segnalare le due +opere di Meyrink Il Golem e Il volto verde» (Tipi psicologici, OJ 6, p. 134). +183 Il riferimento è all’autobiogra௹a di Goethe, Poesia e verità (1830), a cura di +Alba Cori, Utet, Torino 1966. +184 Riferimento alla scena iniziale del Faust («Prologo in teatro»), con il dialogo +tra il Direttore, il Poeta e il Comico. +185Vedi oltre, la legenda dell’immagine 154. +186 CCB. +187 CCB. +188 Ho l’impressione che il destinatario fosse il suo ex marito Jaime de Angulo, il +quale le scrisse il 10 luglio 1924: «Presumo che quel materiale di Jung ti abbia +catturata esattamente come è successo a me (…) Ho letto la lettera in cui me lo +annunciavi e mi avvertivi di non parlarne con nessuno, e aggiungevi che non +avresti dovuto dirmelo, ma sapevi che sarei stato orgoglioso di te» (CCB). +189 Si riferisce al seminario di Polzeath. Vedi sopra, e nota. +190 CJR, p. 169. +191 CCB. +192 AJ. +193 AJ. +194 AJ. Le lettere di Jung a Stockmayer non sono state rintracciate. + 195 Il riferimento è al Liber secundus; Vedi oltre («La Grande Odissea»). +196 AJ. +197 Per esempio sostituì l’espressione Geist der Zeit (spirito del tempo) con il +composto di ugual signi௹cato Zeitgeist, e Vordenken (prepensiero) con Idee +(idea). +198 Stuart and Watkins, London 1925. +199 2 maggio 1925 (carte Murray +, Houghton Library +, Harvard University; +originale in inglese). Michael Fordham ricorda di aver ricevuto una copia dei +Sermones da Peter Baynes quando raggiunse uno stadio adeguatamente +«avanzato» dell’analisi, e di aver dovuto giurare di mantenere il più stretto +riserbo al riguardo (comunicazione personale, 1991). +200 Hannah, Vita e opere di Jung cit., p. 168. +201 23 novembre 1941 (AJ). +202 22 gennaio 1942, in Jung, Letters, a cura di Gerhard Adler con la +collaborazione di Aniela Ja௸é, Princeton University Press, Princeton 1973-75, +vol. 1, p. 312 [non compresa in Lettere]. +203Vedi oltre. +204 Si vedano in proposito le osservazioni fatte da Jung in occasione di una +conferenza su Swedenborg al Club psicologico (carte Jaffé, ETH). +205 Oggi conservate presso l’Archivio iconogra௹co del C.G. Jung Institut a +Küsnacht. +206 8 luglio 1926 (diari d’analisi, Countway Library of Medicine). La visione del +gigante menzionata al fondo dell’appunto è descritta nel capitolo 9 del Liber +secundus; vedi oltre. +207Ibid., 12 ottobre 1926. L +’episodio cui si fa qui riferimento è quello +dell’apparizione del mago Ha, che mostra e spiega all’anima di Jung alcuni +esempi di rune. Vedi oltre. +208Ibid., 12 luglio 1926. +209 20 dicembre 1929 (AJ; originale in inglese). + 210Ricordi, p. 270. +211Vedi oltre. +212 AJ. +213 LN7, p. 120. +214Ibid., p. 121. +215 LN7, p. 124. Per la pianta della città vedi oltre, app. A, n. 4. +216 Ill. 159. +217Ricordi, p. 243. +218 CJR, pp. 159-60. +219Ibid., p. 173 +220 Jung, Psicologia dell’inconscio, OJ 7, pp. 75-77. +221 Jung, L’Io e l’inconscio, OJ 7, pp. 227-28. +222 Jung, L’Io e l’inconscio, OJ 7, p. 200. +223Ibid., p. 215. +224Ibid., p. 216. +225Ibid., p. 224. +226Ibid., p. 233. +227Ibid., p. 235. +228Vedi oltre. +229Ricordi, pp. 241-42. +230Vedi oltre. +231 AJ [vedi anche Lettere, I, p. 97]. +232 Jung, Prefazione alla seconda edizione (1938) al Commento al «Segreto del +fiore d’oro», OJ 13, p. 17. + 233 Da parte sua Wilhelm apprezzò molto il commento di Jung. Il 24 ottobre +1929 gli scrisse: «Ancora una volta le sue spiegazioni mi colpiscono +profondamente» (AJ). +234 Vedi ill. 105, 159 e 163 (5 Jung, Esempi di mandala europei, in Id. e R. +Wilhelm, Il segreto del ௬ore d’oro. Un libro di vita cinese, Bollati Boringhieri, +Torino 2001 2, tavv. 6, 3 e 10). Nel 1950 queste immagini, unitamente ad altre +due, furono riprodotte, sempre in forma anonima, in Jung, Simbolismo del +mandala, OJ 9/1, pp. 347-77, tavv. XXVIII/B, VI/B, XXXVI/B. +235 AJ. +236 A questo proposito vedi Jung, La psicologia del Kundalini-yoga. Seminario +tenuto nel 1932 (1996), a cura di Sonu Shamdasani, ed. it. a cura di Luciano +Perez, Bollati Boringhieri, Torino 2004. +237 CJR, p. 15. +238 Intorno a questo tema Jung si era così intrattenuto con Cary Baynes in una +conversazione avuta con lei nella primavera del 1922: «Lei [Jung] ha detto che, +per quanto un individuo possa distinguersi dalla massa per le sue doti speciali, +egli non adempie a tutti i suoi doveri, psicologicamente parlando, ௹nché non +riesce a funzionare in modo e௻cace nella collettività. Con “funzionare nella +collettività” siamo stati ambedue concordi nell’intendere quel che viene +comunemente detto “frequentare” la gente in senso mondano, avere una vita +sociale al di fuori delle relazioni professionali o lavorative. Ciò che intendeva +dire era che, se un individuo si tiene lontano da queste relazioni collettive, perde +qualche cosa che non può permettersi di perdere» (8 febbraio 1923, CCB). +239 H. Silberer, Probleme der Mystik und ihrer Symbolik, Heller, Wien 1914 +[trad. it. Problemi della mistica e del suo signi௬cato simbolico, La biblioteca di +Vivarium, Milano 1999]. +240 Queste corrispondenze vengono indicate nelle note al testo. +241Ricordi, pp. 236 e 219; CJR, p. 144. +242Ricordi, p. 244, cfr. p. 29. +243Ibid., pp. 243-44. +244 CJR, p. 148. +245 Jung, Visioni. Appunti del seminario tenuto negli anni 1930-1934 (1997), a + cura di Claire Douglas, 2 voll., Magi, Roma 2004. +246Modern Psychology, 1933-35 e 1938-41, di prossima pubblicazione nella +«Philemon +Series». +Per +ulteriori +ragguagli +vedi +www.philemonfoundation.org. +247 Jung, Empiria del processo di individuazione (1934/1950), OJ 9/1, p. 341. +248Ibid. +249 Jung, Aspetto psicologico della figura di Core (1941), OJ 9/1, p. 187. +250 Vedi W. Pauli e C.G. Jung, Ein Briefwechsel 1932-1958, a cura di Carl A. +Meier, Charles P +. Enz e Fierz Markus, Springer, Berlin 1992 [trad. it. Il +carteggio Pauli-Jung, Il Minotauro, Roma 1999]. +251 AJ. È probabile che Jung avesse in mente i «commenti» di Filemone; vedi +oltre. +252 Olga Froebe-Kapteyn a Jack Barrett, 6 gennaio 1953 (archivi Bollingen, +Library of Congress, Washington). +253 Jung a Jaffé, 27 ottobre 1957 (ibid.). +254 Archivi Bollingen, Library of Congress. Un analogo limite alla consultazione +(30, 50 o anche 80 anni) Ja௸é indicò a Kurt Wol௸ in una lettera non datata, +ricevuta dall’interessato il 30 ottobre 1957 (carte Wol௸, Beinecke Library +, Yale +University +, New Haven). Dopo aver letto le prime parti della trascrizione delle +interviste di Ja���é a Jung, Cary Baynes fece a Jung il seguente commento: «È la +corretta introduzione al Libro rosso, e con questo risultato posso morire in +pace!» (8 gennaio 1958, CCB). +255 Carte Wol௸. In questa redazione iniziale, il prologo era stato omesso e il +titolo scelto corrispondeva a quello del capitolo d’apertura del Liber primus, «Il +ritrovamento dell’anima». Una copia di questa parte dell’opera fu ampiamente +rivista da una persona non identi௹cata che potrebbe aver avuto un ruolo nelle +fasi preparatorie della pubblicazione (AFJ). +256 Si può a questo riguardo notare che la pubblicazione del carteggio tra Freud +e Jung – in sé cruciale –, rimanendo però inediti il Liber novus e il complesso +della restante corrispondenza junghiana, ha avuto purtroppo l’e௸etto di +ra௸orzare l’approccio «freudocentrico» allo studio di Jung: ma, come abbiamo +visto, nel Liber novus Jung si muove già in un universo che è quanto di più +lontano si possa immaginare dalla psicoanalisi. + 257 CJR, p. 169. +258Ricordi, pp. 447-48. Le altre informazioni fornite da Ja௸é in questa sede sono +imprecise. +259 A. Ja௸é, The Creative Phases in Jung’s Life, in Spring. An Annual of +Archetypal Psychology and Jungian Thought, Spring, New York 1972, p. 174. +260 Carte McGuire, Library of Congress, Washington. Nel 1961 Aniela Ja௸é +mostrò il Liber novus a Richard Hull, il traduttore inglese di Jung, il quale +comunicò le proprie impressioni a McGuire: «[A. Ja௸é] ci ha mostrato il famoso +Libro rosso, pieno di disegni davvero pazzeschi e commenti in scrittura +monacale; non mi stupisce che Jung lo tenga sotto chiave! Quando è entrato e lo +ha visto – per fortuna chiuso – sul tavolo, le ha detto bruscamente: “Quello non +dovrebbe stare qui. Lo porti via!”, anche se lei mi aveva scritto che Jung aveva +acconsentito a che io lo vedessi. Ho riconosciuto molti dei mandala inclusi in +Simbolismo del mandala [1950, OJ 9/1, pp. 347-77]. Se ne potrebbe fare una +splendida edizione in facsimile, ma non mi è sembrato prudente sollevare la +questione o suggerire di includere dei disegni nell’autobiogra௹a (come la +signora Ja௸é mi esortava a fare). Dovrebbe davvero far parte, prima o poi, della +sua opera: come l’autobiogra௹a costituisce un complemento essenziale degli +altri scritti, così il Libro rosso lo è dell’autobiogra௹a. Il Libro mi ha fatto una +profonda impressione; non c’è alcun dubbio che Jung abbia attraversato tutto +ciò che attraversa un alienato, e anche di più. Si parla dell’autoanalisi di Freud: +Jung stesso è un manicomio ambulante! La sola cosa che lo di௸erenzia da un +normale internato è la sua stupefacente capacità di far fronte alla terri௹cante +realtà delle sue visioni, di osservare e capire quanto gli stava accadendo, e di +trarre dalla sua esperienza un sistema terapeutico che funziona. Ma per +ottenere questo risultato eccezionale ha dovuto essere matto da legare. La +materia prima della sua esperienza supera di gran lunga il mondo di Schreber; +soltanto grazie alle sue capacità di osservazione, di distacco, e alla sua pulsione +a capire, si può dire di lui quel che ha scritto Coleridge nei suoi Notebooks of a +Great Metaphysician (e che motto sarebbe per l’autobiogra௹a!): “Esplorò la sua +anima con un telescopio. / E tutto quanto vi appariva irregolare egli vide / e +dimostrò essere splendore di costellazioni. / E aggiunse mondi e mondi nascosti +alla coscienza”» (17 marzo 1961; archivi Bollingen, Library of Congress). La +citazione di Coleridge venne in e௸etti apposta in esergo all’introduzione di Ja௸é +ai Ricordi, p. 5. +261 Ja௸é (a cura di), Jung. Immagine e parola cit., ௹gg. 52-57, 77-79 e ௹g. +correlata 59; Wehr, An Illustrated Biography of Jung cit., pp. 40, 140-41. + Nota editoriale +1 Il lettore interessato può collazionare la presente edizione con le parti della +minuta conservate nelle carte Kurt Wol௸ (Yale University +, New Haven) e con la +trascrizione di Cary Baynes (Contemporary Medical Archives, Wellcome +Collection, Londra). È possibile peraltro che altri esemplari vengano alla luce in +futuro. +2 In questa copia si trovano alcune tracce di pittura. +3Vedi oltre. +4Vedi oltre. +5 AJ. +6 AJ. + Nota alla traduzione +1 Comunicazione di Jung in data 18 aprile 1946 a Michael Fordham, psichiatra e +psicologo analitico londinese che aveva fatto il suo training con lui a Zurigo e +che nel 1947 venne proposto dalla Bollingen Foundation, congiuntamente con la +casa editrice Routledge & Kegan Paul, quale curatore dei progettati Collected +Works junghiani. La testimonianza, conservata presso i Contemporary Medical +Archives della Wellcome Library for the History and Understanding of Medicine +(Londra), è citata in S. Shamdasani, Jung messo a nudo dai suoi biogra௬, anche +(2004), Magi, Roma 2008, pp. 64-65. +2 Lettera del 17 giugno 1952 a Zvi Werblowsky +, lettore presso l’Università di +Leeds, poi professore all’Università ebraica di Gerusalemme e autore di +Lucifero e Prometeo, per il quale Jung redasse la Prefazione (1952, OJ 11, pp. +298-301). Vedi Lettere, II, p. 249. +3 Lettera di Jung a Michael Fordham in data 11 maggio 1955, riportata in +Shamdasani, Jung messo a nudo cit., pp. 64-65. +4 Vedi G. Steiner, Dopo Babele. Il linguaggio e la traduzione (1975), Sansoni, +Firenze 1984, p. 465. Steiner faceva presente che «muoversi tra le lingue» +nell’atto del tradurre «signi௹ca sperimentare la tensione quasi sconcertante +dello spirito umano verso la libertà», perché il problema di Babele è +«semplicemente quello dell’individuazione umana». +5 Vedi Mark Kyburz, John Peck e Sonu Shamdasani, Translators’ Note, in C.G. +Jung, The Red Book. Liber Novus, a cura di Sonu Shamdasani, Norton, New +York - London 2009, pp. 222-24. +6 Kyburz, Peck e Shamdasani, Translators’ Note cit., p. 223. In proposito i +curatori della versione anglo-americana istituiscono un accostamento storico- +culturale con quel fermento letterario che Michael Bachtin ha de௹nito +«immaginazione dialogica della prosa» (vedi M. Bachtin, The Dialogic +Imagination. Four Essays, a cura di Michael Holquist, University of Texas +Press, Austin 1981). In campo letterario, ci pare non estraneo un possibile +accostamento delle sperimentazioni junghiane anche alla narrativa di James +Joyce o a quella di Hermann Broch. +7 Vedi Die Schrift, a cura di Martin Buber e Franz Rosenzweig, Schoken, Berlin +1926-37, quindi Hegner, Köln-Olten 1954-62. + Liber primus +1 I manoscritti medievali erano numerati per fogli anziché per pagine. La parte +anteriore del foglio è il recto (abbr. r), quella posteriore il verso (abbr. v). Nel +Liber primus Jung si attenne a questa prassi. Nel Liber secundus tornò al +sistema della paginazione moderna. +2 Nel 1921 Jung citò i primi tre versetti di questo passo osservando: «La nascita +del Redentore, cioè la produzione del simbolo, si veri௹ca là dove essa non è +attesa, e anzi proprio là dove la soluzione appariva più improbabile» (Tipi +psicologici, OJ 6, p. 264). [Jung cita dalla Bibbia di Lutero. Qui e altrove la +traduzione italiana dei passi biblici è tratta da La Sacra Bibbia, a cura della +Società biblica di Ginevra, Ginevra-Torino 1994]. +3 Nel 1921 Jung citò questo passo osservando: «La natura del simbolo liberatore +è quella di un bambino, e cioè l’infantilità e la spregiudicatezza d’atteggiamento +appartengono al simbolo e alla sua funzione. Un tale atteggiamento “infantile” +reca automaticamente con sé il fatto che in luogo dell’ostinatezza e +dell’intenzionalità razionale sorga un principio direttivo diverso, il cui carattere +“divino” è sinonimo di “strapotenza”. Il principio direttivo è di natura +irrazionale, ragion per cui esso appare sotto la veste del meraviglioso. Isaia, 9, +6, esprime magni௹camente questo aspetto (…). Queste de௹nizioni esprimono le +proprietà essenziali del simbolo liberatore (…). Il criterio dell’“e௻cacia divina” +è la forza irresistibile dell’impulso inconscio» (Tipi psicologici, OJ 6, p. 265). +4 Nel 1955-56 Jung osservò che l’uni௹cazione degli opposti espressi dalle forze +costruttive e distruttive dell’inconscio presenta analogie con lo stato di +compimento messianico descritto in questo passo (Mysterium coniunctionis, OJ +14/1, p. 191). +5 In MM, p. 1: «Cari amici!»; in M: «Cari amici!». Molte di tali formule +allocutive, frequenti nella minuta dattiloscritta, furono poi espunte nel volume +calligrafico. +6 Nel Faust di Goethe, Faust dice a Wagner: «Quel che chiamate spirito dei +tempi / è in sostanza lo spirito di quei certi signori / in cui si rispecchiano i +tempi» (Faust, I, «Notte», vv. 577-79; ed. it. a cura di Franco Fortini, +Mondadori, Milano 1970, vol. 1, p. 49). +7 M, p. 1, continua: «Allora uno che non mi conosceva, cui però evidentemente +toccava di saperlo, mi disse: “Che strano compito hai! Devi svelare agli uomini i +tuoi aspetti più intimi e più bassi”. Proprio a ciò mi ribellavo, perché nulla odiavo + più di questo atteggiamento che mi appariva sfrontato e senza pudore». +8 Nel 1912 (Libido, pp. 55-56), Jung interpretava Dio come un simbolo della +libido, mentre negli scritti successivi egli attribuì grande importanza alla +distinzione tra immagine ed esistenza meta௹sica di Dio. Si vedano i passi +aggiunti all’edizione rivista del 1952, Simboli della trasformazione, OJ 5, pp. 71- +72. +9 +I +termini hinübergehen +(passare, +transitare), Übergang (passaggio, +transizione), Untergang +(tramonto) +e Brücke (ponte) compaiono nello +Zarathustra di Nietzsche in relazione al passaggio dall’uomo al superuomo; si +veda per esempio il passo seguente, tratto dal Prologo, § 4: «La grandezza +dell’uomo è di essere un ponte, e non uno scopo: nell’uomo si può amare il fatto +che egli sia una transizione e un tramonto. / Io amo coloro che non sanno vivere +se non tramontando, poiché essi sono una transizione» (Così parlò Zarathustra, +a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 19795, p. 8). Le +parole in corsivo sono sottolineate nell’esemplare posseduto da Jung. +10 Jung sembra riferirsi a episodi che si presenteranno successivamente nel +testo: la guarigione di Izdubar (lb. 2, cap. 9) e l’assunzione della bevanda amara +preparata dall’eremita (lb. 2, cap. 20). +11 M, p. 4, continua: «Chi beve questa bevanda non avrà più sete né delle cose di +questo mondo, né di quelle dell’altro, perché ha bevuto il transito e il +compimento. Ha bevuto il magma incandescente della vita che, nella sua anima, +si è consolidato in duro metallo e attende di fondersi e mescolarsi di nuovo». +12 In VC: «Questo senso superiore». +13 M, p. 4, continua: «Chi sa, mi capisce e vede che io non mento. Ciascuno +interroghi il suo profondo, per capire se gli è necessario ciò di cui parlo». +14 [Il tedesco ha Vermessener che conserva qui la connotazione negativa +dell’aggettivo corrispondente vermessen (presuntuoso, temerario, arrogante)]. +15 Jung si riferisce qui alla visione che segue. +16 In MC, p. 7: «I Inizio». +17 Jung tornò su questa visione in varie occasioni, sottolineandone particolari +di௸erenti: nel seminario del 1925 Psicologia analitica, p. 84; nell’intervista +realizzata da Eliade per «Combat» nel 1952 (in Jung parla. Interviste e +incontri, a cura di William McGuire e R.F.C. Hull, Adelphi, Milano 1999, pp. + 299-300); e in Ricordi, p. 217. Jung ebbe la visione durante un viaggio a +Scia௸usa, dove abitava sua suocera, il cui cinquantasettesimo compleanno +cadeva il 17 ottobre. Il viaggio in treno richiede circa un’ora. +18 M, p. 8, continua: «con un amico (di cui avevo spesso notato nella realtà la +mancanza di lungimiranza e la sventatezza)». +19 M, p. 8, continua: «il mio amico però voleva ritornare con un piccolo veliero, +cosa che trovavo sciocca e imprudente». +20 M, pp. 8-9, continua: «e là trovavo anche, stranamente, arrivato insieme a me, +il mio amico, che evidentemente aveva preso la medesima nave veloce, senza +che io me ne fossi accorto». +21 Riferimento all’Icewine, vino prodotto da grappoli lasciati sulle viti al freddo +௹nché non sono congelati. Una volta eliminato il ghiaccio, le uve vengono +spremute, per ottenere un vino dolce, succoso e altamente concentrato. +22 M, p. 9, continua: «Questo fu il mio sogno. Vano fu ogni tentativo di +comprenderlo, nonostante mi sforzassi per giorni e giorni. Mi aveva fatto però +una profonda impressione». Jung racconta questo sogno anche in Ricordi, p. +218. +23Vedi sopra, Introduzione. +24 In M, p. 9, questa esortazione è preceduta da: «Amici miei». +25 Si veda, per contrasto, Giovanni, 14, 6: «Gesù gli disse: “Io sono la Via, la +Verità e la Vita. Nessuno può venire al Padre se non attraverso di me”». +26 M, p. 10, continua: «Questa non è una legge, ma, attenzione, il tempo del +modello e della legge, e della linea diritta tracciata in anticipo, è scaduto». +27 M, p. 10, continua: «Mi si secchi la lingua se vi parlo di leggi, se blatero +insegnamenti. Chi cerca questo si alzerà affamato dal mio desco». +28 M, p. 10, continua: «Esiste solo una legge ed è la vostra legge. Esiste solo una +verità ed è la vostra verità». +29 M, p. 11, continua: «Non si deve fare dell’uomo una pecora, ma della pecora +un uomo. Questo vuole lo spirito del profondo, che si trova al di là del presente e +del passato. Parlate e scrivete per coloro che vogliono sentire e leggere. Ma +non correte dietro agli uomini, per non macchiare la dignità umana. (…) Essa è +un bene davvero raro. Meglio è un triste, dignitoso declino che una salvezza + priva di dignità. Chi vuol essere medico dell’anima tratta l’uomo da malato. +O௸ende la dignità umana. È presuntuoso dire che l’uomo è malato. Chi vuol +essere un pastore di anime tratta gli uomini da pecore. O௸ende la dignità +umana. È un’impertinenza a௸ermare che l’uomo è come una pecora. Chi vi dà il +diritto di dire che l’uomo è malato ed è una pecora? Conferitegli la dignità +umana a௻nché egli possa trovare la sua elevazione o il suo decadimento, +insomma la sua via». +30 M, p. 12, continua: «Miei cari amici, questo è tutto ciò che posso dirvi sui +fondamenti e sulle intenzioni del mio messaggio, che mi è stato imposto così +come all’asino paziente viene imposta la pesante soma. È lieto di +sbarazzarsene». +31 Nel testo Jung identi௹ca l’uccello bianco con la sua anima. Per una discussione +a proposito della colomba nell’alchimia vedi Jung, Mysterium coniunctionis +(1955-56), OJ 14/1, p. 75. +32 In MC, p. 13: «Prime notti». +33 Il 27 ottobre 1913 Jung aveva scritto a Freud per troncare ogni relazione con +lui e rassegnare le dimissioni da redattore dello «Jahrbuch für psychoanalytische +und psychopathologische Forschungen». Vedi Lettere tra Freud e Jung 1906- +1913, a cura di William McGuire e Wolfgang Sauerländer, Boringhieri, Torino +1974, p. 592. +34 In una lezione tenuta all’ETH il 14 giugno 1935 Jung nota: «Un momento +importante della vita è quello intorno ai trentacinque anni, quando le cose +cominciano a cambiare; è il primo apparire del lato d’ombra della vita, della +discesa alla morte. È evidente che Dante ha incontrato proprio questo momento, +e coloro che hanno letto lo Zarathustra ben sanno che anche Nietzsche l’aveva +scoperto. Quando arriva questo punto di svolta, le persone possono andarvi +incontro in molti modi: alcuni gli girano le spalle, altri vi si tu௸ano a capo௹tto e +ad altri ancora arriva dall’esterno qualche evento decisivo. Se non vediamo una +certa cosa, il destino lo farà al posto nostro» (Modern Psychology, p. 223). +35 12 novembre 1913 (nelle note che seguono le date delle singole fantasie sono +desunte dai Libri neri). Dopo Sehnsucht (struggimento), M, p. 13, aggiunge: +«all’inizio del mese seguente, a prendere in mano la penna e a scrivere quanto +segue:». +36 Quest’a௸ermazione ricorre molte volte negli scritti successivi di Jung. Si veda +per esempio La psicologia analitica è una religione? (1937), in Jung parla cit., +pp. 137-42. + 37 Jung descriverà in seguito la trasformazione da lui sperimentata in questo +periodo come esempio dell’inizio della seconda metà della vita, che spesso segna +il ritorno all’anima, dopo che sono state realizzate le mete e le ambizioni della +prima metà della vita. Vedi Simboli della trasformazione (1912/1952), OJ 5, p. +14; vedi anche Gli stadi della vita (1930/1931), OJ 8, pp. 417-32. +38 Jung si riferisce qui alle sue prime ricerche. Nel 1905 aveva scritto per +esempio: «L +’esperimento associativo ci o௸re almeno i mezzi per spianare la +strada all’esplorazione sperimentale dei segreti dell’anima malata» (Il +significato psicopatologico dell’esperimento associativo, 1906, OJ 2/2, p. 160). +39 In Tipi psicologici (1921) Jung osserva che in psicologia le teorie sono sempre +«il risultato della costellazione psichica soggettiva dello scienziato» (OJ 6, p. +21). Questa specularità costituisce un tema importante nei suoi scritti +successivi. Vedi S. Shamdasani, Jung e la creazione della psicologia moderna. Il +sogno di una scienza (2003), Magi, Roma 2007, pt. 1. +40 M, p. 16, continua: «ideata da me, messa insieme in base alle cosiddette +esperienze e giudizi». +41 Nel 1913, in una relazione tenuta al Congresso psicoanalitico di Monaco, Jung +de௹nì questo processo «introversione della libido» (Sulla questione dei tipi +psicologici, OJ 6, p. 502). +42 Nel 1912 Jung aveva scritto: «È un errore comune giudicare il desiderio in +base alla qualità del suo oggetto (…). La natura è bella solo grazie al desiderio +e all’amore che l’uomo ha per essa. Le qualità estetiche che ne emanano +riguardano in primo luogo la libido, che essa sola costituisce la bellezza della +natura» (Libido, p. 75). +43 +In Tipi psicologici (1921) Jung formula questo primato dell’immagine +attraverso il concetto di esse in anima (OJ 6, pp. 56 sgg., 451 sgg.). Cary +Baynes commenta così questo passo: «Mi ha colpito in particolare quello che lei +dice a proposito del Bild [immagine] come metà del mondo. Questo è ciò che +rende gli uomini così noiosi. Non sono riusciti a capire la cosa. Il mondo, che è la +cosa che li tiene avvinti. L +’immagine, non l’hanno mai presa in seria +considerazione, a meno che non fossero poeti» (CCB, diario, 8 febbraio 1924). +44 M, p. 17, continua: «Chi punta soltanto alle cose s’impoverisce, anche se la +sua ricchezza esteriore cresce, e la sua anima cadrà preda di una lunga e +penosa infermità». +45 M, p. 17, continua: «Questa parabola del ritrovamento dell’anima, amici miei, + intende mostrarvi che mi avete visto solo come un uomo a metà, perché avevo +smarrito l’anima mia. Certo, voi non lo notate; quanti, infatti, oggigiorno sono in +contatto con la propria anima? Senz’anima non c’è via che consenta di +trascendere questo tempo». Commentando questo passo, Cary Baynes osserva: +«Sono arrivata al suo colloquio con l’anima. Tutto quel che scrive è detto nel +modo giusto e suona sincero. Non si tratta del grido del giovane che si sta +risvegliando alla vita, bensì di quello dell’uomo maturo che ha vissuto con +pienezza e senza risparmio quanto il mondo gli o௸riva, e che all’improvviso, una +notte, si rende conto di non aver colto l’essenza. La visione le è giunta proprio al +culmine del suo potere, quando avrebbe potuto proseguire nel solito modo, con +pieno successo nel mondo. Non so come lei abbia potuto trovare la forza per +dare ascolto a quella voce. Io condivido in tutto e per tutto ciò che dice e lo +capisco. Chiunque abbia perso il contatto con la sua anima, o al contrario abbia +saputo come darle vita, dovrebbe avere la possibilità di guardare questo libro. +Finora ogni parola è per me viva e mi sprona proprio là dove mi sento fragile. +Ma, come lei dice, oggi il mondo è lontanissimo da questo spirito. Tuttavia +questo non ha troppa importanza, un libro può muovere il mondo intero, se è +scritto col fuoco e col sangue» (CCB, diario, 8 febbraio 1924). +46 Sul simbolismo dell’uccello e del serpente collegati all’albero si veda Jung, +L’albero filosofico (1945), OJ 13, cap. 12. +47 14 novembre 1913. +48 M, p. 18, continua: «che mi erano oscuri e che io cercavo di comprendere, pur +senza esserne all’altezza». +49 M, p. 18, continua: «Io appartenevo alle persone e alle cose. Non +appartenevo a me stesso». In LN2, p. 19, Jung a௸erma di aver vagato per undici +anni. Aveva cessato di scrivere quel diario nel 1902, riprendendolo poi +nell’autunno del 1913. +50 LN2, p. 8, continua: «E fu solo attraverso l’anima della donna che ti ritrovai». +51 LN2, p. 8, continua: «Vedi, ho in me una ferita che non si è ancora sanata: la +mia ambizione di fare impressione sugli altri». +52 LN2, p. 9, continua: «Devo dirmelo chiaramente: Lui si serve forse +dell’immagine di un bambino che vive nell’anima di qualsiasi uomo? Non erano +forse fanciulli Horus, Tagete e Cristo? Anche Dioniso ed Eracle erano fanciulli +divini. Il Dio-uomo Cristo non si de௹niva forse Figlio dell’Uomo? Qual era nel dir +questo il suo pensiero più recondito? Il nome di Dio dovrebbe forse essere: +Figlia dell’Uomo?». + 53 M, pp. 20-21, continua: «Com’era ௹tta l’oscurità di prima! Quant’era intensa +ed egoista la mia passione, soggiogata da tutti i demoni dell’ambizione, della +sete di gloria, dell’avidità di possesso, del so௸ocamento della vita, dell’arrivismo, +e com’ero ignorante allora! La vita mi ha travolto, io mi sono allontanato +deliberatamente da te, e l’ho fatto in tutti questi anni. Riconosco che è stato un +bene. Ma pensavo che tu fossi perduta, oppure talvolta mi pareva di essere io +stesso perduto. Tu però non eri persa. Io percorrevo la strada del giorno. Tu +camminavi invisibile al mio ௹anco e mi hai guidato, un passo dopo l’altro, +mettendo insieme tutti i pezzi in modo sensato». +54 Possibile riferimento a Giobbe, 1, 21: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto». +55 [Abschaum (feccia, posa del vino) potrebbe alludere qui, con un gioco di +parole, al proverbio tedesco Träume sind Schäume, che signi௹ca: «I sogni sono +schiuma», cioè sono inconsistenti]. +56 Nel 1912 Jung plause alla teoria di Maeder sulla funzione prospettica (o +teleologica) dei sogni (Saggio di esposizione della teoria psicoanalitica, 1913, +OJ 4, p. 219). In un dibattito tenutosi presso la Società psicoanalitica di Zurigo il +31 gennaio 1913, Jung a௸ermò: «Il sogno non è un semplice soddisfacimento di +desideri infantili, ma esprime anche simbolicamente il futuro (…). Il sogno +risponde mediante simboli che si devono comprendere» (MSPZ, p. 5). +Sull’elaborazione della teoria del sogno da parte di Jung si veda Shamdasani, +Jung e la creazione della psicologia moderna cit., pp. 131-99. +57 Questo pensiero riecheggia la celebre a௸ermazione di Blaise Pascal: «Il cuore +ha le sue ragioni, che la ragione non conosce» (Pensieri, 423; ed. it. a cura di +Adriano Bausola, Rusconi, Milano 19784, p. 585). La copia dell’opera di Pascal +in possesso di Jung contiene un gran numero di segni a margine. +58 Nel 1912 Jung sostenne che la psicologia sperimentale e in generale il sapere +erudito non sono su௻cienti per chi voglia diventare «conoscitore dell’anima +umana». Per conseguire una tale conoscenza costui dovrebbe «riporre nel +cassetto la scienza esatta, spogliarsi della toga del dotto, dire addio allo +scrittoio e, armato di tutta la sua umanità, vagabondare per il mondo, attraverso +gli orrori delle prigioni, dei manicomi e degli ospedali; attraverso le tetre +bettole di periferia, i bordelli e gli inferni del gioco; attraverso i salotti della +società elegante, la borsa, i raduni socialisti, le chiese, i revival e i riti estatici +delle sette: sperimenterebbe così sulla propria pelle l’amore e l’odio, la passione +in tutte le sue forme» (Vie nuove della psicologia, OJ 7, p. 240). +59 Nel 1931 Jung sottolineerà le conseguenze patogene che ha sui ௹gli la vita +non vissuta dai genitori: «Ciò che di norma in௺uisce di più sul bambino a livello + psichico è quella vita che i genitori (…) non hanno vissuto. Questa a௸ermazione +sarebbe troppo sommaria e super௹ciale senza un’ulteriore precisazione: quel +pezzo di vita che eventualmente avrebbe anche potuto essere vissuto se certi +pretesti più o meno sottili non l’avessero impedito» (Prefazione a F.G. Wickes, +«Il mondo psichico dell’infanzia», OJ 17, p. 42). +60 Nel 1925 Jung spiegò questi pensieri nel modo seguente: «Queste idee +riguardanti l’Animus e l’Anima mi conducevano molto lontano in questioni +meta௹siche, e molte cose sgusciavano fuori per essere riconsiderate. A quel +tempo sapevo, su base kantiana, che esistono cose che non possono essere +risolte e riguardo alle quali non bisogna quindi abbandonarsi a speculazioni, ma +mi sembrava che se fossi stato in grado di scoprire una qualche nozione de௹nita +concernente l’Anima, sarebbe stato ammissibile formulare una concezione di +Dio. Ma non pervenni a nulla di soddisfacente, benché per un certo tempo +pensassi che la ௹gura dell’Anima fosse una divinità. Mi dicevo che forse gli +uomini avevano avuto originariamente un Dio femminile ma che, stanchi di +essere governati da donne, lo avevano poi abbattuto. In pratica ritrovavo +nell’Anima ogni problema meta௹sico e la concepivo come lo spirito dominante +della psiche. In questo modo mi impegnai in una disputa psicologica con me +stesso riguardo al problema di Dio» (Psicologia analitica, p. 91). +61 Nel 1940 Jung compose uno studio Sulla psicologia dell’archetipo del +Fanciullo per un volume redatto in collaborazione con il classicista ungherese +Karl Kerényi (Prolegomeni allo studio scienti௬co della mitologia, Boringhieri, +Torino 1972; OJ 9/1, pp. 145-74). Jung vi rilevò che il motivo del bambino divino +ricorre con frequenza nel processo di individuazione. Come evidenziato dalla +sua natura mitologica, esso non rappresenta l’infanzia dell’individuo in senso +letterale, ma compensa l’unilateralità della coscienza e spiana la via al futuro +sviluppo della personalità. In certe situazioni di con௺itto la psiche inconscia +produce un simbolo uni௹catore degli opposti: il bambino è uno di questi simboli. +Anticipa il Sé prodotto dalla sintesi degli elementi consci e inconsci della +personalità. Il caratteristico destino che tocca al bambino mostra il tipo di +eventi psichici che accompagnano la genesi del Sé. Le circostanze prodigiose in +cui ha luogo la sua nascita indicano che essa avviene sul piano psichico, opposto +a quello fisico. +62 Nel 1940 Jung scriveva: «Un aspetto essenziale del motivo del fanciullo è il +suo carattere di avvenire. Il fanciullo è il futuro in potenza» (Psicologia +dell’archetipo del Fanciullo, OJ 9/1, p. 157). +63 M, p. 27, continua: «Amici miei, voi vedete che la grazia sta con ciò che è +adulto e non con quel che ha tratti infantili. Ringrazio il mio dio per questo + messaggio. Non fatevi fuorviare dalla dottrina del cristianesimo! Il suo +insegnamento va bene per gli spiriti più maturi del tempo antico. Oggi è +diventato adatto agli spiriti immaturi. Per noi il cristianesimo non o௸re più un +messaggio di grazia, eppure essa ci è necessaria. Questo che vi dico è una via di +ciò che ha da venire, è la mia via verso la grazia». +64 Ossia Gesù Cristo. Vedi Jung, Il simbolo della trasformazione nella messa +(1942/1954), OJ 11, pp. 197-283. +65 In Risposta a Giobbe (1952) Jung osserva: «Con l’immanenza nell’uomo della +terza persona divina, vale a dire lo Spirito Santo, ha luogo la cristi௹cazione di +molti» (OJ 11, p. 451). +66 15 novembre 1913. +67 In LN2, pp. 13-14, Jung riporta a questo punto i due sogni cruciali, avuti +all’età di diciannove anni, che lo fecero volgere alle scienze naturali e che sono +raccontati in Ricordi, pp. 117-18. +68 [Gioco di parole tra Sinn (senso), Unsinn (nonsenso, assurdità) e Wahnsinn +(follia)]. +69 In LN2, p. 20, Jung annota a questo punto: «C’è qualcuno, qui accanto a me, +che mi sussurra all’orecchio cose cattive: “Tu scrivi perché vuoi che i tuoi +pensieri vengano stampati e giungano alla gente. Vuoi far sensazione sfruttando +ciò che è insolito. Nietzsche l’ha fatto meglio di te. Tu imiti sant’Agostino”». Il +riferimento +è +alle Confessioni di Agostino (ca 400 d.C.), una sorta di +autobiogra௹a spirituale scritta all’età di quarantacinque anni, in cui il santo +narra la propria conversione al cristianesimo – gli anni del suo smarrimento +lontano da Dio e come avvenne il ritorno a Lui. Attenendosi a questo modello, +nelle parti iniziali del Liber novus Jung si rivolge alla propria anima e rievoca +anch’egli il tempo del suo smarrimento e il suo ritorno a lei. Nei suoi scritti editi +Jung cita frequentemente Agostino e, in Libido, fa spesso riferimento alle +Confessioni. +70 1 Giovanni, 4, 16: «Dio è amore: e chi sta nell’amore sta in Dio, e Dio sta in +lui». +71 Per quaranta giorni Cristo fu tentato dal demonio nel deserto. Vedi Luca, 4, 1- +13; Matteo, 4, 1-11. +72 Matteo, 21, 18-20: «La mattina dopo, tornando in città ebbe fame. E visto +lungo la strada un ௹co, gli si avvicinò, ma non trovandovi altro che foglie, gli + disse: “Da te non nasca mai più frutto in eterno!”. Subito il ௹co si seccò. I +discepoli, nel veder questo, rimasero stupiti ed esclamarono: “Come mai questo +௹co si è seccato all’istante?”». Vedi anche Marco, 11, 12-14. Nel 1944 Jung +osservò: «Il cristiano – il mio cristiano – non conosce anatemi, né approva la +maledizione lanciata all’innocente albero di ௹co dal rabbi Gesù» (Perché non +seguo la «verità cattolica», 1976, OJ 18, p. 342). +73 M, p. 34, continua: «Possono servire alla tua redenzione». [La santa +menzionata nella frase precedente è Edvige di Slesia (1174-1243), canonizzata +da Clemente IV nel 1267]. +74 Scrive Nietzsche: «E anche quando si hanno tutte le virtù, bisogna saper fare +una cosa: mandare a dormire al momento giusto anche le virtù» (Così parlò +Zarathustra cit., I, «Delle cattedre della virtù», p. 27). Nel 1939 Jung criticò la +concezione orientale di liberazione da virtù e vizi (Commento psicologico al +«Libro tibetano della grande liberazione», 1954, OJ 11, p. 521). +75 22 novembre 1913. In LN2, p. 22, al posto di questa frase si legge: «dice una +voce». Il 21 novembre Jung aveva presentato alla Società psicoanalitica di +Zurigo +una +relazione +dal +titolo Formulierungen zur Psychologie des +Unbewussten (Precisazioni sulla psicologia dell’inconscio). +76 28 novembre 1913. +77 LN2, p. 33, continua: «Sento queste parole: “Un anacoreta nel suo deserto +personale”. Mi vengono in mente i monaci del deserto siriaco». +78 LN2, p. 35, continua: «Penso a Cristo nel deserto. Gli antichi che andavano +nel deserto esteriore andavano anche nel deserto del proprio Sé, oppure il loro +Sé non era così desolato e desertico come il mio? Lì ingaggiavano lotte col +Diavolo. Io lotto con l’attesa. Mi pare che non sia da meno, perché è davvero +come stare in un inferno cocente». +79 Intorno al 285 d.C. sant’Antonio andò a vivere da eremita nel deserto +egiziano, seguito da un gruppo di discepoli. Uno di questi, Pacomio, provvide alla +loro organizzazione in comunità. Questo movimento costituì la base del +monachesimo cristiano, che si di௸use nei deserti della Palestina e della Siria. +Nel iv secolo, nel deserto egiziano vivevano migliaia di monaci. +80 Giovanni, 1, 1: «In principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola +era Dio». +81 11 dicembre 1913. + 82 Nel Commento al «Segreto del ௬ore d’oro» (1929/1957) Jung criticò la +tendenza occidentale a inserire ovunque regole e intenzioni. La lezione più +importante dei testi cinesi e di Meister Eckhart era, a suo giudizio, l’invito a +lasciare accadere spontaneamente gli eventi psichici: «Il lasciar accadere il fare +nel non-fare, l’abbandonarsi di Meister Eckhart è diventato per me la chiave che +dischiude la porta verso la via: sul piano psichico bisogna essere in grado di +lasciar accadere» (OJ 11, p. 28). +83 Rifacendosi all’insegnamento di Gesù: «Beati i poveri in spirito, perché di essi +è il regno dei cieli» (Matteo, 5, 3), i membri di varie comunità cristiane facevano +voto di povertà. Nel 1934 Jung scriveva: «Come nel cristianesimo il voto di +povertà distoglie la mente dai beni terreni, così anche la povertà spirituale vuol +rinunciare alle false ricchezze dello spirito, per ritirarsi non solo da quei miseri +resti di un grande passato che oggi si chiamano “chiese” protestanti, ma anche +da tutte le lusinghe del sapere esoterico, per tornare in௹ne a se stessi, là dove, +alla fredda luce della coscienza, la nudità del mondo si allarga ௹no alle stelle» +(Gli archetipi dell’inconscio collettivo, 1934/1954, OJ 9/1, p. 14). +84 M, p. 47, continua: «Anche questa è un’immagine degli antichi, che la vivevano +simbolicamente nelle cose concrete. Essi rinunciavano alla ricchezza per essere +partecipi della loro anima, scegliendo volontariamente la povertà. Perciò ho +dovuto confessare alla mia anima la mia estrema povertà e indigenza. E la mia +intelligenza si oppose deridendomi». +85 12 dicembre 1913. In MC, p. 34: «IV La rappresentazione dei misteri. Prima +notte». LN2, p. 41, continua: «La lotta dell’ultimo periodo fu la lotta contro la +derisione. Un sogno che mi procurò una notte insonne e tre giorni di tormento +mi ha equiparato (dall’inizio alla ௹ne) al farmacista di Chamounix di G. Keller. +Conosco e riconosco questo stile. Ho imparato che si deve dare il proprio cuore +alla creatura umana, ma l’intelletto allo spirito dell’umanità, a Dio. Allora la +nostra opera potrà superare la vanità, perché non v’è puttana più ipocrita +dell’intelletto, quando si mette al posto del cuore». Gottfried Keller (1819- +1890), scrittore svizzero, è autore di Der Apotheker von Chamounix. Ein Buch +Romanzen (1883), in Gesammelte Gedichte. Erzählungen aus dem Nachlass, +Artemis, Zürich 1984, pp. 351-417. +86 M, p. 48, continua: «Davanti c’era un nano, tutto di cuoio, posto a guardia +dell’ingresso». +87 M, p. 49, continua: «Bisogna conquistare la pietra, è la pietra del tormento, +della luce rossa». In MC, p. 35: «È un cristallo esagonale da cui emana una +fredda luce rossastra». In Nekyia. Beiträge zur Eklärung der neuentdeckten + Petrusapokalypse, Teubner, Leipzig 1893 (19132), p. 71, Albrecht Dieterich fa +riferimento alla rappresentazione del mondo sotterraneo – un grande lago e un +luogo pieno di serpenti – presente nelle Rane di Aristofane (che egli considera di +origine or௹ca). Nell’esemplare dell’opera posseduto da Jung il passo risulta +sottolineato. Del pari sottolineate, ed evidenziate da un segno a margine, sono le +parole Finsternis (tenebra) e Schlamm (fango) in una successiva descrizione +riportata a p. 83. In௹ne, in un elenco di citazioni appuntate sul retro della sua +copia, Jung annota: «81 fango», con riferimento alla rappresentazione or௹ca di +un fiume di fango nel mondo infero, richiamata da Dieterich a p. 81. +88 LN2, p. 43, continua: «Questo buco oscuro… dove porta? È questo che voglio +sapere. Che cosa dice? Un oracolo? È il luogo in cui stava la Pizia?». +89 Jung riferì quest’episodio nel seminario del 1925, sottolineandone particolari +di௸erenti: «Quando emersi dalla fantasia, compresi che la mia tecnica aveva +funzionato meravigliosamente bene, ma ero molto confuso riguardo al +signi௹cato di quanto avevo veduto. La luce nella grotta, proveniente dal +cristallo, pensai che fosse la pietra ௹losofale. Invece, il segreto assassinio +dell’eroe non riuscivo a capirlo. Sapevo naturalmente che lo scarabeo era un +antico simbolo del sole, e il sole dell’alba, il luminoso disco rosso, era +archetipico. I serpenti li supponevo connessi con il materiale egizio. Non +riuscivo ancora a rendermi conto che tutto era estremamente archetipico, che +non avevo bisogno di ricercare collegamenti. Mi accadde di associare la scena +al mare di sangue di cui avevo avuto l’immagine in precedenza. Sebbene io non +sapessi a௸errare il signi௹cato dell’eroe ucciso, ben presto feci un sogno nel +quale uccidevo Sigfrido. Era il caso di distruggere il mio eroico ideale di +e௻cienza. Esso doveva essere sacri௹cato a௻nché potesse realizzarsi un nuovo +adattamento; in breve, ciò era connesso al sacri௹cio della funzione superiore, +allo scopo di poter acquisire la libido necessaria ad attivare la funzione +inferiore» (Psicologia analitica, p. 94). (L +’uccisione di Sigfrido sarà descritta e +interpretata in seguito, nel cap. 7, pp. 48-52). Jung cita e discute in forma +anonima questa fantasia nella lezione tenuta all’ETH il 14 giugno 1935 (Modern +Psychology, p. 223). +90 Illustrazione della scena di questa visione. +91 In MC, p. 37, questa parola (die Wissenschaft) è cancellata. +92 In MC, p. 38, göttlich (divino) è sostituito con selig (beato). +93 In MC, p. 38, l’intera frase è sostituita da: «Ne nasce la follia». +94 Il tema della follia divina ha una lunga storia. Il suo riferimento classico è + costituito dall’argomentazione di Socrate nel Fedro platonico: «I beni più grandi +ci giungono attraverso la follia, quella elargita per concessione divina» (244a; +ed. it. a cura di Roberto Velardi, Rizzoli, Milano 2006, p. 177). Socrate +distingue quattro tipi di follia divina: 1) la divinazione ispirata, quale quella +praticata dalla profetessa di Del௹; 2) il delirio mistico che, dando accesso alla +profezia, libera dai mali causati da antiche colpe attraverso le preghiere e il +culto; 3) la possessione da parte delle Muse: con la sola tecnica, senza +invasamento delle Muse, nessuno può mai essere buon poeta; 4) lo stato di +innamoramento. Nel Rinascimento il tema viene ripreso dai neoplatonici (per +esempio da Marsilio Ficino) e da umanisti come Erasmo da Rotterdam. L +’analisi +svolta da quest’ultimo nel suo Elogio della follia (1511) è particolarmente +importante perché egli fonde la concezione classica di Platone con il +cristianesimo, da lui considerato il tipo più elevato di pazzia ispirata. Non +diversamente da Platone, Erasmo distingue tra due tipi di follia, una patologica e +una divina: «Dunque, ௹nché l’anima si serve correttamente degli organi del +corpo, è detta sana; ma quando, spezzate le catene, tenta di rivendicare la +propria libertà e quasi medita la fuga da quel carcere, allora si parla di follia. +Nel caso questo si veri௹chi per una malattia o per un difetto organico, allora +davvero sono tutti d’accordo nel parlare di follia. E tuttavia, vediamo che anche +uomini di questo genere predicono il futuro, conoscono lingue e alfabeti che non +hanno mai imparato in passato e sono avvolti da un’aura in tutto e per tutto +divina» (Elogio della follia, § 66; ed. it. a cura di Stefano Cavallotto, Edizioni +Paoline, Milano 2004, p. 293). Erasmo aggiunge che, se la follia «si veri௹ca nel +trasporto religioso, forse non è dello stesso tipo, ma tale è, tuttavia, la +somiglianza che gran parte degli uomini la giudica follia pura» (p. 294). Alla +gente comune le due forme di follia appaiono uguali. La felicità che provavano i +cristiani «non era altro che un certo tipo di follia» (ibid.). Coloro che «hanno +potuto farne esperienza vanno soggetti a manifestazioni che si avvicinano +moltissimo alla follia: fanno discorsi sconnessi e fuori dal comune modo di +esprimersi dell’uomo, proferendo suoni privi di senso; all’improvviso mutano +completamente espressione (…). Insomma, sono davvero del tutto fuori di sé» (§ +67; pp. 298-99). In qualche modo a௻ne alle considerazioni di Jung è poi la +trattazione che del tema della follia divina dà il ௹losofo F.W.J. Schelling nella +sua opera Le età del mondo (1815). Egli nota che «non a caso gli antichi hanno +parlato di una divina e sacra follia», riferendola all’«interna autolacerazione +della natura». A suo giudizio, «nessuno compie qualcosa di grande (…) senza una +continua sollecitazione alla follia, che può solo essere dominata, ma non può mai +mancare del tutto». Da un lato vi sono gli «spiriti sobri», nei quali non c’è traccia +di follia, e gli «uomini della ragione», che producono fredde opere intellettuali. +Dall’altro, insieme ai folli veri e propri, «una classe di persone che riescono a +dominare la follia e che, proprio esercitando questo controllo, mostrano in + sommo grado la forza dell’intelletto» (Le età del mondo, a cura di Carlo +Tatasciore, Guida, Napoli 1991, pp. 172-73). +95 Applicazione della regola pragmatica di William James, il cui Pragmatism +(1907), letto da Jung nel 1912, esercitò una forte in௺uenza sul suo pensiero. +Nella prefazione alle lezioni tenute alla Fordham University di New York nel +1912 Jung dichiarò di aver assunto la regola pragmatica di James a suo principio +guida (Saggio di esposizione della teoria psicoanalitica, 1913, OJ 4, p. 112). +Vedi in proposito Shamdasani, Jung e la creazione della psicologia moderna cit., +pp. 83-86. +96 M, pp. 54-55, continua: «Lo spirito del profondo mi era talmente estraneo che +impiegai venticinque notti per comprenderlo. E anche in seguito mi fu così +estraneo che non riuscivo né a vedere né a porre domande. Ha dovuto venire a +me come un estraneo, da lontano, e da un lato che non conoscevo. Ha dovuto +chiamarmi. Non sono stato io che ho potuto rivolgergli la parola, conoscendo lui +e la sua natura. Si annunciò con voce tonante, come nel tumulto della guerra, +con il diverso grido delle molte voci di questo tempo. Lo spirito di questo tempo +si ribellò in me contro l’estraneo e levò l’urlo di battaglia insieme ai suoi +numerosi servi. Udii lo strepito di questa battaglia che avveniva nell’aria. Allora +irruppe lo spirito del profondo e mi condusse nel luogo delle cose più intime. +Aveva però rimpicciolito lo spirito di questo tempo, riducendolo a un nano, che +era intelligente e operoso, ma restava pur sempre un nano. E la visione mi +mostrò lo spirito di questo tempo come fatto di cuoio, ossia compresso, +rinsecchito e senza vita. Non poteva impedirmi di addentrarmi nel mondo +oscuro, sotterraneo dello spirito del profondo. Con stupore dovetti constatare +che i miei piedi a௸ondavano nella nera fanghiglia del ௹ume della morte. [MC, p. +41, aggiunge: «perché lì c’è la morte»]. Il mistero del cristallo che ardeva di +luce rossa costituì la mia meta successiva». +97 M, p. 58, continua: «La mia anima è il mio senso superiore, la mia immagine +divina, non il Dio stesso e neppure il senso superiore medesimo. Dio si rivela nel +senso superiore della comunità degli uomini». +98 In Il simbolo della trasformazione nella messa (1942/1954) Jung illustrò il +motivo dell’identità di sacri௹catore e sacri௹cato, con particolare riferimento alle +visioni di Zosimo di Panopoli, un alchimista e ௹losofo della natura vissuto nel iii +secolo d.C. Jung osservò: «Quel che io sacri௹co è la mia rivendicazione +egoistica, e così facendo rinuncio a me stesso. Perciò ogni sacri௹cio è, più o +meno, un sacri௹cio di sé» (OJ 11, p. 251). Vedi anche Kaṭha-upaniṣad, 1, 2, 19. +Jung citò il versetto successivo della Katḥāupaniṣad sulla natura del Sé in Tipi +psicologici (1921), OJ 6, p. 203 e nota. Nell’esemplare posseduto da Jung + (Sacred Books of the East, vol. 15, pt. 2, p. 11) questi versetti sono +contrassegnati da una linea a margine. +99 Jung elaborò il tema della colpa collettiva in Dopo la catastrofe (1945), OJ +10/2, pp. 13-37. +100 Il riferimento è agli eventi della prima guerra mondiale. Nell’autunno del +1914 (quando Jung scrisse questa sezione) erano già state combattute la +battaglia della Marna e la prima battaglia di Ypres. +101 Nella lezione tenuta il 14 giugno 1935 all’ETH Jung fece il seguente +commento (in parte riferendosi a questa fantasia che egli attribuisce a un +anonimo): «Il motivo del sole compare in molti luoghi ed epoche e il signi௹cato è +sempre lo stesso, ossia che è nata una nuova coscienza. È la luce +dell’illuminazione proiettata nello spazio. Si tratta di un evento psicologico, il +termine medico “allucinazione” non ha senso in psicologia. / La catabasi svolge +un ruolo fondamentale nel Medioevo e gli antichi maestri immaginavano il sole +nascente in questa catabasi come una nuova luce, la lux moderna, la gemma, il +Lapis» (Modern Psychology, p. 231). +102 M, p. 61, continua: «So bene, amici miei, che vi sto parlando per enigmi. Ma +lo spirito del profondo mi ha fatto vedere molte cose per aiutare la mia debole +capacità di comprensione. Voglio narrarvi ancora delle mie visioni a௻nché +comprendiate meglio che cosa lo spirito del profondo vorrebbe farvi vedere. +Beato colui che può vedere queste cose. Chi non le vede deve viverle in senso +figurato, come cieco destino». +103 In L +’Io e l’inconscio (1928) Jung parla di aspetti distruttivi e anarchici che +sono costellati nelle società, e che vengono messi in atto «con cospicui misfatti», +quali il regicidio, da individui dotati di disposizioni profetiche (OJ 7, p. 151). +104 All’inizio del XX secolo ebbero luogo numerosi assassinii politici. Qui Jung si +riferisce in particolare a quello dell’arciduca Francesco Ferdinando, l’erede al +trono austro-ungarico, avvenuto il 28 giugno 1914 per mano di Gavrilo Princip, +diciannovenne studente serbo. Il fatto ebbe un ruolo cruciale tra gli eventi che +scatenarono la prima guerra mondiale, tanto che Martin Gilbert lo de௹nisce un +«punto di svolta nella storia del XX secolo» (A History of the Twentieth Century, +Morrow, London 1997, vol. 1, p. 308). +105 M, p. 62, continua: «Mentre io miravo a ottenere il massimo del mio potere +mondano, lo spirito del profondo mi ha mandato pensieri e visioni indicibili che +hanno spento la mia voglia di arrivare in alto, il mio eroismo come lo si intende +nel nostro tempo». + 106 M, p. 64, continua: «Tornerà a rivivere in noi tutto ciò che abbiamo +dimenticato, ogni passione umana e divina, i serpenti neri e il sole rosso del +profondo». +107 Il 9 giugno 1917 all’Associazione di psicologia analitica, a seguito di una +relazione sulla Chanson de Roland presentata da Jules Vodoz, si discusse sulla +psicologia della guerra mondiale. Jung sostenne che, «almeno in via ipotetica, la +guerra mondiale può essere rilevata a livello del soggetto. Anche nel singolo +individuo il principio autoritario (l’agire in base a principi) e il principio emotivo +sono in contraddizione fra loro. L +’inconscio collettivo si allea con l’emotività». +Riguardo all’eroe Jung disse: «L +’eroe – la ௹gura che il popolo ama – deve +cadere. Tutti gli eroi si distruggono da soli, esagerando oltre misura +l’atteggiamento eroico e andando in tal modo incontro al fallimento» (MAPAZ, II, +p. 10). L +’interpretazione psicologica della prima guerra mondiale a livello +soggettivo corrisponde ai temi sviluppati in questo capitolo. Il nesso tra +psicologia individuale e psicologia collettiva, qui articolato da Jung, costituisce +uno dei motivi conduttori dei suoi scritti più tardi (vedi per esempio Presente e +futuro, 1957, OJ 10/2, pp. 103-56). +108 In Al di là del bene e del male (1886), Nietzsche scrive: «Chi lotta con i +mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu +scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te» (§ 146, in +Opere, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. 6, t. 2, Adelphi, Milano +1968, p. 79). +109 [Jung riprende qui il gioco di parole tra Unsinn (nonsenso, assurdità), +Widersinn (controsenso) e Stumpfsinn (ottusità, idiozia)]. +110 LN2, p. 53, continua: «Sei un nevrotico? Siamo dei nevrotici?». +111Vedi sopra. +112 M, p. 70, continua: «Amici miei, se sapeste quali abissi del futuro portate in +voi stessi! Chi si cala nel suo profondo, scorge quel che verrà». +113 M, p. 71, continua: «Ma come Giuda era un anello necessario nella catena +dell’opera della redenzione, così anche il nostro tradimento di Giuda nei +confronti dell’eroe è un passo necessario per la redenzione». In Libido, pp. 29 +sgg., Jung discute il punto di vista espresso dall’abate Oegger nel racconto di +Anatole France Il giardino di Epicuro, dove si sostiene che Dio ha scelto Giuda +come strumento necessario per portare a compimento l’opera di redenzione di +Cristo. + 114 Vedi Levitico, 16, 7-10: «Poi prenderà i due capri e li presenterà davanti al +Signore all’ingresso della tenda di convegno. Aaronne tirerà a sorte per vedere +quale dei due debba essere del Signore e quale di Azazel. Poi Aaronne farà +avvicinare il capro che è toccato in sorte al Signore, e l’o௸rirà come sacri௹cio +per il peccato; ma il capro che è toccato in sorte ad Azazel sarà messo vivo +davanti al Signore perché serva a fare l’espiazione, per mandarlo poi ad Azazel +nel deserto». +115 M, p. 72, continua: «questo ci hanno insegnato gli antichi». +116 M, p. 72, continua: «Chi si muove nel deserto sperimenta tutto ciò che fa +parte del deserto. Gli antichi ci hanno già descritto ogni cosa. È da loro che +possiamo imparare. Aprite i vecchi libri e imparate ciò che verrà a voi nella +solitudine. Vi sarà donato tutto, e nulla risparmiato: sia la grazia che il +tormento». +117 L’immagine si riferisce al compianto funebre per la morte dell’eroe. +118 18 dicembre 1913. In LN2, p. 56: «La notte seguente fu terribile. Mi svegliai +presto per via di un sogno terri௹cante». In M, p. 73: «dal profondo emerse una +possente visione onirica». +119 Sigfrido è un principe eroico dell’antica tradizione epica nordica e tedesca. +Nel XII secolo il Canto dei Nibelunghi ne dava la seguente descrizione: «Con +quanta baldanza cavalcò all’accampamento! La sua asta era larga, forte e +possente. Una bella spada gli giungeva ௹no agli speroni. Il sire aveva un corno +d’oro rosso lucente» (I Nibelunghi, a cura di Laura Mancinelli, Einaudi, Torino +1972, p. 133, str. 951). Secondo la leggenda sua moglie Crimilde è indotta con +l’inganno a rivelare l’unico punto in cui egli può essere ferito e ucciso. Wagner +rielaborò quest’epopea nella tetralogia L +’anello del Nibelungo. Nel 1912 +(Libido, pp. 314-18 e 338-43) Jung diede un’interpretazione psicologica della +௹gura dell’eroe come simbolo della libido, citando principalmente il libretto +wagneriano del Sigfrido. +120 In M, p. 73: «Dopo questa visione onirica». +121 In LN2, p. 57, Jung annota questo sogno: «Mi slanciavo con facilità su per +una strada incredibilmente scoscesa e aiutavo poi nella salita mia moglie, che +seguiva più lentamente. Alcuni ridevano di noi, ma la cosa mi stava bene, perché +dimostrava che non sapevano che avevo assassinato l’eroe». Jung raccontò il +sogno nel seminario del 1925, facendolo precedere dalle seguenti osservazioni: +«Sigfrido non era un personaggio a me molto congeniale, e non so perché il mio +inconscio si è interessato a lui. Il Sigfrido di Wagner, in particolare, è + esageratamente estrovertito e a volte addirittura ridicolo. Non mi è mai +piaciuto. Ciò nonostante, il sogno lo mostrava come il mio eroe. Non riuscivo a +comprendere l’intensa emozione che il sogno mi suscitava» (Psicologia analitica, +p. 105). Dopo aver narrato il sogno, Jung conclude: «Avvertivo per lui [Sigfrido] +un’immensa pietà, sebbene fossi stato io a ucciderlo. Avevo quindi un eroe che +non apprezzavo, e si trattava del mio ideale di forza e di e௻cienza, che avevo +ucciso. +Avevo +ucciso +il +mio +intelletto, +aiutato +nell’impresa +da +una +personi௹cazione dell’inconscio collettivo, il piccolo uomo dalla pelle scura che +era insieme a me. In altri termini, avevo destituito la mia funzione superiore. +(…) La pioggia che cade è un simbolo dello scioglimento della tensione; vale a +dire, le forze dell’inconscio vengono liberate. Quando questo accade, si produce +una sensazione di liberazione. Il crimine è espiato, perché una volta che la +funzione dominante viene deposta si determina, per altri lati della personalità, la +possibilità di nascere alla vita» (ibid., p. 106). In LN2 e nelle successive +osservazioni riguardo a questo sogno presenti in Ricordi, pp. 222-23, Jung +a௸ermò che sentiva che avrebbe dovuto uccidersi se non fosse riuscito a +risolvere questo enigma. +122 In M, pp. 73-74, si legge: «e ripiombai nel sonno. In me a௻orò allora una +seconda visione onirica». +123 M, p. 74, continua: «Queste luci mi penetrarono nella mente e nei sensi. E +ripiombai nel sonno come un convalescente». Jung raccontò questo sogno ad +Aniela Ja௸é e osservò che dopo il suo confronto con l’Ombra, avvenuto nel sogno +di Sigfrido, questo secondo sogno esprimeva l’idea che in lui coesistessero +aspetti diversi. L +’inconscio va oltre la persona, come l’aureola dei santi, e +l’Ombra è come una sfera di luce colorata che circonda le persone. Secondo +Jung, questa era una visione dell’aldilà dove gli uomini sono esseri completi (CJR, +p. 170). +124 M, p. 74, continua: «Il mondo di mezzo è un mondo delle cose più semplici. +Non è un mondo dell’intenzione e del dovere, bensì un “mondo del forse” dotato +di possibilità inde௹nite. Qui ci sono solo viuzze secondarie, nessuna ampia e +diritta strada militare, sopra non v’è un cielo, né sotto un inferno». Nell’ottobre +1916 Jung tenne al Club psicologico di Zurigo alcune conferenze su +«adattamento, individuazione e collettività», in cui sottolineò l’importanza della +colpa: «Il primo passo in direzione dell’individuazione è tragica colpa. +L’accumularsi della colpa esige espiazione» (Adattamento, 1970, OJ 7, p. 311). +125 M, p. 74, aggiunge: «Questo vi fa sorridere? Lo spirito di questo tempo +vorrebbe farvi credere che il profondo non sia un mondo reale». + 126 M, p. 75, continua: «a mo’ di Giuda». +127 M, p. 76, continua: «La visione onirica mi mostrò che non ero solo nella mia +impresa. Avevo per aiutante un giovane, dunque uno più giovane di me; un me +stesso ringiovanito». +128 M, p. 76, continua: «Come Wotan, anche Sigfrido doveva morire». Sugli +e௸etti dell’introduzione del cristianesimo in Germania Jung così si espresse nel +1918: «Il cristianesimo scisse il barbaro germanico in una metà inferiore e in +una superiore, e in questo modo, mediante la rimozione della sua parte oscura, +riuscì ad addomesticarne la parte luminosa e a renderla idonea alla civiltà. Ma +la metà inferiore aspetta la sua liberazione e un secondo addomesticamento. +Nel frattempo essa rimane associata ai resti del passato più remoto e +all’inconscio collettivo, accrescendo così in modo peculiare la vitalità di +quest’ultimo» (Sull’inconscio, OJ 10/1, p. 12). Jung ampliò le sue ri௺essioni al +riguardo in Wotan (1936), OJ 10/1, pp. 279-91. +129 In M, p. 76, questa frase recita: «Ma noi vogliamo continuare a vivere con un +nuovo Dio, con un eroe al di là di Cristo». In occasione della redazione dei +Ricordi Jung raccontò ad Aniela Ja௸é che gli era parso di essere un eroe +vittorioso, ma che il sogno indicava che l’eroe doveva essere ucciso. All’epoca +l’esorbitante volontà dei tedeschi si concretizzava nella Linea Sigfrido. Una voce +dentro di lui gli aveva detto: «Se non capisci il sogno ti devi sparare!» (CJR, p. +98; Ricordi, p. 184). La Linea Sigfrido originaria era un vasto sistema difensivo +realizzato nel 1917 dai tedeschi nella Francia settentrionale (in realtà si +trattava di una sezione della Linea Hindenburg). +130 Il tema del Dio che muore e risorge è uno degli assi portanti del Ramo d’oro +di Frazer, testo che Jung cita più volte in Libido. +131 Riferimento alla parabola del granello di senape. Vedi Matteo, 13, 31-32: «Il +regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel +suo campo: esso è il più piccolo di tutti i semi; ma quand’è cresciuto è il +maggiore dei legumi e diventa un albero». Cfr. anche Luca, 13, 18-20; Marco, 4, +30-32. +132 Vedi Marco, 16, 17: «Cristo disse che quelli che avrebbero creduto +avrebbero parlato con nuove lingue». Il fenomeno della glossolalia è discusso in +1 Corinzi, 14, ed è centrale nel Movimento pentecostale. +133 L +’autosuperamento è uno dei grandi temi nicciani. Scrive Nietzsche nel +Prologo (§ 3) dello Zarathustra: «Io v’insegno il superuomo. L +’uomo è qualcosa +che dev’essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno + creato qualcosa al di sopra di sé: e voi volete essere il ri௺usso in questa grande +marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l’uomo?» (ed. cit., p. 6; +in corsivo le frasi sottolineate da Jung nell’esemplare dell’opera in suo +possesso). Jung torna sul tema dell’autosuperamento e del superuomo in +Nietzsche’s Zarathustra. Notes of the Seminar Given in 1934-1939, a cura di +James Jarrett, Princeton University Press, Princeton 1988, vol. 2, pp. 1502-08. +134 Giuda tradì Cristo per trenta monete d’argento (Matteo, 26, 14-16). +135Vedi sopra. +136 Questa concezione della natura inglobante del nuovo Dio è sviluppata +pienamente nel secondo Sermone ai morti: vedi oltre, Prove, pp. 389-91. Il tema +dell’integrazione del male nella divinità ha un ruolo centrale nelle opere più +tarde di Jung: vedi per esempio Aion (1951), OJ 9/2, cap. 5, e Risposta a Giobbe +(1952), OJ 11, pp. 339-453. +137 La concezione dell’idea assoluta fu sviluppata da Hegel, che la intese come +culmine e unità autodi௸erenziantesi della sequenza dialettica che dà origine al +cosmo. Vedi Hegel, Scienza della logica (1812-16), Laterza, Roma-Bari 19743, +e Jung, Tipi psicologici (1921), OJ 6, p. 448. +138 In MC, p. 68, questa frase è eliminata e sostituita da «ma lo si può +indovinare:». +139 In 1 Pietro, 4, 6, si legge: «Infatti per questo è stato annunziato il vangelo +anche ai morti; a௻nché, dopo aver subito nel corpo il giudizio comune a tutti gli +uomini, possano vivere mediante lo Spirito, secondo la volontà di Dio». +140 Il tema della discesa di Cristo all’inferno compare in molti Vangeli apocri௹. Il +Credo degli apostoli recita: «Discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò dai +morti». In varie occasioni Jung fece riferimento alla ripresa di questo motivo +nell’alchimia medievale (Psicologia e alchimia, 1944, OJ 12, pp. 56, nota 3, 327, +342; Mysterium coniunctionis, 1955-56, OJ 14/2, p. 351). Una delle sue fonti +(vedi Psicologia e alchimia, 1944, OJ 12, p. 56, nota 3) era la citata Nekyia di +Albrecht Dieterich, in cui viene discusso un frammento apocalittico del Vangelo +di san Pietro in cui Cristo dà una descrizione particolareggiata dell’inferno. +L +’esemplare dell’opera posseduto da Jung presenta numerosi segni ai margini e +sul retro si trovano due foglietti aggiunti, con un elenco di riferimenti di pagine e +vari appunti (vedi sopra). Nel 1951 Jung diede la seguente interpretazione +psicologica del motivo della discesa di Cristo all’inferno: «La portata di +quest’integrazione è accennata dal descensus ad inferos, la discesa agl’inferi +dell’anima di Cristo, il cui e௸etto di redenzione si estenderà anche ai morti. + L +’equivalente psicologico di tale operazione è rappresentato dall’integrazione +dell’inconscio collettivo: essa costituisce una componente indispensabile +dell’individuazione» (Aion, OJ 9/2, p. 38). Nel 1938 Jung aveva osservato: «Il +viaggio nell’inferno che avviene durante i tre giorni dello stato di morte, +rappresenta il sommergersi del valore scomparso nell’inconscio, ove esso +(avendo vinto la potenza della tenebra) istituisce un nuovo ordinamento, e da +dove riemerge ௹no alle altezze del cielo, cioè ௹no alla suprema chiarezza della +coscienza» (Psicologia e religione, 1938/1940, OJ 11, pp. 95-96). Con +l’espressione «i libri sconosciuti degli antichi» s’intendono i Vangeli apocrifi. +141 M, p. 83, continua: «Ma il serpente è anche vita. Gli antichi dissero in senso +௹gurato che il serpente è quello che pose ௹ne alla magni௹cenza infantile del +paradiso. Essi a௸ermarono addirittura che lo stesso Cristo era stato quel +serpente». Vedi Aion (1951), OJ 9/2, p. 175. +142 In MC, p. 70: «un inizio d’inferno». Nel 1933 Jung ricordò: «Allo scoppio +della guerra ero a Inverness e tornai per l’Olanda e la Germania. Mi imbattei +nelle armate che andavano verso occidente ed ebbi l’impressione che fosse ciò +che in tedesco si direbbe una Hochzeitsstimmung, una festa d’amore per tutto il +paese. Tutto era decorato di ௹ori, era un’esplosione d’amore, tutti si volevano +bene e tutto era bello. Sì, la guerra era importante, era una grossa faccenda, +ma la cosa principale era l’amore fraterno in tutto il paese, chiunque era fratello +di chiunque altro, si poteva ottenere tutto quello che l’altro possedeva, non +aveva importanza. I contadini spalancavano le loro cantine e distribuivano tutto +ciò che avevano. Succedeva per௹no al ristorante e al bu௸et delle stazioni +ferroviarie. Avevo una gran fame, non toccavo cibo da circa ventiquattr’ore e +rimanevano soltanto pochi panini; quando chiesi quanto costassero mi dissero: +“Oh, niente, li prenda e basta!”. Quando poi passai per la prima volta il con௹ne +per entrare in Germania, fummo condotti in una tenda enorme, piena di birra, +salsicce, pane e formaggio, dove non pagammo nulla, era una grande festa +d’amore. Ero completamente frastornato» (Visioni. Appunti del seminario +tenuto negli anni 1930-1934, a cura di Claire Douglas, Magi, Roma 2004, vol. +2, p. 1054). +143 L +’espressione «assassino di anime» fu usata da Lutero e Zwingli, e più di +recente da Daniel Paul Schreber nelle sue Memorie di un malato di nervi +(1903) (Adelphi, Milano 2007, p. 392). Jung fa riferimento a quest’opera in +Psicologia della dementia praecox (1907), OJ 3, pp. 81-84, 92, 157. Nella +discussione che si tenne sul caso Schreber nell’Associazione di psicologia +analitica il 9 e 16 luglio 1915 a seguito delle relazioni di C. Schneiter, Jung +richiamò l’attenzione su una serie di paralleli gnostici alle fantasie di Schreber +(MAPAZ, I, pp. 88-89). + 144 Riferimento alla carneficina della prima guerra mondiale. +145 Riferimento alla visione riportata nel cap. 5, «Viaggio infernale nel futuro», +pp. 34-36. Nel 1940 Jung scriverà: «La minaccia esercitata da draghi e serpenti +contro la propria persona allude al pericolo che la coscienza raggiunta venga +nuovamente sommersa dalla psiche istintiva, dall’inconscio» (Psicologia +dell’archetipo del Fanciullo, 1941, OJ 9/1, p. 159). +146 In MC, p. 73: «a una fine». +147 Il 17 giugno 1952 Jung scrisse a Zwi Werblowsky sull’intenzionale ambiguità +della sua scrittura: «Il mio linguaggio dev’essere equivoco, vale a dire ambiguo, +per rendere giustizia alla natura psichica col suo doppio aspetto. Mi sforzo in +modo consapevole e determinato di trovare espressioni ambigue, in quanto sono +superiori a quelle univoche e corrispondenti alla natura dell’essere» (Lettere, II, +p. 249). +148 M, p. 87, continua: «Guardate le immagini degli dèi che ci hanno tramandato +gli antichi e i nostri progenitori: la loro natura è ambigua e molteplice». +149 1 Giovanni, 4, 16: «Dio è amore; e chi rimane nell’amore rimane in Dio, e Dio +rimane in lui». +150 M, p. 88, continua: «Chi rovescia questo motto e altre cose che vi dico è uno +che gioca, poiché non rispetta la parola data. Sappi che ricavi te stesso da ciò +che leggi in un libro. Nel libro tu leggi tanto quanto ne ricavi». [Gioco di parole +tra i due significati di lesen: «leggere» e «scegliere», «ricavare»]. +151 In MC, p. 74, «nascita del nuovo Dio», corretto in «concepimento di un Dio». +152 Riferimento alla Vergine Maria. Vedi anche il capoverso seguente. +153Vedi sopra. +154 Parrebbe alludere al ferimento di Izdubar nel Liber secundus, cap. 8, «Primo +giorno». Vedi oltre. +155 L +’importanza di raggiungere la completezza, più che la perfezione, +costituisce un tema importante nella tarda ri௺essione di Jung. Vedi Aion (1951), +OJ 9/2, p. 65 e Mysterium coniunctionis (1955-56), OJ 14/2, p. 431. +156 Nel 1916 Jung scriveva: «L +’uomo ha una facoltà che per gli intenti collettivi è +utilissima, e dannosissima per l’individuazione: quella di imitare. La psicologia +sociale collettiva non può fare a meno dell’imitazione» (La struttura + dell’inconscio, OJ 7, p. 280). In Psicologia dell’archetipo del Fanciullo (1941) +Jung a௸erma: «Tale identità è spesso molto tenace e preoccupante dal punto di +vista dell’equilibrio psichico. Se si riesce a dissolvere quest’identità, la ௹gura +dell’eroe – riducendosi la coscienza a proporzioni umane – può lentamente +differenziarsi fino a divenire simbolo del Sé» (OJ 9/1, p. 173). +157 [Gioco di parole tra Selbstisch (egoista) e Selbst (il Sé)]. +158 Jung trattò la questione del con௺itto tra «individuazione e collettività» in uno +scritto omonimo del 1916 (OJ 7, pp. 313-14). +159 +Chiarisce +Jung: +«L +’individuo +deve +ora +consolidarsi, +distaccandosi +completamente dal divino per diventare interamente se stesso. Così facendo si +separa al tempo stesso dalla società. Incorre così nella solitudine esteriore e +nell’inferno interiore, la lontananza da Dio» (Individuazione e collettività, +1916/1970, OJ 7, p. 314). +160 Si tratta di un’interpretazione dell’assassinio di Sigfrido descritto nel cap. 7. +vedi sopra. +161 Riferimento al sogno citato nel Prologo. Vedi sopra. +162 LN2, p. 64, continua: «dalla barba grigia e in abiti orientali». +163 Elia, il primo grande profeta dell’Antico Testamento, entra in scena in 1 Re, +17, recando un messaggio di Dio ad Achab, re d’Israele. Nel 1953 un frate +carmelitano, padre Bruno, scrisse a Jung chiedendogli come si potesse accertare +l’esistenza di un archetipo. Jung rispose prendendo Elia come esempio e +descrivendolo come una ௹gura altamente mitica, anche se probabilmente dotata +di realtà storica. Mettendo insieme varie tradizioni storiche, Jung ne fece «un +archetipo vivente», rappresentante l’inconscio collettivo e il Sé, e osservò che +un archetipo così costellato dà origine a nuove forme di assimilazione e +costituisce una compensazione da parte dell’inconscio (Lettera a padre Bruno, +1956, OJ 18, pp. 361-66). +164 Salomè era ௹glia di Erodiade e nipote del re Erode. Secondo il racconto +evangelico (Matteo, 14, 1-12; Marco, 6, 14-29) Giovanni Battista aveva +accusato Erode di avere illegittimamente sposato la moglie di suo fratello, ed +Erode l’aveva fatto imprigionare. Salomè (che nei Vangeli non viene chiamata +con tale nome, ma indicata semplicemente come la ௹glia di Erodiade) danzò +davanti a Erode per il suo compleanno, ed egli le promise di soddisfare qualsiasi +desiderio. Lei chiese la testa di Giovanni Battista, che fu perciò decapitato. Tra +la ௹ne dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la ௹gura di Salomè a௸ascinò pittori + e scrittori, da Guillaume Apollinaire a Gustave Flaubert e Stéphane Mallarmé, +da Gustave Moreau a Oscar Wilde e Franz von Stuck, che la ritrassero in molte +opere. Si veda Bram Dijkstra, Idoli di perversità. La donna nell’immaginario +artistico, ௬loso௬co, letterario e scienti௬co tra Otto e Novecento (1986), +Garzanti, Milano 1988. +165 LN2, p. 74, aggiunge: «Il cristallo emana un ௹evole barlume. Ripenso +all’immagine di Odisseo quando, nella sua lunga peregrinazione, passò davanti +alle isole rocciose delle Sirene. Devo o non devo?». +166 Cioè la testa di Giovanni Battista. +167 Nel seminario del 1925 Jung raccontò: «Utilizzai la stessa tecnica del +discendere, ma questa volta giunsi più in profondità. Potrei dire che la prima +volta avevo raggiunto una profondità di circa mille piedi e che questa volta si +trattava di una profondità cosmica. Fu come andare sulla luna, o come la +sensazione di un tu௸o nello spazio vuoto. Dapprima l’immagine era quella di un +cratere, o di una catena montuosa disposta ad anello, e il sentimento associato +era come per la morte di qualcuno, come se qualcuno fosse una vittima. Era lo +stato d’animo della terra dell’aldilà. Vidi due persone, un vecchio con una barba +bianca e una ragazza molto carina. Le considerai come fossero reali e ascoltai +che cosa dicevano. Il vecchio disse di essere Elia e io ero molto stupito, ma lei +era addirittura più sconvolgente, perché era Salomè. Dissi a me stesso che era +una strana unione: Salomè ed Elia. Tuttavia Elia mi assicurò che lui e Salomè +erano stati insieme sin dall’eternità. Anche questo mi stupì. Con loro, c’era un +serpente nero che aveva simpatia per me. Mi rivolgevo a Elia perché era di gran +lunga il più ragionevole, in quanto sembrava possedere una mente. Ero quanto +mai di௻dente verso Salomè. Ebbi con lei una lunga discussione, ma non capivo. +Ovviamente pensai che la spiegazione del mio vedere ௹gure come queste fosse il +fatto che mio padre era un pastore protestante. Ma che dire del vecchio Elia? +Salomè non aveva alcun legame con lui. Soltanto molto dopo considerai la sua +associazione con Elia del tutto naturale. Ogni volta in cui e௸ettuate esplorazioni +come questa, incontrate una giovane con un uomo anziano» (Psicologia +analitica, pp. 114-15). Jung individua esempi di questo tipo nelle opere di +Melville, Meyrink, Rider Haggard e cita la leggenda gnostica di Simon Mago +(vedi oltre), Kundry e Klingsor del Parsifal wagneriano (vedi oltre) e +l’Hypnerotomachia di Francesco Colonna. In Ricordi a௸erma a proposito del +serpente: «Nei miti il serpente è spesso la contro௹gura dell’eroe. Vi sono molte +ragioni che giusti௹cano la loro a௻nità (…) Perciò la presenza del serpente era +una chiara allusione al mito dell’eroe» (p. 225). Di Salomè dice: «Salomè è una +rappresentazione dell’Anima. È cieca perché non vede il signi௹cato delle cose. +Elia è la personi௹cazione del vecchio saggio profeta e rappresenta l’elemento + conoscitivo, Salomè quello erotico. Si potrebbe dire che i due personaggi siano +personi௹cazione del Logos e dell’Eros, ma una tale de௹nizione sarebbe troppo +intellettualistica. È meglio lasciare che i due personaggi siano ciò che furono +allora per me, cioè manifestazione di processi profondi dell’inconscio» (ibid.). +Nel +1955-56 +Jung +precisò: +«Partendo +da +considerazioni +meramente +psicologiche, ho tentato in altra sede di caratterizzare la coscienza maschile +mediante il concetto di Logos e quella femminile attraverso quello di Eros. Ho +inteso con Logos la facoltà di discriminare, giudicare e riconoscere, e con Eros +la capacità di “porre in relazione”» (Mysterium coniunctionis, OJ 14/1, p. 171). +Sulla interpretazione junghiana di Elia e Salomè come personi௹cazioni, +rispettivamente, del Logos e dell’Eros, si veda app. B, pp. 437-51. +168 In MC, p. 86: «Riflessione didascalica». In M e MC, p. 86, si legge: «Questa, +amico mio, è una rappresentazione dei misteri, in cui mi ha trasportato lo spirito +del profondo. Avevo riconosciuto la nascita del nuovo Dio [MC: il concepimento], +e perciò lo spirito del profondo mi fece prendere parte alle cerimonie infere, che +mi dovevano istruire sulle intenzioni e le opere del Dio. Attraverso queste scene +dovevo essere iniziato ai misteri della redenzione». +169 M, p. 100, continua: «Nel mondo rinnovato non potrete possedere nulla +esteriormente, a meno che non ve lo creiate da voi stessi. Tu puoi entrare +soltanto nei misteri che ti sono propri. Lo spirito del profondo ha da insegnare a +te cose diverse che a me. Ho per voi solo notizie del nuovo Dio e delle cerimonie +e misteri che si compiono al suo servizio. Ma questa è la via. È la porta delle +tenebre». +170 M, p. 102, continua: «La rappresentazione dei misteri ebbe luogo nel più +profondo del mio intimo, che è proprio quell’altro mondo. Devi tenere ben a +mente che esso è anche un mondo, la cui realtà è grande e spaventevole. Piangi, +ridi, tremi e a volte all’improvviso sudi freddo al pensiero della morte. La +rappresentazione dei misteri mette in scena me stesso e, attraverso di me, si +rappresenta di nuovo quel mondo a cui appartengo. Perciò, amici miei, da quel +che qui vi dico imparerete molte cose sul mondo e, per questo tramite, su di voi. +Ma in tal modo non avrete appreso nulla dei vostri misteri, anzi, la vostra via +sarà più oscura che in precedenza, perché il mio esempio sarà come un +impedimento che vi sbarrerà la strada. Potete seguirmi, non però sulla mia via, +ma sulla vostra». +171 L’immagine illustra la scena di questa fantasia. +172 Si tratta di un’interpretazione soggettiva delle figure di Elia e di Salomè. +173 In MC, p. 89, «prede௹nire o prepensare» è sostituito da «idea». La + sostituzione si ripete per l’intera sezione. +174 Nella mitologia greca Prometeo crea l’uomo plasmandolo con l’argilla. È in +grado di predire il futuro e il suo nome in greco signi௹ca: «colui che ri௺ette +prima». In Tipi psicologici (1921), OJ 6, cap. 5, Jung analizzò di௸usamente il +poema epico Prometeo ed Epimeteo (1881) di Carl Spitteler, confrontandolo +con il Prometeo incompiuto (1773/74) di Goethe. +175 In MC, p. 89: «delimitarsi». +176 M, p. 103, continua: «Perciò colui che pensa in anticipo si presentò a me +nelle vesti del profeta Elia, e il piacere nelle vesti di Salomè». +177 M, p. 105, continua: «La bestia dello spavento mortale che stava tra Adamo +ed Eva». +178 MC, p. 91, continua: «Il serpente è un principio che non solo separa ma +anche unisce». +179 Esaminando questi aspetti nel seminario del 1925, Jung osserva che nella +mitologia si trovano molti riferimenti alla relazione tra un eroe e un serpente, e +che pertanto la presenza del serpente indica che si tratta «di nuovo di un mito +dell’eroe» (Psicologia analitica, pp. 148-49). Nel testo viene anche riprodotto il +diagramma di una croce avente alla sommità il razionale o il pensiero (Elia), in +basso il sentimento (Salomè), a sinistra l’irrazionale o l’intuizione (elemento +superiore) e a destra la sensazione o elemento inferiore (serpente). +Nell’interpretazione che ne dà Jung, il serpente nero va inteso come libido +introvertita: «Il serpente sembra far orientare il movimento psicologico verso il +regno delle ombre, delle immagini morte e ingannevoli, ma anche verso la terra, +verso il concreto. (…) Poiché il serpente guida verso le ombre, ha la funzione di +Anima; conduce nel profondo, collega il Sopra e il Sotto. (…) Perciò il serpente è +anche simbolo di saggezza» (ibid., p. 156). +180 M, p. 106, continua: «Seguendo Elia e Salomè, seguo entrambi i principi in +me e attraverso di me nel mondo di cui sono parte». +181 MC, p. 92, continua: «ossia di pensare. E senza pensiero non si coglie alcuna +idea». +182 M, p. 107, continua: «Che cosa sarebbe stato Odisseo senza le sue +peregrinazioni?». MC, p. 92, aggiunge: «Non ci sarebbe stata l’Odissea». +183 MC, p. 92, continua: «quanto piuttosto del piacere per potersi godere il + giardino». +184 MC, p. 92, continua: «È sorprendente che il giardino di Salomè si trovi così +vicino alla fastosa e misteriosa sala delle idee. È forse per questo che il +pensatore prova rispetto, se non addirittura timore, nei confronti dell’idea a +motivo della sua prossimità al paradiso?». +185 M, p. 108, continua: «Io ero un pensatore. Che cosa poteva stupirmi più che +l’intima comunanza dei principi tra loro avversi, del prepensiero e del piacere?». +186 In MC, p. 94: «che prova piacere». +187 In MC, p. 94: «aver piacere». +188 In MC, p. 94: «il proprio piacere». +189 M, p. 110, continua: «Come diceva uno dei vostri poeti: “Il pozzo ha due +catene”». +190 Nel 1913 Jung presentò una comunicazione sulla «questione dei tipi +psicologici», in cui osservò che la libido o energia psichica presente in un +individuo è di solito diretta verso l’oggetto (estroversione) oppure verso il +soggetto (introversione) (OJ 6, pp. 502-11). A partire dall’estate 1915 Jung +intrattenne su questo tema un’ampia corrispondenza con Hans Schmid, in cui +de௹nì gli estroversi come dominati dalla funzione del sentimento e gli introversi +come dominati dalla funzione del pensiero. I primi, diretti dal meccanismo di +piacere-dolore, sollecitano l’amore dell’oggetto e cercano inconsciamente di +esercitare un potere tirannico; i secondi cercano invece inconsciamente un +piacere inferiore e devono riconoscere che l’oggetto è anche un simbolo del loro +piacere. Il 7 agosto 1915 Jung scrisse a Schmid: «Gli opposti devono essere +conciliati +nell’individuo +stesso» +(Zur +Entstehung +von +C.G. +Jungs +«Psychologischen Typen». Der Briefwechsel zwischen C.G. Jung und Hans +Schmid-Guisan im Lichte ihrer Freundschaft, a cura di Hans Konrad Iselin, +Sauerländer, Aarau 1982, p. 66). Il collegamento tra sentimento ed +estroversione, da un lato, e pensiero e introversione dall’altro, fu mantenuto +nella discussione di questo tema presente in Die Psychologie der unbewussten +Prozesse (1917), poi rielaborato in Psicologia dell’inconscio (1917/1943). In +Tipi psicologici (1921) questo modello è ampliato sino a comprendere due tipi +generali di atteggiamento – l’introverso e l’estroverso – ulteriormente suddivisi +a seconda della predominanza di una delle quattro funzioni psichiche: pensiero, +sentimento, sensazione e intuizione. +191 22 dicembre 1913. Il 19 dicembre Jung aveva tenuto alla Società + psicoanalitica di Zurigo una conferenza dal titolo Zur Psychologie des +Unbewußten (La psicologia dell’inconscio). +192 M, p. 113, aggiunge: «Kalì». +193 LN2, p. 84, continua: «Adessso quella bianca ௹gura di fanciulla dai capelli +neri – la mia anima – e ora quella bianca ௹gura di uomo che mi è apparsa anche +allora – è simile al Mosè seduto di Michelangelo – è Elia». Il Mosè di +Michelangelo (nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma) fu oggetto di uno +studio di Freud (Il Mosè di Michelangelo, 1913). Il pronome impersonale es che +compare nel testo originale (Salome ist es mit verzweifelt gerungenen +Händen), pare identi௹care Salomè con Kalì, le cui molte mani si stringono l’una +all’altra; si veda l’illuminante osservazione di Jung, p. 77, nota 202. +194 Jung citò questa conversazione nel seminario del 1925, commentandola nel +modo seguente: «Solo allora appresi l’oggettività psicologica. Solo allora potei +dire a un paziente: “Rimanga calmo, qualche cosa accadrà”. In una casa ci sono +cose come per esempio dei topi. Non si può sapere se si sta sbagliando quando +si ha un pensiero. Per comprendere l’inconscio dobbiamo a௸rontare i nostri +pensieri come eventi, come fenomeni» (Psicologia analitica, p. 157). +195 In MC, p. 100: «verità». +196 In MC, p. 103: «Riflessione». In M e MC, pp. 103-04, segue un lungo passo, +di cui si riporta una parafrasi. Mi domando se questo sia reale, un mondo infero, +oppure un’altra realtà, e se in questo caso sia stata l’altra realtà ad avermi +forzato. Qui vedo che Salomè, il mio piacere, si volge verso sinistra, la parte di +ciò che è impuro e malvagio. Questo movimento segue il serpente, che +rappresenta la resistenza e l’avversione al movimento. Il piacere si allontana +dalla porta. Il prepensiero [in MC: «L +’idea», ripetuto per tutto questo passo] sta +invece sulla porta, conoscendo l’ingresso ai misteri. Per questo il desiderio si +disperde nella molteplicità se il prepensiero non lo dirige e non lo obbliga a +perseguire la sua meta. Se si incontra una persona che desidera soltanto, allora +dietro di ciò si incontrerà resistenza contro il suo desiderio. Il desiderio senza il +prepensiero ottiene molto, ma non trattiene nulla, perciò il suo desiderio è +origine di continua delusione. Per questo Elia richiama indietro Salomè. Se il +piacere è unito al prepensiero, il serpente è davanti a loro. Per aver successo in +qualche cosa, dovete anzitutto a௸rontare la resistenza e la di௻coltà, altrimenti +la gioia lascerà il posto al dolore e alla delusione. Perciò mi accostai ancora di +più alle cose. Per ottenere ciò che desidero, ho dovuto anzitutto vincere la +di௻coltà e la resistenza. Se il desiderio supera la di௻coltà, esso ottiene la vista +e segue il prepensiero. Per questo vedi che le mani di Salomè sono pure, senza + tracce del delitto. Il mio desiderio è puro soltanto dopo che ho superato la +di௻coltà e la resistenza. Se valuto i pro e i contro del piacere e del prepensiero, +allora sono simile a un folle che segue ciecamente le proprie brame. Se seguo il +mio pensiero, rinuncio al mio piacere. Gli antichi dicevano, in senso ௹gurato, che +il folle trova la strada giusta. Il prepensiero ha la prima parola, per questo Elia +mi chiese che cosa volessi. Voi dovreste sempre chiedervi che cosa desiderate, +dal momento che troppi non sanno quello che vogliono. Io non sapevo che cosa +volevo. Confesserete i vostri desideri più vivi, ciò che desiderate per voi stessi. +Allora soddisferete il vostro piacere e al tempo stesso darete alimento al vostro +prepensiero. +197 MC, p. 107, aggiunge: «nella sua manifestazione esterna, nella miseria della +realtà terrena». [Si noti che il termine usato qui da Jung, Verwandlung, +«trasformazione», indica anche la transustanziazione che, secondo la teologia +cattolica, ha luogo nella messa]. +198 In MC, p. 107: «figlio di Dio». +199 Vedi Matteo, 16, 19 (cfr. 18, 18): «Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; +tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in +terra sarà sciolto nei cieli». +200 M e MC, pp. 108-09, continuano: «Il papa di Roma è diventato per noi +un’immagine e simbolo di come Dio si faccia uomo e di come egli diventi il +signore visibile degli uomini. Perciò il Dio che ha da venire diventa il signore del +mondo. Questo accade anzitutto [qui] in me. Il senso superiore diventa il mio +signore e il mio infallibile sovrano, tuttavia non solo in me, ma forse anche in +molti altri che non conosco». +201 In MC, p. 109: «così divento come il Buddha che siede nel fuoco». +202 MC, p. 109, continua: «Dove c’è l’idea non manca mai il piacere. Se l’idea è +dentro, allora il piacere è fuori. Perciò mi avvolge un’aura di piacere malvagio. +Una divinità libidinosa e assetata di sangue mi fornisce questa falsa aura. +Dipende dal fatto che io devo patire completamente il divenire del Dio, anzitutto +senza poterlo tenere distinto da me. Finché esso non è tenuto distinto da me, +sono talmente a௸errato dall’idea che sono quest’idea stessa, essendo anche la +donna, che è associata all’idea sin dal principio. Nel momento in cui io accolgo +l’idea e la rappresento al modo del Buddha, il mio piacere è come l’indiana Kalì, +poiché è l’altro lato del Buddha. Kalì è però Salomè, e Salomè è la mia anima». +203 In M, pp. 125-27, si trova a questo punto un lungo passo, di cui si riporta una +parafrasi. Il torpore è una specie di morte. Mi era necessaria una + trasformazione totale. Grazie a questo mio intento, simile a quello del Buddha, +rientrai completamente in me. Allora avvenne la trasformazione. Passai poi al +piacere, giacché ero un pensatore. In quanto pensatore ri௹utavo i miei +sentimenti, ma in tal modo avevo ri௹utato una componente della vita. Il mio +sentimento divenne allora una pianta vene௹ca, e quando si ridestò, invece che +piacere, era sensualità, ossia la forma più bassa e ordinaria di piacere. Questo +aspetto è rappresentato da Kalì. Salomè è l’immagine del mio piacere, che soffre +perché è stato trascurato per troppo tempo. Si capì poi che Salomè, ossia il mio +piacere, era la mia anima. Quando me ne resi conto il mio pensiero cambiò e si +elevò all’idea; apparve allora l’immagine di Elia. Questo mi preparò alla +rappresentazione dei misteri e mi mostrò in anticipo il percorso di +trasformazione che avrei dovuto subire nel mistero. Il con௺uire del prepensiero +con il piacere fa nascere il Dio. Ho compreso che il Dio in me voleva farsi uomo; +ho tenuto conto di questo, l’ho onorato e mi sono messo al servizio del Dio, per +nessun altro che per me stesso. [In MC, p. 110: «sarebbe folle e presuntuoso +sostenere che io facessi questo per altri»]. M’immersi nella contemplazione del +miracolo della trasformazione, volgendomi dapprima al livello più basso del mio +piacere e riconoscendo la mia anima attraverso quell’esperienza. I sorrisi di Elia +e Salomè indicano che essi erano lieti del mio arrivo, mentre io mi trovavo +invece nella più profonda oscurità. Quando la via è oscura, altrettanto lo è l’idea +che dà luce. Se l’idea nel momento della confusione consente le parole e non il +cieco desiderio, allora le parole vi metteranno in di௻coltà. E invece questo vi +mette sulla giusta via. Questo è il motivo per cui Elia si volge verso sinistra, il +lato dell’empietà e del male, e Salomè invece verso destra, il lato di ciò che è +giusto e buono. Essa non va verso il giardino, il luogo del piacere, ma rimane +nella casa del padre. +204 In M, p. 128, compare un passo, di cui si riporta una parafrasi. Se io sono +forte, lo sono anche le mie intenzioni e congetture. Il mio pensiero s’indebolisce +e trapassa nell’idea. L +’idea si forti௹ca ed è sorretta dalla mia forza. Lo +riconosco dal fatto che Elia è sostenuto dai leoni. Il leone è di pietra. Il mio +piacere è morto e si trasforma in pietra, poiché non amavo Salomè. Ciò +conferiva al mio pensiero la freddezza della pietra e da ciò l’idea acquistò la +solidità necessaria a tenere a freno il mio pensiero. Esso dovette essere domato +perché lottava contro Salomè, dal momento che gli pareva cattiva. +205 Nel 1921 Jung a௸ermò: «In considerazione della loro realtà particolare, i +contenuti inconsci possono venire designati come oggetti allo stesso modo delle +cose esteriori» (Tipi psicologici, OJ 6, p. 175). +206 In M e MC, p. 115, si legge: «Avrei dovuto ritenermi folle [MC: «Sarebbe più +che insensato»] se pensassi di aver creato io stesso i pensieri del mistero». + 207 M, p. 133, continua: «Il padre l’ho riconosciuto, ma poiché ero un pensatore +non conoscevo la madre; ho visto invece l’amore sotto l’aspetto del piacere e +l’ho chiamato piacere, e per questo esso fu per me Salomè. Adesso apprendo +che la madre è Maria, colei che è senza colpa, e ricevo amore, e non il piacere, +che nella sua natura passionale e seduttiva contiene il germe del male. Se +Salomè, il piacere cattivo, è mia sorella, allora io sono probabilmente un santo +pensatore, e la mia testa è destinata a cadere. Devo sacri௹care la mia testa e +confessarvi che imperfetto e prevenuto è ciò che ho detto sul piacere, e cioè che +il piacere è il principio che si oppone al prepensiero. Da pensatore ho osservato +le cose dal punto di vista del mio pensare, altrimenti avrei potuto comprendere +che Salomè, in quanto ௹glia di Elia, è un prodotto del pensare, e non il principio +stesso, che ora appare sotto forma di Maria, l’immacolata Vergine Madre». +208 Nel Vangelo (apocrifo) degli egiziani, in un dialogo tra Cristo e Salomè, Gesù +a௸erma di essere venuto ad annullare l’opera del femminile, ossia il piacere, la +nascita e il decadimento. Alla domanda di Salomè su quanto a lungo la morte +prevarrà, Cristo risponde: ௹n quando le donne continueranno a partorire ௹gli. In +particolare Jung si riferisce qui al seguente passo: «Immaginando che non fosse +permesso generare ௹gli, ella disse: “ +Allora ho fatto bene a non generare”; al che +il Signore rispose: “Mangia di ogni erba, ma non mangiare quella amara”». Il +dialogo continua: «Allorché Salomè chiese quando i tempi sarebbero stati +maturi, il Signore rispose: “Quando calpesterete l’abito della vergogna e quando +i due saranno uno e il maschio con la femmina non sarà né maschile né +femminile”» (The Apocryphal New Testament, a cura di James K. Elliot, Oxford +University Press, Oxford 1999, p. 18). Jung cita questo logion, a lui accessibile +attraverso gli Stromata (3, 13, 94-95) di Clemente Alessandrino, come esempio +dell’unione degli opposti in Visioni (1932) cit., vol. 1, pp. 572-73, e come +esempio della coniunctio di maschile e femminile in La psicologia dell’archetipo +del Fanciullo (1941), OJ 9/1, p. 295, e in Mysterium coniunctionis (1955-56), OJ +14/2, pp. 380-81. +209 In M e MC, p. 118, si legge: «Quando però la rappresentazione dei misteri mi +mostrò questo, non lo compresi, ma pensai di aver generato un pensiero folle. Io +sono folle a credere cose del genere. E le ho credute. Per questo ho avuto paura +e ho voluto interpretare Elia e Salomè come miei pensieri arbitrari, privandoli +così della loro forza». +210 M, p. 135, continua: «L +’immagine della fresca notte stellata con l’ampio +௹rmamento mi apre gli occhi all’in௹nità del mondo interiore, che io, uomo pieno +di desideri, avverto ancora come troppo freddo. Non posso trarre a me le stelle, +ma solo guardarle. Perciò il mio ardente desiderio avverte quel mondo come +freddo e notturno». + 211 L’immagine illustra una scena della fantasia presentata in questo capitolo. +212 25 dicembre 1913. +213 Nel seminario del 1925 Jung ricorda: «Alcune sere dopo, avvertii che le cose +sarebbero continuate; perciò cercai nuovamente di seguire la stessa procedura, +ma non ci fu discesa. Rimanevo in super௹cie. Mi rendevo conto di avere un +con௺itto riguardo allo scendere giù, ma non riuscivo a capire in che cosa +consistesse, percepivo soltanto che due principi oscuri combattevano tra loro, +due serpenti» (Psicologia analitica, p. 157). Jung riporta quindi la fantasia che +segue. +214 Sempre nel seminario del 1925, Jung aggiunse: «Pensai: “Questo è un luogo +sacro druidico”» (Psicologia analitica, p. 157). +215 Nell’Anello del Nibelungo di Wagner Mime è un Nibelungo nano, fratello di +Alberico e abile fabbro. Nel prologo della tetralogia (L +’oro del Reno ) Alberico +trafuga l’oro del Reno alle tre Ondine e, avendo rinunciato all’amore, riesce a +realizzarne un anello che conferisce poteri illimitati. Nel Sigfrido Mime, che +vive in una caverna, alleva Sigfrido perché uccida il gigante Fafner, che si è +trasformato in drago e ora possiede l’anello. L +’eroe uccide Fafner con la spada +invincibile forgiata da Mime e uccide lo stesso Mime, che intendeva eliminarlo +dopo che egli avesse recuperato l’oro. Nel 1912 Jung considerò Mime come il +rappresentante maschile della Madre terri௹cante (Libido, p. 316; Simboli della +trasformazione, 1912/1952, OJ 5, pp. 353-54). +216 Nel seminario del 1925 Jung interpretò questo episodio nel modo seguente: +«Lo scontro dei due serpenti: quello bianco indica una spinta verso il giorno, +quello nero una spinta verso il regno dell’oscurità, anche secondo una +prospettiva morale. In me si svolgeva un con௺itto reale, una resistenza a +scendere giù. Il mio impulso più forte era di andare in alto. Poiché mi aveva +molto impressionato, il giorno precedente, l’atrocità del luogo che avevo visto, +provavo realmente l’impulso a cercare una via verso il conscio per risalire, come +in e௸etti feci lungo la montagna. (…) Elia aveva detto che in alto o in basso è +sempre la stessa cosa. Fate il paragone con l’Inferno di Dante. Gli gnostici +esprimono la medesima idea tramite il simbolo dei coni capovolti. Perciò la +montagna e il cratere sono simili. Non vi era alcuna struttura conscia in queste +fantasie, esse erano semplicemente eventi che accadevano. Suppongo quindi che +Dante abbia tratto le sue idee dai medesimi archetipi» (Psicologia analitica, pp. +158-59). William McGuire ipotizza che Jung si riferisca qui alla concezione +dantesca della «forma conica della cavità dell’inferno, con i relativi gironi +disposti ad anello, una forma che come tale rispecchia, in modo capovolto, con + l’apice in basso, quella del paradiso con le relative sfere» (ibid., p. 158, nota 7). +I n Aion (1951) Jung osserva che i serpenti costituiscono una tipica coppia di +opposti e che la lotta tra i serpenti è un motivo che si ritrova nell’alchimia +medievale (OJ 9/2, pp. 174-75). +217 A proposito di questa equiparazione con Cristo, Jung osservò nel seminario +del 1925: «Nonostante le mie obiezioni, [Salomè] restava convinta. Dissi: +“Questa è pazzia”, e mi irrigidii in un’opposizione scettica» (Psicologia analitica, +p. 158). Jung interpretò poi la cosa nel modo seguente: «Il suo venerarmi è quel +lato della funzione inferiore che è circondato da un’aura di male. Percepivo le +sue insinuazioni come un incantesimo prevalentemente malvagio. Si è assaliti dal +timore che questa sia forse pazzia. Questo è come inizia la pazzia, questo è +pazzia. (…) Non potete diventare consci di questi fatti inconsci senza +abbandonarvi a essi. Se riuscite a superare la vostra paura dell’inconscio e a +lasciarvi andare, allora questi fatti assumono una vita propria. Potete essere +a௸errati da queste idee ௹no al punto di impazzire realmente, o di andarvi vicino. +Queste immagini hanno una tale realtà da imporsi, e un tale straordinario +signi௹cato da far sì che una persona ne venga catturata. Esse sono parte degli +antichi misteri; infatti sono ௹gure del genere a creare i misteri. Pensate ai +misteri di Iside descritti in Apuleio, con l’iniziazione e la dei௹cazione dell’iniziato +(…). Una persona attinge un particolare sentimento dal passare attraverso una +simile iniziazione. La parte importante che culminava con la dei௹cazione era il +mio essere avvolto dal serpente. La guarigione di Salomè era una deificazione. Il +volto animale nel quale il mio si trasformava era il famoso dio leontocefalo dei +misteri mitraici, la ௹gura rappresentata con un serpente attorcigliato attorno +all’uomo, con la testa del serpente appoggiata alla testa dell’uomo e con il volto +dell’uomo come quello di un leone. (…) In questo mistero di dei௹cazione ci si +trasforma in vaso, e si è il vaso della creazione nella quale gli opposti si +ricongiungono». Quindi Jung aggiunge: «Tutto ciò, dall’inizio alla ௹ne, è +simbolismo mitraico» (ibid., pp. 159-62). Nelle Metamorfosi di Apuleio, il +protagonista del romanzo, Lucio, si fa iniziare ai misteri di Iside. L +’importanza di +questo testo sta nel fatto che si tratta dell’unica descrizione diretta di una +iniziazione di questo genere che ci sia pervenuta. Dichiara Lucio: «Arrivai ai +con௹ni della morte, posai il piede sulla soglia di Proserpina, e poi tornai indietro +passando attraverso tutti gli elementi: nella notte vidi risplendere il chiaro +fulgore del sole; mi avvicinai agli dèi degli inferi e a quelli del cielo, e li adorai da +vicino» (Metamorfosi, 11, 23; ed. it. a cura di Marina Cavalli, Mondadori, +Milano 1989, p. 457). Dopo questa esperienza, Lucio viene presentato alla folla +nel tempio: «Indossava abiti ornati da disegni di serpenti e di leoni alati, e aveva +in testa una ghirlanda di foglie di palma» (11, 24; ibid., p. 459). La copia della +traduzione tedesca delle Metamorfosi posseduta da Jung presenta una linea a +margine in corrispondenza di questo passo. + 218 In Aspetto psicologico della ௬gura di Core (1941) Jung descrive questo +episodio nel modo seguente: «In una casa sotterranea, di fatto agli inferi, abita +un vecchissimo mago e profeta insieme a sua “௹glia”. Ma questa non è la sua +vera ௹glia. È una danzatrice, una creatura molto dissoluta che è diventata cieca +e anela alla guarigione» (OJ 9/1, p. 194). Questa caratterizzazione di Elia lo +avvicina alla successiva descrizione di Filemone. Jung osserva che questa +visione «presenta la sconosciuta come una ௹gura mitica nell’aldilà (cioè +nell’inconscio). Essa è soror o ௬lia mystica di uno ierofante o “௹losofo”, dunque +palesemente un parallelo di quelle sizigie mistiche che incontriamo nelle ௹gure +di Simon Mago ed Elena, Zosimo e Teosebia, Comario e Cleopatra, e così via. La +nostra figura onirica corrisponde più che altro a Elena» (ibid., p. 196). +219 In MC, p. 127: «Riflessione». In LN2, p. 104, Jung ricopiò in traduzione +tedesca i seguenti passi del Purgatorio dantesco: «I’ mi son un, che quando / +Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo signi௹cando» (24, 52- +54); «e simigliante poi alla ௹ammella / che segue il foco là ’vunque si muta, / +segue lo spirto sua forma novella» (25, 97-99). +220 In M, p. 143: «La notizia del desiderio rivivificato dalla madre». +221 In MC, p. 127: «dell’immagine primordiale». +222 In MC, p. 127: «l’idea o l’immagine primordiale». +223 In MC, p. 127: «viva». +224 Ossia nel cap. 5, «Viaggio infernale nel futuro». Vedi sopra. +225 In MC, p. 127: «Lo spirito». +226 M, p. 145, continua: «Tutti dicono perciò che stanno combattendo per il bene +e per la pace, mentre non ci si può combattere a vicenda per il bene. Ma poiché +gli uomini non sanno che il con௺itto è dentro di loro, i tedeschi pensano che gli +inglesi e i russi abbiano torto; gli inglesi e i russi dicono invece che ad avere +torto sono i tedeschi. Ma nessuno può giudicare la storia in base alla ragione e +al torto. Se una metà dell’umanità è in torto, allora ogni essere umano è per +metà in torto. Perciò c’è un con௺itto nella sua anima. Ma l’uomo è accecato e +conosce sempre e soltanto una metà di sé. Il tedesco ha dentro di sé l’inglese e il +russo che egli combatte fuori di sé. Anche l’inglese e il russo hanno dentro di sé +il tedesco contro cui combattono. Gli uomini vedono però il diverbio esterno, ma +non quello interiore, che tuttavia è l’unica origine della Grande Guerra. Ma +prima che l’uomo possa innalzarsi verso la luce e l’amore, c’è bisogno di una + grande battaglia». +227 Nel dicembre 1916, nella Prefazione a Psicologia dei processi inconsci, Jung +scriveva: «I processi psicologici che accompagnano l’attuale con௺itto – anzitutto +l’incredibile imbarbarimento della capacità generale di giudicare, le calunnie +reciproche, l’insospettata bramosia di distruzione, l’inaudita marea di +menzogne, l’incapacità degli uomini di porre un limite al demone sanguinario – +sono i più adatti a prospettare urgentemente agli uomini che ri௺ettono il +problema dell’inconscio caotico, che sonnecchia inquieto sotto l’ordinato mondo +della coscienza. Questa guerra ha mostrato spietatamente all’uomo civile che +egli è ancora un barbaro (…). Ma la psicologia del singolo corrisponde alla +psicologia delle nazioni. Ogni singolo individuo fa ciò che fanno le nazioni, e ௬n +quando lo fa l’individuo, lo fa anche la nazione. La psicologia della nazione può +cambiare soltanto se cambia l’atteggiamento dell’individuo» (Psicologia +dell’inconscio, 1917/1943, OJ 7, pp. 3-4). +228 In MC, p. 131: «il profeta, la personificazione dell’idea». +229 In MC, p. 131: «L’idea». +230 In MC, p. 131: «idea» (e così per tutto questo capoverso). +231 MC, p. 133, aggiunge: «in maniera consapevole», e cancella: «da sé». +232 In M e MC, pp. 133-34, si legge: «La forza creativa divina diventa [in lui] +persona [coscienza personale] a partire dall’universale [inconscio]». +233 In M e MC, pp. 134-35, si legge: «Ma perché – tu chiedi – il prepensiero +[l’idea] ti appare nella ௹gura di un antico profeta ebreo e il tuo piacere nella +௹gura della pagana Salomè? Amico mio, non dimenticare che anch’io sono uno +che pensa e vuole nello spirito di questo tempo, e sono completamente preda +della malia del serpente. Grazie all’iniziazione ai misteri dello spirito del +profondo comincio solo adesso a disfarmi di tutto ciò che è antico, che manca a +colui che pensa nello spirito di questo tempo, anche se non ancora +completamente come quest’ultimo richiederebbe, bensì a riaccoglierlo nel mio +essere uomo, per rendere completa la mia vita. Mi sono infatti impoverito e +allontanato da Dio. Devo ancora accogliere in me ciò che è divino e mondano, +poiché lo spirito di questo tempo non aveva più nulla da o௸rirmi e mi ha invece +tolto quel poco che possedevo nella vita reale. Mi ha soprattutto reso avido e +frettoloso, perché è mero presente e mi ha costretto ad andare a caccia di ogni +cosa presente per riempire ogni attimo». +234 In M e MC, p. 136, si legge: «Come gli antichi profeti [antichi] stavano di + fronte al mistero di Cristo, così anch’io mi trovo tuttora dinanzi al [a questo] +mistero di Cristo, [nella misura in cui accolgo nuovamente il passato] sebbene io +viva duemila anni dopo di lui [dopo] e un tempo credessi [avessi creduto] di +essere un cristiano. Non ero però mai stato un Cristo». +235 Nietzsche: «Redimere coloro che sono passati e trasformare ogni “così fu” in +un “così volli che fosse”. Solo questo può essere per me redenzione» (Così parlò +Zarathustra cit., II, «Della redenzione», p. 170). +236 L +’11 febbraio 1916, in un dibattito che si tenne all’Associazione di psicologia +analitica, Jung a௸ermò: «Noi abusiamo della volontà, la crescita naturale viene +posta sotto il giogo della volontà (…). La guerra ci insegna: la volontà non serve +a nulla… Dobbiamo vedere che cosa succederà. Siamo completamente +sottomessi al potere assoluto del divenire» (MAPAZ, I, p. 106). +237 In M e MC, p. 137, si legge: «perché voi siete [noi siamo] ancora nell’intimo +antichi ebrei e pagani con le loro terribili divinità». +238 In MC, p. 138: «noi c’innalziamo». +239 In MC, p. 139, si legge: «Noi ci siamo chiamati cristiani imitatori di Cristo. +Essere veri seguaci di Cristo significa essere noi stessi dei Cristi». +240 Probabile riferimento alla ribellione dei contadini tedeschi avvenuta nel +1525. +241 Nel 1918, nella Prefazione alla seconda edizione di Psicologia dei processi +inconsci (1917/1943) Jung scriverà: «La visione di questa catastrofe risospinge +su se medesimo l’uomo, nel sentimento della sua totale impotenza; lo induce a +guardare dentro di sé e, poiché tutto oscilla e sembra lì lì per crollare, l’uomo +cerca qualcosa a cui appigliarsi. Sono ancora molti, troppi, coloro che cercano al +di fuori (…). Troppo pochi invece cercano al di dentro, nel proprio Sé, e ancora +troppo pochi si domandano se il miglior servizio che si può rendere alla società +umana non consista dopo tutto nel cominciare da se stessi, e cioè che ciascuno, +anziché di pretenderlo dai suoi simili, sperimenti anzitutto e unicamente nella +propria persona e nella propria arena interiore l’abolizione dell’ordine +esistente, e le leggi, e le vittorie di cui va cianciando a ogni angolo di strada» (OJ +7, pp. 4-5). +242 In M, p. 157, si legge: «Se ciò non accade, Cristo non sarà superato, e il male +diverrà ancora più grave. Perciò io ti dico questo, amico mio, affinché tu lo possa +dire ai tuoi amici e venga diffuso tra la gente». + 243 M, p. 157, continua: «Vidi che dal Dio Cristo era nato un nuovo Dio: un +giovane Ercole». +244 In M e MC, pp. 142-45, compare qui un lungo passo, di cui si riporta una +parafrasi. Il Dio tiene l’amore alla sua destra, il prepensiero [in MC, ovunque, +«l’idea»] alla sua sinistra. L +’amore è dalla nostra parte favorevole, il +prepensiero da quella sfavorevole. Questo dovrebbe raccomandarti l’amore, +nella misura in cui sei parte di questo mondo e soprattutto se sei un pensatore. +I l Dio possiede entrambi gli aspetti. La loro unione è Dio. Il Dio si sviluppa +attraverso l’unione di entrambi i principi in te [me]. Tu [io] non diventi Dio o +divino in questo modo, ma è piuttosto Dio a diventare umano. Egli si manifesta in +te e attraverso di te come un bambino. Il divino verrà a te come un bambino o in +maniera infantile, nella misura in cui tu sei un uomo adulto. L +’uomo infantile +possiede un Dio vecchio, quello che conosciamo e che abbiamo visto morire. Se +sei cresciuto puoi solo diventare più simile a un bambino. Hai davanti a te la +giovinezza e tutti i misteri di ciò che ha da venire. Chi è infantile invece ha +davanti a sé la morte, poiché egli deve prima diventare adulto. Tu diventerai +adulto nella misura in cui supererai il Dio degli antichi e quello della tua infanzia. +Lo supererai non mettendolo da parte, secondo lo spirito di questo tempo +[spirito del tempo]. Lo spirito di questo tempo oscilla tra il sì e il no come un +ubriaco [poiché esso è l’incertezza della consapevolezza (coscienza) generale di +questo momento]. Tu [«Uno», dovunque, e relative concordanze] puoi superare +il vecchio Dio solo diventando tu stesso Dio e facendo esperienza tu stesso della +sua so௸erenza e della sua morte. Lo superi e diventi te stesso, come uno che +cerca se stesso e non imita più gli eroi. Liberi te stesso nel momento in cui ti +liberi del vecchio Dio e del suo modello. Quando sei diventato tu il modello non +hai più bisogno del suo. Nel fatto che Dio teneva tra le mani l’amore e il +prepensiero nella forma di un serpente, mi fu mostrato che egli aveva colto la +volontà dell’uomo. [Dio unisce l’opposizione tra l’amore e l’idea e la tiene tra le +sue mani]. Amore e prepensiero esistevano dall’eternità, ma non erano voluti. +Tutti vogliono sempre lo spirito di questo tempo, il quale pensa e desidera. Colui +che vuole lo spirito del profondo vuole l’amore e il prepensiero. Se li vuoi +entrambi diventi Dio. Se fai questo il Dio nasce e prende possesso del volere +degli uomini e tiene il tuo volere nella sua mano di bambino. Lo spirito del +profondo compare in te totalmente infantile. Se tu non lo vuoi, esso sarà per te +un tormento. Il volerlo ti fa trovare la via. Amore e prepensiero sono nel mondo +dell’aldilà, ௹no a quando tu non li vuoi e il tuo volere sta in mezzo a loro come il +serpente [li mantiene separati]. Se li vuoi entrambi esploderà in te il con௺itto +tra il volere l’amore e il volere il prepensiero [riconoscimento]. Vedrai che non +puoi volerli entrambi nello stesso tempo. In questo stato di necessità nascerà il +Dio, come hai sperimentato nel mistero, e lui prenderà tra le sue mani la volontà +divisa, tra le mani di un bambino il cui volere è semplice e supera la frattura. + Che cosa è questo volere infantile-divino? Non lo puoi imparare da una +descrizione, esso può solo manifestarsi in te. E non puoi neppure volerlo. Non +puoi impararlo o riconoscerlo da ciò che dico. È incredibile come gli uomini +possano ingannare se stessi e mentire a se medesimi. Lascia che questo sia un +avvertimento. Ciò che dico è il mio mistero non il tuo, la mia via non la tua, +poiché il mio Sé appartiene a me e non a te. Tu non dovresti imparare la mia via, +ma trovare la tua. La mia via conduce a me e non a te. +245 In MC, p. 146: «Il grande spirito». +246 In MC, pp. 146-50, compare qui un lungo passo, del quale si riporta una +parafrasi. Quando hai notato l’orgoglio e la forza che colmavano gli uomini e la +bellezza che irradiava dagli occhi delle donne quando la guerra colpì i popoli, hai +saputo che l’umanità era sulla via. Hai capito che questa guerra non era solo +avventura, +latrocinio, +atti +criminali +e +assassinio, +ma +era +il +mistero +dell’autosacri௹cio. Lo spirito del profondo [cambiato ovunque in questo passo +con «il grande spirito»] ha a௸errato l’umanità e l’ha costretta all’autosacri௹cio +attraverso la guerra. Non cercare la colpa qui o là. [La colpa non si trova +all’esterno]. È lo spirito del profondo che si è impadronito del destino dei popoli, +così come si è impadronito del mio. Esso porta i popoli al ௹ume di sangue, +esattamente come vi portò me. Nel mistero feci esperienza di ciò che la gente fu +costretta a fare nella realtà [che accadde all’esterno su vasta scala]. Non lo +sapevo, ma il mistero mi insegnò che la mia volontà si poneva ai piedi del Dio +croci௹sso. Ho sperimentato [Ho voluto] l’autosacri௹cio di Cristo in me stesso. Il +mistero di Cristo si compì davanti ai miei occhi. Il mio prepensiero [L +’idea che +stava sopra di me] mi forzava a questo, ma io resistevo. Il mio desiderio +supremo, il mio leone, la mia passione più ardente e più intensa, voleva opporsi +alla misteriosa volontà dell’autosacri௹cio. Così ero come un leone circondato dal +serpente [, un’immagine del fato che si rinnova eternamente]. Salomè giunse a +me da destra, il lato favorevole. Il piacere si risvegliò in me. Ho provato che il +piacere mi arriva quando mi sacri௹co. Sento che Maria, il simbolo dell’amore, è +la [mia] madre di Cristo, che l’amore ha fatto nascere Cristo. L +’amore porta a +sacri௹care se stessi. L +’amore è anche la madre del mio autosacri௹cio. Nel +sentire e accettare questo, faccio esperienza del diventare Cristo, poiché +riconosco che l’amore mi trasforma in Cristo. Ma ancora dubito, poiché è quasi +impossibile per colui che pensa di௸erenziarsi dal suo pensiero e accettare che +ciò che accade nel suo pensiero è anche qualcosa che è fuori di lui. È fuori di lui +nel mondo interiore. Io divento Cristo nel mistero, vedo piuttosto come sono +stato trasformato in Cristo, eppure sono totalmente me stesso, così che potevo +ancora dubitare quando il mio piacere mi diceva che io ero Cristo. [Salomè,] Il +mio piacere mi disse [che io sono Cristo] perché l’amore, che è più alto del +piacere e che tuttavia in me è ancora nascosto nel piacere, mi condusse + all’autosacri௹cio e mi rese Cristo. Il piacere mi venne vicino, mi avvolse nelle +sue spire e mi costrinse a provare il tormento di Cristo e a versare il mio sangue +per il mondo. La mia volontà, che prima serviva lo spirito di questo tempo +[sostituito ovunque con «spirito del tempo»], seguì lo spirito del profondo e +proprio come prima era determinata dallo spirito del tempo, è ora determinata +dallo spirito del profondo, dal prepensiero [sostituito ovunque con «idea»] e dal +piacere. Essi indussero a volere l’autosacrificio e lo spargimento di sangue, della +mia essenza vitale. È il mio piacere malsano a portarmi all’autosacri௹cio. La sua +parte più intima è amore che sarà liberato dal manto del piacere mediante il +sacri௹cio. Qui si veri௹cò il miracolo: il mio piacere, che prima era cieco, +acquistò la vista. Il mio piacere era cieco, ed era amore. Per la mia fortissima +disponibilità all’autosacri௹cio, anche il mio piacere cambiò, si trasformò in un +principio superiore che in Dio è tutt’uno con il prepensiero. L +’amore vede, ma il +piacere è cieco. Il piacere vuole sempre ciò che è più vicino e va a tentoni +attraverso la molteplicità, andando dall’uno all’altro senza meta, sempre alla +ricerca e mai appagato. L +’amore non vuole ciò che è più prossimo, ma ciò che è +più distante, migliore e appagante. E io vidi qualcos’altro, ossia che il +prepensiero in me assumeva la forma di un vecchio profeta, che si rivelò essere +precristiano e si trasformò in un principio che non appariva più in forma umana, +ma nella forma assoluta della pura luce bianca. Così il principio umano relativo +si trasformò nel divino assoluto attraverso il compimento del mistero di Cristo. Il +prepensiero e il piacere si unirono in me in una nuova forma e la volontà in me, +che mi era sembrata estranea e pericolosa, il volere dello spirito del profondo, +giacque paralizzato ai piedi della ௹amma splendente. Divenni una cosa sola con +il mio volere. Questo accadde in me, lo vidi soltanto nella rappresentazione dei +misteri. In questo modo mi furono rese note molte cose che prima non +conoscevo [come in una rappresentazione]. Ma avevo dubbi su ogni cosa. Mi +parve di dissolvermi nell’aria, poiché la terra del mistero [dello spirito] mi era +ancora estranea. Il mistero mi mostrò le cose che stavano davanti a me e che +dovevano giungere a compimento. Ma non sapevo come e quando. Ma +quell’immagine di Salomè che aveva riacquistato la vista, inginocchiata in estasi +davanti alla ௹amma bianca, suscitò un forte sentimento, che si sostituì alla mia +volontà e mi condusse a tutto ciò che venne dopo. Peregrinai in me stesso, +attraverso le so௸erenze di quella peregrinazione dovevo acquisire tutto ciò che +serviva per il compimento del mistero che avevo visto [avevo appena visto]. +247 Secondo una testimonianza di Gilles Quispel, Jung dichiarò al poeta olandese +Roland Horst di aver scritto Tipi psicologici sulla base di trenta pagine del Libro +rosso (si veda Stephan Hoeller, The Gnostic Jung and the Seven Sermons to the +Dead, Quest, Wheaton, Ill., 1985, p. 6). È probabile che egli avesse in mente gli +ultimi tre capitoli del Liber primus, incentrati sull’esperienza del mistero. In essi +viene infatti rappresentato in forma drammatica il concetto di con௺itto tra + funzioni opposte, l’identi௹cazione con la funzione dominante e lo sviluppo del +simbolo uni௹catore come soluzione del con௺itto tra gli opposti, che sono le +questioni centrali del quinto capitolo di Tipi psicologici (1921), dedicato al +«Problema dei tipi nella poesia: Prometeo ed Epimeteo di Karl Spitteler». Nel +seminario del 1925 Jung ricordò: «Mi resi conto che l’inconscio andava +elaborando enormi fantasie collettive. Nella stessa misura in cui, prima, mi ero +appassionatamente interessato a esaminare i miti, ora il mio interesse era +rivolto al materiale dell’inconscio. Questo infatti è l’unico modo per produrre la +formazione di un mito. E in questa maniera il primo capitolo di La libido. Simboli +e trasformazioni divenne ancor più pienamente vero. Osservai veri௹carsi la +creazione dei miti, e acquisii una conoscenza profonda [insight] della struttura +dell’inconscio, plasmando così il concetto di inconscio che ho espresso in Tipi +psicologici. Ho tratto il materiale empirico dai miei pazienti, ma la soluzione del +problema l’ho ricavata dall’interno, dalle mie osservazioni dei processi inconsci. +Ho tentato di fondere queste due correnti, quelle dell’esperienza esterna e +interna, nel libro Tipi psicologici, e ho denominato questo processo di fusione +delle due correnti funzione trascendente» (Psicologia analitica, pp. 73-74). + Liber secundus +1 In MM, p. 353: «Le avventure della peregrinazione». +2 In Picasso (1932) Jung descrive nel modo seguente i dipinti degli schizofrenici, +intendendo con questa de௹nizione non tanto individui a௸etti da quella speci௹ca +malattia mentale che è la schizofrenia, quanto piuttosto soggetti in cui un +disturbo psichico potrebbe condurre a sintomi schizoidi: «Dal punto di vista +formale predomina il carattere della lacerazione, che si esprime con le +cosiddette “linee spezzate”, tracciate attraverso la ௹gura quasi come crepe di +faglia psichiche» (OJ 10/1, pp. 408-09). +3 I seguenti passi biblici in latino sono tutti citati (dalla Bibbia di Lutero) in Tipi +psicologici (1921) e introdotti dalle seguenti osservazioni: «La forma nella quale +Cristo presentò al mondo il contenuto del suo inconscio venne accolta e +dichiarata obbligatoria per tutti. Con ciò tutte le fantasie individuali furono +private di ogni validità e valore e votate anzi alla persecuzione, come dimostra il +destino del movimento gnostico e di tutte le successive eresie. Proprio in questo +senso si era già espresso il profeta Geremia» (OJ 6, p. 64). +4 In MC, p. 157: «V La Grande Odissea I. Il Rosso». +5 L’immagine raffigura Jung nella scena iniziale della fantasia che segue. +6 26 dicembre 1913. +7 Capoverso aggiunto in M, p. 167. +8 Jung si riferisce probabilmente all’Accademia Segreta fondata a Salerno negli +anni quaranta del Cinquecento, allo scopo di promuovere lo studio dell’alchimia. +9 I so௹sti erano ௹loso௹ greci – vissuti nel V e IV secolo a.C. – che avevano il loro +centro in Atene e che annoveravano ௹gure come Protagora, Gorgia e Ippia. +Tenevano lezioni e prendevano studenti a pagamento, attribuendo particolare +importanza all’insegnamento della retorica. Gli attacchi rivolti loro da Platone in +molti dialoghi diedero origine alla moderna connotazione negativa del termine +sofista, inteso come persona che gioca con le parole. +10 M, p. 172, continua: «Nessuno può prescindere dall’evoluzione psichica di +molti secoli e raccogliere ciò che non ha seminato». +11 Nello Zarathustra nicciano il profeta mette in guardia dal lasciar prevalere lo +spirito di gravità ed esorta: «Uomini superiori, il vostro male peggiore è che voi + tutti non avete imparato a danzare come si deve – a danzare senza curarvi di voi +e al di sopra di voi stessi!» (Così parlò Zarathustra cit., IV +, «Dell’uomo +superiore», p. 358). +12 In un seminario del 1939 Jung, nel trattare della trasformazione storica della +௹gura del Diavolo, osservò: «Quando egli appare rosso, ha del fuoco, vale a dire +natura +passionale: +provoca +lussuria, +odio +o +amore +incontenibile» +(Kinderträume, a cura di Lorenz Jung e Maria Meyer-Grass, Walter, Düsseldorf +1987, p. 194). +13 M, p. 175, continua: «Grazie a Faust avete sentito quanto incondizionata sia +questa gioia». Il riferimento è al Faust di Goethe. +14 In M, p. 175, si legge: «Come sapete da Faust, non pochi sono coloro che +dimenticano quel che erano, perché si lasciano trascinare via completamente». +15 +Jung +elaborò +questo +aspetto +nel +1928, +presentando +il +metodo +dell’immaginazione attiva: «Contro di ciò il credo scienti௹co del nostro tempo ha +sviluppato una fobia superstiziosa per la fantasia. Reale tuttavia è ciò che +agisce. Le fantasie dell’inconscio agiscono: su questo non v’è dubbio» (L +’Io e +l’inconscio, OJ 7, p. 215). +16 M, p. 178, continua: «Chiunque stia attento conosce il suo inferno, ma non +tutti conoscono il loro Diavolo. Esistono non solo i diavoli gioiosi, ma anche quelli +tristi». +17 M, pp. 178-79, continua: «In un’avventura successiva ho appreso quanto la +serietà si addica al Diavolo. Attraverso la serietà diventa certamente più +pericoloso per te, ma, credimi, la cosa gli fa male». +18 M, p. 179, continua: «Con la gioia così riacquistata partii verso una nuova +avventura, senza sapere dove mi portasse la via. Avrei però potuto sapere che il +Diavolo per prima cosa ci adesca sempre attraverso le donne. Tuttavia, in +quanto pensatore, ero forse avveduto nel pensare, ma non nel vivere. In questo +campo ero persino sciocco e impacciato. E perciò bello e pronto a ௹nire in +trappola». +19 In MM, p. 383: «Seconda avventura». +20 28 dicembre 1913. +21 All’inizio dell’Inferno Dante si perde in una selva oscura. Nell’esemplare della +Commedia posseduto da Jung, in corrispondenza di questa pagina si trova un + foglietto posto a mo’ di segnalibro. +22 Nel suo Wunscherfüllung und Symbolik in Märchen (Heller, Wien-Leipzig +1908; trad. ingl. Wishful௬llment and Symbolism in Fairy Tales, in «The +Psychoanalytic Review», 1, 1913-14 e 2, 1915) Franz Riklin, collega di Jung, +sosteneva che le ௹abe sono invenzioni spontanee dell’anima umana primitiva e +che esse esprimono la tendenza generale all’appagamento di desiderio. In +Libido (1912) Jung considerava le ௹abe e i miti come rappresentazioni di +immagini primordiali. In seguito li vide come espressioni di archetipi: vedi per +esempio Gli archetipi dell’inconscio collettivo (1934/1954), OJ 9/1, p. 5. La sua +allieva Marie-Louise von Franz ampliò l’interpretazione psicologica delle ௹abe +in una serie di scritti, tra cui, in particolare, si veda Le ௬abe interpretate +(1970), Boringhieri, Torino 1980. +23 In Aspetto psicologico della ௬gura di Core (1941) Jung descrive e commenta +quest’episodio nel modo seguente: «Una casa solitaria nel bosco, abitata da un +vecchio studioso. A un tratto compare sua ௹glia, una sorta di spettro: essa si +rammarica del fatto che la gente la consideri sempre e soltanto un fantasma +(…). Il sogno (…) riprende lo stesso tema [ra௻gurato nel sogno relativo +all’episodio di Elia e Salomè; Vedi sopra], ma su un piano più ௹abesco. Qui +l’Anima figura come essere spettrale» (OJ 9/1, pp. 195-96). +24 In M, p. 188, si legge: «Amico mio, tu non percepisci nulla della mia vita +esteriore visibile. Tu senti parlare solo della mia vita interiore, la controparte di +quella esteriore. Perciò, se tu dovessi pensare che ho soltanto una vita interiore +e che questa è la mia unica vita, ti inganneresti. Devi infatti sapere che la tua +vita interiore non diventa più ricca a spese della vita esteriore, ma si +impoverisce. Se non vivi sul piano esteriore, non ti arricchirai interiormente, ma +sarai semplicemente più sovraccarico. Questo non torna a tuo vantaggio, e di qui +inizia il male. Allo stesso modo la tua vita esteriore non diventa più ricca e bella +a spese della vita interiore, ma solo più povera e più misera. È l’equilibrio tra le +due che trova la via». +25 M, p. 190, continua: «Tornai indietro al mio medioevo, dove ero ancora +romantico, e lì vissi l’avventura». +26 In Tipi psicologici (1921) Jung scrive: «Una donna molto femminile ha +un’anima maschile. Un uomo molto virile ha un’anima femminile. Un tale +contrasto proviene dal fatto che l’uomo, per esempio, non è del tutto e in ogni +cosa virile; normalmente, ha anche determinati tratti femminili. Quanto più virile +è il suo atteggiamento esterno, tanto più sono cancellati in esso i tratti femminili +che compaiono perciò nell���inconscio» (OJ 6, pp. 420-21). Jung indica (p. 421) + l’anima femminile dell’uomo con il termine Anima e l’anima maschile della donna +con quello di Animus, e descrive il modo in cui gli individui proiettano le loro +immagini dell’anima su persone dell’altro sesso. +27 Jung riteneva che allo sviluppo della personalità fosse necessaria +l’integrazione dell’Anima per l’uomo, e dell’Animus per la donna. Nel 1928 egli +descrisse questo processo, indicandone i momenti fondamentali: ritiro delle +proiezioni dagli individui del sesso opposto, di௸erenziazione da esse e presa di +coscienza (L +’Io e l’inconscio , OJ 7, pp. 187 sgg.). Vedi anche Aion (1951), OJ +9/2, pp. 11 sgg. +28 In MC, p. 178, si legge: «Se accoglie però il femminile in sé, egli non sarà più +schiavo della donna». +29 Albrecht Dieterich osserva che «௹n dai primordi l’anima è spesso +rappresentata nelle credenze popolari come un uccello» (Abraxas. Studien zur +Religiongeschichte des späten Altertums, Teubner, Leipzig 1891, p. 184). +30 In M e MC, p. 180, si legge: «Nella misura in cui io ero quel vecchio sepolto +nei libri e nell’arida scienza, uomo giusto e soppesante, che carpisce granelli di +sabbia dal deserto in௹nito, la mia cosiddetta anima, ossia il mio Sé interiore [Sé] +soffriva profondamente». +31Umano, troppo umano è il titolo del «libro per spiriti liberi» (sottotitolo) +pubblicato da Nietzsche in tre parti nel 1878-79. Nell’opera l’osservazione +psicologica è de௹nita «un meditare su ciò che è umano, troppo umano» (pt. 2, § +35; ed. it. a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1979, +vol. 1, p. 45). +32 Nell’ottobre 1916, nella conferenza Individuazione e collettività tenuta al +Club psicologico di Zurigo, Jung osserva che, mediante l’individuazione, +l’individuo deve «consolidarsi, distaccandosi completamente dal divino, per +divenire interamente se stesso. Così facendo si separa al tempo stesso dalla +società. Cade nella solitudine esteriore e nell’inferno interiore, la lontananza da +Dio» (OJ 7, p. 314). +33 Nella Commedia di Dante l’inferno è diviso in nove gironi. +34 In MM, p. 440: «Terza avventura»; in MC, p. 186: «Il pezzente», coperto in +seguito con una striscia di carta. +35 29 dicembre 1913. + 36 Questo motivo compare nello stemma della città di Zurigo con riferimento ai +martiri Felice, Regula ed Esuperanzio della fine del III secolo. +37 Probabile riferimento a Sadrach, Mesach e Abdenego (Daniele, 3). Fatti +chiudere da Nabucodonosor in una fornace ardente perché si erano ri௹utati di +adorare l’idolo d’oro da lui eretto, essi furono però risparmiati dal fuoco, il che +indusse Nabucodonosor a condannare alla morte per squartamento chiunque, da +allora in poi, avesse offeso il loro Dio. +38 Raccolta delle vite e delle leggende dei santi, secondo l’ordine del calendario +liturgico. La pubblicazione dell’opera, a cura dei gesuiti belgi, noti come +bollandisti, iniziò nel 1643 e comprende 68 volumi in folio. +39 Nel Guglielmo Tell (1804) Friedrich Schiller mise in scena la rivolta dei +cantoni svizzeri contro il dominio asburgico, rivolta che, all’inizio del XIV secolo, +portò alla fondazione della Confederazione elvetica. Nell’atto IV +, scena 3, +Guglielmo Tell uccide Gessler, il balivo imperiale. Stüssi, la guardia campestre, +annuncia: «Il tiranno di queste terre è caduto. Non tolleriamo più violenze, +siamo uomini liberi» (Schiller, Tutto il teatro, vol. 4, La sposa di Messina - +Guglielmo Tell - Demetrio, Newton Compton, Roma 1975, p. 180). +40 In Libido (1912), p. 282, Jung menziona una serie di credenze, di௸use nelle +diverse culture, secondo cui la luna sarebbe il luogo di raduno delle anime +trapassate. In Mysterium coniunctionis (1955-56), OJ 14/1, p. 128, illustra la +presenza e il significato di questo motivo nell’alchimia. +41 M, p. 217, continua: «Accettai il pezzente e vissi e morii con lui. Siccome lo +vissi, divenni il suo assassino, poiché si uccide ciò che si vive». +42 MC, p. 200, aggiunge: «alla morte». +43 In MM, p. 476: «Quarta avventura: Primo giorno»; in MC, p. 201: «Dies I. +Sera». +44 30 dicembre 1913. In LN3, pp. 1-2, Jung annota: «Cose di ogni genere mi +allontanano dal mio sapere scientifico, a cui credevo di essermi dedicato anima e +corpo e col quale volevo essere utile all’umanità. E ora, anima mia, tu mi +conduci a queste nuove cose. Sì, è il mondo intermedio, inesplorato e dalle mille +sfaccettature. Dimenticavo di essere approdato a un mondo nuovo che prima mi +era estraneo. Non c’è traccia di sentieri. Deve avverarsi qui ciò che credevo +sull’anima, cioè che essa meglio di tutti conoscesse la propria via e che nessuna +intenzione potesse prescriverle una via migliore. Sento che verrà sottratta una +grossa parte alla scienza. Così deve forse accadere per amore dell’anima e della + sua vita. Mi tormenta soltanto pensare che tutto questo deve avvenire solo per +me e che forse nessuno potrà mai essere illuminato da ciò che porto alla luce. +Ma la mia anima esige quest’opera. Devo poterlo fare anche solo per me, senza +speranza… per amor di Dio. Una strada davvero ardua. Ma che cosa facevano +di diverso gli anacoreti dei primi secoli della cristianità? Ed erano forse gli +uomini peggiori o i più incapaci di quell’epoca? Non credo proprio, perché erano +proprio loro a trarre le conseguenze più spietate dalla necessità psicologica del +loro tempo. Abbandonavano moglie e ௹gli, ricchezza, fama e… scienza, e si +ritiravano nel deserto… per amore di Dio. Così sia». +45 Nel capitolo successivo (p. 138) l’anacoreta verrà identi௹cato con Ammonio. +In una lettera del 31 dicembre 1913 (AFJ) Jung osservò che l’anacoreta +proveniva dal III secolo d.C. In quest’epoca vissero ad Alessandria tre personaggi +storici di nome Ammonio: un Ammonio ௹losofo cristiano, cui viene attribuita una +sorta di sinossi evangelica, con suddivisione del testo in capitoli numerati; il +௹losofo Ammonio Sacca che, nato cristiano, aveva abbracciato in età adulta il +paganesimo e la cui opera rappresenta una transizione dal platonismo al +neoplatonismo; e in௹ne un Ammonio neoplatonico vissuto nel V secolo, cui si +deve un tentativo di conciliazione di Aristotele con la Bibbia. In generale, ad +Alessandria fu realizzata una sintesi di neoplatonismo e cristianesimo, e alcuni +discepoli del terzo Ammonio si convertirono al cristianesimo. +46 Filone l’Ebreo, detto anche Filone di Alessandria (nato tra il 20 e il 25 a.C. e +morto tra il 45 e il 50 d.C.), è il massimo esponente della cosiddetta ௹loso௹a +giudaico-alessandrina, sintesi grandiosa di pensiero greco ed ebraismo. Nella +sua teologia, dominata dal principio della trascendenza e inconoscibilità di Dio – +cui egli si riferisce, con terminologia platonica, come all’Ente (On) –, Filone +introduce una serie di Potenze personi௹cate, per mezzo delle quali Dio agisce +sul mondo. Il lato di Dio che si può conoscere tramite la ragione è il Logos, +prima ipostasi divina. Si è molto discusso sull’esatta relazione esistente fra il +concetto ௹loniano di Logos e il Vangelo di Giovanni. In una lettera del 23 giugno +1954 (AJ) Jung scriveva a James Kirsch: «La gnosi da cui proviene Giovanni è +sicuramente ebraica, ma la sua essenza è ellenistica, nello stile di Filone +l’Ebreo, il fondatore della dottrina del Logos». +47 Nel 1957 Jung scriveva: «Finora non si è notato con su௻ciente insistenza e +chiarezza che, nonostante il di௸ondersi dell’irreligiosità, il nostro tempo porta in +un certo senso il peso ereditario di quella conquista dell’era cristiana che è il +potere della parola, del Logos, che rappresenta la ௹gura centrale della fede +cristiana. La Parola, il Verbo, è diventata il nostro Dio nel vero senso della +parola, e lo è rimasta» (Presente e futuro, OJ 10/2, p. 138). + 48 Il Vangelo di Giovanni inizia nel modo seguente: «In principio era la Parola, la +Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni +cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose create è +stata fatta. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. La luce splende +nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno compresa. Vi fu un uomo mandato da +Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere +testimonianza alla luce, a௻nché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso +non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce. La vera luce che +illumina ogni uomo stava venendo nel mondo. Egli era nel mondo, e il mondo fu +fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l’ha riconosciuto» (1, 1-10). +49 Giovanni, 1, 14: «E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra +noi, (...) piena di grazia e di verità». +50 M, p. 227, aggiunge: «egizia». In questo contesto l’acqua, i datteri e il pane, +menzionati nel testo subito oltre, parrebbero offerte funerarie. +51 M, p. 229, continua: «Camminando in tondo su una traccia casuale ritorno +indietro sino a trovare me stesso e lui, il solitario, che vive nel profondo, celato +alla luce, nascosto dal caldo seno della roccia; sopra di lui, il deserto rovente e il +cielo di un bagliore lancinante». +52 Termine latino che significa «totalità». +53 In MC, p. 232: «mi» (in M: «ti»). Per tutta questa sezione, MC, p. 214, +sostituisce la prima persona alla seconda. +54 Nel 1941 Jung parlò di «magia primitiva della parola» (Il simbolo della +trasformazione nella messa, 1942/1954, OJ 11, p. 277). +55Vedi sopra +56 In MC, p. 219: «(L’anacoreta). Secondo giorno. Mattina». +57 In L +’albero ௬loso௬co (1945/1954) Jung osserva: «Un individuo che spinga le +sue radici verso l’alto e verso il basso è simile a un albero che è al tempo stesso +eretto e capovolto. La meta non è l’altezza, ma il centro» (OJ 13, p. 289). Si +veda anche il paragrafo relativo all’«albero capovolto», ibid., pp. 332 sgg. +58 1° gennaio 1914. +59 Nella mitologia greca Helios è il dio del sole, che attraversa il cielo alla guida +di un carro trainato da quattro cavalli. + 60 In questo periodo Jung era immerso nello studio dei testi gnostici, nei quali +trovava descritte esperienze parallele a quelle che stava compiendo. Si veda +Alfred Ribi, Die Suche nach den eigenen Wurzeln. Die Bedeutung von Gnosis, +Hermetik und Alchemie für C.G. Jung und Marie-Louise von Franz und deren +Einfluss auf das moderne Verständnis dieser Disziplin, Lang, Bern 1999. +61 In Sincronicità come principio di nessi acausali (1952) Jung scrive: «Lo +scarabeo è un simbolo classico di rinascita. Secondo la descrizione dell’antico +libro egizio Am-Tuat, il defunto dio del sole si trasforma alla decima stazione in +kheperâ, lo scarabeo, e in questa forma sale alla dodicesima stazione nella +barca che trasporta il sole ringiovanito nel cielo mattutino» (OJ 8, p. 469). +62 Secondo la leggenda, Osiride, dio egizio della vita, della morte e della fertilità, +viene ucciso e smembrato dal fratello Seth, dio del deserto. Le sue membra sono +raccolte dalla moglie Iside, che ne ricostituisce il corpo e lo rianima +magicamente. Jung analizza le ௹gure di Osiride e di Seth in Libido (1912), p. +219. +63 Horus è il dio egizio del cielo, antagonista di Seth. +64 MC, p. 228, continua: «Provo una sensazione di irrealtà come succede in +sogno». Gli anacoreti cristiani stavano costantemente in guardia contro le +apparizioni di Satana. Una celebre descrizione delle lotte da essi sostenute +contro i demoni tentatori si legge nella Vita di sant’Antonio scritta nel 357 da +Atanasio, vescovo di Alessandria. Nel 1921 Jung osservò che sant’Antonio +insegnava ai suoi monaci «con quanta abilità il Diavolo sapesse travestirsi per +indurre i santi in peccato; il Diavolo è naturalmente la voce dell’inconscio +dell’anacoreta medesimo che si rivolta contro la violenza esercitata per +reprimere la natura individuale» (Tipi psicologici, OJ 6, p. 65). Le esperienze +vissute da Antonio o௸rirono a Flaubert la materia delle sue Tentazioni di +sant’Antonio, opera ben nota a Jung (Psicologia e alchimia, 1944, OJ 12, p. 52). +65 Capovolgimento della de௹nizione aristotelica dell’uomo come «animale +razionale». +66 Si veda oltre, in Prove, pp. 382-87, la descrizione junghiana del pleroma. +67 M e MC, p. 235, continuano: «Ma io vidi la solitudine e la sua bellezza. Colsi +la vita di ciò che è inanimato e il senso di ciò che è privo di senso. Compresi +anche questo lato della mia molteplicità. E così il mio albero crebbe in solitudine +e nella quiete, e mangiò la terra con radici che a௸ondavano in profondità e +bevve il sole con i rami svettanti verso l’alto. L +’ospite solitario [straniero] entrò +nella mia anima. La mia anima verdeggiante però mi inondò. [Così vagavo + seguendo la natura dell’acqua]. La solitudine aumentava e si espandeva attorno +a me. Non sapevo quanto può essere scon௹nata la solitudine e andavo, andavo e +osservavo. Volevo esplorare la massima intensità della solitudine e andai ௹nché +non fu spenta l’ultima eco di vita». +68 In MM, p. 557: «Quinta avventura: La morte». [Si ricordi che in tedesco der +Tod, «la morte», è di genere maschile, e che dunque il personaggio incontrato da +Jung in questa fantasia è un uomo. Esso tornerà più avanti, in Prove, p. 409]. +69 2 gennaio 1914. +70 Si veda la visione del Liber primus, cap. 5, «Viaggio infernale nel futuro», pp. +34-35. +71 Nel 1940 Jung scriveva: «Il male è relativo: in parte inevitabile; in parte +fatale, come la virtù; e spesso non si sa che cosa sia il peggio» (Saggio +d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità, 1942/1948, OJ 11, p. +191). +72 In MC, p. 242, la frase è sostituita con: «Il male è la metà del mondo, uno dei +piatti della bilancia». +73 M, p. 260, continua: «In questa lotta cruenta la morte viene a te, così come +oggi le uccisioni e le morti di massa riempiono il mondo. Il gelo della morte +penetra in te. Quando io nella solitudine m’intirizzii ௹no alla morte, vidi con +chiarezza e vidi l’avvenire, così nitido come le stelle e i monti lontani in una +notte di gelo». +74 In Libido (1912), p. 384, Jung aveva sostenuto che la libido non è solo una +schopenhaueriana incessante volontà di vivere, ma che essa contiene anche la +spinta contraria, verso la morte. +75 M, p. 261, continua: «L +’arte del vivere è vivere ciò che è giusto e lasciar +morire ciò che è ingiusto». Nel 1933 Jung scriveva: «La vita è un ௺uire di +energia. Ma ogni processo energetico è irreversibile per principio e quindi +diretto in modo univoco verso una meta: e tale meta è uno stato di riposo. (…) +Nella seconda metà dell’esistenza rimane vivo soltanto chi, con la vita, vuole +morire. Perché ciò che accade nell’ora segreta del mezzogiorno della vita è +l’inversione della parabola, è la nascita della morte. (…) “Non voler vivere” e +“non voler morire” sono la stessa cosa. Divenire e passare appartengono alla +medesima curva» (Anima e morte, 1934, OJ 8, pp. 436-37). Vedi S. Shamdasani, +«The Boundless Expanse». Jung’s Re௭ections on Life and Death, in «Quadrant. +Journal of the C.G. Jung Foundation for Analytical Psychology», 38, 2008, pp. 9- + 32. +76Vedi sopra +77 [In tedesco reifen significa sia «brinare» che «far maturare»]. +78 Si riferisce alla visione precedente: Vedi sopra. +79 Jung commenta il motivo del morso al tallone in Libido (1912), p. 265. +80 «Nasciamo tra le feci e l’urina», un detto generalmente attribuito, tra gli altri, +a sant’Agostino. +81 In MM, p. 586: «Sesta avventura»; in MC, p. 247: «6. Ideali degenerati». +82 Il tipo di mosaico ra௻gurato nell’immagine richiama i mosaici di Ravenna, che +Jung visitò nel 1913-14 e che gli fecero una profonda impressione. Vedi Ricordi, +pp. 338-42. +83 5 gennaio 1914. +84 Espressione comune nel Medioevo, equivalente all’evangelico «Vade retro, +Satana!». +85 Secondo la tradizione mitica greca, gli iperborei sono un popolo favoloso che +vive in una terra remota situata nell’estremo settentrione del mondo abitato +(«oltre Borea», il vento del nord). Chiusi in una specie di replica delle isole dei +beati, in cui il sole splende per sei mesi all’anno, essi costituiscono una comunità +di uomini saggi devoti ad Apollo. Nietzsche allude in varie occasioni agli +iperborei per de௹nire gli spiriti liberi; si veda per esempio L’Anticristo, § 1 (ed. +it. a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1977, p. 4). +86 Genesi, 2, 18: «Poi Dio il Signore disse: “Non è bene che l’uomo sia solo; io gli +farò un aiuto che sia adatto a lui”». Nella Bibbia si fa riferimento a un certo +Fileto in san Paolo, 2 Timoteo, 2, 16-18: «Ma evita le chiacchiere profane, +perché quelli che le fanno avanzano sempre più nell’empietà, e la loro parola +andrà rodendo come fa la cancrena; tra questi sono Imeneo e Fileto, uomini che +hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e +sovvertono la fede di alcuni». +87 Vedi 1 Cronache, 15, 29. +88 In MC, p. 251: «saggezza» al posto di «più profondo sapere». + 89 [Il termine usato qui da Jung, entsetzt, ha una duplice accezione: «degradato, +declassato» e «inorridito»]. +90 In M e MC, p. 254, si legge: «Ero divenuto vittima dei miei sacri ideali e di ciò +che ritenevo bello; per questo essi mi condussero alla morte nella depressione +[perciò mi è toccato di morire]». +91 In Persia i petali pressati delle rose venivano distillati a vapore per ricavarne +l’olio di rosa, l’ingrediente di base per la preparazione dei profumi. +92 Nel 1926 Jung scriveva: «Il trapasso dalla giovinezza alla maturità è un +sovvertimento di valori precedenti. S’impone la necessità di indagare il valore di +ciò che contrasta con gli ideali di un tempo, di prendere coscienza dell’errore +contenuto nelle convinzioni sostenute ௹no a quel momento, di riconoscere e +sentire la non-verità contenuta in ciò che ௹no a poco prima era la verità, di +riconoscere quanta resistenza e addirittura quanta ostilità si celava in quello +che era sembrato amore» (Psicologia dell’inconscio, 1917/1943, OJ 7, p. 76). +93 In MC, p. 255: «una verde creatura». +94 In MC, p. 257: «mie». +95 In MC, p. 257: «guastarmi». +96 MC, p. 258, aggiunge: «come un camaleonte». In M, pp. 275-76, compare a +questo punto un passo di cui si riporta una parafrasi. È la nostra natura +camaleontica che ci forza a passare attraverso queste trasformazioni. Finché +saremo camaleonti, avremo bisogno di un viaggio annuale alla fonte della +rinascita. Per questo considero con orrore la vetustà dei miei ideali, dal +momento che amo la mia naturale e verde ingenuità e di௻do della mia pelle +camaleontica e dei cambiamenti di colore che produce per adattarsi +all’ambiente. Il camaleonte lo fa con assennatezza. Questo mutamento si chiama +progresso attraverso le rinascite. Tu fai esperienza di 777 rinascite, a +di௸erenza del Buddha che non ha avuto bisogno di tanto tempo per riconoscerne +l’inutilità. – Sulla credenza che l’anima dovesse passare attraverso 777 +reincarnazioni si veda Ernest Woods, The New Theosophy, The Theosophical +Press, Wheaton, Ill. 1929, p. 41. [Si ricordi che il termine camaleonte signi௹ca +letteralmente «leone (che striscia) sulla terra»]. +97 In M, p. 277: «i resti dei miei ideali». +98 Legenda: «Quest’immagine fu dipinta durante il Natale del 1915». La +ra௻gurazione di Izdubar è molto simile a quella di un’illustrazione riprodotta + nell’Ausführliches Lexikon der Griechischen und Römischen Mythologie di +Wilhelm Roscher (Teubner, Leipzig 1884-1937, vol. 2, p. 775), di cui Jung +possedeva una copia. Izdubar è il nome – dovuto a un errore di trascrizione – +con cui in passato era chiamato il personaggio ora noto come Gilgamesh. Nel +1906 Peter Jensen osservò: «Ora sappiamo una volta per tutte che il +protagonista dell’epos si chiama Gilgamesh e non Gistchubar oppure Izdubar +come si era creduto in precedenza» (Das Gilgamesch-Epos in der Weltliteratur, +Trübner, Strassburg 1906, p. 2). In Libido (1912) Jung tratta in vari punti +dell’epopea di Gilgamesh, servendosi della forma corretta del nome e citando a +più riprese Jensen: vedi per esempio pp. 158, 201, 236. +99 In MM, p. 626: «Settima avventura. Primo giorno»; in MC, p. 262: «7. Il +grande incontro. Primo giorno. L’eroe dell’Oriente». +100 8 gennaio 1914. +101 Nella mitologia egizia le Terre Occidentali (alla riva sinistra del Nilo) +corrispondevano al regno dei morti. +102 Nella Gaia scienza (1882) Nietzsche sostiene che la nascita di un pensiero +scienti௹co richiede il concorso e l’integrazione di vari impulsi che, isolatamente +presi, hanno l’e௸etto del veleno: tra essi, «l’istinto del dubbio, l’istinto della +negazione, l’istinto dell’attesa, l’istinto del raccogliere, l’istinto del disgregare» +(lb. 3, § 113, «Per la teoria dei veleni»; ed. it. a cura di Giorgio Colli e Mazzino +Montinari, Adelphi, Milano 1977, p. 155). +103 Nella mitologia babilonese Tiamat, la madre degli dèi, muove guerra contro +Marduk con un esercito di demoni. +104 Il rapporto fra scienza e fede è un elemento cruciale della psicologia +junghiana della religione. Vedi Psicologia e religione (1938/40), OJ 11, pp. 15- +111, in particolare pp. 53-54. +105 M, p. 295, continua: «Questo è ciò che vidi in sogno». +106Vedi sopra. +107 In Tipi psicologici (1921) Jung considera il pensare e il sentire come funzioni +razionali (OJ 6, pp. 474-75). +108 M, p. 299, continua: «Tu come Davide lo puoi abbattere, quasi fosse Golia, +con un colpo di ௹onda astuto e sfrontato». In Libido (1912), pp. 229-30, Jung +discute il mito babilonese della creazione, secondo cui Marduk, dio della + primavera, combatte e uccide Tiamat, la madre degli dèi, e trae da lei il mondo. +Il «potente cacciatore» corrisponde dunque a Marduk. +109 San Sebastiano, martire cristiano del III secolo, viene spesso rappresentato, a +partire dal Rinascimento, come un giovane legato nudo a una colonna o a un +albero e tra௹tto da frecce. Nei monumenti più antichi, invece, egli appare +barbuto, d’aspetto anziano, vestito di tunica e recante la corona del martirio. +Una ra௻gurazione di questo genere si trova nella basilica di Sant’Apollinare +Nuovo a Ravenna, che Jung visitò nel 1913-14. Vedi sopra. +110 Citazione dalla Lettera agli ebrei, 10, 31. +111 Jung si riferisce qui alla lotta di Giacobbe con l’angelo. Vedi Genesi 32, 24- +29: «Giacobbe rimase solo, e un uomo lottò con lui ௹no all’apparire dell’alba; +quando quest’uomo vide che non poteva vincerlo, gli toccò la giuntura dell’anca, +e la giuntura dell’anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui. E +l’uomo disse: “Lasciami andare, perché spunta l’alba”. E Giacobbe: “Non ti +lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!”. L +’altro gli disse: “Qual è il +tuo nome?”. Gli rispose: “Giacobbe”. Quello disse: “Il tuo nome non sarà più +Giacobbe, ma Israele, perché tu hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto”. +Giacobbe gli chiese: “Ti prego, svelami il tuo nome”. Quello rispose: “Perché +chiedi il mio nome?” E lì lo benedisse». +112 Legenda: «Atharva-veda, 4, 1, 4». Questo passo dell’Atharvaveda riporta un +incantesimo per promuovere la virilità: «Te che il Gandharva colse per Varun.a +rimasto privo del potere d’erezione, proprio te cogliamo, o erba che provochi +l’erezione del fallo. / Su vada l’aurora, su vada il sole, su vada questa mia +formula, su vada Prajāpati, il maschio, con impetuosa energia sessuale. / +Affinché questo membro che è come disseccato, sia fornito di vigore vitale per te +che vuoi procreare, quest’erba procuri allora a te più virilità. / Su vadano le +energie delle erbe, su vadano le vigorie dei tori! O Indra, tu che hai potere sul +corpo, ristabilisci in lui la virilità dei maschi. / Tu sei l’essenza primigenia delle +acque e anche degli alberi. Anche fratello di Soma [il re delle piante] tu sei e la +virilità dei maschi. / Ora, o Agni, ora, o Savitr., ora, o dea Sarasvatī, ora, o +Brahmaṇaspati, tendi il suo membro come un arco. / Io tendo il tuo membro +come una corda sull’arco; monta come l’antilope maschio monta la sua femmina, +con il membro sempre pieno di brama. / Quelli che sono i poteri sessuali del +cavallo, del mulo, del caprone e del montone e anche del toro, ponili in lui, o tu +che hai potere sul corpo [Indra]!» (Atharvaveda. Inni magici, a cura di Chatia +Orlandi e Saverio Sani, Utet, Torino 1992, pp. 412-13; Jung cita dai Sacred +Books of the East [vol. 42, pp. 31-32], di cui possedeva l’edizione completa). Il +collegamento è con la guarigione del Dio taurino ferito, Izdubar, di cui parla il + testo. +113 In MM, p. 686: «Ho dormito poco; sogni confusi mi turbarono più che offrirmi +la parola che salva». +114 9 gennaio 1914. +115 M, p. 309, continua: «(così parlava un’altra voce in me, come un’eco)». +116 La scena ra௻gurata nell’iniziale si riferisce al rimpicciolimento di Izdubar +alla dimensione di un uovo, operato da Jung per poterlo far entrare in casa e +renderne possibile la guarigione. In merito a queste sezioni, Jung disse ad Aniela +Ja௸�� che alcune fantasie, come per esempio quelle riportate nei capitoli sul +Diavolo e su Gilgamesh-Izdubar, erano state attivate dalla paura. Da un certo +punto di vista, era sciocco che lui dovesse trovare un modo per aiutare il +gigante; egli però sentiva che, se non l’avesse fatto, avrebbe fallito il suo +compito. Scontò quella ridicola soluzione rendendosi conto di aver catturato un +Dio. A detta di Jung, molte di queste fantasie erano una dannata mescolanza di +elementi sublimi e ridicoli (CJR, pp. 147-48). +117 In M, p. 314: «Quanti dèi, e quante volte Dio fu dichiarato una fantasia, da chi +credeva così di averlo liquidato». +118 M, p. 314, continua: «Noi uomini pensavamo evidentemente che una fantasia +non avesse sostanza e che, se dichiaravamo che una cosa era una semplice +fantasia, essa fosse del tutto vani௹cata». Nel 1932, in Il divenire della +personalità (1934, OJ 17, pp. 171-72), Jung sottolineò i pericoli connessi alla +svalutazione della fantasia, tipica della sua epoca. +119 Questo accenno pare riferirsi al capitolo seguente. +120 San Cristoforo (in greco: «colui che porta Cristo») fu un martire del III secolo. +Secondo la leggenda, desiderando servire Gesù, si o௸rì di traghettare sulle +spalle i viandanti di là da un ௹ume pericoloso. Un giorno, mentre trasportava un +bambino, sentì che pesava più di chiunque altro. Guadato il ௹ume, il bambino si +rivelò essere Cristo, carico di tutti i peccati del mondo. +121 Matteo, 11, 30. +122 È il modo in cui Izdubar si presenta a Jung nel loro primo incontro. Vedi +sopra. +123 Il titolo del capitolo, mancante nel volume calligra௹co, è riportato qui in base + alla minuta. +124 Le immagini 50-64 illustrano simbolicamente la rigenerazione di Izdubar. +125 Luca 2, 8-11: «In quella stessa regione c’erano dei pastori che stavano nei +campi e che di notte facevano la guardia al loro gregge. E un angelo del Signore +si presentò a loro, e la gloria del Signore risplendette intorno a loro, e furono +presi da un gran timore. L +’angelo disse loro: “Non temete, perché io vi porto la +buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: ‘Oggi nella città di +Davide è nato per voi un salvatore, che è il Cristo, il Signore’”». +126 Matteo 2, 1-2: «Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode. +Dei saggi d’Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: “Dov’è il re dei giudei +che è nato? Perché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per +adorarlo». +127 Gli attributi del Dio in questo capitolo sono simili a quelli di Abraxas +menzionati nel secondo sermone delle Prove. Vedi oltre. +128 Legenda: «brahmaṇaspati». Julius Eggeling osserva che «Bṛhaspati o +Brahmaṇaspati, il signore della preghiera o dell’adorazione, prende il posto di +Agni come rappresentante della dignità sacerdotale (…). Nel passo del Ṛgveda +(10, 68, 9) in cui si dice (…) che Bṛhaspati trovò l’alba, il cielo e il fuoco (agni), +scacciando l’oscurità con la sua luce (arka, «sole»), egli parrebbe rappresentare +piuttosto l’elemento della luce e del fuoco in generale» (Sacred Books of the +East cit., vol. 12, p. XVI). In Träume, p. 1, 3 gennaio 1917, Jung annota: +«Stim[olo] all’immagine 3 del serpente nel Lib[er] nov[us]». Quest’annotazione +pare riferirsi alla presente immagine. Si veda anche sopra, a ill. 45. +129 La barca solare è un motivo ricorrente nella mitologia e nella religione +dell’antico Egitto, dove era considerata il caratteristico veicolo del dio Sole. +Secondo la leggenda quest’ultimo, nel suo quotidiano viaggio attraverso il cielo, +doveva combattere contro il mostro Aphophis che tentava di inghiottire la sua +barca. In Libido (1912) Jung menzionò il «grande disco solare vivente» degli +egizi (p. 85) e il motivo del mostro marino (pp. 303-04). Nella redazione ௹nale +dell’opera (1952), egli osservò che la lotta con il mostro marino rappresenta il +tentativo di liberare la coscienza dell’Io dalla stretta dell’inconscio (Simboli +della trasformazione, OJ 5, p. 219). La barca solare ra௻gurata da Jung ricorda +alcune illustrazioni del Libro dei morti egiziano riprodotte nell’ed. a cura di +Ernest A. Wallis Budge (Egyptian Book of the Dead [1899], Arkana, London +1985), pp. 390, 400 e 404. Il barcaiolo è di solito Horus dalla testa di falco. Il +viaggio notturno che il dio Sole compie attraverso gli inferi è descritto + nell’Amdaut, che è stato considerato come un processo simbolico di +trasformazione. Si veda Theodor Abt ed Erik Hornung, Knowledge for the +Afterlife. The Egyptian Amdaut: A Quest for Immortality, Living Human +Heritage Publications, Zürich 2003. +130 In Träume, p. 2, Jung annotò: «17 gennaio 1917. Stanotte, dalle montagne si +riversano immani e tremende valanghe; come enormi nuvoloni esse riempiranno +la valle, al cui margine io mi trovo, in alto sull’opposto versante. So che devo +scappare verso l’alto, per evitare l’immane catastrofe. Questo sogno trova una +singolare spiegazione, alla stessa data, nel Libro nero. Il 17.1.17 ho fatto anche +il disegno delle macchie rosse presente a pagina 58 del Lib[er] nov[us]. Il +18.1.17 sul giornale ho letto che c’era, al momento, un’intensa formazione di +macchie solari». L +’annotazione di Jung in LN6, pp. 152-53, 17 gennaio 1917, è +la seguente (se ne fornisce una parafrasi). Jung si domanda che cosa lo riempia +d’angoscia e di orrore, che cosa si stia riversando giù dall’alto della montagna. +La sua anima lo invita a essere d’aiuto agli dèi e a o௸rire loro dei sacri௹ci. Gli fa +presente che il verme sta strisciando verso il cielo, che comincia a coprire le +stelle e con una lingua di fuoco divora la volta dei sette cieli azzurri. L +’anima +soggiunge che anche lui verrà divorato e che dovrebbe strisciare ௹n dentro la +pietra e attendere in quell’angusto ricovero che la tempesta di fuoco si +esaurisca. Dalle montagne de௺uisce la neve, perché da sopra le nuvole scende +l’alito infuocato. Il Dio sta per giungere; Jung dev’essere pronto a riceverlo. Egli +dovrebbe nascondersi nella pietra, poiché il Dio è un fuoco tremendo. Dovrebbe +rimanere calmo e guardare dentro di sé, in modo che il Dio non lo consumi nella +sua fiamma. +131 Legenda: «hiraṇyagarbha». Nel Ṛgveda il termine hiraṇyagarbha indica +l’embrione primordiale da cui, secondo la letteratura posteriore, nasce Brahmā, +il creatore cosmico. Nell’esemplare del volume 32 dei Sacred Books of the East +(Vedic Hymns) in possesso di Jung, la sola sezione con le pagine tagliate è quella +iniziale, che si apre con l’inno Al Dio ignoto. Esso comincia con le seguenti +parole: «In principio nacque il Bambino d’oro (Hiraṇyagarbha); appena nato, +soltanto lui era il signore di tutte le cose. Egli rese stabile la terra e questo +cielo. Chi è il Dio a cui noi dobbiamo o௸rire sacri௹ci?» (p. 1). Nell’esemplare in +possesso di Jung delle Upaniṣad comprese nei Sacred Books of the East (vol. +15, pt. 2) si trova un pezzetto di carta posto a mo’ di segnalibro alla p. 311 della +Maitrāyaṇa-brāhmaṇa-upaniṣad, in corrispondenza di un passo che descrive il +Sé e che comincia con queste parole: «E lo stesso Sé è anche chiamato (…) +Hiraṇyagarbha». +132 [Allusione al noto corale luterano: «Una solida fortezza è il nostro Dio…»]. + 133 La faccia del mostro assomiglia a quella della figura rappresentata in IF, 29. +134 Legenda: «çatapatha-brâhmaṇam 2, 2, 4». Nel passo citato lo Śatapatha- +brāhmaṇa (in Sacred Books of the East, vol. 12) fornisce la giusti௹cazione +cosmologica dell’agnihotra, il rito vedico di oblazione al fuoco eseguito +all’aurora e al tramonto: desideroso di riprodursi, Prajāpati, «il signore delle +creature», genera Agni dalla bocca; quindi gli o௸re un’oblazione, salvandosi +dalla Morte, mentre sta per essere divorato. Nella celebrazione dell’agnihotra +(letteralmente, «oblazione del fuoco») l’o௻ciante si puri௹ca, accende un fuoco e +canta dei versi sacri e una preghiera ad Agni. In Träume, p. 5, 4 febbraio 1917, +Jung annota: «Iniziata l’apertura dell’uovo (immagine)». Ciò signi௹ca che +l’immagine ra௻gura la rigenerazione di Izdubar a partire dall’uovo. Riguardo +alla barca solare qui rappresentata vedi ill. 55. +135 In M, p. 329: «Terzo giorno». +136 10 gennaio 1914. In LN3, pp. 74-77, Jung scrive: «Mi pare che da questo +notevole evento si sia di nuovo raggiunto qualcosa. Non si può ancora prevedere +dove tutto ciò possa portare. Non mi azzardo a dire che il destino di Izdubar sia +tragico-grottesco perché gli aspetti più sacri della vita sono tragico-grotteschi. +Fr. Th. Vischer (A[uch] E[iner]) ha compiuto il primo tentativo di elevare a +sistema questa verità. Gli spetta un posto tra gli immortali. La via di mezzo è la +verità. Essa ha molti volti, di certo uno comico, un altro triste, un terzo cattivo, +un quarto tragico, un quinto allegro, un sesto grottesco e così via. Se uno di +questi volti diventa particolarmente invadente, ne dedurremo che ci siamo +allontanati dalla verità certa e che ci stiamo avvicinando a un estremo, che è +senz’altro un vicolo cieco, nel caso volessimo rischiare la testa per voler +proseguire per questa strada. È un compito cruento scrivere qualcosa di saggio +sulla vita reale, in particolare quando uno ha trascorso molti anni a௻dandosi +alla gravità della scienza. La cosa più di௻cile è cogliere l’aspetto giocoso +(verrebbe da dire: infantile) della vita. I molteplici lati della vita, la grandezza, +la bellezza, la serietà, l’oscurità, il lato diabolico, il bene, il ridicolo, il grottesco +sono campi di applicazione, uno solo dei quali è solito divorare chi li osserva e li +descrive. Il nostro tempo necessita di un’istanza regolatrice dello spirito. Come +il mondo del concreto si è ampliato, uscendo dalla ristretta visione degli antichi +per giungere alla molteplicità in௹nita della visione moderna, così anche la sfera +delle possibilità spirituali si è sviluppata sino a raggiungere una varietà +inimmaginabile. Vie di una lunghezza in௹nita, lastricate di migliaia di volumoni +conducono da una specialità all’altra. Presto nessuno sarà più in grado di +percorrere vie del genere. E poi ci saranno soltanto degli specialisti. Abbiamo +più che mai bisogno della viva verità della vita spirituale, di un’istanza +regolatrice capace di orientarci». Su Auch Einer. Eine Reisebekanntschaft di + Friedrich Theodor Vischer (Hallberger, Stuttgart 1879) così si esprimeva Jung +nel 1921: «Il romanzo Auch Einer di Fr. Th. Vischer dà modo di vedere ben +addentro in questo aspetto dello stato d’animo introverso, e insieme nel +simbolismo dell’inconscio collettivo» (Tipi psicologici, OJ 6, p. 385). Nel 1932 +Jung commentò l’interpretazione data da Vischer della «diabolica astuzia degli +oggetti» nel seminario La psicologia del Kuṇḍalinī-yoga, a cura di Sonu +Shamdasani, ed. it. a cura di Luciano Perez, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. +100. Su Auch Einer si veda R. Heller, «Auch Einer». The Epitome of Fr. Th. +Vischer’s Philosophy of Life, in «German Life and Letters», 8, 1954, pp. 9-18. +137 Roscher ricorda che «in quanto dio Izdubar è associato al dio Sole» +(Ausführliches Lexikon der Griechischen und Römischen Mythologie cit., vol. 2, +p. 774). L +’incubazione e la rinascita di Izdubar si conformano al modello +classico dei miti solari. Leo Frobenius mise in evidenza il motivo ricorrente della +donna che diventa gravida attraverso un processo di immacolata concezione e +che dà alla luce il dio Sole, il quale si sviluppa poi in un arco di tempo +notevolmente breve. In alcuni casi l’incubazione avviene in un uovo. Frobenius +collega questo particolare al levarsi e al calare del sole nel mare. Vedi Das +Zeitalter des Sonnengottes, Reimer, Berlin 1904, pp. 223-63. In Libido (1912) +Jung cita quest’opera a più riprese. +138 Nel 1921 Jung commentò il motivo del Dio rinnovato nei termini seguenti: «Il +Dio rinnovato signi௹ca un atteggiamento rinnovato, cioè la rinnovata possibilità +di una vita intensi௹cata, un recupero della vita, poiché Dio sotto il pro௹lo +psicologico rappresenta sempre il massimo valore, e cioè la quantità massima di +libido,la maggiore intensità di vita, l’optimum della vitalità psicologica» (Tipi +psicologici, OJ 6, p. 185). +139 Nel capitolo successivo (p. 196) Jung si ritrova nuovamente all’inferno. +140 In Träume, p. 5, 15 febbraio 1917, Jung annotò: «Finito di scrivere la scena +dell’apertura. / Bellissimo senso di rinnovamento. Questa mattina mi dedico di +nuovo al lavoro scienti௹co. / Tipi!». Il riferimento è al completamento della +trascrizione di questa parte nel volume calligra௹co e alla continuazione del +lavoro sui tipi psicologici. +141 I cerchi blu e gialli sono simili a quelli di ill. 60. +142 È probabilmente a quest’immagine che si riferiva Tina Keller citando, in +un’intervista, un commento di Jung a proposito della propria relazione con +Emma Jung e Toni Wol௸: «Una volta Jung mi mostrò un’immagine del libro che +stava dipingendo e disse: “Vede questi tre serpenti intrecciati? Allo stesso modo +noi tre ci dibattiamo in questo problema”. Posso dire solo che mi è sembrato + davvero importante che, anche come fenomeno passeggero, tre persone +stessero accettando un destino, andandogli incontro non solo per loro +soddisfazione personale» (intervista con Gene Nameche, 1969, p. 27; carte R.D. +Laing, Università di Glasgow). +143 12 gennaio 1914. +144 Nota a margine in VC: «çatapatha-brâhmaṇam 2, 2, 4», la medesima scritta +che compare nell’immagine 64. Vedi sopra. +145 Scrive Nietzsche nel Prologo dello Zarathustra, § 5: «Io vi dico: bisogna +avere ancora il caos dentro di sé per partorire una stella danzante» (ed. cit., p. +11; le parole in corsivo sono sottolineate nell’esemplare posseduto da Jung). +146 Nota a margine in VC: «khândogya-upanishad 1, 2, 1-7». Il passo in questione +recita: «1. Allorché i deva e gli asura, nati entrambi da Prajāpati, vennero a +contesa, i deva a௸errarono l’udgītha [parte essenziale del canto liturgico, +considerato equivalente alla sacra sillaba oṃ], dicendo: “Con questo noi +vinceremo”. 2. Essi credevano che fosse udgītha il prāṇa residente nel naso. +Allora gli asura lo tra௹ssero col male. Perciò avviene che col so௻o nasale si +percepisca sia il buono che il cattivo odore: esso è stato, infatti, colpito dal male. +3. Allora essi credettero che la parola fosse udgītha. E gli asura la tra௹ssero col +male. Perciò avviene che si dica egualmente il vero e il falso, poiché essa è stata +colpita dal male. 4. Allora essi credettero che l’occhio fosse udgītha. E gli asura +lo tra௹ssero col male. Perciò avviene che per mezzo suo si veda sia ciò che è da +vedersi sia ciò che non è da vedersi, poiché esso è stato colpito dal male. 5. +Allora essi credettero che l’udito fosse udgītha. E gli asura lo tra௹ssero col +male. Perciò avviene che, per mezzo dell’udito, si oda ciò che è degno di ascolto +e ciò che non lo è, poiché esso è stato colpito dal male. 6. Allora credettero che +la mente [manas] fosse udgītha. Ma gli asura la tra௹ssero col male. Perciò +avviene che con la mente si concepiscano egualmente buoni come cattivi +pensieri: essa è stata, infatti, colpita dal male. 7. Allora credettero che il so௻o +che risiede nella bocca fosse udgītha. E gli asura, urtandovi, si polverizzarono +come si sbriciola una zolla di terra che urti contro una pietra dura» (Upaniṣad +antiche e medie, a cura di Pio Filippani-Ronconi, Bollati Boringhieri, Torino +20074, pp. 140-41). +147 In MM, p. 793: «Ottava avventura». +148 [Qui e in seguito il termine usato da Jung è Kind, di genere neutro; si traduce +al femminile, in quanto riferito alla bambina uccisa che compare in questa +visione]. + 149 In Ricordi, commentando il sogno di Liverpool (vedi oltre), Jung osservò: «Il +fegato (liver), secondo un’antica concezione, è la sede della vita» (p. 243). +150 Nel 1941 Jung discusse il rituale dell’antropofagia, del sacri௹cio e +dell’autosacri௹cio in Il simbolo di trasformazione nella messa (1942/1954, OJ +11, pp. 215 sgg.). +151 In LN3, p. 91, Jung scrive: «La cortina è caduta. Quale gioco atroce si è +compiuto a questo punto? Noto: Nil humanum a me alienum esse puto [Niente +di ciò che è umano ritengo mi sia alieno]». L +’aforisma è di Terenzio, +Heautontimoroumenos, 1, 1, 25. Il 2 settembre 1960 Jung scrisse a Herbert +Read: «In quanto medico psicologo è per me non solo una premessa +indispensabile, ma anche una profonda convinzione che il nil humanum a me +alienum esse rappresenti addirittura un dovere» (Lettere, III, p. 291). +152 Al posto di questa frase, in M, p. 355, si legge: «In quest’esperienza si compì +ciò di cui avevo bisogno. Accadde nel modo più atroce. Il male che io volevo +compì l’atto infame, in apparenza senza di me, e tuttavia insieme a me, perché +appresi di aver parte in tutto ciò che di orribile ha l’umana natura. Ho distrutto +io stesso la creatura divina, l’immagine della mia con௹gurazione divina con il +crimine più orrendo di cui sia capace l’umana natura. Quest’atto abominevole +era necessario per distruggere in me l’immagine del Dio, che assorbiva tutti i +miei umori vitali, per poter tornare ad appropriarmi della mia vita». +153 Cioè il rituale della messa. +154 Jung sviluppò queste idee sul signi௹cato dei simboli in Tipi psicologici (1921), +OJ 6, pp. 483 sgg. +155 Nel 1909 Jung fece costruire la sua casa di Küsnacht e scolpire nella pietra +sopra la porta d’ingresso il seguente responso dell’oracolo di Del௹: «Vocatus +atque non vocatus deus aderit» (Invocato o non invocato, il dio sarà presente). +Il motto, riportato negli Adagia (2, 3, 32) di Erasmo da Rotterdam (ed. a cura di +Davide Canfora, Salerno, Roma 2002), era così spiegato da Jung: «In e௸etti, si +tratta di un oracolo delfico che dice: sì, Dio sarà presente, ma in che forma e con +quale intenzione? Ho fatto mettere l’iscrizione per ricordare a me e ai miei +pazienti: Timor dei initium sapientiae [Salmo 110 (111), 10: «Principio di +sapienza è il timore di Dio»]. Qui inizia un’altra e non meno signi௹cativa strada, +non l’accesso al cristianesimo, bensì a Dio stesso, e questa sembra essere la +questione de௹nitiva» (a Eugene Rolfe, 19 novembre 1960, in Lettere, III, p. +312). +156 Compare a fondo pagina l’annotazione: «21 VIII 1917. fect. 14.X.17», dove + fect. è probabile abbreviazione di fecit, vale a dire «fece». +157 In LN7, nel resoconto della fantasia di Jung del 7 ottobre 1917, compare una +௹gura, Ha, che dice di essere il padre di Filemone. L +’anima di Jung, che lo +descrive come un mago nero, vorrebbe imparare da lui il suo segreto, le rune. +Ha, pur ri௹utando, gliene mostra alcuni esempi che l’anima gli chiede di +spiegare. Alcune rune appariranno in successive immagini dipinte (ill. 90, 93-95, +133). Quelle presenti in questa illustrazione, Ha le spiega così: «Guarda quei +due con i piedi diversi, un piede terrestre e uno solare… che si allungano verso il +cono superiore e hanno il sole all’interno, ma io ho tirato una linea storta verso +l’altro sole. Perciò uno di loro deve allungarsi verso la parte più bassa. Intanto il +sole superiore esce dal cono e il cono lo segue con lo sguardo, preoccupato di +dove andrà a ௹nire. Lo si deve recuperare con il gancio per sistemarlo nella +piccola prigione. Allora i tre devono stare insieme uniti e avvinghiati, ruotare +insieme in alto (attorcigliati). Così facendo riescono di nuovo a liberare il sole +dalla sua prigione. Adesso voi fate una spessa base e un tetto, sopra cui il sole +sta al sicuro. Ma dentro la casa è salito anche l’altro sole. Perciò anche voi vi +siete arrotolati verso l’alto, e sotto avete di nuovo costruito un tetto sopra la +prigione, a௻nché il sole superiore non possa ௹nire dentro. Perché i due soli +vogliono sempre stare insieme – come ho detto – i due coni… ognuno ha un sole. +Voi volete lasciarli arrivare insieme, perché pensate che così potreste essere +uniti. Adesso avete portato su entrambi i soli e condotto l’uno verso l’altro, e ora +voi pendete dall’altra parte… Questo è importante (=) ma ora ci sono due soli in +basso, perciò voi dovete andare al cono inferiore. Allora mettete i soli insieme in +quel punto, ma nel mezzo, né sotto né sopra, perciò non ce ne sono quattro ma +due, però il cono superiore è in basso e sopra c’è uno spesso tetto e, se volete +continuare, stenderete all’indietro le braccia, pieni di struggimento. Sotto avete +una prigione per due, per voi due. Perciò voi fate una prigione per il sole +inferiore e cadete verso l’altro lato, per trarre fuori dalla prigione il sole +inferiore. Allora la vostra nostalgia va all’indietro. Poi arriva il cono superiore e +crea un ponte verso quello inferiore, riprendendo in sé il suo sole che prima gli +era scappato, e già le nuvole del mattino giungono nel cono inferiore, ma il suo +sole è al di là della linea, invisibile (orizzonte). Ora voi siete una cosa sola e +felici di avere il sole in alto e desiderate di essere lassù anche voi. Ma siete +rinchiusi nella prigione del sole inferiore che sta sorgendo. C’è una sosta. Voi +adesso fate sopra una specie di quadrato, che chiamate pensieri, una prigione +senza porte con pareti spesse, cosicché il sole superiore non possa andarsene, +ma il cono è già sparito. Voi v’inclinate verso l’altro lato, vi struggete dal +desiderio di ciò che è sotto e vi arrotolate in basso. Poi siete una cosa sola e +compite il percorso del serpente tra i soli… Questo è divertente! (~) e +importante (=). Ma poiché era divertente di sotto, c’è un tetto sopra, e voi +dovete sollevare verso l’alto il gancio con entrambe le braccia, cosicché esso + passi attraverso il tetto. Allora il sole inferiore è libero e c’è una prigione al di +sopra. Voi guardate all’ingiù, ma il sole superiore guarda verso di voi. Voi però +state diritti in coppia e avete allontanato il serpente da voi… Forse vi siete +stufati. Perciò fate una prigione per il disotto. Ora il serpente attraversa il cielo +al di sopra della terra. Voi siete completamente separati, il serpente si +attorciglia intorno a tutte le stelle del cielo, molto al di sopra della terra. / Sotto +c’è: questa saggezza mi dia la madre. / Siate contenti» (pp. 9-10). Jung raccontò +ad Aniela Ja௸é che una volta egli ebbe la visione di una tavoletta di argilla rossa +appesa al muro della sua camera da letto, con gerogli௹ci che egli trascrisse +all’indomani. Ebbe la sensazione che essa contenesse un messaggio importante, +ma non riuscì a comprenderlo (CJR, p. 172). In due lettere a Sabina Spielrein, +datate rispettivamente 13 settembre e 10 ottobre 1917, Jung commentò il +signi௹cato di alcuni gerogli௹ci che lei aveva visto in sogno e gli aveva inviato. In +particolare, nella lettera del 10 ottobre egli le scrisse che «con i tuoi gerogli௹ci +siamo di fronte a engrammi ௹logenetici di natura simbolica storica». Rilevando il +disprezzo con cui era stata accolta la sua Libido (1912) da parte dei freudiani, +Jung si descrisse come «aggrappato alle sue rune», e ben deciso a non passarle +a coloro che non le avrebbero capite. Vedi The Letters of Jung to Sabina +Spielrein, a cura di Barbara Wharton, in «Journal of Analytical Psychology», 46, +2001, pp. 187-88. +158 Le rune presenti in questa immagine, datate da Jung 10 settembre 1917, +compaiono in LN7 alla data del 7 ottobre 1917 e sono così spiegate da Ha: «Se +la gobba vi va in avanti, fate un ponte al di sotto e dal centro andate verso l’alto +e verso il basso, oppure separate il Sopra e il Sotto, spaccate di nuovo il sole e +strisciate come il serpente attraverso il superiore e accogliete l’inferiore. +Prendete con voi stessi ciò che avete sperimentato e procedete verso qualcosa +di nuovo» (p. 11). +159 Le rune presenti in questa immagine, datate da Jung 11 settembre 1917, +compaiono in LN7 alla data del 7 ottobre 1917 e sono così spiegate da Ha: «Ora +voi fate un ponte tra voi e uno di voi tende ardentemente verso il Sotto. Ma il +serpente striscia in alto e si prende il sole. Poi voi due vi muovete verso l’alto e +volete andare verso l’alto (⤻), ma il sole è sotto e cerca di tirarvi giù. Voi +tracciate una linea sopra il Sotto e vi struggete per il Sopra e in questo siete +completamente uniti. Poi viene il serpente e vuole bere dal vaso del Sotto. Poi +arriva il cono superiore e si ferma. Come il serpente, lo sguardo va in avanti e, +dopo, voi vi struggete ardentemente dal desiderio di tornare (―) indietro. Ma il +sole inferiore tira e voi raggiungete nuovamente un equilibrio. Ben presto però +voi cadete all’indietro, poiché l’uno ha teso la mano verso il sole superiore. +L +’altro non vuole e così cadete separati e dovete perciò legarvi insieme tre +volte. Poi ve ne state di nuovo diritti e tenete entrambi i soli davanti a voi, come + se fossero i vostri occhi, la luce del Sopra e del Sotto davanti a voi, e stendete le +braccia nella loro direzione e vi unite e dovete separare i due soli e desiderate +di ritornare un poco verso il più basso e vi protendete verso quello superiore. +Ma il cono inferiore, poiché i soli erano così vicini, ha inglobato il cono +superiore. Perciò voi sistemate il cono superiore di nuovo sopra, e poiché +l’inferiore non è più lì, volete trarlo di nuovo in alto e avete una profonda +nostalgia per il cono inferiore, mentre il Sopra è vuoto, giacché il sole è +invisibile al di sopra della linea. Poiché voi avete desiderato così a lungo di +ritornare indietro e verso il basso, il cono superiore scende giù e tenta di +catturare in sé l’invisibile sole superiore. Allora la via del serpente va verso il +punto più in alto, voi siete scissi e tutto ciò che è inferiore sta sotto il fondo. Voi +vi struggete di procedere verso l’alto, ma il desiderio struggente inferiore arriva +strisciando come un serpente e voi costruite una prigione sopra di lui. Ma ecco +che il cono inferiore viene su, voi vi struggete di essere proprio in fondo e i due +soli riappaiono improvvisamente, molto vicini. Voi lo desiderate molto e arrivate +a essere imprigionati. Poi l’uno si ribella, e l’altro si strugge per andare verso il +Sotto. La prigione si apre, l’uno desidera ancor più di essere sotto, quello che si +ribellava si strugge per andare sopra e non si ribella più, ma desidera +ardentemente ciò che ha da venire. E così accade: il sole sorge sotto ma viene +imprigionato e sopra ci sono tre posti di cova, fatti per voi due e per il sole +superiore, che voi aspettate, poiché avete imprigionato quello inferiore. Adesso +però il cono superiore viene giù con irruenza e vi divide e inghiotte il cono +inferiore. La cosa però non funziona. Perciò voi sistemate i coni disponendo +punta contro punta e vi arrotolate in avanti nel centro. Infatti non potete +lasciare le cose in questo modo. Dunque le cose devono andare diversamente. +L +’uno tenta di andare verso il basso, l’altro verso l’alto; dovete farlo +sforzandovi, se le punte dei coni s’incontrano, essi di௻cilmente potranno essere +separati… Perciò ho messo il granello duro tra di loro. Punta contro punta… +Questo sarebbe troppo bello, così regolare. Questo piace al padre e alla madre, +ma dove resto io? E il mio granello? Perciò un veloce cambiamento di +programma! Si fa un ponte tra voi due, imprigionate di nuovo il sole inferiore, +l’uno desidera ardentemente andare all’indietro verso l’alto e il basso, l’altro +desidera con particolare intensità andare avanti, di sopra e di sotto. Così può +nascere il futuro… Vedete che adesso posso già dirlo bene… Sì, io sono +intelligente, più intelligente di voi… Giacché voi avete preso in mano la faccenda +così bene, riuscite a portare ogni cosa agevolmente sotto il tetto e dentro la +casa, il serpente e i due soli. Questo è sempre il punto più divertente. Ma voi +siete separati e avendo tirato la linea al di sopra, il serpente e i soli sono troppo +lontani in basso. Questo succede perché prima vi siete arrotolati dal basso. Ma +voi andate insieme e siete in armonia e state dritti perché è cosa buona, +divertente e bella e voi dite: così rimarrà. A questo punto però viene giù il cono + superiore, perché era scontento del fatto che voi aveste prima posto il con௹ne +sopra. Il cono superiore tende immediatamente verso il suo sole… ma il sole non +c’è più da nessuna parte, e anche il serpente fa un balzo all’insù per catturare il +sole. Voi precipitate, e uno di voi viene ingoiato dal cono inferiore. Con l’aiuto +del cono superiore lo tirate fuori e, in cambio, date al cono inferiore il suo sole, +e così anche al cono superiore. Voi vi ponete al di sopra come il monocolo che va +errando nel cielo, e tenete i coni sotto di voi… ma alla ௹ne le cose vanno storte. +Lasciate andare i coni e i soli, e ve ne state ௹anco a ௹anco, e tuttavia non volete +la stessa cosa. Alla ௹ne siete d’accordo nel legarvi tre volte al cono superiore +che discende dall’alto. / Io mi chiamo Ha… Ha… Ha…, un nome divertente… Io +sono intelligente… Guardate, ecco il mio ultimo segno, è la magia dell’uomo +bianco, che vive nelle grandi case della magia, la magia che voi chiamate +cristianesimo. Lo ha detto il vostro medicine-man: “Io e il Padre siamo una cosa +sola, nessuno giunge al Padre se non attraverso di me” [Giovanni, 10, 30 e 14, +6]. Io ve l’ho detto, il cono superiore è il Padre. Egli si è legato tre volte a lui e +sta tra l’Altro e il Padre. Perciò l’Altro deve passare attraverso di lui, se vuole +raggiungere il cono» (pp. 13-14). +160 In MM, p. 814: «Nona avventura Iª notte». +161 14 gennaio 1914. +162 L +’ Imitazione di Cristo è un libro devozionale apparso all’inizio del XV secolo, +che ha goduto (e gode tuttora) di larghissima popolarità in tutto il mondo +cristiano. Di paternità controversa, l’opera viene generalmente attribuita a +Tommaso da Kempis (ca 1380-1471), membro dei Fratelli della Vita Comune, +una comunità religiosa olandese che, ispirandosi ai principi della devotio +moderna, metteva l’accento sulla meditazione e la religiosità interiore. Con un +linguaggio semplice e lapidario l’Imitazione di Cristo esorta a prendersi cura +della propria vita spirituale anziché delle cose esteriori, elargisce consigli su +come raggiungere questo ideale e indica il premio ௹nale di una esistenza vissuta +in Cristo. Il titolo è tratto dall’inizio del primo capitolo, in cui si dice che, «se uno +vuole comprendere pienamente e pro௹cuamente gli insegnamenti di Cristo, deve +studiarsi di conformare a lui tutta la propria vita» (L +’imitazione di Cristo , lb. 1, +cap. 1; ed. it. a cura di Franco Fochi, Mondadori, Milano 1982, p. 23). Come +mostra Giles Constable nel suo saggio The Ideal of the Imitation of Christ (in +Id. , Three Studies in Medieval Religious and Social Thought, Cambridge +University Press, Cambridge 1995, pp. 143-248), il tema dell’imitazione di +Cristo ha una lunga storia, che risale indietro nel tempo ௹no all’età medievale, +allorché si sviluppò un ampio dibattito sul modo di intendere il senso di questa +conformità a Gesù. Secondo Constable, si possono distinguere due approcci +fondamentali: il primo, più centrato sull’imitazione della divinità di Cristo, + sottolineava la dottrina della divinizzazione secondo cui «Cristo indica il modo di +diventare Dio attraverso di lui» (p. 218); il secondo, più centrato sull’imitazione +dell’umanità e del corpo di Cristo, elevava a modello esemplare la sua vita +terrena. La forma estrema di questo secondo approccio è rappresentata dalla +tradizione degli stigmatizzati, individui che recano impresse sul corpo le ferite di +Cristo. +163 Cioè il Così parlò Zarathustra. +164 Nell’Imitazione di Cristo Tommaso da Kempis scriveva: «Non c’è salvezza, +non c’è speranza di vita eterna per la nostra anima senza la croce. Prendi +dunque la tua croce, e segui Gesù: entrerai nella vita eterna. Gesù ci ha +preceduti portando la sua croce, prima di imporla a noi. Sulla croce egli è morto +per te, perché anche tu imparassi a portarla e a desiderare di morire in croce, +potendo così, dopo la morte comune con lui, avere comune con lui la vita» (lb. 2, +cap. 12; ed it., p. 86). +165 M, p. 366, continua: «Sappiamo però che gli antichi ci parlavano per +immagini. Perciò il mio pensiero mi consigliò di prendere Cristo a modello non +per imitarlo, ma perché egli è la Via. Se percorro una via, non la imito. Se però +seguo il Cristo, lui diventa la mia meta e non più la mia via. Se però lui è la mia +via, io procedo verso la sua meta, come in precedenza mi era stato mostrato nel +mistero. Dunque il mio pensiero mi aveva parlato in modo confuso e ambiguo +consigliandomi di imitare Cristo». +166 M, p. 367, continua: «Quella sua personale via lo ha condotto sulla croce, +perché la via caratteristica dell’umanità conduce alla croce. Anche la mia via mi +porta alla croce, non alla croce di Cristo, bensì alla mia croce personale, che è +l’immagine del sacri௹cio e della vita. Poiché però ero ancora accecato, io +tendevo a cedere alla fortissima tentazione di imitare e guardare a Cristo come +se lui fosse la mia meta e non la mia via». +167 Jung si riferisce qui probabilmente a Schopenhauer e a Nietzsche. +168 M, p. 368, continua: «Ri௺etti su questo. Quando ci avrai ri௺ettuto, +comprenderai l’avventura che mi capitò nella notte seguente». +169 17 gennaio 1914. +170 Il passo di Tommaso da Kempis (lb. 1, cap. 19) recita esattamente: «Il vero +cristiano nei suoi propositi si a௻da alla grazia di Dio più che alla propria +saggezza: qualunque cosa egli incominci, il cristiano vero con௹da in Dio. L +’uomo +propone e Dio dispone: il destino dell’uomo non è nelle mani dell’uomo» + (L’imitazione di Cristo cit., p. 46). +171 In luogo di questa frase, in LN4, p. 9, si legge: «Eccoti accontentato, Henri +Bergson…, questo è il vero e autentico metodo intuitivo». Il 20 marzo 1914 +Adolf Keller tenne alla Società psicoanalitica zurighese una conferenza su +«Bergson e la teoria della libido». Nella discussione Jung osservò: «Da tempo si +sarebbe dovuto discutere di Bergson in questa sede. Bergson dice tutto quel che +noi non abbiamo detto» (MSPZ, I, p. 57). Il 24 luglio 1914 Jung tenne a Londra +una conferenza in cui a௸ermò che il suo «metodo costruttivo» corrispondeva al +metodo intuitivo di Bergson (Sulla comprensione psicologica di processi +patologici, OJ 3, p. 198). L +’opera di Bergson cui Jung faceva riferimento è +L +’évolution créatrice (Alcan, Paris 1907), di cui egli possedeva l’edizione +tedesca del 1912. +172 La trascrizione di Cary Baynes ha: «di Bergson». +173 In M l’interlocutore è indicato come l’«Uomo Inquietante». +174 L +’Ezechiele biblico fu un profeta del VI secolo a.C. Jung attribuì grande +importanza storica alle sue visioni, una delle quali era costituita da due +quaternità ordinate in un mandala a rappresentare l’umanizzazione e la +di௸erenziazione di Yahwèh. Secondo Jung tali visioni, spesso considerate +patologiche, erano fenomeni naturali e dunque normali, che potevano essere +indicati come patologici solo nel caso in cui se ne fosse accertata la natura +morbosa. Vedi Risposta a Giobbe (1952), OJ 11, pp. 400-02 e 408-09. – +L +’anabattismo («ribattesimo») fu un movimento evangelico radicale sorto nel +Cinquecento in seno alla Riforma protestante con l’obiettivo di restaurare lo +spirito della Chiesa primitiva. Esso si sviluppò a Zurigo negli anni venti del +secolo, di fronte alla riluttanza di Zwingli e di Lutero a operare una riforma +integrale della Chiesa. Gli anabattisti ri௹utavano la pratica del battesimo ai +bambini, nella convinzione che esso dovesse essere amministrato ai soli adulti; +da qui la scelta del «ribattesimo», il cui primo caso ebbe luogo nel 1525 a +Zollikon, nei pressi di Küsnacht, dove Jung viveva. Gli anabattisti inoltre +ponevano l’accento sull’immediatezza della relazione fra Dio e l’uomo ed erano +critici rispetto alle istituzioni religiose. La violenta repressione di cui il +movimento fu oggetto, portò all’uccisione di migliaia di adepti. Vedi Daniel +Liechty (a cura di), Early Anabaptist Spirituality +. Selected Writings , Paulist +Press, New York 1994. +175 Jung a௸ermò nel 1918 che il cristianesimo aveva represso l’elemento animale +(Sull’inconscio, OJ 10/1, pp. 20-21) ed elaborò questo tema nei seminari tenuti +nel 1923 a Polzeath, in Cornovaglia. Nel 1939 osservò che il «peccato + psicologico» commesso da Cristo era di «non aver vissuto proprio il lato +animale» (Modern Psychology, IV, p. 230). +176 L +’esatto inizio del tredicesimo capitolo del primo libro suona così: «Per tutto +il tempo che noi viviamo in questo mondo non possiamo essere liberi né dalle +tribolazioni né dalle tentazioni. Per questo si legge nel Libro di Giobbe che la +tentazione è la vita dell’uomo sulla terra. Ciascuno di noi dunque deve tenersi +pronto contro le tentazioni che avrà e vigilare in continua preghiera perché non +ci sorprenda il Diavolo che non dorme mai, ma va continuamente in cerca di +preda. E nessuno infatti è così santo e perfetto da sottrarsi pienamente alle +tentazioni: nessuno di noi può esserne del tutto libero» (L +’imitazione di Cristo +cit., p. 37). L +’autore sottolinea quindi l’utilità della tentazione, in quanto +attraverso di essa l’uomo viene reso «umile, purificato, ammaestrato» (ibid.). +177 Vedi Cicerone, Cato Maior de senectute, 76 (in corsivo le frasi citate da +Jung): «Omnino, ut mihi quidem videtur, rerum omnium satietas vitae facit +satietatem. Sunt pueritiae studia certa; num igitur ea desiderant adulescentes? +Sunt ineuntis adulescentiae: num ea constans iam requirit aetas quae media +dicitur? Sunt etiam eius aetatis; ne ea quidem quaeruntur in senectute. Sunt +extrema quaedam studia senectutis: ergo, ut superiorum aetatum studia +occidunt, sic occidunt etiam senectutis; quo cum evenit, satietas vitae tempus +maturum mortis a௫ert» (ed. it. La vecchiezza, a cura di Emanuele Narducci, +Rizzoli, Milano 1983, p. 233: «Insomma, come davvero mi sembra, la sazietà di +tutte le inclinazioni porta la sazietà della vita. Vi sono inclinazioni proprie della +fanciullezza: forse che i giovani ne sentono il rimpianto? Ve ne sono della prima +giovinezza: forse che le reclama la salda età che si dice media? Ve ne sono +anche di questa età: anche queste non si cercano più nella vecchiezza. Vi sono +in௹ne inclinazioni proprie della vecchiezza; e dunque, come tramontano quelle +delle età precedenti, così tramontano quelle della vecchiezza; e quando questo +avviene, la sazietà della vita porta con sé il tempo maturo della morte»). +178 In LN4, p. 16: «forma paranoide di dementia praecox». +179 A questo punto in M, p. 376, compare un passo di cui si riporta una parafrasi: +Dal momento che ero un pensatore, il mio sentimento era l’elemento più umile, +più antico e quello meno sviluppato. Quando fui condotto a ciò che era +impensabile attraverso il mio pensiero e a ciò che era irraggiungibile per il +potere del mio pensiero, allora potei procedere soltanto in maniera forzata. Se +infatti sovraccarico di tensione un lato, l’altro sprofonda sempre più. +Sovraccaricare non significa crescere, cosa che invece ci è necessaria. +180 Nota a margine in VC: «26 I 1919». La data sembra riferirsi al giorno in cui + questa sezione fu trascritta nel volume calligrafico. +181 In un seminario tenuto nel 1930 Jung disse: «Riguardo all’animale si hanno +svariati pregiudizi. Le persone non capiscono quando dico loro che dovrebbero +fare la conoscenza dei loro animali o assimilare i loro animali. Pensano che +l’animale non faccia altro che saltare sui muri e fare un pandemonio per tutta la +città. Eppure, in natura, l’animale è un cittadino educato. È pio, segue il suo +percorso con grande regolarità, non fa nulla di stravagante. Soltanto l’uomo è +stravagante. Perciò, se si assimila la natura dell’animale, si diventa cittadini +particolarmente rispettosi delle leggi, si procede senza fretta, e per certi versi +si diventa molto ragionevoli, giacché ce lo si può permettere» (Visioni cit., vol. 1, +p. 184). +182 In MM, p. 863, a margine: «Rom 8.19». Quella che segue nel testo è appunto +una citazione dalla Lettera ai romani, 8, 19-22. +183 Citazione da Isaia, 66, 24. +184 M, p. 387, continua: «Ci ha preceduto un profeta che la prossimità a Dio +aveva reso forsennato. Accecato, nel suo predicare imperversava contro il +cristianesimo; era invece l’avvocato dei morti, che l’hanno eletto a loro +portavoce e a roboante trombone. Gridava con voce fortissima, cosicché molti lo +udirono, e la potenza del suo linguaggio in௹ammò anche coloro che erano +riluttanti. Insegnò a combattere il cristianesimo. Fu un bene anche questo». Il +riferimento è a Nietzsche. +185 M, p. 388, continua: «di cui sei l’avvocato difensore». +186 M, p. 388, continua: «come quel profeta forsennato che non sapeva di chi +perorasse la causa, ma credeva di parlare autonomamente, identi௹candosi con +la volontà stessa di distruggere». Anche in questo caso il riferimento è a +Nietzsche. +187 Nel 1938 Jung riprodusse in forma anonima quest’immagine in appendice +(tav. 6) al suo «Commento europeo» al Segreto del ௬ore d’oro (Boringhieri, +Torino 1981) come se si trattasse di un mandala dipinto da un paziente di sesso +maschile durante il trattamento. Lo descrisse come segue: «♂ Al centro, la luce +bianca irraggiantesi nel ௹rmamento. Nel primo cerchio, germi vitali +protoplasmatici; nel secondo, principi cosmici rotanti, che contengono i quattro +colori fondamentali; nel terzo e nel quarto, forze creative agenti all’interno e +all’esterno. Ai punti cardinali, le anime maschili e femminili, a loro volta divise in +chiare e scure». Jung riprodusse di nuovo l’immagine nel 1950 in Sul simbolismo +del mandala (OJ 9/1, tav. XXVIII/B) con questo commento: «Immagine eseguita da + un uomo di mezza età. Al centro una stella. Nel cielo azzurro, nuvole dorate. +Nei punti cardinali appaiono quattro ௹gure umane: sopra, un vecchio in +atteggiamento contemplativo; sotto, Loki o Efesto dalla rossa chioma +௹ammante, che tiene nella mano un tempio. A destra e a sinistra, due ௹gure di +donna, una scura, l’altra chiara. Sono così indicati quattro aspetti della +personalità, ovvero quattro ௹gure archetipiche appartenenti per così dire alla +periferia del Sé. Le due ௹gure femminili sono senz’altro riconoscibili come i due +aspetti dell’Anima. Il vecchio corrisponde all’archetipo del senso o dello spirito; +la ௹gura scura e ctonia, in basso, è invece l’opposto del saggio, è cioè l’elemento +luciferino, magico (a volte anche distruttivo). Nell’alchimia ciò corrisponde a +Ermete Trismegisto, ovvero a Mercurio, il “briccone” evasivo. Il cerchio che +racchiude immediatamente il cielo contiene strutture protozoiche. All’esterno +del cerchio, sedici sfere a quattro colori, derivazioni del motivo dell’“occhio”, +rappresentano la coscienza contemplativa e discriminatrice. Le decorazioni del +cerchio successivo si aprono verso l’interno come vasi che riversino il loro +contenuto nel centro. [Nota a pie’ di pagina: «Un’analoga rappresentazione si +trova nell’alchimia, nel cosiddetto “Ripley Scrowle” e nelle sue varianti (vedi +Psicologia e alchimia, OJ 12, p. 440, ௹g. 257). Lì sono rappresentati gli dèi +planetari che nel bagno della rinascita mescolano le loro qualità»]. Le +decorazioni dell’ultimo cerchio si aprono invece verso l’esterno, come per +riceverne qualcosa. Nel processo di individuazione le proiezioni originarie +ri௺uiscono infatti verso l’interno, si integrano cioè nuovamente alla personalità. +In contrasto con la ௹gura della tavola XXV/B, “sopra” e “sotto”, “maschile” e +“femminile” risultano qui integrati come nell’ermafrodito alchemico» (OJ 9/1, pp. +366-67). In௹ne Jung commentò l’immagine in una lettera a Raymond Piper +datata 21 marzo 1950: «L +’altra immagine proviene da un uomo istruito, di circa +quarant’anni. Egli l’ha dipinta come un primo tentativo inconscio di ristabilire +l’ordine, in seguito a uno stato emotivo alterato dovuto a un’invasione di +contenuti inconsci» (Lettere, II, p. 160). +188 M, p. 390, continua: «Non è abolito un capitolo della legge cristiana, ma ne +aggiungiamo uno nuovo: accogliere il lamento dei morti». +189 M, pp. 390-91, continua: «Non sarai altro che un comune, cattivo desiderio, +null’altro che tentazione quotidiana, ௹nché tu non comprenderai che è la +richiesta dei morti. Non appena tu però avrai conoscenza dei morti +comprenderai la tua tentazione. Finché quest’ultima non è altro che un cattivo +desiderio, che cosa puoi fare con essa? Inciampare, pentirti e rialzarti, e poi di +nuovo inciampare, deridere o odiare te stesso, e comunque di sicuro +disprezzarti e compatirti nell’intimo. Se però conosci le richieste dei morti, +allora la tentazione diverrà fonte della tua migliore creatività, anzi dell’opera di +redenzione in generale. Quando Cristo ascese al cielo dopo aver compiuto la sua + opera, condusse con sé coloro che erano morti prematuramente e senza aver +portato a termine il loro compito, morti sotto la legge della crudeltà, +dell’alienazione e della violenza bruta. L +’aria era allora colma dei lamenti dei +morti, e la loro disperazione si faceva sentire a tal punto che rendeva tristi, +a௸aticati e stanchi di vivere persino i vivi, i quali desideravano perire già nel +loro corpo vivo di questo mondo. Così anche tu, nella tua opera di redenzione, +porti i morti a trovare il proprio compimento». +190 M, p. 395, continua: «Ti servi di un vecchio incantesimo di parole per +proteggerti in modo superstizioso, perché sei ancora un ௹glio impotente +dell’antica foresta. Ma se noi vediamo cosa sta dietro il tuo incantesimo di +parole, esso perderà la sua e௻cacia; null’altro ti protegge dal caos se non +l’accettarlo». +191 18 gennaio 1914. +192 In L’Io e l’inconscio (1928) Jung riferisce il caso di un paziente conosciuto nel +periodo in cui lavorava al Burghölzli, il quale era a௸etto da demenza paranoide +e riteneva di essere in comunicazione telefonica con la Madonna (OJ 7, p. 142). +193 Legenda: «Quest’uomo fatto di materia è salito troppo in alto nel mondo dello +spirito, lì però lo spirito gli trapassò il cuore con un raggio dorato. Cadde in +estasi e si dissolse. Il serpente, che è il male, non poteva rimanere nel mondo +dello spirito». +194 Nota a margine in VC: «22 III 1919». La data sembra riferirsi al giorno in cui +questo passo fu trascritto nel volume calligrafico. +195 Il simbolismo dell’orologio del mondo è studiato da Jung in Psicologia e +religione (1938/1940) (OJ 11, pp. 71 sgg.). +196 Sulla porta dell’inferno dantesco compare la scritta: «Lasciate ogne +speranza, voi ch’intrate» (Inf., 3, 9). +197 M, p. 403, continua: «Infatti le parole non sono semplici parole, ma hanno +signi௹cati per i quali sono impiegate. Attraggono signi௹cati come ombre +demoniache. Con le parole trasporti in alto il mondo infero». +198 M, p. 404, continua: «Dopo aver guardato il caos, osserva il tuo volto: hai +visto più che la morte e la tomba; tu hai visto oltre, e il tuo volto è segnato come +il volto di uno che ha guardato il caos pur essendo un uomo. Molti passano oltre, +ma non vedono il caos, mentre invece il caos li vede e li guarda in faccia, +imprimendovi i propri tratti. Ed essi ne restano segnati per sempre. Un + individuo simile lo de௹nisco pazzo, perché questo è ciò che è; è diventato onda e +ha perduto il suo lato umano, la sua stabilità». +199 Frase cancellata in MC, p. 405; a margine è scritto: «ΦΙΛΗΜΩΝ +identification». +200 Jung svilupperà questo tema in Risposta a Giobbe (1952), prendendo in +esame il problema della trasformazione storica dell’immagine giudaico-cristiana +di Dio e della continua incarnazione di Dio dopo Cristo. Commentando +l’Apocalisse Jung sostenne: «Da quando il Giovanni dell’Apocalisse fece per la +prima volta (forse inconsciamente) l’esperienza personale di quel con௺itto in cui +il cristianesimo introduce direttamente, l’umanità ne è stata sempre oppressa. +Dio voleva e vuole divenire uomo» (OJ 11, pp. 435-36). Secondo Jung c’era un +collegamento diretto tra la concezione di Giovanni e quella di Meister Eckhart: +«Quest’irruzione sconvolgente genera in lui l’immagine del fanciullo divino, di un +futuro salvatore, nato dalla compagna divina, la cui immagine dimora in ogni +uomo; del fanciullo che anche Meister Eckhart scorgerà nella sua visione. Era +lui che sapeva che Dio, solitario nella sua divinità, non è beato, ma sente il +bisogno di nascere nell’anima dell’uomo. L +’incarnazione in Cristo è il modello +che viene progressivamente trasferito nella creatura per opera dello Spirito +Santo» (p. 437). All’epoca di Risposta a Giobbe Jung diede grande importanza +alla bolla papale sull’Assumptio Mariae. Disse che essa aveva attirato +«l’attenzione sullo hieros gamos nel pleroma, che a sua volta signi௹ca (...) la +nascita futura del fanciullo divino, il quale, corrispondentemente alla tendenza +divina all’incarnazione, sceglierà l’uomo empirico come luogo in cui nascere. +Questo procedimento meta௹sico è noto in psicologia dell’inconscio come +processo d’individuazione» (p. 448). Il processo d’individuazione trova il suo +supremo signi௹cato nell’identi௹carsi con la progressiva incarnazione di Dio +nell’anima. Il 3 maggio 1958 Jung scrisse a Morton Kelsey: «La vera storia del +mondo appare come un’incarnazione progressiva della divinità» (Lettere, III, p. +156). +201 Legenda: «Il serpente cadde a terra morto, e questo rappresentò il cordone +ombelicale di una nuova nascita». Il serpente di questa immagine è simile a +quello ra௻gurato in ill. 109. In LN7, p. 57, 27 gennaio 1922, l’anima di Jung +rimanda alle immagini 109 e 111. Essa dice: «Terribile è la gigantesca nube +della notte eterna. Vedo su questa nube, dall’alto a sinistra, una striscia gialla +lucente che ha la forma irregolare di un lampo, sullo sfondo un’inde௹nita luce +rossastra nella nube. Non si muove. Sotto la nube vedo giacere morto un +serpente nero, e il lampo lo colpisce sulla testa come una lancia. Una mano, +grande come quella di un Dio, ha scagliato la lancia, e tutto è irrigidito in +un’immagine +dalla +luce +fosca. +Chissà +che +cosa +vorrà +dire? +Ricordi + quell’immagine che hai dipinto anni fa in cui l’uomo rossonero veniva colpito dal +raggio divino insieme al serpente bianconero [ill. 109]? Quest’immagine si +collega forse a quella, dato che poi hai dipinto anche il serpente morto [ill. 111]? +E stamattina non avevi forse dinanzi agli occhi un’immagine cupa, l’immagine di +quell’uomo vestito di bianco, dal viso nero come una mummia?». Jung: «Che +significa tutto ciò?». L’anima: «Un’immagine di te stesso». +202 M, p. 406, continua: «Chi però agisce secondo la legge dell’amore si +solleverà al di sopra del dolore per sedere alla stessa tavola con l’Unto e vedere +la magnificenza di Dio». +203 M, p. 407, continua: «A chi però si fa carico del proprio dolore sotto la legge +dell’amore, Dio si accosterà stringendo con lui un nuovo patto. È infatti previsto +che l’Unto debba tornare, non però nella carne, bensì nello spirito. E come il +Cristo elevò la carne attraverso il martirio che reca la guarigione, così l’Unto di +questo tempo eleverà lo spirito attraverso il martirio che reca la guarigione». +204 M, pp. 407-08, continua: «Ciò che di più vile è in te è la pietra che i +costruttori avevano ri௹utato. Essa diverrà la pietra angolare. Il tuo lato più vile +crescerà come una pianticella dal terreno arido, dalla sabbia del più riarso +deserto e si leverà molto in alto. Da ciò che hai ri௹utato ti giunge la salvezza. Il +tuo sole sorge da paludi fangose. Tu ti irriti, come tutti gli altri, del lato più vile +presente in te, perché la sua immagine ti pare più odiosa dell’immagine che ti +piace avere di te. Ciò che è più vile in te è la parte più disprezzata e +sottovalutata, colma di so௸erenze e malattia. È talmente disprezzata che +davanti a essa ci si nasconde il viso, la si considera un’inezia e perfino si dice che +non esiste neppure, perché altrimenti ci si vergognerebbe e ci si +disprezzerebbe. In verità, essa regge la nostra malattia ed è carica delle nostre +so௸erenze. La consideriamo come la parte tormentata e punita da Dio a causa +della sua spregevole bruttezza. Ma essa è ferita a causa della nostra giustizia e +consegnata alla pazzia, a causa della nostra bellezza viene martoriata e +repressa. Noi la lasciamo punire e torturare per trovar pace in questo modo. +Ma se ci faremo carico della sua malattia, dalle nostre ferite ci giungerà la +guarigione». La prima riga si riferisce al Salmo 117 (118), 22, che a sua volta +riecheggia Isaia, 53, 1-4, da Jung già citato (vedi sopra). +205 M, pp. 409-10, continua: «Perché mai il nostro spirito non dovrebbe +addossarsi il tormento e l’incapacità di trovar pace allo scopo di santi௹carsi? Ma +tutto questo verrà a voi, perché io sento già il passo di coloro a cui sono +consegnate le chiavi per aprire le porte del profondo. Il clamore delle battaglie +di cui risuonano monti e valli, il lamento che si leva da tantissimi luoghi abitati è +segno di ciò che ha da venire. Le mie visioni sono veritiere, perché io ho visto + ciò che sarebbe venuto. Ma voi non dovete credere a me, perché altrimenti vi +scostate dalla vostra via, che è la via giusta che vi conduce dritto al vostro +dolore, che ho visto in anticipo. Non c’è fede che possa sviarvi; prendetevi cura +della vostra somma miscredenza, essa vi condurrà sulla via giusta. Prendetevi a +cuore il vostro tradimento e la vostra infedeltà, la vostra superbia e saccenteria, +e approderete alla strada sicura che vi condurrà al vostro lato più vile; e quel +che farete a ciò che è più vile in voi lo farete all’Unto del Signore. Un’unica cosa +non dovete dimenticare: dalla legge dell’amore non è stato eliminato alcunché, +ma molto vi è stato aggiunto. Però si danna da solo colui che uccide l’amante +presente in lui, perché immensa è la schiera dei defunti che sono morti a cagione +dell’amore, e il più potente tra questi è il Signore, il Cristo. È saggio rispettare +questi morti. Un inferno infuocato attende colui che uccide in sé l’amante. Vi +lamenterete e vi adirerete dell’impossibilità di unire la vostra parte più vile alla +legge dell’amore. Io vi dico: così come il Cristo sottomise la natura ௹sica a +quella spirituale nella legge della Parola del Padre, anche la natura spirituale +dev’essere sottomessa a quella ௹sica nella legge dell’opera di salvezza +attraverso l’amore, attuata da Cristo. Voi temete i pericoli; ma sappiate che il +pericolo è più grande proprio là dove il Dio è più vicino. Come potete +riconoscere l’Unto del Signore senza pericolo? Si potrà mai ottenere una +preziosa gemma per una moneta di rame? La parte più vile in voi è anche il +vostro pericolo. Paura e dubbio sono i guardiani che stanno davanti alla porta +della vostra via. La vostra parte più vile è l’imprevedibile, perché voi non la +vedete. Dunque datele forma e guardatela. In tal modo aprirete le chiuse del +caos. Da ciò che vi è di più buio, umido e freddo sorge il sole. Gli ignari uomini di +questo tempo vedono solo un aspetto: non si rendono mai conto che sta +arrivando l’altro. Però, se esiste l’Uno, esiste anche l’Altro». Jung cita qui +implicitamente i primi versi di Patmos di Friedrich Hölderlin, che era tra le sue +poesie preferite: «Vicino / e di௻cile ad a௸errare è il Dio. / Ma dove è il pericolo, +cresce / anche ciò che ti salva» (Hölderlin, Poesie, a cura di Giorgio Vigolo, +Mondadori, Milano 1971, p. 217). Jung discusse questo tema in Libido (1912), +pp. 358 sgg. +206 Queste righe sono in sostanza una citazione da Isaia, 63, 2-6. +207 Vedi Matteo, 10, 34: «Non pensate che io sia venuto a metter pace sulla +terra; non sono venuto a metter pace, ma la spada». +208 In Risposta a Giobbe (1952) Jung scrisse a proposito di Cristo sulla croce: +«Questo quadro è completato dall’immagine dei due ladroni, uno dei quali viene +precipitato all’inferno e l’altro accolto in paradiso. Non si potrebbe +rappresentare meglio l’antiteticità del simbolo centrale del cristianesimo» (OJ +11, p. 397). + 209 Dieterich, Nekyia cit., p. 117, richiama un passo del Gorgia platonico (81, +525 c) in cui compare il tema dei trasgressori appesi nell’Ade. Nell’elenco di +riferimenti presente sul retro del suo esemplare di Nekyia, Jung annotò: «117 +pendere». +210 Vedi Matteo, 10, 16: «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate +dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe». +211 Legenda: «Questa è l’immagine del bambino divino. Essa signi௹ca il +compimento di un lungo percorso. Non appena l’immagine era stata terminata +nell’aprile MCMXIX e già era stata iniziata l’immagine seguente, giunsero +coloro che portavano ⊙, come ΦIΛHMΩN [Philemon] mi aveva predetto. Io lo +chiamai ΦANHΣ [Phanes], perché egli è il Dio che compare come il Dio nuovo». +Il simbolo ⊙ può essere inteso come la rappresentazione astrologica del sole. +Nella teogonia or௹ca, Etere e Chaos sono nati da Chronos. Questi depone un +uovo in Etere; l’uovo si spacca in due e appare Fanes, il primo degli dèi. Come +scrive William Guthrie, «egli è immaginato come un dio di meravigliosa bellezza, +come una ௹gura di luce abbagliante con ali d’oro sulle spalle, quattro occhi e +teste di vari animali. È bisessuato, poiché deve creare la stirpe degli dèi, senza +il concorso di nessuno» (Guthrie, Orpheus and Greek Religion. A Study of the +Orphic Movement, Methuen, London 1935, p. 80). In Libido (1912), discutendo +delle concezioni mitologiche della forza creatrice, Jung richiamò l’attenzione sul +«personaggio or௹co di Fanes, il “luminoso”, il primo nato, il “padre di Eros”. In +termini or௹ci, Fanes riveste anche il signi௹cato di Priapo, è un dio dell’amore, +bisessuale, ed è identi௹cato con il Dioniso Lisio tebano. Il signi௹cato or௹co di +Fanes è simile a quello dell’indiano Kāma, il dio dell’amore, che è anche un +principio cosmogonico» (p. 123). Fanes compare in LN6 nell’autunno del 1916. I +suoi attributi corrispondono alle rappresentazioni classiche, ed egli viene +descritto come il risplendente, un dio di bellezza e di luce. L +’esemplare +posseduto da Jung del volume di Isaac Cory Ancient Fragments of the +Phoenician, Chaldean, Egyptian, Tyrian, Carthaginian, Indian, Persian, and +Other Writers; With an Introductory Dissertation; And an Inquiry into the +Philosophy and Trinity of the Ancients (Pickering, London 1832) presenta +sottolineature nella sezione che contiene la teogonia or௹ca e ha una strisciolina +di carta e un segno accanto alla frase seguente: «Essi si immaginano che il Dio +sia un uovo che concepisce o che è concepito, o una veste bianca, oppure una +nuvola, perché Fanes nasce da questi elementi» (p. 310). Fanes è il Dio di Jung. +Il 28 settembre 1916 è descritto come un uccello d’oro (LN6, p. 119). Il 20 +febbraio 1917 Jung si rivolge a lui in quanto messaggero di Abraxas (ibid., p. +167). Il 20 maggio Filemone a௸erma che diverrà Fanes (ibid., p. 195). L +’11 +settembre Filemone lo descrive nel modo seguente: «Fanes è il Dio che esce +luminoso dalle acque. / Fanes è il sorriso dell’alba. / Fanes è giorno radioso. / È + l’oggi che mai tramonta. / È il fragore dei ௹umi. / È il sussurrare del vento. / È +fame e sazietà. / È amore e piacere. / È mestizia e consolazione. / È promessa e +compimento. / Èla luce che illumina ogni oscurità. / È il giorno perenne. / È +l’argentea luce della luna. / È lo sfavillare delle stelle. / È la stella cadente che +brilla, passa e svanisce. / È la pioggia di stelle cadenti che torna ogni anno. / È il +sole e la luna che ritornano. / È la cometa foriera di guerre e di vini pregiati. / È +il bene e l’abbondanza dell’anno. / Egli riempie le ore di vitale entusiasmo. / È +l’abbraccio e il sussurro dell’amore. / È il calore dell’amicizia. / È la speranza +che ravviva il vuoto. / È lo splendore di ogni sole rinnovato. / È la gioia a ogni +nascita. / È la luce che emana dai ௹ori. / È l’ala vellutata della farfalla. / È il +profumo dei giardini in ௹ore che colma le notti. / È il canto della gioia. / È +l’albero della luce. / È ogni compimento, qualsiasi miglioramento. / È tutto ciò +che è melodioso. / È quel che ha giuste proporzioni. / È il numero sacro. / È la +promessa di vita. / È il contratto e la sacra promessa. / È la varietà dei suoni e +dei colori. / È la santi௹cazione del mattino, del mezzodì e della sera. / È ciò che +è gentile e mite. / È la redenzione… / In verità, Fanes è il giorno felice. / In +verità, Fanes è il lavoro, il suo compimento e la sua ricompensa. / È l’impresa +faticosa e la quiete della sera. / È il passo nella via di mezzo, il suo inizio, la sua +metà e la sua ௹ne. / È la preveggenza. / È la ௹ne della paura. / È il seme che +germoglia, il bocciolo che si apre. / È la porta dell’accoglienza, l’accettazione e +la rinuncia. / È la sorgente e il deserto. / È il porto sicuro e la notte tempestosa. +/ È la certezza nella disperazione. / È ciò che resta saldo nello sconvolgimento. / +È la liberazione dalla prigionia. / È consiglio e forza nell’andare avanti. / È +l’amico dell’uomo, la luce che ne promana, il chiaro bagliore che l’uomo vede +sulla sua strada. / È la grandezza dell’uomo, il suo valore e la sua forza» (LN7, +pp. 16-19). Il 31 luglio 1918 Fanes stesso dice: «Il segreto del mattino d’estate, +il giorno felice, la perfezione dell’istante, l’abbondanza del possibile, nata dalla +sofferenza e dalla gioia, la gemma dell’eterna bellezza, la meta delle quattro vie, +la fonte e il mare dei quattro ௹umi, il compimento delle quattro so௸erenze e +delle quattro gioie, padre e madre degli dèi dei quattro venti, croci௹ssione, +sepoltura, risurrezione ed elevazione dell’uomo fino a Dio, suprema azione e non +esistenza, mondo e granello, eternità e istante, povertà e abbondanza, +manifestazione, morte e rinascita del Dio, sostenuto da una forza che +perennemente crea, risplendente nell’eterna azione, amato dalle due madri e da +mogli-sorelle, piacere indicibilmente tormentato, inconoscibile, irriconoscibile, +punta dell’ago tra la vita e la morte, un ௹ume di mondi, volta dei cieli… io ti do +l’amore degli uomini, una brocca di opale per l’acqua; essa versa acqua e vino e +latte e sangue, nutrimento per uomini e dèi. / Io ti do la gioia della so௸erenza e +la so௸erenza della gioia. / Ti do ciò che ho trovato: la durata nel cambiamento e +il cambiamento nella durata. / La brocca di pietra, il vaso della perfezione. +Dentro scorreva l’acqua, dentro scorreva il vino, dentro scorreva il latte, dentro + scorreva il sangue. I quattro venti si precipitavano entro il prezioso vaso. / Gli +dèi delle quattro regioni del cielo reggono la sua rotondità, le due madri e i due +padri lo sorvegliano, il fuoco del Nord arde alla sua imboccatura, il serpente del +Sud ne circonda il fondo, lo spirito dell’Est tiene uno dei suoi ௹anchi e lo spirito +dell’Ovest l’altro. / Eternamente negato, esso perdura per l’eternità. / +Ritornando in ogni forma, per sempre identico, quest’unico prezioso vaso, cinto +dal cerchio dello zodiaco, negando se stesso e sorgendo in nuovo splendore +attraverso la negazione di sé. / Il cuore di Dio e dell’uomo. / È l’Uno e i molti. +Una via che conduce attraverso monti e valli, una stella che guida sull’oceano, in +te e perennemente dinanzi a te. / Perfetto, davvero perfetto è colui che sa +queste cose. / La perfezione è povertà. Ma la povertà signi௹ca gratitudine. La +gratitudine è amore. (2 agosto). / In verità la perfezione è sacri௹cio. / La +perfezione è gioia e presagio dell’ombra. / La perfezione è la ௹ne. La ௹ne +signi௹ca l’inizio, e dunque la perfezione è piccolezza e inizio in ciò che è più +piccolo. / Ogni cosa è imperfetta, perciò la perfezione è solitudine. Ma la +solitudine cerca la comunione. Per cui perfezione signi௹ca comunione. Io sono la +perfezione, ma perfetto è soltanto colui che ha raggiunto i propri limiti. / Io sono +la luce perenne, ma perfetto è colui che sta tra il giorno e la notte. Io sono +l’amore che dura eternamente, ma perfetto è colui che ha posato il coltello +sacri௹cale accanto al proprio amore. / Io sono la bellezza, ma perfetto è colui +che siede contro il muro del tempio e rattoppa le scarpe per denaro. / Colui che +è perfetto è semplice, solo e in concordia. Perciò egli cerca la diversità, la +comunione e la discordanza. Attraverso la diversità, la comunione e la +con௺ittualità egli avanza verso la semplicità, la solitudine e la concordia. / Colui +che è perfetto conosce dolore e gioia, ma io sono lo stato di piacere al di là della +gioia e del dolore. / Colui che è perfetto conosce luce e tenebra, ma io sono la +luce al di là del giorno e della tenebra. / Colui che è perfetto conosce il Sopra e +il Sotto, ma io sono l’altezza al di là di alto e basso. / Colui che è perfetto +conosce ciò che crea e il creato, ma io sono l’immagine che partorisce, al di là di +creazione e creatura. / Colui che è perfetto conosce l’amare e l’essere amato, +ma io sono l’amore al di là dell’abbraccio e del lutto. / Colui che è perfetto +conosce maschio e femmina, ma io sono l’essere umano, suo padre e suo figlio, al +di là del maschile e del femminile, al di là del bambino e del vecchio. / Colui che +è perfetto conosce il sorgere e il tramontare, ma io sono il centro, al di là +dell’aurora e del crepuscolo. / Colui che è perfetto conosce me ed è perciò +diverso da me» (LN7, pp. 76-80). +212 Nota a margine in VC: «14.IX.1922». +213 In Libido (1912), p. 225, Jung fa riferimento a una leggenda secondo cui +l’albero del paradiso s’era inaridito dopo la caduta originale. + 214 M, p. 416, continua: «Perciò Cristo ha predicato: “Beati siete voi, o poveri, +perché vostro è il regno di Dio”». Il riferimento è qui a Luca, 6, 20. +215 19 gennaio 1914. +216 Nel primo atto della parte seconda del Faust goethiano («Galleria oscura», +vv. 6173 sgg.), Faust deve discendere nel regno delle Madri. Sul signi௹cato di +questo termine in Goethe si sono fatte molte congetture. A Johann Peter +Eckermann Goethe dichiarò che la fonte del nome si trovava in Plutarco (J.P +. +Eckermann, Colloqui con il Goethe, a cura di Giovanni Vittorio Amoretti, Utet, +Torino 1957, vol. 2, pp. 667 sgg.). Con ogni probabilità si riferiva alla +discussione di Plutarco (Vita di Marcello, 20) sul culto delle dee madri a Engyon +in Sicilia (vedi Goethe, Faust, a cura di Cyrus Hamlin, Norton, New York - +London 1976, pp. 328-29). In seguito Jung identi௹cherà il regno delle Madri con +l’inconscio collettivo; vedi Un mito moderno (1958/1959), OJ 10/2, p. 230. +217 Tommaso da Kempis, L’imitazione di Cristo, lb. 3, cap. 21 (ed. cit., p. 123). +218 Legenda: «Questo è l’oro materiale in cui dimora l’ombra del Dio». +219 Jung si riferisce alle pratiche greche di incubazione onirica, del tipo di quella +collegata al culto di Asclepio. Si veda Carl A. Meier, Il sogno come terapia. +Antica incubazione e moderna psicoterapia (1985), a cura di Francesco P +. +Ranzato, Edizioni mediterranee, Roma 1987. +220 Nel Parsifal Wagner presentò una sua rielaborazione della leggenda del +Graal. La trama è la seguente. Titurel e i suoi cavalieri cristiani custodiscono +nel loro castello il Santo Graal, insieme alla Lancia Sacra, che ferì al costato il +Cristo. Klingsor è un mago che vorrebbe impossessarsi del Graal e attira i +cavalieri nel suo giardino magico, ove essi vengono soggiogati dalle fanciulle +௹ore e dalla maga Kundry +. Amfortas, ௹glio di Titurel, entra nel castello per +uccidere Klingsor, ma viene stregato da Kundry +, lascia cadere la Lancia Sacra +che viene impugnata da Klingsor per ferirlo. Amfortas ha bisogno del tocco della +Lancia per guarire la sua ferita. Gurnemanz, il più vecchio dei cavalieri, si +prende cura di Kundry +, non conoscendo il suo ruolo nel ferimento di Amfortas. +Una voce dal santuario del Graal profetizza che soltanto un giovane innocente e +senza peccato potrà recuperare la Lancia. Parsifal entra in scena dopo aver +ucciso un cigno. Non conoscendo il suo nome, né quello di suo padre, i cavalieri +sperano che sia lui il giovane della profezia. Gurnemanz lo conduce al castello di +Klingsor, il quale ordina a Kundry di sedurre Parsifal. Questi vince i cavalieri di +Klingsor. Kundry viene trasformata in una donna bellissima che gli dà un bacio. +Da questo Parsifal capisce che Kundry ha sedotto Amfortas e le resiste. Klingsor +scaglia contro di lui la Lancia, che resta sospesa sul suo capo, Parsifal l’a௸erra e + traccia con essa il segno della croce. Subito il castello e il giardino di Klingsor +scompaiono. Dopo aver vagabondato a lungo, Parsifal incontra Gurnemanz, che +vive ora da eremita. Parsifal è coperto da una nera armatura e Gurnemanz non +accetta che si presenti armato di Venerdì santo. Parsifal depone davanti a lui la +Lancia e si toglie l’elmo e le armi. Gurnemanz lo riconosce e lo consacra re dei +cavalieri del Graal. Parsifal battezza Kundry +. Essi vanno al castello e chiedono +ad Amfortas di scoprire il Graal. Amfortas chiede loro di ucciderlo, perché so௸re +per la ferita che non guarisce. Entra Parsifal che tocca la ferita con la Lancia +Sacra. Amfortas è tras௹gurato e Parsifal, raggiante, leva in alto il Santo Graal. +Il 16 maggio 1913, nel corso della discussione seguita a una conferenza sulla +leggenda del Parsifal e del Graal, tenuta da Otto Mensendieck alla Società +psicoanalitica di Zurigo, Jung disse: «Per trattare in modo esauriente la +leggenda del Parsifal in Wagner andrebbe ancora sinteticamente osservato che i +vari personaggi corrispondono a tendenze diverse presenti nell’artista. Il fatto +che la seduzione di Kundry non riesca, non è da spiegare per esempio con la +barriera dell’incesto, bensì in base alla misura psichica dell’elevazione +dell’umano desiderio» (MSPZ, p. 20). In seguito Jung propose un’interpretazione +psicologica del Parsifal in Tipi psicologici (1921), OJ 6, pp. 224-25. +221 Diciture delle immagini: Atmavictu; iuvenis adiutor (giovane aiutante); +ΤΕΛΕΣΦΟΡΟΣ (Telesphoros); spiritus malus in hominibus quibusdam (spirito +malvagio in certi uomini). Legenda: «Il drago vuole divorare il sole, il giovane lo +scongiura di non farlo. Ma lui lo divora». Atmaviktu (secondo la gra௹a adottata +in LN6) compare per la prima volta nel 1917 in detto Libro nero. Qui di seguito +si riporta una parafrasi della fantasia del 25 aprile 1917 (LN6, pp. 179-80). Il +serpente dice che Atmaviktu è stato il suo compagno per migliaia di anni. In un +primo tempo era un uomo anziano, poi morì e divenne un orso. Quindi morì e +divenne una lontra. Poi morì e divenne un tritone. Poi morì di nuovo e si +trasformò in serpente. Il serpente è Atmaviktu, il quale commise un errore e +divenne un uomo, mentre era ancora un serpente della terra. L +’anima di Jung +dice che Atmaviktu è un coboldo, un serpente stregone, un serpente. Il serpente +dice di essere la sostanza del Sé. Da serpente Atmaviktu si trasformò in +Filemone. Nel giardino di Jung a Küsnacht esiste una scultura che lo +rappresenta. In un testo inedito sulle sue prime esperienze di vita, Jung scrisse: +«Quand’ero in Inghilterra, nel 1920, scolpii da un sottile ramo di legno due +௹gure simili, senza aver alcun ricordo di quell’esperienza infantile. Una la +riprodussi su scala più ampia anche in pietra, e questa ௹gura si trova ora nel mio +giardino a Küsnacht. Fu solo a quel tempo che l’inconscio mi suggerì un nome. +Chiamò la ௹gura Atmavictu, “so௻o della vita”. È un’ulteriore evoluzione di +quell’oggetto – quasi sessuale – della mia infanzia che risultò essere il so௻o di +vita, l’impulso creativo. In fondo il manichino è un cabiro» (AJ, pp. 29-30; vedi + Ricordi, pp. 49-50). La ௹gura di Telesforo è simile a quella di Fanes +nell’immagine 113. Telesforo è uno dei Cabiri, oltre che demone di Asclepio +(vedi +in Psicologia e alchimia [1944], OJ 12, p. 155, ௹g. 77); fu anche +considerato un dio della guarigione, ed ebbe un tempio a Pergamo nell’Asia +Minore. Nel 1950 Jung ne scolpì un’immagine nel suo blocco di pietra di +Bollingen, insieme con una dedica in greco, in cui sono combinati un frammento +di Eraclito, una frase della liturgia mitraica e un verso di Omero (vedi Ricordi, +pp. 274-75). +222 Nel libro undicesimo dell’Odissea (vv. 24-28) Odisseo compie una libagione ai +morti per permettere loro di parlare. Come spiega Walter Burkert, «ai morti e +agli dèi che abitano dentro la terra sono destinate “libagioni che la terra beve”. +Già Odisseo esegue questo rito a scopo necromantico» (La religione greca di +epoca arcaica e classica [1977], Jaca Book, Milano 20032, p. 172). Jung si era +servito di questo motivo in senso metaforico nel 1912: «Ho cercato – come un +tempo Odisseo – di lasciare che queste ombre [Miss Miller] bevessero solo quel +tanto di sangue che permettesse loro di parlare in modo da svelarci alcuni +segreti del mondo sotterraneo» (Libido, p. 32). Intorno al 1910 Jung fece una +crociera in barca a vela con i suoi amici Albert Oeri e Andreas Wischer, durante +la quale Oeri lesse ad alta voce i brani dell’Odissea che riguardavano Circe e la +nekya. Jung notò che poco tempo dopo, a lui «come a Odisseo, il destino donò +una nekya, la discesa nel buio Ade» (Ricordi, p. 133). +223 Jung cita qui l’episodio del ௹glio della Sunamita risuscitato dal profeta Eliseo +(2 Re 4, 32-37). +224Vedi oltre +225Vedi sopra. +226 Legenda: «Il maledetto drago ha divorato il sole, gli viene tagliata la pancia e +ora deve restituire, insieme al suo sangue, anche l’oro solare. Questo è il ritorno +di Atmavictus, l’antico. Il cavaliere che ne ha distrutto il verde involucro +proliferante è il giovane che mi aiutò a uccidere Sigfrido». Jung si riferisce qui +all’episodio dell’«assassinio dell’eroe» riportato nel Liber primus, cap. 7; vedi +sopra. +227 M, p. 434, continua: «Ho messo da parte a causa sua molte persone, libri e +pensieri, ma ancor più ho sottratto al mondo del presente e ho fatto le cose +piccole e semplici, le azioni più ovvie, utili a servirlo in segreto. In quanto faccio +questo a lui, l’oscuro, ricevo altri doni sulla via della grazia. Quando sono +tormentato da intenzioni e desideri penso, sento e faccio solo quello che è più +ovvio. Così mi raggiunge quello che è meno ovvio». + 228 Legenda: «XI.MCMXIX. Questa pietra preziosamente incastonata è di sicuro +il lapis philosophorum. È più dura del diamante, ma si espande nello spazio delle +quattro diverse qualità, ossia la larghezza, l’altezza, la profondità e il tempo. È +perciò invisibile, e tu puoi passarci attraverso senza accorgertene. Dalla pietra +si dipartono i quattro ௹umi dell’Acquario. Questo è il granello incorruttibile che +è posto tra padre e madre e che impedisce che le punte dei coni si tocchino, la +monade che controbilancia il pleroma». La data posta in testa alla legenda pare +riferirsi al mese (novembre) in cui l’immagine fu dipinta. Nel 1944, nel contesto +di una trattazione sul simbolismo del mandala, Jung fece riferimento a una +rappresentazione alchemica di un cerchio incorniciato da quattro ௹umi +(Psicologia e alchimia, OJ 12, p. 129, nota 45), e in varie occasioni menzionò i +quattro ௹umi del paradiso (vedi per esempio Aion, 1951, OJ 9/2, pp. 188, 214, +216, 223). Il 3 giugno 1918, nel descrivere Filemone come la gioia della terra, +l’anima di Jung si esprime così: «I demoni si rappaci௹cano nell’uomo che ha +ritrovato se stesso, che è la fonte dei quattro ௹umi, esso stesso terra che dà +origine alle fonti. Dalla sua cima le acque scorrono verso i quattro venti. Lui è il +mare che partorisce il sole, lui è la montagna che è gravida del sole, lui è il +padre dei quattro grandi fiumi, lui è la croce che vincola i quattro grandi demoni. +Lui è il granello incorruttibile del nulla che casualmente cade attraverso gli +spazi. Questo granello è principio, più giovane di ogni principio, più antico di +ogni ௹ne» (LN 7, p. 61). Alcuni temi di questo passo si possono collegare in +qualche modo alla presente immagine. In LN7 c’è una lacuna tra il luglio 1919 e +il febbraio 1920 (presumibile periodo di redazione di Tipi psicologici); poi, alla +data del 23 febbraio, compare la seguente annotazione: «Ciò che è accaduto nel +frattempo si trova nel libro dei sogni, ma ancor più nelle immagini del Libro +rosso» (p. 188). In Träume Jung riportò, in questo periodo, circa otto sogni e, +nell’agosto 1919, una visione notturna di due angeli, una massa scura +trasparente e una giovane donna. Parrebbe dunque che il processo simbolico +continui nelle immagini del volume calligra௹co che non sembrano avere diretti +riferimenti né col testo del Liber novus né con quello dei Libri neri. Nel 1935 +Jung avanzò un’interpretazione psicologica del simbolismo dell’alchimia +medievale considerando la pietra ௹losofale – meta ௹nale dell’opus alchemico – +come un simbolo del Sé (Psicologia e alchimia, 1944, OJ 12, pt. 2). Sul pleroma +vedi oltre. Sul granello incorruttibile vedi il dialogo con Ha, riportato sopra. +229 Legenda: «4 dic. MCMXIX. Questo è il lato posteriore della gemma. Chi è +nella pietra ha quest’ombra. Si tratta di Atmavictu, l’antico, dopo che si è +ritirato dalla creazione. Egli è ritornato nella storia in௹nita, da dove ha avuto +inizio. È divenuto nuovamente pietra e residuo, dopo che ha compiuto la sua +creazione. In Izdubar egli è andato oltre l’uomo, e da lui ha liberato ΦΙΛΗΜΩΝ +[Filemone] e KA. ΦΙΛΗΜΩΝ diede la pietra e KA il ⊙» (probabilmente, il + simbolo astrologico del sole; vedi sopra). La data sembra riferirsi al giorno in +cui l’immagine fu dipinta. Su Atmavictu vedi sopra, nota a ill. 117. Il 20 maggio +1917 Filemone disse: «In quanto Atmavictu, ho fatto l’errore di esser diventato +uomo. Il mio nome era Izdubar. In quanto tale mi feci incontro a lui. Egli mi +paralizzò. Sì, quell’uomo mi paralizzò e mi trasformò in un drago-serpente. Fu la +salvezza, perché riconobbi il mio errore, e il fuoco divorò il serpente. E così +nacque Filemone. La mia forma è pura apparenza. In precedenza la mia +apparenza era forma» (LN7, p. 195). In tarda età, Jung così si espresse nei +Ricordi: «In seguito Filemone fu posto in ombra dall’emergere di un’altra forma +o ௹gura che chiamai Ka. Nell’antico Egitto il “ka del re” era la sua forma +terrena, l’anima incarnata. Nella mia fantasia l’anima-Ka veniva da sottoterra +come da un profondo pozzo. Ne feci un dipinto, rappresentandola nella sua +forma terrena, come un’erma dalla base di pietra, con la parte superiore di +bronzo. In alto nel dipinto appare un’ala di martin pescatore, e tra questa e la +testa di Ka si libra una tonda, splendente nebulosa di stelle. L +’espressione di Ka +ha qualcosa di demoniaco, si potrebbe quasi dire di me௹stofelico. In una mano +tiene qualcosa, forse una pagoda colorata oppure un reliquiario, nell’altra uno +stilo con cui lavora sul reliquiario. Dice di sé: “Io sono colui che seppellisce gli +dèi nell’oro e nelle gemme”. / Filemone zoppicava da un piede, ma era uno +spirito alato, mentre Ka rappresentava una specie di demone della terra o del +metallo. Filemone era l’aspetto spirituale, “il signi௹cato”, mentre Ka era uno +spirito della natura, come l’Anthroparion dell’alchimia greca, che però a +quell’epoca io non conoscevo ancora. Ka era colui che rendeva tutto reale, ma +che oscurava anche, o lo sostituiva con la bellezza, lo spirito del martin +pescatore, il signi௹cato, l’“eterno ri௺esso”. / Col tempo riuscii a integrare le due +௹gure e a tal ௹ne mi fu di aiuto lo studio dell’alchimia» (pp. 227-28). Come +spiega E.A. Wallis Budge, «il ka era un’individualità o personalità astratta che +assumeva la forma e gli attributi dell’uomo a cui apparteneva e, benché +dimorasse di solito nella tomba insieme al corpo, poteva vagabondare a suo +piacimento; era indipendente dall’uomo e poteva andare ad abitare in qualunque +sua statua» (Egyptian Book of the Dead cit., p. LXV). Nel 1928 Jung commentò il +significato del ka in questi termini: «In un certo stadio superiore dello sviluppo in +cui sono già presenti rappresentazioni dell’anima, le imago non sono più +semplicemente tutte proiettate (…), ma questo o quel complesso si avvicina +talmente alla coscienza che non è più avvertito come qualcosa di estraneo, ma +come alcunché di pertinente. Tuttavia questo senso di appartenenza non va +tanto oltre da far sentire il complesso in questione come un contenuto di +coscienza soggettivo. Il complesso rimane in certo modo sospeso tra il conscio e +l’inconscio, in penombra per così dire, pertinente o a௻ne da un lato al soggetto +della coscienza, ma da un altro lato esistenza autonoma, e come tale opposto +alla coscienza. In ogni caso non necessariamente obbediente all’intenzione + soggettiva, ma a essa forse persino sovrastante, sovente quale fonte di +ispirazione, di ammonimento o di informazione “soprannaturale”. Dal punto di +vista psicologico un simile contenuto sarebbe da de௹nire come un complesso in +parte autonomo, non ancora pienamente integrato nella coscienza. Le anime +primitive, il ba e il ka degli egizi, sono complessi del genere» (L +’Io e l’inconscio , +OJ 7, pp. 185-86). Nel 1955-56 Jung descrisse l’Anthroparion dell’alchimia come +«una sorta di gnomo il quale, in qualità di πνεῦμα πάρεδρον, di spiritus +familiaris, assiste l’adepto nell’opus e aiuta il medico a giovare al prossimo» +(Mysterium coniunctionis, OJ 14/1, p. 217). Si pensava che esso rappresentasse +i metalli alchemici (Psicologia dell’archetipo del Fanciullo, 1940, OJ 9/1, p. 151) +e compariva anche nelle visioni di Zosimo (Le visioni di Zosimo, 1938/1954, OJ +13, pp. 110-11). Il dipinto di Ka cui Jung fa riferimento non è venuto alla luce. +Ka apparve a Jung in una fantasia del 22 ottobre 1917, dove egli si introdusse +come l’altro lato di Ha, la sua anima. Era stato Ka a fornire ad Ha le rune e la +saggezza inferiore (vedi sopra). I suoi occhi sono di oro zecchino, e il corpo di +ferro nero. Comunica a Jung e alla sua anima che essi hanno bisogno del suo +segreto, che è l’essenza di ogni magia. Si tratta dell’amore. Filemone dice che +Ka è la sua stessa ombra (LN7, pp. 25 sgg.). Il 20 novembre, Ka de௹nisce +Filemone come la sua ombra e il suo araldo, e dichiara che, mentre Filemone è +fugace e transitorio, egli permane in eterno (p. 34). Il 10 febbraio 1918, +a௸erma di aver costruito un tempio come prigione e tomba per gli dèi (p. 39). +Ka compare in LN7 ௹no al 1923. Durante questo periodo Jung tenta di +comprendere il nesso esistente fra Ka, Filemone e le altre ௹gure e di stabilire +l’esatta relazione tra loro. Il 15 ottobre 1920, Jung commentò con Constance +Long, che era in analisi da lui, un dipinto non meglio identi௹cato. Alcune frasi da +lei annotate spiegano come egli intendesse il rapporto tra Filemone e Ka: +«Entrambe le ௹gure sono personi௹cazioni di “padri” dominatori. Uno è il padre +creatore, Ka, mentre l’altro, Filemone, è quello che dà forma e legge (l’istinto +formatore). Ka equivarrebbe a Dioniso e F. = Apollo. Filemone dà formulazione +alle cose all’interno di elementi dell’inc. collettivo. (...) Filemone dà l’idea (forse +di un dio), ma resta ௺uttuante, distante e indistinto, perché tutte le cose che egli +inventa sono volatili. Ma Ka dà sostanza ed è de௹nito come colui che seppellisce +gli dèi nell’oro e nel marmo. Ha la tendenza a imprigionarli nella materia, +cosicché essi rischiano di perdere il loro signi௹cato spirituale, e di restar sepolti +nella pietra. In questo modo il tempio può essere la tomba di Dio, così come la +Chiesa è divenuta la tomba di Cristo. Quanto più la Chiesa si sviluppa, tanto più +Cristo muore. Ka non deve essere autorizzato a produrre troppo – non si deve +dipendere dalla sostanzialità, ma se viene prodotta troppo poca sostanza, allora +la creatura resta ௺uttuante. La funzione trascendente è il Tutto. Il risultato dei +rapporti fra l’intelligenza conscia e il lato creativo non è tanto questo dipinto, e +neppure il mio tentativo di razionalizzarlo, ma il nuovo e vivi௹cante spirito + creativo. Ka è sensazione, Filemone è intuizione, egli si spinge troppo al di là +dell’umano (è Zarathustra, con un atteggiamento freddo e di eccessiva +superiorità in ciò che dice). (CGJ non ha stampato né le domande da lui poste a +Filemone né le sue risposte) (…) Ka e Filemone sono più grandi dell’uomo, sono +sovrumani (se ci si dissolve in loro, si è nell’inc. coll.)» (diario, Jung Biographical +Archive, Countway Library of Medicine, Harvard University, pp. 32-33). +230 Legenda: «IV genn. MCMXX. È il santo inna௻atore. Dai ௹ori che spuntano +dal corpo del drago crescono i Cabiri. In alto c’è il tempio». L +’uomo è lo stesso +personaggio dell’immagine 119. La data pare riferirsi al giorno in cui l’immagine +fu dipinta. +231 In LN4, p. 42, Jung annota: «Poi procedo con la tensione di un uomo che +attende qualcosa di nuovo, di cui prima non aveva ancora avuto sentore. Messo +in guardia, ammaestrato e impavido, proteso all’ascolto del profondo, ma +all’esterno impegnato a vivere appieno la sua vita di uomo». +232 Sono le ultime parole del Candido di Voltaire: «Tout cela est bien dit, mais il +faut cultiver notre jardin» (Ben detto, ma dobbiamo coltivare il nostro orto); +vedi +Voltaire, Candido o l’ottimismo (1759), a cura di Stella Gargantini, +Feltrinelli, Milano 1991, p. 124. Nel suo studio Jung teneva un busto di Voltaire. +233 M, p. 440, continua: «Come posso cogliere in me ciò che riempirà gli +ottocento anni a venire, ௹no al momento in cui l’Uno regnerà sovrano? Io mi +limito a parlare della via di quel che ha da venire». +234 La scena rappresentata coincide quasi interamente con quella di una delle +fantasie a occhi aperti che Jung ebbe nella sua infanzia: vide infatti l’Alsazia +sommersa dall’acqua, Basilea trasformata in un porto in cui erano ormeggiati un +veliero e una nave a vapore, una piccola città medievale, un castello ben +fortificato, con cannoni, soldati, civili e un canale. Vedi Ricordi, pp. 112-13. +235 23 gennaio 1914. +236 In Ecce homo Nietzsche scriveva: «Ogni risultato, ogni passo avanti nella +conoscenza è una conseguenza del coraggio, della durezza con se stessi, della +pulizia con se stessi» (Prologo, § 3; ed. it. a cura di Roberto Calasso, Adelphi, +Milano 1981, p. 13). +237 Dicitura: «Amor triumphat». Legenda: «Quest’immagine fu terminata il 9 +gennaio 1921, dopo essere rimasta incompiuta per nove mesi. Esprime non so +bene quale stato di a௼izione, un quadruplice sacri௹cio. Non riuscivo quasi a +decidermi a terminarla, è la ruota inesorabile delle quattro funzioni, l’essenza di + tutte le forme viventi impregnata di sacri௹cio». Le funzioni sono quelle del +pensiero, del sentimento, della sensazione e dell’intuizione, che Jung descrisse in +Tipi psicologici (1921). Il 23 febbraio 1920 Jung annotava in LN7, p. 88: «Ciò +che avviene tra l’amante e l’amata è tutta la pienezza della divinità. Perciò i due +rimangono enigmi insondabili l’uno per l’altra. Perché, chi potrebbe capire la +divinità? / Ma il Dio nasce in solitudine dal mistero del singolo. / La separazione +tra vita e amore è la contraddizione tra l’essere da soli ed essere in due». La +successiva annotazione presente in LN7 è del 5 settembre 1921. Nel marzo +1920 Jung fece un viaggio nel Nordafrica insieme all’amico Hermann Sigg e +ritornò il 17 aprile. +238 In LN4, p. 60, Jung annotò il seguente dialogo: «[Anima]: “Tieni a freno la tua +impazienza. Qui serve solo aspettare”. [Io]: “Aspettare… conosco questa parola. +Anche Ercole, quando reggeva la volta celeste, trovò pesante l’attendere sotto +la pressione del suo carico”. [Anima]: “Doveva attendere che tornasse Atlante, +ed egli reggeva la volta celeste a causa dei pomi”». Il riferimento è +all’undicesima fatica di Ercole, in cui l’eroe deve procurarsi i pomi d’oro delle +Esperidi che conferiscono l’immortalità. Atlante si o௸re di coglierli al posto suo +a patto che egli, nel frattempo, sostenga il mondo sulle spalle. +239 Nella mitologia greca le Moire (dette a Roma Parche) – Cloto, Lachesi e +Atropo – filavano e sorvegliavano i fili della vita umana. Il loro corrispettivo nella +mitologia nordica sono le Norne, che tessono i ௹li del fato ai piedi dell’albero +cosmico Yggdrasill. +240 M, p. 453, continua: «Tanto grande è il potere della via da trascinare e +in௹ammare gli altri. Tu non sai come ciò succeda, perciò la cosa migliore è che +tu definisca questo un effetto magico». +241 M, p. 453, continua: «che è rappresentata dal serpente proprio a causa della +sua particolare natura». +242 In Matteo, 24, 40, Cristo rimprovera ai suoi discepoli di non essere stati in +grado di restare svegli per un’ora mentre lui pregava nell’orto del Getsemani. +243 Nota a margine in VC: «29 nov. 1922». Probabile riferimento al giorno in cui +questo passo fu trascritto nel volume calligrafico. +244 Legenda: «Terminato il 25 novembre 1922. Da Muspilli esce il fuoco che +brucia l’albero della vita. Si è concluso un ciclo, ma è il ciclo dell’uovo cosmico. +Lo cova un Dio straniero, il Dio innominabile del solitario. Nuovi esseri viventi si +formano dal fumo e dalla cenere». Nella mitologia nordica Muspilli (o +Muspelheim) è la dimora degli dèi del fuoco. + 245 Nota a margine in VC: «25 febbraio 1923: la trasformazione della magia +nera in magia bianca». +246 27 gennaio 1914. +247 M, p. 460, continua: «il serpente della mia via». +248 In LN4 queste parole vengono pronunciate dall’anima di Jung. In questo +capitolo e nelle Prove si ha uno spostamento nell’attribuzione di alcune +a௸ermazioni del Libro nero dall’anima ad altri personaggi. Questa revisione +testuale può essere considerata segno di un signi௹cativo processo psicologico di +di௸erenziazione dei personaggi, e dunque di disidenti௹cazione da essi. Jung ha +discusso in generale questo processo in L +’Io e l’inconscio (1928), pt. 2, cap. 3, +«La tecnica della di௸erenziazione tra l’Io e le ௹gure dell’inconscio». Nel 1916, +in LN5, l’anima spiega a Jung quanto segue: «Se non sono composto dall’unione +del superiore e dell’inferiore, mi disgrego in tre pezzi: il serpente, e sotto +questa o altre forme animali io vago e vivo la natura demonicamente, suscitando +paura e desiderio; l’anima umana, ciò che vive sempre con te; l’anima celeste, +con la quale poi indugio tra gli dèi, lontano da te e a te ignoto, presentandomi +sotto forma di uccello» (app. C, p. 452). I cambiamenti testuali introdotti da +Jung in questo capitolo e nelle Prove rispetto al Libro nero con riferimento +all’anima, al serpente e all’uccello si possono intendere come il riconoscimento e +la di௸erenziazione della triplice natura dell’anima. La nozione junghiana di unità +e molteplicità dell’anima presenta a௻nità con la concezione di Meister Eckhart, +il quale nel sermone 32 scriveva: «Con le sue potenze superiori l’anima attinge +l’eternità, che è Dio, mentre le sue potenze inferiori – essendo in contatto con il +tempo – la rendono soggetta al cambiamento e la orientano verso le cose +corporee, che la degradano» (§ 1; ed. it. I sermoni, a cura di Marco Vannini, +Paoline, Milano 2002, p. 282). Nel sermone 85 Eckhart scriveva: «Tre ostacoli +impediscono all’anima di unirsi a Dio. Il primo è che essa, essendo troppo divisa, +non è semplice: infatti, quando è orientata verso le creature, l’anima non è +semplice. Il secondo è che essa è implicata in cose materiali. Il terzo è la sua +particolare inclinazione verso il corpo, a causa della quale, appunto, non può +unirsi a Dio» (ibid., p. 559). +249 M, p. 461, continua: «“Perché – tu chiedi – l’uomo non vuole andare verso se +stesso?”. Il profeta forsennato che ha precorso quest’epoca, ha scritto un libro +che ha fregiato di un nome superbo. In quel libro puoi leggere il come e il perché +l’essere umano non voglia accostarsi a se stesso». Il riferimento è al Nietzsche +di Così parlò Zarathustra. +250 Vedi «La Cena», in Così parlò Zarathustra cit., pp. 345 sgg. + 251 Nel «Segno», l’ultimo capitolo dello Zarathustra, quando gli «uomini +superiori» andarono incontro a Zarathustra nella sua caverna, «il leone si +riscosse violentemente, lasciò di colpo Zarathustra e balzò, con un ruggito +selvaggio, verso la caverna» (ed. cit., p. 396). Nel 1926 Jung osservava: «Con i +suoi ruggiti, il leone di Zarathustra ricacciava nella tana dell’inconscio tutti gli +“uomini superiori” che gridavano il loro desiderio di partecipare alla vita. Per +questo la vita di Nietzsche non ci persuade della sua dottrina» (Psicologia +dell’inconscio, 1917/1943, OJ 7, p. 31). +252 Lo Zarathustra nicciano si conclude con la frase seguente: «Così parlò +Zarathustra e lasciò la sua caverna, ardente e forte come un sole al mattino che +venga da nere montagne» (ed. cit., p. 397). +253 Nel Prologo dello Zarathustra si legge l’episodio di un funambolo che cade +dalla fune. Al funambolo ferito Zarathustra dice: «La tua anima sarà morta +ancor prima del corpo: ormai non hai più nulla da temere!» (§ 6; ed. cit., p. 14; +nell’esemplare dell’opera posseduto da Jung la frase è sottolineata). Nel 1926 +Jung osservò che questa era una profezia del destino di Nietzsche (Psicologia +dell’inconscio, 1917/1943, OJ 7, pp. 30-41). +254 Nel volume calligrafico compare a questo punto un fregio decorativo. +255 Per la distinzione junghiana tra segno e simbolo vedi Tipi psicologici (1921), +OJ 6, pp. 483 sgg. +256 Pianta perenne con una grossa radice rami௹cata, sovente d’aspetto +antropomorfo, alla quale si attribuivano virtù magiche. Secondo la leggenda, +quando viene estirpata emette un grido. Nell’Albero filosofico (1945/1954) Jung +osservò che essa «getta un grido quando, legata alla coda di un cane nero, viene +strappata alla terra» (OJ 13, p. 332). +257 M, pp. 469-70, continua: «Tutto è sempre daccapo lo stesso, e insieme non lo +è, perché la ruota rotola sulla sua lunga strada. La via conduce però per monti e +valli. Il movimento della ruota e l’identico ritorno delle sue singole parti è +essenziale per il veicolo, ma il senso sta nella via. Il senso viene raggiunto solo +attraverso un permanente ruotare in avanti. Il ritorno di quel che è stato fa +parte della natura del movimento in avanti. Solo gli ignoranti possono +meravigliarsi di questo. Solo per ignoranza ci ribelliamo contro il necessario +ritorno dell’uguale; oppure per avidità ci lasciamo lanciare in alto e in avanti +dalla ruota nel suo procedere, perché pensiamo che con questa parte della ruota +arriveremo sempre più in alto. Noi però non approdiamo sempre più in alto, ma +sempre più in fondo, e da ultimo saremo nel punto più basso. Esalta perciò +l’arresto, perché esso ti mostra che non sei legato ai raggi come Issione, ma + siedi accanto all’auriga, che ti indicherà il senso della via». Nella mitologia +greca Issione, ௹glio di Ares, tentò di sedurre Era, e Zeus per punizione lo legò a +una ruota infuocata in perpetuo movimento. +258 L +’idea dell’eterno ritorno di tutte le cose è presente in molte tradizioni, da +quella stoica a quella pitagorica, e assume grande rilievo nell’opera di +Nietzsche. Nel dibattito ௹loso௹co su Nietzsche si è molto discusso se questa +teoria andasse intesa come un imperativo etico di a௸ermazione vitalistica +oppure come una dottrina cosmologica. Si veda per esempio Karl Löwith, +Nietzsche e l’eterno ritorno (1956), Laterza, Roma-Bari 1982. Jung trattò la +questione dell’eterno ritorno nel 1934 in Nietzsche’s Zarathustra cit., vol. 1, pp. +191-92. +259 In MM, p. 1061: «Decima avventura». +260 27 gennaio 1914. +261 Per tutta questa sezione Jung riporta i nomi di Filemone e Bauci nella gra௹a +greca. +262 La storia di Filemone e Bauci è narrata da Ovidio nelle Metamorfosi (8, 618 +sgg.). Giove e Mercurio errano sotto spoglie mortali tra le colline della Frigia. +Cercano un luogo in cui sostare, ma in molte abitazioni viene loro ri௹utato +l’ingresso. Sono accolti da un’anziana coppia di sposi che abitano nella loro +capanna ௹n dalla giovinezza e che sono invecchiati insieme accettando +serenamente la loro povertà. Preparano per i loro ospiti un pasto durante il +quale la giara del vino torna a riempirsi da sola non appena risulta vuota. Essi si +o௸rono anche di uccidere in onore dei due sconosciuti la loro unica oca, che si +rifugia tra le gambe degli dèi. Questi però dicono di risparmiarla e manifestano +la propria identità, rivelando alla coppia che tutti i loro vicini saranno ben presto +puniti, mentre essi scamperanno al castigo. Chiedono quindi ai due anziani di +salire sulla collina insieme a loro. Quando raggiungono la cima, vedono che il +terreno intorno alla capanna è sommerso dalle acque, e che solo essa è stata +salvata dall’inondazione e trasformata in un tempio con colonne di marmo e il +tetto d’oro. Gli dèi chiedono ai due vecchi quale sia il loro più grande desiderio, +e Filemone risponde che essi vorrebbero diventare sacerdoti, prestare servizio +al santuario, e poter morire insieme. Il loro desiderio viene accolto, e morendo +essi si trasformano in due alberi: un tiglio e una quercia che spuntano da un +unico ceppo. Nella seconda parte del Faust di Goethe (atto 5, «Aperta +campagna», vv. 11043-142; ed. cit., vol. 2, pp. 973-81) un viandante che è stato +in precedenza salvato da loro chiama Filemone e Bauci. Faust è intento a +costruire una città su un terreno strappato al mare. Dice a Me௹stofele che + vorrebbe sfrattare Filemone e Bauci. Me௹stofele con tre compari dà fuoco alla +capanna insieme alla coppia che si trova all’interno. Faust replica che lui +intendeva soltanto farli trasferire. Goethe raccontò a Eckermann: «I miei +Filemone e Bauci non hanno nulla a che fare con quella celebre coppia +dell’antichità e con la leggenda a essa congiunta. Diedi alla mia coppia quei nomi +unicamente per elevarne il carattere. Sono figure simili, e simili le circostanze, e +in questo caso i nomi simili esercitano un’in௺uenza bene௹ca» (6 giugno 1831; +Eckermann, Colloqui con il Goethe cit., vol. 2, p. 831). Jung fece riferimento al +commento di Goethe in una lettera ad Alice Raphael, datata 7 giugno 1955: «A +proposito di Filemone e Bauci: una tipica risposta goethiana a Eckermann! +Cercando di nascondere le sue vestigia. Philemon (φίλημα [philema] = bacio), +l’amante, la vecchia semplice coppia che si ama, legata alla terra e timorata +degli dèi, l’esatto contrario del superuomo Faust, il prodotto del Diavolo. Tra +l’altro: nella mia torre di Bollingen si trova un’iscrizione nascosta: Philemonis +sacrum Fausti poenitentia [santuario di Filemone, pentimento di Faust]. Quando +m’imbattei per la prima volta nell’archetipo del vecchio saggio, egli chiamò se +stesso Philemon. / Nell’alchimia Fil. e B. rappresentano l’artifex o il vir sapiens +e la soror mystica (Zosimo-Theosebeia, Nicolas Flamel-Péronelle, Mr South e +sua ௹glia nel XIX secolo) e la coppia nel Mutus liber (1677 circa)» (Beineke +Library +, Yale University). A proposito dell’iscrizione scolpita da Jung sul muro +della torre di Bollingen vedi anche la lettera di Jung del 2 gennaio 1928 a +Hermann Keyserling (Lettere, I, pp. 79-80). Il 5 gennaio 1942 Jung scrisse a +Paul Schmitt: «Mi sono impossessato del Faust come mia eredità, e +precisamente come difensore e vendicatore di Filemone e Bauci i quali, a +di௸erenza del superuomo Faust, sono gli ospiti degli dèi in un’epoca di +scelleratezza e di oblio degli dèi stessi» (Lettere, I, p. 349). +263 Nel 1921, a proposito del Faust, Jung scrisse: «Il mago ha conservato un +elemento di antichissimo paganesimo, egli stesso ha in sé un modo d’essere che +la scissione cristiana non ha potuto intaccare, egli ha cioè accesso all’inconscio +ancora pagano, dove gli elementi antitetici sono tuttora insieme nell’ingenuità +originaria, al di là di ogni concetto di peccato, ma che è in grado, una volta +accolto nella vita cosciente, di produrre con la stessa forza elementare, e quindi +demoniaca, sia il male che il bene. (…) Perciò egli è insieme distruttore e +redentore. (…) Questa ௹gura è quindi particolarmente adatta a rappresentare il +simbolo di un tentativo di unificazione» (Tipi psicologici, OJ 6, pp. 193-94). +264 Il sesto e il settimo libro di Mosè (in aggiunta, cioè, ai cinque contenuti nella +Torah) furono pubblicati nel 1849 da Johann Schieble, il quale ne sosteneva la +derivazione da antiche fonti talmudiche (Das sechste und siebente Buch Mosis, +Stuttgart 1849). L +’opera è un compendio di formule magiche cabalistiche che +avevano goduto di incessante popolarità. + 265 La ௹gura di Ermete Trismegisto nacque dalla fusione di Ermete con il dio +egizio Thoth. A lui veniva attribuito il Corpus Hermeticum, una collezione di +testi in gran parte alchemici e magici, che risale ai primi secoli dell’era +cristiana, ma che in un primo tempo si pensava fosse molto più antica. +266 Nel Faust goethiano Filemone parla del declino dei suoi poteri: «Invecchiavo, +non ero capace / di dare, come una volta, aiuto; / e mentre le forze mi +abbandonavano / più si facevano lontane l’onde» (II, atto 5, «Aperta campagna», +vv. 11087-89; ed. cit., vol. 2, p. 975). +267 Nota a margine in VC: «Genn. 1924». L +’indicazione pare riferirsi alla data in +cui questo passo fu trascritto nel volume calligra௹co. La gra௹a, a questo punto, +diventa più grossa e più larga. Fu in questo periodo che Cary Baynes iniziò la +sua trascrizione. +268 Nel 1921 Jung scrisse: «La ragione può conferire l’equilibrio solo a colui per +il quale la ragione è già un organo di equilibrio (…). Normalmente l’uomo, oltre +a un suo stato, deve avere anche lo stato opposto per trovarsi necessariamente +nel mezzo» (Tipi psicologici, OJ 6, p. 232). +269 M, p. 484, continua: «La pratica magica si divide perciò in due parti: la prima +è l’apertura del caos, la seconda la traduzione dell’essenza in qualcosa di +comprensibile». +270 M, p. 484, continua: «La partecipazione della ragione alla magia è assai +limitata. Questo ti o௸enderà. Sono necessarie età ed esperienza. L +’irruente +bramosia e la paura giovanile, come anche la virtù, così necessaria in gioventù, +disturbano la segreta connivenza tra Dio e il Diavolo. Troppo facilmente verrai +allora strappato, accecato o paralizzato dall’una o dall’altra parte». +271 Riferimento alla concezione astrologica del mese platonico (o eone: qui +quello dei Pesci), basato sulla precessione degli equinozi. Ogni mese platonico +corrisponde a un segno zodiacale e dura all’incirca 2300 anni. Jung descrive il +simbolismo dei Pesci in Aion (1951), cap. 6 (OJ 9/2, pp. 68-88): intorno al 7 a.C. +si veri௹cò nella costellazione dei Pesci una congiunzione di Saturno e Giove, che +denota l’unione di opposti estremi; in questo modo la nascita di Cristo avrebbe +avuto luogo nel segno dei Pesci, che è spesso rappresentato da due pesci che +nuotano in direzioni opposte. Sui mesi platonici vedi Alice Howell, Jungian +Synchronicity in Astrological Signs and Ages, Quest Books, Wheaton 1990, pp. +125-26. Jung incominciò a occuparsi di astrologia nel 1911 nell’ambito del suo +studio sulla mitologia, imparando anche a fare gli oroscopi (lettera di Jung a +Freud, 8 maggio 1911, in Lettere tra Freud e Jung 1906-1913, a cura di +William McGuire e Wolfgang Sauerländer, Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. + 453). A giudicare dai riferimenti (nove) che compaiono nelle sue opere più +tarde, il principale testo di cui Jung si servì in materia di storia dell’astrologia è +il classico volume di Auguste Bouché-Leclercq, L +’astrologie grecque , Leroux, +Paris 1899. +272 Il riferimento è alla ௹ne del mese platonico dei Pesci e all’inizio di quello +dell’Aquario. La datazione precisa è incerta. In Aion (1951) Jung osservò: +«Astrologicamente, l’inizio del prossimo eone dovrebbe cadere, a seconda del +punto di partenza prescelto, tra il 2000 e il 2200» (OJ 9/2, pp. 87-88, nota 85). +273 In Aion (1951) Jung scrisse: «Se, come sembra evidente, l’eone dei Pesci è +dominato principalmente dal motivo archetipico dei “fratelli nemici”, si pone, in +coincidenza +con +l’approssimarsi +del +successivo +mese +platonico, +ossia +dell’Aquario, il problema dell’unione degli opposti. Allora non è più accettabile la +vani௹cazione del male in quanto mera privatio boni: la sua reale esistenza deve +ben essere riconosciuta» (OJ 9/2, p. 81). +274 M, p. 486, continua: «Il periodo delle piogge invernali è cominciato con +Cristo. Egli insegnò all’umanità la via che porta al cielo. Noi insegniamo la via +che porta alla terra. Perciò il Vangelo non toglie nulla, ma aggiunge». +275 M, p. 487, continua: «I nostri sforzi erano rivolti all’intelligenza e alla +superiorità mentale. Per questo abbiamo sviluppato in noi ogni aspetto +intellettuale. Ma la massa straordinaria di stupidità che alberga in ogni essere +umano è stata disprezzata e rinnegata. Se però accettiamo l’altro lato presente +in noi, faremo emergere anche la particolare stupidità della nostra natura. Per +l’uomo la stupidità è una strana cavalcatura. Essa ha in sé qualcosa di divino, +qualcosa della madornale sciocchezza del mondo. Perciò la stupidità è davvero +grande. Essa tiene lontano da noi ciò che potrebbe indurci all’intelligenza. +Lascia incompreso tutto ciò che naturalmente non richiederebbe di essere +compreso. Questa particolare stupidità si manifesta nel pensiero e nella vita. Un +po’ sorda, un po’ cieca, essa crea i destini necessari e tiene lontane da noi le +virtù apparentate con la razionalità. È lei che separa e sceglie i chicchi tutti +mescolati della vita, in modo che noi vediamo con ௹n troppa chiarezza quel che è +buono e quel che è cattivo, quel che è ragionevole e quel che è irragionevole. +Molte persone conservano però una certa logica nella loro irrazionalità». +276 In questo capoverso Jung fa riferimento alla storia classica di Filemone e +Bauci, quale è riportata nelle Metamorfosi di Ovidio; vedi sopra. +277 Si veda per contrasto Giovanni, 1, 5, dove Cristo è descritto così: «La luce +splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta». + 278 Si veda la fantasia di Jung del 1° giugno 1916, in cui l’ospite di Filemone è +Cristo. Vedi oltre, Prove. +279 Nota a margine in inglese in VC: «The bhagavadgita says: whenever there is +a decline of the law and an increase of iniquity +, then I put forth myself. For the +rescue of the pious and for the destruction of the evildoers, for the +establishment of the law I am born in every age» (Dice la Bhagavadgītā: +«Quando la legge declina e crescono le iniquità, allora io mi faccio avanti. Io +nasco infatti in ogni epoca, per proteggere i giusti e annientare i malvagi, per +ristabilire la legge»). Nel passo citato (cap. 4, vv. 7-8) l’auriga Kṛṣṇa, volto +personale della realtà suprema, istruisce il guerriero Arjuna sulla natura della +verità (Bhagavadgītā. Il canto del glorioso Signore, a cura di Stefano Piano, San +Paolo, Cinisello Balsamo 1994, pp. 134-35). Scritta all’interno dell’immagine, in +alto: «ΠΡΟΦΗΤΩΝ ΠΑΤΗΡ ΠΟΛΥΦΙΛΟΣ ΦΙΛΗΜΩΝ» (Padre dei profeti, +amabile Filemone). In seguito Jung dipinse un’altra versione di quest’immagine +sulla parete di una delle camere da letto a Bollingen. In particolare aggiunse, a +destra dell’immagine, la seguente iscrizione in latino, tratta dal Rosarium +philosophorum (parla il Lapis): «Proteggimi, e io ti proteggerò. Dammi quel che +mi spetta, a௻nché io ti aiuti. Mio è infatti il sole, e i miei raggi sono nel mio +intimo. Ma anche la luna è mia, e la mia luce supera ogni altra luce, e i miei +vantaggi superano quelli degli altri. Io produco la luce, ma anche la tenebra fa +parte della mia natura. Non può accadere al mondo nulla di meglio e di più +degno che l’unione del mio Sé con mio ௹glio». Jung cita alcune righe di questo +passo in Psicologia e alchimia (1944) (OJ 12, p. 112 e nota 18, e p. 120 e nota +29). Il Rosarium philosophorum, composto da un autore anonimo intorno al +1350 e pubblicato per la prima volta a stampa nel 1550, è uno dei testi più +importanti dell’alchimia europea. L +’opera contiene tra l’altro una serie di +immagini simboliche che rappresentano i momenti fondamentali dell’opus, il +procedimento alchemico che porta alla produzione della pietra ௹losofale. Jung +se ne servì nel 1946 per illustrare La psicologia della traslazione (OJ 16, pp. +173 sgg.). +280 [Si ricordi che il termine qui usato, Schlange, è di genere femminile e ha la +stessa +iniziale +di Seele, «anima», il che in tedesco rende naturale +l’identi௹cazione operata da Jung, in questo e nei dialoghi successivi, tra il +serpente e l’anima, equivalenza impossibile da riprodurre in italiano. Pertanto, +per mantenere un riferimento alla natura «femminile» e «animica» del serpente, +in questa serie di dialoghi l’interlocutore di Jung sarà individuato con la sigla A di +«anima», corrispondente alla sigla S dell’originale (si adopererà invece +l’abbreviazione Serp, in corrispondenza dello Schl usato da Jung, nei dialoghi in +cui, essendo compresenti il serpente e Salomè, potrebbe prodursi confusione)]. + 281 Jung descrisse questa immagine in forma anonima («caso Z») in Aspetto +psicologico della ௬gura di Core (1941): «11. La donna appare in una chiesa, al +posto dell’altare scomparso. Di nuovo è di una grandezza soprannaturale, ma +ora ha il volto coperto. (...) Il sogno 11 riporta nuovamente l’Anima nella Chiesa +cristiana, non più come icona, bensì come lo stesso altare. L +’altare è il luogo del +sacri௹cio e, al tempo stesso, il ricettacolo delle reliquie consacrate» (OJ 9/1, pp. +195 e 196). Scritta che circonda l’immagine: «Dei sapientia in mysterio quae +abscondita est quam praedestinavit ante secula in gloriam nostram quam nemo +principium [sic] huius seculi cognovit. Spiritus enim omnia scrutatur etiam +profunda dei». Si tratta di una citazione dalla prima lettera di san Paolo ai +Corinzi, 2, 7-10 (Jung ha omesso la parola «Deus» prima di «ante secula». +Vengono qui messe in corsivo le parti citate): «Ma esponiamo la sapienza di Dio +che è nascosta in un mistero che Dio aveva prima dei secoli predestinata a +nostra gloria e che nessuno dei principi di questo mondo ha conosciuta; +perché, se l’avessero conosciuta, non avrebbero croci௹sso il Signore della +gloria. Ma come è scritto: “Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, +e che mai salirono nel cuore dell’uomo, sono quelle che Dio ha preparato per +coloro che lo amano”. A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello spirito, perché lo +spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio». Sul lato sinistro è +riprodotta la parola araba che signi௹ca «௹glie». Ai due lati dell’arco, la scritta +«Spiritus et sponsa dicunt veni et qui audit dicat veni et qui sitit veniat qui vult +accipiat aquam vitae gratis», tratta dall’Apocalisse, 22, 17: «Lo spirito e la +sposa dicono: “Vieni”. E chi ode, dica: “Vieni”. Chi ha sete, venga; chi vuole, +prenda in dono l’acqua della vita». La scritta sopra l’arco: «Ave virgo virginum» +(Salute, vergine delle vergini!) è il titolo di un inno medievale del XII secolo, di +autore ignoto. +282 29 gennaio 1914. +283 Da questo punto in avanti, si diradano nel volume calligra௹co le iniziali +colorate da Jung in rosso e in blu. Per coerenza, se ne sono aggiunte alcune. +284 Questa frase non compare in LN4, dove l’interlocutore non è identi௹cato con +il serpente. +285 31 gennaio 1914. +286 In Mysterium coniunctionis (1955-56) Jung osservò: «Il con௺itto proiettato +all’esterno, per essere sanato deve ritornare nella psiche del singolo, da dove +inconsciamente era nato. Chi voglia uscire vittorioso da questo declino deve +celebrare una Santa Cena con se stesso, mangiare e bere la propria carne e il +proprio sangue, riuscire a riconoscere l’Altro presente in lui stesso e ad + accettarlo» (OJ 14/2,pp. 370-71). +287 Vedi Isaia, 11, 6: «Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo si sdraierà +accanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno +insieme, e un bambino li condurrà». +288 Nota a margine in VC: «XIV AG. 1925». Probabile riferimento alla data in cui +questo passo venne trascritto nel volume calligra௹co. Nell’autunno del 1925 +Jung si recò in Africa, insieme a Peter Baynes e George Beckwith. Essi partirono +dall’Inghilterra il 15 ottobre e ritornarono a Zurigo il 14 marzo 1926. +289 Il racconto – risalente al XII secolo – dell’amore adulterino tra il cavaliere +Tristano di Cornovaglia e la principessa irlandese Isotta è stato oggetto di molte +rielaborazioni, ௹no al dramma di Wagner, che Jung addusse come un esempio di +creazione artistica di tipo visionario in Psicologia e poesia (1930/1950), OJ +10/1, p. 364. +290 Questa frase non compare in LN4. +291 Questa frase non compare in LN4. +292 Jung commentò il paragone di Cristo e del serpente in Libido (1912), p. 321, +e in Aion (1951), OJ 9/2, pp. 174-75. +293 Vedi Libido (1912), p. 321. +294 Legenda: «D[ie] IX januarii anno 1927 obiit Hermannus Sigg aet[atis] s[uae] +52 amicus meus» (Il 9 gennaio 1927 morì il mio amico Hermann Sigg all’età di +52 anni). Jung descrisse quest’immagine mandalica nel modo seguente: «Un +௹ore luminoso nel centro, con stelle rotanti attorno. Intorno al ௹ore, muri con +otto porte. L +’insieme è concepito come una ௹nestra trasparente». Di questo +mandala, che si basa su un sogno trascritto il 2 gennaio 1927 (LN7, p. 72; Vedi +sopra), Jung disegnò anche una mappa che spiega la relazione tra sogno e +immagine (vedi oltre, app. A, n. 4). Nel 1929 egli incluse l’illustrazione in forma +anonima tra gli «esempi di mandala europei» allegati al Commento al «Segreto +del ௬ore d’oro» (di qui è tratta anche la precedente descrizione); quindi +riprodusse di nuovo l’immagine nel 1950, aggiungendovi il seguente commento: +«La rosa al centro ha la forma d’un rubino, mentre la circonferenza che la +racchiude è rappresentata come una ruota o anche come una cresta murale con +porte (a௻nché niente possa uscire dall’interno e niente possa entrare +dall’esterno). Il mandala, che è un prodotto spontaneo dell’analisi d’un paziente, +è basato su un sogno: Il sognatore si trova con tre compagni di viaggio più +giovani a Liverpool. [Nota a pie’ di pagina: Si noti l’allusione implicita nel nome + Liverpool: Liver (ted. Leber) è il fegato, sede della vita; pool è lo stagno, la +pozza]. È notte, piove. L +’aria è densa di fuliggine e fumo. Dal porto i quattro +salgono verso la “città alta”. Il sognatore dice: È tutto terribilmente buio e +spiacevole; non riusciamo a capire come si possa reggere in un luogo come +questo. Discutiamo sull’argomento e uno dei miei accompagnatori racconta, +con nostra meraviglia, che un suo amico ha deciso di stabilirsi in questa città. +Parlando, siamo arrivati a una specie di giardino pubblico, al centro di +Liverpool. Il parco è quadrato; nel mezzo si trova un laghetto, un grosso +stagno. Pochi lampioni rischiarano appena quelle tenebre nere come la pece. +Io però scorgo sulla superficie dell’acqua un’isoletta. Sopra di essa s’innalza un +unico albero, una magnolia dai ௬ori vermigli, miracolosamente illuminata +dall’eterna luce del sole. Noto che i miei compagni non vedono questo +prodigio, mentre io comincio a capire perché la persona di cui si è parlato si +sia stabilita proprio qui. / Il sognatore racconta: “Ho cercato di tradurre +gra௹camente questo sogno. Ma, come spesso accade, ne è venuto fuori qualcosa +di alquanto diverso. La magnolia è diventata una specie di rosa di vetro color +rubino, splendente come una stella a quattro raggi. Il quadrato rappresenta il +muro di cinta del parco e al tempo stesso una strada che delimita quest’ultimo +con un quadrilatero. Dal parco si irraggiano otto vie principali e da ciascuna di +esse altre otto vie secondarie, che si incontrano in un punto centrale rosso +raggiante, più o meno come l’Etoile parigina. Il conoscente menzionato nel +sogno abita in una casa all’angolo di una di queste ‘stelle’”. Il mandala assomma +dunque i classici motivi: ௹ore, stella, cerchio, recinto (temenos), pianta di città +con quartieri e cittadella. “È come se vedessi il tutto da una ௹nestra a௸acciata +sull’eternità”, dice il sognatore» (Simbolismo del mandala, OJ 9/1, pp. 356-57). +Nel 1955-56 Jung usò quest’ultima espressione per designare la visualizzazione +del Sé (Mysterium coniunctionis, OJ 14/2, p. 535). Il 7 ottobre 1932 egli mostrò +questo mandala in un seminario, e lo commentò il giorno seguente, a௸ermando +che esso era stato dipinto prima del sogno: «Forse ricorderete il dipinto che vi +ho mostrato ieri sera: la pietra centrale con i gioielli intorno. Può essere +interessante raccontarvi il sogno che vi è collegato. Sono io l’autore di quel +mandala, in un’epoca in cui non avevo la più pallida idea di che cosa fosse un +mandala e, con estrema modestia, pensai: sono io il gioiello al centro, e quelle +piccole luci sono sicuramente persone molto carine che credono di essere dei +gioielli, ma più piccoli. (…) Pensavo molto bene di me stesso per essere riuscito +a esprimermi in quel modo: il mio meraviglioso centro è qui, proprio nel mio +cuore». Jung aggiunse poi che a tutta prima non aveva notato che il parco era lo +stesso del mandala da lui dipinto, e osservò: «Bene, Liverpool è il centro della +vita – il fegato è il centro della vita – e il centro non sono io, io sono il pazzo che +vive da qualche parte in un posto buio, sono una di quelle piccole luci laterali. In +questo modo è stato ridimensionato il mio pregiudizio occidentale di essere il + centro del mandala, di essere ogni cosa: tutto lo spettacolo, il re, il Dio» (Jung, +La psicologia del Kuṇḍalinī-yoga cit., pp. 143-44). Ulteriori particolari in +Ricordi, pp. 242 sgg. +295 1° febbraio 1914. [Si ripete qui, nel corso del dialogo, la già +segnalataidenti௹cazione tra il serpente e l’anima. Di qui le varie concordanze al +femminile]. +296 LN4, p. 91, aggiunge: «Oggi, anima mia, ti sottopongo queste domande». Qui +il serpente è sostituito dall’anima. +297 In LN4, p. 93: «Tu giochi con me ad Adamo ed Eva». +298 Nota a margine in VC: «Visio» (Visione). +299 In LN4, p. 94: «Satana con corna e coda striscia fuori da un buco nero. Lo +tiro su tenendolo per le mani». +300 Per l’interpretazione junghiana del signi௹cato di Satana, vedi Risposta a +Giobbe (1952), OJ 11, pp. 339 sgg. +301 Jung tratta esaurientemente la questione dell’unione degli opposti in Tipi +psicologici (1921), cap. 5, «Il problema dei tipi nella poesia» (OJ 6, soprattutto +pp. 195 sgg.). L +’unione degli opposti ha luogo mediante la produzione del +simbolo conciliatore. +302 Al posto di questa frase, in LN4, p. 96, si legge: «Da noi non si procede in +modo così intellettuale e in termini di etica universale, come nel monismo». Il +riferimento è alla concezione monistica di Ernst Haeckel, verso cui Jung aveva +un atteggiamento critico. +303 Vedi Jung, Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità +(1942/1948), OJ 11, pp. 117-94. +304 Legenda: «1928. Quando dipinsi quest’immagine, che mostra il castello d’oro +ben forti௹cato, Richard Wilhelm mi mandò da Francoforte il millenario testo +cinese del castello giallo, il germe del corpo immortale. Ecclesia catholica et +protestantes et seclusi in secreto. Aeon ௬nitus» (La chiesa cattolica e i +protestanti e i ritirati in clausura. La ௹ne di un eone). Nel 1929, nel Commento +al «Segreto del ௬ore d’oro», Jung descrisse l’immagine nei termini seguenti: +«Un mandala come città forti௹cata con mura e fossati. All’interno, un largo +fossato che circonda un muro forti௹cato con sedici porte e che racchiude un +altro fossato. Questo circonda un castello centrale dai tetti d’oro con al centro + un tempio d’oro» (Jung e Wilhelm, Il segreto del ௬ore d’oro cit., tav. 10). Jung +riprodusse poi l’illustrazione nel 1950 in Simbolismo del mandala (tav. XXXVI/B), +aggiungendo il seguente commento: «Ra௻gurazione di una città medievale con +mura e fossati, arterie stradali e chiese, secondo una struttura a quattro raggi. +Anche la città interna, come la città imperiale a Pechino, è circondata da mura e +fossati. Gli edi௹ci si aprono tutti verso il centro, costituito da un castello con il +tetto dorato, anch’esso recinto da una fossa. Il terreno attorno al castello è +ricoperto di lastre di pietra bianche e nere, simboleggianti gli opposti, qui +uni௹cati. Autore del mandala è un uomo di mezz’età (…). Un’immagine del +genere non è estranea al simbolismo cristiano. È nota a tutti la Gerusalemme +celeste dell’Apocalisse. Anche l’immaginazione indiana ha creato la città di +Brahmā costruita sul monte Meru. Nel Fiore d’oro leggiamo: “Il libro del +castello giallo dice: ‘Nello spazio, grande un pollice, della casa grande un piede, +si può organizzare la vita’. La casa grande un piede è il viso, e qui ha sede lo +spazio grande un pollice che non può essere altro che il cuore celeste. In mezzo +al pollice quadrato dimora lo splendore. Nella sala purpurea della città di giada +dimora il Dio del vuoto estremo e della vitalità”. I taoisti chiamano questo centro +“paese degli avi o castello giallo”» (OJ 9/1, pp. 369-70). Su questo mandala vedi +John +Peck, The Visio Dorothei. Desert Context, Imperial Setting, Later +Alignements, tesi, C.G. Jung Institut, Zürich 1992, pp. 183-85. +305 Questa frase rivela un collegamento con l’inizio del primo Sermone ai morti. +Vedi oltre, Prove. +306 Rimando al racconto biblico della creazione (Genesi, 1). +307 I Cabiri, considerati dèi della fertilità e protettori dei marinai, avevano il loro +più importante culto, di carattere misterico, nell’isola di Samotracia. Friedrich +Creuzer e Friedrich Schelling videro in essi le divinità originarie della mitologia +greca da cui si sarebbero sviluppati tutti gli altri dèi. Vedi rispettivamente, del +primo, Symbolik und Mythologie der alten Völker, Leske, Leipzig 1810-23 +(trad. it. parziale Simbolica e mitologia, a cura di Giampiero Moretti, Editori +Riuniti, Roma 2004) e, del secondo, Le divinità di Samotracia (1815), a cura di +Federica Viganò, Mimesis, Milano 2002 (Jung possedeva un esemplare di +entrambe le opere). Dopo aver rilevato la natura ctonia dei Cabiri in Libido +(1912), p. 111, Jung ne scrisse nel 1940: «I Cabiri sono proprio le forze +formative occulte, i folletti che sono all’opera sotto terra, cioè subliminalmente, +a creare per noi felici trovate; ma, come coboldi, giocano anche tiri di ogni +specie, ri௹utando e rendendo inutilizzabili nomi e date che “pur stanno sulla +punta della lingua”. Essi provvedono a tutto ciò che la coscienza, e le funzioni di +cui essa dispone, non hanno ancora anticipato. (…) Ma una più profonda +comprensione non può fare a meno di riconoscere, appunto nei motivi primitivi + arcaici delle funzioni inferiori, importanti relazioni e signi௹cati simbolici; non +schernirà quindi i Cabiri come ridicoli Pollicini, ma piuttosto ne presentirà il +tesoro di occulta sapienza» (Saggio di interpretazione psicologica del dogma +della Trinità, 1942/1948, OJ 11, p. 162). Nel 1944 (Psicologia e alchimia, OJ 12, +pp. 157-59) Jung commentò anche la scena dei Cabiri presente nel Faust +goethiano (II, atto 2, «Baie rocciose dell’Egeo», vv. 8168 sgg.; ed. cit., vol. 2, +pp. 722 sgg.). Il dialogo tra Jung e i Cabiri riprodotto in queste pagine compare +in MM ma non in LN4. È pertanto possibile che esso sia stato redatto +separatamente; in tal caso, la sua composizione deve essere anteriore all’estate +del 1915. +308 Nota a margine in VC: «Poi per tre settimane ho smesso di lavorare a questo +tema». +309 Nel Simbolo della trasformazione nella messa (1942/1954, OJ 11, pp. 226 +sgg.) Jung, nel trattare dell’importante ruolo che il motivo della spada ha +nell’alchimia, ne illustrò il signi௹cato come strumento sacri௹cale e la sua +funzione separatrice e disgiungente. Egli osservò: «La spada alchemica opera la +solutio o separatio elementorum che ripropone la caotica situazione iniziale +a௻nché sia prodotto, mediante una nuova impressio formae o imaginatio, un +corpo nuovo più perfetto» (p. 226). +310 Il concetto di superamento della pazzia si raccorda strettamente alla +distinzione operata da Schelling tra chi è sopra௸atto dalla pazzia e chi la tiene +sotto controllo (vedi sopra). +311 [Di qui ௹no alla ௹ne del dialogo il testo prosegue in VC, p. 168, impaginato su +due colonne. Seguono un’illustrazione a piena pagina (p. 169) e una pagina +bianca numerata (p. 170). Il testo riprende quindi a p. 171, in scrittura continua +su una sola colonna]. +312 [Libera citazione di un passo del Faust di Goethe in cui Me௹stofele a௸erma: +«Nulla / c’è che nasca e non meriti / di ௹nire disfatto» (I, «Studio», vv. 1339-40; +ed. cit., vol. 1, p. 103)]. +313 Nota a margine in VC: «accipe quod tecum est. in collect[ione] Mangeti in +ultimis paginis» (Prendi ciò che hai con te. Nelle ultime pagine della collezione di +Mangetus). Il riferimento è con ogni probabilità alla Bibliotheca chemica +curiosa, seu rerum ad alchemiam pertinentium thesaurus instructissimus di +Jean-Jaques Manget (Ginevra 1702), una raccolta di testi alchemici di cui Jung +possedeva un esemplare (con all’interno varie sottolineature e alcune +striscioline di carta). Qui, al termine del Mutus liber – l’opera conclusiva del +primo volume –, si trova una silogra௹a ௹nale, rappresentante il compimento + dell’opus alchemicum, in cui compare un uomo sollevato in aria da due angeli, +mentre un altro giace riverso a terra. +314 +In Tipi psicologici (1921) Jung trattò del simbolismo della torre +commentando la visione della torre presente nel Pastore di Erma (OJ 6, pp. 234- +35). Nel 1920 egli cominciò a progettare la sua torre a Bollingen. +315 2 febbraio 1914. +316 [Ancora una volta identi௹cato con l’anima, come risulta da] LN4, p. 110: +«anima». +317 Allusione al patto stretto da Me௹stofele con Faust, secondo il quale egli lo +servirà in vita a condizione che Faust lo serva poi nell’aldilà. Vedi Goethe, +Faust, I, «Studio», vv. 1656-59 (ed. cit., vol. 1, pp. 126-29). +318 In MC, p. 251: «me con il serpente». +319 Nota a margine in VC: «Non avevo ancora notato che quell’assassino ero io +stesso». +320 9 febbraio 1914. In LN4, p. 114: «anima». +321 In Turchia si praticava la poligamia, che venne abolita u௻cialmente da +Ataturk nel 1926. +322 Nota a margine in VC: «In XI Cap. of the mystery play» (nell’undicesimo +capitolo della rappresentazione dei misteri) (Vedi sopra). +323 LN4, pp. 121-22, continua: [Io:] «I miei principi… Potrà sembrare una +sciocchezza… Perdonami… Ma io ho dei principi. Non pensare che siano noiosi +principi morali, invece sono conoscenze che la vita mi ha obbligato ad avere». / +[Anima:] «Quali principi?». +324 La questione della morale degli schiavi e dei signori costituisce il tema +centrale della prima dissertazione della Genealogia della morale (1887) di +Friedrich Nietzsche (ed. it. a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, +Milano 198415, pp. 234 sgg.). +325 A questo punto, in VC è lasciato uno spazio bianco per un’iniziale figurata. +326 11 febbraio 1914. +327 In LN4, p. 131, questa figura è identificata con l’anima. + 328 Frase aggiunta in M, p. 533. +329 A questo punto s’interrompe la trascrizione del volume calligra௹co del Liber +novus. La parte che segue è esemplata sul testo di M, pp. 533-56. +330 Citazione da 1 Corinzi, 13, 8. Jung citò nuovamente queste sue ri௺essioni +sull’amore poco prima della sua morte, alla ௹ne dei Ricordi, p. 414. In LN4, p. +134, la frase è riportata in lettere greche. +331 Frase aggiunta in M, p. 534. +332 In LN4 questa figura non è identificata con il serpente. +333 Jung discusse il motivo folclorico-mitologico dell’essere appesi in Libido +(1912), p. 213. +334 In LN4 manca la pagina in cui si trovano la ௹ne di questo dialogo e la sezione +seguente. +335 Emanuel Swedenborg, di௸erenziando l’amore celeste dall’amore di sé e +dall’amore del mondo, lo de௹nisce «un amare le cose per l’uso che se ne può +fare, oppure un amare il bene per il gusto del bene, che l’uomo compie per la +Chiesa, la patria, la società umana e i concittadini» (Cielo e inferno. L +’aldilà +descritto da un grande veggente [1758], a cura di Paola Giovetti, Edizioni +Mediterranee, Roma 2005, p. 200). +336 Nel racconto biblico della creazione, al terzo giorno il mare fu separato dalla +terra (Genesi, 1, 9-10). +337 Allusione ai versi ௹nali (49-50) dell’Ode su un’urna greca di John Keats: +«“Bellezza è verità, verità bellezza”, questo solo / sulla terra sapete, ed è +quanto basta» (Poesie, a cura di Silvano Sabbadini, Mondadori, Milano 1986, p. +291). +338 In Libido (1912) Jung sostenne che, nel corso dello sviluppo psicologico, +l’individuo ha il compito di liberarsi della ௹gura materna, secondo il modello +descritto nei miti eroici (vedi cap. 6, «La lotta per la liberazione dalla madre», +pp. 247 sgg.). +339 [Possibile reinterpretazione dell’aforisma nicciano: «Il deserto cresce... Guai +a colui che cela deserti dentro di sé!» (Così parlò Zarathustra, pt. 4, «Tra ௹glie +del deserto»; ed. cit., p. 375)]. +340 In Libido (1912) Jung, spiegando il suo concetto di libido, rimanda al + signi௹cato cosmogonico di Eros nella Teogonia di Esiodo, collegandolo con la +figura del Fanes orfico e di Kāma, il dio indù dell’amore (p. 123). +341 Nei suoi scritti successivi, Jung sottolineò l’importanza dell’«enantiodromia», +il principio – da lui attribuito a Eraclito – secondo cui ogni cosa si volge nel +proprio contrario. Vedi Tipi psicologici (1921), alla voce «Enantiodromia», OJ 6, +pp. 437-38. +342 Nella narrazione biblica del diluvio universale, l’arca di Noè approdò sul +monte Ararat (Genesi, 8, 4). Il monte Ararat è un cono vulcanico inattivo situato +nell’Anatolia orientale, ai confini tra l’Armenia e l’Iran. +343 Nella mitologia nordica Odino, ferito da una lancia, viene appeso all’albero +cosmico Yggdrasill, e vi rimane per nove notti, ௹nché non inventa le rune che gli +conferiscono il potere sulla morte. +344 23 febbraio 1914. In LN4, p. 171, la storia è preceduta da un dialogo con +l’anima, in cui Jung le chiede che cosa lo trattenga dal riprendere il suo lavoro; +lei risponde che la causa sta nell’ambizione di lui: egli aveva creduto di averla +superata, ma in realtà l’aveva semplicemente negata. Segue quindi il racconto +della storia da parte dell’anima. Il 13 febbraio 1914, Jung tenne alla Società +psicoanalitica di Zurigo una conferenza dal titolo Zur Traumsymbolik (Sul +simbolismo del sogno); dal 30 marzo al 13 aprile trascorse una vacanza in Italia. +345 In LN4, p. 180: «ambizione». +346 Nelle righe che seguono LN4, p. 180, ha «opera» al posto di «figlio». +347 19 aprile 1914. Il capoverso precedente è aggiunto in M. In LN5, pp. 29-30, +questo dialogo avviene con l’anima. +348 [Allusione all’episodio evangelico della prostituta (comunemente identi௹cata +con Maria Maddalena) che lava e unge i piedi di Gesù in casa di Simone il +Fariseo (Luca, 7, 36-50)]. +349 In LN5, p. 37: «l’anima». +350 In LN5, p. 38: «con la mia anima». +351 Capoverso aggiunto in M. +352 In MC, p. 555: «a me stesso». +353 Questa parte finale è stata aggiunta in M, pp. 555-56. + 354 Nel 1930 Jung a௸ermò: «Un movimento all’indietro verso il Medioevo è una +specie di regressione, ma non è personale. Si tratta di una regressione storica, +una regressione nel passato dell’inconscio collettivo. Succede ogniqualvolta la +strada davanti a sé non è libera, quando c’è un ostacolo da evitare o quando c’è +la necessità di recuperare qualcosa del passato per poter scavalcare il muro che +ci si trova di fronte» (Visioni cit., vol. 1, p. 164). All’incirca in questo periodo, +Jung cominciò a studiare intensamente la teologia medievale. Vedi Tipi +psicologici (1921), cap. 1, «Il problema dei tipi nella storia dello spirito antico e +medievale» (OJ 6, pp. 20-76). +355 A questo punto in MM, p. 1205, compare la parola «Finis», incorniciata da un +piccolo quadrato. + Prove +1 19 aprile 1914. +2 Proverbio talmudico. +3 «A maggior gloria di Dio». Era il motto della Compagnia di Gesù. +4Vedi oltre. +5 Nelle pagine seguenti di LN5 non compaiono riferimenti a questo Dio. +6 20 aprile 1914. In questo stesso giorno, Jung si dimise da presidente +dell’Associazione psicoanalitica internazionale (vedi Lettere tra Freud e Jung +cit., p. 593). +7 21 aprile 1914. +8 In seguito Jung descrisse l’autocritica presentata in questa sezione iniziale +come il confronto con l’Ombra. Osservò nel 1934: «Chi guarda nello specchio +dell’acqua vede per prima cosa, è vero, la propria immagine. Chi va verso se +stesso rischia l’incontro con se stesso. Lo specchio non lusinga; mostra +fedelmente ciò che in esso si ri௺ette, e cioè il volto che non esponiamo mai al +mondo, perché lo veliamo per mezzo della Persona, la maschera dell’attore. Ma +dietro la maschera c’è lo specchio, da cui il vero volto traspare. / È questa la +prima prova di coraggio da a௸rontare sulla via interiore, una prova che basta a +far desistere la maggior parte degli uomini. L +’incontro con se stessi è infatti una +delle esperienze più sgradevoli, alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è +negativo sul mondo che ci circonda. Quando si è in grado di vedere la propria +Ombra e di sopportarne la conoscenza, si è solo assolta una piccola parte del +compito: si è perlomeno fatto a௻orare l’inconscio personale» (Gli archetipi +dell’inconscio collettivo, 1935/1954, OJ 9/1, p. 19). +9 Questo capoverso non compare in LN5. Il 30 aprile 1914 Jung diede le +dimissioni dall’incarico di libero docente alla Facoltà di Medicina dell’Università +di Zurigo. +10 8 maggio 1914. Nelle annotazioni diaristiche di LN5 c’è un salto tra il 21 +aprile e l’8 maggio, per cui la parte ௹nale della precedente discussione (ultimi +due capoversi di p. 342) non sembra che sia stata registrata. +11 21 maggio 1914. + 12 Matteo, 8, 21-22: «Un altro dei discepoli gli disse: “Signore, permettimi di +andare prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli disse: “Seguimi, e lascia che i +morti seppelliscano i morti”». +13 23 maggio 1914. +14 [Il 28 giugno 1914 fu assassinato, per mano di uno studente serbo, l’arciduca +Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico. Il 28 luglio +l’Austria dichiarò guerra alla Serbia, il 1° agosto la Germania mobilitò le proprie +forze contro la Russia e la Francia]. +15 Gli ultimi due capoversi non compaiono in LN5. In Libido (1912) Jung osservò: +«Io penso che la fede dovrebbe essere sostituita dalla comprensione» (p. 212). +Il 5 ottobre 1945, egli scrisse a Victor White: «Iniziai la mia carriera ripudiando +tutto ciò che sapeva di fede» (The Jung-White Letters, a cura di Ann Conrad +Lammers e Adrian Cunningham, Routledge, London 2007, p. 6). +16 24 maggio 1914. Le righe iniziali di questo capoverso non compaiono in LN4. +17 LN4, p. 77, continua: «Assomiglia a un vecchio santo, a uno dei primi cristiani +che vissero nel deserto». +18 In MM compare a questo punto la nota «27/11/17», che sembra fare +riferimento al giorno in cui fu composta questa parte del manoscritto. +19 LN5, pp. 79-80, continua: [Io:] «Sono scolastico?» [Anima:] «No, sei invece +scienti௹co. La scienza è una riedizione della scolastica. Dev’essere superata». / +[Io:] «Non è ancora abbastanza? Non pecco troppo in questo modo contro lo +spirito del tempo se mi distacco da ogni tipo di scienza?». / [Anima:] «Tu non +devi distaccarti totalmente, ma considera che la scienza è soltanto il tuo +linguaggio». / [Io:] «A quali profondità pretendi di farmi inoltrare?». [Anima:] +«Sempre oltre te stesso e il presente». / [Io:] «Lo voglio, ma che cosa accadrà? +Ho spesso la sensazione di non farcela più». / [Anima:] «Tu devi recuperare. +Ritagliati uno spazio. In troppi ti portano via tempo». / [Io:] «Verrà anche questo +sacrificio?». [Anima:] «Tu devi, devi». +20 Questo capoverso non compare in LN5. +21 25 maggio 1914. +22 LN5, p. 82, continua: «Uh, questo libro! Eccoti di nuovo a me… banale e +morboso, furioso e divino, mio inconscio messo per iscritto! Tu mi hai di nuovo +messo in ginocchio. Eccomi, emetti la tua sentenza!». È questo l’unico + riferimento all’«inconscio» presente in LN2-7. +23 3 giugno 1915. Nel frattempo Jung redasse la minuta delle precedenti parti +del Liber novus. Il 28 luglio 1914, durante una seduta della British Medical +Association ad Aberdeen, tenne una conferenza sull’«importanza dell’inconscio +in psicopatologia» (OJ 3, pp. 211-17). Quindi, tra l’agosto 1914 e il marzo 1915, +svolse tre periodi di servizio militare: due settimane, dal 9 al 22 agosto, a +Lucerna; 64 giorni, dal 1° gennaio all’8 marzo 1915, a Olten; in௹ne, dal 10 al 12 +marzo, come addetto al trasporto degli invalidi (foglio matricolare relativo al +servizio militare di Jung, AFJ). +24 Questa frase non compare in LN6. +25 14 settembre 1915. Sul ௹nire dell’estate e nell’autunno del 1915, nella sua +corrispondenza con Hans Schmid, Jung a௸rontò la questione dei tipi psicologici. +La sua ultima lettera a Schmid, datata 6 novembre, rivela un cambiamento che +può essere interpretato come un ritorno all’elaborazione delle sue fantasie nei +Libri neri: «La comprensione è un potere tremendamente vincolante, forse un +vero assassino dell’anima quando livella di௸erenze che sono di importanza +vitale. Il nucleo centrale dell’individuo è un mistero della vita, che muore quando +viene “a௸errato”. Per questo i simboli intendono mantenere i loro segreti; essi +sono misteriosi non soltanto perché siamo incapaci di vedere chiaramente che +cosa c’è al fondo di essi. (…) Ogni comprensione in sé, essendo un’aggregazione +di punti di vista generali, contiene l’elemento diabolico, e uccide. (…) Questo è il +motivo per cui nelle fasi ௹nali dell’analisi dobbiamo aiutare i pazienti a +pervenire ai simboli nascosti e non decifrabili, in cui il seme della loro vita giace +nascosto al riparo come il tenero seme nel duro guscio. Su questo punto non ci +vuole nessuna comprensione, persino se fosse possibile. Se invece la +comprensione a tale riguardo è generalizzata ed evidentemente possibile, allora +il simbolo è maturo per la sua distruzione, poiché esso non riveste più il seme, +che sta per crescere al di fuori del guscio stesso. Adesso comprendo un sogno +che feci tempo fa e che mi impressionò molto. Stavo nel mio giardino, e avevo +scoperto, scavando, una ricca sorgente d’acqua che fuoriusciva con forza. Allora +dovetti scavare un fossato e una buca profonda in cui raccolsi tutta l’acqua, +lasciandola poi nuovamente ri௺uire indietro nelle profondità della terra. Per +questo ci è data la salvezza nel simbolo non decifrabile e non pronunciabile, +poiché esso ci protegge, impedendo al Diavolo di inghiottire il seme della vita» +(Zur Entstehung von C.G. Jungs «Psychologischen Typen». Der Briefwechsel +zwischen C.G. Jung und Hans Schmid-Guisan im Lichte ihrer Freundschaft, a +cura di Hans Konrad Iselin, Sauerländer, Aarau 1982, pp. 112-13 [del carteggio +Jung-Schmid è ora disponibile anche l’edizione inglese; cfr. sopra]). + 26 LN5, p. 87, continua: «Hermes è il tuo demone». +27 Jung trattò del simbolismo alchemico dell’oro in Mysterium coniunctionis +(1955-56), OJ 14/2, pp. 276 sgg. +28 15 settembre 1915. +29 17 settembre 1915. +30 In Così parlò Zarathustra, Nietzsche scrisse: «Il Sé cerca anche con gli occhi +dei sensi, ascolta anche con gli orecchi dello spirito. Sempre il Sé ascolta e +cerca: esso compara, costringe, conquista, distrugge. Esso domina ed è il +signore anche dell’Io. Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un +possente sovrano, un saggio ignoto che si chiama Sé» (pt. 1, «Dei dispregiatori +del corpo»; ed. cit., p. 34). Nella citazione sono stati messi in corsivo i punti +sottolineati da Jung nell’esemplare del volume in suo possesso; a margine vi +compaiono anche lineette e punti esclamativi. Commentando questo passo nel +1935 nel suo seminario sullo Zarathustra, Jung osservò: «Ero già molto +interessato al concetto del Sé, ma allora non ero certo sul modo in cui +intenderlo. Comunque, quando m’imbattei in questi passi, che mi parvero +importantissimi, vi misi dei segni a margine. (…) Il concetto di Sé continuò a +impormisi. Pensai che Nietzsche intendesse una sorta di cosa-in-sé dietro al +fenomeno psicologico. (…) Allora mi accorsi anche che lui stava producendo un +concetto del Sé che era simile a quello orientale; è un’idea dell’ātman» +(Nietzsche’s Zarathustra cit., vol. 1, p. 391). +31 In Così parlò Zarathustra, Nietzsche scrisse: «Voi vi a௸ollate attorno al +prossimo e avete belle parole per questo vostro a௸ollarvi. Ma io vi dico: il +vostro amore del prossimo è il vostro cattivo amore per voi stessi. / Voi fuggite +verso il prossimo fuggendo voi stessi, e di ciò vorreste fare una virtù: ma io +leggo dentro il vostro “disinteresse”» (pt. 1, «Dell’amore del prossimo»; ed. cit., +p. 70). Nella citazione sono stati messi in corsivo i punti sottolineati da Jung +nell’esemplare in suo possesso. +32 18 settembre 1915. +33 Nel 1941 Jung osservò: «L +’integrazione – o l’umanizzazione del Sé – (…) è +preparata dalla coscienza col rendere consci i nostri intenti egoistici; ci +rendiamo conto cioè dei nostri motivi e cerchiamo di formarci un’immagine +possibilmente completa, obiettiva, della nostra essenza» (Il simbolo della +trasformazione nella messa, 1942/1954, OJ 11, pp. 252-53). Ciò corrisponde al +processo illustrato qui nella sezione iniziale delle Prove. + 34 LN5, p. 92, continua: «che unisce in sé paradiso e inferno». Vedi Jung, Il +simbolo della trasformazione nella messa (1942/1954), OJ 11, p. 251: «Allora il +Sé opera come unio oppositorum, dando luogo alla più diretta esperienza del +divino psicologicamente concepibile». +35 Nel 1921 Jung scrisse a proposito del Sé: «Poiché l’Io è solo il centro del +campo della mia coscienza, esso non è identico alla totalità della mia psiche, ma +è soltanto un complesso fra altri complessi. Distinguo quindi tra l’Io e il Sé, in +quanto l’Io è solo il soggetto della mia coscienza, mentre il Sé è il soggetto della +mia psiche totale, quindi anche di quella inconscia» (Tipi psicologici, OJ 6, p. +467). Nel 1928, egli descrisse il processo di individuazione come «attuazione +del proprio Sé» e come «realizzazione del Sé» (L +’Io e l’inconscio , OJ 7, p. 173). +Nel 1951 de௹nì il Sé come l’archetipo dell’ordine, e a௸ermò che le +rappresentazioni del Sé sono inseparabili dalle immagini di Dio (Aion, OJ 9/2, +cap. 4, «Il Sé», pp. 31 sgg.). Nel 1944 dichiarò di aver scelto tale termine in +quanto il concetto di Sé è «da un lato su௻cientemente determinato per rendere +l’idea della totalità umana, dall’altro su௻cientemente indeterminato per +esprimere il carattere indescrivibile e indeterminabile della totalità. (…) Nella +terminologia scienti௹ca il Sé non rinvia dunque né a Cristo né a Buddha, bensì +alla totalità delle ௹gure corrispondenti, ognuna delle quali è un simbolo del Sé» +(Psicologia e alchimia, OJ 12, p. 22). +36 Il passo che segue è una radicale rielaborazione del corrispondente testo di +LN5. +37 Nel 1929 Jung osservò: «Le divinità sono diventate delle malattie, e Zeus non +governa più l’Olimpo, ma il plesso solare, ed è motivo d’interesse per i medici, +nella loro ora di consultazione» (Commento al «Segreto del ௬ore d’oro», +1929/1957, OJ 13, p. 47). +38 LN5, pp. 92-93, continua: «Il Dio ha la forza, non il Sé. L +’impotenza non va +dunque deplorata; essa è invece la condizione auspicabile. / Il Dio agisce da se +stesso. Questo gli va lasciato. Ciò che noi facciamo al Sé lo facciamo a Dio. / Se +noi alteriamo il Sé, alteriamo il Dio. È u௻cio divino servire se stessi. In questo +modo sgraviamo l’umanità dal fardello che noi siamo. “L +’uno porti il fardello +dell’altro” è diventato una cosa immorale. “Ciascuno porti il proprio fardello” è +il minimo che si possa chiedere di fare a qualsiasi altro individuo. Possiamo al +massimo indicare a un altro come portare il proprio fardello. / Dare tutti i propri +averi ai poveri signi௹ca educarli a diventare fannulloni. / La compassione non +deve portare il fardello altrui, ma essere invece un educatore severo. La +solitudine con noi stessi non ha fine. È soltanto appena cominciata». + 39 I quattro capoversi seguenti non compaiono in LN5. +40 Nella copia del volume di Meister Eckhart Schriften und Predigten posseduta +da Jung la frase «che l’anima debba perdere anche Dio» è sottolineata, e c’è un +foglietto su cui è scritto: «L +’anima deve perdere Dio» (Meister Eckhart, +Schriften und Predigten, a cura di Hermann Büttner, Diederichs, Jena 1912, p. +222). +41 In LN5 la voce non è identificata come voce di Filemone. +42 I due capoversi che seguono non compaiono in LN5. +43 MM, p. 37, continua: «e pronunciato attraverso di me». +44 2 dicembre 1915. +45 Al posto di questo capoverso, LN5, p. 95, ha: «Un fallo?». In LN5 Ḥāp, +menzionato nel testo subito sotto, non viene mai nominato. Con questo passo +potrebbero avere riferimento alcune credenze funerarie egizie riportate in +un’opera di Ernest A. Wallis Budge, The Egyptian Heaven and Hell (Kegan Paul, +Trench and Trubner, London 1905), di cui Jung possedeva una copia. Dopo aver +osservato che «Ḥāp è il fallo di Pepi» (vol. 1, p. 110), lo studioso ricorda che +Ḥāp è un ௹glio di Horus (p. 491; il punto è evidenziato da Jung nella sua copia +con un segno a margine) e aggiunge: «Nel Libro dei morti i quattro figli di Horus +hanno ruoli di primo piano, e i defunti cercavano di ottenerne aiuto e protezione +in ogni modo, sia con o௸erte che con preghiere (…). I quattro ௹gli di Horus +condividevano la funzione di protettori dei defunti, e ௹n dalla quinta dinastia +troviamo che essi presiedevano alla vita nell’oltretomba» (ibid.; in corsivo la +frase sottolineata da Jung). +46 In LN5, p. 95: «di questo polo divino». +47 Questo capoverso non compare in LN5. +48 5 dicembre 1915. +49 Questo capoverso non compare in LN5. +50 In LN5, p. 100: «Il fallo». Vedi sopra, p. XXVIII, il sogno infantile di Jung del +fallo rituale posto nei sotterranei di un tempio. +51Vedi sopra. +52 Nel 1912 Jung fece riferimento ai misteri di Ecate, che ebbero il loro periodo + aureo a Roma sul ௹nire del IV secolo. Dea della magia e delle formule magiche, +considerata apportatrice di pazzia, Ecate era posta a guardia del mondo infero +ed era identificata con Brimo, una divinità della morte. Vedi Libido, pp. 322 sgg. +53 Nel 1912 Jung fece riferimento a Nut, la dea del cielo egizia, che di giorno, +distesa ad arco sopra la terra, fa nascere il dio del sole (Libido, p. 218). +54 Capoverso rielaborato sulla base del testo di LN5. +55 7 dicembre 1915. +56 9 dicembre 1915. +57 Jung fu critico verso i missionari cristiani. Vedi Il problema psichico dell’uomo +moderno (1928/1931), OJ 10/1, p. 123. +58 LN5, pp. 116-17, continua: [La morta:] «dopo che il Diavolo ti ha preceduto. +Adesso non è il tempo per l’amore, ma per azioni». / [Io:] «Perché parli di +azioni? Quali azioni?». / [La morta:] «La tua opera». / [Io:] «Cosa intendi con la +mia opera? La mia scienza? Il mio libro?». / [La morta:] «Non è il tuo libro, è il +libro. La scienza è ciò che tu fai. Questo bisogna farlo, senza esitazione. Non si +va indietro, ma soltanto avanti. A esso appartiene il tuo amore. Ridicolo… Il tuo +amore! Tu devi accettare che si muoia». / [Io:] «Lascia perlomeno che ci siano +morti intorno a me». / [La morta:] «Ce ne sono abbastanza, fanno ressa intorno +a te». / [Io:] «Non me ne accorgo a௸atto». / [La morta:] «Devi notarli». / [Io:] +«Come? Come posso farlo?». / [La morta:] «Procedi! Tutto verrà a te. Non oggi, +ma domani». +59 In MM, p. 49: «anima». In questa sezione l’interlocutore del dialogo passa +dall’anima alla defunta. +60 20 dicembre 1915. +61Vedi sopra. +62 8 gennaio 1916. Questo capoverso non compare in LN5. +63 Nel Getsemani Cristo disse: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me +questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi» (Matteo, 26, 39). +64 Vedi Giobbe, 25, 6: «Quanto meno [rispetto alle stelle è puro] l’uomo, che è un +verme, il figlio d’uomo, che è un vermiciattolo!». +65 10 gennaio 1916. + 66 Riferimento al gigante Thrym che nell’Edda poetica ruba il martello del dio +Thor. +67 11 gennaio 1916. +68 [Jung allude qui alla vicenda di Ondina (ripresa tra l’altro da Paracelso e +successivamente da Friedrich La Motte-Fouqué), creatura leggendaria legata +all’acqua e priva di anima, ma in grado di ottenerne una sposando un uomo +mortale]. +69 13 gennaio 1916. Il precedente capoverso non compare in LN5. +70 Nella mitologia greca, l’ambrosia e il nettare sono il cibo e la bevanda degli +dèi. +71 Questa frase non compare in LN5. +72 14 gennaio 1916. Questo capoverso non compare in LN5. +73 In Esodo, 3, Dio appare a Mosè nel roveto ardente e promette di condurre il +suo popolo fuori dall’Egitto in un paese in cui scorrono latte e miele. +74Vedi oltre, app. C, un primo abbozzo della cosmologia dei Septem sermones +ad mortuos (16 gennaio 1916). L +’allusione di Jung al plasmare nella materia i +pensieri della sua anima sembra sia da riferire alla composizione del Systema +Munditotius (vedi oltre, app. A, nn. 5 e 6). Per un approfondimento in proposito, +vedi Barry Jeromson, «Systema Munditotius» and «Seven Sermons». Symbolic +Collaborators in Jung’s Confrontation with the Dead, in «Jung History», 1, 2, +2005-06, pp. 6-10, e Id., The Sources of «Systema Munditotius». Mandalas, +Myths and a Misinterpretation, ibid., 2, 2, 2007, pp. 20-26. +75 18 gennaio 1916. +76 Nell’immagine del Systema Munditotius (p. 434) compare in basso la scritta +«Abraxas dominus mundi» (Abraxas signore del mondo). +77 In LN5, p. 181: «Abraxas». +78 29 gennaio 1916. +79 30 gennaio 1916. La frase precedente non compare in LN5. +80 Sul signi௹cato dei Sermones che seguono, Jung disse ad Aniela Ja௸é che i +dialoghi con i morti avevano costituito una specie di preludio a ciò che egli aveva + da comunicare al mondo, e che il loro contenuto anticipava quello dei suoi libri +successivi. «Da allora i morti mi sono apparsi con sempre maggiore chiarezza +come le voci dell’Inesplicabile, dell’Irrisolto, dell’Irredento». Le domande a cui +gli era stato chiesto di dare risposta non gli venivano dal mondo a lui +circostante, ma dai morti. Un elemento che lo stupiva era il fatto che, +contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, essi sembravano non avere +conoscenze più ampie di quelle di cui disponevano al momento della morte. +Donde la loro tendenza a immischiarsi nelle faccende dei vivi, e l’usanza di௸usa +in Cina di comunicare agli spiriti degli antenati importanti eventi familiari. +Secondo una sua ben viva sensazione, i morti attendevano le risposte dei vivi +(CJR, pp. 258-59; Ricordi, pp. 235-36). Vedi sopra, a proposito di Cristo che +predica ai morti nell’inferno. +81Vedi sopra, lb. 2, cap. 15, p. 215, dove gli anabattisti morti condotti da +Ezechiele erano diretti a Gerusalemme per pregare sui luoghi sacri. +82 Questa frase non compare in LN5. A proposito del rapporto tra Filemone e i +Sermones, Jung disse ad Aniela Ja௸é di averne compreso la ௹gura scrivendo i +Sermones: fu qui che egli perse la propria autonomia (CJR, p. 25). +83 [Qui e in seguito si rende con «sermone» il termine tedesco Belehrung, che +alla lettera signi௹ca «ammaestramento» o «insegnamento»; vedi sopra, lb. 1, +cap. 10, «Insegnamento», pp. 71-81]. La versione calligra௹ca e l’edizione a +stampa dei Sermones recano il sottotitolo: «I sette insegnamenti dei morti. +Scritti da Basilide in Alessandria, la città dove l’Oriente tocca l’Occidente. +Tradotti dall’originale greco in lingua tedesca». Sulla vita di Basilide, ௹losofo +cristiano attivo ad Alessandria nella prima metà del II secolo, si hanno scarse +notizie. Secondo Charles King, egli, egiziano di nascita, prima di convertirsi al +cristianesimo «seguì le dottrine della gnosi orientale, cercando (...) di +combinare i principi della religione cristiana con la ௹loso௹a gnostica (...) e +servendosi a tal ௹ne di simboli ingegnosi e di espressioni da lui stesso inventate» +(The Gnostics and Their Remains, Bell and Daldy +, London 1864, pp. 33-34). Dai +pochi frammenti superstiti, conservati quasi tutti in opere di eresiologi e dunque +di interpretazione problematica, emergono le linee di un mito cosmogonico di +impronta emanatista (edizione e commento a cura di Bentley Layton, The +Gnostic Scriptures, Doubleday +, New York 1987, pp. 417-44 [Manlio Simonetti +(a cura di), Testi gnostici in lingua greca e latina, Fondazione Valla - +Mondadori, Milano 1993, pp. 131-80]). Secondo Layton, il mito gnostico classico +aveva la struttura seguente: «Atto I: di௸usione di un primo principio unico (Dio) +in un universo non ௹sico (spirituale). Atto II: creazione dell’universo materiale, +comprese le stelle, i pianeti, la terra e l’inferno. Atto III: creazione di Adamo ed +Eva e dei loro ௹gli. Atto IV: successiva storia del genere umano» (The Gnostic + Scriptures cit., p. 13). Si tratta, a grandi linee, del medesimo schema che è alla +base dei Sermones. In Aion (1951) Jung attribuisce agli gnostici il merito di aver +trovato adeguate espressioni simboliche del Sé, e osserva che Basilide e +Valentino «si lasciarono ampiamente in௺uenzare dall’esperienza essenziale +interiore. Essi costituiscono pertanto, al pari degli alchimisti, una vera e propria +miniera di informazioni per tutti quei simboli nati dall’ulteriore sviluppo del +messaggio evangelico e dalle sue ripercussioni. Al tempo stesso, le loro idee +compensano l’asimmetria del Dio postulato dalla dottrina della privatio boni: +proprio come quelle moderne tendenze dell’inconscio a noi ben note che +producono simboli di totalità onde colmare l’abisso tra coscienza e inconscio» +(Aion, OJ 9/2, p. 254). Nel 1915 Jung si era messo in contatto epistolare con un +amico degli anni universitari, Rudolf Liechtenhan, autore di un libro intitolato +Die O௫enbarung im Gnosticismus (Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1901). +Dalla risposta di Liechtenhan (AJ), datata 11 novembre, risulta che Jung gli +aveva chiesto informazioni sulla concezione dei diversi tipi umani nello +gnosticismo, e sul loro possibile rapporto con la distinzione operata da William +James +fra +temperamento tender-minded (razionalistico e idealistico) e +temperamento tough-minded (empiristico e materialistico). In Ricordi Jung +osservò: «Tra il 1918 e il 1926 avevo studiato seriamente gli gnostici, perché +anch’essi si erano trovati a confronto con il mondo originario dell’inconscio, e +avevano avuto a che fare con i suoi contenuti, con immagini che erano +chiaramente contaminate dal mondo degli istinti» (p. 245). Tuttavia egli aveva +cominciato a documentarsi sulla letteratura gnostica già nel corso delle sue +letture preparatorie in vista della redazione di Trasformazioni e simboli della +libido (1912). Sui Sermones esiste ormai una ricca e utile bibliogra௹a, da +prendere però con cautela, in quanto lo scritto è stato analizzato al di fuori del +suo contesto essenziale, costituito dal Liber novus e dai Libri neri, oltre che dai +non trascurabili commenti di Filemone, i quali – nel loro insieme – forniscono +preziosi chiarimenti critici. Si è discusso il rapporto di Jung con lo gnosticismo e +con la ௹gura storica di Basilide, si sono indicate altre possibili fonti e paralleli +per i Sermones, e si è studiata la relazione esistente tra i Sermones e le +successive opere di Jung. Si veda in proposito soprattutto Christine Maillard, +Les «Septem sermones aux morts» de Carl Gustav Jung, Presses universitaires +de Nancy +, Nancy 1993. Si vedano inoltre: Judith Hubback, The «VII Sermones +ad Mortuos», in «Journal of Analytical Psychology», 11, 1966, pp. 95-112; Gilles +Quispel, C.G. Jung und die Gnosis, in «Eranos-Jahrbuch», 37, 1968, pp. 277-98 +(rist. in Segal, The Gnostic Jung cit. oltre); James Heisig, The «VII Sermones ad +Mortuos». Play and Theory, in «Spring», 1972, pp. 206-18; James Olney +, The +Rhizome and the Flower. The Perennial Philosophy +, Yeats and Jung , University +of California Press, Berkeley 1980; Stephen Hoeller, The Gnostic Jung and the +«Seven Sermons of the Dead», Quest, Wheaton, Ill. 1982; E.M. Brenner, + Gnosticism and Psychology +. Jung’s «Septem Sermones ad Mortuos» , in +«Journal of Analytical Psychology», 35, 1990, pp. 397-419; Robert Segal (a cura +di), The Gnostic Jung, Princeton University Press, Princeton 1992; Alfred Ribi, +Die Suche nach den eigenen Wurzeln. Die Bedeutung von Gnosis, Hermetik +und Alchemie für C.G. Jung und Marie-Louise von Franz und deren Einfluss auf +das moderne Verständnis dieser Disziplinen, Lang, Bern 1999. +84 Il pleroma («pienezza») ha un ruolo centrale nella gnosi valentiniana, dove +designa la perfezione divina in quanto in௹nita pienezza includente in sé tutte le +sue emanazioni. Come spiega Hans Jonas, queste emanazioni, «il cui numero +standard è trenta, formano una gerarchia e costituiscono nel loro insieme il +regno divino» (Lo gnosticismo [1958], Sei, Torino 1973, p. 197). Nel 1929 Jung +disse: «Gli gnostici (…) esprimevano tale idea come pleroma, uno stato di +pienezza dove le coppie d’opposti, sì e no, giorno e notte, stanno insieme; poi, +quando “divengono”, allora è giorno o notte. Nello stato di “promessa”, prima +che divengano, le cose sono non esistenti, non c’è né bianco né nero, né buono +né cattivo» (Analisi dei sogni. Seminario tenuto nel 1928-1930, Bollati +Boringhieri, Torino 2003, p. 166). Nei suoi studi successivi, Jung usò il termine +pleroma +per +designare +uno +stato +di +preesistenza +e +di +potenzialità, +identi௹candolo con il bardo tibetano: «Il profano deve abituarsi al pensiero che +il “tempo” è un concetto relativo che dovrebbe venir completato dalla nozione di +una “contemporanea” esistenza nel bardo o nel pleroma di tutti gli avvenimenti +storici precedenti. Quanto si presenta nel pleroma come un “processo” eterno +appare nel tempo come una sequenza aperiodica, vale a dire in numerose +ripetizioni irregolari» (Risposta a Giobbe, 1952, OJ 11, p. 380. Vedi anche, ibid., +pp. 373, 375, 380, 382, 405, 408, 428, 432 e 443). La distinzione stabilita da +Jung fra pleroma e creazione ha alcuni punti di contatto con quella operata da +Meister Eckhart tra divinità e Dio. Per un commento di Jung in proposito, vedi +Tipi psicologici (1921), OJ 6, pp. 258-59; il rapporto fra il pleroma di Jung ed +Eckhart è discusso da Maillard, Les «Septem sermones» cit., pp. 118-20. Nel +1955-56 Jung fece corrispondere la sua nozione di pleroma a quella di unus +mundus dell’alchimista Gerhard Dorn (vedi Mysterium coniunctionis, OJ 14/2, +pp. 532 sgg.), e adottò l’espressione per designare il postulato trascendentale +dell’unità che soggiace alla varietà del mondo empirico (ibid., pp. 538 sgg.). +85 [Al termine Kreatur, usato più volte da Jung nelle pagine che seguono, può +corrispondere in italiano sia «creatura» che «creazione» o «creato» +(specialmente in riferimento ai testi biblici). Di conseguenza, il lettore italiano +deve tener presente il permanere di una certa oscillazione o ambivalenza di +significato nei passi in cui il termine ricorre]. +86 In Tipi psicologici (1921) Jung descrisse il Tao come «essere creatore che + genera come padre e partorisce come madre», e come «principio e ௹ne di ogni +essere» (OJ 6, p. 221). Sulla relazione esistente tra il pleroma junghiano e il Tao +dei cinesi, vedi Maillard, Les «Septem sermones» cit., p. 75. Vedi anche Peck, +The Visio Dorothei cit., pp. 179-80. +87 In proposito vedi Jung, Tipi psicologici (1921), OJ 6, cap. 11 «De௹nizioni», art. +«Differenziazione», p. 436. +88 Si tratta di un concetto di origine scolastica inteso da Arthur Schopenhauer +come speci௹cazione spazio-temporale, possibilità della molteplicità (Il mondo +come volontà e come rappresentazione [1819], a cura di Ada Vigliani, +Mondadori, Milano 2008, lb. 2, § 23, pp. 178-79). L +’espressione fu ripresa da +Eduard von Hartmann, che vide nel principium individuationis la unicità +(Einzigkeit) di ogni essere individuale nei confronti dell’Inconscio inteso come +totalità onnicomprensiva (All-Einiges Unbewusstes) e ne pose l’origine +nell’inconscio (Philosophie des Unbewussten. Versuch einer Weltanschauung , +Dunker, Berlin 1869, p. 519). Nel 1912 Jung scrisse: «La diversità sorge +dall’individuazione. +Questo +fatto +fornisce +una +profonda +giusti௹cazione +psicologica a una parte essenziale della ௹loso௹a di Schopenhauer e di +Hartmann» (Libido, p. 162). In seguito, nel 1916, in una serie di articoli e di +conferenze (OJ 7: La struttura dell’inconscio, pp. 265-305; Adattamento, pp. +309-12; Individuazione e collettività, pp. 313-14), egli sviluppò ulteriormente il +concetto, dandone in௹ne la seguente de௹nizione: «Il concetto di individuazione +ha, +nella +nostra +psicologia, +una +parte +tutt’altro +che +trascurabile. +L +’individuazione è, in generale, il processo di formazione e di caratterizzazione +dei singoli individui, in particolare lo sviluppo dell’individuo psicologico come +essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. L +’individuazione è +quindi un processo di di௫erenziazione che ha per meta lo sviluppo della +personalità individuale» (Tipi psicologici, 1921, OJ 6, cap. 11 «De௹nizioni», art. +«Individuazione», p. 463). +89 L +’idea della vita e della natura come costituite da opposti e da polarità +caratterizza in particolar modo la ௹loso௹a della natura di Schelling. L +’idea che il +con௺itto psichico assuma la forma di un con௺itto di opposti e che la guarigione +ne rappresenti la soluzione è presente soprattutto nelle opere posteriori di Jung; +v e di Tipi psicologici (1921), OJ 6, cap. 5, pp. 173-275, e Mysterium +coniunctionis (1955-56), OJ 14. +90 I capoversi che seguono, sino al termine di questa sezione, non compaiono in +LN6. +91 Nell’edizione dei Sermones pubblicata da Jung, non compaiono né la ௹gura di + Filemone né i commenti che nelle Prove seguono a ogni sermone. Si è supposto +che la persona che pronuncia i sermoni sia Basilide. +92 Nel 1959, in un’intervista televisiva per la BBC, John Freeman chiese a Jung: +«E adesso crede in Dio?». Jung rispose: «Adesso? [pausa]. Di௻cile rispondere. +Adesso lo so. Non ho bisogno di credere. Lo so» (Jung parla cit., p. 524). Il +discorso di Filemone, in questo punto, sembra costituire lo sfondo di +quest’a௸ermazione sovente citata e discussa. L +’enfasi sull’esperienza diretta si +accorda anche con lo gnosticismo classico. +93 31 gennaio 1916. Questa frase non compare in LN6. +94 La dottrina della morte di Dio è formulata da Nietzsche in La gaia scienza, lb. +3, §§ 108 e 125 (ed. cit., pp. 148 e 162-64) e in Così parlò Zarathustra, pt. 4, «A +riposo» (ed. cit., pp. 313 sgg.). Per la discussione di Jung al riguardo, vedi +Psicologia e religione (1938/1940), OJ 11, pp. 90 sgg., dove si legge tra l’altro: +«Quando Nietzsche disse: “Dio è morto”, enunciò una verità che vale per la +maggior parte dell’Europa. (...). Sarebbe però forse più giusto dire: “Egli si è +svestito dell’e௻gie che gli avevamo conferita, e dove potremo noi ritrovarlo?”» +(p. 93). Nel seguito della discussione il motivo della morte e della scomparsa di +Dio viene messo da Jung in rapporto alla crocifissione e risurrezione di Cristo. +95 Vedi Jung, Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità +(1942/1948), OJ 11, pp. 189-90. +96 Nel 1932-33 Jung diede una descrizione di Abraxas che echeggia quella qui +presentata: «Il simbolo gnostico di Abraxas, un nome di fantasia che signi௹ca +trecentosessantacinque (…), era usato dagli gnostici per indicare la loro divinità +suprema. Era un dio del tempo. La (...) durée créatrice di Bergson è +un’espressione della stessa idea. (...) Come il mondo archetipico dell’inconscio +collettivo è paradossale all’estremo, sempre “sì” e “no”, così la ௹gura di Abraxas +signi௹ca inizio e ௹ne, è vita e morte, ed è perciò rappresentato da una ௹gura +mostruosa. È un mostro perché è la vita della vegetazione nel corso dell’anno, la +primavera e l’autunno, l’estate e l’inverno, il “sì” e il “no” della natura. Abraxas, +quindi, è in realtà identico al demiurgo, il creatore del mondo. In quanto tale è, +inoltre, identico al puruṣa o a Śiva. (...) Abraxas viene di solito rappresentato +con la testa di uccello, il corpo di uomo e la coda di serpente, ma c’è anche un +simbolo con la testa di leone e il corpo di drago, la testa coronata da dodici raggi +che alludono al numero dei mesi» (Visioni cit., 16 novembre 1932, vol. 2, pp. +872-73 e 874; 7 giugno 1933, p. 1126). Secondo sant’Ireneo, Basilide sosteneva +che «il loro signore è chiamato Abrasaks, e questo spiega perché a esso fosse +unito il numero 365» (Layton, The Gnostic Scriptures cit., p. 425). La ௹gura di + Abraxas è al centro di un’opera di Albrecht Dieterich, Abraxas. Studien zur +Religionsgeschichte des spätern Altertums (Teubner, Leipzig 1891), letta e +postillata da Jung all’inizio del 1913. Egli possedeva anche una copia del volume +citato di King The Gnostics and Their Remains, anche questo con sue +annotazioni a margine del passo (p. 37) che tratta l’etimologia di Abraxas. +97 Nella mitologia greca Helios è il dio Sole. Jung trattò le mitologie solari in +Libido (1912), pp. 84 sgg., nonché in un intervento inedito su Opicino de +Canistris, tenuto ad Ascona nel Convegno di Eranos del 1943 (AJ) [vedi Gian +Piero Quaglino, Augusto Romano e Riccardo Bernardini, Un seminario ritrovato +di Jung su Opicino de Canistris, in Id., Carl Gustav Jung a Eranos 1933-1952, +Antigone, Torino 2007, pp. 163-97 (a pp. 180-94 la traduzione, con amplissimo +commento, degli appunti presi da Alwine von Keller)]. +98 Questo e i capoversi che seguono, ௹no al termine di questa sezione, non +compaiono in LN6. +99 Il riferimento è ai mesi platonici. Vedi sopra. +100 1° febbraio 1916. +101 Questa frase non compare in LN6. +102 Pensato da Aristotele come il principio della felicità, il bene supremo +(summum bonum) fu identificato da Tommaso d’Aquino (Summa theologica) con +Dio. Jung considerò la dottrina del summum bonum come la fonte del concetto +di privatio boni che, a suo giudizio, aveva portato a negare la realtà del male +(Aion, 1951, OJ 9/2, pp. 46 e 50-51). Per questo esso viene qui bilanciato dal +concetto di infimum malum. +103 In LN5 (vedi oltre, app. C), Jung scrive che Abraxas è «il Dio dei ranocchi o +dei rospi, il decerebrato, è l’unione del Dio cristiano e di Satana» (p. 454). Nei +suoi scritti successivi, Jung sottolineò l’unilateralità dell’immagine del Dio +cristiano, da cui era escluso, a suo parere, l’elemento del male. Egli cercò di +correggere tale visione studiando le trasformazioni storiche delle immagini di +Dio (soprattutto in Aion e in Risposta a Giobbe). Spiegando come nacque in lui +l’idea di scrivere Risposta a Giobbe, egli ricordò che in Aion aveva «criticato +l’idea +della privatio boni, poiché essa non si accorda con le conoscenze +psicologiche. L +’esperienza psicologica mostra che a tutto quello che noi +chiamiamo “bene” si contrappone un altrettanto sostanziale “cattivo” o “male”. +Se il “male” non esiste, allora tutto ciò che è deve necessariamente essere +“bene”. Secondo il dogma, né il “bene” né il “male” possono avere origine +nell’uomo, dato che il “male” esisteva prima dell’uomo, in quanto era uno dei figli + di Dio. L +’idea della privatio boni cominciò ad avere un ruolo nella Chiesa solo +dopo Mani. Prima di questa eresia, Clemente Romano insegnava che Dio +governava il mondo con una mano destra e una sinistra; con la destra era inteso +Cristo, con la sinistra Satana. La concezione di Clemente è chiaramente +monoteistica, poiché egli riunisce gli opposti in un unico Dio. Più tardi tuttavia il +cristianesimo divenne dualistico, in quanto quella parte degli opposti +personi௹cata in Satana viene dissociata, e Satana resta nella condizione di +eterna dannazione. (…) Se il cristianesimo avanza la pretesa di essere una +religione monoteistica, allora l’accettazione degli opposti contenuti in un Dio è +inevitabile» (Appendice a «Risposta a Giobbe», 1956, OJ 11, pp. 451-52). +104 Nel 1942 Jung osservò: «Il concetto di un Dio che tutto abbraccia deve +necessariamente racchiudere in sé anche il suo opposto, nel qual caso però la +coincidenza non deve riuscire troppo radicale, perché altrimenti Dio +annullerebbe se stesso. Il principio della coincidenza degli opposti deve dunque +venire integrato dal suo contrario, per giungere al vero paradosso e acquistare +quindi validità psicologica» (Lo spirito Mercurio, 1943/1948, OJ 13, p. 242). +105 Questo e i capoversi che seguono, ௹no alla ௹ne della sezione, non compaiono +in LN6. +106 3 febbraio 1916. +107 Questa frase non compare in LN6. +108 Nel 1917 Jung formulò una critica della concezione psicoanalitica +dell’erotismo in un capitolo di Psicologia dei processi inconsci intitolato «La +teoria sessuale». Nella revisione che di questo capitolo presentò nel 1928, +intitolandolo «La teoria dell’Eros», egli aggiunse: «L +’erotismo (…) appartiene da +un lato all’originaria natura animale dell’uomo (…). Dall’altro lato l’erotismo è +apparentato con le forme più alte dello spirito: ma ௹orisce soltanto quando +spirito e pulsione trovano il giusto accordo. (…) “Eros è un grande demone”, +dice la saggia Diotima a Socrate. (…) Non è tutta la natura che è in noi, ma è +certo uno dei suoi aspetti principali» (Psicologia dell’inconscio, 1917/1943, OJ +7, p. 28). Nel Simposio platonico Diotima istruisce Socrate sulla natura di Eros: +«“Un grande demone, o Socrate: giacché tutto ciò che è demonico è qualcosa di +mezzo tra dio e mortale”. / “Quale potere”, feci io, “possiede?”. / “Di tradurre e +di trasmettere agli dèi le cose che giungono dagli uomini, e agli uomini quelle +che giungono dagli dèi, degli uni le preghiere e i sacri௹ci, degli altri i comandi e +le ricompense dei sacri௹ci: e stando a metà tra gli uni e gli altri, riempie +completamente tale regione, cosicché il tutto risulta collegato con se stesso. +Attraverso il demonico procede tutta quanta la divinazione, come pure l’arte dei + sacerdoti e di coloro che si dedicano ai sacri௹ci, ai riti di iniziazione, agli +incantesimi, a ogni potere profetico e alla magia. Il dio, peraltro, non si mescola +all’uomo, ed è attraverso il demonico, piuttosto, che gli dèi tengono ogni +comunicazione e ogni dialogo con gli uomini sia nella veglia sia nel sonno”» (23, +202d-203a; ed. it. a cura di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 1979, pp. 67-68). In +Ricordi Jung ha ri௺ettuto sull’essenza di Eros, descrivendolo come «un +kosmogonos, creatore e padre-madre di ogni coscienza» (p. 413). Questa +definizione cosmogonica di Eros va distinta dall’uso del termine fatto da Jung per +caratterizzare la coscienza femminile. Vedi sopra. +109 Nel 1945 Jung dedicò all’archetipo dell’albero un ampio studio (L’albero +filosofico, 1945/1954, OJ 13, pp. 279-367). +110 LN6, p. 30, continua: «I morti: “Tu sei un pagano, un politeista!”». +111 5 febbraio 1916. +112 In LN6 compare a questo punto l’ospite scuro, personi௹cazione della morte +(vedi oltre). +113 Questo e i capoversi che seguono, sino alla ௹ne della sezione, non compaiono +in LN6. +114 Possibile riferimento all’avvento del cristianesimo in Germania nell’VIII secolo, +quando vennero abbattuti degli alberi sacri. +115 [Il corrispondente termine tedesco (Gemeinschaft) ha – a seconda del +contesto – varie valenze: oltre che «comunione», esso può signi௹care +«comunità», «comunanza», «unione»]. +116 Questa frase non compare in LN6. +117 Nel seminario del 1925, Jung disse: «Sessualità e spiritualità sono una coppia +di opposti, e necessitano l’una dell’altra» (Psicologia analitica, p. 53). +118 Il Faust di Goethe termina con una visione della Mater gloriosa (II, atto 5, +«Gole montane», vv. 11989-12111; ed. cit., vol. 2, pp. 1048-57). Nella sua +conferenza intitolata Faust e l’alchimia (1950) Jung disse al riguardo: «A +proposito della Mater coelestis non occorre pensare né a Maria né alla Chiesa +cattolica, ma piuttosto a un’Afrodite Urania, come in Agostino, oppure alla +beatissima Mater che compare in Pico della Mirandola» (cit. in Irene Gerber- +Münch, Goethes Faust. Eine tiefenpsychologische Studie über den Mythos des +modernen Menschen. Mit dem Vortrag von C.G. Jung, «Faust und die + Alchemie», Stiftung für Jung’sche Psychologie, Küsnacht 1997, p. 37). +119 In LN6, p. 41, «Phallus», che si ritrova anche nella versione calligra௹ca (p. +21) dei Sermones. +120 In Libido (1912) Jung osservò: «Il fallo è l’essere che si muove senza gambe, +che vede senza occhi, che conosce il futuro; e, come rappresentante simbolico +della forza creatrice onnipresente, gli viene attribuita l’immortalità» (p. 111). A +questa osservazione Jung fece seguire una discussione sulle divinità falliche. +121 LN6, p. 43, continua: «La Madre è il Graal. / Il Fallo è la lancia». +122 LN6, p. 46, continua: «Nella comunione noi andiamo verso l’origine, che è la +Madre. / Nell’esser soli noi andiamo verso il futuro, che è il Fallo procreatore». +Nell’ottobre 1916, Jung tenne al Club psicologico di Zurigo due conferenze +riguardanti +il +rapporto +tra +l’individuazione +e +l’adattamento +collettivo +(Adattamento e Individuazione e collettività, OJ 7, pp. 309-14). Questo tema +dominò le discussioni che quell’anno si svolsero al Club. +123 Questo capoverso non compare in LN6. +124 Questo e i capoversi che seguono, sino alla ௹ne della sezione, non compaiono +in LN6. +125 Questa sezione non compare in LN6. +126 8 febbraio 1916. Questa frase non compare in LN6. +127 In una lettera a Joan Corrie, datata 29 febbraio 1919, Jung commentò i +Sermones, e in particolare l’ultimo, in questi termini: «Il creatore primordiale +del mondo, la cieca libido creatrice, viene trasformata nell’uomo attraverso +l’individuazione, e da questo processo che assomiglia a una gravidanza +scaturisce un bambino divino, un Dio rinato, non più disperso in milioni di +creature ma unico – quest’unico individuo e al tempo stesso tutti gli altri +individui, lo stesso in lei e in me. Il dottor L[ong] ha un libriccino: VII sermones +ad mortuos. Lei vi trova descritta la dispersione del Creatore fra le creature, e +nell’ultimo discorso trova l’inizio dell’individuazione, da cui nasce il bambino +divino. (…) Il bambino è un nuovo Dio, nato in parecchi individui, i quali però non +lo conoscono. È un Dio “spirituale”. Uno spirito in molti individui, eppure uno e +identico in ogni dove. Si attenga al suo proprio tempo e ne sperimenterà le +caratteristiche». (Trascritta nel diario di Constance Long, Countway Library of +Medicine, pp. 21-22). + 128 Questo e i capoversi che seguono, sino alla ௹ne della sezione, non compaiono +in LN6. +129 Nel settembre 1916 Jung ebbe con la propria anima una serie di +conversazioni che presentavano e sviluppavano la cosmologia dei Sermones. 25 +settembre: [Anima:] «Quante luci vuoi avere, tre o sette? Tre è l’intimo e il +modesto, sette l’universale e l’onnicomprensivo». [Io:] «Che domanda! E che +decisione! Devo dire la verità: penso che vorrei avere le sette luci». [Anima:] +«Dunque vuoi le sette luci. Lo immaginavo. Andiamo sulle ampie dimensioni… +sulle luci fredde». [Io:] «È quello che mi occorre: frescura, aria fresca. Ne ho +abbastanza dell’atmosfera so௸ocante. Troppo a௸anno e troppa poca libertà di +respirare. Dammi le sette luci». [Anima:] «La prima luce indica il pleroma. / La +seconda luce vuol dire Abraxas. / La terza luce il sole. / La quarta luce la luna. / +La quinta luce la terra. / La sesta luce il fallo. / La settima luce la stella». [Io:] +«Perché mancavano l’uccello, la Madre celeste e il cielo?». [Anima:] «Sono tutti +inclusi nella stella. Se guardi la stella, il tuo sguardo li attraversa. Essi sono i +ponti che collegano con la stella. Formano insieme la solitaria settima luce, +quella più alta, l’elemento ௺uttuante che sale verso l’alto con uno splendido +colpo d’ala, liberato dall’abbraccio dell’albero della luce coi suoi sei rami e il +௹ore in cui stava addormentato il Dio siderale. / Le sei luci sono singole e +formano la molteplicità; la luce solitaria – la settima – è una cosa sola e forma +l’unità; è il ௹ore alla sommità dell’albero, l’uovo sacro, il germe del mondo, +dotato di ali, in modo che possa arrivare a destinazione. Dall’Uno scaturisce +sempre di nuovo il molteplice, e dal molteplice l’Uno» (LN6, pp. 104-06). 28 +settembre: [Anima:] «Adesso proviamo: è qualcosa dell’uccello d’oro. Non è +l’uccello bianco, ma quello d’oro. Ha un volo diverso. Quello bianco è un demone +buono, mentre l’uccello d’oro è sopra di te e sotto il tuo Dio. Esso vola davanti a +te. Lo vedo nell’etere azzurro, in volo verso la stella. È qualcosa che fa parte di +te. Ed è al tempo stesso il suo proprio uovo, che ti contiene. Mi senti? Allora +chiedi!». [Io:] «Dimmi di più. La cosa produce in me un senso di inquietudine». +[Anima:] «L +’uccello d’oro non è un’anima, è la tua essenza nella sua interezza. +Anche gli uomini sono uccelli d’oro, sebbene non tutti; alcuni sono vermi e +marciscono nella terra. Parecchi però sono uccelli d’oro». [Io:] «Continua, ho +paura di sentire disgusto. Sputa pure fuori quello che hai intuito». [Anima:] +«L +’uccello d’oro sta sul ramo delle sei luci. L +’albero spunta fuori dalla testa di +Abraxas, il quale cresce dal pleroma. Tutto ciò da cui l’albero cresce ௹orisce +come una luce, uscendo da esso trasformato, come utero della chioma ௹orita +dell’albero, dell’aureo uovo alato. L +’albero della luce è dapprima una pianta +chiamata individuo; questi fuoriesce dalla testa di Abraxas, il suo pensiero è un +pensiero fra i tantissimi altri. L +’individuo è una semplice pianta senza ௹ori né +frutti, un passaggio all’albero delle sette luci. L +’individuo è lo stadio preliminare +dell’albero della luce. Da lui ௹orisce ciò che risplende, Fanes stesso, Agni, un + nuovo fuoco, un uccello d’oro. Esso viene dopo l’individuo, ossia: quando esso è +riunito al mondo, allora il mondo ௹orisce da lui. Abraxas è la pulsione, è +individuo, ciò che è diverso da lui, mentre l’albero delle sette luci è il simbolo +dell’individuo unito ad Abraxas. In seguito appare Fanes e lui, l’uccello d’oro, +vola innanzi. / Tu ti unisci ad Abraxas tramite me. In primo luogo mi dai il tuo +cuore, poi tu vivi attraverso di me. Io sono il ponte che collega ad Abraxas. Così +l’albero della luce nasce in te e tu diventi l’albero della luce, e Fanes nasce da +te. Questo tu l’hai già veduto, ma non compreso. A quell’epoca tu hai dovuto +separarti da Abraxas per diventare un individuo, qualcosa di contrapposto alla +pulsione. Adesso viene l’unione con Abraxas. Ciò accade attraverso di me. Non +puoi farlo da solo. Per questo devi restare presso di me. L +’unione con l’Abraxas +௹sico avviene attraverso la femmina umana, mentre quella con l’Abr. spirituale +avviene attraverso di me; per questo tu devi essere presso di me» (LN6, pp. +114-20). +130 In LN6, pp. 35-36, questa personi௹cazione della morte compare il 5 febbraio, +a metà dei Sermones. Vedi sopra. [La Morte, già introdotta nel capitolo 6 del +Liber secundus, è naturalmente presentata da Jung come una ௹gura maschile, in +quanto il termine tedesco corrispondente è, per l’appunto, di genere maschile: +der Tod. Vedi anche sopra, p. 147 e nota 68]. +131 17 febbraio 1916. In LN6, p. 52, è Jung stesso a tenere questo discorso. +132 In LN6, p. 52, si legge: «Io ho bisogno di una nuova ombra, poiché ho +riconosciuto il terribile Abraxas e mi sono allontanato da lui». +133 In LN6, p. 53, questa voce viene identificata come «la Madre». +134 In LN6, p. 53, è lo stesso Jung a parlare. +135 21 febbraio 1916. In LN6, p. 54, si legge: [Io:] «Un turco? Da dove provieni? +Sei un seguace dell’islam? Che cosa mi annunci su Maometto?». [Visitatore:] «Ti +parlo della poliginia, delle huri e del paradiso. Di queste cose devi sapere». [Io:] +«Allora parla, e poni fine a questo tormento». +136 La versione di questo dialogo che compare in LN6, p. 56, recita così: [Io:] +«Com’è la faccenda della poliginia, delle huri e del paradiso?». [Visitatore:] +«Tante donne, altrettanti libri. Ogni donna è un libro, ogni libro una donna. La +huri è un’idea, e l’idea una huri. Il mondo delle idee è il paradiso, e il paradiso è +il mondo delle idee. Maometto insegna che, in paradiso, il credente viene accolto +dalle huri. I germani hanno detto cose simili a queste». Per la descrizione del +paradiso islamico e delle huri cfr. Corano, 56, 12-38 (ed. it. a cura di Alessandro +Bausani, Rizzoli, Milano 1999, pp. 406-07). Nella mitologia nordica le Valchirie + accompagnavano i prodi caduti in battaglia ௹no al Valhalla e lì si prendevano +cura di loro. +137 24 febbraio 1916. +138 Questa affermazione non compare in LN6. +139 28 febbraio 1916. +140 Cioè Cristo. +141 12 aprile 1916. In LN6 questo discorso non viene attribuito a Filemone. +142 Giovanni, 8, 1-11. +143 Matteo, 21, 31-32. +144 Giovanni, 9, 13-14. +145 Riferimento ai mesi platonici. Vedi, sopra, p. 283, nota 271. +146 Questo e i successivi cinque capoversi non compaiono in LN6. +147 I due passi che seguono ricorrono anche in Träume, p. 18, dopo le +annotazioni di metà luglio 1917, introdotti dall’a௸ermazione: «Frammenti del +libro successivo:». +148 3 maggio 1916. +149Vedi sopra. +150Vedi sopra. +151 Jung annotò nei Ricordi: «Anche le ௹gure dell’inconscio sono “prive di +informazione” e hanno bisogno dell’uomo o del contatto con la coscienza per +raggiungere la “conoscenza”. Quando cominciai a lavorare con l’inconscio, le +௹gure fantastiche di Salomè e di Elia ebbero una parte di primo piano. Poi +scomparvero nell’ombra per riapparire circa due anni dopo. Con mia enorme +sorpresa non erano mutate a௸atto: parlavano e agivano come se nel frattempo +non fosse accaduto nulla. In realtà nella mia vita avevano avuto luogo le cose più +incredibili. Dovetti, per così dire, cominciare di nuovo dal principio, e raccontare +tutto ciò che era accaduto, e spiegarglielo. Allora questo fatto mi sorprese. Solo +più tardi capii che cosa era accaduto: nel frattempo i due erano sprofondati +nell’inconscio e in se stessi, potrei egualmente dire: fuori del tempo. Erano + rimasti privi di contatti con l’Io e con le sue mutevoli vicende, e perciò erano +all’oscuro di ciò che era accaduto nel mondo della coscienza» (p. 362). Questo +passo sembra riferirsi al presente dialogo. +152 Il resto del dialogo non compare in LN6. +153Vedi sopra. +154 31 maggio 1916. +155 1° giugno 1916. +156 In LN6, p. 85, questa figura viene identificata come Cristo. +157 Secondo gli Atti degli apostoli (8, 9-24), Simon Mago (I sec. d.C.), detto così +per i suoi poteri taumaturgici, dopo essersi convertito al cristianesimo, cercò di +ottenere da san Pietro e san Paolo il privilegio di amministrare lo Spirito Santo +(un +racconto +considerato +da +Jung +una +caricatura; vedi oltre). Altre +testimonianze più tarde e di carattere leggendario, come quelle che si trovano +negli apocri௹ Atti di Pietro e in alcuni scritti degli apologeti, ne fanno uno degli +iniziatori dell’eresia gnostica e fondatore della setta dei simoniani. Si diceva che +fosse sempre accompagnato nei suoi viaggi da una donna che pareva fosse la +reincarnazione di Elena di Troia e che egli aveva riscattato in un bordello di +Tiro. Jung citava questa leggenda come esempio del confronto con la ௹gura +dell’Anima (Anima e terra, 1928/1931, OJ 10/1, p. 63). Vedi Gilles Quispel, +Gnosis als Weltreligion, Origo, Zürich 1951, pp. 51-70, e George R.S. Mead, +Simon Magus. An Essay on the Founder of Simonianism Based on the Ancient +Sources with a Reevaluation of His Philosophy and Teachings, The +Theosophical Publishing House, London 1892 (rist. anast. Ares, Chicago 1979) +[per una raccolta commentata delle fonti relative a Simon Mago e alla sua +scuola vedi Simonetti, Testi gnostici cit., pp. 5-35 e 399-407]. +158 In Ricordi Jung commentò: «In queste peregrinazioni oniriche spesso ci si +imbatte in un vecchio accompagnato da una giovinetta, ed esempi di questa +coppia si trovano anche in molti racconti mitici. Così, secondo la tradizione +gnostica, Simon Mago andava in giro con una fanciulla di nome Elena, che egli +aveva preso in un bordello e che era considerata la reincarnazione di Elena di +Troia. Klingsor e Kundry +, Lao Tse e la giovane danzatrice sono altri esempi del +genere» (p. 224). +159 Ossia Satana. +160 In LN6, p. 86, si legge: «Da te venne tuo fratello, o Signore, l’orrendo verme + che tu hai scacciato quando, nel deserto, ti diede un astuto consiglio con voce +seducente». +161 LN6, p. 86, continua: «poiché lui è il tuo fratello immortale». +162 Jung parlò del serpente come allegoria di Cristo in Aion (1952), OJ 9/2, pp. +174 sgg., 221 e 234. +163Vedi sopra. + Epilogo +1 VC, p. 190. La trascrizione calligra௹ca venne improvvisamente interrotta a p. +189, a metà di una frase. Anche questo Epilogo, scritto nella normale gra௹a di +Jung, s’interrompe nel bel mezzo di una frase. + Appendice B. Commenti +1 Per le pagine corrispondenti Vedi sopra. +2 Jung utilizza qui una metafora usata da Jacob Burckhardt per caratterizzare le +immagini primordiali di Faust e di Edipo. Egli vi aveva già fatto riferimento in +Libido (1912), p. 1. +3 [Allusione a Giovanni Battista, di cui Salomè pretese la testa. Vedi sopra]. +4 Per le pagine corrispondenti vedi sopra. +5 Questa frase è un’interpolazione apocrifa a Luca, 6, 4, tratta dal Codex Bezae +(The Apocryphal New Testament cit., p. 68). Jung la citò nel 1952 in Risposta a +Giobbe, OJ 11, p. 414. +6 Per le pagine corrispondenti Vedi sopra. + Appendice C. Sulla cosmologia dei Septem sermones ad +mortuos +1 «Io sono una stella vagante insieme a voi». Citazione dalla cosiddetta Liturgia +mitraica (Albrecht Dieterich, Eine Mithrasliturgie, Teubner, Leipzig 1903, p. 8, +l. 5 [trad. it. Il rituale mitriaco, a cura di Armando Cepollaro, Atanor, Roma +1954, p. 30]). A Bollingen, Jung scolpì nel suo blocco di pietra il seguito della +frase (Ricordi, pp. 273-75). +2 «Voi siete dèi» (Sal 81 [82], 6). Citazione da Giovanni, 10, 33-34: «I giudei gli +risposero: “Non ti lapidiamo per una buona opera, ma per la bestemmia; e +perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”. Gesù rispose loro: “Non sta scritto nella +vostra legge: ‘Io ho detto: voi siete dèi’?”». +3 Abbozzo del Systema Munditotius (Vedi sopra, app. A, n. 6). +4 [Jung riprende qui la formulazione di un noto inno liturgico protestante: +«Mitten wir im Leben stehen, von dem Tod umfangen» (Siamo nel pieno della +vita, circondati dalla morte)]. + Indice + + + + +Prefazione all’edizione studio, di Ulrich Hoerni +Prefazione all’edizione originale, di Ulrich Hoerni +Ringraziamenti, di Sonu Shamdasani +Avvertenze, sigle e abbreviazioni bibliografiche +Liber novus. Il «Libro rosso» di C.G. Jung, di Sonu Shamdasani +Il momento culturale +Chi era Jung? +La fascinazione della mitologia +«Il mio esperimento più difficile» +Il «Liber novus» +Arte e psicologia analitica a Zurigo +L’esperimento collettivo +Il ritorno dei morti +Il contenuto +«Una nuova sorgente di vita» +La via verso il Sé +Riflessioni sulla pubblicazione +La trasformazione della psicoterapia +Il santuario di Filemone +Il confronto con il mondo +Lo studio comparato del processo di individuazione +La pubblicazione del «Liber novus» +Nota editoriale, di Sonu Shamdasani +Nota all’edizione studio, di Sonu Shamdasani +Nota alla traduzione, di Maria Anna Massimello e Giulio Schiavoni +Il Libro rosso +Liber primus +[Prologo]. La via di quel che ha da venire [fol. Ir] +Capitolo I. Il ritrovamento dell’anima [fol. IIr] +Capitolo II. Anima e Dio [fol. IIr] +Capitolo III. Al servizio dell’anima [fol. IIv] +Capitolo IV. Il deserto [fol. IIIr] + Esperienze nel deserto [fol. IIIr] +Capitolo V. Viaggio infernale nel futuro [fol. IIIv] +Capitolo VI. Scissione dello spirito [fol. IVr] +Capitolo VII. L’assassinio dell’eroe [fol. IVv] +Capitolo VIII. Il concepimento del Dio [fol. IVv] +Mistero +Capitolo IX. Incontro [fol. Vv] +Capitolo X. Insegnamento [fol. VIr] +Capitolo XI. Soluzione [fol. VIv] +Liber secundus +[Prologo]. Le immagini dell’errante [1] +Capitolo I. Il Rosso [2] +Capitolo II. Il castello nel bosco [5] +Capitolo III. Uno degli umili [11] +Capitolo IV. L’anacoreta. Dies I [15] +Capitolo V. [L’anacoreta.] Dies II [22] +Capitolo VI. La Morte [29] +Capitolo VII. I resti di antichi templi [32] +Capitolo VIII. Primo giorno [37] +Capitolo IX. Secondo giorno [46] +Capitolo X. Gli incantesimi [50] +Capitolo XI. L’apertura dell’uovo [65] +Capitolo XII. L’inferno [73] +Capitolo XIII. L’assassinio sacrificale [76] +Capitolo XIV. La follia divina [98] +Capitolo XV. Nox secunda [100] +Capitolo XVI. Nox tertia [108] +Capitolo XVII. Nox quarta [114] +Capitolo XVIII. Le tre profezie [124] +Capitolo XIX. Il dono della magia [126] +Capitolo XX. La via della croce [136] +Capitolo XXI. Il mago [139] + Prove +Epilogo +Appendice +A. Mandala +B. Commenti +C. Sulla cosmologia dei Septem sermones ad mortuos +Note +Prefazione all’edizione originale +Liber novus +Nota editoriale +Nota alla traduzione +Liber primus +Liber secundus +Prove +Epilogo +Appendice B +Appendice C