diff --git "a/static/data/aristotele_detective.txt" "b/static/data/aristotele_detective.txt" new file mode 100644--- /dev/null +++ "b/static/data/aristotele_detective.txt" @@ -0,0 +1,9314 @@ + Senza Aristotele niente Sherlock +Holmes. È questa, verosimilmente, +l’idea alla base di questo giallo +investigativo. Il metodo del tipo di +detective alla Sherlock Holmes – di +enumerare indizi, trarne ipotesi, +dedurne nuovi particolari, sino alla +spiegazione del delitto e la scoperta +conseguente del colpevole – non +sarebbe +stato +possibile +se +non +applicando il metodo dimostrativo +della logica aristotelica al crimine. +Stefanos, un simpatico giovanotto +dell’Atene del +IV secolo, dunque, +guidato dallo Stagirita che non si +muove di casa come Nero Wolfe, +indaga sull’assassinio di un ricco +oligarca, +di +cui +è +accusato +ingiustamente il cugino, esule per un +precedente +errore. +Al +primo +omicidio, ne segue un secondo, e tra +colpi +di +scena, +travestimenti, +testimonianze +reperite +avventurosamente, +Aristotele +alla +fine scioglie l’enigma e consente al +giovane di smascherare il vero + assassino. Ma Aristotele detective è +qualcosa di più dello stratagemma +curioso per un giallo giudiziario e +dimostrativo di taglio classico e +denso intreccio. È una specie di +esperimento. La scrittrice, Margaret +Doody, +studiosa +di +letteratura +comparata +in +una +università +americana, e convinta di una certa +ipotesi sulla nascita del genere +romanzesco, vi ha voluto provare +l’adattabilità del mondo della Grecia +antica +(ricostruito +con +fedeltà +filologica e storica) alle emozioni, +alle psicologie, alle peripezie del +romanzo moderno. +Margaret Anne Doody, canadese, è +professore di letteratura comparata. I +romanzi con Aristotele detective, +sono diventati caso letterario anche +per l’esattezza dell’ambientazione +storica e dei riferimenti culturali. + La memoria +442 + DELLA STESSA AUTRICE +in questa collana +Gli alchimisti +Aristotele e il giavellotto fatale +Aristotele e la giustizia poetica +Aristotele e il mistero della vita +Aristotele e l’anello di bronzo +Aristotele e i veleni di Atene +Aristotele e i Misteri di Eleusi +Aristotele e i delitti d’Egitto +Aristotele e la favola dei due corvi bianchi + +nella collana «Nuovo Prisma» +La vera storia del romanzo + Margaret Doody +Aristotele detective +Postfazione di +Beppe Benvenuto +Con una nota di +Emanuele Ronchetti +Sellerio editore +Palermo + 1978 © Margaret Doody +1999 © Sellerio editore via Siracusa 50 Palermo +e-mail: info@sellerio.it +www.sellerio.it + + +Titolo originale: Aristotle detective + +Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. +È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. + +EAN 978-88-389-2728-7 + I +Io, Stefanos + + + + + +Ascoltami, o musa Clio, e aiutami nella stesura di questa storia. I fatti che +riferisco sono veri. Io, Stefanos, figlio di Nichiarco, cittadino d’Atene, intendo +esporre qui le strane e terribili avventure che mi capitarono nel primo anno della +112ª Olimpiade. Si vedrà così come un uomo della mia casa fu calunniato, come +fu riconosciuto innocente, e come un malvagio fu consegnato alla giustizia, per +opera degli Dei onnipotenti. Inoltre, potrò così celebrare la sapienza del mio +consigliere, Aristotele, che io proclamo, a dispetto di tutti i detrattori, uno degli +uomini migliori ed uno dei più grandi filosofi del nostro tempo. + +Fu nel mese di Boedromione, al calare della terza luna dopo il solstizio +d’estate, che si compì il terribile misfatto che doveva avere così lunghe e +complicate conseguenze. Il giorno prima aveva avuto già abbastanza grattacapi. +Ma è meglio tacere una simile inezia, ché gli dei potrebbero udirla e riderne. Ero +molto preoccupato per la mia situazione. Mio padre Nichiarco era morto in +primavera, ed io, giovane di ventidue anni, ero rimasto a capo della famiglia, con +una madre e un fratello minore a cui provvedere, oltre alla schiera dei domestici +e degli schiavi. Mia madre non aveva fratelli, e il fratello di mio padre era morto; +così l’andamento di casa dipendeva interamente da me. Con il cuore ancora +dolente per la perdita d’un genitore molto amato, dovevo seguire i discorsi dei +fattori sulle pecore, il burro e le olive. Invece di studiare al Liceo e seguire la +conversazione dei filosofi, mi toccava verificare i conti in mezzo al chiacchierio +delle donne nel cortile. La mia casa manteneva ogni sorta di bisognosi: gracili +vecchiette avvolte in scialli ricevevano in dono pappine d’avena, mentre i loro +aitanti schiavi se ne andavano carichi di focacce e olive. Mia madre è una donna +di buon cuore e molto ospitale. Ma è più saggio non incoraggiare un eccessivo +spreco di olive, vino, focacce e pappine d’avena in gente che non ricambia la +generosità, come scoprì Telemaco a Itaca. Tuttavia io non desideravo mostrarmi +duro verso i parenti in cerca d’aiuto. Ero sempre disposto a ricevere la vedova +del fratello di mio padre, la povera zia Eudossia. La chiamavano tutti così, «la +povera Eudossia», non per la sua povertà, ma perché era sempre sofferente e +aveva una grave preoccupazione. Era ammalata in verità, benché non si + lamentasse come fanno le donne, sempre pronte a lagnarsi di qualche organo che +non funziona come dovrebbe; e tuttavia non si riusciva a convincerla a venire a +stare con noi; insisteva a tornare nella sua casetta alla periferia d’Atene. Mi era +venuto in mente che forse temeva che potessi prenderle la sua proprietà per mio +uso, se avesse abbandonato la residenza. Un timore ingiustificato, visto che le +leggi degli dei e degli uomini proibiscono una simile perfidia, e io sapevo bene +quanto lei che la proprietà apparteneva al suo unico figlio, Filemone. +E questo mi porta a ciò che mia madre definiva «il gran cruccio della povera +Eudossia». Mia madre pronunciava di rado il nome del figlio d’Eudossia, +essendo convinta che avesse attirato il disonore sulla famiglia. Io non riuscivo a +pensarla così: in gioventù avevo conosciuto bene Filemone, quasi come un +fratello, e l’affetto non poteva svanire, nemmeno dopo i guai che aveva +provocato. All’età di diciannove anni era stato coinvolto in una rissa da taverna; +non era la prima volta, poiché preferiva sempre il confronto fisico a quello +intellettuale. Uno dei suoi pugni aveva ucciso un uomo, e mio cugino, senza +attendere di prender congedo da noi, era balzato sulla prima nave in partenza dal +Pireo, scomparendo nel vasto mondo. +La faccenda finì davanti al tribunale, ma i magistrati furono clementi: +Filemone fu condannato all’esilio e diffidato dal ricomparire in Atene sotto pena +di morte, ma la sua eredità non fu confiscata. Si poteva sempre sperare in +un’amnistia che un giorno o l’altro lo riportasse a casa e gli rendesse i diritti +civili. Non sapevamo dove fosse, ma ci erano giunte voci confuse che era andato +verso sud con la nave e che, dopo aver errato nelle isole meridionali, era +divenuto soldato. Questo non sembrava improbabile: in verità in quel momento i +militari erano ricercati, poiché Alessandro di Macedonia stava avanzando +nell’Asia Minore. Si prospettavano delle accanite battaglie, e sapevo che a +Filemone sarebbero piaciute. Era una specie d’Achille, non di Ettore: gli piaceva +la guerra per la guerra. Io speravo che non finisse ammazzato. Pensai a lui molto +sovente nell’estate dopo la morte di mio padre: me lo immaginavo in giro per il +mondo, mentre a me toccava star fermo a casa. Avrei voluto averlo vicino per +potergli parlare, e invece non c’era. Era meglio non dire queste cose alla +presenza delle donne, perché la zia Eudossia si metteva a singhiozzare e a +gemere: «Oh, il mio povero ragazzo! Non lo rivedrò mai più! Ahimè, ahimè!». +Allora mia madre scoppiava in lacrime anche lei, e la domestica e la schiava +giù a piangere per tener loro compagnia. +Queste cose non erano le sole a pesarmi sul cuore. Mio padre era stato largo +nelle spese, e adesso avevamo meno denaro di quanto immaginassi. Era stato +concordato che io sposassi Carmia, la figlia di un concittadino eminente, +Callimaco, ma dopo la morte di mio padre l’eminente concittadino sembrava + meno propenso a dar corso al progetto. Desiderava che la nostra famiglia +destinasse a me ed a Carmia grossi regali al momento delle nozze, e nel corso +dell’estate mi resi conto che avrei dovuto vendere una vigna per far fronte agli +impegni. Era la più piccola e modesta delle vigne, non potevamo permetterci di +intaccare maggiormente la proprietà. Verso il principio del Boedromione la +vendita parve decisa, ma dopo averci pensato un po’ il compratore preferì non +farne nulla, con mio grave disappunto. +Desideravo vivamente sposarmi, nonostante avessi già tante donne per casa. +Mia madre non sa condurre bene le faccende domestiche, si perde in chiacchiere +e piange con facilità. Mio fratello era troppo giovane per poterci parlare. Inoltre, +mi ero abituato all’idea di avere in moglie la figlia di Callimaco. Avevo sentito +dire, e non solo da suo padre (il venditore che non vanta la sua merce è un +imbecille), che Carmia era una ragazza di buon senso e industriosa, e attraverso i +soliti pettegolezzi delle donne avevo sentito anche che era di bell’aspetto e con +l’aria di poter mettere al mondo dei bei bambini. Non sta bene che i giovani +siano troppo curiosi in faccende del genere, ma a nessuno piacerebbe sposare +una gobba bisbetica, e che Venere ci liberi da una donna sterile. Una moglie, dei +figliuoli: è questo che ci vuole perché un uomo si senta a posto, come in una +propria cittadella. Il mio desiderio di sposarmi era ben altro che la smania che si +può soddisfare con una notte di bagordi insieme a una femmina compiacente in +una casa chiusa. +Nel rileggere le note che ho buttate giù, m’accorgo di essermi allontanato +dall’argomento principale, il che non si addice a un bravo studente di retorica, né +ad una mente esercitata nella pratica legale. Come disse il giudice al contadino, +lascia perdere le chiazze sulla madre della mucca e veniamo alla mucca in +questione. Forse, inconsciamente, allontano il momento che deve venire, perché +sarò costretto a rivivere la mia prima esperienza di un atto malvagio, spaventoso +ed empio. Per lo meno adesso voi potete capire come mai nella notte precedente +quel memorabile terzo giorno della seconda settimana del mese io non riuscissi a +dormire. Me ne stavo disteso, domandandomi se e come mi sarei sposato, e +crucciandomi per quella maledetta vigna. Finalmente mi alzai, e senza perder +tempo a svegliare uno schiavo, accesi una lampada e cercai di leggere. Ma la +testa e il cuore erano troppo pesanti, e così pensai di fare quattro passi. Mancava +poco all’aurora: presto la città si sarebbe ridestata. + II +Omicidio ad Atene + + + + + +Mi avviai per le vie silenziose, lasciando che il ritmo dei miei passi agisse +come calmante sui miei pensieri. Sentivo il vento freddo che soffia prima +dell’aurora, ed ero lieto del mantello di lana che mi ero gettato sulle braccia nude +e la tunica corta. Gli uccelli cominciavano a cantare, e mi parve di sentire il +grido dei gabbiani. Pensai a Filemone rifugiato su una nave, e mentre passavo +davanti a un tempietto di Poseidone, dissi una preghiera per mio cugino e +promisi un sacrificio. Non c’era modo di sapere dove fosse: magari sul mare. +Molte volte avevo rivolto preghiere per lui a Zeus, protettore di tutti i forestieri e +i viandanti. +La brezza spirava più fresca, con un umido profumo di giardini: non più +l’odore dell’estate e non ancora quello del pieno autunno. Poi l’oriente divenne +grigio, e la forma del colle Licabetto divenne chiaramente visibile. Veniva +l’aurora, una lieve tinta di zafferano si spandeva nel cielo. Riuscivo a vedere la +strada davanti a me, ed anche il tempietto votivo al fondatore degli Eupàtridi, +eretto nel demo in cui abitano tanti cittadini nobili e ricchi. Le mura di cinta +nude delle grandi dimore non erano più buie, ma di un grigio pallido. Pensavo al +sorger del sole e cercavo di ricordare i versi di Omero in proposito, quando un +gran tumulto di voci e grida provenienti dalla casa alle mie spalle mi fecero +trasalire. +Prima che potessi giungere sul posto, le grida si erano alzate di tono. Due +uomini lasciarono la casa di fronte e si affrettarono verso il luogo da dove +proveniva il baccano. Il portone del cortile era spalancato quando vi arrivai, e i +due uomini lo stavano attraversando, diretti alla porta di casa. Nella corte, uno +schiavo balzava ora su un piede, ora sull’altro, urlando: «Hanno ucciso il +padrone! Hanno ucciso il padrone!». Lo superai, e lui non si fermò per chiedere +il mio nome, ma continuò stupidamente a fare ciò che al momento +evidentemente considerava il suo compito più importante, ostinandosi ad urlare. +Io seguii gli altri due uomini, un maestoso cittadino e il suo schiavo personale, +verso la porta interna; sentivo che altri stavano entrando dietro di me. Non so +perché sentissi di dover entrare: una irresponsabile curiosità mi spingeva avanti. +Come riferisce Platone, Socrate raccontò la storia di un tale che sapeva di un + mucchio di cadaveri decapitati dietro un muro, uomini giustiziati di recente. +Quest’uomo si sforzava di camminare rasentando il muro, senza cedere alla +tentazione di correre dall’altra parte e scrutare l’orribile spettacolo, ma non poté +resistere e guardò, imprecando ai propri occhi: «Ecco! Saziatevi di questa vista +deliziosa!». Senza dubbio esiste una sorta di voluttà, non degli occhi, ma della +parte più ignobile della mente nel contemplare cose terribili, e così dev’essere +stato nel mio caso, benché, a differenza dall’uomo descritto da Socrate, non +sapessi esattamente dove andassi, né cosa stessi per vedere. +Ma lo seppi ben presto. Seguii gli altri due che, superata la porta interna della +casa e poi un’altra porta, entrarono in una stanza. La mia prima impressione fu di +un locale abbastanza spazioso e scarsamente illuminato, con dentro cinque +persone oltre me: tre cittadini ateniesi e due schiavi. Ovvero, c’erano sei altre +persone nella stanza, cinque vive e una morta. Là, in mezzo al pavimento, +giaceva il padrone di casa, in una posa disadatta per ricevere ospiti: l’eminente +cittadino Boutades, del clan degli Etioboutadi. Boutades, ex-corègo, trierarca, +ricco patrizio, era disteso supino sul pavimento con il corpo contorto da un lato +all’altezza della vita, cosicché tutte e due le ginocchia erano rivolte lateralmente. +Il trierarca Boutades era completamente vestito d’una tunica di lino bianco, o +meglio, una tunica che era stata bianca, ma che adesso era inzuppata di sangue +vermiglio e tutta striata, come da un’atroce tintura. I suoi occhi vitrei erano +rivolti al soffitto. Aveva una freccia conficcata nella gola. +Non so per quanto tempo rimasi a guardare come incantato. Sentivo una +leggera nausea, ma non desideravo andarmene. Sarei rimasto inchiodato al mio +posto, se altri, che affluivano dalla porta, non mi avessero sospinto verso la +parete. Mi spostai con cautela lungo la parete in direzione della finestra. Mi +rendevo conto che c’era una tavola dietro di me, con sopra un’anfora, e +automaticamente badai a non urtarla. I nuovi venuti si affollavano lungo la +parete presso la porta. Lo spazio era limitato, e ciascuno si teneva alla larga dal +centro della stanza. +Quando diedi la prima occhiata a Boutades mi parve che ci fosse intorno un +gran silenzio; ma mi ero sicuramente sbagliato, perché appena cominciai a +muovermi mi resi conto d’un continuo e acuto urlare di donne, proveniente dalla +parte interna della casa; e le grida dello schiavo nel cortile non erano cessate. Mi +accorsi anche che una delle persone entrate per prime nella stanza, un uomo +bruno, largo di spalle, ritto in piedi presso il cadavere, stava dicendo con foga: – +Chi ha compiuto questo delitto? Chi ha ucciso il fratello di mio padre? Che la +vendetta degli dei lo colga! +Era ovviamente Polignoto, il nipote di Boutades, maggiore di me di quattro +anni, già piuttosto noto in Atene. In gioventù era stato un buon ginnasta e un + ragazzo brillante negli studi. Era ricco di suo, avendo ereditato il patrimonio +paterno, e negli ultimi tempi si diceva che aspirasse, con fondate speranze, alla +carriera politica. Si era messo in vista ultimamente offrendosi di fungere da +corègo per le prossime celebrazioni di Diòniso. Se la messinscena ha successo, il +promotore di una di queste elaborate festività rimane famoso per tutta la vita, e +dimostra anche di essere uno degli uomini più facoltosi d’Atene, dato che il +costo delle Grandi Dionisiache si misura non in dracme ma in talenti. Da ragazzo +avevo ammirato molto Polignoto, per la sua bravura d’atleta e la sua eloquenza +nelle discussioni. Avrei dovuto riconoscerlo subito, ma la stanza era semibuia, e +per un attimo Persefone mi aveva offuscato la vista. E il forte Polignoto, +scapigliato, in una tunica frettolosamente infilata e nemmeno fermata su una +spalla, tanto da parer l’indumento d’uno schiavo, Polignoto, smorto nella luce +dell’aurora e tremante di dolore e di collera, non somigliava molto al giovane +abbronzato che rammentavo. +– O Zeus – gridò Polignoto, con voce mezza strozzata, tanto che le parole gli +s’incepparono in gola – guarda questo delitto e fa’ vendetta su quelli che +tramano offese contro di me, la mia famiglia e la mia tribù! Maledizione +all’assassino! +– Sapete chi ha compiuto questo misfatto? – domandò Euticleide, un uomo +grande e grosso, che abitava nella casa di fronte. Mi rammentai che aveva una +lontana parentela tribale con Boutades. Le guance flaccide di Euticleide +apparivano d’un pallore malaticcio nella debole luce, ma la voce era ferma. +– Come posso saperlo? – esclamò Polignoto. – Un delinquente, uno che trama +nelle tenebre! +– Calmati, Polignoto – disse il vecchio Telemone. – Faremo vendetta –. +Telemone, in piedi a fianco di Polignoto, era evidentemente uno dei primi +venuti. La sua presenza era in carattere con lui, poiché era uno che amava le +novità. Lo chiamavano tutti «il vecchio Telemone» benché fosse appena, su per +giù, dell’età di Boutades, ma era un ometto fragile, dai capelli arruffati, con una +generale aria di senilità. Zoppicava anche, e i bambini lo chiamavano «vecchio +Gambacorta». Polignoto non fece attenzione alle sue parole, e seguitò a +mormorare incoerenti maledizioni, strappandosi i capelli con una mano. +– Sì, Polignoto, sta’ calmo – ripeté Euticleide. – Non è il momento per fare +scenate da donne. Ci sarà tempo per le lacrime. Adesso devi dirci ciò che è +accaduto, o per lo meno quel che ne sai, in modo che possiamo sottoporre il caso +al Basileus e far informare l’arconte. +– Io lo so – disse Telemone con impazienza. – Sono arrivato qui per primo, +subito dopo che il povero Boutades è spirato. Ho sentito tutto dalle labbra di +Polignoto, e ho visto… + – Preferirei sentir tutto da Polignoto stesso – ribatté Euticleide. – Ragazzo! – +aggiunse rivolto allo schiavo – va’ in cucina e chiedi che preparino del pane e +del vino per il tuo padrone. Appena lascerà questo luogo d’orrore verrà a prender +del cibo. +Io credo che Euticleide fosse stato sul punto di ordinare del vino per noi tutti, +un gesto del tutto naturale in circostanze normali, e anzi un pensiero sollecito per +un uomo sconvolto come Polignoto, ma uno sguardo verso il pavimento l’aveva +fermato e indotto a mutare il suo discorso. Sarebbe stato irriverente mangiare o +bere in presenza di una morte così violenta. +Euticleide stese un braccio e batté gentilmente sulla spalla di Polignoto. Le +sue parole riguardo al vino e ora questo gesto furono i primi atti umani normali +in quella stanza di morte, ma Polignoto ritrasse la spalla, come un cavallo +spaventato che si ritragga da un nuovo padrone. Euticleide, respinto, lasciò +cadere il braccio. Lo schiavo uscì rapidamente e, quando aprì la porta, entrò +nella stanza un fascio di luce del sole, che sorgeva a oriente, insieme alle alte +grida delle donne. Poi la porta si richiuse, lasciandoci in un relativo silenzio e nel +chiarore più fioco che si diffondeva a occidente. +– Signori – disse Polignoto in un tono più tranquillo – dovete sapere quel che +è accaduto, per quanto mi è possibile riferirlo con la mente confusa e la lingua +tremante che mi ritrovo. Vi dirò tutto quello che so, che non è molto. Questa +mattina presto, proprio allo spuntare dell’alba, sono stato destato da un rumore. +Non me ne sono preoccupato, perché spesso mio zio lavora, ahimè, devo dire +lavorava, fino a tarda notte o alla mattina presto in questa stanza. Mi sono tirato +su e stavo prendendo la tunica, quando mi è giunto un rumore più forte del +primo: un crollo fragoroso. Allora sono balzato dal letto e son corso per tutto il +portico e giù per le scale, vestendomi in fretta mentre scendevo. Sono entrato in +questa stanza e, nella semioscurità, al chiarore della lampada che sta ancora +gocciolando su quella tavola, ho visto quello che vedete. Boutades stava disteso +esattamente in questa posizione. +– Per quanto angosciato dalla sua morte e dal modo innaturale in cui era +avvenuta, ho visto subito che cosa doveva essere accaduto. Il mio povero zio +stava lavorando a quella tavola, di fronte alla finestra, e nel buio qualcuno deve +essere strisciato verso la finestra e deve averlo colpito. Mio zio evidentemente +era stato allarmato da qualcosa prima del colpo fatale: forse aveva udito un +rumore, o visto una faccia. È chiaro che dev’essersi alzato, e che il suono che mi +svegliò era indubbiamente un’esclamazione, unita al rumore dello sgabello +spinto indietro. A quel punto, l’assassino deve averlo colpito all’istante, +trapassandogli la gola, e Boutades è caduto dov’è disteso ora. Il tonfo che ho +sentito era la sua caduta. + Guardammo di nuovo Boutades che giaceva sul pavimento, coi piedi vicini +alla grande tavola, tra il suo corpo e la finestra. Cadavere, tavola e finestra erano +su una linea retta, e la tavola non doveva aver rappresentato un ostacolo per un +assalitore deciso ad uccidere un uomo mentre sedeva lì. Lo sgabello spinto +indietro era ancora dritto. Sulla tavola, una lampada ridotta agli sgoccioli +dell’olio dava gli ultimi bagliori, e tutto l’armamentario di tavolette e di stili non +era stato toccato. +– Che cos’hai fatto allora? – domandò Euticleide. +– Prima di tutto, naturalmente, sono corso presso mio zio per vedere se era +ancora in vita, ma era certamente spirato prima che io varcassi la porta. +– Che peccato che non abbia avuto tempo di indicare il suo assassino, – disse +uno dei cittadini accanto a me. +– Non avrebbe potuto dir molto, con una ferita di quel genere – ribatté +seccamente Euticleide. – E poi, Polignoto? +– Mentre guardavo il corpo di mio zio, stentando a credere ai miei occhi, mi è +parso di sentir qualcosa muoversi fuori dalla finestra. Sono corso lì e sono +riuscito a distinguere una forma oscura fuori, nel piccolo cortile. È stato allora +che mi son messo a gridare per dare l’allarme in casa, e stavo ancora gridando +quando Telemone è entrato con il portiere sinopeo. Ho gridato che mio zio era +stato ucciso e che l’assassino era lì fuori. Siamo usciti tutti dalla stanza correndo +attraverso il cortile verso il giardinetto interno. Proprio mentre passavamo il +cancello, abbiamo visto l’assassino saltare al di là del muro. Ho mandato lo +schiavo a rincorrerlo, e Telemone e io siamo ritornati da mio zio, in questa +stanza, voglio dire. La casa era in grande subbuglio, ma ho chiuso fuori le donne +e sono rimasto qui a piangere, a imprecare e a domandarmi che cosa fare. E a +questo punto, tu, Euticleide, e gli altri siete entrati a vedere la scena. +– Proprio così – disse Telemone. Era stato zitto per un tempo sorprendente, +ma ora la sua voce eccitata si faceva riudire. – Stavo venendo a visitare +Boutades, e lo schiavo mi aveva fatto entrare e mi stava accompagnando nel +cortile. Quando siamo giunti alla porta di casa, ho sentito il grido di Polignoto e +sono entrato in fretta, vedendo quello che tutti vediamo ora; e Polignoto stava +alla finestra e gridava: «Fermatelo! Fermatelo! All’assassino! Boutades è stato +ucciso!». Anch’io sono corso alla finestra, stando attento a evitare il corpo di +Boutades. Ho guardato fuori con Polignoto e ho visto una figura scura che si +muoveva fra gli alberi. +– Avreste dovuto correre fuori a fermarlo, invece di perder tempo a guardare +– osservò Euticleide. +– Ed è proprio questo che ho fatto – ribatté Telemone. – Siamo usciti tutti +subito, io, Polignoto e lo schiavo. Ero anzi il primo alla porta, ma Polignoto mi + ha sorpassato al cancello. Lui corre più svelto di me adesso; la mia gamba, +sapete… Polignoto è ancora giovane e si tiene allenato, benché io nella mia +giovinezza… +– Sì, sì, lo sappiamo – disse seccamente Euticleide. Nessun uomo giovane +avrebbe giudicato cortese interrompere Telemone, che dopo tutto era un patrizio; +ma Euticleide era suo coetaneo. Io credo che gli altri la pensassero come me, che +il vecchio sciancato avrebbe dovuto tirarsi da parte. Doveva avere impedito il +passo a Polignoto nel suo puerile tentativo di arrivare primo nel giardino. E cosa +avrebbe potuto fare contro un assassino robusto e pronto a tutto, se mai l’avesse +raggiunto, lui, Telemone, con la sua gracile corporatura? Fra tutti i presenti, +sembrava il meno colpito dall’orrore della situazione e assolutamente normale. +– Ma – aggiunse Telemone senza attendere altri incoraggiamenti – io +l’assassino l’ho visto, mentre saltava dal muro. Ci stava camminando sopra, +come fanno a volte i gatti o i cani, e poi è saltato giù e l’abbiamo sentito correre. +– Com’era? – domandai. +– Be’… era difficile distinguerlo con quella poca luce, signori, e i miei occhi +non sono più quelli d’una volta. Una forma scura, un po’ curva; un individuo +non molto alto, direi, ma neanche piccolo. Non grasso di certo, ma con ciò non +voglio dire esile. Ben messo. Agile. Probabilmente coi capelli scuri. +– Cosa indossava? +– Un lungo mantello, credo. +– Una tenuta poco adatta per arrampicarsi sui muri – dissi. +– Be’, potrebbe essere stato un mantello corto – ammise Telemone. – Forse +con una sciarpa di lana per mascherarsi la faccia. Non era nudo – esitò +Telemone, e si interruppe bruscamente. +– Basta – disse Euticleide. – Abbiamo sentito tutto quel che è possibile +sapere, e dobbiamo tornare al presente –. Evitando di guardarci in faccia, +tornammo a fissare gli occhi sul pavimento. Stranamente, mentre ascoltavamo +Polignoto e Telemone eravamo stati non distratti, ma in qualche modo sollevati. +Il rivedere gli eventi attraverso la mente ci aveva allontanati soltanto per un +momento dal ricordo del cadavere, a cui ora ritornavamo. +La luce era ormai molto chiara, e si scorgeva ogni dettaglio: il sangue che si +stava rapidamente disseccando sul pavimento, gli abiti e i capelli intrisi, il +riflesso vitreo dell’occhio, simile ad acqua congelata. La freccia sporgeva dritta +dalla gola di Boutades e gettava un’ombra, come di una piuma, sulla porta in +fondo alla stanza. L’ombra del corpo deforme, con la sua piuma solitaria, dava +l’impressione che Boutades stesse cercando di trasformarsi in un mostruoso +uccello. Come avrete intuito, era la freccia che rendeva tutta la scena così +terribile. Boutades era stato colpito da una freccia scoccata da un arco: questo + era innegabile, e tuttavia incredibile. Se fosse stato ucciso da un pugnale ci +sarebbe stato altrettanto sangue, Boutades sarebbe stato ugualmente morto, ma la +cosa sarebbe apparsa più normale, più comprensibile. Qualsiasi cittadino +ateniese può avere una spada o un pugnale, ma non un arco! +L’arco non è un’arma comune per gli Ateniesi. Nelle mani d’Artemide e di +Apollo appare, come ogni altra cosa che li riguardi, divino, misterioso e forse +anche simbolico. Nelle mani dei barbari è rozzo, grottesco, sporco e disgustoso. +Le guardie scite portano l’arco, nella loro qualità di schiavi dello stato con un +lavoro gravoso da fare. Ma a parte questo, l’arco non appartiene al mondo della +vita comune. Un uomo colpito da una freccia ad Atene è uno spettacolo raro +quanto lo sarebbe la vista del Minotauro. Se ci fossero presentati tutti i delitti +degli ultimi cent’anni, senza dubbio troveremmo una quantità d’assassinii con le +più svariate armi, ma difficilmente un omicidio compiuto con arco e frecce. +Così non c’era da meravigliarsi se Polignoto appariva smorto e tremava, se +Euticleide aveva la faccia color cenere, se io stesso sentivo il sudore scorrermi +dietro le ginocchia. Anche l’uomo più coraggioso può essere sconvolto dalla +vista d’una morte violenta: a maggior ragione da una morte strana come questa. +Mentre seguitavo a guardare, lo stupore della scena diveniva più impressionante +che non il suo carattere cruento. Notai per la prima volta che la parete di fronte a +me, dietro Polignoto ed Euticleide, e al di là di un tavolino ornamentale, era +affrescata. Il soggetto era innocentemente sensuale: un Apollo dall’aria languida +che inseguiva Dafne in un boschetto. Mi venne fatto di chiedermi se lo stesso +dio, al primo brillare dei suoi raggi quella mattina, non avesse abbattuto +Boutades con un divino strale, rimasto infisso in lui sotto la forma d’una freccia +terrestre, per confondere gli uomini e gettare una misteriosa infamia sopra la +città. Allora rabbrividii, perché se quella casa era sotto la maledizione d’un dio +potente, sarebbe stato follia opporsi al suo giudizio, e temerità simpatizzare +troppo. Mi aggrappai mentalmente al racconto di Polignoto e di Telemone +sull’uomo nel giardino, un assassino in forma umana. Un dio non aveva bisogno +di arrampicarsi sul muro come un ladro. +Euticleide si mostrò più forte di me, che mi perdevo in fantasticherie. – Vieni, +Polignoto – disse. – Dobbiamo compiere alcuni doveri per il nostro parente, +prima che sia lavato e preparato. Sull’uccisore si farà vendetta, e lo spirito offeso +di Boutades potrà riposare in pace. Prima lasciatemi fare quel che va fatto. +Euticleide si inginocchiò presso il cadavere, e con un gesto coraggioso +strappò decisamente la freccia dalla carne in cui s’era conficcata, penetrando fin +quasi in fondo al collo. La testa di Boutades, con i capelli incrostati di sangue e +simili a orribili spaghi coperti di pece, ciondolò annuendo, in una parodia di +saggezza. Vidi che Euticleide aveva il viso contratto mentre infliggeva una + nuova offesa a quella carne insensibile per toglierne l’osceno strumento di +morte. Polignoto, vedendo l’orribile arnese tra le mani del suo amico, si mise a +tremare. – Ahimè! Ahimè! La casa è maledetta! +– Suvvia, Polignoto – disse Euticleide. – Chiudiamogli gli occhi. +Polignoto s’inginocchiò rigidamente presso il cadavere e gli chiuse l’occhio +destro, mentre Euticleide chiudeva il sinistro. Sentivo Euticleide respirare +pesantemente: la mano e il braccio di Polignoto si muovevano come pezzi di +legno. Poi furono chiamati degli schiavi che portarono via il cadavere di +Boutades. Uno dei due schiavi era quello che avevo visto nel cortile; adesso si +era calmato, e se ne stava muto come un uomo al culmine di una sbornia. Essi +sollevarono il cadavere, e i loro piedi nudi tracciarono strane impronte e disegni +nel sangue che copriva il pavimento, come se camminassero sulla vernice. Colsi +un vivido scorcio dei piedi di Boutades: mentre lo sollevavano erano quasi allo +stesso livello dei miei occhi. Portava delle pianelle da casa, come fanno a volte i +vecchi per proteggersi i piedi dal freddo dei pavimenti, e queste pianelle erano di +un morbidissimo cuoio color sabbia; ma ora i piedi erano coperti di sangue, e il +cuoio era diventato di un color ruggine brillante, essendo inzuppato fino alla +suola. Pensai oziosamente: «Peccato che siano andate sciupate delle così belle +pianelle», quasi rammaricandomi che Boutades non avesse incontrato la morte in +una tenuta più economica. +Gli schiavi si avviarono lentamente alla porta, portando il loro triste fardello. +Li guardai passare presso la grande anfora da vino che stava vicino alla porta. +Una di quelle enormi anfore ornamentali, con il collo lungo e la pancia grande, +adorna di una stravagante scena di Baccanale, e pensai: «Povero Boutades, +niente più vino». Sembrava una cosa patetica morire lasciando tanta ricchezza. +Polignoto aveva l’aria stranita. Euticleide rimaneva pieno di dignità. – Signori +– disse – voi tutti avete visto e sentito abbastanza per fare da testimoni, se sarete +chiamati a farlo. Mi assicurerò che l’arconte sia informato, e così pure i capi +della tribù, della fratrìa e del demo. Ad ogni modo, prima di tutto devo aspettare +il ritorno dello schiavo che è stato mandato all’inseguimento. Sono certo, +signori, di potermi rivolgere a voi per avere appoggio. Potete lasciare questa casa +di dolore. +Gettammo un ultimo sguardo alla stanza, ancora imbrattata dal sangue +dell’orribile delitto di quella mattina. Adesso la luce del sole illuminava ogni +cosa: i brillanti colori dell’affresco dietro il tavolino intagliato, la scrivania con +le tavolette e gli stili, la tavola con il vaso dietro di me, la pomposa anfora +accanto al portale scolpito. La stanza illuminata dal sole sembrava dire: «Gioite +delle bellezze del presente», mentre la macchia scura sul pavimento replicava: +«La vita è breve». + Uscimmo in silenzio nel cortile, ma appena fuori diventammo più loquaci. Ci +occorreva dell’acqua per le abluzioni rituali, per purificarci del contatto con la +morte. La maggior parte di noi era ancora a digiuno. Eppure sembrava non +avessimo voglia di separarci. +– Posso mostrarvi il giardino interno – disse Telemone – e il punto esatto +dove l’assassino saltò giù dal muro. +Ci fu un mormorìo d’interesse e quasi tutti seguimmo Telemone. Il giardino +non era un granché: un giardino di città, con alcuni alberi da frutto e delle piante +in vaso. Una parte era stata isolata con un muretto, perché le donne di casa e le +schiave ci facessero il bucato. +– Ecco – disse Telemone. – Io ero laggiù, e poi sono corso qui, e Polignoto +era proprio accanto a me; e quello è il punto del muro dove abbiamo visto +l’assassino. Solo per un momento, quanto ci vuole perché l’orologio ad acqua +lasci cadere una goccia. E qui – aggiunse, volgendosi dal muro verso la casa – è +il luogo dove l’assassino deve essersi appostato, appena un po’ discosto dalla +finestra –. Andammo da quella parte ed esaminammo il terreno davanti alla +finestra. Rimasi stupito che nessuno di noi sapesse a quale distanza avesse +dovuto mettersi l’assassino per mandare a segno la freccia. Mi guardai intorno +nella polvere in cerca di impronte dell’assassino: solo se fosse stato un dio o un +demonio non avrebbe lasciato orme. Ma la polvere secca e i ciuffi di erba ruvida +erano ormai calpestati dal nostro gruppo, e così non ebbi modo di accertarmi che +l’assassino fosse un essere umano. +Tuttavia, una cosa la vidi mentre scrutavo a terra. Era un piccolo oggetto, +bruno ma lucido. Lo raccolsi. Era un pezzo di corno con una scheggia di legno +infissa nell’estremità più grande. +– Un corno di montone – disse Telemone senza molto interesse. – Come avrà +fatto un montone a perdere un corno qui? +– Non lo toccate! – disse uno del gruppo, timorosamente. – Potrebbe essere +l’amuleto pagano di uno schiavo forestiero e portarci sfortuna. +Si sentirono dei passi pesanti nel cortile; poi un giovane schiavo entrò nel +giardinetto, un ragazzo snello, dai capelli rossi, sui quattordici anni. Si guardò +attorno, sperando evidentemente di trovare il suo nuovo padrone. Ansava come +un mantice. +– Ho corso – disse con il fiato corto a Telemone. – Ho corso quanto ho +potuto, per un lungo tratto, ma non sono riuscito a prenderlo –. Gli tremava la +voce, e il sudore gli scorreva sulla faccia smorta, lasciando solchi polverosi. +Anche i capelli, tinti alla maniera dei barbari, erano madidi di sudore. +– Oh, cielo – gemette Telemone – un’altra speranza perduta. +– Disgraziato imbecille! – imprecò uno dei presenti. + – Ho tentato – balbettò lo schiavo, seguitando a rivolgersi a Telemone. – Vi +prego di dire… al mio nuovo padrone… che ho fatto del mio meglio. +– Via di qui, cane pidocchioso, e va’ a dirglielo tu stesso – replicò uno dei +cittadini. – Non è qui il tuo padrone. Torna in casa e renditi utile. +– Vieni qua – mi intromisi mentre lo schiavo stava lentamente avviandosi. – +Da’ questo al tuo padrone e digli che l’abbiamo trovato sotto la finestra. +Prese l’oggetto senza guardarlo e se ne andò a passi lenti, con le spalle curve. +– Mi sembra spaventato – dissi all’uomo che aveva esaminato il frammento di +corno. +– Non mi stupisce – replicò lui. – Quel cane potrà dirsi fortunato se se la cava +con una buona frustata. Lasciar scappare l’assassino del suo padrone! Bella +riconoscenza! +– Proprio così – approvò un altro. – Sono tutti fannulloni. Dubito che abbia +seguitato a correre appena fuori di vista. +– È vero: tutta apparenza. Dagli un dito e ti prendono il braccio –. Le +consuete osservazioni sull’argomento si levavano da ogni parte. +– Anche peggio – disse uno. – Può avere fatto parte del complotto sin +dall’inizio, e così l’inseguimento non è stato che una finzione prestabilita. +Si udirono enfatici consensi. +– Può avere colpito lui stesso il suo padrone. È uno sporco Sinopèo. Avete +sentito il suo accento. Barbaro! +– Ma non può essere stato lui a commettere l’omicidio – obiettai. – Era di +guardia alla porta principale quando arrivò Telemone, proprio al momento del +delitto. +– Lo dici tu – replicò l’uomo che per primo aveva formulato il sospetto +lanciandomi un’occhiata offesa. – Ma se è uno che corre così veloce… +– Ben detto – rispose un altro. – Vedrò che ne sia informata la fratrìa: lo +schiavo dovrà essere sentito alla prima udienza. +Questo dignitario lasciò il giardino e gli altri lo seguirono, la maggioranza già +conquistata dall’idea della colpevolezza dello schiavo. Io mi trattenni, +lasciandoli partire senza di me, perché intuivo di essermi reso impopolare. Stavo +ritrovando i miei sensi, ivi incluso il senso sociale. Tornai a guardare per terra, +dove avevo trovato il frammento di corno, domandandomi se ve ne fosse un +altro. Non c’era, ma vidi un debole luccichìo: mi chinai e raccolsi una minuscola +e stretta scheggia di ceramica. Un pezzettino di un vaso rotto, non molto +interessante. Non vi erano sopra dei frammenti di decorazione. Scalfito su un +lato, tuttavia, c’era un piccolo segno, che raggiungeva gli orli irregolari e +spezzati della scheggia, una minuscola croce, forse il contrassegno d’un vasaio. +Lasciai il giardino e mi incamminai fuori dal cortile dietro gli altri, seguitando a + giocherellare distrattamente con il pezzetto di ceramica, come a volte si fa con +dei chicchi o dei sassolini. Era una mattina calda di sole. Ma io mi sentivo stanco +come se avessi già vissuto e faticato per un giorno intero. + III +Canti funebri e accuse + + + + + +Arrivato a casa mi purificai con l’acqua. Non dissi niente alla famiglia di +quanto avevo visto, e uscii come al solito. Era l’ora in cui il mercato è pieno. +Dopo l’oscuro e violento inizio del giorno, era rassicurante trovare la solita ressa +di venditori e compratori sotto i portici, vedere gl’immancabili articoli – cuoio, +pesce, fichi – abbondanti come sempre, e sentire il vasaio al tornio e il fabbro +fuligginoso al suo rimbombante lavoro. I suoni erano piacevoli al mio orecchio, +e così i richiami: «Pentole, pentole da cucina, un’occasione!» e «Miele, puro +miele dell’Imetto!». Il tutto misto al brusìo di cento conversazioni e di varie +animate dispute. «Due oboli per un paio di pantofole pidocchiose? Mi prendi per +un imbecille, figlio di un fetido maiale?» grida uno schiavo di campagna, mentre +vicino a lui un ricco cittadino replica animatamente al suo compagno, +«Cinquecento dracme per una baracca e quel pezzo di terreno invaso dalle +erbacce? Sii ragionevole!». All’interno di un mercato, gli affari e il piacere di +vivere pare non perdano mai la loro importanza. È inutile cercarvi saggi consigli, +ma vi si può trovare gente operosa, gran varietà di merci e qualche attimo di +svago dai nostri crucci. Anche in quel luogo brulicante di vita, tuttavia, Boutades +faceva sentire la sua mortale presenza. Quando lasciai i portici e mi avviai sul +selciato dell’agorà, trovai i cittadini nelle loro linde tuniche bianche intenti come +al solito a passeggiare e chiacchierare, ma invece della consueta varietà +d’argomenti, ogni gruppo a cui m’avvicinai non sembrava parlare d’altro che di +Boutades. Sebbene fossi stato presente nella stanza dove era stato scoperto il +delitto, provavo una specie di riluttanza a parlarne. Telemone era molto in vista: +seguitava a ripetere la sua versione dei fatti fino a farsi venire la gola secca, e +allora lo spingevano verso le bancarelle sotto i portici e gli rinfrescavano la +lingua col vino. +C’era un senso di tensione nell’aria, come quando le corde d’una lira sono +troppo tese, e più d’uno sbirciava verso l’Acropoli, dove Atena troneggia sopra +la città. Si vedevano sbuffi di vapore scuro, il fumo dei sacrifici, ma questa vista +non bastava a liberarci dal timore. I nostri cuori erano pieni di paura: paura d’un +ignoto assassino che poteva aggirarsi per le nostre vie, pronto a colpire ancora, e +un’altra paura, più grave anche se meno definita. Un omicidio contamina tutto: + l’assassino, la sua famiglia, la tribù, la fratrìa, e da ultimo anche la città, finché il +delitto non viene vendicato. Pur celebrando i consueti sacrifici, preghiere e +libagioni, noi saremmo potuti restare impuri e le nostre orazioni non essere altro +che oggetto di ludibrio. Atena stessa, la luminosa dea della saggezza e delle arti, +avrebbe potuto abbandonare per quest’offesa l’intera città finché non ci fossimo +purificati. +No, le conversazioni del mattino non erano allegre come al solito. Mi imbattei +in un gruppo che sembrava stesse parlando di teatro, e mi fermai ad ascoltare, +ma la conversazione tornò presto all’inevitabile argomento. +– Mi domando – disse uno – se Polignoto sarà corègo, adesso… Con il suo +povero zio appena morto? +– Ci sono ancora sette mesi prima delle Dionisiache – ribatté un altro. – C’è +abbastanza tempo… sempre che l’assassino venga preso e giustiziato prima di +allora –. Era ovvio che sarebbe sembrato indecoroso da parte di Polignoto +mettere in scena una rappresentazione mentre c’era in famiglia un delitto +impunito. +– Di sicuro nessun altro sarà ansioso di reclamare quest’onore… con tutto il +denaro che bisogna sborsare. Ci sarà una bella parata di musi lunghi e tasche +vuote, non credete? +– E poi – disse un giovane imberbe dai capelli biondi – Polignoto ha già +scelto il poeta: Keramia. Il dramma è quasi ultimato, e sperava di formare il coro +quanto prima. I fabbricanti di maschere e di costumi teatrali si aspettano un gran +da fare. Tutti pensano che Polignoto metterà in scena qualcosa di grosso, con +canti, danze e macchinari. +– Qual è il soggetto della rappresentazione? – domandò uno degli anziani. +– Ho sentito – disse un altro – che tratterà dell’istruzione. +– Uff! – commentò il suo interlocutore. – Una rappresentazione a fondo +morale. Spero ci sia qualche scena comica. A me piacciono le commedie +all’antica, con delle belle battute crude, vasi da notte, venditori di salsicce e cori +di pentole e padelle. Ad ogni modo non ero curioso di conoscere il tema della +rappresentazione: volevo sapere di cosa parla. +– Io lo so – disse il biondino. – Conosco uno che conosce Keramia. Parla di +Ercole e di Chirone. +– Uh! È di malaugurio. Ricordatevi la morte di Chirone. +La conversazione si congelò e il gruppo si sciolse. Io lasciai l’agorà e tornai ai +portici, ai gruppi che sghignazzavano intorno ai venditori di vino. Anche qui mi +accorsi che la musa della poesia suggeriva come argomento Boutades. Mentre +avanzavo lentamente tra la folla all’ombra dei portici, mi imbattei in un cantante +girovago, uno di quei poveri mendicanti cenciosi che fanno qualche soldo + celebrando le notizie del giorno in umili versi zoppicanti, sull’aria che intonano +le contadine portando i cavoli al mercato. Quest’uomo esercitava il suo mestiere +con voce roca ma robusta, cantando: + +Venite, o ateniesi, e fate cerchio attorno a me. +Orribili notizie vi porto, ma assai vere, perciò non dubitate di me. +Quest’oggi il glorioso ateniese Boutades fu ritrovato, +Ucciso da una freccia e in terra crollato. +Assassinato egli fu, ma non per via di spada o di coltello. +E il perfido assassino fuggì oltre il muro del giardino con un saltello. +Che gli dei lo maledicano e gli tolgano la vita +E spediscano l’infame nello Stige a peggior vita! +Boutades patì un’orribile morte, nella sua stanza, proprio là, +E senza arrecare torto alcuno fu spedito all’aldilà. +È morto assai stimato, cinquant’anni dopo essere nato, +Proprio all’alba, crudelmente assassinato. +Boutades fu trierarca, di un nobile demo ateniese, +Con tutti noi fece il suo dovere, come fu sempre palese. +Riposare in pace il suo spirito non può, perché Vendetta rivendica la sua preda, +Che l’assassino sia preso e torturato, e orribile morte infine veda. + +Erano misere rime messe insieme alla rinfusa, ma benché spesso mi fossi +divertito ad ascoltare questi venditori di rime zoppicanti, questa volta non ci +trovai nessun diletto. Venni via dall’agorà prima di mezzogiorno. + +Alla data stabilita mi recai, come tutti, a rendere omaggio alla salma di +Boutades. Il cortile che avevo frettolosamente attraversato la mattina del delitto +era adesso teatro d’una scena solenne; una dignitosa folla di cittadini vi era +radunata per rendere omaggio all’estinto. Dalla casa si udivano levarsi i lamenti +delle donne, insieme al suono dei flauti funebri. C’era una numerosa banda +musicale, in eleganti tenute. Polignoto, vestito a lutto, appariva triste e con gli +occhi gonfi, ma serbava un atteggiamento di mesta compostezza. Era circondato +da uomini della famiglia e membri della fratrìa. Fra loro c’era Euticleide. +Polignoto non fece attenzione a me, benché fossi stato fra i primi sulla scena del +delitto e l’avessi visto chiudere gli occhi a suo zio. +Boutades non fece caso a nessuno di noi. Era disteso su un bel giaciglio +intagliato, con i piedi rivolti verso il cancello. Aveva un aspetto molto migliore +di quando l’avevo visto l’ultima volta. Le donne avevano eseguito bene il loro +lugubre compito di lavare il cadavere, e Boutades, benché pallido, appariva +composto e sereno come se fosse morto nel suo letto. Il suo sudario bianco era +immacolato (quanto diverso dalla tunica con cui ci aveva ricevuto l’ultima +volta!) e le donne avevano diligentemente avvolto le pieghe di lana intorno alla + gola, cosicché non si vedeva alcuna ferita. Questa fasciatura insolitamente estesa +gli aveva spinto in alto il mento, dandogli una posa arrogante. Disteso lì, con +l’obolo di Caronte fra le labbra, sembrava quasi compiaciuto. Le donne gli +avevano adornato la fronte con le tradizionali foglie di vite, che aggiungevano +un tocco festaiolo stranamente in contrasto con il resto della sua tenuta. Povero +Boutades! Mi rammentai la grande anfora che non gli avrebbe più offerto da +bere. Mentre mi chinavo su di lui per l’ultimo addio, mi giungeva l’odore +d’origano e di miele caldo della focaccia dolce che teneva in mano e già si +scioglieva al sole. C’era anche il sottile ma inequivocabile sentore della morte. +Alcune mosche ronzavano intorno alle sue dita bianche e appiccicose di miele, +che non si sarebbero mai più levate a scacciarle. +Le prefiche intonarono un bel canto funebre. Cantavano di gusto, +probabilmente rincuorate da un abbondante rinfresco in cucina e da vistose +mance. Nessuno avrebbe potuto dire che Polignoto avesse organizzato per suo +zio un funerale da quattro soldi. Ogni cosa era fatta come si deve. Lo schiavo +mezzo idiota che avevo visto, ora apparentemente rientrato in sé, stava di +servizio all’entrata con aria di grande dignità, porgendo l’acqua per le abluzioni. +Tutta la cerimonia fu così normale e così ben condotta che mi sentii in +qualche modo sollevato dopo aver dato l’estremo addio, come se la vita potesse +ora tornare al suo ritmo ordinario. Una sensazione proprio da sciocchi. + +Non so se sia stato peggiore il giorno del delitto o quello del funerale. Benché +non me ne rendessi conto al momento, il giorno dell’omaggio alla salma di +Boutades costituì per me solo una breve pausa fra due catastrofi. +Quella sepoltura me la rammenterò finché vivo. Come tutti gli altri, mi alzai +di mattina presto per assistervi. La giornata, o meglio la notte, era fredda. +Benché le stelle brillassero ancora nel cielo, c’era un presagio di pioggia +nell’aria, come se le nuvole stessero addensandosi sul mare. +Il corpo di Boutades nella sua bara era trasportato da un carro. Probabilmente +gli amici non se l’erano sentita di portare sulle spalle il cadavere d’un +assassinato, il cui spirito irato sarebbe stato sospeso sulle loro teste. Ad ogni +modo, i membri della famiglia e della fratrìa vennero tutti, con Polignoto in testa +che impugnava una lancia. Tutti noi sapevamo che l’avrebbe portata, ma nel +vederla un ulteriore fremito di eccitazione, quasi di ilarità, si diffuse tra la folla. +Polignoto aveva un’aria molto cupa, come se fosse in partenza per la guerra. +Il corteo si mosse per le vie d’Atene. Nella bara, Boutades era chiaramente +visibile nella luce delle torce portate dagli schiavi; poi veniva il gruppo scuro +delle donne della famiglia, velate di nero, che seguivano la bara per fermare +l’anima di Boutades, qualora andasse alla deriva lungi dal corpo. Il cupo silenzio + delle strade notturne era lacerato dal chiarore delle torce e dalle voci lamentose. +Il corteo funebre, con tutti noi al seguito, si diresse attraverso Atene verso il +Kerameikos, e si fermò in una sezione del cimitero già occupata dai sepolcri dei +nobili e dei ricchi. Il riverbero delle torce balenava su alti monumenti, imponenti +steli funebri e marmi scolpiti, mentre il corpo di Boutades veniva deposto nella +fossa scavata di fresco. Fra gemiti e lamentazioni, la parentela e gli amici +gettarono i soliti oggetti nella tomba: vasi e figurine di terracotta, e persino un +anello d’oro brillò nel fugace bagliore delle torce, quando esse caddero come un +pesante scroscio di pioggia. Il becchino diede mano alla pala, e si udì il tonfo +sordo della terra che cadeva. Non c’era luna, e le stelle erano impallidite. Le +tenebre ingaggiavano battaglia con l’alba che avanzava, e sembravano infittirsi +invece di disperdersi. Quando la fossa fu riempita, cominciò a cadere una +pioggerella sottile. +Polignoto avanzò a lato della tomba. Gli schiavi alzarono le torce in modo +che la sua figura fosse l’unica chiaramente illuminata. Con la lancia in pugno, +profilandosi enorme e tremolante nel riverbero diffuso dalle fiaccole sfrigolanti +sullo sfondo dell’oscurità, Polignoto aveva l’aria d’un dio o d’un eroe da +palcoscenico. Un brivido di tensione e di freddo, a motivo della pioggia, +attraversò la folla. Questo era il momento che avrebbe reso quel funerale diverso +dalle sepolture ordinarie. Polignoto avrebbe fatto ora una dichiarazione solenne +contro gli ignoti autori del delitto, con una sfida e una minaccia all’anonimo +assassino, ammonendo lui o loro a tenersi alla larga da tutte le cose sacre e +legali. Questa diffida, diretta all’incognito omicida, che fosse o no fra di noi, era +una formula sacra pronunciata in unione con l’ombra dell’assassinato. Era +l’inizio d’una vendetta davanti agli dei e agli uomini, e l’uccisore senza volto, +dovunque fosse, si sarebbe sentito toccare da un dito invisibile. Ci aspettavamo +che la sfida di Polignoto fosse diretta contro l’anonimo e inafferrabile «autore +del delitto». Ma Polignoto ci sorprese tutti. +Egli alzò la sua lancia e cominciò a parlare. La sua voce chiara, profonda e +ben modulata risuonò decisa. +– Sulla tomba di mio zio Boutades, figlio di Boutades degli Etioboutadi, e in +presenza dell’ombra di Boutades, perfidamente assassinato, io, Polignoto, +proclamo davanti a voi che tu, Filemone, figlio di Likias di Atene, sei +l’assassino, e ti impongo di star lontano da tutte le cose sacre e legali, dall’acqua +consacrata, dal vino e dalle libagioni, dall’agorà, dai tribunali, dai templi e da +tutti i luoghi sacri! +Per poco non caddi sullo schiavo che reggeva la mia torcia. Stentavo a +credere d’aver udito bene. Mio cugino Filemone! «Ma è impossibile» mormorai +tra me. Quando riuscii a riprendere il controllo e mi tornò la piena coscienza, e + con essa la collera, per poco non mi misi a gridare «Tu menti!» e per poco non +corsi da Polignoto: volevo strappargli la lancia dalle mani e imporgli di ritirare +quelle parole false. Ma ebbi abbastanza buon senso da rendermi conto che +sarebbe stato un gesto delirante: l’avrebbero giudicato una profanazione, o +addirittura un’empietà. Il corteo funebre cominciò ad allontanarsi, e la folla a +disperdersi, mentre io ancora restavo lì, fra gli uomini che cercavano di coprirsi +il capo coi mantelli contro la pioggia insistente. Udivo intorno a me +esclamazioni eccitate. Nessuno venne a mostrarmi compassione oppure, cosa +che mi sarebbe stata più gradita, a condividere la mia collera. Quelli intorno a +me che sapevano chi ero, il parente più prossimo d’un uomo accusato del più +odioso crimine che Atene potesse rammentare, si allontanarono in fretta da me. +Eppure non potevo fare a meno di pensare che si trattasse di un errore, di una +confusione da incubo. Ma questa sensazione fu dissipata da un fatto +significativo. Polignoto con Euticleide e altri della parentela passò poco lontano +da me, e mentre s’incamminavano, Euticleide, con uno sguardo eloquente nella +mia direzione, disse a un cittadino che l’interrogava: +– Andiamo a presentare una formale accusa al Basileus, e prima che sia finita +la giornata potrete udire nell’agorà la proclamazione contro Filemone. + IV +In casa di Aristotele + + + + + +Mi avviai a casa vacillando, fradicio di pioggia e pieno di brividi. Alle donne +non dissi niente dell’accaduto. Durante il resto della mattinata ebbi modo di +ripensare agli eventi di quell’inquietante funerale, e mi rincuorai un po’ con la +speranza che il Basileus avrebbe respinto quest’assurda accusa. Ma questa +speranza svanì ben presto. Il Basileus comparve nell’agorà con Polignoto e i suoi +parenti, e la denuncia contro Filemone fu fatta prima di mezzogiorno. +Tutti lo sapevano adesso, e l’accusa legale significava che Filemone sarebbe +stato posto sicuramente sotto processo. Era inutile cercare di nascondere la +faccenda alle donne. Le notizie si diffondono presto attraverso le porte di +servizio, e le donne appresero la denuncia pubblica quasi contemporaneamente a +me. Ora bisognava affrontare la zia Eudossia. Venne da me tremante, in lacrime, +gettandosi ai miei piedi come una supplice. +– Oh, Stefanos, devi salvarlo! Adesso sei tu il capo della famiglia, tu puoi fare +qualcosa per ristabilire la giustizia. +L’aiutai a rialzarsi e a sedersi su uno sgabello, cercando di non farle male al +fianco malato che le doleva. Ma lei avrebbe anche potuto non farci caso, per via +del grande dolore che invadeva il suo corpo e la sua mente. +– Sì, sì – dissi in tono rassicurante accarezzandole una mano. – È un +tremendo errore che sarà presto chiarito. È una cosa assurda! Filemone è in esilio +da due anni. Non è ragionevole sospettare un uomo che non si trova nemmeno +qui! Questo lo capiranno tutti. Noi sappiamo che non sarebbe ragionevole +sospettarlo in nessun caso. Lui non lo farebbe mai, e noi sappiamo che non l’ha +fatto, e possiamo dimostrare che gli sarebbe stato impossibile farlo, anche se +dobbiamo aspettare la prima udienza; il Basileus allora annullerà l’accusa. Non +si arriverà neanche al processo. +Parlavo a me stesso non meno che a lei, e le mie parole sembravano +rinfrancarci entrambi. Eudossia si asciugò il viso e si ricompose per parlare. Si +aggrappava avidamente alle mie parole. +– «Non è ragionevole sospettare un uomo che non è qui». Devi dirglielo, +Stefanos. Devi mostrare al Basileus che sciocchezza è questa, di sospettare un +povero esiliato, così lontano. Oh povero il mio ragazzo, quando ti rivedrò? – + Riprese di nuovo a piangere. – Come hanno potuto macchiare il suo dolce nome +di un così odioso delitto? – Abbassò la voce e si chinò su di me. – So tutto del +delitto, sai, e anche tua madre è al corrente, benché tu abbia cercato di +nascondercelo. Gli schiavi non parlavano d’altro fin da quella mattina. Non ne +abbiamo parlato davanti a te perché abbiamo visto che eri sconvolto. Sapevamo +che eri stato in quella casa, e avremmo voluto domandarti notizie, ma ci è parso +che non volessi parlarne davanti al sacro focolare di Zeus. Ma ora devo +chiedertelo: tu c’eri, non è così? +– Sì – risposi, meravigliandomi dell’abilità delle donne nel nascondermi ogni +cosa. +– E allora si è parlato di Filemone? Per questo eri così abbattuto? Fin da +allora dicevano, o insinuavano, che fosse stato lui? +– No, zia Eudossia, niente di simile, te lo giuro sugli dei. Io non ero più +preoccupato degli altri, però avevo visto Boutades, e non era uno spettacolo +piacevole. +Esitai, ma lei mi guardava come in attesa che seguitassi. E così le parlai di +quella mattina e di ciò che era stato detto. Ascoltò attentamente, senza piangere. +In verità la sua replica mi sorprese. Sbuffò forte col naso, come una contadina, e +poi se lo soffiò. – È tutto qui? Se è così, non hanno niente: è come se avessero +estratto il suo nome da un’urna, a caso. Sono sicura che i familiari di Boutades +provano vergogna di una morte così orrenda in casa loro, e pensano che se +riescono a dar la colpa del delitto al primo che capita, allora la vendetta sarà fatta +e la città tirerà il fiato e potrà dimenticare. Hanno scelto il nome del mio povero +Filemone a causa della vecchia accusa di omicidio colposo; ma quello fu in una +rissa, Stefanos, e qui non c’è stato niente di simile, niente –. Gli occhi le si +riempirono nuovamente di lacrime. – Siamo tutti affidati a te, Stefanos, povero +ragazzo, così giovane. Fa’ che intendano la ragione. Noi ci faremo giustizia +anche se quella grande famiglia è contro di noi. Pensano di poter fare quello che +vogliono col nostro nome perché sono rimasti pochi uomini nella nostra casa, e il +mio povero Filemone è stato cacciato via. Ma tu sei un uomo, Stefanos, e sei +buono: gli dei ti ascolteranno e puniranno gli Etioboutadi per la loro falsa +testimonianza. +Si alzò, si asciugò gli occhi e s’avviò massiccia e dolorante verso la porta. +Prima di lasciarmi si volse e mi disse in tono quasi trionfante: – Sono stupidi, +Stefanos, non è vero? Come può un uomo che non è nemmeno qui commettere +un delitto? +Forse ero riuscito a confortarla. Quanto a me, non mi sentivo troppo sicuro, +benché seguitassi a ripetermi quello che ci eravamo detti: «Come può un uomo +che non è qui commettere un delitto?». Eudossia aveva ragione a dire che + c’erano pochi uomini in famiglia. Mio padre e mio zio erano morti, non avevo +fratelli adulti né cugini, eccetto il povero Filemone. C’era naturalmente la mia +fratrìa, ma nessuno degli uomini importanti che vi appartenevano era mio stretto +parente. Tutto dipendeva da me solo, e io non sapevo cosa fare. +Dopo una notte insonne, mi alzai e cercai di osservare le abitudini di una +giornata normale. Andai alle terme, e gli amici mi salutarono freddamente. +Andai alla palestra, e vi trovai tutti troppo occupati per unirsi a me in qualsiasi +gara. Andai all’agorà e i cittadini, al mio avvicinarsi, apparvero +improvvisamente assorti in conversazione. Al mercato udii delle esclamazioni da +parte della folla dei plebei e vidi persino un paio di gesti che non erano destinati +ai miei occhi. Erano gli scongiuri in uso tra la gente di campagna e gli schiavi +per stornare il malocchio al passaggio di una persona di fama sinistra. Tornai a +casa e cercai di leggere, ma nessun libro riusciva a fermare la mia attenzione. La +mia testa era tutta un dolore, simile al bruciore provocato da un profondo taglio +nella carne viva. +Alla sera non ce la facevo più a resistere. Sarei andato a parlare all’uomo che +ammiravo maggiormente nella mia città: l’uomo che, a dispetto del suo +prestigio, non mi avrebbe allontanato con fredda cortesia. Avevo bisogno di +schiarirmi la mente, avevo bisogno di una conversazione intelligente e di +consigli. Sarei andato a parlare ad Aristotele. + +Aristotele abitava in quell’epoca in una casetta vicina al Liceo. La casa non +era sua. Aristotele era straniero in Atene, un metèco, e nonostante il decreto +ufficiale che tre anni prima gli aveva conferito la cittadinanza onoraria, alcuni +non lo vedevano di buon occhio a motivo delle sue relazioni con i Macedoni. +Egli non poteva possedere alcuna proprietà. Di conseguenza, Platone non +avrebbe potuto lasciare a lui la vecchia Accademia. Inoltre, prima della morte +del suo maestro, Aristotele aveva dovuto lasciare Atene di gran corsa, perché il +conflitto con i Macedoni significava un’ostilità ancora maggiore nei confronti +dell’uomo di Stagira, la cui famiglia era protetta da Filippo il Macedone. +Aristotele era rimasto lontano per tredici anni. Era quindi impossibile che +Platone avesse lasciato a lui l’Accademia. Sottolineo questo per contraddire +delle voci maligne che circolano di questi tempi, e secondo le quali Platone e +Aristotele erano nemici, una volgare calunnia nei confronti di due grandi uomini. +Ho un ricordo assai vago di Platone: l’uomo canuto mi fu additato in +tenerissima età. Io avevo frequentato l’Accademia negli ultimi giorni del tedioso +governo di Speusippo. Quando Aristotele era tornato ad Atene e aveva aperto la +sua scuola, mi ero iscritto, e per un breve periodo avevo goduto un immenso +piacere intellettuale. Entrare in quella scuola dopo aver frequentato l’Accademia + di Platone era come vedere il cielo passare dal plumbeo al sereno. Avevo +conservato gli appunti presi durante le lezioni, e anche dopo il mio forzato ritiro +dal Liceo alla morte di mio padre tornavo a rileggerli di tanto in tanto, quando +volevo mantener viva la mia mente. +Sì, senza dubbio ammiravo molto Aristotele. Ma lui si sarebbe interessato a +me? Non ero stato uno studente di particolare talento. Probabilmente non si +sarebbe nemmeno rammentato chi ero. Mentre mi avvicinavo alla casa, mi +sentito spaventato della mia temerità. +Il domestico mi ricevette cortesemente e andò subito ad annunciarmi; poi +tornò a dire che il suo padrone era a tavola, ma che mi avrebbe ricevuto subito +dopo pranzo, e intanto mi condusse nella sala sul davanti ad aspettare. +Le voci provenienti dalla stanza accanto rivelavano che Aristotele stava +pranzando con sua moglie. Alcuni consideravano strano che Aristotele, +allontanatosi per tanto tempo dall’Accademia e sottrattosi alle conversazioni per +dedicarsi alle sue letture solitarie, traendo piacere apparentemente solo dal +mondo dei libri e delle dissertazioni filosofiche, fosse tornato in Atene +ammogliato, dopo lunghi anni d’assenza e di misteriose missioni diplomatiche in +terra straniera. E non solo, ma con una donna assolutamente diversa dal tipo di +moglie che ci s’immagina accanto ad un filosofo. Si era sposato all’estero con +Pitia, una donna straniera figlia di Hermias d’Atarneo. Della gente malevola +raccontava che Pitia fosse stata concubina di Hermias, e non sua figlia, ma io +non presterò mai fede a tali voci. I soliti pettegolezzi delle donne riferivano che +era carina, di pelle piuttosto bruna, pettinata alla moda forestiera, e che era una +brava massaia e di carattere riservato. Aveva dato a suo marito una sola figlia. +Mentre aspettavo nella piccola stanza confortevole, con la sua straordinaria +quantità di libri (Aristotele aveva libri di sua proprietà, e non due o tre soltanto, +ma una grande quantità, e li teneva in casa) cominciai a sentirmi nuovamente +depresso. Lo schiavo era stato piuttosto rispettoso. Doveva avermi preso per uno +dei giovani del Liceo venuto a riprendere qualche intricata discussione lasciata +interrotta a scuola; un promettente allievo di Aristotele, che senza difficoltà +sarebbe stato ricevuto a casa. Mi tornò in mente che Aristotele era stato subito +riconosciuto da Platone come il suo migliore allievo. Si diceva che Platone +chiamasse Aristotele «la Mente», e che rifiutasse di cominciare una lezione +prima del suo arrivo, dicendo «la Mente non è ancora tra noi». Noi studenti lo +consideravamo comico, e talvolta ci riferivamo ad Aristotele (ovviamente a sua +insaputa) come a «la Mente». Certamente nessuno avrebbe usato tale epiteto per +riferirsi a me, se non per mettermi apertamente in ridicolo. Ed ecco, invece di +essere un giovane gentiluomo colto venuto a conversare su elevati argomenti, +ero un visitatore non invitato, neanche più uno studente, ma un giovanotto in uno + stato tutt’altro che filosofico e anzi disastroso, che sperava di riversare i suoi +sordidi problemi personali sulle spalle del maestro. +La porta si aprì e Aristotele entrò. Il suo sorriso nel salutarmi non aveva nulla +dell’altezzoso rimprovero che mi ero indotto a temere. Mi sedetti dietro suo +invito mentre lui accomodava la sua persona ossuta, dopo essersi accuratamente +sistemato un cuscino dietro la schiena. +– Spero, signore – dissi esitante – che per grazia degli dei siate in buona +salute. +– Ottima – rispose allegramente. – A parte la sciatica. Un malanno comune +qui nell’Attica. Ma tu, Stefanos – aveva appuntato su di me gli occhi azzurri un +po’ infossati e mi scrutava attentamente in faccia – hai l’aria di uno che non ha +dormito. Sembri pieno di malanni attici. Credo di sapere perché sei venuto da +me. +– Ah! – risposi tristemente – non so bene neanch’io il perché, so solo che +devo parlare con qualcuno che abbia la mente lucida e possa mettere ordine nei +miei pensieri. Ma non si tratta di una questione filosofica. Forse neanche voi +vorreste parlare con me… +– So molto bene ciò che è accaduto – ribatté Aristotele con calma. – Non +sono poi così confinato nei boschetti dell’Accademia e nelle aule di lezione da +non sentire quel che avviene ad Atene. So che Boutades è stato assassinato e che +tuo cugino è sotto accusa. Ovviamente tu ti assumerai il compito di difenderlo. +Non è dunque naturale che tu sia venuto da me, tuo vecchio maestro di retorica e +di altre branche della filosofia? Una mossa molto sensata. Ed io – concluse +ridendo – non sono a un tale vertice di rispettabilità ad Atene da provare +imbarazzo nel parlare con te, se è questo che volevi dire. +Scosse il capo; la larga zona calva luccicava nel riverbero della lampada, che +accendeva riflessi anche nella frangia rossastra dei capelli superstiti. Aveva un +po’ l’aspetto di uno spirito del fuoco, e certo non appariva particolarmente +rispettabile. Pensai tra me: «Questo è probabilmente il mio migliore amico in +tutta Atene». +– Capisco – seguitò Aristotele in tono più profondo – il dolore che questa +situazione ti causa. Ma hai torto a pensare che il tuo non sia un problema da +filosofi. Il timore, il dolore, la collera sono emozioni naturali per le bestie, per gli +uomini e persino, a quanto ci dicono, per gli dei. Ma l’animale umano si sforza +di superarle mediante il ragionamento, che è il migliore e più efficace rimedio +contro il male che sia stato dato ai mortali. Adopera dunque la tua mente. Ma +prima ci vuole un po’ di vino, per confortarti il cuore. Berremo mentre +discorriamo. +– Ora – disse, dopo che fu portato il vino e si fecero le libagioni – parlami, e + racconta con ordine tutto quello che sai. Esponi la questione come se si trattasse +di un problema di geometria. +Gli raccontai quanto era accaduto, come l’avevo riferito a Eudossia, ma con +maggiore chiarezza. Gli dissi della mia presenza in casa di Boutades e della vista +del cadavere; gli riferii il più fedelmente possibile quello che avevano detto +Telemone e Polignoto, la nostra uscita nel cortile e il rinvenimento del pezzetto +di corno. Ascoltò attentamente, e insistette perché gli descrivessi questo oggetto. +– Ah! – disse poi. – So che cos’è. È l’estremità di un arco cretese. Sono +piuttosto rozzi come arnesi, ma abbastanza funzionali, a quanto pare. Filemone è +stato a Creta? +– Sì – risposi tristemente. – Quando lasciò Atene per la prima volta, era a +bordo di una nave da trasporto carica di grano e diretta a Creta. Lo sanno tutti. +– Davvero? – disse Aristotele. – Allora questo è un punto che ovviamente +sarà usato dall’accusa. Non prendere quell’aria depressa, Stefanos, dobbiamo +considerare tutti i fatti, ed è un rètore da poco quello che va a discutere un caso +davanti alla legge senza prevedere cosa diranno gli oppositori. Dobbiamo +conoscere i fatti fin dove è possibile. È una cattiva politica restare esposti alle +sorprese. La realtà è quello che è. Ti assicuro, Stefanos, che non ti tradirò, né ho +intenzione di parlare con altri di quello che mi dici, ma devo chiedertelo: è +ritornato Filemone? Si trovava qui in Atene? Perdonami, ma solo la verità può +aiutarci in questo momento. +– No – risposi sdegnato. – Io so che non è venuto ad Atene neanche una volta +negli ultimi due anni. Se fosse stato qui, me l’avrebbe fatto sapere. O almeno, se +non a me, certamente a zia Eudossia. Sarebbe andato a trovarla: è sua madre ed è +ammalata. E io so che non lo ha fatto. +Riferii poi ad Aristotele la conversazione con mia zia. +– Zia Eudossia pensa – conclusi – che la famiglia di Boutades desideri solo +vendicarsi il più presto possibile, e abbia tirato fuori a caso il nome di Filemone +solo perché mio cugino è di famiglia modesta, non è ricco, e ha quella vecchia +accusa di omicidio colposo appiccicata addosso. +– È una donna saggia – rispose Aristotele. – Ho un grande rispetto per tua zia +Eudossia. +– E soprattutto – continuai – zia Eudossia ed io conosciamo bene Filemone. +Noi sappiamo che non farebbe una cosa così odiosa, nemmeno per impadronirsi +del governo, e forse neppure per salvarsi dalla morte. +Aristotele scosse il capo. – Questo non serve granché, in un tribunale, salvo +forse nell’Ade, ma lì si presume che la verità non necessiti di alcuna +dimostrazione e che la retorica sia inutile. Non ti ho posto questa domanda per +scoraggiarti, ma perché in questo momento stiamo cercando di pensare come + rètori e uomini di legge. Per quel che riguarda tuo cugino, tu hai la modesta +consolazione di sapere che Filemone è in esilio e tuttora assente da Atene; +perciò, qualunque sia l’esito del processo, non possono infliggergli la pena +capitale. La sua vita è al sicuro finché sta lontano da Atene. Come pensi +d’avvertirlo? +– Non ho modo di farlo. Vorrei tanto averne la possibilità. Se solo sapessi +dov’è! Forse gli capiterà di sentire di questa calunnia dovunque si trovi, benché +mi rincresca pensare che una notizia così amara gli giunga mentre è così solo e +lontano. +Aristotele sorseggiava il vino, fissando il fuoco. +– Bene – disse energicamente – noi vogliamo partire dall’ipotesi che +Filemone non sia colpevole. Questa è la base della tua difesa. La discussione +procederà lungo le linee suggerite dalla tua buona zia: Filemone non si trovava +qui e perciò non ha potuto commettere il fatto. Ma c’è un corollario della tua +prima ipotesi che conduce a un argomento più interessante. Dopo tutto, la prova +addotta da Eudossia è solo un sostegno della tua ipotesi, non una dimostrazione. +Finché tiene, ha valore assoluto; ma anche se questo punto d’appoggio dovesse +essere rovesciato, la tua ipotesi potrebbe ancora essere vera. Se la prendiamo per +vera, il corollario potrebbe essere dimostrato. Se Filemone non ha commesso il +delitto, è stato qualcuno che non è Filemone a commetterlo. Qualcuno ha +effettivamente ucciso Boutades. Considerato obiettivamente, questo è il punto +più interessante. Trova chi ha ucciso Boutades e prova che questa persona lo ha +fatto, e il tuo teorema è dimostrato. Dipende da te, prima del processo, +individuare chi ha ucciso Boutades, come pure trovare dei testimoni che +dimostrino l’assenza di Filemone. +– Da me? – balbettai mentre il vino m’andava per traverso. – Ma è una fatica +da Ercole. Trovare un assassino vagante, che si muove come il vento della notte? +Chiunque l’abbia fatto può essersene andato dovunque nel mondo, e il suo +delitto è noto soltanto a lui e agli dei. Che probabilità di trovarlo posso avere in +questi pochi giorni? +– Non ho detto che si possa fare con certezza – replicò Aristotele. – Ma +potrebbe essere fatto. E un po’ di tempo ce l’hai, Stefanos. Perciò… guarda –. +Alzò quattro dita. – Alla prima prodicasìa – disse, toccandosi il mignolo – +incontrerai il Basileus e gli accusatori per la prima udienza, che avverrà fra +poche settimane, cioè tra poco, alla fine di questo mese. Ma poi – e si toccò +l’anulare – c’è un mese fra questa e la seconda prodicasìa. Un altro mese – ed +era arrivato al medio – prima della terza prodicasìa. E poi ancora un mese prima +del processo –. Agitò l’indice nella mia direzione. – Ci sono quasi quattro mesi, +Stefanos. Il sole adesso è ancora ardente, e le giornate sono calde. Ma quando si + terrà il processo saremo a metà dell’inverno. Si possono fare molte cose nello +spazio di quattro mesi, e anche di tre. +– Cosa dovrei cercare di sapere? Cosa dovrei fare? – domandai. Mi sentivo un +idiota, come uno studente che sta sempre a chiedere «Cosa devo leggere? Su +cosa devo riflettere? Come comincio? Come vado avanti?». +Aristotele si limitò a farmi un sorriso incoraggiante e a versarmi dell’altro +vino. – Anzitutto bisogna smettere di allontanarsi dal punto principale. +Dobbiamo tornare al fatto più importante, cioè al delitto. La tua descrizione di +quella mattina è molto interessante, Stefanos, e ben detta, anche. È un vantaggio +per la difesa che noi sappiamo non ciò che è realmente accaduto, ma sempre di +più che se tu non ti fossi trovato sul posto. C’è anche uno svantaggio nel fatto di +esserci stato, e devo fartelo rilevare. Se Polignoto e la sua tribù lo vogliono, +possono asserire che tu eri d’accordo con Filemone e squalificarti come suo +difensore. Non credo che lo faranno. Qualcuno deve pure assumersi la difesa, e +sarebbe di maggior credito per loro, dal loro punto di vista, sconfiggere un +parente dell’accusato, un autentico difensore. In ogni caso, presumo che gli +eventi di quella mattina dal momento del tuo arrivo non saranno messi in +discussione. Il nome di Filemone in quei momenti non è stato menzionato: penso +che tu possa trovare dei testimoni su questo punto. +Aristotele rifletté un momento; poi scosse il capo con aria contrariata. I suoi +capelli rossi e la barba striata d’argento splendevano come punteggiati di +scintille. – Santo cielo – disse. – Avrei voluto trovarmici anch’io in quella +stanza. +– Dubitate delle mie parole? – domandai, piuttosto offeso. +– No, no. Ma ciascuno nota cose diverse, e molte parole confondono la vista. +Quando ti riferiscono un avvenimento, ricordati sempre che tu non eri lì a +vedere. Alcuni di quelli entrati nella stanza con te in questo momento staranno +andandosene in giro a dire delle sciocchezze come: «Io ero presente quando +Boutades fu assassinato», il che è un’espressione imprecisa e gratuita. Nessuno +era presente in quel momento, salvo l’assassino. Nessuno di voi, eccetto +Polignoto, era presente alla prima scoperta del cadavere. Anche degli uomini +riflessivi possono dire che erano «praticamente lì», ma non sanno altro se non +quello che ricordano d’aver sentito da qualcuno. Tu che cos’hai visto realmente? +Descrivi la stanza e gli oggetti che vi si trovavano. +Obbedii. +– In che posizione giaceva Boutades quando l’hai visto? Com’era entrata la +freccia? +Spiegai anche questo, additando il punto nella mia gola, non senza un lieve +brivido. + – Ah! La grossa vena della gola, la giugulare – disse Aristotele allegramente. +– Un bel colpo, davvero. E molto sangue, mi hai detto? Povero Boutades, con i +suoi conti non terminati, sparsi lì sulla tavola, e coperti di sangue… +– No – protestai. – Non c’era sangue sulla tavola, di questo sono sicuro. Ma +ce n’era molto sul pavimento, una gran quantità. Aveva persino inzuppato le +pianelle di Boutades. E i capelli avevano cambiato colore tanto erano intrisi. +– Che buona memoria. Sei un osservatore, io mi ero immaginato che ci fosse +del sangue sulla tavola. Devo prenderne nota. +E ne prese nota effettivamente, scarabocchiando qualcosa con il suo stilo su +una tavoletta incerata. Notò anche il mio sguardo interrogativo. +– Non metterò per iscritto nulla che possa mettere chiunque sull’avviso – mi +disse, in tono rassicurante. – Ma annoto sempre tutto. Dev’essere un fatto +nervoso, ma è sempre meglio che rosicchiarsi le unghie, e conferisce un’aria +saggia. È un vero piacere esser considerati saggi, e garantisce un certo potere +sugli altri senza troppo sforzo. Ma continua la tua esposizione dei fatti. +Dov’erano più macchiate le pianelle di Boutades? +– Dappertutto, ma specialmente i tacchi. +– «Non giunse coi piedi asciutti sulle rive dello Stige», – recitò Aristotele +citando un’elegia. – Hai davvero l’occhio fino. E dimmi, il cadavere sanguinava +ancora quando l’hai visto? O il sangue era rappreso, color ruggine? +– Sanguinava ancora quando entrai – dissi rammentando la scena. – Vidi una +goccia che gli scendeva giù per la gola. Ma quando lasciammo la stanza il +sangue si era fermato e cominciava a disseccarsi, e anche la pozza sul +pavimento. +Questo genere di discorsi mi dava fastidio allo stomaco, ma Aristotele +sembrava trovarci un interesse vivido e impersonale, come se stessimo +discorrendo delle proporzioni d’un triangolo invece che del cadavere d’un uomo. +Mi rammentai che suo padre era un medico, e che il filosofo stesso, discendente +d’Esculapio, era pratico di medicina. Immagino che i medici abbiano sempre +questo atteggiamento distaccato riguardo al corpo e alle sue funzioni, un +atteggiamento che la maggioranza degli altri non condivide. +– Vorrei aver visto il cadavere – osservò Aristotele pensosamente. – Sì, la +morte di Boutades è molto interessante. Perché è morto? L’uomo colpisce il suo +simile per quattro motivi fondamentali: per caso, per impulso, per abitudine, o +per intenzione. Non può esser stato un caso, a meno che l’assassino intendesse +uccidere qualcun altro e abbia commesso un errore. Possibile ma improbabile. +Abitudine certamente no. L’abitudine di ammazzare gente all’alba con arco e +frecce sarebbe troppo vistosa come eccentricità. Impulso sì, l’assassino può +essere stato spinto a commettere il delitto dal suo vero ideatore. Il che mi porta al + quarto motivo, perché chiunque abbia ideato questo delitto, sia stata sua o no la +mano che ha colpito, voleva che Boutades morisse. +– Può essersi trattato d’un pazzo – obiettai. +– Sì, un desiderio irrazionale della morte d’un uomo è anch’esso possibile. I +moventi irrazionali sono più difficili da enucleare, sebbene spesso finiscano col +sembrare razionali una volta che siano sviscerati. L’uomo irrazionale, che recita +una parte davanti alla propria mente, vede nella sua vittima un nemico dello +Stato, o l’assassino di suo padre, o qualcuno che congiura contro lui stesso. Di +solito lo squilibrato si tradisce con discorsi incoerenti. Per quel che ne sappiamo, +l’accusa può sostenere che Filemone ha ucciso Boutades in un accesso di follia. +– Allora, tutto quel che potremmo fare – replicai – sarebbe presentare delle +prove che dimostrino che mio cugino è sano di mente. Ma non ce n’è bisogno, +dal momento che abbiamo solo da dimostrare che Filemone non era qui. +– La prova della zia Eudossia. Sì –. Aristotele aggrottò la fronte. – Dimostrare +una negazione, sempre una negazione! Filemone non era qui, Filemone non è +pazzo, Filemone non aveva un motivo razionale… È sempre difficile dimostrare +le negazioni. Torniamo a Boutades e al perché è morto. È più probabile che il +desiderio della sua morte sia stato razionale. Approssimativamente ci possono +essere tre tipi di desiderio razionale in un caso simile. Desiderio di vendetta, di +difesa o di guadagno, e cioè collera, paura o avidità. Tre passioni potenti. +Boutades è interessante ora che è cadavere, ma era altrettanto interessante da +vivo? Dev’esserlo stato, perché con molta probabilità qualcuno lo ha odiato +abbastanza da ucciderlo. Credo si possa ben dire che il preferire le ricchezze di +un uomo alla sua vita possa definirsi odio. Boutades era un personaggio in vista. +Tu ed io abbiamo cominciato a discorrere stasera come se il protagonista della +nostra conversazione fosse Filemone; ma se tu hai detto il vero, non è affatto lui +il personaggio centrale. È molto meglio considerare Boutades come nostro +personaggio centrale. Come tale, merita attenzione. Ricordi a scuola quelle +esercitazioni di retorica in cui ti si chiedeva di pronunciare un’orazione sulle +qualità, le azioni e il carattere di un personaggio letterario? Per come la vedo io, +in questo momento tu saresti perfettamente in grado di pronunciare un’orazione +piena di osservazioni acute sul saggio Ulisse, o sul lascivo e brutale Egisto. +Tuttavia, in questo momento Boutades conta molto di più di costoro, quindi cosa +sapresti dirmi del suo carattere, delle sue azioni e delle sue qualità? +Mi ritrovai a rispondere: + +Boutades fu trierarca, di un nobile demo ateniese, +Con tutti noi fece il suo dovere, come fu sempre palese. + + – Che vai dicendo? +Come un idiota ripetei ad Aristotele tutta l’assurda ballata che avevo sentito +nell’agorà. Senza che lo volessi, mi era rimasta impressa nella mente. Aristotele +ne parve assai divertito. +– Molto graziosa. Concisa e inesatta come lo sono di solito la poesia e la +storia. Ma è vero che un assassino è stato visto fuggire al di là del muro? «È +morto assai stimato», ma davvero lo stimavano tutti? Ha fatto davvero il suo +dovere con tutti noi? Cosa ha fatto? E cosa non ha fatto? Potremmo procedere +ipotizzando che qualche aspetto della sua vita ne abbia causato la morte. +– Non so come ottenere informazioni su di lui – obiettai. – Non sarebbe certo +possibile per me interrogare i familiari. +– È vero. Ma la casa di una persona somiglia più ad un setaccio che ad un +vaso tappato. La vita di chi vi abita viene filtrata, e ogni tanto qualche grano +sfugge da una parte o dall’altra. Un grosso personaggio come Boutades non vive +senza lasciare tracce. La cosa migliore è che tu tenga occhi e orecchie aperti. +Vedi cosa riesci a scoprire di lui – dell’uomo vero però, non del personaggio +della ballata. +– Ma io voglio cominciare da un punto preciso – protestai. +– Prendi un aspetto della sua vita e comincia ad investigare su quello. +– Come il fatto di essere un trierarca? +– Ottimo. +– Questo potrebbe essere possibile – dissi pensando ad alta voce. – E +certamente, se quel che si sente dire è vero, c’è stato un certo disordine nella +trierarchia, finché… +– Bravo Stefanos. Stavi riflettendo per conto tuo. Prima che il tuo solito tatto +intervenisse, stavi per aggiungere, «finché il vostro grande nemico Demostene, +non ha sistemato tutto grazie a delle disposizioni mirabilmente eque sul +commercio marittimo». Io non mi sognerei mai di negare le capacità di +Demostene e certamente elogio l’equità delle sue riforme. Ma questo è accaduto +durante la guerra. Adesso Demostene, non ha più il suo potere; la città è calma, i +cittadini hanno ottime possibilità di prosperare. I vecchi disordini hanno avuto +occasione di tornare a serpeggiare. È difficile scoraggiare i sostenitori +dell’oligarchia: hanno delle abitudini molto radicate. Potrebbe esserci qualcosa +che valga la pena di scoprire nelle relazioni di Boutades con la trierarchia. +Indagare ti consentirebbe una visuale più ampia. +– Cercherò di appurare quello che posso – mormorai. Sentivo, se non altro, di +essere agli inizi di un compito ben preciso. «Boutades – trierarchia». Era come +avere un tema per la prima dissertazione a scuola. +– Ma soprattutto, Stefanos, discrezione. Un’eccessiva curiosità irrita la gente, + come le mosche. La famiglia di Boutades non vorrà sentirne il ronzio. Va’ +tranquillo e bada ai tuoi soliti affari. Alla prima prodicasìa mostrati modesto e +riservato, come si addice ad un giovane. Questo ti attirerà il favore del Basileus e +non darà motivo di risentimento agli oppositori. Un contegno decoroso è già di +per sé un atteggiamento efficace quando si esercita la retorica. Cosa pensi di +sostenere alla prima udienza? +– La difesa della zia Eudossia. Che Filemone non era ad Atene. +– Sì. Non c’è male per cominciare. La seconda parte del tuo compito, ma la +prima per importanza se credi, sarà di cercare testimoni che possano provare che +Filemone era altrove –. Sospirò. – Provare delle negazioni: un aspetto tedioso +della logica. L’odore della selvaggina sul sentiero delle affermazioni è molto più +forte ed elettrizzante, anche se il sentiero può rivelarsi più lungo. Ma si andrà per +le lunghe in ogni caso, temo. Non essere depresso se non trovi testimoni in +favore di Filemone per la prima prodicasìa. Dopo tutto non è che una formalità. +Una condotta modesta e la dichiarazione che Filemone non c’era. Questo +dovrebbe bastare per il momento. Contemporaneamente, comincia la tua +indagine segreta della vita di Boutades. Fammi sapere quello che trovi, anche +cose da poco che non sembrano collegate al delitto. +– Posso tornare, dunque? +– Quando vuoi – rispose Aristotele allegramente. – Sono impaziente +d’aumentare le mie note. +Diedi un’occhiata alla tavoletta incerata. C’erano sopra poche parole, così +disposte: + +Creta +tavola +sangue sulle pianelle +Collera Paura Avidità. + +– Non molto – dissi, deluso. +– Ho tenuto intere conferenze con note altrettanto scarne. Il filo d’Arianna. +Dopo tutto, un rètore è un vero figlio del fondatore d’Atene. Si muove in un +labirinto, indicandoci la strada finché non giungiamo faccia a faccia con la +verità. +Ci alzammo e gettammo i rimasugli del vino nel fuoco. I pochi attimi di +preghiera furono molto rasserenanti. +– Vorrei – riprese Aristotele interrompendo i miei pensieri – essere uscito +come te quel mattino. Vorrei aver visto quella stanza. Ma forse è meglio così. +Potrei essere accusato anch’io di complicità nel delitto! Che buona occasione per +liberarsi dell’amico della Macedonia! + Mi affrettai a contraddire quest’idea assurda che sulle sue labbra suonava +come uno sfoggio di sciocca vanità. – Macché – dissi. – Anzi, la famiglia di +Boutades sostiene decisamente la Macedonia. Ad ogni occasione parlano bene di +Alessandro. +– Hai ragione, Stefanos. Tu la sai più lunga di me in fatto di vita pubblica. E +forse ne sai di più di quanto tu stesso pensi. Questa serata mi ha dato un’ottima +impressione di te. Sei leale e lucido di mente. Non lasciare che una qualità sia +d’impedimento all’altra. Addio, vai a dormire. +Le sue lodi e il suo interesse mi rincuorarono. Quella notte dormii, e il +mattino dopo mi sentii meglio di quanto non accadesse da diversi giorni, +sebbene, ripensando alla nostra conversazione, mi resi conto di non aver +combinato granché. Aristotele non mi avrebbe aiutato direttamente, non si era +offerto di assistermi nelle mie indagini. Ma almeno avevo la mente più lucida, e +qualche idea su cosa avrei dovuto fare nel prossimo futuro. Aristotele mi aveva +dato la rassicurante impressione che la mia capacità di giudizio non fosse poi +così disprezzabile. Tuttavia, mi sentivo infastidito dalla sua insistenza sull’odore +della selvaggina, la stanza e il desiderio di essere entrato lì anche lui. Cosa +avrebbe potuto vedere che io non avevo visto? Certamente nulla. + V +Notizie e voci + + + + + +Nei giorni successivi, mi abituai alle occhiate gelide e alle facce offese, e mi +aggirai per Atene con aria tranquilla e controllata. Il mio sforzo di mantenere la +calma non fu senza effetto nel dissipare l’ostilità altrui nei miei confronti; la +freddezza divenne un po’ meno gelida e le facce offese meno palesi. Ma dentro +di me continuavo ad essere in ansia. La calma cominciò a pesare sul mio viso +come la maschera di un attore. In realtà non avevo ancora fatto nulla per la causa +di Filemone, ma il fatto di continuare ad essere accettato in pubblico mi avrebbe +facilitato il compito come suo difensore. E intanto il tempo passava. +Poi, una settimana dopo il mio incontro con Aristotele, qualcosa accadde. +Non molto, ma qualcosa. Raccolsi un primo granello d’informazione. Stavo +bighellonando al mercato, dopo essermi sforzato di fare la mia quotidiana +apparizione nell’agorà, e mi fermai alla bancarella d’un venditore d’articoli di +cuoio. Mentre aspiravo quell’odore piacevole, pensando oziosamente di +comperarmi dei sandali nuovi, udii delle voci di donne che chiacchieravano. Il +retro della bancarella era isolato da una pelle appesa ad una corda, e al di là di +questo divisorio alcune donne stavano pettegolando, forse delle schiave o delle +contadine. Pensai che stessero aspettando che il garzone del venditore venisse a +tagliare dei sandali per loro. Le donne parlavano con l’accento della città, non +della campagna e pensai che dovessero essere delle schiave appartenenti a buone +famiglie, se potevano permettersi quelle calzature. Questo è il tipo di deduzione +logica che si fa tutti i giorni senza far troppi sillogismi, e la conclusione non era +di nessunissimo interesse. Stavo per allontanarmi, quando udii un nome che mi +trattenne. Una donna, abbassando la voce, chiedeva all’altra: – Come vanno le +cose per voi adesso in casa di Boutades? +– Oh, Zeus! – rispose l’altra con enfasi. – Si potrebbe ben dire che viviamo +tra il porcile e il salotto. Il giovane padrone tiene tutto in ordine, e non è neppure +avaro, ma a chi piace vivere in una casa dove è corso del sangue? Mi auguro di +non aver mai più da ripulire una stanza come quella. E poi siamo tutti spaventati +al pensiero del processo. Qualcuno dice che tutti gli schiavi saranno chiamati a +testimoniare; altri dicono che chiameranno soltanto quel povero ragazzo, e +questo per uno schiavo significa la tortura. È la legge. Ringrazio Atena di + essermi trovata in campagna al momento del delitto, così non dovrò essere +interrogata. Ma quel povero ragazzo smagrisce di giorno in giorno. +– È una cosa ingiusta, la legge – osservò l’amica con indignata simpatia. +Ci fu una breve pausa; poi una terza voce femminile, più secca e più anziana, +domandò: – E la moglie di Boutades come sopporta la perdita? Con coraggio? +– Potete ben dirlo! – La schiava della famiglia di Boutades parve ben contenta +di diffondersi sull’argomento. – Oh, senz’altro dimostra una gran forza d’animo. +Pensate, il terzo giorno dopo il funerale mi ha chiesto di nascosto di portarle un +porcellino da latte arrostito; il padrone non glielo lasciava mangiare. Si è +abboffata del maialino cotto nel miele, riempiendosi la faccia di unto, un +bell’esempio di signora in lutto. Ma io sono stata zitta, e in realtà non gliene +faccio un rimprovero. Il padrone ci teneva a corto sul mangiare. Perché dovrebbe +rimpiangerlo? La trattava come nessuna donna sopporterebbe, la chiamava cagna +sterile e la picchiava. Stava peggio degli schiavi, poveretta. Mai un paio di +sandali nuovi o un abito nuovo: Boutades era avaro in un modo incredibile negli +ultimi tempi. La moglie non gli aveva dato un erede, ed è questo che l’ha +squalificata ai suoi occhi. +– Eh, sì – disse la seconda donna. – Molti uomini la pensano così, e +specialmente uno con tante ricchezze da lasciare come Boutades, e senza +nemmeno una figlia a cui passare il gruzzolo. Ma il tuo padrone e sua moglie +non erano più dei giovincelli, e dovevano essersi abituati alla situazione ormai. +– Non parlereste così se aveste sentito quello che ho sentito io. Non erano più +giovani, questo è vero, lui con quella pancia e i suoi disturbi intestinali, e lei +sempre con le coliche (le è costato caro anche quel pasto con il porcellino). Ma +litigavano come se avessero appena cominciato. Questi ultimi mesi sono stati i +peggiori. Lei sapeva rimbeccarlo bene, bisogna riconoscerlo. Ci fu una grande +scenata fra loro quest’estate. Io l’ho sentita saltargli addosso in piena regola. +«Ah, tu» – e qui la schiava alzò la voce in falsetto, imitando quella della signora +– «tu che fai la figura del cretino alla tua età! Vuoi disonorare te stesso con tutta +la famiglia? Proprio l’epoca giusta per pensare a un bambino, e neanche tuo. +Invece di mettere a rischio tutto il tuo patrimonio, faresti meglio a spendere +qualche soldo con una brava sgualdrina, che sarebbe felice di prenderti del +denaro per quello che non puoi fare!». Be’, io mi misi a ridere a sentire il +padrone punzecchiato così, ma lui le gridò di rimando: «Farò quello che mi +pare!», e aggiunse delle parolacce che non voglio ripetere. Poi le diede un paio +di botte che dovettero farle male davvero, e allora io smisi di ridere. Una donna +paga caro se lascia andare il freno alla lingua. Lui, in casa, era sempre burbero. +Dice bene il nostro proverbio: «Non s’imparano le buone maniere dai padroni». +– Poveretta – commentò l’amica. – Tirerà il fiato, adesso. Ci sono tanti aspetti + piacevoli nella vedovanza. +– Io penso che sia vergognoso – interloquì la terza. – Una moglie dovrebbe +comportarsi come si deve. Dai vostri racconti quella donna mi sembra una +scostumata. +– No – replicò la schiava di Boutades prudentemente. – Non direi proprio, e +io sono la sua serva. La mia padrona è facile da accontentare, quasi sempre, e sa +essere molto generosa. Ma adesso è come una che si trova in un turbine di vento, +spinta di qua e di là, un momento piange, un momento ride. Un attimo prima +sprofondata nel dolore, e subito dopo allegra come un passero. E quando ride è +stranamente rigida, come se fosse fatta di lino nuovo. Sapete che ha riso quando +le hanno detto che Boutades era morto, e come era morto? Ha riso. Gli schiavi +hanno dovuto cominciare a piangere e a lamentarsi per coprire la sua risata. Io +penso che non sia del tutto sana di mente. Ha persino litigato con Polignoto, e +dire che lui ha un così buon carattere. Era abbattuto per la morte dello zio, ma ha +fatto del suo meglio per parlarle sempre con garbo. E che bel funerale ha +organizzato, date le circostanze. Una cosa che dovrebbe consolare il cuore di una +donna. +– Per cosa hanno litigato? +– Non l’ho capito bene. Qualcosa a proposito di Polignoto che non aveva +diritto di disporre a suo modo del mobilio, ecco com’è cominciato. Sciocchezze, +naturalmente, e proprio il giorno dopo il funerale, e lui l’aveva rifornita di abiti +nuovi e tutto. Ma lei si è messa a sgridarlo, e l’ho sentita dire: «Perché non dai +qualcosa al bambino, secondo il desiderio di tuo zio? Zeus è il padre degli orfani. +Nessuno in questa casa può permettersi di andare contro il volere degli dei. Io so +del bambino, ricordatelo». E ha seguitato così, sempre nominando Giove e un +bambino. +L’amica fece una risatina furba. – Magari si tratta d’una storia d’amore di +Polignoto. +– Può essere. Ci sarà in giro qualche bastardo di Polignoto, e lei ne avrà +sentito parlare. Se Boutades avesse avuto un figlio, l’avrebbe adottato subito, +questo è sicuro, ma aveva perduto da un pezzo la capacità di averne. Ad ogni +modo, Polignoto era seccato, e le ha detto di smetterla. Ma vedete com’è stupida +quella donna, a litigare con suo nipote che le dà il pane che mangia? +– Begli affari davvero – disse la schiava più anziana. – La vita non è più come +un tempo ad Atene, nemmeno nelle vecchie famiglie. Sono contenta di vivere +quasi sempre in campagna ormai. Il cibo è meno caro. Avete visto a che prezzi +sono andati i cavoli sul mercato? +E la conversazione si spostò su generi alimentari e prezzi. Tutte le donne non +hanno che cinque argomenti di conversazione: il cibo, i vestiti, il sesso, i figliuoli + e gli scandali. Comunque ero grato a quei pettegolezzi. Mentre m’allontanavo +lentamente, sperando di non avere indugiato in modo troppo vistoso accanto alla +bancarella del cuoio, ripensai a quanto avevo udito. Aristotele aveva ragione: la +casa di una persona è come un setaccio. Avevo colto un nuovo aspetto di +Boutades, il cittadino esemplare, che a quanto pareva era incline a sordidi litigi e +ad un comportamento brutale, e la cui impotenza era nota in casa e costituiva +una vergogna domestica. Ripensai alle parole di sua moglie: «Vuoi disonorarti? +Proprio il momento giusto per pensare a un bambino». Aveva forse cercato di +generare figli con la moglie di un vicino? Questo certamente sarebbe stato un +motivo di vendetta. L’atteggiamento della moglie di Boutades era non solo +repulsivo, ma anche strano, sebbene io, celibe, dovessi ammettere che sapevo +ben poco di quanto ci si possa aspettare dalla vita matrimoniale. Questa donna +aveva riso alla morte del marito e imbandiva segretamente festini di carne +arrostita. Sarebbe stata capace di tirare d’arco, una donna? Improvvisamente mi +parve di vederla, la donna velata di nero che m’era apparsa al funerale, in atto di +piegare l’arco con la freccia incoccata, e di scoccarla dritta nella gola di +Boutades. La vendetta può essere dolce, e a volte le donne sono capaci di azioni +terribili. Basti pensare a Medea. Avevo qualcosa su cui riflettere. +La conversazione che avevo udito per caso ebbe un certo effetto sulla mia vita +privata. Diventai più prudente nella mia condotta di fronte agli schiavi. Nessuno +avrebbe dovuto dire di me, «Non s’imparano le buone maniere dai padroni». +Ma a parte questo, il colloquio che avevo ascoltato non mi fu d’immediata +utilità. Ad ogni modo me ne sentii rincuorato. Boutades non sembrava più così +inattaccabilmente rispettabile e potente, e questo, stranamente, rendeva più facile +il riflettere con freddezza sul suo assassinio e sul furore dei parenti. Mi riusciva +più facile anche mantenere la calma, e ascoltavo gli altri con maggiore interesse. +Due giorni dopo, nell’agorà, quando udii gridare «Notizie!» mi accostai al +gruppo che s’era formato intorno al messaggero senza quasi temere occhiate +ostili. In realtà, nessuno fece molto caso a me. Erano tutti troppo interessati alle +notizie della guerra. +Il cittadino che aveva dato l’annuncio con tanta enfasi era Cleoforo, un tipo +gioviale, con occhi chiari piuttosto infossati e il doppio mento. Era noto come +una persona ricca e ospitale, con vasti interessi nel commercio. Era arrivato a +precipizio nell’agorà e il suo volto era raggiante di piacere, perché aveva +l’opportunità di comunicare qualcosa. – Di cosa credete che si tratti? – (Cleoforo +è il tipo d’uomo che chiede «Indovina cosa c’è per cena?» prima di servirti da +mangiare e «Di cosa credete che si tratti?» prima di darvi un’informazione). – +Notizie, notizie da Tiro! Una mia nave è appena arrivata da Rodi, e il capitano +ha con sé un tale di Rodi che ha preso parte alla battaglia. L’assedio è finito il + mese scorso. Alessandro ha vinto ancora! +– Ma davvero! – disse l’austero cittadino Teosoforo in tono alquanto +sarcastico. – A quanto sembra, Alessandro è destinato a vincere. Il destino +fortunato del condottiero non è certo da considerarsi una novità. Chi viene +ricordato negli annali se non colui su cui il sole fa splendere un’eterna estate? +Altri uditori furono, però, più inclini a sentire le novità e ad esserne colpiti. +– Cos’è accaduto? Com’è andata la battaglia? +– È un genio quel giovane Macedone – proseguì Cleoforo, che si era +infervorato ed era evidentemente intenzionato a rendere giustizia al suo +argomento adoperando la sua personale retorica. – Un genio con le navi e con gli +uomini, sia a terra che in mare. Ormeggia le navi lungo le mura della città. I +Tiriani allora mandano giù dei tuffatori a tagliare gli ormeggi. Lui le fa ancorare +di nuovo, e le corde vengono di nuovo tagliate. Cosa fa lui allora? Per gli dei, +signori, usa delle catene invece di gomene, e i tuffatori non riescono a tagliarle. +Le navi restano dove sono, proprio sotto le mura della città, e le macchine da +guerra vengono messe in azione direttamente dalla tolda delle navi. Bum! Bang! +– Cleoforo gesticola coi pugni, convinto che l’occasione richieda la sua abilità di +mimo per imitare l’azione degli arieti e delle catapulte. – Le navi sono ferme di +fianco alla breccia nelle mura. Le passerelle vengono lanciate in mezzo, posate +sulle pietre crollate, alcune di queste ridotte in minuscoli frammenti, tutto ciò +che resta di quella parte delle mura. Le truppe vi si accalcano sopra a centinaia. +Admeto guida l’attacco, gridando «Dietro a me, uomini!». Poi è abbattuto da un +colpo di lancia. Whumph! – (E qui Cleoforo si colpì il petto). – La seconda +ondata di attaccanti è guidata da Alessandro in persona. I Tiriani abbandonano le +mura e si rifugiano nel tempio, ma cadono come il grano sotto la falce. Ah! +Swish! Uh! Argh! – Cleoforo brandì e conficcò lance e spade immaginarie, +imitando ora gli attaccanti, ora i gemiti dei moribondi. Sembrava l’immagine +stessa della guerra. – Nessuno sa quanti ne sono morti – continuò asciugandosi la +fronte. – Alcuni dicono cinquemila, altri diecimila. Dell’armata di Alessandro, +solo quattrocento sono caduti in azione. Alessandro ha celebrato un sacrificio a +Eracle nel tempio di Tiro. +– Così adesso è re di Tiro – disse Teosoforo. – Se gli avessero permesso di +sacrificare in quel tempio sin dall’inizio, si sarebbero risparmiati un assedio di +sette mesi e avrebbero accresciuto le loro possibilità di morire liberi e nel +proprio letto. +– È dunque meglio cedere? O combattere e morire per la libertà? – chiese il +giovane Micone, uno dei miei vecchi compagni di scuola. +– Il loro dio era contro di loro – disse Archimeno, un nobile, noto sostenitore +della Macedonia. Il brizzolato Archimeno aveva un aspetto molto distinto, la + fronte ampia e il naso elegante, il tipo d’uomo che durante una missione +diplomatica presso un’ambasciata straniera farebbe una buona impressione. La +fronte era segnata da piccole rughe, a parte due profondi solchi verticali sopra il +naso, formatisi probabilmente per la sua abitudine di aggrottare leggermente le +sopracciglia prima di parlare. – Bisogna anche ricordare che Alessandro ha dato +alle città dell’Eolia e della Ionia un’autentica democrazia, restaurando le loro +leggi. Non è giusto combattere contro la tirannia persiana, che altrimenti +potrebbe minacciarci tutti di rovina, come nei tempi antichi? Atene ha inviato ad +Alessandro una corona d’oro, in riconoscimento non solo delle sue vittorie, ma +anche delle sue virtù. +– Che gli dei ci guardino dal prestar fede alle corone d’oro degli Ateniesi – +disse Teosoforo. – Non ho la memoria così corta da non ricordare che a +Demostene fu concesso quest’onore da un popolo colmo di gratitudine, che ora +vuol metterlo sotto processo. Un cerchietto d’oro è una ben misera protezione. +Un uomo saggio farebbe molto meglio a pregare di ricevere un cappello per +ripararsi dalla pioggia. +– Bene – concluse Cleoforo, che evidentemente sentiva di essere stato troppo +a lungo fuori dalla conversazione. – Tiro è soggiogata, e migliaia di uomini +marciano ora verso l’Egitto. Tenete d’occhio Alessandro! Molto presto lo +vedremo salire su quelle vecchie piramidi. Le città della costa si stanno già +arrendendo, benché corra voce che Gaza voglia resistere e combattere. +Sicuramente presto Alessandro avrà bisogno di altre navi. Forse la nostra flotta +potrà essere chiamata all’azione. +– Mio padre dice di sì – affermò Micone. – Lui sostiene che Alessandro non +può lasciare in ozio in eterno la flotta che rimandò indietro l’altr’anno. Adesso +che Atene ha dimostrato la sua lealtà non avrebbe senso lasciare la flotta in +porto. Mio padre pensa che sarà chiamata alle armi in primavera. +– Sono anch’io di questo parere – disse Cleoforo, – e i marinai delle navi da +combattimento pensano che l’anno prossimo saranno impegnati in battaglia. Ma +qui c’è qualcuno più pratico di noi in questioni navali. Che ne pensi, +Archimeno? +– È impossibile saperlo con certezza – replicò Archimeno col suo tono +preciso. – Alessandro non rivela i suoi piani. Ma, naturalmente, si fanno molte +supposizioni. Visto che siamo tra di noi, posso permettermi di affermare che si è +discusso di alcune possibilità. Si dice che ci potrà essere chiesto di allestire delle +navi del nuovo tipo, con il banco da rematori a cinque posti, come ne hanno già +fatte a Siracusa. Può darsi che per il momento Alessandro lasci da parte la flotta +perché desidera riorganizzarla su nuovi modelli. +Cleoforo annuì saggiamente. – Senza dubbio, il Pireo sarebbe un ottimo posto + per costruire una nuova flotta. Mi piacerebbe vedere una delle nuove navi. +Viviamo in un’epoca eccitante, piena di novità. +– Non dobbiamo saltare alle conclusioni – disse Archimeno. – Da una parte +potrebbe essere così, ma potrebbe anche non esserlo. +– Se è così – disse Teosoforo – questa sarebbe una bella occasione per la +trierarchia per mostrare ciò che è in grado di fare. La nostra organizzazione +patriottica potrebbe fornire subito il legname nuovo e tutto quello che occorre +per la navigazione. Quale onore per Atene che sia non solo un dovere, ma un +privilegio per i ricchi e per i nobili allestire una nave da guerra. «Come la balia +per un bambino, così il trierarca per una nave», dice bene il proverbio. È davvero +un’epoca eccitante, come dice il mio amico Cleoforo. Ma potrebbe esserci +un’attesa molto noiosa prima che Alessandro richieda una flotta ad Atene. Lui sa +essere fastidiosamente cauto quando si tratta di noi Ateniesi. +– Perché? – chiese Micone. +– Ah, come vola il tempo! Ormai rammentiamo a malapena che pochissimi +anni fa in questa città vi furono dei disordini a causa di Alessandro. E di recente +vi è stata quella piccola questione del re Agide di Sparta che cercava di +procurarsi navi e denaro per combattere contro i Macedoni. Essendo un uomo di +buon senso, Alessandro potrebbe temere che una flotta ateniese possa essere una +trovata di Agide. +– Sparta! – disse il giovane Micone. – Il vecchio nemico adesso sta dalla parte +dei Persiani, quindi facciamo bene a sostenere la Macedonia. Il nostro vecchio +nemico ora è alleato contro di noi! Dobbiamo forse aspettarci offese più grandi? +Agide non è nostro amico. È sbarcato a Creta con Agesilao, conquistando le città +e facendo giurare loro fedeltà ai persiani. Ma noi non siamo pirati cretesi, né +combatteremo a bordo di navi cretesi. +– Avete visto una delle nuove navi? – domandai ad Archimeno, in verità tanto +per dire qualcosa. Sentir nominare Creta mi aveva fatto sentire a disagio, ed ero +stupidamente ansioso di distogliere la conversazione da tale argomento. Alcuni +del gruppo mi guardarono, come se avessero appena notato la mia presenza e +non la gradissero. Ma Archimeno rispose cortesemente, dicendo che aveva +sentito nominare la quinquereme solo a un tale che aveva visto questa grande +nave. Pensai che anche Archimeno non fosse entusiasta della piega politica che +aveva preso la conversazione. Il gruppo cominciava a disperdersi, ma io rimasi +con Archimeno. Le osservazioni di Cleoforo m’avevano rammentato che +quest’uomo era un trierarca. Questa mi parve l’occasione buona per +incominciare le mie indagini sui rapporti di Boutades con la trierarchia. +Archimeno rispose civilmente alle mie deferenti domande sull’importanza di +Tiro e gli effetti sul commercio. Con apparente entusiasmo dissi che mi sarebbe + piaciuto partecipare alla battaglia. Mentivo come un ladro nel dire questo, perché +non facevo che pensare a Filemone tutto il tempo. Forse, per quel che ne sapevo +io, poteva essersi battuto nell’assedio. (Era stato ferito, ucciso? Seguitavo a +vedere corpi mutilati che precipitavano giù dalle mura). Seguitando a mentire, +dissi che speravo di andare volontario se la flotta veniva precettata, perché capii +che al mio uomo non dispiacevano questo tipo di discorsi appassionati. Poi +passai ad ammirare l’operosità dei trierarchi, lodando l’illuminata nobiltà che +aveva reso grande Atene, e infine, dopo aver nuotato verso la mia meta in questo +pantano di insulsaggini come un cane che se ne vada trotterellando +all’inseguimento di un bastoncino, dissi che la perdita di Boutades come +trierarca doveva essere stata dolorosa. +– Sì, certo – mi rispose Archimeno. – Molto sconcertante. E Boutades era un +uomo stimabile, veramente stimabile. +Questo non sembrava molto incoraggiante dal mio punto di vista. Ci riprovai. +– Avevo sentito – dissi vagamente – di certe difficoltà nella trierarchia, +qualcosa che implicava Boutades, come se non avesse fornito quanto doveva, o +roba del genere. +Archimeno mi diede un’occhiata severa. – Non dovete dar retta a voci +meschine. Il compianto Boutades, sia pace al suo spirito, era un uomo ligio ai +suoi doveri. Nessun trierarca avrebbe lasciato maggior vuoto. Pagava sempre +quanto doveva, dava quanto poteva e si dedicava al bene della città. +Questo discorsetto era decisamente in contrasto con il linguaggio della +schiava: come se parlassero di due uomini diversi. Archimeno parlava come se +stesse incidendo una lapide alla memoria dell’estinto. Mentre parlava le sue +sopracciglia si aggrottavano ripetutamente, facendo apparire più profondi i due +solchi verticali sopra il suo naso. La mia impertinenza sembrava aver suscitato la +sua disapprovazione. Mi sentii colpevole e in pericolo. Non potevo parlare con +naturalezza di Boutades. Chiunque avrebbe potuto guardarmi con biasimo, +sentendomi parlare a discredito della presunta vittima di mio cugino. Aggiunsi +frettolosamente che lo zelo civico di Boutades era ben noto, che i poveri +avrebbero rimpianto le sue liberali elargizioni di cibo, e terminai con garbo (così +almeno speravo) con un complimento alla munificenza dello stesso Archimeno. +Tuttavia lo lasciai con la fronte ancora spasmodicamente aggrottata, mentre sotto +la pelle del suo viso si potevano scorgere continui fremiti d’inquietudine. +Mi sentivo di nuovo scoraggiato. Non avevo combinato nulla, salvo forse +mettermi in vista come un nemico di Boutades, e questo non era certo un +vantaggio. Tutto quanto avevo appreso era già scontato. Boutades era un +cittadino coscienzioso, ed era stato un pilastro della trierarchia. Aristotele +sembrava avere torto. Non poteva esserci niente d’interessante da appurare nella + vita e nelle opere di Boutades. Quanto all’idea di trovare qualcosa di poco chiaro +nelle sue relazioni con la trierarchia, era nata dai miei propri desideri. +E avevo buoni motivi di sentirmi il cuore pesante. La prima prodicasìa stava +quasi per arrivare, e io non avevo nulla da esibire, a parte la difesa della zia +Eudossia. + VI +Dal Pritaneo al Pireo + + + + + +E venne il giorno della prima prodicasìa. Vestito della mia tunica migliore, mi +diressi al Pritaneo per le viuzze strette della parte nord dell’Acropoli, passando +tra frotte di cittadini poveri e di schiavi affaccendati. Mi sembrava che le +occhiate mi trapassassero le spalle. Fu con un senso di estrema solitudine che +giunsi al Pritaneo, quella fredda aula ufficiale. Di solito i parenti maschi +vengono in massa, a sostenere il loro portavoce ufficiale e ad aggiungere le +proprie dichiarazioni. (Mio fratello minore non poteva essermi d’aiuto. Non si +conduce un bambino di sette anni a simili funzioni). Polignoto era lì con un buon +numero di amici e parenti, vestiti con gli abiti migliori e tutti con aria +prosperosa. Io ero solo. +Il Basileus si mostrò formalmente cortese con noi tutti. Dopo le libagioni +preliminari, collocò i rappresentanti dell’accusa alla sua destra, e me alla sua +sinistra, e il dibattito ebbe inizio. Il Basileus elencò le circostanze del caso, per +chiarire quali fatti potevano ritenersi accettati da entrambe le parti. Furono +ricapitolati i punti principali dell’assassinio di Boutades. Polignoto e i suoi +parenti resero le loro dichiarazioni, e io concordai, stando bene attento che non si +lasciassero sfuggire qualcosa d’inatteso o di falso, ma per un certo tempo tutto +andò liscio. Questo esame dei fatti agì su di me come una medicina: il mio cuore +prese un battito più regolare, le mani sudaticce si asciugarono. Ma ben presto le +cose presero un diverso avvio. Dopo che ci trovammo d’accordo che Boutades +era stato ucciso in un certo giorno e in una certa maniera, da un assassino che era +fuggito scavalcando il muro, il Basileus domandò: +– Chi accusate di questo delitto? E perché? +Polignoto rispose: – Io accuso Filemone, figlio di Likias di Atene, un +fuorilegge di questa città già condannato per omicidio. +– E tu, parente di Filemone, sei d’accordo o neghi? +– Nego – risposi decisamente. +– Perché accusate Filemone, e in che modo sapete che la colpa è sua? +Fu Euticleide a rispondere. – È un omicida già noto, un forsennato. Si sa che +si è imbarcato per Creta due anni fa. Questo insolito delitto è stato perpetrato con +una freccia, evidentemente scoccata da un arco cretese. Un uomo simile, ridotto + in povertà e insensibile al sangue, aveva bisogno di denaro. Boutades teneva in +casa molto denaro e dei gioielli. Può darsi che Filemone avesse intenzione di +saccheggiare la casa dopo il delitto e sia stato interrotto. O può darsi che odiasse +il nostro egregio concittadino. Ma – ed Euticleide mi lanciò una torta occhiata di +trionfo – è stato visto mentre si dava alla fuga. +– E chi l’ha visto? +– Telemone, cittadino d’Atene. +Telemone si fece avanti con aria compiaciuta, vestito elegantemente e tirato a +lucido per l’occasione. +– Io, Telemone, udii le grida di Polignoto, proprio mentre stavo entrando in +casa. Mi volsi alla finestra e vidi una figura scura tra gli alberi. Corremmo fuori, +perché nonostante io sia zoppo, signore, al bisogno so essere svelto, e vidi il +malvivente che balzava al di là del muro. Aveva un panno avvolto sulla testa e +intorno al viso, ma proprio mentre stava per saltare, questo cappuccio gli scivolò +via e vidi che era Filemone. Fu appena lo spazio di un attimo, ma lo vidi, e su +questo non c’è dubbio. +– E invece ne dubito – replicai. – Non era forse ancora buio, specie in quella +parte del giardino? Come poteva Telemone vederci così bene? +– Non era chiaro senz’altro, certo non la luce di mezzogiorno, ah, ah! – ribatté +Telemone con insolente allegria. – Ma era l’aurora, signori; e dunque, guardando +bene, c’era abbastanza luce da riuscire a vedere una brutta faccia dentro una +pozza d’acqua, come dice il proverbio. +– Obiezione – dissi. – Telemone è un rispettabile anziano. La sua vista non è +delle migliori –. Mi venne improvvisamente un’idea. – Di grazia, Basileus, fate +venire un qualsiasi noto cittadino della nostra classe, e servitevi di lui per +verificare l’asserzione di Telemone. Il Pritaneo non è molto luminoso all’interno. +Fate chiudere le finestre e poi fate introdurre questa persona nell’angolo di +questa sala presso la porta, nell’ombra. E allora vedrete se Telemone può +riconoscerla, qui, a così poca distanza. +Telemone aveva l’aria assai offesa. – Non si fanno di queste cose a una +prodicasìa, ragazzo mio. +– No – confermò il Basileus – esperimenti del genere convengono meglio al +processo. Ma voi tutti della famiglia di Boutades siete ora informati che si è +costituita una difesa. +– Non importa – replicò Euticleide – perché produrremo altre prove. È stato +Filemone. +Mi rivolsi direttamente a Polignoto. – Tu, che sei accorso con Telemone, l’hai +visto anche tu? +Polignoto sospirò, e mi guardò con gentilezza. – Ahimè, cosa posso dire? Non + mi sento di giurarlo. In verità, mentre correvamo fuori, mi sentivo il cuore +pesante e la testa confusa. Ho visto il malvivente arrampicarsi sul muro e saltar +giù. Devo aver visto quel che ha visto Telemone, ma la faccia e la figura non +significavano nulla per me allora. Ma quando Telemone mi ha detto che era +Filemone, mi sono ricordato e ho compreso che doveva aver ragione. Ma non +giurerò di averlo riconosciuto perché non l’ho ravvisato subito, sul momento. +– Questo è giusto, anzi è magnanimo – sentenziò il Basileus. Non potei far +altro che inchinarmi a Polignoto e tornare a rivolgermi a Telemone. Mi sentivo +molto perplesso a questo punto. +– Ma c’ero anche io al rinvenimento del cadavere. Arrivai quasi +contemporaneamente a Euticleide. E udii Telemone e Polignoto descrivere ciò +che avevano visto. Nessuno fece il nome dell’assassino; non si parlò neppure +della possibilità d’identificarlo. Anzi, mi ricordo bene che Telemone disse che +non era riuscito a vederlo. Una forma oscura, né alta, né piccola, non grassa, né +molto sottile, e vestita. Ero lì e lo sentii. Non è vero? – conclusi, rivolto a +Euticleide. +Lui annuì. – È vero. +– E allora perché Telemone non disse d’averlo riconosciuto? +– Be’ – disse Telemone, strascicando il piede. Mi guardava aggrottando la +fronte, con un cipiglio un po’ malevolo. Capii che era ancora irritato perché +avevo messo in dubbio l’acume della sua vista. – Il perché lo avete detto voi +stesso, signore. +– Esatto – affermò Euticleide. – Tu eri lì. +Ci fu un breve silenzio. +– Non è strano – proseguì Euticleide – che l’unico parente dell’assassino +dovesse trovarsi sulla scena del delitto? E quasi subito dopo? +Mi trovavo paurosamente vicino al pericolo di cui mi aveva avvertito +Aristotele. Mi sentii inaridire la bocca. Quando mi rivolsi al Basileus, mi +tremavano lievemente le ginocchia. +– Signore, davanti agli altissimi dei, a voi ed a questi gentiluomini io protesto +la mia ignoranza di questo odioso delitto, e dichiaro di non avere alcun rapporto +con tutto ciò, se non per quanto riguarda la difesa di mio cugino. Sono giovane, +ignorante di leggi e privo di talento nel parlare. Mi affido alla vostra saggezza e +autorità, poiché non capisco quanto si dice qui. Forse qualcuno mi sta +accusando? +– Stefanos – rispose il Basileus – nessuno ti contesta i tuoi diritti come +ateniese, e, come tu stesso riconosci, ci sono delle teste più sagge della tua per +guidarti in materia legale –. Poi si volse alla parte opposta. – Signori, è molto +irregolare accusare il portavoce della difesa di complicità dopo che la procedura + è iniziata, a meno che ci siano inattaccabili ragioni per farlo. Qualcuno dunque +accusa il difensore? +– No – rispose Polignoto, con dignità. – Accettiamo la sua parola che non è +un complice del delitto, e non abbiamo mai detto il contrario. In verità, in quel +fatale mattino mezza Atene si precipitò nella nostra sventurata casa; non +troviamo quindi nulla di strano nella sua presenza. Diciamo solo che, visto che +un parente dell’assassino si trovava in mezzo a noi, Telemone pensò +prudentemente che in quel momento fosse meglio non dire nulla di quanto aveva +visto in sua presenza –. Polignoto si volse verso di me, parlando in tono naturale +e senza cerimonia. – Non capisci, Stefanos, che sarebbe stato spiacevole anche +per te? – Poi tornò a rivolgersi al Basileus. – Può darsi che abbiamo sbagliato nel +non rivelare allora quest’orribile segreto, ma ricordatevi che eravamo sconvolti. +Ci siamo riservati di pronunciare l’accusa, una questione così seria, non in quel +momento di confusione, ma nell’occasione più adatta. +– Comprendiamo – rispose il Basileus. – Hai sentito, Stefanos? +– Ho sentito, e rispondo che la parola di uomini onesti dev’essere accettata. +Forse hanno visto qualcuno che effettivamente somigliava a Filemone: la mezza +luce può indurre a strani errori. Ma non può essere stato Filemone. Non era qui. +Dovete sapere che è al bando della città sotto pena di morte. Sono due anni che +non è più ad Atene. Nessuno di noi l’ha più rivisto, nemmeno sua madre che è +inferma. Non aveva motivo di odiare Boutades, e non si sarebbe mai indotto al +furto. In ogni caso, questo non sembra un furto, poiché non è stato preso niente. +Ma non può essere stato Filemone. Non era qui. Questo è l’unico motivo per cui +siamo contenti del suo esilio. +– Intendi dimostrare e provare che questo Filemone era assente e non poteva +quindi essere il colpevole? +– Porterò prove di questo fatto. +– Avete sentito la difesa, signori della famiglia di Boutades. L’accusato era +assente. +– Abbiamo sentito, e rispondiamo che porteremo le prove che Filemone era +presente al momento del misfatto. Le porteremo al momento del processo, se +non prima. +– Le parti hanno qualcosa da aggiungere su questo punto? No? Le parti si +presenteranno allora davanti a me il mese prossimo per la seconda prodicasìa, +quando si udranno nuovamente le deposizioni e si presenteranno ulteriori prove. +La prodicasìa è chiusa. +Nessuno scolaretto fu mai più sollevato di me nel sentire il segnale della fine +delle lezioni. Mi avviai giù per la collina con animo molto depresso. Ogni passo +mi avvicinava al momento in cui avrei dovuto riferire il dibattito alla zia + Eudossia. +Tre giorni dopo questa prima prodicasìa, la città ebbe una nuova e +melanconica notizia di cui parlare. La moglie di Boutades si era uccisa. La sua +schiava più fidata l’aveva trovata morta al mattino (così si diceva), composta sul +suo letto, completamente vestita, con accanto una tazza contenente dei rimasugli +di veleno: cicuta, secondo i più. L’evento dimostrava quanto il dolore +continuasse a tormentare la casa degli Etioboutadi. Sebbene non fosse altrettanto +doloroso, il fatto che sua moglie non avesse potuto sopravvivergli era un +riconoscimento delle qualità di Boutades, e molti approvavano il gesto, dicendo +che dimostrava come nelle migliori famiglie le donne avessero ancora della +sensibilità. Polignoto dichiarò che, dalla morte del marito in poi, sua zia era stata +sempre in lacrime e come fuori di sé. Le fece un dignitoso funerale, nei limiti +prescritti per le donne. Il suicidio era stato di stampo tipicamente femminile, la +codardia del veleno invece dell’ardimento del pugnale, ma è nella natura delle +donne ricercare il piacere ed evitare la sofferenza. +Tale evento alimentò voci meno maligne; era abbastanza sconcertante da +suscitare interesse, ma non possedeva quell’alone di ripugnanza che aveva +avvelenato il tono di ogni conversazione che avesse come oggetto la morte che +lo aveva preceduto. Meditai cupamente sul suicidio. Mi sembrava che persino la +morte di questa donna, che non conoscevo e non avrei mai conosciuto, avesse +spezzato un altro filo che avrebbe potuto condurmi al vero Boutades. +– Mi sento sorpreso da questo suicidio, e non lo sarei se non avessi udito le +schiave dietro la bancarella degli articoli di cuoio – spiegai ad Aristotele. Ero +ritornato a trovarlo, per riferirgli l’esito deprimente dell’udienza davanti al +Basileus, e finii con l’esporgli tutti i miei sconnessi pensieri sulle settimane +precedenti. – La donna vestita di nero, che gettò un anello nella fossa di suo +marito… sì, era un’immagine di dolore che giustifica un suicidio. Ma come la +mettiamo con la moglie che litigava con Boutades e gli rinfacciava la sua +impotenza? La donna che rideva e ordinava un porcellino da latte in una casa +immersa nel pianto? Perché la vedova, col viso, per così dire, ancora impiastrato +del grasso del suo banchetto, avrebbe dovuto brindare alla morte di Boutades e +poi andare a cercarlo agli Inferi? +– Come, davvero? – replicò Aristotele. – Ma la natura umana non è semplice +da capire, è difficile giudicare i rapporti di due coniugi dall’esterno. La donna +può aver trovato la vita intollerabilmente monotona senza più il suo compagno di +litigi. Le abitudini sono più forti di quanto non si pensi. E può anche darsi che +amasse veramente suo marito; qualche lite domestica non significa niente. Tu sei +giovane, Stefanos, e non hai pratica di uomini e di donne, mentre io sono +vecchio e sposato, e quindi pieno di sagge nozioni sull’argomento. + Ridacchiò nel dire così, perché infatti, anche se vecchio, s’era sposato di +recente. +– Ma il porcellino – protestai. – Come banchettare in allegria? +– Questo non basta a dimostrare che fosse allegra. Isterica, magari. Una sorta +di reazione infantile alla cessazione dell’autorità. Potrebbe essersi detta +un’infinità di volte: «Mangerei un porcellino da latte se mio marito non me lo +proibisse dicendo che mi fa male alla digestione». E così, quando il marito non +può più proibirglielo, si sente obbligata a provare questo piacere. Ma tu, +evidentemente, ti sei fatto le tue idee sull’argomento. +Diedi un’occhiata alla porta chiusa e abbassai la voce, benché la moglie di +Aristotele e i servi fossero in un’altra parte della casa. +– Sì – risposi – ho pensato una cosa terribile; mi era venuta in mente già +prima, e questo fatto sembra… collimare, come il lato mancante d’un triangolo. +Per quali altre ragioni la gente si uccide? Per un dolore nato dalla colpa, o per +mortale paura. Io avevo pensato che lei, la moglie, potesse essere l’assassina, ed +ora vedo che è possibile. Se ne è rallegrata sulle prime, ma poi è sopraggiunto il +rimorso, e si è uccisa senza confessare la propria colpa. Forse temeva di tradirsi +seguitando a vivere. +– È possibile – commentò Aristotele, non così turbato come mi sarei +aspettato. – Ogni azione umana è possibile. Ma in verità, Stefanos, una moglie +ha tante buone occasioni per uccidere il proprio marito: un piatto di funghi +velenosi, dell’aconito nella minestra, un panno per soffocarlo mentre è a letto. +Perché dovrebbe ricorrere a un grande spargimento di sangue, a un clamoroso +assassinio? In ogni caso la maggior parte delle donne odiano le ferite e la vista +del sangue. +– Clitennestra no. +– No. Ma Clitennestra aveva Egisto a far la parte del macellaio per lei. Qui +non mi sembra che sia entrato in scena un Egisto. E quale donna potrebbe essere +una così esperta tiratrice d’arco? Si potrebbero invitare tutte le donne d’Atene a +scagliar frecce ai loro mariti, e non credo che ci sarebbero vittime. +– Eppure avrebbe potuto farlo – insistetti cupamente. – Non era una gran +distanza. Forse c’entrava una vendetta di sangue, un giuramento che lui doveva +morire nel sangue. E poi ha scelto di morire anche lei perché era troppo terribile. +– «Forse lui doveva morire nel sangue» – ripeté Aristotele. – È una buona +idea, Stefanos. Ma suvvia, noi non vogliamo che la moglie di Boutades sia +colpevole. In quel caso, le nostre probabilità di scagionare Filemone si +ridurrebbero a nessuna. Ci sono troppi «forse» in quello che dici. Io continuo a +pensare che questo tipo di delitto è opera d’un uomo. Se non altro, nella +prodicasìa c’è stato questo di buono: la questione della tua complicità è stata + sollevata e poi messa da parte. +– Ma è tutto peggio di prima – obiettai. – Euticleide mi sembra decisamente +ostile. E adesso sostengono di aver visto Filemone. È mostruoso. Telemone non +può averlo riconosciuto a quell’ora e a quella distanza. +– Questo lo credo senz’altro anch’io, e al processo si potrà fare qualcosa per +infirmare questa testimonianza. La tua proposta di un controllo della vista era +buona. È un peccato che tu l’abbia lanciata troppo presto. Restano ancora due +tracce da seguire: a) l’assenza di Filemone al momento del fatto; b) la ricerca di +informazioni su Boutades. Se c’è stata una vendetta di sangue, è a Boutades che +dobbiamo rivolgerci per scoprire perché. +– Non so da che parte incominciare per chiarire queste cose – sospirai. +Aristotele mi versò del vino e disse: +– Mi è venuto in mente un posto dove si potrebbe venire a sapere la verità. Il +Pireo. Ci sono dei marinai di ritorno a casa che conoscono altri viaggiatori. +Qualcuno potrebbe aver visto Filemone o averne udito notizie. Ci sono le navi e +gli uomini che ci lavorano, e in mezzo a loro si possono avere informazioni su +Boutades e la trierarchia. Ho idea che questa gente di mare potrebbe aiutarci, per +lo meno nel mettere in piedi una difesa per Filemone. +– Sì – dissi, dubbiosamente. – Posso andarci e fare qualche domanda… +– Se vai in giro a fare domande, Stefanos, non otterrai nulla. Un uomo di +buona famiglia e istruito che dichiara la propria identità e pone domande. No. +Prenderebbero il tuo denaro, ti tratterebbero cortesemente e ti risponderebbero +quello che può piacere a un orecchio ufficiale. Alcuni di loro ti riconoscerebbero +subito come il difensore in questo processo. Con la mente piena di sospetti, di +timori e d’immagini di tortura, starebbero molto attenti a non dare nessuna +informazione utile. Devi discorrere con la gente in occasioni normali, per lo +meno sulle prime. Non essere te stesso, cerca di essere qualcun altro. Vàcci +travestito, come Ulisse da guardiano di porci. +– Travestito? Come un attore? Aristotele, queste cose accadono in storie +famose, ma nella vita reale… +– Accadono anche nella vita reale. Come credi che faccia Alessandro a +introdurre le sue spie in territorio nemico? Questo mi fa venire in mente… Un +giorno o l’altro devo raccontarti dei miei viaggi in Asia. Non ti sto domandando +di operare una prodigiosa trasformazione. Va’ al Pireo in tenuta da campagnolo, +con un po’ di terra sotto le unghie. Cerca di apparire ordinario, parla alla buona, +e soprattutto non parlare troppo. Sei uno della campagna intorno ad Atene, +venuto giù al Pireo per vedere un lontano parente. Entra in una taverna, bevi +tranquillamente, prendi l’aria d’un bifolco affaticato che si riposa i piedi. Temo +che non potrai farlo più di due o tre volte, se non vuoi attirare l’attenzione. Se + poi – aggiunse Aristotele, che cominciava a prender gusto all’argomento – tu +volessi mantenere il travestimento, potresti andarci regolarmente come venditore +di verdura… +– Aristotele, io non ho intenzione di vendere verdure al Pireo. +– Come vuoi. In ogni caso, non sapresti farlo molto bene. Il guaio con te, +Stefanos, è che sei troppo rispettabile. Io, invece – proseguì con compiacenza, +guardandosi attorno nel suo elegante studio – sono un uomo colto, di buona +famiglia, anche ricco in un certo senso, ma non sono un ateniese, e quindi non +del tutto rispettabile. Potrei fare benissimo la parte d’un venditore di verdura, se +dovessi. Ricordati che il tuo sacro onore, come ateniese, come parente, come +uomo, ti impone di difendere Filemone. Niente che non sia di per sé malvagio +può nuocere al tuo vero onore. Ulisse diventò forse un uomo senza onore per i +suoi travestimenti? Va’ al Pireo. Non parlarne a nessuno. È meglio che il tuo +accusatore non ne sappia nulla. Perciò, non parlarne ai tuoi parenti, né in casa +tua. Ma pròvaci una o due volte. +Ci alzammo, ed io mi apprestai a congedarmi. +– Le cose che vedrai e sentirai, tienle in reparti separati della mente: come un +medico che raccoglie in vari cestini le erbe medicamentose. Non aver fretta di +mescolarle. E sorridi qualche volta. In fondo è un gioco. Io aspetterò con +impazienza di udire quello che avrai da dirmi. +Borbottai qualcosa sul fatto che mi dispiaceva abusare del suo tempo. Non era +solo per cortesia; in realtà mi sentivo offeso. Ero andato a trovare il maestro solo +per farmi mandar via con istruzioni di diventare un bifolco o un venditore di +verdura. +– Oh, io ho sempre tempo di dare retta alle persone – replicò Aristotele +mellifluamente. + +Un giovanotto di campagna con una ruvida tunica tessuta in casa e calzoni +scalcagnati arrancava verso il Pireo subito prima dell’aurora. Ero io. C’era +voluta quasi una settimana perché mi decidessi a fare come mi aveva suggerito +Aristotele. Poi avevo dovuto procurarmi il travestimento, e per farlo +segretamente, senza confidarmi con nessuno, nemmeno con gli schiavi, ci avevo +messo diversi giorni. E ora eccomi lì come un cretino, un bifolco qualsiasi in una +commedia rustica. I vecchi calzari, inadatti ai miei piedi, mi facevano male, e +perciò dovevo camminare piano. Avevo lasciato la mia casa molto presto per +non essere notato ma non volevo arrivare al Pireo finché la gente non si fosse +destata e non avessi potuto passare per le strade affollate inosservato. +Dopo avere lasciato Atene e aver raggiunto dei terreni incolti, andai sul lato +della strada e mi misi a scavare, strappando erbacce e macchiandomi le mani con + le radici. Mi spezzai un’unghia o due e annaspai nel terriccio, strofinandomelo +poi sulla faccia. Era piovuto di fresco, la terra era umida e mi dava una +sensazione disgustosa sotto le unghie. Al primo chiarore mi sporsi su una +pozzanghera per controllare i risultati. Nella luce dell’aurora riflessa in quel +sudicio specchio apparivo abbastanza sporco. Mi diedi sul viso qualche artistico +ritocco, per accertarmi d’essere ben chiazzato di terriccio, e ripresi la via +pensando che niente mi sarebbe stato più gradito di un bagno. +Giunto al Pireo odoroso di pesce, mi misi a vagabondare sui moli. Era il +principio della stagione invernale, il tempo in cui le navi cercano riparo dalle +grandi bufere e sostano nei porti per essere riparate e messe in disarmo, in attesa +di far vela di nuovo con la primavera. Sulla riva c’erano dovunque battelli tirati +in secco, barche da pesca e vascelli mercantili, molti rigirati con la chiglia in su +oppure adagiati su un fianco. I capannoni per ospitare le navi più grandi e di +maggior valore stavano all’estremità più lontana, e alcune delle imbarcazioni +minori dondolavano su e giù di fianco al molo. C’erano molti marinai in giro, e +dovunque si udiva rumore di seghe e di martelli. +Io gironzolavo con la bocca aperta e gli occhi sgranati, da vero bifolco. In +verità provavo una certa curiosità, non essendo mai stato prima d’allora al +Grande Porto. Infine giunsi ad uno spazio vuoto e mi sedetti al sole, +appoggiando la schiena a un muro come a teatro, da bravo campagnolo in +vacanza. Il sole non era troppo forte. Col passare del tempo la giornata si faceva +nuvolosa, e sul mare era sospesa una lieve foschia. I colori dell’alba avevano +lasciato la superficie dell’acqua, ed essa appariva come una piatta distesa grigia. +In mezzo alla foschia riuscii a distinguere un paio di pescherecci presso la riva. +Alla mia sinistra, in lontananza, riuscivo a vedere la vetta rocciosa del Sunion, +col grande tempio su in cima simile a un’enorme chiazza bianca. Dal posto che +mi ero scelto potevo osservare i lavori di riparazione di un vascello mercantile e +ascoltare gli uomini che vi lavoravano. L’odore del mare era misto all’odore del +legno e della pece che gorgogliava sul fuoco in alcuni piccoli recipienti. +I calafati erano due uomini e un ragazzo; mi salutarono con un cenno al mio +arrivo, ma poi non fecero più caso a me. La loro conversazione, sulle prime, non +fu molto interessante: istruzioni da parte del più anziano, scherzi, insulti, +allusioni ad altri marinai su altre navi. Poi l’uomo più giovane disse: – Pensate +che questa bella barchetta sarà al seguito di Alessandro la primavera prossima? +– Perché no? – rispose l’altro. – Va veloce. Sua Maestà del Nord avrà bisogno +di navi veloci per le sue guerre, e quelle di Atene sono di gran lunga le migliori. +Eh, sì – aggiunse, dando una manata contro il fianco della nave – sentirai presto +il rumore della battaglia, bella mia. E tu, imbecille – ordinò al ragazzo – portami +dell’altra pece, fannullone, e muoviti, o ti ci faccio bollire dentro e ti vendo + come salsiccia! +– È passato tanto tempo da quando sono stato in battaglia – disse il secondo – +che ho dimenticato com’è. Quest’anno, sono stato sui convogli del grano. Avanti +e indietro da Creta. E quel commercio è destinato ad aumentare, perché i +magazzini d’Atene sono quasi vuoti. Nella marina mercantile si sta al sicuro, e +non si corre pericolo di beccarsi un buco nella testa da parte di quegli schifosi +stranieri. +– Puah! – L’anziano sputò sulla riva. – È un lavoro da sguatteri. A me non +dispiacerebbe venire alle mani coi Persiani. Molti Ateniesi abili alle armi si +mettono al servizio d’Alessandro. Non è così, bifolco? – aggiunse rivolgendosi a +me e gettando una scheggia di legno per attirare la mia attenzione. – Ti +piacerebbe lasciare i tuoi solchi polverosi, eh, amico? E magari saltare su una +barca e vedere un po’ di mondo? +Lo guardai fisso, aprendo la bocca senza rispondere, come uno che rifletta +lentamente su una nuova idea. +– Un ragazzo in gamba come te, mio bel vaso di terracotta, con delle buone +braccia muscolose per remare e dei buoni garretti per correre in battaglia… O +per fuggirne lontano. Hai mai pensato al servizio militare? Vedresti il mondo, +magari la riva di Troia, dove Alessandro correva sulla spiaggia come un tempo +Achille. +– Hai sentito parlare di Troia, amico mio? – fece l’altro, con aria +condiscendente. – Ci fu una quantità di battaglie da quelle parti una volta, per +una sgualdrina e per un cavallo. +– E poi – seguitò il compagno – avanti verso le città della costa, verso +l’Egitto, coperti dagli scudi e in marcia come tante tartarughe fino alla Persia, a +saccheggiare le città d’oro. +– Ah – disse il suo compagno, intonando una canzoncina oscena: + +Dario frignerà e i riccioli si strapperà, +Quando i Greci l’oro di Persia saccheggeranno +E le fanciulle trafiggeranno… + +– Proprio così – approvai con sbalordita animazione. – È una vita da uomini, +ecco quello che è. Ma a me basta Atene. E – aggiunsi dopo una pausa, – non +sono mica molti gli Ateniesi che vanno con Alessandro. Non è una guerra che ci +riguardi, dopo tutto. È roba per i Macedoni credo. +– Lo dici tu – replicò il più anziano. Lui e il suo compagno, fischiettando, +stavano sostituendo una vecchia asse con una nuova. Il ragazzo rimescolava la +pentola della pece. – Ce n’è parecchi che ci vanno. Certi combattono i Persiani + per la gloria e con la speranza del bottino; certi altri per cambiare un po’… e +sempre per il bottino. Metti che un ragazzo in gamba abbia avuto dei guai al suo +paese, magari per aver rubato qualcosetta, o fatto a pugni, 0 portato via delle +pecore… Taglia la corda, va all’estero e finisce con l’arruolarsi. +– Mica tanti di Atene – ripetei ostinatamente. – Io non ne conosco nessuno. +– Magari non ce ne saranno ancora fra i tuoi baldi vicini, ma degli altri ce n’è. +L’estate scorsa l’Asia era piena. Appena approdato a Efeso ne ho incontrati +cinque o sei. Mi ricordo un tizio con un occhio solo che si chiamava Democle. +Veniva da una fattoria appena fuori d’Atene, ci aveva lasciato la moglie e +quattro figlioli –. Batté il martello, enfaticamente. – E un ragazzo tutto ossa +venuto da una conceria che aveva rubato il malloppo del suo padrone e aveva +furia d’entrare nell’esercito. E un tale di alta statura di nome Filemone. Parlava +bene, molto disinvolto. Era venuto dalla città. Mi offrì da bere in una delle +taverne del porto. Aveva preso parte alla grande battaglia e pensava di seguire di +nuovo l’esercito. Voleva sentire le novità di Atene. +Sembrava troppo bello per essere vero. Il cuore mi diede un balzo, ma +mantenni un viso impassibile. +– E lui, che pasticcio aveva combinato? – domandai. +– Una rissa in una taverna, così mi disse. Aveva mandato un uomo all’altro +mondo, accidentalmente si potrebbe dire, a sangue caldo. Una disgrazia che +potrebbe capitare a chiunque, ma lui dovette scappare. Proprio il genere di +giovanotto adatto per fare il soldato: robusto, muscoloso. Non una corporatura +da marinaio, ma ad ogni buon conto si era pagato il passaggio da Creta facendo +il rematore. +– A me piace vivere tranquillo – dissi. – Non sono un ladro, né uno che si +lascia tirare nelle risse. Bel genere di gente se li incontri in una strada buia, il tuo +amico conciapelli che ti ruberebbe la borsa e quell’altro mangiafuoco, quel +Filemone, che ti darebbe una botta in testa. +– Be’ – disse il secondo uomo, sarcasticamente – se vuoi startene a sedere +sotto un albero ad aspettare che le olive ti caschino in bocca, la vita da soldato +non fa per te. +– Questo Filemone era un tipo come si deve – insistette l’altro. – Ora, +rimanga tra noi, io credo che sia proprio lui quel tale di cui si parla tanto laggiù +–. Accennò in direzione di Atene. – Non capisco, però, come possa essere +rientrato, perché l’ho visto neanche due mesi fa, diretto a Oriente. Bevendo +insieme mi disse di avere ad Atene la vecchia madre, che non avrebbe più +rivista, ma non avrebbe certo arrischiato la sua pelle di fuorilegge per quella +vecchia. E poi perché dovrebbe andare ad ammazzare uomini maturi qui in +patria quando ci sono delle guerre a cui partecipare? Sicuro, se ne andò a Oriente + dove si combatteva, e non da queste parti. E allora? È un mistero, ma dopo tutto +non è affar mio. +– Giusto – approvò l’altro. – Alla larga dalla legge e dagli affari dei ricchi +dentro le mura. Non è roba per noi. +Il mio cuore esultava. Non dissi nulla di Filemone, ma rimasi sul posto, +incollato come se mi fossi seduto sulla pece. Mi tenni accanto ai due marinai, +ascoltando i loro racconti, ammirando il battello. Diventato più loquace, spiegai +d’essere venuto a vedere un amico che non era a casa, e che lavorava nel piccolo +podere di mio padre a nord di Atene. Infine li persuasi a lasciarsi offrire da bere +nella più vicina taverna del Pireo. Il vino era orribile e anche annacquato, e mi +andò quasi per traverso combinato con il fetore di sudore e del pesce posto ad +essiccare in una stanza vicina. Ma appresi i loro nomi senza domandarli, e +scoprii anche dove ciascuno dei due aveva navigato durante l’estate, e con quale +capitano, in modo da poterli identificare con certezza più tardi. Era il più +anziano, naturalmente, che non volevo perdere di vista, quello che aveva +incontrato Filemone. Pelieo il marinaio, figlio d’un marinaio. Aveva servito su +una nave che portava carichi d’armi e di provviste alle città appena conquistate +sulla costa durante l’estate. +Dopo essermi allontanato da loro, mi trovai in imbarazzo su come passare il +resto della giornata. Non volevo ritornare ad Atene prima del crepuscolo. Me ne +andai a zonzo per il Pireo, discutendo occasionalmente sul prezzo del pesce e +cercando di non farmi notare; poi sonnecchiai su un tratto solitario della riva +sassosa. Pensai anche di andare in una delle case di piacere di cui il Pireo è ben +fornito, ma mi figuravo che fosse difficile trovare una ragazza che non puzzasse +di pesce fritto. Infine lasciai il Pireo nella precoce sera d’autunno, fischiettando e +arrancando verso casa sui miei piedi indolenziti, con due pesci penzoloni dal +bastone, come un bifolco che è stato al mercato. +Il giorno dopo, ripensando alla mia gita, non mi sentivo molto euforico. Senza +dubbio avevo appreso qualcosa. Avevo persino un potenziale testimone, e si +poteva sperare che quel marinaio non lasciasse i nostri lidi per tutto l’inverno. +Ma nel migliore dei casi, questo testimone, per giunta riluttante, poteva solo +affermare che Filemone era stato sulla costa asiatica non molto tempo prima del +delitto. Gli accusatori avrebbero ribattuto che Filemone avrebbe avuto tempo a +sufficienza per ritornare ad Atene, se così avesse voluto. Quanto a me, ero +convinto che Filemone se ne era andato a Oriente, come aveva detto al marinaio. +No, il marinaio costituiva una buona occasione di mettere in dubbio l’accusa, +poiché la sua testimonianza avrebbe rafforzato l’asserzione che Filemone era +assente da Atene nel momento fatale, ma non era sufficiente a sostenere la mia +difesa. Quanto ad aspettarmi di trovare per caso altre informazioni su dove si + trovasse Filemone, sarebbe stato sperare troppo. Tuttavia non mi sentivo +sfiduciato neppure sotto questo aspetto, poiché per la prima volta gli dei +sembravano favorirmi. + VII +Taverne e vasi rotti + + + + + +Nei giorni che seguirono queste nuove speranze si misero a vacillare come +un’immagine nell’acqua. Mi resi conto che gli accusatori erano tuttora in grado +di dare una sinistra interpretazione ad ogni cosa. Se tutto ciò che si sapeva era +che Filemone si trovava in Asia, potevano dire non solo che avrebbe potuto +tornare a casa in tempo per il delitto, ma anche che si trovava in Asia come +volontario nelle forze persiane, per sostenere le inquiete città della costa nella +loro rivolta contro Alessandro. Non avevamo prove che fosse un soldato, e ancor +meno che combattesse con Alessandro, e alludere a questo avrebbe potuto +indurre gli altri a sostenere il contrario. A questo punto, era meglio che non +menzionassi la faccenda. Esibire le mie vacillanti certezze alla seconda +prodicasìa sarebbe stato come andare a cercar guai. +Nonostante la mia prima avversione nei confronti dei suggerimenti di +Aristotele, ora desideravo riprendere la mascherata. Mi occorreva sapere di più, +e mi sentivo trascinato verso il Pireo. Una settimana dopo, ero di nuovo presso la +Lunga Murata. Questa volta evitai di proposito il luogo dov’ero stato nella prima +visita; mi sembrava imprudente rivedere troppo presto il mio marinaio. +Vagabondai per le viuzze sudice, in una zona diversa del porto. Provai ad entrare +in un’altra taverna, ma non appresi nulla, salvo alcune vivaci imprecazioni che +non avevo mai sentite. +Eppure ci tornai ancora pochi giorni dopo. Ero come uno che si lamenta del +gusto aspro del vino nuovo e non può fare a meno di berlo. Questa volta girellai +presso il Cantaro, sbirciando le grandi navi della flotta. Notai che alcune erano in +condizioni pietose. Una di queste, una grande trireme da guerra, giaceva sul +fianco come una mucca ammalata. Il legname della chiglia cominciava a +guastarsi e a marcire, e la poppa era tutta ammaccata. Pensai che un giorno o +l’altro sarebbe arrivato qualcuno con nuove assi e barattoli di pece a rimetterla in +ordine. +A mezzogiorno sedevo in una taverna buia, bevendo un modesto vinello e +cercando di mangiare dei gamberetti cotti in olio rancido. Era una taverna di +marinai e mi sentivo fuori posto, ma cercai d’apparire assente e indifferente. Il +modo migliore per ottenere quest’effetto è essere assenti e indifferenti dentro. + Liberai la mente da ogni pensiero e guardai distrattamente i trucioli, la paglia e +gli sputi sparsi sul pavimento di terracotta, cercando di ricostruire con essi strani +disegni, come in un mosaico. Immerso in una sorta di sogno mi accorsi che +vicino a me un gruppo di marinai era impegnato in una specie di celebrazione. Li +udii, non perché parlassero ad alta voce, ché anzi parlavano piano, assorti in una +seria conversazione, ma perché uno di loro, a metà della frase, aveva +pronunciato un nome che aveva il potere di calamitare la mia attenzione. +– … Boutades. Che la sua anima sia dannata. Le assi erano di legno scadente, +pino non stagionato. Dopo due viaggi sono bell’e marce, contorte come anguille. +Non c’è pece che tenga insieme un simile fascio di legna da ardere. Il capitano sa +cosa intendo dire. È come cercare di incollare le mascelle a un cane con resina +d’abete. +– E cosa avete fatto allora? +– L’abbiamo rattoppata in qualche modo e via. Che Nettuno sia lodato! Sono +sbarcato al Sunion e gli ho fatto un’offerta votiva, speciale. Ma se fossimo andati +a fondo tutti quanti, non sarebbe stata colpa del mare. Mai vista una nave che +imbarcasse tant’acqua. +– È davvero una brutta faccenda – disse un uomo abbronzato di mezza età e +dai modi autoritari che ritenni fosse il capitano. – Non è bene parlare contro uno +dei nobili, perciò tenete a freno la lingua, ragazzi, e non cominciate a fare nomi. +I morti vanno rispettati, d’accordo, ma mettere in mare una nave che spalanca le +ganasce come un vecchio davanti al fuoco appena ha toccato un’onda o due! +Non è una cosa che si possa accettare. E vi posso anche dire, visto che siamo fra +amici – e qui si piegò verso gli altri, abbassando la voce ad un enfatico bisbiglio +– sono stato da lui in persona. Su in città. Sono andato a dirgli quello che ne +pensavo. +Gli altri parvero divertiti e ammirati. +– Scommetto che ti ha invitato a pranzo. +– O l’hai invitato tu a un viaggio gratis sulla bella nave «Il Colabrodo»? +– Oh, lui è stato tutto moine. Grasso come una foca e calvo. «Temo che ci sia +un equivoco» mi ha detto, parlando difficile come tutti quei ricconi che si +puliscono le gengive col burro. «È al cittadino Archimeno che dovreste +rivolgervi per questa faccenduola. L’Afrodite, al momento, è sotto la sua +responsabilità. Sono sicuro che vi rimetterà a posto la nave». +– Sei andato da Archimeno, allora? +– Per un bel pezzo ho temuto di non riuscire a farmi ricevere. Sono rimasto +seduto nel suo cortile per una mezza giornata e anche più, con gli schiavi che +venivano fuori a portarmi da mangiare, a cercare d’ubriacarmi o mandarmi via, o +tutte e due le cose. «Che peccato! Il trierarca è appena uscito!». «Lo aspetterò» + dico io «finché non torna». «Ma il padrone è molto occupato adesso!». «Non ho +fretta» rispondo io «visto che in mare adesso non ci posso andare, resterò qui nel +vostro cortile a raccogliere un po’ delle vostre pulci, grazie». Infine quand’è +rinfrescato, sono riuscito a vederlo. Lui era in vantaggio su di me, seduto lì nella +sua bella stanza (ma non bella quanto quella di Boutades), mentre io ero in piedi +e tutto coperto di polvere. +– «Bene, brav’uomo, sono molto occupato, di che si tratta?». «Si tratta di +questo» rispondo, e avanti con la mia lista di cose che mancano e di cose che +non funzionano, cominciando dal poco per finire col molto. «Mancano venti +braccia di corda sull’Afrodite» dico, «e quella che c’è è logora come il mio +mantello». Lui sorride a bocca storta. «Mi rincresce, mi rincresce, ma non è poi +una faccenda grave. Si tratta, temo, caro capitano, d’un altro caso di furto da +parte d’uno schiavo. Il de-te-rio-ra-men-to della loro condotta è deplorevole; ma +non preoccupiamoci di simili inezie». «Non è mica tanto un’inezia» dico io; «e +poi c’è il resto». E avanti col resto. Quando sono arrivato ai ceppi mancanti e ai +remi pieni di crepe, Archimeno ha cominciato a spalancare gli occhi. E si è fatto +smorto quando ho parlato della vela vecchia che doveva essere nuova. E quando +sono arrivato alle assi deteriorate della chiglia e tutto il resto, è diventato giallo +come un limone. Ed ecco che si alza in piedi, tremando e strillando come una +donna: «Che gli dei mi aiutino perché sto impazzendo! Mi vogliono rovinare! +Sono stato imbrogliato da quel furfante e non so come rifarmi, che Atena mi +salvi!». Si strappava i capelli, quei pochi che aveva, con la faccia aggrinzita, +come un bambino che piange. La scena somigliava quasi a una tragedia e lui a +un attore, ma senza la maschera. Ma prima di scoppiare in lacrime s’è ricordato +di buttarmi fuori. «Andatevene! Via! Che mi venite a raccontare di legname, di +pece e di tela da vele?» e io: «Devo dedurre che sono licenziato dal servizio +sull’Afrodite e che devo cercare impiego altrove?». «Sì! Andate via! Andate +via!», grida. Così me ne sono andato, e questa è la fine della povera Afrodite. +– Ma cos’era successo? – chiese il più giovane. – Credevo che fosse Boutades +il trierarca a cui spettavano le spese dell’Afrodite. +– Be’, non sapremo mai esattamente come stanno le cose; ma sembra che il +trierarca Archimeno si sia assunto in parte o totalmente l’allestimento +dell’Afrodite al posto del trierarca Boutades in cambio d’un debito. Un accordo +privato, tra amici, molto civile. Ma quello che Archimeno non sapeva era che la +nave dell’amico era in uno stato schifoso. Può succedere anche, diciamo, che un +uomo che vuol realizzare un profitto d’una certa consistenza in un affare del +genere faccia allestire la nave in tutta fretta, mettendoci del materiale scadente +invece di quello nuovo. +– Sarebbe davvero un bel profitto. Gli armatori lo fanno, a volte, se non li + teniamo d’occhio – disse uno degli uomini, ridendo – ma per un trierarca la cosa +è più facile. Uno scherzo. +– Non mi pare uno scherzo – replicò il giovane, arrabbiato. – Ci sono delle +vite in gioco: è un delitto… +– Ma è ugualmente uno scherzo – insistette l’amico, ridacchiando ancora. – +Un trierarca che vende a se stesso della corda scadente. +– Ma non si può fare qualcosa? Una querela ad Antipatro? +– Non fare il cretino. E non andare a riferire in giro quello che ho detto. +Ricordati, è meglio non far nomi. Parla del cittadino Uno, del cittadino Due, se +proprio devi, ma è meglio star zitti, salvo quando si è tra noi. C’è un po’ di +disordine in città, e chi vuole andare in giro a denigrare il nome d’un uomo che +ha fatto una morte orribile? Quanto al resto, non sappiamo da che parte tirerà il +vento. Il re Agide e gli altri stanno ai remi, e ognuno rema in una direzione +diversa, per così dire. Lascia stare la politica e trovati un lavoro per l’inverno. +– In primavera – disse il giovane con convinzione – la flotta uscirà +sicuramente. +– Sembra probabile – ammise il capitano. – Io lo spero. Ma non prenotare una +cuccetta su una nave di Archimeno – aggiunse, ammiccando. +Poi uno degli uomini gridò: – Su, Paulos, dobbiamo bere ancora alla salute +del tuo bambino – e le coppe furono riempite. Il resto non fu che una tediosa +conversazione tra amici chiassosi. + +All’inizio della settimana seguente tornai da Aristotele per raccontargli le mie +visite al Pireo vestito da poveraccio. Ero pieno di pensieri, soprattutto a +proposito di Archimeno. Di recente questi aveva lodato Boutades in mia +presenza come «molto stimabile… un vero patriota… molto generoso»; eppure, +l’uomo che parlava del suo amico in toni da epitaffio, precedentemente in quella +stessa estate si era lamentato di esserne stato rovinato. Forse non ero stato il solo +ad adottare un travestimento. +Aristotele era di umore allegro quella sera, mentre mi mostrava una grande +coppa a due manici che aveva ricevuta in dono da uno dei suoi studenti. +Sembrava poco propenso a interrogarmi su quel che avevo fatto. Mi sentii un po’ +deluso. L’ultima volta che ci eravamo visti era tutto preso dall’idea di mandarmi +a vendere verdura al Pireo, e adesso, a quanto pareva, non voleva parlare che di +ceramica. +– Viene fin da Poseidonia, è questo che è curioso – disse. – Non capita spesso +di vedere merci venute dalle colonie. La decorazione è un po’ ingenua, ma è +vivace –. Mi mostrò da vicino la larga coppa. Aveva uno strano disegno +ricorrente di palme piatte, simili a dita d’una mano. Da un lato c’era un’elegante + immagine di Diòniso; dall’altro, una scena in stile comico di un baccanale. +All’estremità del gruppo c’era la tozza figura d’un vecchio, con occhi accesi e +tratti assurdamente pesanti, in atto di danzare una giga con una ciotola sulla +testa. +– Una scena comica, no? – disse Aristotele. – Un po’ volgare, ma divertente. +Il vecchio balla: tutto va bene. Penso che davanti a questa figura Eubolo abbia +pensato a me, non credi? C’è una certa somiglianza nel naso e nella fronte, e un +po’ anche nella corporatura. Almeno non è un dono d’amore. Ai vecchi tempi +avevo degli allievi dagli occhi bovini che mi regalavano coppe con le figure di +Zeus e Ganimede. Ecco – aggiunse. – Credo che la metterò qui –. La pose su una +tavola; al riflesso del fuoco l’immagine del vecchio parve ammiccare e danzare. +– Qui, vicino a questa fiaschetta piatta che sembra un’anatra. Anche questa viene +d’Oltremare: da Volterra. Alla gente di laggiù piace molto produrre oggetti che +somigliano ad anatre e galline, chissà perché. Piuttosto bruttina, no? La coppa è +fatta molto meglio. Sai che l’argilla è diversa dalla nostra? Un colore più chiaro, +sul bruno, come le ceramiche etrusche. Hai mai visto roba etrusca? Sapevi che le +figure sono dipinte con della vernice rossa e non sono mai di vera argilla rossa? +– No – dissi seccamente. Poi, ricordandomi le buone maniere, osservai: – +Avete dei pezzi molto belli. +– È vero. Quel vaso, ecco, è una bellezza –. Accennò al vaso, dove si vedeva +un giovane che conduceva un cavallo bianco in mezzo a una folla di uomini e di +dei. – Un po’ troppo ornato, ma squisito. È molto vecchio, apparteneva a mio +padre: roba attica. E ho un cratere da vino di pura argilla rossa, piuttosto +antiquato, ma è l’unico buon recipiente da vino che abbia in casa. Quell’altro lì – +accennò a un piccolo cratere – con quella scena di caccia è piuttosto scadente. +Sembra attico, ma è corinzio. Sapevi che l’argilla di Corinto è gialla, non rossa +come la nostra? Quindi i vasai di Corinto non possono ricavare le figure rosse +come nei nostri vasi. Dopo che gli si è data una buona mano di vernice sembrano +uguali ai nostri, ma non lo sono. +– No – ripetei. – Non lo sapevo. Non mi sono mai occupato molto di +ceramica, a dire il vero. E non abbiamo niente di speciale a casa. +– Oh, ma dovresti osservare le cose, Stefanos. I vasi sono molto interessanti, +che tu li possieda o no. Alcune scene sono istruttive, altre sono divertenti. E tutto +quanto, compresa la lavorazione stessa, è di qualche interesse… Dà qualche +spunto di riflessione. Ad esempio, cos’è che rende l’argilla attica tanto superiore +per quanto riguarda la lavorazione? Beviamo il nostro vino dall’anfora migliore: +il gusto ci guadagnerà. +– Boutades aveva una bellissima anfora – dissi, riandando ai miei ricordi. – +L’ho vista in casa sua. + – Be’, Boutades avrà avuto senz’altro delle cose preziose, no? Quello che c’è +di meglio. E avrà ereditato alcuni pezzi importanti, vasi commemorativi in onore +di un corègo, doni di familiari, e omaggi dai clienti. A noi macedoni ne sono +rimasti pochi di questi cimeli di famiglia. Ma ormai Alessandro potrebbe +riempirci una casa con tutti i bei vasi che gli hanno donato i suoi ammiratori +ateniesi negli ultimi anni, e anche Antipatro. +– Tutti con scene di battaglia di Achille ed Ercole, – suggerii io, un po’ +scaldato dal vino. +– A dire il vero moltissimi. Senza dubbio Polignoto si conquisterà molte +simpatie facendo da promotore al dramma su Ercole in veste di corègo. Mi è +giunta voce che le prove procedono molto bene. Il poeta ha inserito dei nuovi +versi in onore delle vittorie più recenti di Alessandro. +Pensai ai commenti che avevo udito una volta su Ercole e il destino di +Chirone, ma non ne feci parola. +– Incidentalmente – aggiunse Aristotele con maggior gravità – penso di +doverti dire che alcuni hanno suggerito ad Antipatra che l’omicidio potrebbe +essere un complotto dei Persiani per diffondere l’allarme in Atene, e per liberarsi +di qualcuno dei più influenti cittadini fra quelli che sostengono la Macedonia. +– Oh – dissi cupamente. – Non ci mancava che questa. Così Filemone diventa +un traditore e un agente dei Persiani. +Aristotele mi aveva sbalordito, perché recentemente anche a me s’era +affacciato il timore che la parte avversaria cercasse di sostenere che Filemone si +era battuto per i Persiani. Mi dissi che dovevo essere guardingo con Aristotele. +Con l’animo sempre più triste mi chiesi se fosse saggio fidarsi di lui come +amico, quest’uomo amico di Antipatro, quest’ometto pignolo, che riceveva +costosi doni dagli studenti e dagli ammiratori e che poteva prendersela comoda, +fra i suoi vini, i suoi libri e i suoi vasi… Era lontano da me mille miglia: mi +domandai perché mi trovassi lì. +– Smettila di fare il broncio, Stefanos, io non sono Alessandro e non ho +l’abitudine di correre da Antipatro a riferire le conversazioni che sento –. +Sembrava aver letto i miei pensieri, e mi guardava acutamente e con un po’ di +malumore, come un maestro può squadrare un alunno irrequieto. +– Mi dispiace – dissi guardandomi i piedi con imbarazzo, come il contadino +che avevo finto di essere. Vi fu una pausa. +– Mi sento davvero un idiota – dissi pieno di sciocca irritazione scuotendo la +mia coppa di vino. – Dev’essere stato recitare la parte dello zoticone a rendermi +così villano. Questo dimostra che Platone aveva ragione riguardo all’arte del +recitare. Se in un dramma, o ancora di più nella vita vera, si recita la parte di una +persona stupida o malvagia, questa corrompe l’anima e si diventa uguale a lei, a + lui, insomma, sapete cosa intendo. +– Ah, così sei stato a caccia di notizie – replicò Aristotele, vivacemente +interessato. – Raccontami come hai recitato la parte del bifolco. La tua anima +però non mi sembra affatto corrotta. Sono sicuro che non hai fatto niente di +sbagliato. +– Forse non mi ha corrotto l’anima, – risposi, – ma senza dubbio mi ha +sporcato i vestiti e la pelle. Sono stato al Pireo tre volte e ogni volta sono +rientrato puzzando come una bottega di pesce. Ne ho persino comperato, del +pesce, e l’ho portato a casa. Adesso il solo pensiero dei gamberetti, specialmente +se fritti in olio rancido, basta a farmi sentir male. +– Ottimo! – rise Aristotele. – Se non puoi vendere verdure, compra del pesce. +Un buon travestimento: il vero campagnolo che torna dal mercato coi frutti del +mare appesi a un bastone. +– Non mi è venuto in mente niente di meglio per andarmene senza destare +sospetti, – protestai. +– Come disse Arione parlando del delfino, – finì Aristotele. Fu molto +divertito da questa sua battuta. – Ma dove sei andato esattamente? Hai scoperto +qualcosa? Raccontami tutto. +Obbedii, sebbene pochi minuti prima avessi deciso di non raccontargli mai +più niente di importante. Aristotele riusciva a cavarmi le informazioni con +dolcezza, come una donna che allunghi la lana fino a ricavarne un filo. +Nonostante la sua aria ingenua, a volte ero sicuro di sapere in che modo in +passato avesse fatto da ambasciatore e da spia in Asia. +Gli narrai le mie tre visite, e gli ripetei tutta la conversazione il più +fedelmente possibile. – Ecco – conclusi. – Sono tre le cose che ho appreso. +Magari non tanto rilevanti, ma nemmeno del tutto inutili. Il punto principale è +che adesso ho qualche notizia di Filemone. +– Hm. Sì. E così ora sei stato tre volte al Pireo. Meglio non tornarci, Stefanos. +Tanto va la secchia al pozzo… con quel che segue. Ma dopo tutto, la verità sta +dentro il pozzo, vedi? +– Ora – aggiunsi – so qualcosa di più a proposito di Boutades, ma non vedo +come possa servire. E come posso essere certo che il capitano della nave diceva +il vero? No, l’informazione non mi è utile, e non vedo come potrebbe esserlo, +ma mi lascia perplesso. Avete notato, Aristotele, che qualsiasi cosa io abbia +udita per caso a proposito di Boutades è stata sfavorevole? Eppure aveva una +così buona reputazione. Mi domando se non fosse un uomo tanto odioso, che +tanta gente desiderava vederlo morto. +– Senz’altro – disse Aristotele. – Questo l’avevamo già stabilito prima, +benché allora tu fossi entusiasticamente pronto a vedere sua moglie come + l’assassina. E qual è la terza cosa che hai appreso? +– La terza? Archimeno, naturalmente. Quello è un uomo che deve realmente +aver odiato Boutades, benché ne parlasse così bene dopo la morte. Cosa +succedeva su quelle navi? +– Io penso che il tuo schietto amico, il capitano, debba aver avuto ragione +nelle sue deduzioni. Gli aristocratici sono come anitre che galleggiano in uno +stagno: serene e imperturbabili di sopra, ma intente ad annaspare furiosamente di +sotto, e a provocare invisibili correnti sotto la superficie –. Aristotele fece una +pausa e poi aggiunse: – Una cosa che mi colpisce è che c’è coinvolta una gran +quantità di denaro. E abbiamo udito alcune cose strane a proposito di denaro. La +moglie di Boutades che non aveva scarpe nuove. L’uomo era spilorcio nelle +spese di casa. Non era dunque così ricco come tutti supponevamo? Si trovava +improvvisamente a corto di denaro? O lo era già da tempo, così da dovere tirare +sul soldo e magari imbrogliare per mantenere la sua posizione? +– Ma – obiettai – Polignoto, il suo erede, non è povero. Ha sostenuto le spese +di due ricchi funerali, e ora paga per la messinscena dello spettacolo teatrale. E +non ha venduto nessuna delle terre di Boutades, né delle sue. +– È vero. Naturalmente, Polignoto ha ereditato molto da suo padre. Ma, come +tu dici, tutto ciò è strano. Forse Boutades era spinto da un risentimento personale +contro Archimeno? E perché? Oppure aveva un tal bisogno di quattrini da +indursi a fare un tiro vergognoso a una vecchia conoscenza? +– È un’azione criminale, oltre tutto – insistetti. – Pensate ai poveri marinai. +– Dubito che l’immaginazione di Boutades abbia potuto figurarsi uomini in +carne e ossa alle prese col mare su una nave che fa acqua, e nemmeno la sorte di +questa cattiva nave in una battaglia navale. Il suo senso morale, comunque, +presumibilmente gli avrà fatto capire che imbrogliare fino a quel punto un altro +trierarca non era una bella cosa. +– E anche a questo proposito – dissi sporgendomi in avanti come il capitano +nella taverna – pensate come deve essersi sentito Archimeno! Anzi, come si è +sentito! «Sono stato imbrogliato da quest’uomo e non so come rifarmi». Se +dobbiamo credere al racconto del capitano, era fuori di sé per il dolore e la +rabbia, fino al punto di dimenticare che un forestiero di umile estrazione era +nella stanza con lui. Tuttavia, per quanto ne sappiamo, non ha fatto parola agli +uomini della sua classe del torto subito, forse perché lo avrebbe fatto apparire +stupido. La sua famiglia, per quanto nobile, in questo momento non ha molti +alleati. Ricorderete certo che suo padre e suo zio furono sospettati di essere ostili +ai Macedoni. Quindi, non ha potuto rifarsi su Boutades. Ed è anche un uomo +retto e rigoroso. Se prendesse il sopravvento, il suo risentimento sarebbe enorme, +soprattutto perché represso. Non pensate, Aristotele, che Archimeno potrebbe… + Nella mia eccitazione, mentre mi chinavo in avanti, urtai col ginocchio contro +la base della mia coppa; essa mi sfuggì dalle dita e s’infranse sul pavimento, +spargendo attorno chiazze di vino e frammenti d’argilla. Arrossii violentemente. +– Oh, Aristotele! Mi rincresce tanto! – balbettai cercando di raccogliere +gl’inutili cocci. – Lasciate che ve ne compri un’altra… +– Niente, niente – disse Aristotele, sorridendo. – Era una coppa senza valore, +benché non sia molto cortese dire che servo i miei ospiti con coppe scadenti. Mi +rincresce che non si trattasse di una coppa migliore, perché avrebbe prodotto un +rumore più gradevole. Non preoccuparti d’una simile inezia. Pitia ed io ne +rompiamo anche noi. Quando cominciamo a sentirci annoiati ce le tiriamo +addosso per tenerci alto lo spirito. +– Il pavimento… – mormorai mortificato. +– Non pensarci, ti dico. Ad ogni modo, domani la schiava di casa dovrà +pulirlo. +Le macchie di vino mi rammentarono quelle altre macchie sul pavimento di +Boutades. Anche là ogni cosa era stata ripulita da efficienti schiavi. +– Guarda – disse Aristotele, prendendomi di mano uno dei frammenti e +avvicinandolo alla luce del focolare. – Ti ricordi ciò che ti ho detto sulle argille? +Bene, ecco qua: totalmente rossa. Un pezzo grossolano, eseguito senza grande +perizia e di decorazione comune; ma mostra la sua origine attica. Dai tipi più +modesti ai più eleganti, la materia essenziale è la stessa. Dovrebbe esserci una +morale in questo. Se fosse stata una coppa etrusca sarebbe stata marrone chiaro e +più ruvida –. E gettò il frammento nel fuoco. +Gli piacevano i dettagli di questo genere. Strana cosa per un filosofo che, +come pensano i più, preferisce meditare su grandi argomenti come la Bellezza o +la Giustizia. Per quanto mi riguardava, un pezzo di terracotta ne valeva un altro. +Pure, mi rendevo conto che chiacchierava per consolarmi della mia goffaggine e +coprire il mio imbarazzo. Mentre guardavo i cocci che tenevo in mano, mi tornò +in mente un particolare. +– Ho trovato un frammento di ceramica – dissi. – Una cosa strana. L’avevo +dimenticata. Fu quel giorno, nella casa di Boutades. O meglio di fuori, vicino +alla finestra, per terra. Una piccola scheggia, venuta via da qualche oggetto di +casa. Allora pensai che uno schiavo avesse rotto un vaso recentemente e ne +avesse portato fuori i pezzi lasciandone cadere uno. Tutto qui. +– Recentemente? Pensi che si fosse rotto recentemente? E perché? +– Be’… non lo so. Un’impressione. Penso perché il bordo era ancora +piuttosto tagliente, e perché non era schiacciato dentro la terra o insudiciato. +– L’hai mostrato a qualcuno? +– No. Gli altri se ne stavano andando. Non era che una scheggia. L’ho + raccolto e ci ho giocherellato tanto per far qualcosa. +– E poi l’hai ributtato via? +– Credo… No, non l’ho buttato. Devo averlo portato via con me. Che +sciocchezza. Mi ricordo d’essere rimasto ad almanaccare su cosa potesse essere +il marchio o la lettera. +– Quale marchio? Quale lettera? +– Un segno, come una piccola croce. Così –. Lo tracciai sul pavimento. – Il +marchio d’un vasaio, probabilmente. +– Era vicino al bordo della rottura? +– Sì, terminava nel bordo, in cima e di lato. Il frammento ha tutti gli orli +spezzati. +– Potrebbe essere parte di un’iscrizione, se si tratta di una buona ceramica. Il +rottame era spesso o sottile? +– Sottile, più sottile di questi – dissi arrossendo di nuovo. +– Sai, se potessi ritrovare questo frammento mi piacerebbe darci un’occhiata. +Mi piacciono gli enigmi. Sarebbe interessante ricostruire un’iscrizione basandosi +su due soli tratti. Potrebbe essere quasi altrettanto interessante che guardare un +intero vaso di Poseidonia. +– Di certo sarà stato gettato via da un pezzo – dissi dubbiosamente. – Ma +guarderò. +E mi accomiatai, lieto di allontanarmi dalla scena del mio imbarazzo. Inoltre, +non mi dispiaceva allontanarmi dalle macchie di vino sul pavimento. Nel +chiarore del fuoco, erano troppo simili a qualcos’altro. Provavo anche un senso +di paura. La rottura della coppa e lo spandersi del vino erano capitati in un +momento assai inopportuno, e proprio a me, che di solito non rompevo mai +nulla. Tutto quanto appariva come un presagio. Era come se nel momento in cui +avevo accennato il nome di Archimeno, gli dei o un’altra forza oscura degli +Inferi avessero approvato. E Aristotele non aveva mai risposto alla mia domanda +incompiuta, come se un potere misterioso gli avesse serrato le labbra. Invece di +esserne incoraggiato, mi sentivo terrorizzato. Se anche gli dei mi avessero detto +chi fosse l’assassino, io continuavo a non sapere cosa fare. Questa non era una +prova che potessi produrre al processo. Se avessi dovuto dimostrare la mia +conclusione, continuavo a non sapere come trovare le prove. + VIII +Sangue e insulti + + + + + +Non avendo di meglio da fare, cominciai fin dal giorno dopo la ricerca del +pezzo di ceramica rinvenuto fuori dalla casa di Boutades. All’inizio cercai +distrattamente, essendo convinto che il frammento doveva essere stato buttato +via già da un pezzo. Ma, man mano che procedevo nella mia ricerca, essa si +faceva più interessante. Chiunque cerchi qualcosa spera vivamente di trovarla. +Frugai tra i miei abiti nella cassapanca, scrutai sotto i mobili e dentro i vasi, +negli angoli vuoti e spazzati per bene, coi metodi futili di chi cerca un oggetto +perduto. Infine, entrai alla chetichella nelle stanze delle donne. In camera di mia +madre passai in rivista le vesti nella sua cassapanca, e poi mi misi ad esaminare +le scatole e le ciotole sulla tavola. Aprii il cofanetto nuovo di legno intarsiato che +mio padre le aveva donato poco prima di morire, e guardai i gioielli e gli +ornamenti che conteneva. Naturalmente, non vi era traccia di ceramiche rotte. +Ma poi notai il vecchio cofanetto che stava dietro, un oggetto rotondo piuttosto +malconcio, e l’aprii. C’era un mucchietto di oggetti di vario genere, di quelli che +le donne hanno l’abitudine di conservare: una fibbia rotta, il dente da latte d’un +bambino, un ricciolo di capelli, e proprio in mezzo a queste cianfrusaglie, ecco il +frammento perduto! +L’avevo appena raccolto e infilato nella manica quando mia madre apparve +sulla soglia. +– Santo cielo, Stefanos, cosa fai qui? Perché stai guardando nel mio +portagioielli? +Pensai ad una scusa, e sorrisi timidamente, come un bimbo colto con la mano +sui dolci. – A dire il vero, mamma, mi stavo chiedendo che regalo ti potesse +servire per la tua festa. +Arrossì e prese un’aria compiaciuta, ma replicò: – Stefanos, figlio mio, non +spendere denaro per me. Non ho bisogno di nulla! – Mi mise una mano sulla +fronte e mi guardò con ansia: – Stai proprio bene, ragazzo mio? Lo zio della +moglie di tuo zio, da parte materna, si ritrovò con la mente sconvolta dalle +preoccupazioni. Non ricordo bene se fu quando perse tutto il suo denaro o se fu +perché i reumatismi non gli davano tregua, ma all’inizio era molto calmo, poi +cominciò a comportarsi in modo veramente strano: buttava all’aria le cose in + tutta la casa e cantava a squarciagola, a volte quasi tutto il giorno e a voce +altissima, e nessuno riusciva a farlo smettere. +– Sto benissimo – la rassicurai. – La mia mente funziona perfettamente, e di +sicuro non mi metterò a cantare. +– Allora, mio caro – riprese apparentemente tranquillizzata – non gironzolare +nei quartieri delle donne. Se le domestiche se ne accorgessero, farebbe una brutta +impressione. Spero che alla tua età tu non stia diventando un pignolo, come certi +uomini che s’impicciano di tutte le faccende di casa. Si diventa come Boutades +se non si sta attenti. +– Boutades? +– Oh, sì – rispose mia madre sedendosi comodamente sul letto. – Non mi +piace ascoltare i pettegolezzi degli schiavi, naturalmente, ma sai, Stefanos, che +negli ultimi tempi Boutades era diventato proprio strano sotto questo aspetto? +S’era messo a contare le cose. +– Contare? Che genere di cose? +– Be’, andava a spiare dentro le scatole e le casse di sua moglie, contando i +gioielli e gli ornamenti. E faceva liste di tutti gli arredi. Un giorno insistette che +tirassero fuori tutti i vasi e i piatti di casa, e anche di questi fece un elenco. +Naturalmente, molti uomini vogliono vedere dove va a finire il loro denaro e +quanta roba possiedono, ma questo era strano, no? Poi andò fuori e comperò altri +oggetti, come due piccole anfore e dieci coppe della migliore qualità, e aggiunse +anche queste alla lista. Le donne erano proprio stufe del suo ficcare il naso +dappertutto, vecchio scemo che non era altro. +– Magari voleva semplicemente qualcosa da fare – dissi. +– È così anche per te, Stefanos? Vuoi qualcosa da fare? Vai ai bagni o +nell’agorà, ma non diventarmi un «massaio», non sta bene. +– Credo che non ce ne sia pericolo – replicai. +Mia madre mi lisciò i capelli con la mano. – Su, Stefanos, mi sembri così +stanco. Oh, povera me, non avrei dovuto ricordarti quell’uomo odioso –. Era +chiaro che, poiché Boutades aveva avuto il cattivo gusto di coinvolgerci nel suo +assassinio, mia madre lo considerava un nemico personale della famiglia. Le +diedi un bacio. +– In ogni caso – aggiunse lei – non credo che sarai mai spilorcio come +Boutades. La primavera scorsa, quando regalò a sua moglie alcuni bei gioielli, le +disse di non pensare di portarseli nella tomba come offerta votiva; erano troppo +preziosi per questo. Figuriamoci! Io preferirei ricevere una ghirlanda di fiori dal +mio caro figliolo che non i più ricchi ornamenti con così poco garbo. +La guardai preoccupato, e mi resi conto che nelle ultime settimane l’avevo +trascurata. Questo era un brutto momento per lei che aveva perso il marito di + recente, e probabilmente lei e la zia Eudossia erano tenute alla larga dalle altre +donne adesso che su di noi pesava un tale disonore. Lei si accorse del mio +sguardo, benché non ne conoscesse la causa, e mi diede una pacca sulla mano. +– Non preoccuparti, Stefanos, e va’ a divertirti. Ti preparerò una tisana di +lattuga da prendere stasera prima di andare a letto. E penso che farò anche quei +pasticcini al miele che piacciono tanto a Eudossia. +Si affrettò ad uscire, avendo cura però che io la precedessi e lasciassi in buon +ordine le stanze delle donne. Io mi portai in camera il piccolo frammento e lo +misi in un posto sicuro. Era una cosa di nessun valore, tuttavia l’avevo cercata e +trovata. Suppongo di dover attribuire la buona o cattiva sorte di quel +ritrovamento al fatto che mia madre è una di quelle persone che non sono capaci +di buttar via nulla. Doveva aver trovato il frammento per terra e poi averlo +messo distrattamente nel suo cofanetto di cianfrusaglie. Non mi sono mai +preoccupato, né prima, né dopo, di andare a fondo nella questione; indagare +avrebbe creato solo confusione, e sono certo che mia madre non si sarebbe mai +ricordata di come aveva trovato il frammento. +Mi diressi all’agorà in uno stato d’animo abbastanza allegro. A mezzogiorno +vagabondai verso le bancarelle in cerca di qualcosa da mangiare. La giornata era +fredda e mi sentivo affamato; mi fermai vicino ad un bancone dove si vendeva +della carne cotta. Mentre mi domandavo che cosa comprare, si avvicinarono due +uomini. Erano Teosoforo, con il suo mento lungo e la solita aria da criticone, e il +rispettabile Archimeno, più magro e forse più calvo del solito, con le due rughe +austere sulla fronte simili a dei solchi su una pietra. Pensai che forse non mi +avevano riconosciuto vedendomi solo di spalle. Dalla prima prodicasìa in poi ero +stato tenuto ancora più alla larga di prima. +Li salutai con spensierata affabilità. Archimeno si limitò a un cenno, ma +Teosoforo disse: – Ah, Stefanos, il giovane avvocato. Che peccato che tuo padre +sia mancato così presto, che peccato – ripeté, scuotendo la testa. – Siamo tutti +così dolenti per la tua povera famiglia senza più un capo. Mi meraviglio che tua +madre non abbia miglior cura di te e ti lasci uscire in una giornata così fredda e +ventosa. +– Sì – approvò severamente Archimeno – i medici parlano molto di +raffreddori e di febbri in questo periodo dell’anno, e anche del malefico influsso +delle stelle. +Così come non so cosa avesse spinto mia madre a conservare qualcosa che +era stato buttato via, non so cosa spinse me in quel momento a dire cose che +sarebbe stato meglio non dire. Ovviamente avevo rimuginato molto su +Archimeno, e adesso che l’avevo a portata di mano, non volevo lasciarlo andare. +I loro insulti, ossia le implicazioni che non ero un uomo, né padrone in casa mia, + erano del genere che provoca all’azione. Presi un’aria gioviale, e gettando una +moneta al padrone del banco, afferrai una salsiccia e mi misi a mangiare con +apparente appetito. +– È una giornata fredda come dite, signori – affermai cordialmente. – Alcuni +filosofi pensano però che i venti portino via gli umori malefici. Tutte le cose +hanno un lato buono e uno cattivo. Un vento simile è buono per il mare e cattivo +per i marinai, come dicono –. Guardai fisso Archimeno e seguitai: – Sì, penso +che se fossi un marinaio resterei a terra, e ci resterei in qualsiasi altra stagione, a +meno di esser sicuro del mio battello. Ma naturalmente, delle buone vele e un +fasciame robusto possono sopportare le peggiori bufere. Non è così, trierarca? +Mi parve di vedere Archimeno spalancare gli occhi. Mi lanciò un’occhiata +torva da sopra il naso. +– Non è consigliabile mettersi in mare – spiegai – se gli schiavi si sono +permessi di rubare le corde e sostituire legname cattivo a quello buono. +Suppongo che la zattera di Ulisse fosse costruita con assi solide, ma può anche +darsi di no. In effetti affondò, ricordate? E lui dovette nuotare per raggiungerla. +Ma non si può certo accusare Calipso di avergli fornito materiale scadente –. +Non so come mai mi fosse tornata in mente l’Odissea; forse gli insulti rivoltimi +prima mi avevano ricordato il trattamento riservato a Telemaco dai pretendenti +di sua madre. +Ad ogni modo, potrei giurare che Archimeno fosse impallidito alle mie +osservazioni insolenti, mentre Teosoforo, a cui quanto stavo dicendo sembrava +un vano chiacchierìo, disse seccamente: – Che sciocchezze vai raccontando, +Stefanos? È chiaro che i marinai non escono in mare tra le bufere dell’autunno. +– Ma io stavo pensando ad Ulisse – dissi cercando di apparire sincero – si +sarà trovato certamente in mezzo alle bufere autunnali, ed è per questo che +naufragava, o almeno rischiava di naufragare così spesso. In questi tempi sto +rileggendo il poema –. Mi rivolsi al venditore di carne. – Vorrei un altro po’ di +quella salsiccia, brav’uomo. Se non vi dispiace, preferirei tagliarla da me. +Il venditore mi passò il coltello; e allora, spinto da chi sa quale demone dentro +di me, feci una cosa molto strana. Mentre tagliavo la salsiccia tenendola +maldestramente, mi ferii deliberatamente con il coltello. Fu solo un piccolo +taglio, ma ne uscì una gran quantità di sangue, come a volte avviene con tali +piccole ferite. Il sangue schizzò sul banco, e il pezzo di salsiccia, chiazzato di +sangue anch’esso, cadde giù e rotolò sulle pietre. +– Oh, cielo, guardate un po’ cosa ho fatto – dissi in tono preoccupato +succhiandomi il pollice. – «E il buon cibo si sparse in terra» – aggiunsi, citando +quel passo dell’Odissea in cui l’eroe incomincia ad abbattere i Proci nella sala +del banchetto. Ormai non c’era dubbio: Archimeno stava diventando molto + pallido. +– Non c’è bisogno di buttare per terra del buon cibo – ribatté il venditore. – E +guardate come avete ridotto il mio banco. Tenete il vostro sangue per voi. +– «Il pavimento si era fatto scivoloso per via del sangue» – citai, e poi +aggiunsi: + +Cominciate, tu e le donne, a portar via i cadaveri. +Poi lavate i deschi e le eleganti sedie con spugne porose. + +– Avete una spugna porosa, spero? – dissi al venditore. – Anche se non avete +deschi e sedie eleganti. Ripulite il vostro banco dal sangue. Ecco, questo vi +aiuterà! – Gli gettai una dracma con aria principesca, e quello si calmò subito. +Mi voltai giusto in tempo per vedere Archimeno vacillare. Aveva la faccia +verdastra, come per il mal di mare. Si afferrò a un lato del banco per mantenersi +in equilibrio. – Odio la vista del sangue – borbottò con voce rauca. +– Niente, niente! Non mi sono mica fatto male – dissi allegramente. – È solo +un graffio. Se ci fosse qui una bella ragazza, le farei un inchino e direi: «Un +piccolo sacrificio ad Afrodite!» – e sottolineai con intenzione l’ultima parola, +agitando la mano sanguinante in aria. +A quel punto Archimeno svenne davvero, o quasi, scivolando a terra. Mi +mossi verso di lui, ma Teosoforo, sostenendo il suo amico, mi gridò arrabbiato: – +Vattene via! Torna a casa e fatti passare la sbornia. Il tuo precettore non ti ha +insegnato un po’ di creanza? +– Come volete – risposi allegramente. – Vi suggerisco di mettergli la testa fra +le ginocchia –. Questo era in effetti ciò che Teosoforo si apprestava a fare. – +Arrivederci – aggiunsi. – Chi avrebbe mai pensato che un uomo sarebbe svenuto +come una ragazza… una ragazza molto giovane, voglio dire, perché nemmeno +una donna lo farebbe per un simile nonnulla –. Dissi tutto ciò a voce alta, nella +speranza che Archimeno potesse udirmi. +Se solo non avessi detto quelle parole sciocche e non avessi agito da stupido +pavoneggiandomi come un ragazzino! Se mi fossi comportato in modo dignitoso +e rispettoso avrei potuto risparmiare a me stesso molti fastidi e pericoli. Al +contrario, mentre lasciavo il mercato non provavo altro che piacere, poiché +avevo segnato un punto per Filemone. Continuavo a non avere alcuna +dimostrazione logica, ma mi convinsi che la mia idea riguardo al presagio fosse +stata confermata. L’affare delle navi malandate evidentemente irritava +Archimeno. Quello che al suo amico era parso il farneticare di un ubriaco, per il +trierarca aveva avuto un senso preciso. La sua perdita e la preoccupazione per +l’Afrodite chiaramente lo toccavano da vicino. Ma c’era di più: la vista del + sangue, la mia citazione dall’Odissea, non l’avevano forse sconvolto perché gli +richiamavano la sua vendetta sull’uomo che l’aveva ingannato? Altrimenti, +perché svenire? In effetti, gli uomini non si sentono male alla vista d’un graffio. +Ma sentir rammentare una sanguinosa vendetta compiuta con arco e frecce e +aggiungervi la vista di vero sangue poteva essere stato troppo per l’assassino. Sì, +Archimeno doveva essere pieno di paura. +Che sciocchezza da parte mia quel giorno pensare ai timori d’Archimeno e +trascurare i miei! + +Il giorno della seconda prodicasìa mi trovò più saggio. La parte avversaria era +lì: tutti vestiti di abiti invernali nuovi di fine lana follata che li facevano apparire +ancor più maestosi. Nei suoi paludamenti invernali, il grave Euticleide appariva +più che mai un pilastro della moralità pubblica. Persino Telemone sembrava ben +messo, serio, e neanche troppo stupido. Polignoto, un po’ più magro, era sempre +di bell’aspetto, ma più con l’aria d’un uomo d’affari di mezza età: adesso +sembrava molto più anziano di me. Notai che lo schiavo al suo seguito era il +Sinopeo dai capelli tinti di rosso, quello che avevo visto subito dopo il delitto, +quand’era ritornato con il fiato corto dall’inseguimento dell’assassino. Mi +ricordai dei commenti fatti allora su di lui. Di certo nessuno pareva disposto ad +attribuire l’omicidio a uno o più schiavi. E appariva improbabile che lo schiavo +fosse stato frustato per essersi lasciato scappare l’assassino. Portava una tunica +nuova e appariva robusto e compiaciuto mentre stava in attesa allegramente fuori +dalla porta. Non potei impedirmi di sospirare. Quanto sarebbe stato meglio per +me e per i miei se il delitto fosse stato opera degli schiavi. +Sulle prime, l’udienza si svolse proprio come me l’aspettavo, ricapitolando +quanto era già stato detto. Io ripetei la mia difesa, asserendo che Filemone non +poteva essere ad Atene all’epoca del fatto. Mi stavo ancora domandando se fosse +il caso di dichiarare, una volta iniziata la nuova fase, che speravo di portare in +aula un marinaio in grado di confermare che Filemone si trovava altrove, ma fui +preceduto. Infatti, quando il Basileus si volse al gruppo avversario per chiedere +se avessero del nuovo materiale da produrre, Euticleide disse con voce +rimbombante: – A dire il vero, sì, signore –. Io mi feci tutto orecchi. +– Abbiamo – riprese Euticleide schiarendosi la gola – nuove testimonianze +sulle attività dell’accusato; e delle prove che contraddicono le asserzioni fatte +dalla difesa –. E mi diede un’occhiata severa. – Abbiamo, signore, un soldato +delle truppe di Alessandro, ritornato da poco ferito dalla guerra. È un +pover’uomo, ma appartiene alla nostra fratrìa. Ci ha detto che l’accusato, +Filemone, ha partecipato anche lui alla grande battaglia presso la città di Isso. +Ma, signori, Filemone si batteva dalla parte dei Persiani! + Fece una pausa per permettere alle parole di penetrare a fondo. Per poco non +mi cedettero le ginocchia. Questa era una delle cose più orribili che si potessero +dire di un uomo. «Amico dei Persiani» è un’ingiuria orribile; in passato le +famiglie venivano condannate all’esilio per il loro sostegno ai Persiani. +Combattere per i Persiani equivaleva ad alto tradimento. Alessandro aveva +mostrato quello che ne pensava dopo la battaglia del Granico, quando aveva +ordinato che tutti i Greci che avevano combattuto per Dario fossero +immediatamente passati per le armi. Filemone ed il suo patrimonio non potevano +attendere grazia dai pubblici poteri, se veniva provata una simile accusa contro +di lui, e forse anche se diventava semplicemente opinione corrente. Visto che +quelli che erano contro Alessandro dovevano tenere nascoste le loro idee +politiche, i vecchi sentimenti popolari di odio verso i Persiani potevano sfogarsi +incontrollatamente. Tutti, i nobili come i poveri, avrebbero potuto esecrare +Filemone a loro piacimento. Mi sentivo come se mi avessero cucito in un sacco e +non potessi più né muovermi né respirare. +– Dopo la disfatta dei Persiani – proseguì Euticleide – quando gli sciagurati +mercenari si staccarono da Dario per la sua viltà, quest’uomo, come alcuni altri +rinnegati, prese la direzione dell’Occidente attraverso le città ribelli. +Euticleide dovette intuire che stavo freneticamente cercando di ricordare date +e calcolare tempi, poiché aggiunse: +– La battaglia presso Isso ebbe luogo più di un anno fa: egli ha avuto dunque +vari mesi di tempo per ritornare. Questo soldato ne ha avuto notizie a Sidone: +Filemone era già tornato in Grecia per via mare. Aveva una cicatrice sopra un +occhio, per una ferita ricevuta in battaglia, e così la gente lo ricordava +facilmente. +Ci fu un breve silenzio, ed io ritrovai la voce: +– Dov’è questo testimone, questo soldato? Fatelo venire! +– Signore – disse Euticleide – abbiamo pensato fosse più saggio non +presentare l’uomo in questa udienza. È ferito e ammalato, il freddo gli nuoce alla +salute. Sarà portato davanti a voi più avanti. Intanto abbiamo preso nota della +sua deposizione, che vi sarà presentata per iscritto se la vorrete accettare. +– Il suo nome? – domandò il Basileus. +– Perdonatemi, signore – Euticleide mi lanciò un’occhiata – so bene che è +irregolare nascondere un nome, ma davvero… ci sono tanti pericoli. Si tratta di +un uomo debole, ferito, che non è in grado di difendersi. Non ha bisogno di farsi +dei nemici –. E qui Euticleide mi rivolse uno sguardo eloquente, come se fossi +un forzuto manigoldo che non ci avrebbe pensato due volte ad abbattere un +uomo con una mazzata in testa. – Il suo nome sarà rivelato al momento +opportuno, quando porteremo qui l’uomo a deporre direttamente. + – Sì – disse Polignoto di rincalzo. – Se volete, prendetela come una semplice +dichiarazione d’intenti. Ma non ci pareva giusto tenere segreta questa prova, e ci +riserviamo di produrla in futuro, tenendo conto dello scopo della prodicasìa. +– Molto bene – approvò il Basileus. – Che cosa avete da dire, Stefanos? +– Questa è un’accusa mostruosa – replicai con quanta forza potevo. – E da +parte di un anonimo, oltre tutto! Signore, chi potrebbe confutare un’ombra? E se +quest’uomo si può trovare, chi è in grado di provare che è Filemone quello che +ha visto? In un momento come questo, se vogliamo diffamare il nome di un +qualsiasi uomo assente dalla città, possiamo dire che è andato a combattere per i +Persiani. Tutto ciò che si sa di Filemone è che è andato lontano ed è rimasto +lontano, ma non era il tipo da battersi contro i Greci –. Ci fu una risatina +sommessa da parte di qualcuno, Telemone, probabilmente. Nella mia ultima +frase avevo usato un’espressione infelice. Non era stato forse battendosi con un +Greco che Filemone era stato condannato la prima volta? +Io seguitai in fretta: – Non posso ammettere che questa sia una prova, +mancando sia il testimone, sia un documento firmato da lui. Può essere accettata +unicamente come dichiarazione d’intenti se il Basileus lo concede. Io certo non +sono in grado di difendere mio cugino contro un uomo che non esiste ancora +davanti a questa Corte. +Non potei trovare altro da aggiungere. Sarebbe stato il colmo della stupidità +precisare che anche se Filemone avesse combattuto per Dario, questo non +provava che fosse l’assassino di Boutades. A norma di logica la cosa era vera, +ma un simile argomento sarebbe equivalso ad ammettere in anticipo che +Filemone era un traditore, e questo doveva essere smentito ad ogni costo. A +questo punto sarebbe stato rischioso riferire il mio brandello di supposta prova, e +cioè che un marinaio aveva visto Filemone in terre lontane non molto prima del +delitto. Tutto ciò poteva essere facilmente falsato in modo da collimare con la +loro storia. Dovevo riflettere prima di decidere se dovevo servirmi in futuro della +testimonianza del marinaio. Al momento la mia mente era paralizzata. Una volta +accettata, l’idea che Filemone potesse aver combattuto per i Persiani era +sufficiente anche senza la responsabilità dell’omicidio a spogliarlo di ogni +proprietà e a tenerlo per sempre in un miserevole esilio, magari anche con una +taglia promessa a qualsiasi Greco o Macedone che riuscisse a ucciderlo. +Il Basileus domandò se avevamo qualcosa da aggiungere, ma non fu detto +altro, e presto ci fu permesso di andarcene. Sfilammo via decorosamente, +attraverso la piccola folla di sfaccendati che si raduna sempre in qualsiasi luogo +dove accada qualcosa d’importante. Polignoto se ne andò seguito dal mellifluo +ragazzo di Sinope, e Euticleide si avviò con aria d’importanza giù per il colle, in +compagnia di alcuni clienti che l’avevano aspettato. + Io mi lanciai verso un comodo gruppetto d’alberi, dove potei liberarmi in +pace la vescica e le budella che erano sul punto di scoppiare. Quando ripresi a +scendere giù per il sentiero, inciampai quasi in Telemone, che se ne andava in +giro zoppicando come al solito. +– Non hai un bell’aspetto, – commentò questi. – È molto doloroso per te, eh +sì, molto doloroso. +Imprecai mentalmente e digrignai i denti. Quant’è ripugnante la pietà di +coloro per cui proviamo antipatia o sfiducia. +– Sto benissimo, vi ringrazio, – risposi, e mi misi a camminare più in fretta +che potei. Ma il vecchio scemo zoppo sembrava deciso a far strada insieme a me, +e seguitò a chiacchierare allegramente al mio fianco, come se stessimo tornando +da una festa. +– C’è Euticleide avanti a noi. È un uomo molto impegnato Euticleide. Ed è +anche uno che sa come condurre gli affari, non credi? È grazie a lui che siamo +usciti dalla prodicasìa così in fretta. Un altro l’avrebbe menata per le lunghe. Ma +anche Polignoto è in gamba. Ha veramente un gran cervello, pur essendo così +giovane. Sai che sta piantando degli olivi nuovi? Quella proprietà gli frutterà +senza dubbio dei grossi guadagni. E così gli ho detto: «Perché non ingrandisci la +casa, Polignoto? Il materiale da costruzione non rincarerà in questo periodo». E +lui ha detto che è esattamente quanto ha intenzione di fare non appena si sarà +liberato dei suoi impegni come corègo. +– Spero che lo spettacolo proceda bene, – dissi freddamente. +– Sì, benissimo. E che costumi! Non si è badato a spese. Alessandro ne sarà +compiaciuto. Suppongo che non sarà presente, ma certamente apprezzerà +l’omaggio contenuto nella storia di Eracle. Sai, credo che Polignoto sia proprio il +tipo di uomo, di giovane nobile ateniese, che piace ad Alessandro. Senza dubbio +Alessandro desidera che Atene poggi su una base solida. Antipatro ha invitato +Polignoto a casa sua. E lui ci andrà al suo ritorno da Corinto. +– Quindi partirà per Corinto? +– Sì, per affari. Per riscuotere un debito dovuto a suo zio. Partirà oggi. È così +coscienzioso. E ha un tale rispetto per la memoria di suo zio, se mi perdoni +l’indelicatezza di nominarlo. Polignoto ha fatto preparare una magnifica lapide +col miglior marmo di Caria ed un elegante lavoro di intaglio. Non lo sai? Le +figure di Boutades e sua moglie in rilievo – (le sue mani le disegnarono nell’aria) +– e un epitaffio. In questo momento ci lavora Tecnofilo, il migliore incisore su +pietra, nella sua bottega. È quasi finita. La gente ci va solo per guardare. +Dovresti andarci anche tu. È una vera e propria opera d’arte. Gli ci è voluto un +bel po’ per trovare il marmo. +Concordai che si preannunciava una gran bella lapide. + – Bene, come stavo dicendo, l’invito di Antipatro sta a significare che +Polignoto è un personaggio assai stimato nelle questioni politiche, no? Ha una +tale competenza. Io gli ho detto: «Polignoto, pare che il fato ti sorrida in questo +momento». Anche se questo odioso delitto è avvenuto in casa sua, la sorte +sembra favorevole. Antipatro ha bisogno di circondarsi di uomini intelligenti e +saggi, come il maestro Aristotele di cui è tanto amico. Io credo che Polignoto +starebbe benissimo al fianco di Aristotele; sarebbero un po’ come il Protettore +della città e il Filosofo. Polignoto lo ha conosciuto al Liceo, ovviamente, come te +d’altronde, non è vero? Ma, purtroppo, dimenticavo che tu non hai avuto molto +tempo da dedicare agli studi. Che peccato. +Mi faceva male la testa. Non riuscivo a capire dove esattamente questo +garrulo Telemone volesse andare a parare, ma non riuscivo a indurmi a credere +che la nostra conversazione, o meglio, la sua, fosse casuale. Forse era stato +Euticleide a dirgli di parlarmi, o magari l’aveva fatto di testa sua. Telemone +avrebbe potuto avere una mente molto più brillante e malevola di quanto gli +avessi fatto credito, oppure queste potevano essere solo chiacchiere senza +malizia. Non aveva importanza. Mi figurai il quadro che gli altri Ateniesi +dovevano avere della situazione: da una parte il povero Stefanos, circondato solo +da donne e con un cugino lestofante; dall’altra il brillante Polignoto, con tutto il +suo clan ad assisterlo e a godere del suo successo. Io avevo insinuato che il loro +testimone non esistesse, ma sapevo che esisteva quanto bastava. All’interno della +fratrìa c’era un vecchio soldato. All’interno della fratrìa c’era sempre qualcuno +pronto a fornire quanto era richiesto. Non mi sarebbe servito a nulla affermare +che il testimone fosse corrotto; probabilmente non era stato nemmeno necessario +corromperlo, se desiderava accattivarsi le simpatie della fratrìa. Magari era tutto +vero… Che orribile pensiero! In cuor mio non potevo dire di essere sicuro che +Filemone non avesse mai combattuto per i Persiani; magari prendeva parte a +qualsiasi combattimento gli capitasse. Ero in dubbio, e la vita mi sembrava più +amara. +– Sei molto silenzioso, Stefanos, – disse Telemone in tono premuroso. +– Sì, – ammisi io. – Pensavo a quanto stavate dicendo. +Questo era verissimo. Tutto quanto diceva Telemone era carico di significati. +Lasciaci in pace, non affannarti a cercare di difendere il tuo parente. È +un’impresa disperata. L’avevano già detto per mezzo della loro sconcertante +«prova», e adesso Telemone lo ribadiva, parlandomi della grandezza della loro +tribù. Noi siamo forti, voi siete deboli. E lo erano davvero forti, e sicuri di +godere del favore di ogni autorità terrena. Le autorità terrene e quelle celesti non +sono sempre d’accordo riguardo a queste cose, ma le storie che ce lo narrano non +sono molto confortanti in proposito. Pensai a Edipo nella sua tomba a Colono + che lasciava Creonte, i suoi figli e i Tebani a distruggere ogni cosa a loro +piacimento. +Persino la mia amicizia con Aristotele sembrava ambigua e illusoria. Forse +Telemone intendeva ricordarmi quanto fosse fragile la mia intesa con questo +Macedone. Era ben poco probabile che l’amico di Alessandro intendesse +prendersi a cuore le vicende di un soldato di Dario! Niente di quanto era stato +mio sembrava più mio in quel triste momento. In seguito sarei stato più ansioso, +più spaventato, addirittura terrorizzato, ma non sarebbe accaduto nulla di tanto +orribile quanto quel momento in cui il mio mondo sembrava sfuggire alla mia +debole presa mentre restavo a guardare impotente, come un’ombra. Chi avrebbe +mai pensato che uno sciocco come Telemone potesse uccidere un uomo con le +sue parole? +Vidi due uomini ai piedi della collina, e li riconobbi. Erano Teosoforo e +Archimeno. Parlavano con gli altri usciti dal tribunale. Si interruppero e ci +rivolsero un’occhiata gelida. Mentre ci avvicinavamo, l’austero Archimeno mi +sbalordì gridando: – Adulatore dei Persiani! Ruffiano dei Persiani! Leccaculo di +Dario! +Queste parole ebbero almeno il merito di scuotermi dalla mia apatia, e per +questo lo ringraziai. Non solo quegli insulti furono uno choc, ma ci si può +aspettare un linguaggio così osceno da balordi di strada, non da un austero +cittadino. Non poteva certo essere tacciato di usare un velato sarcasmo. +Teosoforo, invece, aveva il suo solito aspetto. Quando mi avvicinai, disse +semplicemente: – Perché non ci fai vedere le tue stoffe e i tuoi tappeti persiani, +cugino di Filemone? li hai tenuti nascosti troppo a lungo. +Telemone fece spallucce, mi lasciò e se ne andò per la sua strada. Io risposi: – +Questi insulti non sono degni di voi, Teosoforo. Sapete bene che non ho stoffe +persiane come non ne avete voi, e che non ho più motivo di voi per averne! +Archimeno si fece avanti e mi fece una smorfia, mostrando tutti i denti. +Aveva l’aspetto di un teschio sghignazzante, con due solchi verticali tracciati +sulla fronte col carbone. – Ah, – disse ingrossando la voce. – Guardate il +rampollo impudente di una tribù di adulatori dei Persiani. Ruffiano di Dario! – +(La parola che usò questa volta non fu altrettanto cortese di «ruffiano»). +– Cittadino Archimeno, queste offese non vi si add… +– E allora? Cosa vuoi farmi? Va’ a raccontarlo ad Alessandro! Tesoruccio di +Dario! – Fece un gesto osceno con le dita. – Perché non vai a combattere per gli +Egiziani? Loro combattono in posizione orizzontale. «Oh, soldato che vai in +guerra, con una piccola lancia appuntita tutta tremante!» –. (Questo era un +frammento di una canzoncina da monelli di strada). – Ah, ah! Beccati una spada +nella pancia, beccati una spada nella pancia! + Saltellava su e giù tutto eccitato, e si era fatto tutto rosso in viso. Mi +allontanai da entrambi, borbottando: – È da stupidi cercare di parlare in modo +ragionevole con voi… +– Ah! Te ne darà Euticleide di ragioni quest’autunno, vedrai più ragioni che +grappoli d’uva! +Teosoforo cercò di frenarlo, ma il suo crudele piacere continuò a sfogarsi in +brevi scrosci di risa. Era questa l’emozione che avevo davanti agli occhi, non +tanto odio, quanto piacere. Gioia. Probabilmente sollievo. Non avrei saputo +dirlo. +– Beccati una spada nella pancia, – continuò a ripetere mentre proseguivo +lungo la strada. Teosoforo lo trascinò via nella direzione opposta, ma Archimeno +non riusciva ancora a trattenersi dallo sghignazzare tra uno strillo e l’altro, – +Beccati una spada nella pancia! +Improvvisamente mi resi conto che era matto. +Be’, ogni tanto almeno i matti si divertivano. Io, invece, ero sano di mente +(probabilmente), e per me ogni gioia sembrava svanita. Mi trascinai a casa e me +ne andai a letto. Lì, dove nessuno poteva vedermi o sentirmi, piansi in silenzio e +a lungo. + IX +Questioni familiari + + + + + +Non so cosa mi spinse a ritornare al Pireo qualche giorno dopo. Non avevo +progetti definiti né speranze. Forse lo consideravo un luogo di buon augurio per +me. Se è così, dovevo restare amaramente deluso. +L’inverno si avvicinava rapidamente. Dal mare soffiava un vento freddo, +benché fra le nuvole filtrasse qualche raggio di sole. Avvolto in un logoro +mantello di lana grezza, mi mescolai con la gente più umile del porto e +gironzolai per il mercato. Non che ci fosse molto da vedere: è un luogo +squallido, dove si affonda nel fango, nel letame e nelle lische di pesce, e le +bancarelle hanno ben poco da offrire, salvo il cibo scadente e il rozzo vasellame +che i poveri possono permettersi di comprare. +Mi ricordo che stavo in piedi presso un mucchio d’ortaggi di seconda scelta +che puzzavano di marcio. Un raggio di sole che illuminava le foglie verdi e +gialle dovette gettare il suo riverbero anche sul mio viso. D’un tratto, mi sentii +tirare per la manica. +– Signore! Signore! – Rigirandomi, vidi al mio fianco una vecchia sdentata, +con la faccia coperta di rughe simile alla pece del ciabattino. La sua mano +nodosa e coperta dalle macchie della vecchiaia mi stringeva il braccio. Non era +una mano molto pulita, e nemmeno bella da vedere. +– Donna, vattene… +– Signore! La mia padrona vi prega di venire da lei –. Poi, abbassando la +voce, sussurrò: – La vostra parente ha bisogno di voi! +– Ma io non so di parenti… +– Ssst! – implorò, portandosi un dito grinzoso alle labbra. – Vi ho già visto al +Pireo, ed ho aspettato che ci ritornaste. Conosco il vostro nome e vi dirò tutto, +ma non qui. Venite. +Sentii una vaga apprensione. Mi si affacciò alla mente il sospetto, dopo la +scenata di Archimeno, che questo potesse essere un tranello, e che seguendo +quella strega avrei potuto essere trascinato alla rovina. D’altro canto, in quella +posa sembrava una delle Parche, le dee del Fato, e tutti gli uomini obbediscono +al Fato. Non ero venuto al Pireo in cerca dell’ignoto? Certo non avevo +immaginato niente del genere, e desiderai ardentemente che non mi alitasse in + faccia quelle zaffate d’aglio e di denti marci. Scossi via la sua mano ma risposi: +– Verrò. +– Seguitemi, allora. Senza farvi vedere. Siate discreto. +Sgattaiolò via attraverso la folla, ed io le tenni dietro a distanza. Un compito +non facile, perché vista di spalle rassomigliava a qualsiasi altra povera vecchia, +un fagotto informe di stracci scuri. Dopo che lasciammo la piazza affollata, +s’incamminò, velocemente per la sua età, per vie e viuzze rumorose, poi per +luoghi deserti e poveri tuguri, ed io la seguii, come Teseo nel Labirinto. +Nemmeno una volta si voltò a guardarsi alle spalle. Fosse stata Orfeo, Euridice +sarebbe stata salva, ma io sentii che mi stava conducendo dentro gli Inferi, e non +fuori. Finalmente si fermò presso una piccola casa (benché questo sia un termine +troppo ottimistico per quella misera abitazione). Le pareti non erano imbiancate +e mostravano delle crepe profonde. Fuori, lungo il sentiero che conduceva alla +porta, stavano mucchietti di rifiuti. +– Entrate – disse la mia misera sibilla, ed entrai. Mi trovai in una piccola +stanza dalle pareti affumicate. In un braciere bruciavano dei noccioli d’oliva. Il +penetrante odore di una latrina non lontana si faceva sentire. Alcune cose, però, +indicavano ordine e pulizia. Sulla tavola alcuni piatti, scrupolosamente puliti, +erano accomodati in ordine. C’erano due sgabelli di legno ed una sedia rivestita +di cuoio che aveva visto giorni migliori: una gamba era lievemente lesionata, ma +il legno era stato lucidato di fresco. Il passaggio nella stanza attigua era coperto +da una tenda di discreta fattura, che raffigurava Penelope al telaio; era logorata +dall’uso, ma era stata abilmente rammendata in vari punti. Una piccola finestra +in alto, in parte aperta e in parte sbarrata con assi, lasciava entrare un po’ d’aria e +la luce grigiastra del giorno. Non era una bella casa, ma non sembrava nemmeno +tanto sinistra. Non avevo più paura che fosse una trappola, ma ero perplesso. +– Sedetevi – disse la mia guida indicandomi la sedia ricoperta di cuoio. – Il +signore non vuole accettare qualcosa da mangiare o da bere? +– No, grazie – mi affrettai a rispondere. +– Ma Stefanos, il figlio di Nichiarco, deve gradire qualcosa in casa nostra. +Scalderò un po’ d’acqua, e così berrete la nostra camomilla prima di andarvene. +Pose un recipiente con dell’acqua sul braciere e poi si voltò a guardarmi. +– Il figlio di Nichiarco si sta domandando perché è qui. Vi ho sentito +descrivere. Poi vi ho visto al Pireo qualche tempo fa, e ho riconosciuto il +nobiluomo sotto quei vecchi panni. Ho pensato: «Starà cercando di aiutare +Filemone in qualche modo. Quindi perché non cercare d’avvicinarlo quando +ritorna?». Voi siete affezionato al vostro parente, e volete aiutare Filemone figlio +di Likias, ora che è nei guai. Non è così? +– Sì, è così – risposi. + – Noi pensiamo che non ci sia nulla di onesto che non fareste per aiutare lui e +i suoi. Non è vero? +– Nulla – dissi calorosamente – nulla di quanto permettono gli dei che io non +farei per Filemone, mio cugino –. Mi era balenata l’idea che lei, o qualche +persona a lei nota, potesse avere delle prove in grado di sostenere la mia causa e +il cuore mi balzava in gola per l’eccitazione. +– Il legame di parentela è sacro, signore. Parlo in nome di vostri congiunti. Io, +la vecchia serva Nusia, vengo a voi in nome loro come supplice –. D’un tratto, si +gettò drammaticamente in ginocchio e cercò di abbracciare le mie gambe mentre +stavo seduto lì, su quella sedia sgangherata. Mi sentii imbarazzato piuttosto che +importante. – Va bene, va bene – dissi, aiutandola a rialzarsi – ma come posso +capire di cosa mi stai parlando? +La sua parte le piaceva. Capivo che doveva aver provato questa scena più +d’una volta nella sua mente. – Prima di tutto, signore, giurate che anche se non +consentirete a fare quanto vi chiedo anche a nome di un’altra donna senza difesa, +non ci farete del male. +Riflettei. Non avevo intenzione di fare del male a delle donne anziane, e mi +sembrava improbabile che la cosa fosse di qualche utilità, quindi giudicai +abbastanza sicuro prometterglielo. Mi parve di veder muoversi la tenda con +l’immagine di Penelope. – Lo giuro – risposi. +– Lode a Zeus! E adesso, ascoltatemi. +– Sedetevi – dissi, in tono bonario. Mi dava fastidio averla così vicina, mentre +gesticolava, s’agitava e i cernecchi le sfuggivano dall’acconciatura del capo. Lei +sedette a suo agio, un fagotto di stracci, uguale a qualsiasi altra vecchia pettegola +accanto al fuoco. +– È così, signore. Voi conoscete vostro cugino Filemone, o forse dovrei dire +lo conoscevate? +– Sì, naturalmente. +– Be’, era un giovanotto scatenato, ma di buon cuore, e forse non sapete tutto +su di lui. Anzi, non lo sapete di sicuro. Ho una sorpresa per voi. Cosa mi direste +se vi dicessi che vostro cugino Filemone era sposato? +– Filemone? Sposato? Ma non… +Si mise a ridacchiare di gusto, abbandonando la posa drammatica e il +linguaggio formale di poco prima. +– Ah, ah. E invece lo era. Un po’ un galletto con le donne il vostro Filemone, +si può ben dire. Ma questa non è stata una delle solite avventure. Era un vero +gentiluomo, e sapeva come si trattano le ragazze di buona famiglia. Si è sposato +con tutte le dovute formalità prima di lasciare Atene. E con una giovane donna +assolutamente rispettabile di discendenza ateniese, e tutto come si deve. + – Non riesco a crederci. Ma via, un matrimonio è una faccenda in cui entra +tutta la famiglia. Non può essere fatto di nascosto. Non è legale! +Lei si accigliò. – È legale, non vi preoccupate. E non mettetevi a fare delle +insinuazioni sulla mia giovane padrona, che ho curato fin da quando era +bambina, come già sua madre prima di lei. Melissa, figlia di Archia, ecco chi è. +È andata al matrimonio pura e vergine, come qualsiasi nobile sposa di Atene. +Possiamo mostrarvi il lenzuolo nuziale macchiato, se volete vedere. La sua +parentela ne era al corrente; c’è stato prima un fidanzamento in piena regola, ci +sono dei testimoni. Ma c’erano motivi per cui Filemone non poteva informare la +sua famiglia. Non è una cosa tanto bella, lo ammetto, ma i motivi erano giusti. E +non è il caso di creare dissapori tra le famiglie, ora che la cosa è fatta, e ben fatta, +non vi pare? +Se la stava godendo, come tutte le vecchie ogni volta che si presenta +l’occasione di spettegolare su un matrimonio, e su cose da donne. Raccolse +distrattamente un’oliva tutta rattrappita da un piatto e se la cacciò in bocca, per +rinfrescarsela dopo tutto quel parlare. +– Ci potevano essere dei disaccordi sulla dote. Melissa ha una buona dote, +vedete, ma per ora non possiamo venirne in possesso. Filemone pensava che +tutto sarebbe finito bene; e quanto al fatto di sposarsi giovane, be’, con suo padre +morto era suo dovere sposarsi e generare un erede. Ma poche settimane dopo le +nozze, lui fu coinvolto in quel brutto affare e dovette tagliare la corda. Ci fece +trasferire qui, sotto falso nome. E qui siamo rimaste. E – aggiunse guardandomi +con occhi brillanti e giocherellando col nocciolo dell’oliva – adesso c’è un +bambino da questo matrimonio. Vostro nipote. Un bel maschietto robusto. +– Ma dov’è questa persona? – domandai. Mi girava la testa. +– Là dentro –. La vecchia accennò alla tenda che scivolò rapidamente +indietro, al suo posto. – È una rispettabile donna sposata. Naturalmente non +potete vederla, se prima non la riconoscete come vostra parente. Non sarebbe +affatto conveniente. +Ero in un bel pasticcio. Non potevo dare un’occhiata a questa Melissa, né +tanto meno giudicare da me se fosse una sgualdrina, un’amante o una vera +moglie, senza prima riconoscerla in qualità di sposa legittima. Le donne hanno +una vera abilità nel manipolare le convenienze a loro vantaggio. Quell’incontro, +dopo tutto, mi aveva effettivamente portato in una trappola. +– Voi siete un uomo buono e giusto, signore – riprese la vecchia in tono +suadente. – Non potreste lasciare dei parenti alle prese con la fame. Abbiamo +sentito dire che avete fatto del vostro meglio per Filemone nell’udienza in +tribunale, ma le cose stanno peggiorando adesso, e che cosa sarà di noi? Che +cosa sarà del povero caro bambino? Vorrei saperlo –. D’un tratto la vecchia + cominciò a lamentarsi, dondolando avanti e indietro sul suo sgabello e +piagnucolando, – Oh, oh, moriremo di fame o saremo perseguitate e costrette a +lasciare la casa. Senza amici e senza casa! Oh, povera me! Una vecchia e una +giovane a morire sopra a delle fredde pietre! Oh, che Atena ci aiuti! Oh, povera +me! – Mi fece venire il mal di testa. +– Va bene – dissi. – La vedrò. +– Vedrete chi? – chiese vivacemente la vecchia, interrompendo i suoi lamenti. +– La moglie di Filemone – risposi rassegnato. Riflettendoci sopra, mi resi +conto che la promessa mi vincolava solo a non fare del male, e comunque non +desideravo fare niente del genere, chiunque esse fossero. Quanto a dire che +accettavo di vederla come parente, non c’erano testimoni maschi sul posto, e +neppure gentildonne. Avrei sempre potuto smentire in seguito. +La vecchia interruppe di botto il suo lamento, come se l’avesse tagliato di +netto con un coltello, e si diresse al passaggio, chiamando con voce dolce: – Mia +signora, mia Melissa! Il vostro parente desidera vedervi, moglie di Filemone. +La tenda si scostò lentamente. Una donna apparve. +– Buongiorno a te, moglie di Filemone – dissi. Le parole mi restarono in gola. +Era giovane, snella e bellissima. I suoi capelli erano biondo-oro, come potevo +vedere dai pochi riccioli che sfuggivano dalla sua acconciatura. Vidi con +delusione che non sembrava affatto una cortigiana: era vestita con modestia, +come la moglie d’un qualsiasi cittadino, e senza traccia di lusso. Costei non era +sicuramente una cortigiana. Si fermò sulla soglia, guardandomi con occhi d’un +azzurro intenso, con molta serietà; poi attraversò con grazia la stanza e venne a +inginocchiarsi ai miei piedi, toccandomi le ginocchia. +– Vengo come parente e come supplice, Stefanos, figlio di Nichiarco, cugino +di mio marito Filemone – disse a voce bassa. +L’aiutai a rialzarsi e risposi: – Benvenuta è la vista della sposa di mio cugino +–. In realtà, poche viste potevano giungermi meno gradite, nonostante la sua +bellezza. Le accennai di sedersi, e lei s’accomodò compostamente su uno +sgabello, con alle spalle la vecchia che sorrideva e annuiva. La stanza aveva +un’aria pesante, e mi pareva ancora meno accogliente di prima. La ragazza aveva +l’aria d’un giglio cresciuto sopra un mucchio di rifiuti. Mio malgrado, mi sentii +preso da compassione. Anche se non fosse stata altro che l’amante di Filemone, +avrei provveduto a farle avere un po’ di denaro. +– Dimmi, moglie di mio cugino, da dove vieni? E, devo aggiungere, come +mai vi siete sposati senza che nessuno ne sapesse niente? +Mi guardò con aria di rimprovero. – Qualcuno lo sapeva. Il nostro è stato un +vero matrimonio. Ma il destino ci è avverso. Lascia che ti spieghi –. Trasse un +respiro ansimante e cominciò il suo racconto. + – Il nome di mio padre era Archia. Era un cittadino di Atene. Benché fossimo +ateniesi, ci trovavamo a Tebe al tempo dei… disordini di qualche anno fa. Fu un +momento terribile, con i soldati che uccidevano e saccheggiavano. Io non so +niente di politica – (pensai che forse non voleva manifestare dei sentimenti anti- +Macedoni) – ma so che dovemmo fuggire per salvarci la vita. La nostra casa fu +distrutta e mia madre uccisa prima che lasciassimo Tebe. Come molti altri, +ritornammo ad Atene, la nostra vera patria. Mio padre ed io incontrammo +Filemone quando giungemmo ad Atene con altri che cercavano rifugio qui. Ero +una bambina e lui era un bambino. Ma ci diede dell’acqua da bere, lo abbiamo +sempre ricordato. Mio padre non stava molto bene. Trovammo asilo in casa d’un +cugino, una piccola fattoria lungo la strada per il Sunion. Incontrammo Filemone +di nuovo, tre anni dopo. Un ladro aveva assalito mio padre e me sulla strada fra +Atene e il Sunion, e ci aveva portato via i nostri fagotti. Filemone era vicino, +riuscì a prenderlo e ci ridiede le nostre cose. Dopo di questo, venne di tanto in +tanto a visitare mio padre. Era tutto molto corretto. Io stavo nelle stanze delle +donne, con la moglie di mio cugino e Nusia, e imparavo a filare. +– Non aveva figli maschi tuo padre? +– Vedi, questo è uno dei nostri guai. Avevo un fratello, ma non so dove sia. A +Sparta, da qualche parte, temo – aggiunse in tono sommesso. – E il nostro +denaro e i nostri beni erano tutti a Tebe. Mio padre mi ha sempre promesso una +buona dote, e ci deve essere un mucchio di denaro da qualche parte. Mio padre +ne ha dato una parte ad un amico, un tebano in buoni rapporti con i Macedoni a +quanto mi hanno detto, subito prima che si scatenasse la tempesta. Così, tutto +quel che dobbiamo fare è tornare laggiù e riprenderlo, quando la situazione si +sarà normalizzata. C’erano delle belle anfore e degli oggetti d’argento, mi +ricordo, e delle belle stoffe oltre al denaro. +– Ehm – dissi. – Ci sono dei documenti? +– Penso che ce ne siano, da qualche parte. Io non so nulla di affari. Ne +parlavano mio padre e Filemone; penso che lui ne sia al corrente. In ogni modo, +questo tebano è un galantuomo, altrimenti mio padre non gli avrebbe affidato il +suo denaro e la roba. +– Mmm – ripetei. Dicesse il vero o no, mi sembrava che Filemone avesse +tante probabilità di riscuotere una dote quante di trovare del miele in un nido di +vespe. +– Il mio povero padre era molto preoccupato quando seppe di essere vicino +alla morte. Vedi bene che situazione disgraziata. Con mio fratello forse al +servizio del re spartano Agide, che cosa sarebbe stato di me e del nostro denaro? +Così mio padre mi offrì in matrimonio a Filemone, e nel testamento lo nominò +suo erede, nel caso suo figlio morisse. Filemone fu molto contento all’idea di + sposarmi, dopo aver considerato la questione – aggiunse in tono affettato. +Povero Filemone! Tutti sanno che nessun uomo di buon senso sposa una +donna per la bellezza. Anzi, in una famiglia come si deve, dove faccende del +genere sono sistemate secondo le buone regole, la sposa e lo sposo non si +vedono prima del matrimonio. Ma Filemone non era uomo di buon senso. Lo +splendore di due occhi azzurri e una storia patetica dovevano esser stati +determinanti per lui. +– Non è stata una cosa avventata – riprese Melissa, con un leggero tono di +sfida, come se avesse letto i miei pensieri. – So che queste nozze possono +sembrare non proprio come si deve, sai. Mi dispiacque tanto avere una cerimonia +così modesta. E so che i parenti di Filemone avrebbero dovuto essere presenti. +Ma lui e mio padre sapevano che la sua parentela avrebbe potuto fare delle +difficoltà per la dote, per mio fratello e per le altre nostre disgrazie. Se mio padre +fosse rimasto in vita sarebbe stato tutto diverso, naturalmente. +– Come fu organizzato il matrimonio quindi? +– Ci fu la cerimonia del fidanzamento, secondo le regole, e mio padre +consegnò a Filemone la dote, cioè la promessa della dote. I testimoni furono mio +cugino e uno dei suoi amici. Poi ci sposammo e andammo ad abitare in casa di +mio cugino. +– Avresti dovuto abitare in casa di Filemone! È questo che fa un matrimonio +– dissi severamente. +– Ma Filemone non voleva disturbare sua madre con queste cose. È vecchia, +mi diceva, e ammalata. Ma glielo ha detto più tardi, credo. Ad ogni modo, +diceva che gliene avrebbe parlato. Sarebbe stato tanto più semplice arrangiare +l’aspetto pubblico della faccenda una volta che avesse avuto la dote. Non +volevamo che la gente dicesse che si era sposato al di sotto della sua condizione. +– Quando avevate intenzione di fare qualcosa in proposito? +– Appena la situazione si fosse normalizzata. Un po’ di denaro e dei preziosi +di famiglia, oro e oggetti che non rischiano di marcire o di spezzarsi sono stati +sepolti nel giardino della nostra vecchia casa a Tebe. Filemone diceva che +sarebbe stato divertente andare in seguito a riesumarli. +Sì, questo era proprio tipico di mio cugino. +– Ho avuto dei regali di nozze. Adesso ne ho dovuti vendere alcuni, +naturalmente. Nusia si occupa di queste cose per me; io cerco di non muovermi +di casa. Ma guarda questa tazza e questa ciotola: sono di Filemone. +Le guardai. Erano effettivamente di Filemone, appartenenti alla sua casa. Le +avevo viste in altri tempi. +– Da queste non mi separerò – disse Melissa. – Ma tutto si è messo contro di +noi. Mio cugino è morto, e sua moglie è ritornata da suo fratello. E il povero + Filemone è rimasto coinvolto in quel guaio. Subito prima di andarsene, mi portò +qui, in questa casetta. Viviamo qui sotto un altro nome, naturalmente. Io passo +per la moglie di Eforo. Quando Filemone partì ancora non sapevo di essere +incinta. Il bambino ha quasi un anno e mezzo ora. Ovviamente, essendo una +donna sola e soprattutto sotto un falso nome, non potevo presentarlo alla fratrìa e +ai membri del demo. È un bel bambino. Aspetta, te lo faccio vedere. +Si alzò e andò nella stanza accanto, ritornando subito con un piccino in +braccio. Sembrava mezzo addormentato, ma si mise subito obbedientemente a +trotterellare sulle gambe grassocce. +– Ecco tuo nipote – disse orgogliosamente Melissa, mentre la vecchia faceva +udire dei suoni affettuosi. Spinse il bimbo verso di me, ma lui si aggrappava alle +sue vesti, guardandomi con avversione e dicendo «mamma!». +Altro dilemma. Se toccavo il bambino, sarebbe stato come riconoscerlo come +membro legittimo della famiglia. Melissa risolse il problema, piuttosto +slealmente, cacciandomelo in braccio. Lo guardai bene in viso: il bambino era +ben tenuto, sano e sorprendentemente pulito. Prometteva di diventare bello come +sua madre, ma più robusto. Le donne e i vecchi sono bravissimi a scorgere delle +somiglianze di famiglia nelle facce dei bambini. Io non ci capisco nulla. Il +bambino aveva capelli folti e ricciuti e gli occhi castani. Non c’era nulla che +indicasse che non era di Filemone. Anzi, quando mi colpì con il suo robusto +piccolo pugno, mi dissi che doveva essere proprio un suo rampollo. Ma nessun +bambino porta segni di legittimità 0 d’illegittimità sul viso 0 nei modi. +Goffamente, lo ridiedi alla madre. +– Si chiama Likias – disse lei orgogliosa. +Inghiottii una risposta aspra. Che sfacciataggine, chiamare un bambino +illegittimo come il suo nonno paterno! E anche se era legittimo, a rigor di norma +non aveva diritto a un nome. Non era stato presentato a nessuna autorità, né +ricevuto nella tribù o nel demo. La mia fiducia vacillava. In ogni modo, pensai +con amarezza, sarebbe toccato a me pagare perché il bambino, legittimo o no, +non morisse di fame. +– Pa-pà – disse il piccolo, appoggiandosi con una mano sul mio ginocchio. – +Dove pa-pà? – Non potevo supporre che il bambino fosse stato addestrato, ma la +scena fu di grande effetto. +La vecchia era raggiante. – Ecco, gli rammentate suo padre; vedete, ha notato +la somiglianza. +– Molto commovente davvero – replicai seccamente – dato che non ha mai +visto suo padre –. Vi fu una breve pausa. +– Pa-pà! – ripeté il bimbo, fiduciosamente. +– E invece l’ha visto – disse la padrona di casa in tono di sfida. – Molte volte. + Come pensi che abbiamo tirato avanti, tutto questo tempo? Di cosa credi che +abbiamo vissuto? +– Intendi dire che Filemone è stato qui di nuovo? Qui al Pireo? Ad Atene? +– Sst! Sì, è tornato. Sono di nuovo incinta, non vedi? – (Ahimè, la mia +inesperienza! Lo vedevo, adesso che me l’aveva detto). – È il suo secondo figlio. +Ma Filemone non è più tornato da molto tempo, e non deve tornare ora, la +situazione è troppo pericolosa. La gente dice che lui combatteva per i Persiani. +Dobbiamo stare ancora più nascosti. +D’un tratto Melissa si mise a piangere. Lacrime di cristallo scorrevano da +quei suoi grandi occhi azzurri. – Non ho di che vivere! – gemette. – Dobbiamo +avere qualcosa. Come potrò nutrire i miei bambini? +La vecchia strega si mise a piagnucolare anche lei, per compagnia. +Mi alzai. Dovevo andarmene da quella stanza soffocante e da quelle donne in +lacrime. +– Oh – disse Nusia. – Non vi ho dato la camomilla. +– Lascia andare – risposi. Poi mi volsi alla giovane donna. – Non piangere. +Senti, sarai al sicuro. Qui c’è un po’ di denaro per adesso – e rovesciai sulla +tavola le monete che avevo con me. – Fra pochi giorni te ne porterò dell’altro, e +forse … anche altre cose – aggiunsi guardandomi attorno. +– Oh, grazie, grazie – dissero tutte e due le donne insieme; e la più anziana +aggiunse in tono pratico: – Quando? +– Troviamoci sulla piazza del mercato subito dopo l’aurora fra tre giorni – +dissi, ormai totalmente coinvolto. – Ma prima che me ne vada, dimmi ancora una +cosa – pregai, rivolto alla giovane donna dai capelli d’oro. – Dimmi, devo +saperlo. Quando è stato qui Filemone per l’ultima volta? +Melissa smise di piangere e mi guardò dolorosamente. Poi disse lentamente: – +Non l’ho più visto da circa due mesi. L’ultima volta è stata nel mese di +Boedromione. + +Uscii incespicando, e mi affrettai ad allontanarmi attraverso i vicoli più +sperduti del Pireo. Quelle ultime parole mi martellavano nel cervello. Il mese di +Boedromione, cioè l’epoca in cui Boutades era stato ucciso. Tutto l’edificio della +mia difesa, di cui mi ero sentito così sicuro, adesso cadeva in rovina. Avevo +creduto di sapere che la prova della zia Eudossia era sicura, anche se +terribilmente difficile da dimostrare. Filemone non era ad Atene. Ma ora, o +quello che le donne mi avevano detto era un fiume di bugie messo insieme da +chissà quale diabolico nemico per chissà quale scopo, oppure era tutto vero, con +la possibile eccezione riguardo alla realtà del matrimonio. Se Filemone era stato +ad Atene al tempo del delitto, allora non c’era più difesa, salvo la ferma fiducia + nel mio spirito che lui non avesse niente a che fare con l’omicidio. +Ma il bisogno di sapere mi torturava. C’era una sola persona che poteva +confermare o negare la verità di quanto avevo appena udito. Giunsi a casa in +fretta, come se avessi avuto le ali ai piedi, e piombai su mia madre e la zia +Eudossia, che stavano mangiando placidamente dei pasticcini al miele. Presi la +mia sbalordita zia per un braccio e la tirai sgarbatamente nella stanza migliore, +quella dove in tempi più felici ero solito ricevere gli ospiti. E chiusi la porta. +Credo che dovetti sembrarle pazzo. Non ero mai stato sgarbato con la zia +Eudossia. Vidi che era spaventata, smorta e tremante, e che l’avevo urtata +proprio nel fianco che le doleva, ma in quel momento non riuscivo a provare +pietà. Le lasciai andare il braccio e mi piantai davanti a lei, tempestandola di +domande in un frenetico bisbiglio. +– Zia Eudossia, so tutto. Filemone è ritornato ad Atene, non è così? Non è +così? È stato qui nel mese di Boedromione, sì 0 no? Rispondimi! E risparmiami +le bugie e le scappatoie. Per Zeus, voglio la verità! +Speravo che avrebbe negato tutto indignata e sconcertata. Ma il suo volto +crollò come un muro crepato, rivelando dietro la consueta espressione dolente e +paziente l’ansia di una consapevolezza colpevole e nascosta da tempo dentro di +sé, che ora si sforzava di affiorare. +– Sì – balbettò lei. – Non so come tu lo sappia, Stefanos, ma… sì, è tornato ad +Atene. In segreto, parecchie volte. Per rivedere la sua vecchia madre. Io pensavo +di aver mantenuto così bene il segreto. Ma adesso… Oh, cielo! E credevo che +neanche la tortura me l’avrebbe fatto dire! +Piangeva, e si lasciò cadere su una sedia. Ero sollevato che non +s’inginocchiasse davanti a me. Avevo avuto abbastanza genuflessioni per un +giorno. +– Non importa – dissi. – Che tu me l’abbia detto o no, io sono venuto a +saperlo. So che Filemone era qui al momento del… in quel momento. Ho parlato +con qualcuno che aveva buoni motivi di saperlo. +– E chi sarebbe? +– La moglie di Filemone – risposi. +La zia Eudossia svenne. + X +L’enigma dell’iscrizione + + + + + +Quando Aristotele con mia sorpresa mi mandò a chiamare, andai senza troppo +entusiasmo. Aveva sentito, naturalmente, della seconda prodicasìa, e mi disse +che desiderava assicurarmi che «non tutti» credevano che Filemone avesse +combattuto per i Persiani. Ritenni che questo significasse che le più alte autorità +cittadine si riservavano il giudizio. +– E inoltre – aggiunse allegramente – questa testimonianza è tardiva ed +incompleta. Tutto sommato, sembra più un’ipotesi che una prova. +– Ah, – dissi amaramente – questa è storia vecchia. Come dice il poeta, + +Ciò che prima ci minacciava e sembrava così triste, +benché dovesse ancora accadere, sembra un vago ricordo, +ora che questa nuvola nera scaglia tuoni e fulmini sulle nostre teste. + +– Versi espressivi, – commentò Aristotele, – ma non è granché come poesia, +non credi? Che cos’è questa nuvola nera? È saltato fuori qualcosa di nuovo? +– Sì – risposi gravemente. – Ma è una cosa privata… di famiglia… e non +dovrei parlarvene. Siete stato buono con me, e siete saggio, ma questa è una +faccenda personale e molto strana, e potrebbe avere le più serie conseguenze. +– Stai diventando un vero oratore, Stefanos. Hai ridestato tutta la mia +attenzione; sto già cercando d’indovinare. E con quanta abilità mi lusinghi. I +saggi hanno sempre l’ambizione di voler essere considerati saggi. Quanto alla +bontà, be’, siamo sempre ben disposti verso chiunque ci lodi per delle buone +qualità che non siamo sicuri di possedere. Insomma mi hai conquistato, e penso +che dovresti dirmi questa cosa strana e seria. Ti prometto il silenzio, anche nel +caso che non possa esserti d’aiuto. +Mi sentivo colpevole nel tradire così un segreto di famiglia, anzi una +vergogna; ma non potei fare a meno di riferirgli tutta la storia delle due donne al +Pireo. +– Non so cosa pensare – conclusi. – A volte penso che sia tutto vero, a volte +che lo sia solo in parte, e cioè che si tratti dell’amante di Filemone, non di sua +moglie. E chissà chi è il padre del bambino che aspetta? Ma che importa, se + riusciamo a liberare Filemone da un sordido legame? La cosa importante è che +lei sostiene che lui era qui nel Boedromione. Potrebbe anche essere qualche +losco complotto per estorcerci denaro; ho pensato anche a questo. +– Potrebbe darsi, – concordò lui. – Ma sarebbe un rischio anche per loro +associarsi con una famiglia così compromessa. Perdonami, ma vi trovate tutti in +un certo senso sotto una nuvola nera (ahimè, di nuovo poesia), e non siete ricchi. +Una ragazza così bella se la caverebbe meglio con qualche ricco protettore. Ma, +ovviamente, potrebbe anche trattarsi di una prostituta, incinta e in difficoltà, che +cerca disperatamente un sostegno mentre non può esercitare il suo solito +mestiere. Potrebbe essere disposta a dire qualsiasi cosa dietro pagamento. Ma la +testimonianza di una prostituta può essere respinta. Le giurie ateniesi non sono +molto favorevoli alle prostitute… in pubblico –. Aristotele ridacchiò, come un +uomo che conosce il mondo. Lo trovai molto irritante in quel momento. +– Oh, che Atena ci aiuti! – dissi disperatamente. Aveva di nuovo capito tutto. +– Ha importanza per me. Non avete visto… la difesa della zia Eudossia non è +mai stata altro che una bugia! Adesso ha ammesso che sapeva che Filemone era +qui. È andato a vederla parecchie volte, anche all’epoca del delitto. Così sotto +questo aspetto, cioè il peggiore di tutti, il racconto della ragazza risponde al vero. +E se anche nessun altro lo sapesse, io lo so. L’unico fatto su cui contavo non +esiste più. +Per un minuto circa vi fu un mortale silenzio. +– Adesso lo vedete – dissi desolatamente. – Ormai crederete anche voi che sia +colpevole. Tutto quello che vi posso chiedere è di non dire nulla… di non +interferire. +– Dunque adesso tu credi che Filemone sia colpevole? – mi domandò +Aristotele guardandomi fisso. +– No – risposi. – Lo so che vi sembrerà una pazzia. Ma ci credo meno di +prima, se mai fosse possibile. +– Perché? +– Perché troppe cose mi hanno ricordato Filemone. Il vero Filemone, +scavezzacollo, impulsivo e buono di cuore. Tutta questa faccenda con la +donna… è un pasticcio, ma sembra naturale, e stranamente normale. E il +bambino sembra proprio suo. Oh, è così difficile spiegare. Ma non sono emersi +altri motivi per cui Filemone avrebbe dovuto far fuori Boutades. Nella mia testa +ho seguitato a rimuginare e rimuginare; ma nel mio cuore io penso, io sento, che +Melissa si ritiene sposata a Filemone. Non riesco a pensare a lei come a una +nemica; piuttosto come a un altro fardello. +– Oltre alla sua catastrofica ammissione, che cos’ha da dire la zia Eudossia? +– Be’… dice che Filemone una volta aveva cominciato a dirle qualcosa di una + ragazza, ma che lei gli troncò il discorso, dicendo che non voleva sentire niente +dei suoi affari di donne. Quando le ho parlato, sulle prime mi ha dichiarato che +non dovevamo riconoscere questa femmina. Anche se c’era stata una sorta di +cerimonia, non si trattava di un vero matrimonio, la ragazza era probabilmente +una sgualdrinella ambiziosa, e in ogni caso una forestiera. Ma poi, pensando al +bambino, ha cominciato a raddolcirsi. Dice che vorrebbe vedere un nipotino +prima di morire. Questa ragazza non dovrebbe far altro che mostrare il bambino +alla zia Eudossia e mettersi a piangere, e sarebbe accettata in famiglia nello +spazio d’un pomeriggio. +– No – disse Aristotele in tono deciso – non permettere che questo avvenga. +Tieni lontana la ragazza da casa vostra e tieni i tuoi lontani da lei, specialmente +la zia Eudossia. Non ci devono essere legami visibili. Non adesso. Bada che le +tue donne tengano la lingua a freno. +– Cosa posso fare? Non posso certo andare in giro in cerca dei parenti di +Melissa al Sunion, per verificare se c’è stato un matrimonio, o andare a scavare +tesori nascosti a Tebe. Per fare tutto ciò ci vorrebbero dei mesi, a dir poco. In +questo momento è impossibile accertare se il matrimonio è legittimo. +– Uhm –. Aristotele congiunse le punte delle dita meditativamente. – Tu pensi +che Melissa sia, o ritenga di essere, la moglie di Filemone. A questo punto, +dunque, sarà bene che tu ti comporti come se trattassi con la moglie di Filemone +e con suo figlio. Se Melissa è un’impostora che cerca solamente di estorcere +denaro per il suo mantenimento, potrà così essere soddisfatta. Se è la moglie di +Filemone, o anche una concubina illusa che pensa di essere la moglie, la tua +famiglia è in obbligo di un sostegno a lei e ai suoi figli. È un rischio, +naturalmente. Potrebbe recitare una parte sotto la direzione di qualcun altro. +Potrebbe essere stata comperata dalla parte avversa. È un rischio che devi +correre. Non mettere niente per iscritto, e non prendere testimoni per le tue +transazioni. Se le cose vanno storte, quella donna potrà essere smentita e non +avrà prove di essere stata riconosciuta da te come una della famiglia. Potresti +sempre dire che ti ha semplicemente detto di avere avuto un figlio illegittimo da +Filemone, e che tu le hai dato un modesto soccorso per pietà, prima di venire a +sapere della sua cattiva fama. Appioppare dei figliuoli spurii a dei cittadini non è +cosa ben vista; e così la giuria sarebbe probabilmente dalla tua parte se gli +accusatori volessero servirsi di un’arma così infangata. +– Capisco – risposi. – Ma sento che quella storia fondamentalmente è vera. +Perciò avrei torto a non aiutarli. Per lo meno, questa è una cosa che posso fare +per Filemone. +– Giusto. Ma segretamente, segretamente, Stefanos. Non ritornare in quella +casa. Trovati con la vecchia serva, e fatti raccontare quanto puoi da lei. Sta’ + attento a qualsiasi incongruenza che possa dimostrare che la loro storia è falsa. +Ma ricordati questo –. Si chinò in avanti con aria grave. – Se si tratta della +moglie e del figlio di Filemone, sono in pericolo. Perciò tu sei obbligato in +coscienza, verso di loro e verso Filemone, a prendere tutte le precauzioni. +– In pericolo? – ripetei, sbalordito. +– Sì, sì, certamente. Mi pare che il modo migliore di assisterli sia di trasferirli +in qualche località remota il più presto possibile. Questo potrà anche servirti +come prova, perché più la storia di Melissa è vera, più lei sarà ansiosa di +andarsene. Se invece il suo scopo è attirarti in una trappola con una storia falsa, +lei farà del suo meglio per non partire. In questo, credo di poterti aiutare. Melissa +può andare in Macedonia, finché non sia consigliabile tornare. Posso dire una +parola alle persone giuste e provvedere un carro e alcune guide. Se tu puoi +pagare il noleggio del carro e fornire il denaro per le provviste, il resto è +semplice. Lascia fare a me. Facciamo il quinto giorno della prossima decade? +Cioè la metà del mese. Penso che questo spazio di tempo sia necessario, ma +indugiare di più sarebbe metterli in pericolo –. La sua mente sembrava +funzionare alla velocità dell’acqua di una cascata. Non riuscivo a tenergli dietro. +– In pericolo? – ripetei ancora. – Come, in pericolo? +– Io sono stato in parte conquistato dalla tua fiducia in quella donna. O +rappresenta un pericolo per te, come abbiamo detto, e col mandarla via ce ne +liberiamo, oppure, come tu nel tuo cuore sei convinto che sia, è la moglie di +Filemone, e in tal caso è in pericolo. Qualcuno odia Filemone. Lo odia. E odia +chiunque gli appartiene. Anche te. Mi domando perché. +– Odiarci! Ma questo è ridicolo. Filemone ha ucciso un uomo durante una +rissa, è vero, ma la famiglia fu risarcita adeguatamente. Sono gente modesta, e +non hanno mai parlato di vendetta. E quanto a me… Non ho fatto del male a +nessuno, e neppure mio padre ne ha fatto. Qualcuno potrebbe essere in collera +con me per qualche parola avventata, suppongo, ma… +– No, non in collera. Io qui avverto la presenza dell’odio, una cosa più +mortale della collera, e più sicura. Il tempo guarisce dalla collera, ma non +dall’odio. Non ti sei accorto della differenza? Chi è in preda alla collera mira a +procurare dolore alla sua vittima, vuole farla soffrire. Chi odia è sicuro di sé, +distaccato, non gli interessa se la sua vittima provi dolore o no, purché possa +annientarla. Un uomo in collera alla fine prova pietà per chi ha offeso; un uomo +che odia non proverà mai pietà. Il vero odio è contagioso. Dopo i terremoti, i +fulmini e quant’altro, è la cosa più letale al mondo. Io temo che il tuo +antagonista, tuo e di Filemone, sia un uomo capace di odiare, e non solo un +uomo in collera. +– Ma chi – dissi piuttosto abbattuto – chi potrebbe odiarci? Odiare me? + – Non te, magari. Non come individuo. Ma per qualcosa che rappresenti. +Come la gente può odiare quelli che sostengono una causa politica che +aborriscono. +– Oh, sì – dissi lentamente. Cominciavo a vedere un po’ di luce nelle tenebre. +– Stavo dimenticando. Mi sono fatto odiare da qualcuno l’altro giorno –. Gli +raccontai degli insulti di Archimeno e anche di Teosoforo, e del sarcasmo e, +soprattutto, delle oscenità di Archimeno. Quando Aristotele mi sollecitò a +raccontargli altre cose, gli riferii tutto l’incidente alla bancarella della carne +cotta. +Aristotele sospirò. +– Cosa dobbiamo fare di te? I giovani sono molto impulsivi. È stata una cosa +molto imprudente. Ti prego, non farti dei nemici, o se te ne sei già fatti, cerca di +non aizzarli ancora di più. +– Mi spaventate ora – dissi seriamente – con i vostri discorsi sull’odio. +– Un po’ di paura è un’ottima medicina; troppa, invece, ci toglie il +discernimento. Quanto ai miei discorsi sull’odio, ho usato uno stile da oratore, +vero? Qualche volta devo pur farlo, se non l’ho già fatto. In questo caso potrei +sbagliarmi, ma credo di no. L’odio esiste, ne sono sicuro, ma perché? Strano +come vanno le cose, – continuò in tono più gioviale, guardandomi +benevolmente. – Volevo parlarti di nuovo dei vasi, e invece ho fatto un’orazione +sull’odio. Come si potrebbero combinare le due cose? Una scena di odio su un +vaso? O solo un vaso pieno d’odio? A proposito, suppongo che non ti sarai +ricordato di portarmi quel frammento di vaso? +Me ne ero ricordato invece, e l’avevo con me, avvolto in un ritaglio di stoffa, +benché quasi mi fosse uscito di mente. Sembrava una cosa del tutto trascurabile +ormai, ma glielo porsi obbedientemente. Aristotele si mostrò compiaciuto come +se gli avessi dato un intero vaso dall’intricata decorazione. Lo rigirò da ogni +parte fra le sue lunghe dita; se lo mise sotto gli occhi, poi lo allontanò. +– Senti qui gli orli – disse. – Questo è stato rotto poco prima di quando l’hai +ritrovato. Buona ceramica ateniese. Guarda l’argilla rossa e la bella vernice. +Ai miei occhi non c’era proprio niente di speciale in quel pezzetto di vaso +rotto. +– Se vi piace questo genere di roba – dissi in tono lievemente sarcastico +(evidentemente dovevo sentirmi meglio) – c’è un bel mucchio di rifiuti dietro +casa nostra dove si possono trovare i cocci di tutto il vasellame che abbiamo +rotto in dieci anni. Vi farò dono dell’intera collezione. +– Andiamo, Stefanos, non prendere in giro il tuo vecchio maestro. Non credo +– aggiunse più seriamente – che questo sia il marchio d’un vasaio. Mi sembra +faccia parte di una vera e propria iscrizione. Credo che questo segno sia una + porzione di lettera. Non ti sembra, Stefanos? +Guardai sopra la sua spalla oziosamente. Sulle prime non vidi nulla che non +avessi visto prima. E poi vidi una lettera in quel segno, che aveva l’aria di far +parte di una parola scritta, con le sue linee nitide e sicure; non un semplice +marchio messo lì isolatamente. E la lettera era ovviamente la «fi» (Φ) che +sovente viene tracciata in forma di croce, così o così . È l’iniziale di +Filemone. +– Sembrerebbe una… – cominciai, obbedendo all’abitudine di rispondere alle +domande d’un maestro. Poi mi interruppi. – Non ne sono sicuro – terminai +goffamente. +– Questo frammento lo tengo io, se non ti dispiace – disse Aristotele. Mi +dispiaceva, e avrei voluto riprendermelo, ma ovviamente non dissi nulla. Meglio +considerarla una questione senza importanza. Per la prima volta mi si affacciò +l’idea che la punta d’arco cretese fosse stata messa lì per incriminare mio cugino. +Forse quel frammento era un’altra falsa prova, collocata deliberatamente. +Cercavo confusamente delle spiegazioni, ma tenni la bocca chiusa. +– Quand’è che un vaso non è un vaso? – chiese Aristotele in tono allegro. – +Quando è rotto. A proposito di vasi e di anfore da vino, – disse allegramente +Aristotele – mi viene in mente che presto dovrò andare a pranzo dal ricco +Cleoforo. Un uomo rispettabile, gran parlantina e nessun ingombro di idee. Devo +andare più spesso nella buona società, serve a raffinare le maniere. E ci sono dei +lati positivi nei pranzi dei ricchi: il loro vino è ottimo. Non dimenticarti della +partenza per la prossima settimana. Porta il danaro per il noleggio del carro, al +resto penso io. + +Ritrovai la vecchia al Pireo, nel luogo che aveva indicato vicino alla piazza +del mercato. Il suo aspetto non era migliorato in questa seconda occasione, e il +pensiero di chiedere una conversazione in privato non mi piaceva affatto, ma ella +mi anticipò dicendo – Credo, signore, che voi ed io dovremmo poter parlare un +momento tranquillamente, lontano dai curiosi. Seguitemi sulla spiaggia –. Io le +tenni dietro. Stava diventando un’abitudine. Di nuovo passammo attraverso +sentieri remoti e quartieri miserabili, ma questa volta per sbucare su un tratto +solitario della spiaggia, lontano dai cantieri navali e dai pescatori. +Non era una bella giornata per passeggiare in riva al mare. L’aria era fredda, e +l’acqua stessa appariva grigia e desolata, come se fosse anch’essa oppressa dalla +povertà. La sabbia ruvida e la ghiaia ci scricchiolavano aspramente sotto i piedi. +– Prendi – le dissi, contento di disfarmi del fardello che sino allora avevo +cercato di nascondere. – Qui c’è del vestiario per il bambino e una coperta, un +po’ di fichi, del formaggio e un vaso di miele. E qui c’è un po’ di denaro – + aggiunsi, facendolo cadere nella sua mano adunca. La vecchia lo esaminò e +controllò le monete, senza il minimo imbarazzo. – Non è molto, ma dovrebbe +bastare alla tua padrona e al bambino per un certo tempo –. Non le avevo potuto +dare molto, naturalmente, perché una certa somma si sarebbe dovuta spendere +per il noleggio del carro, e il pensiero di come trovarla mi aveva già procurato +una notte insonne. +Con mio sollievo, la vecchia ridacchiò di piacere alla vista delle monete; +l’offerta le pareva generosa. +– Molte grazie, signore. Oh, che benedizione non doversi preoccupare di +come comprare il pranzo di domani. E poi la mia padrona ha bisogno di tante +attenzioni adesso che è incinta, e l’inverno è alle porte. Ovviamente, mio +signore, non è affatto decoroso che voi veniate in casa della mia padrona mentre +il padrone è assente. I vicini potrebbero sparlare e fraintendere, non essendo al +corrente dei fatti. Il buon nome di una donna è una cosa molto fragile, specie in +un posto sordido come il Pireo, dove in realtà la mia signora non dovrebbe +vivere. +– Senti, – mi affrettai a dire. – La tua padrona, il bambino e tu stessa dovete +allontanarvi da qui, dal Pireo e da Atene, verso un luogo sicuro. Come dite voi, +questo non è un posto adatto per Melissa. Aspettare Filemone non serve. Non +può certo venire adesso. Presto ci sarà il processo, e la moglie di un uomo +accusato di omicidio si trova in una posizione difficile. Volete fidarmi di me? Ho +un piano. +– Non sono tanto affezionata al Pireo, – rispose lei tirando su energicamente e +rumorosamente col naso, – non mi si spezzerebbe il cuore se dovessi andarmene, +e nemmeno alla mia padrona, non in questo momento. E capisco il vostro intento +meglio di lei: volete che nessuno sappia che Filemone è stato qui, ed è più facile +portare avanti questa tesi con noi lontano. Giustissimo. Ma sentite, non starete +mica pensando a qualcosa di losco, vero? Far sparire la moglie scomoda e +indesiderata dalla famiglia, e strangolarne il figlio e la serva per poi gettare i loro +cadaveri in un fosso? Ne ho già sentite di storie come questa. +– Grande Zeus, no! – protestai indignato. – Giuro su Zeus, protettore dei +supplici, dei forestieri, delle vedove e degli orfani, che una simile idea mi +ripugna, e che non lo farei per nessun interesse al mondo. Prometto alla tua +padrona che può contare sul mio onore. +– Meglio che sia così, – commentò la vecchia enigmaticamente, e borbottò un +fiume di imprecazioni. Arguii che se avessi fatto del male a Melissa una vendetta +indegna e dolorosa si sarebbe abbattuta su di me per mano di vari dei. Poi ella +s’illuminò. +– Io mi fido di voi, caro… mio signore, voglio dire. Lo si vede in faccia, + quando ci si può fidare. Sono d’accordo con voi che è meglio andarcene di qua, +in un momento così difficile. Perché è un momento difficile vero? – I suoi occhi, +infossati fra le rughe, mi scrutarono in viso. – Voi pensate che le cose vadano +male per il padrone, non è così? +– Sì –. Non c’era motivo di nascondere la verità. +– Be’, allora ho sempre pensato che voi aveste il diritto di sapere tutto. L’ho +pensato fin da quando abbiamo deciso di rivolgerci a voi. Ho un peso sul cuore. +– Di che si tratta? – domandai pazientemente, preoccupato all’idea di nuove +rivelazioni. Poteva essere qualcosa di subdolo e piagnucoloso, ma futile, come +ad esempio il numero dei buchi negli abitini del bambino, oppure poteva essere +un nuovo colpo. Santo cielo… magari altri bambini? +– Io voglio dirvelo. Melissa non vuole; quindi, in un certo senso, sto +infrangendo una promessa, anche se io non mi sono mai impegnata con un +giuramento solenne, e lei ha dato la cosa più o meno per scontata. Ma ora ci +troviamo in un grosso pasticcio, e niente ha molto senso, per quanto io non possa +fare a meno di chiedermi se in realtà non esista un senso da qualche parte. +Melissa non riflette sulle cose, ma io sì. A volte si mette un mucchietto di lana +sul fuso, lo si pettina e lo si tira, ma non si riesce a cavarne un filo che sia un +filo; poi, all’improvviso, ecco che si forma, e tutto fila liscio. E anche la vita è +così. +– Giustissimo, – commentai seccamente. – Ammiro la tua filosofia. – (Ma +non si dovrebbe mai usare l’ironia contro le donne o chi ci è inferiore). – Che +cosa vuoi dire? +– Se ve lo dico, signore, non direte alla mia padrona che ve l’ho detto, vero? +– No, – risposi con decisione. – Ormai sono abituato a mantenere i segreti –. +Pronunciai queste parole in tono molto virile, ma poi arrossii. Non avevo forse +spiattellato tutti i miei segreti ad Aristotele? +– È vero, – disse la vecchia allegramente. – Un gentiluomo sa come vanno +trattate queste cose. Ma, signore, adesso dovete ascoltarmi e lasciarmi raccontare +tutto a modo mio. +– Certamente, – dissi. Il vento sembrava più freddo, e l’acqua più grigia. +Alcuni gabbiani facevano dei versi derisori. Non avevo voglia di stare a sentire +una lunga storia. Se Omero, resuscitando dalla morte, fosse spuntato davanti a +me su quella spiaggia desolata e avesse detto con entusiasmo, «Ho scritto un +nuovo poema epico!», io avrei detto «Non potremmo andare a sentirlo dentro +casa?» e poi avrei aggiunto, «Potremmo rimandare a domani?». Ma dovevo +restare là, a camminare su e giù per la spiaggia e ascoltare questo fagotto +gracchiante, che interrompeva il suo discorso per schiarirsi la gola e sputare. +Tuttavia c’erano delle buone ragioni per restare ad ascoltarla lì all’aperto. + La vecchia si soffiò il naso e cominciò. +– Voi non sapete, e voglia il cielo che non lo sappiate mai, cosa è stato +l’assedio di Tebe. Io mi meraviglio di essere ancora viva. Fu otto anni fa, ma io +lo ricordo come se fosse accaduto da una settimana. Vorrei tanto che non fosse +così. Mi ricordo, – ella aggiunse, – che fu preceduto da vari presagi, che ci +lasciarono tutti pieni di terrore, come persone che vivono dentro un sogno. Nel +tempio di Demetra comparve una ragnatela, una cosa enorme, delle dimensioni +di un mantello, splendente come un arcobaleno, bella e innaturale. Tutti quanti +andarono a vederla, e gli àuguri dissero che era un segno che gli dei avevano +abbandonato la città. E a Dirke, sulla superficie dell’acqua, continuava a +formarsi una strana increspatura, un’onda del colore del sangue. Dissero che +questo annunciava un massacro. Be’, il massacro arrivò ben presto, subito dopo +che gli uomini di Alessandro sfondarono le mura. Dappertutto c’erano grida e +confusione, e a volte i nostri, per errore, si uccidevano fra loro. Scappammo +dalla città più presto che potemmo, e seguitammo a fuggire, i genitori di Melissa, +la bambina ed io. Che fuga! Correvamo alla cieca, inciampando, con le bocche +piene del sapore della paura. E che spettacoli! Mucchi di cadaveri agli angoli +delle strade e nelle vie che uscivano dalla città. Dopo un po’, la madre di Melissa +rimase indietro e fu catturata. La vidi uccidere, signore. Tenevo coperta la testa +della bambina. Melissa non seppe mai come fu uccisa sua madre, né che io la +vidi. Questo è un segreto che ho mantenuto. Ma credo che la mia signora abbia +sempre sentito che la morte della sua povera madre dovette essere veramente +orribile. Oh dei, che disgrazia nascere donna e non poter avere la propria +vendetta! – Si schiarì la voce e sputò nella sabbia. – Melissa vide abbastanza +spettacoli in quella fuga da rimanere sconvolta per sempre. Siano ringraziati gli +dei che ne venne fuori viva e libera. Altri bambini più piccoli di lei furono uccisi +o venduti come schiavi, mentre ancora piangevano per tornare dalla loro madre o +per succhiarne il latte. Allora Melissa non aveva ancora dodici anni. Ebbe salva +la vita, la libertà, la salute e la verginità (Oh, davvero, che benedizione!). Ma +anche così non è più stata la stessa di prima. Il motivo per cui vi dico queste cose +è che tutto questo la rese molto paurosa. Continuò ad avere incubi fin quasi +all’epoca del matrimonio. È Ateniese di diritto, ma non è uguale a una bella e +giovane donna ateniese che non abbia vissuto quest’esperienza. Si spaventa più +facilmente di una ragazza normale. Suo marito la fa sentire più sicura, ed è a suo +agio quando le sono vicina. Melissa ha bisogno di me. Non possiamo separarci, +per lo meno finché non potrà vivere insieme a suo marito tranquillamente e +decorosamente, e io prego di poter restare con lei fino alla mia morte. Pregate, +signore, di non dover mai vedere la caduta di una città abbandonata dagli dei! +– Così mi auguro, – risposi, non senza simpatia. + – Melissa, come ho detto, aveva circa dodici anni allora, ed era bella quasi +come adesso. È cresciuta presto. Del suo primo incontro con Filemone sapete +già; ma ci fu un’altra persona che incontrò durante quella fuga. Il suo nome, – e +la vecchia mi guardò fisso, – era Boutades. +– Come? +– Sì. Boutades era uno dei cittadini che dovevano esaminare la posizione dei +profughi di Tebe che cercavano rifugio ad Atene. Vide Melissa senza velo, con i +capelli sciolti, al suo primo entrare in città. Me lo ricordo bene io, con quella +faccia grassa, così ben nutrita. Pensai, «Non hai mai visto il pericolo tu, è +evidente!». Fu molto colpito da lei, povera bambina, e le domandò di diventare +la sua amante in termini piuttosto rozzi. Cose simili possono accadere anche alle +più virtuose in tempo di guerra, quando le donne perbene vengono cacciate dalle +loro case. La poverina si abbassò il velo e si mise a piangere; suo padre era lì e +gli disse subito di no. Fu anche abbastanza furbo da ingannare Boutades sul +posto dove avevano intenzione di stabilirsi, in modo che non potesse ritrovarla. +Poi andò a stare con i cugini, e tutto si svolse come vi abbiamo già detto. Ma +quest’uomo, questo Boutades, e questo è realmente straordinario, non dimenticò +mai Melissa, o almeno così disse quando la ritrovò. Perché infatti la ritrovò vari +anni più tardi, dopo il matrimonio, quando Filemone era già in esilio e il +bambino era nato da poco. Sembrava rincretinito per lei. Il buffo è che era ricco +abbastanza da poter comprarsi l’amore in qualsiasi casa di piacere, o da +mantenere mezza dozzina di donne, se ne avesse avuto voglia. A volte mi +domandavo se fosse del tutto a posto con la testa. Ad ogni modo, gli uomini di +una certa età a volte diventano come bambini, che si ostinano a volere un solo +giocattolo e nient’altro gli sta bene. La cosa più strana è che si attaccò al +bambino quasi quanto a Melissa, benché normalmente gli uomini non +impazziscano per i bambini. E se si vuole accalappiare un uomo è meglio tenere +i neonati in fasce ben nascosti. Boutades tornò ad offrirle quella posizione che le +aveva già prospettato, e disse che avrebbe adottato il bambino legalmente e +come si deve. Stava accanto al bambino come una vecchia nonna o un nuovo +padre. E addirittura, quando Melissa lo respinse e spiegò che era sposata, lui +disse che avrebbe adottato anche Filemone, e che avrebbe assegnato al bambino +e a suo padre un lascito nel suo testamento. Tutto questo lo disse in segreto, mi +capite? Dovevamo incontrarci in una capannuccia abbandonata, e quando +parlava d’affari mi mandava fuori, ma io ascoltavo attraverso la porta. Non +accadeva niente di sconveniente: lui era vecchio e grasso, e Melissa avrebbe +potuto scappar via facilmente, se qualcosa non andava. Non è accaduto niente di +male, ve lo assicuro – ripeté la vecchia scrutando la mia faccia aggrondata. – Le +ha solo ripetuto l’offerta, come vi ho detto. Due volte, per essere precisi. + – Davvero? E Melissa era lusingata? +– Non prendetela così, signore. Naturalmente rispose di no. Ma la seconda +volta lo disse con più esitazione. Era a metà dell’estate scorsa, e Melissa era +molto a corto di mezzi e depressa di spirito. Filemone non era tornato da un +pezzo, e quel che è peggio sentimmo dire che era morto. Non siate severo con lei +in cuor vostro. Ricordate che è solo una donna, ed è suo dovere e suo desiderio +allevare il bambino in buona salute e in buona posizione. +– Sono lieto di sentire che Melissa sia una buona madre – dissi con ironia. +– Considerate, signore – replicò la vecchia in tono di rimprovero – il suo +abbattimento, la sua miseria. Una giovane sposa, forse una giovane vedova, con +un bambino e nessuno a cui rivolgersi. Non poteva presentarsi alla vostra +famiglia, non essendo stata riconosciuta come moglie, e se anche voi aveste +pensato che Filemone era morto avreste potuto mandarla via facilmente. La mia +povera signora! Ha ricominciato a piangere e ad avere quegli orribili incubi da +molte notti. Ricordatevi che vi ho detto che è più paurosa della maggioranza +delle donne. Fuggita da Tebe, la madre uccisa, il padre morto, il marito bandito +dalla città e ora quasi come se fosse morto. Loro due, Melissa e Boutades +intendo dire, s’incontrarono ancora, per la terza volta, e questa volta lui fece un +accordo scritto, su delle tavolette che consegnò a lei. Prometteva che l’avrebbe +sposata, in caso di morte di sua moglie e se Melissa risultava vedova. Disse +persino che non avrebbe dormito con lei, a patto che non si concedesse a nessun +altro, eccetto il marito, se ritornava. E avrebbe potuto adottare il marito insieme +al bambino e provvedere a lei. Non molti uomini sarebbero altrettanto generosi. +Probabilmente Melissa avrebbe acconsentito, ma poi arrivò vostro cugino, suo +marito, che non era affatto morto, grazie agli dei. E così Melissa non ebbe +bisogno di accettare l’offerta. Il resto lo sapete: Boutades fu ucciso, e ormai la +mia padrona non potrebbe accontentarlo neanche se lo volesse. +– Grande Atena! – dissi sbalordito. – Ha parlato con qualcuno di questo… +questo piano? +– Naturalmente no. Era un’idea molto segreta. Boutades disse che nessuno +doveva saperlo finché tutto non fosse legalmente sistemato. Nessuno. +Naturalmente, la mia padrona non ne fece parola ad anima viva. E mi +raccomandò particolarmente di non parlarne a voi, perché avreste potuto +allontanarci del tutto. +– Dove sono quelle tavolette? – dissi concitatamente. – E cosa c’è scritto +sopra di preciso? +I suoi occhi si fecero vitrei, come quelli d’una lucertola. +– Oh, quanto a questo, signore, chi potrebbe dirlo? Di sicuro Melissa le avrà +distrutte ormai. Non le ho più viste dall’estate. E quanto a quello che c’era sopra, + io so solo ciò che vi ho detto. Dovreste capirlo, signore, che non so leggere. +– Perché mi hai detto tutto questo? +– Perché ho pensato che doveste saperlo, signore. E inoltre… Voi siete un +cittadino… Ero sicura che avreste saputo se… Non è stato lasciato nulla da +Boutades per la mia padrona e per il bambino? Quando lui morì… nel +testamento? +– No. Certamente no –. Non riuscivo a capire se quella vecchia fosse un +essere astuto o un’imbecille. +– Be’, ma dopo tutto Boutades intendeva adottare il bambino. Forse era +questo che gli premeva particolarmente. Non potrebbe avere qualche diritto +questo bambino? O Filemone? Non sarebbe giusto che Melissa reclamasse +qualcosa per il piccolo Likias, pur essendo la moglie d’un altro uomo? Non +potremmo sollevare la questione negli anni a venire? +– Ne dubito molto – risposi arrabbiato. Questa donna era proprio assurda. – +Boutades non ha lasciato disposizioni del genere. E anche se le vostre tavolette +potessero essere esibite, la corte le respingerebbe, e la famiglia di Melissa ne +sarebbe infamata. Agli Ateniesi non piacciono giochetti del genere con la +proprietà di un cittadino. Se il bambino fosse stato legalmente adottato, avrebbe +dei diritti. Queste trattative fatte alla chetichella non gli danno diritto a niente. +Qualsiasi uomo di buon senso vi direbbe altrettanto. Tieni segreta questa storia e +cerca di dimenticarla. +– Voi ne sapete più di me signore – disse, in tono di dubbio. – Vi prometto di +non farne parola a nessun altro, se è questo che vi preoccupa. Ora dovrei tornare +a casa. Vi ho trattenuto a lungo. La mia padrona sarà in pensiero. Mille grazie +per i vostri doni. Quando volete prendere accordi per la partenza? +Combinai in fretta di incontrarmi di nuovo con lei per comunicarle il progetto +definitivo. Assentì pacatamente a tutto. Poi lasciai che si avviasse lungo la +spiaggia e le tenni dietro lentamente. Mentre svoltavo nel Pireo, così assorto nei +miei pensieri da stentare a rendermi conto di ciò che mi circondava, fui +bruscamente ridestato da una vista spiacevole. Di fronte a me c’era uno schiavo +ateniese che conoscevo, un giovanotto brutto e dinoccolato, con una faccia +simile al muso d’un torello. Era uno degli schiavi di Archimeno, l’avevo visto +spesso. Quest’uomo stava seguendo con lo sguardo la vecchia. Mi parve che mi +vedesse e, vedendomi, scantonasse. Ci aveva visti insieme? Forse si trovava al +Pireo per un’incombenza ordinaria, mi dissi, e forse le mie spiacevoli sensazioni +nascevano dal fatto che qualsiasi richiamo all’esistenza di Archimeno mi dava +sui nervi. +Non avevo spazio per altri pensieri molesti. Ne avevo già troppi. Quella +vecchia mi aveva detto la verità? Oppure lei e Melissa avevano escogitato + insieme una enorme bugia per i loro propri fini? In ogni caso, la vecchia non era +per niente stupida. Doveva essersi resa conto di avermi detto una cosa terribile. +Avevo sempre saputo che Filemone non poteva avere un movente per uccidere +Boutades o, per lo meno, avevo creduto di saperlo. E adesso, ecco qua. Quella +donna, Nusia, mi aveva indicato un movente per Filemone. Uno dei più vecchi +moventi del mondo. Omicidio per gelosia. Vendetta per la seduzione di sua +moglie. +Presi subito una decisione. Questo motivo doveva a tutti i costi restare +segreto. La parentela di Boutades non doveva saperlo: avrebbe assicurato il +trionfo della loro accusa. Avrei seguitato a combattere tenendo nascosta a tutti +quella storia. Se le donne si proponevano di sfruttarmi, va bene, le avrei pagate. +Le avrei portate via, mi giurai, se fosse stato possibile. E avrei dovuto tener +celato tutto questo ad Aristotele, pur accettando senza rimorsi l’appoggio che era +disposto a darmi. Non potevo raccontargli questa faccenda. +C’era poi quel maledetto frammento di vaso con sopra una lettera +incriminante. Forse proveniva da qualche oggetto appartenente a mio cugino. +Forse era la prova effettiva di una verità terribile. Come potevo sperare che +Aristotele non ne facesse uso contro di noi? Quanto a illudermi che i suoi occhi +acuti non avessero identificato la lettera come l’avevano identificata i miei, non +era davvero il caso. Ma forse lui pensava ancora ragionevolmente che non c’era +necessariamente un rapporto fra un vaso con sopra la prima lettera del nome di +Filemone e il delitto. Non potevo dargli le ultime notizie. Quando avesse saputo +che Filemone aveva un così forte movente per uccidere, avrebbe potuto mettersi +contro di noi e consegnare le prove agli avversari. Non potevo lasciare che +questo accadesse. Non potevo permettere che mi togliesse il suo appoggio +proprio quando avevo bisogno di lui per far fuggire le donne in Macedonia e +trovar loro rifugio lì. Sarei stato un bugiardo. Avrei ingannato il mio migliore +amico. A cosa era servito tutto quel parlare di virtù e giustizia all’Accademia e al +Liceo? Erano solo chiacchiere. Avevo un solo dovere chiaro nella mente, ed era +verso mio cugino. Se nel fare il mio dovere fossi diventato un uomo malvagio, +pazienza. + XI +Fuoco e tenebre + + + + + +Con una nuova spregiudicatezza che si induriva sopra di me come una +corazza d’argilla, andai a trovare Aristotele e, inghiottendo un senso di colpa, +insistetti perché le donne e il bambino venissero spediti in Macedonia più presto +di quanto avevamo progettato. Aristotele disse che la cosa, forse, era possibile. +Gli inviati militari in partenza da Atene per Pella che avevano consentito a fare +da scorta alla famiglia potevano essere in grado di mettersi in viaggio il terzo +giorno invece del quinto. Aristotele mi assicurò che due fidati servi macedoni +che dovevano ritornare a Stagira si sarebbero presi cura delle due donne e del +bambino. Aveva detto a tutte le persone coinvolte nella faccenda che i +viaggiatori erano parenti del marito di sua sorella, obbligati a rientrare in patria. +Il marito della donna era morto in guerra. I viaggiatori sarebbero stati ben +provvisti e il viaggio non sarebbe stato troppo pericoloso. I suoi euforici progetti +aggravarono il mio senso di colpa. +Il gruppo doveva incamminarsi il terzo giorno all’alba partendo da casa di +Aristotele. Io dovevo incontrarmi con Melissa e Nusia al Pireo in un punto +stabilito, ad esempio una capanna abbandonata non troppo lontana dalla loro +abitazione. Arrossii ricordando quanto avevo sentito raccontare di incontri +segreti in capanne abbandonate. Se ci fossimo incontrati là dopo mezzanotte e le +avessi condotte a casa di Aristotele, loro sarebbero potute partire tranquillamente +mentre io sarei tornato a riposare nel mio letto. +Aristotele era soddisfatto di come aveva organizzato le cose. – Io sostengo +sempre – dichiarò con compiacenza – che noi filosofi non siamo i meno pratici +fra gli uomini, ma anzi i più pratici –. Era anche molto loquace a proposito del +banchetto in casa di Cleoforo. Voleva raccontarmi chi c’era, cosa avevano +bevuto, di cosa si era parlato. +– Dicono che la lapide della tomba di Boutades sia quasi ultimata – disse. – +Pare che sia molto bella e imponente. Bisognerà che le dia un’occhiata. Parlano +molto anche del lavoro teatrale che andrà in scena per le Dionisiache. Un grande +spettacolo. +I +fabbricanti +di +maschere +sono +già +all’opera. +Anche +l’accompagnamento musicale sembra sia di prim’ordine. Speriamo che non ci +assordi i timpani. Ma l’attore Timostene ha un forte raffreddore, e non fa altro + che ingoiare miele e camomilla e crogiolarsi nel terrore di perdere la voce e non +ritrovarla mai più. +– Mancano dei mesi allo spettacolo, – dissi distrattamente pensando ai fatti +miei, – mentre al processo mancano solo poche settimane –. Mi chiesi come +avrei potuto continuare in questo modo, con l’animo colmo d’ansia e di +ipocrisia. +– Il poeta ha già ricevuto un dono da parte di Polignoto, e alcuni citano già +qualche verso del dramma. Ieri sera, ad esempio, me ne hanno declamato alcune +parti: + +O Chirone, meno di un uomo e più di un uomo. +La tua saggezza rinfranca lo spirito prostrato. +Come uno scroscio di pioggia, il gioioso apprendere +Fa piovere ricchezza sull’animo inaridito e oppresso, +E lo rende fertile e prolifico come la feconda primavera. + +– Non ho una grande opinione di questi versi. Un centauro non è uno scroscio +di pioggia, e la primavera non è feconda. Tu che ne dici? +– A dire il vero, non sono un buon giudice, – risposi con aria modesta e +palesemente annoiata. +– Sciocchezze. Ma dovresti leggere più poesia, Stefanos. Ho l’impressione +che il tuo spirito sia molto prostrato e abbia bisogno di una feconda primavera. +– Sto benissimo, – risposi garbatamente. – Ovviamente mi sentirò più +sollevato quando le persone che sappiamo saranno al sicuro e lontano da qui. +– Giustissimo. Ma non puoi fare nulla per accelerare le cose. La vita continua. +Sai che si fanno molte supposizioni riguardo alla commemorazione di questo +grande spettacolo? Ci si chiede se Polignoto farà forgiare un vaso speciale +decorato con scene del dramma, e chi potrebbe essere l’autore di un simile +capolavoro in questo momento. Cleoforo mi ha fatto tornare in mente il +bellissimo cratere che il padre di Boutades, il Boutades più importante, l’uomo +che fu persino più influente di suo figlio, aveva fatto forgiare per commemorare +le proprie imprese come corègo. L’hai mai visto? +– No, – risposi brevemente. Volevo andarmene, ma lui continuava a blaterare +di drammi e di vasi, associandoli indelicatamente a un nome che odiavo sentir +pronunciare. +– È davvero un bell’oggetto, decorato, come saprai, con scene di un dramma +che tratta di Eracle e Laomedonte. Vi sono ritratti il poeta Demetrio, il suonatore +di lira Carino e, al centro, il flautista Pronomo. Attorno a loro vi sono attori +vestiti da satiri e il grande satiro, coperto da una pelle di leopardo. Si dice che +tutte le figure siano bellissime, Eracle con la testa di leone, Laomedonte ed + Esione. Devo vedere questo cratere, questo pensiero mi mette l’acquolina in +bocca. Credo proprio che Polignoto dovrà accontentarsi di qualcosa di molto più +semplice. Vorrei essere stato tanto in confidenza con Boutades da andare a fargli +qualche visita. Mi stai ascoltando, Stefanos? Hai mai visto questo vaso? +– No, – dissi io. – Non ero tanto in confidenza con Boutades da andare a +fargli visita, ed è improbabile che questo accada con Polignoto, – aggiunsi in +tono amaro. +– Sei sicuro di non averlo mai visto? – insistette. – Te ne ricorderesti? +– Sì, ne sono sicuro, – risposi spazientito. – Certo che mi ricorderei di una +decorazione simile. Una volta ho visto qualcosa di simile da Teosoforo – o +perlomeno, c’erano dei satiri dalle code pelose che danzavano in un boschetto. +– Ma non è affatto simile, – protestò Aristotele vivacemente. – Volevo solo +sentire un’altra opinione in proposito, se possibile. Cleoforo è incapace di fare +distinzioni quando loda qualcosa. Però non si può negare che il suo gusto stia +migliorando. Ci siamo trovati tutti d’accordo sul fatto che la nuova arte sia di +molto inferiore a quella antica. È confortante sapere che la propria opinione in +materia d’arte è confermata da un’autorità come il cittadino Cleoforo, vero? Ad +ogni modo, lui non nutre alcun pregiudizio nei confronti degli arredi moderni; la +sua casa ne è piena. Anche troppo. Mi fa venire il mal di schiena. +Com’è vero che è facile irritarsi con le persone a cui si è fatto torto. È difficile +chiacchierare spensieratamente con un uomo che stiamo ingannando senza +ombra di rimorso, specie se si è nuovi nell’arte dell’inganno. Mi ritirai appena fu +possibile. Il giorno dopo incontrai Nusia e le diedi le istruzioni, lasciando a lei il +compito di sistemare i particolari del loro trasloco. Dovevamo incontrarci in una +certa capanna deserta, forse una stalla da capre che la stessa Nusia mi indicò. Mi +chiesi se fosse lì che Melissa e Boutades si erano incontrati. Dopodiché, non +restava che aspettare. +E venne la fatidica notte. Avevo progettato di dormire un po’ prima della +partenza, ma non riuscii a prender sonno, e mi misi in cammino più presto di +quanto intendessi. Non dovevamo incontrarci se non dopo il tramonto della luna, +ma mi dissi che era meglio incamminarmi. +Quando giunsi al Pireo, la luna era ancora visibile. Faceva molto freddo. +Alcune foglie morte cadevano nell’oscurità sfiorandomi il viso. Tutte le case in +quelle vie secondarie apparivano chiuse e tranquille. I miei passi risuonavano +forte. Solo un gruppetto di festaioli ubriachi rompeva il silenzio della notte. Girai +alla larga da loro e tutto ridivenne tranquillo. +Dovevo andare alla capanna e aspettare là, come si era progettato. Ma +l’inquietudine che mi aveva assalito come una febbre rendeva molto penosa +l’idea dell’attesa. D’un tratto, decisi che sarei andato alla casetta e avrei + sollecitato le donne a far presto. Avevo l’impressione che il tempo occupato in +altre faccende che non fossero frenetici preparativi fosse tempo sprecato. +Avevamo convenuto che sarebbe stato meglio non arrischiare di farci vedere +insieme al Pireo, ma una simile cautela ora appariva ridicola. Chi poteva vederci +in quella borgata scura e silenziosa? Nella mia frenesia decisi di trovare la casa. +Sia ringraziato il cielo per questo, e per l’avventatezza che talvolta non è folle +frenesia, ma un disegno divino che si realizza per nostro tramite. +Proprio mentre arrivavo alla casupola, contento di avere trovato la strada +giusta, udii un rumore. Un suono di passi che non erano i miei. Mi fermai e poi +balzai in avanti. Nello stesso tempo vidi delle sfere di luce ondeggiare +confusamente intorno alla casa che cercavo, illuminandola d’improvviso, come +se tre o quattro piccoli soli rossi vi si fossero levati intorno. Persino le crepe +dell’intonaco erano visibili, come nella piena luce del giorno. Le strane luci +danzanti si mossero di nuovo. +Poi ci fu un bagliore come di una stella cadente e un crepitìo. Una fiamma +balzò su dal tetto, come dal becco di una lampada a olio. Dall’interno della casa +vennero delle grida. Balzai avanti e andai a urtare contro una massa voluminosa +che, mi ci volle un momento per capirlo, era un uomo. Lui si mise a lottare con +violenza. Prima d’avviarmi nel mio cammino solitario mi ero segretamente +armato di un piccolo pugnale; ora lo tirai fuori, rapidamente anche se +maldestramente, e lacerai il braccio del mio avversario. Lo sconosciuto fuggì nel +buio. +Io corsi dentro la casa. Era piena di fumo, e sul pavimento crepitava una delle +palle di fuoco che avevo viste. Avvicinandomi, scoprii che era una torcia di pino +e di stoppia. Afferrai quanto rimaneva del manico e la scaraventai in strada. +– Oh, signore! – Era la voce di Nusia, aggrappata alla tavola e in preda alla +tosse per il gran fumo. C’era anche Melissa, pallida come la luna, con il suo +bambino stretto fra le braccia. – Venite! – dissi. Nusia, ritornata in sé dopo che +avevo gettato fuori la minacciosa torcia, stava rapidamente radunando il +bagaglio: ceste e fagotti. Melissa si diede a imitarla, più debolmente. Sbattevamo +l’uno contro l’altro nel fumo. Non era molto buio, anzi, si stava facendo più +chiaro sopra di noi, dove la prima torcia bruciava attraverso le stoppie del tetto. +Anche le rappezzature della finestra avevano preso fuoco, e sembrava ne +filtrasse uno strano riflesso solare. +– Il mio bambino! – esclamò Melissa, spingendo fra le mie braccia il piccolo +che si agitava. Non aveva visto il pugnale che tenevo ancora in mano. – +Andiamo! – dissi con una sorta di grido soffocato. Il tetto era fatto di alghe +marine disseccate e di paglia. Una cascata di scintille cominciava a piovere su di +noi. Un’altra torcia entrò dalla finestra. Melissa, con mia sorpresa, si mostrò più + pronta di quanto avessi pensato. Imitando quanto avevo fatto prima, la scagliò +fuori, ma ebbe meno fortuna di me: il suo abito prese fuoco, e Nusia, tossendo e +tremando, si mise a batterci sopra con un panno. +– Ora! – gridai. Non riuscivamo più a respirare, nonostante la porta aperta e la +finestra, attraverso cui uno sconosciuto ci bersagliava di torce incendiarie. +Ci precipitammo tutti insieme alla porta. La veste di Melissa fumava ancora, +e Nusia seguitava a batterci sopra mentre correva, vibrando il suo braccio ossuto +come una trebbia. Mi sentii sollevato quando sbucammo sulla strada, dove +almeno c’era aria da respirare e il tetto non ci sarebbe caduto sulla testa. Ma +Melissa d’un tratto si volse e tornò di corsa dentro la casa. Ero certo che fosse +impazzita, e mi ricordai la storia, raccontatami una volta da mia madre, di un +uomo che durante l’incendio della sua casa insistette per tornare nell’edificio in +fiamme e nascondersi sotto il letto, dove morì carbonizzato. Passai il bambino a +Nusia, come Melissa aveva fatto con me, e le corsi dietro, in tempo per vederla +arrancare verso di me trionfalmente con la tenda di Penelope fra le braccia. +Doveva averla strappata dagli anelli in un batter d’occhio. +– Non devo dimenticarmi di questa – disse stupidamente. La spinsi fuori dalla +porta. +Ed eccoci di nuovo in strada, a scavalcare le torce incendiarie e a correre. +Melissa riprese in collo il suo bambino mentre Nusia si affaccendava con i +bagagli. Ansimavamo e incespicavamo, con i polmoni sconvolti dal fumo e le +gambe molli. Nusia si era ripresa presto, e procedeva con vigore. Io tolsi +nuovamente il bambino a sua madre per alleviarla, e così mi trovai costretto ad +andare piano. Guardai Melissa con ansia: respirava faticosamente e temetti che si +sentisse male. Continuammo ad arrancare verso la nostra destinazione per le vie +buie con ridicola lentezza, come un sogno al contempo orribile e comico. La +luna non era ancora sparita del tutto. +D’un tratto, ci fu una risata di scherno accanto a me, e una torcia ondeggiò, +gettando riverberi rossastri e nascondendo il pallido chiarore della luna. Ridiedi +il bambino a Melissa. – Correte! – gridai alle donne. Poi mi girai per affrontare il +mio assalitore. Ero quasi abbagliato dalla luce, e la sua faccia restava +nell’oscurità delle ombre vacillanti. Forse si era anche annerito il viso con la +fuliggine per rendersi invisibile. Quanto a me, mi sentivo orribilmente in vista. +– Oh, Stefanos! – bisbigliò una voce. +– Chi è? – gridai, ma nessuno rispose. Da qualche parte lì vicino un cane +cominciò a ululare. +Un’altra forma oscura con una torcia si delineò alla mia sinistra. Mi parve che +questo nuovo nemico fosse quello che avevo già ferito. Infuriato dalla rabbia, gli +saltai addosso di nuovo, lanciando fendenti con il pugnale al disotto della torcia + in cerca del braccio che la reggeva, ed ebbi fortuna. La torcia cadde, +bruciacchiandomi un po’ i capelli. Scavalcai d’un balzo il fuoco e attaccai di +nuovo, e sentii che il mio pugnale affondava nella carne. L’assalitore alla mia +destra non si avvicinò, e questo mi diede coraggio. Se rifiutava di aiutare il suo +compagno, non doveva essere molto audace. Mi volsi e corsi verso quest’altra +torcia, scoprendo i denti e lanciando irosi mugolii; non parole, solo mugolii, +come fanno i cani. La torcia sparì ondeggiando. Accelerai la corsa, e presto il +rumore di passi rapidi e pesanti mi disse che il nemico stava scappando. Mi +buttai all’inseguimento con il pugnale in mano. L’uomo con la torcia che avevo +ferito almeno due volte cominciò a rincorrermi, ma presto sentii i suoi passi +incespicare e poi cessare. Una parte della mia mente prese nota di un particolare. +L’uomo ferito correva a piedi nudi, mentre quello davanti a me portava dei +sandali. +Entrambi +dovevano +indossare +vesti +molto +scure. +Continuai +ostinatamente l’inseguimento dell’uomo coi sandali, l’inseguitore che adesso era +l’inseguito. L’uomo gettò la torcia, e seguitammo a correre attraverso i vicoli +oscuri senza più il beneficio della luce. La luna era tramontata, e il Pireo era +scuro come la cappa d’un camino. +Una volta il nemico cercò d’intrappolarmi nascondendosi fra due case e +aspettandomi al varco per saltarmi addosso. Fortunatamente, gli orecchi mi +avvertirono della manovra senza che dovessi pensarci. Strisciai intorno +all’angolo e gli piombai addosso così bruscamente che per poco non lo catturai. +Certo fu colto di sorpresa: udii la sua esclamazione soffocata quando gli fui +sopra; evidentemente il suo udito non era acuto come il mio. Poi mi sfuggì di +nuovo, e io ripresi l’inseguimento. Il Pireo è il luogo meno adatto per una gara di +corsa, specialmente di notte. Una volta scivolai su un mucchio di letame. +Seguitavo ad andare a sbattere contro imprecisati ostacoli. Ma così accadeva +anche a lui. Dovevamo sembrare due ragazzi impegnati in una gara. +Imprecai tra me e me per non essere riuscito a catturarlo. Avevo una gran +voglia di mandare a segno il mio pugnale, ma mi sentivo alquanto sfinito per via +del fumo che avevo respirato. Mi rendevo anche conto che dovevo tornare +indietro e garantire la salvezza delle donne e del bambino. Quando compresi che +il nemico era ormai innocuo e cercava solo di scappare, desistetti +dall’inseguimento, sperando che per qualche tempo ancora non si rendesse conto +che non gli stavo più alle calcagna. Mi piaceva l’idea di quest’uomo che +seguitava a correre inseguito solo dalla vuota aria della notte. +Comunque, cessata l’eccitazione della caccia, il mio stato non era molto +invidiabile. Respiravo a fatica e sentivo le gambe molli e stanche. Avevo anche +perduto l’orientamento. +Dovetti sciupare più di mezz’ora errando, incespicando e addentrandomi + sempre più nei vicoli tortuosi e invasi dalle tenebre e sovente senza uscita, prima +di giungere alla capanna. Bisbigliai cautamente: – Nusia! – ma non mi rispose +altro suono che la voce del vento. Chiamai ancora ed entrai nella capanna. +Sembrava completamente vuota, e nessuno mi rispondeva. Mi venne in mente +d’un tratto che forse la moglie e il bambino di Filemone, ed anche la vecchia +naturalmente, fossero stati fermati e uccisi mentre si trovavano sotto la mia +tutela. Ma dove erano i loro cadaveri? Avrebbero potuto essere dovunque. +D’un tratto, una voce maschile disse: – Signore! – in tono basso. Qualcuno +era venuto fuori da dietro la capanna. +– O Zeus, di nuovo! – borbottai, afferrando debolmente il pugnale. +– Signore? Siete l’amico di Aristotele? Siete Stefanos, il figlio di Nichiarco? +– Sì. Chi siete? +– Oh, signore, temevo non arrivaste più. Sono lo schiavo di Aristotele. Vi sto +aspettando da più di un’ora. Il mio padrone ci ha mandati in due ad aiutarvi, in +caso di difficoltà. +– Be’, le difficoltà non mancano – risposi. – Sono sfinito, ho combattuto +contro due uomini. Per Zeus, sapete niente delle due donne? +Mi aspettavo che replicasse «Quali donne? Dove?» o qualcosa di altrettanto +confortante. Rimasi stupito quando rispose con calma: – Oh, sì, sono a posto. +L’altro… il mio compagno, Autilo, è andato avanti con loro. +– Ma dove? – ribattei in tono quasi arrabbiato. Mi sentivo petulante come un +bambino, seccato che non mi avessero atteso. +– Ma, signore, ve l’ho detto. A casa nostra. Il padrone ha detto di portarle a +casa. +– O grande Atena! – balbettai distrattamente, riconoscente e costernato allo +stesso tempo. Ecco che Aristotele, a cui avevo nascosto un così grave segreto, mi +stava aiutando in questa impresa al di là di ogni aspettativa, come certo non +avrebbe fatto se avesse saputo. +– Be’ – rispose lo schiavo sorpreso – sono sue parenti, no? O di sua moglie. E +per impazienti che siano di mettersi in viaggio, stanotte non partiranno, o meglio +stamattina. Dovreste vedere la ragazza! Non si regge più. C’è stato una specie +d’incendio. Venite a casa con me ora, e vedrete come stanno le cose. +Lo schiavo mi prese sollecitamente sotto braccio, e riprendemmo la via per +Atene mentre io incespicavo e mi appoggiavo a lui. Avevo avuto il buon senso +di nascondere il pugnale. Chiunque ci avesse visti nelle ultime due miglia +avrebbe pensato che ero un ubriaco riaccompagnato a casa dopo una bisboccia. +Quando giungemmo alla dimora del filosofo, c’era una promessa d’aurora nel +pallore dell’oriente. +– Devo vedere Aristotele – dissi come se fossi venuto in visita. + – Il padrone non si è ancora alzato. Venite a lavarvi! – rispose lo schiavo in +tono piuttosto sgarbato. Speravo che non avesse notato le macchie di sangue. Ma +quando mi fece entrare in casa e mi lavò, non vidi sulle mie mani niente di più +allarmante d’un po’ di sudiciume. Mi strofinai vigorosamente i capelli per +liberarmi del puzzo di bruciato. Via via che l’acqua mi rinfrescava la testa, il mio +cervello riprendeva a funzionare. Quando mi condussero da Aristotele ero +ridiventato abbastanza presentabile. Lo schiavo mi aveva persino prestato una +delle tuniche pulite del suo padrone. La vittima della mia perfidia mi invitò a far +colazione con lui. Davanti a un boccale di vino corroborante e a delle fette di +pane, ci mettemmo a discorrere. Aristotele non sembrava affatto sconcertato +dallo sconvolgimento dei suoi piani. +Gli raccontai del fuoco, della lotta con i due uomini invisibili e +dell’inseguimento nel buio, mentre lui mi ascoltava attentamente. Mi disse di +non stare in pensiero per la giovane donna. Pitia gli aveva descritto le sue +condizioni, e lui aveva ordinato cure appropriate. A quanto sembrava, Melissa +era più esausta che sofferente. +– Il bambino sta benone – continuò. – L’ho visto. È un magnifico maschietto. +La mia bambina lo farà divertire con i suoi giochi. E la vecchia sta +sorprendentemente bene anche lei, e cerca di darsi da fare per il piccino e per la +sua padrona, ma le è stato ordinato di dormire. In ogni modo non sono in +condizioni di viaggiare oggi. Ma per una straordinaria fortuna, la partenza +degl’inviati di Antipatro è stata rimandata. Così, se piace agli dei, il gruppetto si +metterà in viaggio fra due giorni. Ho fatto uscire il carro dal cortile per non +attirare l’attenzione. Tutto è a posto qui. E adesso, per amore di noi tutti, +Stefanos, torna a casa a dormire –. Mi guardò pensosamente e aggiunse: – Il tuo +coraggio della scorsa notte merita una lode. Ma non tentare il destino. Non +venire da me finché le donne e il bambino sono ancora qui. Evita di uscire dopo +il crepuscolo e sta’ alla larga da vicoli oscuri e terreni abbandonati. Preferirei +saperti al sicuro. +Mi accomiatai. Prima di raggiungere la mia casa, la momentanea energia che +avevo ritrovato all’aurora era scomparsa, e le ginocchia mi vacillavano per la +stanchezza. Mi diressi quasi a tastoni al mio letto, e caddi in un sonno profondo +come il Lete. + XII +Spade e pietre + + + + + +Aristotele mi aveva avvertito di stare lontano da casa sua, finché «le sue +parenti» erano là. La cosa mi irritava moltissimo, benché non avessi alcuna +voglia di vedere le donne; inoltre, non sarebbe stato affatto decoroso per me +andare a trovare quelle che agli occhi di tutti apparivano come la parente di un +altro uomo col suo bambino e la sua schiava, ospitate nelle stanze delle donne in +casa sua. Ma continuavo a domandarmi cosa stesse accadendo. Tremavo all’idea +che la zia Eudossia potesse leggermi nella mente. Se mai avesse avuto sentore +della faccenda, la vedevo già correre da Melissa, reclamarla come sua nuora e +portare a casa il nipotino, ratificando così quel dubbio matrimonio e attirando +ogni sorta di pericoli sulle nostre teste. +Finalmente, il terzo giorno, in risposta a un suo oscuro messaggio, mi +incontrai con Aristotele di giorno, in un boschetto presso il Liceo, dopo l’uscita +degli studenti. Mi parlò a bassa voce, passeggiando su e giù come gli piaceva +fare. +– Sono partite – disse. – Se ne sono andate all’aurora, nel modo stabilito. +– Sono dolente – risposi in tutta sincerità – che questi miei guai abbiano +invaso casa vostra. +– Nessun guaio – ribatté lui. – Il bambino è piaciuto tanto a tutti. Mi +chiamava persino «papà»… il che dimostra che non è ancora molto bravo nel +distinguere le persone. Mia moglie e la mia bambina erano felici di giocare con +lui –. Sospirò. – È un peccato che non abbiamo figli maschi. Ho ricevuto dagli +dei ogni sorta di doni, tranne questo –. Aveva lo sguardo perduto in lontananza. +Mi parve un argomento pericoloso. Avrei potuto dirgli: «Perché non ne +adottate uno?», ma temevo che avrei potuto aggiungere stupidamente: «So di un +caso che vi sorprenderà…». +Aristotele si riscosse. – Da quanto Pitia mi ha detto della ragazza, mi è +sembrato che potesse viaggiare senza pericolo. Non c’erano segni di febbre, né +rischi di aborto. Pitia le ha parlato, e ne ha avuto una buona impressione. Dice +che è una giovane beneducata e modesta. Vale sempre la pena di sentire +l’opinione d’una donna a proposito di un’altra donna. Mia moglie dice anche che +la vecchia Nusia veglia sulla sua padrona meglio di cinquanta madri –. + Ridacchiò. – Mi è sembrato che Nusia non fosse molto amata dalle altre schiave. +Sulle prime la compativano come una poveretta, ma lei ha messo subito le cose a +posto. Brontolava a tutto spiano, e trattava la modesta eleganza della nostra casa +e dei suoi arredi con la condiscendenza di chi è abituato alle dimore della più +alta nobiltà! +– Ci credo, – risposi con convinzione. – È una tremenda vecchia arpia. +– Sai, credo che Nusia sia piaciuta molto a Pitia. È stata molto colpita dalla +fedeltà di quella donna verso la sua padrona. E non dimenticare quanta +efficienza ha dimostrato in quell’orribile notte. Evidentemente al momento +giusto sa smettere di blaterare. +– Senza dubbio, – concordai. I miei valorosi sforzi in quell’occasione erano +sembrati giorno per giorno meno efficaci. Al contrario di Eracle, io non avevo +ucciso il mio nemico, ma avevo sprecato il mio tempo a correre per le strade +buie. +Senza far caso al mio malumore, Aristotele continuò. – Pitia dice che sono +entrambe molto fiere. Le abbiamo vestite alla macedone. Melissa ha accettato in +prestito gli abiti e una coperta di pelliccia solo col pretesto che erano necessari +per la loro sicurezza e per il benessere del bambino. Ma non hanno voluto +accettare roba nuova. Pitia dice che si risentivano facilmente se si osservava che +il loro vestiario non era in perfetto stato. Quest’atteggiamento testimonia in loro +favore: non è una condotta da accattoni. Quindi penso che non stessero +consapevolmente cercando di estorcerti qualcosa. Ad ogni modo, Pitia dice che, +mentre Melissa dormiva e Nusia vegliava sulla sua padrona, ha colto l’occasione +di esaminare i loro effetti personali e di aggiungere alcune cose che saranno utili +durante il viaggio. Mia moglie si è messa anche a cucire e a rammendare per +loro, un’occupazione che le piace molto. Cuce e fila da quella principessa che è. +Una vera Penelope! A proposito, tu avevi menzionato una tenda con +un’immagine di Penelope ricamata sopra. Anche Pitia me ne ha parlato. Era stata +malamente bruciacchiata in due punti, e gli orli erano logori. Lei l’ha ripulita e +rammendata di nascosto, in modo da non urtare la sensibilità delle due donne. +Era un lavoro pregevole, dice, il che dimostra che un tempo devono aver abitato +in una casa di una certa dignità –. Rise. – Si potrebbe ben dire che avevamo tre +Penelopi in casa: quella della tenda, la donna bionda col suo bimbo in attesa del +marito assente, e la mia bella Pitia bruna che cuce e tesse. Io, però, sono un ben +misero Ulisse, anche se ai miei tempi ho viaggiato tanto. Tuo cugino sembra il +più adatto a questo ruolo, ma lui farebbe meglio a non tornare. +Mi affrettai a precisare, – Al contrario di me con voi, Ulisse non aveva debiti +di gratitudine con nessuno, eccetto ovviamente con Mentore, e in questo +riconosco che vi è una somiglianza. Ma vi ripagherò per le cose che avete dato + alla moglie di mio cugino, visto che devo chiamarla così. Filemone mi risarcirà, +naturalmente, e così sarà tutto a posto. +Aristotele parve dispiaciuto. – Accidenti alla mia lingua! Si tratta di poche +cose modeste che non ci occorrono e che siamo stati felici di dare. Volevo solo +richiamare la tua attenzione sul fatto che la condotta di quelle donne non è da +accattone. Non si sono profuse in moine, ringraziamenti o allusioni, e non hanno +accettato nemmeno la metà di quanto è stato loro offerto. Per quanto ho prestato +non posso accettare denaro; quanto alle cose donate, mi vergogno a dirlo, ma +erano vecchie e senza valore. Ma se credi, dammi cinque dracme quando ti fa +più comodo, e non parliamone più. Sai che andrò a cena da Polignoto tra due +sere? +A questo cambiamento di argomento dissi, – Oh? –, ma senza sorpresa. Ciò +che aveva detto Telemone era vero. Polignoto stava diventando un uomo +importante ad Atene, e naturalmente desiderava essere in buoni rapporti con il +filosofo macedone amico di Antipatro. +– Già, e ne sono onorato. Vedi, in questo periodo mi diverto a frequentare la +buona società. Ippomene e Laio mi hanno parlato molto bene di Polignoto. +Sospirai. Ippomene e Laio erano amici e agenti di Antipatro, strenui +sostenitori di Alessandro. Senza dubbio Polignoto era ben visto dai cittadini più +influenti. +– Mi hanno detto – aggiunse Aristotele, – di avere incontrato per caso +Polignoto appena fuori Corinto due mesi fa, e di aver fatto il viaggio di ritorno +insieme a lui. Hanno giudicato molto valide le sue idee in fatto di commercio, e +sono stati molto colpiti dalle sue imprese come corègo. Ci saranno anche loro a +questa cena. Sarà davvero una riunione importante. +– Spero che trascorriate una bella serata, – dissi garbatamente. – Vi manderò +il denaro per il vestiario delle due donne e vi sarò molto obbligato se mi farete +avere notizie del loro viaggio. +Quel giorno non dissi nulla ad Aristotele sul processo di Filemone. Come +potevo chiedere ancora assistenza e consiglio dopo avere ricevuto tanto da lui, a +piene mani e senza scrupoli? Avevo un bel parlare altezzosamente di ripagarlo +per alcuni indumenti; ma come avrei potuto ricambiare la stupefacente ospitalità +offerta a delle forestiere di dubbia origine? Se le donne non erano disoneste, io +certamente lo ero. +Pensavo anche, a disagio, che la terza prodicasìa si avvicinava di giorno in +giorno e io non avevo preparato nulla nella mia mente. Non avevo idea di cosa +avrei detto, e neppure di ciò che la parte avversa avrebbe potuto sostenere contro +di noi. Il fumo che avevo respirato nella casa al Pireo sembrava essermi andato +al cervello, tanto lo sentivo inerte e confuso. + +Tre giorni dopo la partenza di Melissa e del bambino ero nell’agorà, e mi +sforzavo di apparire fiducioso e senza preoccupazioni. Non era un esercizio +piacevole; erano pochi ormai quelli che si degnavano di salutarmi. Trovare +qualcosa da vedere o da ascoltare mi dava un certo sollievo, perciò mi fermai a +sentire un rètore che teneva uno sproloquio sul commercio del grano, e poi mi +fermai davanti al banco d’un fabbro che stava battendo del bronzo. Quando entrò +nell’agorà il banditore per fare gli annunci quotidiani, rivolsi a lui tutta la mia +attenzione. Sentii le solite banalità: descrizioni di animali smarriti, il resoconto +del furto di due orci di vino. Cominciavo a distrarmi, quando rimasi stupito +udendo il seguente annuncio: +– Ascoltate tutti! Ateniesi, ascoltate! In virtù dell’autorità di Antipatro e con il +consenso del Basileus, Aristotele il filosofo rende noto che desidera comperare 0 +prendere a prestito esemplari di armi. Equipaggiamento da guerra e armature +vecchie e nuove, ateniesi o forestiere, allo scopo di studiare gli strumenti bellici +e aiutare così i nostri eserciti in Oriente. Armi ed armature devono essere +consegnate alla casa di Aristotele. A quelli che desiderano venderle sarà offerta +una somma in denaro, da stabilirsi in base al valore dell’oggetto. Udite! +Pensai di aver solo immaginato questo proclama, ma il banditore lo rilesse. +Un brusìo di commenti si levò dagli ascoltatori, tanto nobili che popolani. +Riuscii a cogliere qualche commento qua e là: – Una spada è una spada. Che +cosa c’è da studiarci su? – Be’, immagino che questi filosofi vogliano dimostrare +di essere buoni a qualcosa. – Aristotele adesso farà la guerra nel suo studio. – +Per un po’ di denaro, gli porto mia moglie: come arma offensiva è la migliore. +Mentre uscivo dall’agorà sobbalzai, nel vedere lo schiavo di Archimeno, quel +tanghero dinoccolato, in piedi accanto al banco di un venditore di castagne, +all’angolo opposto. Non credo che mi stesse osservando. Aveva il torso e le +braccia quasi interamente nascosti dalla tunica bruna tessuta in casa, ma un gesto +catturò la mia attenzione. Era la mano sinistra che si tendeva a ricevere le +castagne. Poi vidi che la mano destra e il polso erano avvolti da una fasciatura +tenuta ferma da una cinghia di cuoio. L’uomo teneva il braccio rigidamente. +Pensai al mio pugnale. +Ma non fu quel piccolo pugnale di bronzo che portai alla casa di Aristotele +quel pomeriggio. Non mi piaceva l’idea di uscire dalla città senza averla +addosso, ormai ripulita e nascosta sotto gli abiti, sebbene un Ateniese non +dovrebbe andare in giro armato. Ad ogni modo, avevo deciso di portare un’arma +qualsiasi alla dimora del filosofo, perché questo mi avrebbe consentito di fargli +visita senza provocare commenti. Ero anche pieno di curiosità per questa sua +nuova e strana trovata. Così presi una vecchia spada che era appartenuta a mio + nonno, niente di speciale, visto che aveva la lama tutta rovinata. +Quando giunsi a casa di Aristotele, trovai il cortile affollato di gente che +andava e veniva. C’erano alcuni cittadini di buona famiglia, ma la massa era di +persone comuni. Lo schiavo al cancello aveva appena cacciato fuori un tipo +volgare, un attaccabrighe. Questo tizio si scagliava contro il muro e vi batteva i +pugni gridando, – Ridammi la mia picca! Che tu possa marcire negli Inferi! +Ridammela! +– Non finché non vi calmerete, signore, – disse lo schiavo in tono persuasivo +spingendomi dentro. Poi si asciugò la fronte con la mano. – È la seconda lite +oggi pomeriggio, – osservò stancamente. – È una cosa veramente sconveniente +invitare in casa tutta questa gente volgare, e per giunta armata. Perché non sono +tutti quanti nell’esercito? +Io mi sentii offeso dai suoi commenti. Era uno schiavo macedone, ed era +evidente che considerava gli Ateniesi più umili come esseri inferiori. Entrai con +aria altezzosa, col cinturone della spada allacciato alla vita, e mi unii alla folla in +attesa. +Sembravamo un esercito di mentecatti, radunato da un re ridotto in miseria. +Non c’erano due persone che fossero vestite o armate alla stessa maniera. Qui +c’era un uomo con un grande scudo antico di cuoio e niente spada per +accompagnarlo; là ce n’era un altro con una vecchia spada piegata e senza scudo +né armatura. Un tipo corpulento, giovane e biondiccio, ostentava un’elegante +daga, mentre un nanerottolo dalla barba grigia portava una vecchia spada +persiana di dimensioni enormi. Un ometto magro dalla testa minuscola aveva un +vecchio elmo, sagomato come un vaso di metallo, che gli scivolava giù +coprendogli la faccia. +Sulle armi e sulla loro storia si facevano discussioni animate, che +somigliavano piuttosto a parodie di alcuni passi dell’Iliade. Credo che alcuni si +profondessero in narrazioni fantastiche, vantandosi delle grandi battaglie in cui +essi o i loro antenati erano stati impegnati, e si spacciassero per membri di +famiglie molto importanti. Alcuni ben noti scapestrati, rifiuti del quartiere +peggiore della città o del Pireo (uomini le cui stesse madri avrebbero strillato +come upupe se mai avessero reclamato un padre, figuriamoci un’intera famiglia) +si vantavano della grandezza dei propri nonni, o spiegavano con dettagli +inverosimili che qualcuno troppo eminente per essere nominato aveva donato +loro il premio che recavano, come ricompensa per il loro valore. Altri, mal +vestiti e palesemente male assortiti con l’arma che portavano, spiegavano +riluttanti che «l’avevano trovata per caso». +Ad un tratto la porta si aprì, e comparve Aristotele in compagnia di +Euticleide. Il filosofo stava parlando con tutta serietà all’alto personaggio. + – Onoratissimo, Euticleide. È un vero privilegio –. Il suo sguardo si posò su +di noi, come da una grande distanza. – Questo buon cittadino – aggiunse +rivolgendosi a tutti – mi ha offerto, perché io le esamini, le armi e l’armatura che +il suo trisavolo portava nella battaglia di Platea. Quali oggetti di venerazione! È +una causa altamente patriottica quella a cui voi, Euticleide, contribuite. Sì, +signore, comprendo che si tratta d’un prestito. Chi si separerebbe da cimeli così +preziosi? Molti ringraziamenti a voi e alla vostra famiglia. Il vostro spirito è di +esempio alla città e sarà lodato da Alessandro. +La piccola folla ascoltava pazientemente, come è d’obbligo quando i filosofi +parlano a cittadini eminenti. Questo era un vero e proprio discorso di +ringraziamento pubblico. Anche ai miei orecchi suonava pomposo. Euticleide +era evidentemente compiaciuto. Aveva l’aria di sguazzare nei pubblici elogi. Se +ne andò quasi raggiante, in compagnia d’un ometto magro e dall’aria +campagnola che zoppicava, e al quale offrì il braccio con condiscendente +affabilità. Sembrava un Euticleide molto più simpatico di quello che avevo +conosciuto alle prodicasìe; riuscivo persino a comprendere perché a qualcuno +potesse piacere. Era forte, era ricco, e si poteva facilmente trattare con lui usando +i modi formali che semplificano le complessità delle relazioni sociali. Sapeva +essere generoso con quanti gli portavano rispetto, come l’ometto che in questo +momento teneva a braccetto. Osservandolo, mi venne improvvisamente in mente +che alcune menti, come alcuni corpi, hanno bisogno di un nutrimento speciale +per prosperare. Euticleide era una di quelle persone che prosperavano grazie al +successo e alle lodi. Tutti gli uomini amano queste cose, ma alcuni tirano fuori il +meglio di sé solo quando vengono nutriti costantemente di queste cose. Ammirai +Euticleide più di prima, e pensai che non mi sarebbe piaciuto affatto vederlo in +un momento in cui gli veniva offerto come cibo un fallimento. +Senza dar segno di avermi notato, Aristotele domandò a me e a un altro +cittadino insieme se non ci dispiaceva aspettare un po’. Faceva passare per primi +alcuni fra i più poveri, trattando con ciascuno di essi da solo a solo nell’interno +della casa per un minuto o due. Pensai che forse faceva questo per evitare loro di +arrossire quando gli veniva offerto il denaro, ma una simile delicatezza sembrava +superflua. Di fuori, fra quelli che stavano ad aspettare in cortile, le conversazioni +e le battute di spirito continuavano. +– Perché non parti per la guerra, nonno? – disse qualcuno a un minuscolo +vecchietto dai capelli grigi. – Hai proprio l’età giusta! +– Ehi, Simonide, butta via quella spadina storta! Comprati una lancia bella +lunga, e poi vedi se la tua ragazza ti riprende! +– Be’, che se ne farà questo Macedone di tutta questa roba? +Un uomo nervoso e malvestito, probabilmente un liberto, disse: – Alcuni + dicono che ucciderà uno schiavo al giorno con ognuna di queste armi, finché non +le avrà provate tutte e saprà quale uccide meglio. +– Per le uova bruciate di Leda! No! A tutti quelli che gli portano un’arma +letale, come quel vecchio giavellotto che porti tu, farà uccidere un uomo, e con +la sua stessa arma. E se non sa farlo abbastanza in fretta, il filosofo saprà come +incoraggiarlo. È quello che si chiama radunare un esercito. +Il gracile liberto impallidì. Vidi che lo schiavo a guardia del cancello +ridacchiava da dietro le mani. +Finalmente il gruppo si diradò. Il mio compagno passò prima di me; poi fu la +mia volta, ed io entrai con la spada avita. +La stanza dove si trovava Aristotele era un vero spettacolo. Aveva l’aria di +un’armeria tenuta da un custode ubriaco. Mucchi di lance, di picche e di +giavellotti erano sparsi sul pavimento come rami tagliati. C’erano spade e +pugnali da tutte le parti. Un vecchio elmetto stava rovesciato su una tavola, come +una sorta di strana ciotola. Per poco non andai a sedermi su una spada di ferro +tutta arrugginita, mentre urtavo col piede in una corazza di bronzo. Aristotele +stesso sedette sulla punta d’un giavellotto e schizzò in piedi immediatamente. – +Devo far portar via queste sedie – borbottò. Camminava irrequieto fra i suoi +tesori, toccandone ora uno, ora un altro. +– Non è meraviglioso? – esclamò. – Guarda un po’ tutta questa roba! Mi +sembra che potrei far guerra contro tutta una città io da solo. Questo è un +giavellotto della Tracia. Questo è uno scudo moderno, macedone, un po’ +ammaccato, come quello che portano le «Compagnie a Piedi». Ha perduto la +cinghia. Quest’altro è uno scudo greco, all’antica. Vedi la differenza? Quello +macedone è corto e rotondo e si porta allacciato al corpo, per cui i soldati +possono combattere con tutt’e due le mani. +Gli diedi la mia offerta. +– Ah – disse, esaminandola – una spada greca. Di circa cinquant’anni fa. Non +dovresti mai lasciare che un fodero di cuoio si dissecchi così. La lama si è +smussata. Eppure, anche questa servirà. +– Potete averla in prestito, se vi è utile – risposi. Non aspiravo certo a +riscuotere un obolo o due come la maggioranza dei miei compagni nel cortile. +– Chi avrebbe mai pensato che ci fossero tante armi ad Atene? – seguitò +Aristotele in tono entusiastico. – È meglio di quanto si potesse sperare. Vedi, +non solo la gente ha le armi dei suoi avi, relitti delle antiche guerre, ma ora quelli +che ritornano dalle campagne di Alessandro hanno armi e trofei, magari ormai +inservibili. Ecco una sarissa che ha visto giorni migliori –. Additava una picca +molto lunga e sottile, con una lama di ferro all’estremità. La lama era lunga +almeno un piede e sembrava pericolosa. L’asta sottile era scheggiata nel mezzo e + vidi che dei rami vuoti all’interno erano stati uniti uno all’altro sopra un tubo di +bronzo per fabbricare questa fragile alabarda. Anche l’impugnatura era +scheggiata, e sembrava rosicchiata. +– Dovrebbe avere un’estremità a punta da infilare in terra, ma non ce n’è più +traccia. Le sarisse possono essere fissate al suolo, e funzionano come una +palizzata contro una carica, sebbene il loro uso principale sia proprio nella +carica. Un’arma intelligente, difensiva e offensiva insieme. Roba macedone. +Però, all’inizio, è difficile da maneggiare, vista la lunghezza. Be’, non andare a +inciampare nella lama –. Era eccitato, come un bambino davanti a dei nuovi +balocchi. Capivo che sarebbe stato gioiosamente impegnato in questa +occupazione per settimane o per mesi. E avrebbe potuto seguire ancora la mia +azione legale? +– L’uomo che mi ha offerto questa sarissa l’aveva portata a casa dalla guerra +– seguitò. – Quel tale con Euticleide. Mi pare che debba testimoniare contro di +te. È quello che giurerà sulla presenza di Filemone dalla… dalla parte sbagliata, +capisci? Non stupirti se lo rivedi presto. Che sia stato in guerra, questo è certo. +– Oh – dissi cupamente. Quel pomeriggio, lì nel cortile, avevo dimenticato la +terza prodicasìa e la sua prossima scadenza. +Aristotele raccolse una picca e poi la lasciò cadere. +– Le mie mani e le mie braccia non sono più forti come dovrebbero. Ho +mangiato e bevuto troppo ieri sera, temo. Una cosa non troppo filosofica, ma il +cibo era molto buono, e che vino! Ti avevo detto che dovevo cenare da +Polignoto? +– Sì. +– Una compagnia molto scelta. C’era anche Euticleide. E così finalmente ho +visto coi miei occhi la famosa stanza. Per fortuna, la cena non è stata servita lì, +ma ci siamo entrati dopo. È tutta pulita ora, e ci tengono sacrifici espiatori +regolarmente. Ippomene ha detto che aveva lo stesso aspetto dei tempi di +Boutades, e Polignoto ha risposto che cercava di mantenerla così in onore della +memoria di suo zio. Il nostro ospite ha detto di aver voluto lasciare le cose +com’erano sempre state. Poi ha fatto un sorriso triste e ha citato Omero, o meglio +lo ha parafrasato: + +Addio Boutades, ti riverisco persino nell’Ade, +Perché sto realizzando quanto ti ho promesso in passato. + +– È stato un momento molto triste, ma poi tutti hanno ricominciato a lodare la +stanza e i suoi arredi. Alcune cose erano state tenute sotto chiave nel momento +critico dei funerali e poco dopo, ma adesso tutto è tornato al suo posto. Eppure, + sono stato contento di uscire da quella stanza. +Non si può certo dire che la citazione di Omero mi avesse rallegrato, perché si +trattava, guardacaso, di alcuni versi dell’Iliade, che minacciavano una vendetta +promessa da Achille ad un fantasma offeso. Aristotele si provò distrattamente un +elmetto tracio, e si fermò a riflettere in mezzo alla stanza. Aveva un aspetto +molto strano con gli occhi luccicanti che uscivano dalle strette fessure nel bronzo +dell’elmo, e il naso metallico lo faceva somigliare a un uccello dal becco aguzzo. +– Non riesco a ricordare, – disse all’improvviso con voce preoccupata, – dove +si trovino in questo momento gli oggetti di questa stanza. Intendo dire se guardo +da un’altra parte. Si ricordano meglio le cose che ci sono, o quelle che non ci +sono? – Si coprì per qualche secondo con le mani i buchi degli occhi nell’elmo. +Aveva un’aria decisamente grottesca. Poi tolse le mani e spalancò gli occhi. – +Ecco! Sapevo di aver dimenticato qualcosa. Avevo contato ventitré oggetti +portati questo pomeriggio – inclusa la tua spada. E adesso ne ricordo ventidue, +oltre al mio arredamento. Ma avevo dimenticato una cosa: l’elmo che ho sulla +testa. Però non è male. Prova tu, Stefanos. Dai una buona occhiata intorno, poi +chiuditi gli occhi e dimmi ad alta voce cosa c’è nella stanza, e possibilmente +dove. +Sembrava non rimanesse altro da fare che assecondarlo nel suo gioco. Chiusi +gli occhi e descrissi gli oggetti dentro la stanza. Confusi le picche con le lance e +dimenticai la corazza sotto la mia sedia, ma non me la cavai male. +– Bene! – disse Aristotele. Mi mise un elmo a forma di ciotola sulla testa. Era +troppo grande e mi scivolava sul naso. – La memoria è la madre delle Muse. +Questa stanza è un vero caos. A me non piace il disordine. Devo mettere tutto +quanto in ordine e fare una sorta di lista, inserendo le cose simili in categorie ben +definite. +Sorrisi. La passione di Aristotele per le liste e le categorie era una fonte di +divertimento per i suoi allievi. Una volta, mentre ci faceva lezione nel boschetto +e noi gli trottavamo dietro, un cane bastardo si era unito al corteo, e noi lo +avevamo interrotto alla fine di una frase per chiedergli scherzosamente, – +Aristotele, a quale categoria appartiene questo? – Il maestro aveva risposto +argutamente, – Alla categoria degli studenti. Abitudini della madre deplorevoli, +antenati sconosciuti, modi accattivanti, parla quando non è il suo turno e +frequenta le lezioni senza capirci nulla. +– Non mi piace il disordine, – ripeté Aristotele. – Ma spesso la vita è +disordinata. È un errore aspettarsi troppo ordine. Ora, tu che hai buona memoria, +dimmi cosa hai visto nella stanza di Boutades quando ci sei stato entrato. +– Ma ve l’ho già detto una volta, – protestai. +– Molto tempo fa. Adesso ridimmelo. + Mi sentivo ridicolo, ma il tentativo di ricordare le cose non fu una prova +penosa quanto mi aspettavo, visto che stavamo facendo un gioco stupido e +avevamo per giunta la testa dentro un elmo. Ricordai tutto molto chiaramente, +benché si trattasse di tanto tempo prima. Ma come avrei potuto dimenticare? +Aristotele spalancò di nuovo gli occhi quando ebbi finito, e scosse la testa una +volta, lentamente. Si tolse l’elmo e vi guardò dentro come se cercasse delle api. +D’un tratto qualcuno bussò forte alla porta, che venne aperta prima ancora +che cessasse il rumore dei colpi. Entrò un uomo basso e tozzo con indosso una +tunica da operaio, da cui uscivano delle gambe muscolose e sudicie con larghe +ginocchia nodose e delle lunghe braccia robuste. Le membra che si dipartivano +dal busto tozzo sembravano rami di quercia spuntati dall’esile tronco di un +cespuglio. +– Scusate, maestro, ma non potreste ricevermi? Vostra Eccellenza, sto +aspettando da molto tempo, e devo andarmene. Perciò ho cercato di non farmi +vedere da quel vostro schiavo. Una fucina non può mandare avanti il lavoro da +sola, vi prego, Vostra Eccellenza. +– Capisco, – disse Aristotele, aggiustandosi i capelli arruffati, quei pochi che +gli erano rimasti. – Hai qualcosa da vendere? +– Proprio così, signore. Ho detto al vostro schiavo, «Il tuo padrone non vorrà +perdersele. Se verrà a sapere che le ha perse andrà su tutte le furie, e magari ti +caccerà via a calci per la delusione. Non sono in molti a portare roba del +genere». Così gli ho detto. «Non con una storia come questa», fresca fresca, per +così dire, del campo di battaglia. +– Oh? È un’arma di gran valore? +– Di gran valore dite? Il fabbro, o qualunque cosa fosse, mi ha lanciato +un’occhiata curiosa mentre ero seduto con la faccia nascosta dall’elmo, o almeno +così speravo. Probabilmente avrà pensato che ero qualcuno, magari uno schiavo, +che prendeva parte a qualche misterioso esperimento con le armi del filosofo, +perché ha detto tutto contento, «Già al lavoro, vedo», ed è tornato da Aristotele. +Di gran valore? Potete ben dirlo. Signore, è l’arma più letale di questo mondo o +di qualsiasi altro, se usata nel modo giusto. È mortale come un fulmine, ma fa +molto meno rumore. Ve ne ho portate addirittura due. +– Dove sono? – chiese Aristotele, perché l’uomo non aveva con sé né lance +dalla punta in ferro, né arnesi di bronzo luccicante. +– Ssst! – disse in tono misterioso. – Sono nascoste –. Indicò una grossa borsa +di cuoio che aveva lasciato cadere ai suoi piedi. – Sono troppo di valore. Le +hanno usate a Tiro. Proprio queste qui. Volete comprarle, signore? Per +Alessandro, che gli dei lo proteggano. Mi piacerebbe darvele per niente, ma +questo non è giusto (voi filosofi dite «giusto») nei confronti della mia famiglia. + Ho una brava moglie e cinque figli da sfamare. Quindi, temo proprio che dovrò +vendervele. Per quanto, non mi sembra giusto neanche questo. Non è forse per +colpa di una di queste armi che ci ho rimesso un dente davanti e quasi tutta la +testa? Quindi chiederò solo sei oboli, che fa tre oboli ciascuna. +Mi accorsi che Aristotele era molto curioso. E anch’io. Cosa teneva quel tizio +in quella borsa di cuoio? Mi chiesi inquieto se non stesse portando dei serpenti, e +cercai di ricordare se avessi mai sentito dire che le truppe di Alessandro usavano +dei serpenti velenosi contro il nemico. Ma credevo di no. Un pensiero simile +dovette venire in mente anche ad Aristotele, perché chiese all’uomo: – Di che si +tratta? Sono vivi? Devo prima vederli. +– No, non sono vive. Non si può dire che siano vive in questo momento, – +rispose l’uomo cautamente. – Non mi va granché di mostrarle, se non le vendo. +Forse non dovrei separarmene –. Sollevò la sua borsa. – Permettetemi di +raccontare la storia dell’assedio di Tiro, Vostra Eccellenza. +– No, grazie, amico – disse Aristotele. – Ti darò quattro oboli, se riesci a +convincermi che queste armi sono vere e che sono state usate nell’assedio di +Tiro. +– Convincervi dite? Ve ne convincerete quando le vedrete. Per il sacro +focolare di Zeus, non l’ho giurato che sono state usate nell’assedio di Tiro? – +Guardò tutto contento i quattro oboli che Aristotele gli porgeva e se li mise in +bocca. +– Ora, fatemi vedere questa roba – disse Aristotele. +Il venditore d’armi posò la borsa sul pavimento con aria diffidente, ne allargò +l’imboccatura, vi mise dentro le mani e ne tirò fuori… due pietre. +Aristotele cominciò a sorridere. – Sì, – disse seccamente. – Delle pietre. Sono +armi veramente letali. +– Giusto, – disse il fabbro. – È proprio così, signore –. Egli porse +riverentemente le pietre al filosofo. Erano rotonde, e grandi più o meno come +due pugni stretti uno contro l’altro. Avevano tutta l’aria di essere normali pietre, +grigie e insignificanti. +– Queste pietre qui sono due di quelle lanciate con le catapulte a Tiro. Le ho +raccolte dopo, dagli squarci aperti nelle mura. Queste non sono che le più +piccole, ma ce n’erano alcune grandi come la vostra testa, o anche più grandi. +Avreste dovuto sentire i fischi in aria, e poi i tonfi e il fracasso quando andavano +a segno. Sono tra le armi più letali al mondo. Le lance si possono spezzare e le +spade si possono piegare, scheggiare o arrugginire, e a volte un buono scudo può +bloccarle entrambe. Ma non esiste quasi niente che possa fermare una pietra che +vola in aria, una volta lanciata, e una pietra fa un bel danno dove si ferma, anche +con un elmo in mezzo. E poi si spezzano difficilmente e non arrugginiscono mai. + Sono molto obbligato a Vostra Eccellenza e vi auguro ogni bene –. L’uomo si +inchinò e fece per uscire, ma giunto alla porta si voltò per dire in tono adulatorio, +– Potrei… +– Ascolta, fabbro, – disse Aristotele. – Gioca a rimbalzello, se vuoi, ma non +fare altri giochi con le pietre. Sono oggetti pericolosi, come dici tu. Non è +necessario mettere a rischio la tua sicurezza portandone altre più grandi. Mi hai +capito? +– Sì, signore, – disse l’uomo ammiccando impercettibilmente, e chiuse la +porta. +Aristotele scoppiò a ridere. – Ecco uno degli uomini più intelligenti di Atene! +Dovrebbero offrirgli una carica pubblica, mandarlo in missione diplomatica! +Non avrei mai pensato che un giorno qualcuno mi avrebbe fatto sborsare del +denaro per comprare delle pietre, e non marmo, o porfido, ma due pietre che +avrei potuto raccogliere dal ciglio della strada quando volevo. Ho infranto la +prima regola del commercio: guardare sempre cosa si compra prima di sborsare +il denaro. +Guardai i due oggetti con curiosità. – Saranno state usate veramente +nell’assedio di Tiro? +– È impossibile dirlo, Stefanos. Una di queste ha cozzato violentemente +contro qualcosa, ma potrebbe essere stata lanciata contro qualsiasi muro di Atene +stamattina, e poi presa a calci lungo la strada. Non è improbabile che siano state +usate a Tiro. Ma è ugualmente, anzi no, molto più probabile, che non siano mai +state così lontano. Una lezione utile, Stefanos. Anzi, due. La prima è: non +comprare armi nascoste dentro una borsa; la seconda è: qualsiasi oggetto +comune può essere usato come arma, se le circostanze sono favorevoli. Ciò che +ha detto l’uomo è assolutamente vero. Senza dubbio le pietre avranno compiuto +una vera devastazione a Tiro, e prima ancora nelle altre città. È giusto ricordare +che esistono molti tipi di armi. Forse, dopo tutto, i miei quattro oboli sono stati +spesi bene. +Dopo aver tolto dalla sua sedia il giavellotto, si sedette e guardò gli oggetti +rotondi e grigi che aveva in mano come se fosse assorto in una grave riflessione. +Dovetti chiedergli due volte se sapesse qualcosa del viaggio delle due donne. +– Cosa? Ah, sì. Ho avuto notizie oggi. Viaggiano lentamente, ma senza soste. +Melissa sopporta bene il viaggio, e anche il bambino. Dovrebbero essere vicini +alla Beozia, ormai. Non arriveranno a Pella se non in primavera. +Posò le pietre, guardò il giavellotto e fece il gesto di infilzarci qualcuno, +spaventandomi un poco. +– Con questo qui la forza deve venire dal braccio e dal corpo. Gli archi o le +catapulte aumentano la potenza di un colpo, come pure le lance. Ma da lontano + la precisione non è garantita. Qual è l’arma migliore, Stefanos? +– Suppongo, – risposi, – che dipenda dalle condizioni in cui si combatte. A +volte è necessario uno scontro ravvicinato, a volte; come negli assedi, occorre +colpire da lontano. +– Mm. Sì. È proprio così. Giusto –. Raccolse dal mucchio di giavellotti e +picche che era in terra un oggetto di media grandezza dalla punta smussata e lo +posò sulla tavola. – È una freccia scita, Stefanos. Mi chiedo… – La prese e cercò +di infilzare l’aria con questa. – Si potrebbe usare come lancia corta? +Mi sentii a disagio davanti a lui, che sedeva lì intento in pose minacciose e +senza scopo. Non avevo voglia di sentir parlare di frecce più di quanto fosse +necessario. Aristotele aveva un’aria alquanto pericolosa in quella stanza +ingombra di oggetti letali. Uno schiavo entrò per dire al suo padrone che alla +porta c’era altra gente con armi da vendere, e io mi alzai per accomiatarmi. +– La terza prodicasìa sarà tra pochi giorni, – dissi malinconicamente. Ma lui +non sembrava molto propenso a profondersi in consigli. +– Ah, già. Dovrai dire ai tuoi avversari che non possono provare che +Filemone era sul luogo del delitto. Se quel loro soldato viene a deporre contro di +te, accenna con discrezione al fatto che l’infermità può avergli indebolito la +memoria. Ma cerca di mostrarti molto rispettoso del suo onorevole servizio. +Pensa a tutti i giovani che conosci e che somigliano a Filemone. Tempestali di +domande sul riconoscimento. È tutto quello che puoi fare in questo momento. +Lo lasciai ancora intento a scrutare la freccia accigliato e ad agitarla davanti a +sé in aria. Ad ogni modo, pur essendo impegnato in questi sinistri movimenti, mi +disse scherzosamente: – Arrivederci, Stefanos, e a proposito, non dire nulla di +questo mio ultimo acquisto, o ti giocherò qualche brutto tiro. Pensa alle battute +pesanti che ne nascerebbero! Ad ogni buon conto, se mai ti sembrerò borioso e +stupidamente orgoglioso della mia intelligenza, potrai sempre sussurrarmi, +«Quella borsa di cuoio conteneva delle pietre». + XIII +L’ultima prodicasìa + + + + + +Il giorno precedente la terza prodicasìa stavo percorrendo la grande via che +costeggia il lato meridionale dell’Acropoli, quella che ospita tutti i monumenti +celebrativi, quando mi giunse un brusìo di voci. +– Non è enorme? +– Che magnifiche incisioni! +La gente faceva a spintoni per vedere qualcosa che stava scendendo giù per la +via, e anche io mi accodai. Veniva verso di noi un carretto, trainato da due muli +e spinto da schiavi. Sul carretto c’era qualcosa di bianco che nel pallido sole +invernale brillava come un mucchio di neve. Aveva tutto attorno un solido +imballaggio di fagotti di paglia, ed era tenuto ritto da altri schiavi. Quando il +carro si avvicinò, riuscii a vedere di cosa si trattava. Era un monumento. Una +pietra tombale. +Capii di chi era prima ancora di vederla da vicino. Affascinato, mi spinsi +verso il carro, e mi fermai sul margine della strada a osservarla mentre passava. +La pietra era uno splendido blocco di marmo, elegantemente tagliato e +scolpito. Su di esso erano incise, in altorilievo, le figure sedute di Boutades e di +sua moglie. Boutades mi passava lentamente davanti. Fu una specie di scossa per +me rivedere il suo viso, ormai così familiare nei miei sogni ad occhi aperti. I +pesanti lineamenti e la figura tozza erano stati piuttosto abbelliti dal senso +estetico dello scultore; l’arroganza che sembrava ancora trasparire da quegli +occhi senza vista aveva acquisito maggior dignità di quanta ne avesse in vita, e +non tutte le rughe del volto erano state riprodotte. Eppure, la somiglianza era +viva ed eloquente, inequivocabile persino nell’attaccatura dei capelli. +Naturalmente, non vi era nulla che accennasse all’orribile fine dell’uomo, o +rammentasse la smorfia che gli avevo visto sulla faccia subito dopo la morte +quella fatale mattina. La moglie, una donnina magra, sedeva con aria sottomessa +a fianco del marito. Ogni linea del suo corpo, nel fluido panneggio della veste, +indicava una gentile obbedienza. Sembravano una coppia di mezza età, +prosperosa e felice. +Cominciai a leggere l’iscrizione sotto le figure, che descriveva il rango, i +servizi e le molte virtù di Boutades, e alludeva al dolore dei parenti superstiti, + specialmente del nipote Polignoto, committente del monumento. Non una parola +sul modo in cui i due coniugi erano venuti a morte. Avvertivo il brusio +d’approvazione che saliva dalla piccola folla intorno a me. Non so dire quando +cominciassi a sentirmi a disagio, udendo i brusii diventare mormorii di +disapprovazione e persino di orrore. Alzai lo sguardo, e vidi una delle persone +che mi stavano accanto dare una gomitata al suo vicino e indietreggiare; +dopodiché mi guardarono entrambi con un’espressione di rabbioso terrore. +– Sta profanando il monumento, – disse uno. +Mi resi conto che il sole proiettava la mia ombra sulla pietra scintillante, +oscurando il viso di Boutades. Poi, uno degli schiavi che spingevano il carretto +(probabilmente uno schiavo che un tempo aveva servito Boutades quand’era in +vita) mi riconobbe, e accigliandosi fece una serie di scongiuri per scacciare gli +influssi maligni. Provai dolore e vergogna. Era vero, la mia presenza lì +rappresentava una sorta di profanazione. Avrei dovuto avere il buon senso di +andarmene da un’altra parte, una volta compreso cosa stesse accadendo in +strada. +– Oh, Boutades, – pensai. – Io non esercito influssi negativi su di te. Piuttosto, +è la tua ombra, la tua immagine raffigurata su una pietra tombale, ad avere il +potere di recarmi danno –. Mi allontanai rapidamente, e feci un lungo giro prima +di presentarmi nell’agorà. Continuavo ad avere in mente quel monumento. Lo +immaginavo mentre passava, con le figure sedute di Boutades e di sua moglie, +attraverso la Porta del Dipilon e procedeva verso la tomba sul colle Kerameikos. +Quelle due forme bianche mi erano sempre davanti con aria di scherno. + +Il giorno della prodicasìa mi svegliai con la sensazione di aver preso un +raffreddore. Si stava manifestando nella solita, spiacevole maniera dei +raffreddori, con solletico nel naso e bruciore in gola. La mia voce suonava +strana, con il tono rauco d’una corda di cetra spezzata. Parlare sarebbe stato uno +sforzo. Mi avvolsi nei miei indumenti più caldi. +Tutti i miei oppositori avevano l’aria di stare benone. Euticleide appariva più +maestoso che mai, con la faccia ben pasciuta e splendente. Polignoto era come al +solito, occhi limpidi, guance rosee. Io sapevo di avere la faccia gialla e gli occhi +acquosi. Noi due avremmo potuto stare fianco a fianco come i simboli della +Salute e della Malattia. Persino lo schiavo di Polignoto, il Sinopeo che come al +solito accompagnava il suo padrone, sembrava più grassoccio di prima, e aveva +l’aria raggiante di chi prevede un ottimo pasto a mezzogiorno. Attorno a loro +Telemone si dava da fare con un’alacrità che sarebbe bastata per due persone. +In un primo tempo, le formalità furono esattamente come nelle occasioni +precedenti. Le seguii macchinalmente. Sentivo la testa pesante e intontita, ma + non solo per via dell’infreddatura. Mi rendevo conto che avrei dovuto mentire, e +questo mi spaventava. Senza saperlo, il Basileus mi facilitò le cose dicendo: – +Possiamo prendere per scontato che la tua difesa è la stessa di sempre, Stefanos, +e cioè che tuo cugino era assente? +– Sì – risposi. Questo, in un certo senso, era vero, pensai. Loro potevano +presumere questo senz’altro. Così non stavo esattamente infrangendo il +giuramento fatto davanti agli dei. Pure, mi domandavo se gli dei offesi mi +avrebbero punito, sapendo che intendevo mentire, e in loro nome. Gli dei non si +lasciano ingannare. +I discorsi continuarono e io mi sentivo inebetito. Poi, ad un tratto, mi resi +conto che Euticleide stava dicendo: – Ecco il nostro testimone, preannunciato +nell’ultima prodicasìa – e spingeva avanti l’ometto che aveva portato la sarissa +ad Aristotele. +Questo ex soldato fu presentato come Sosibio, cittadino ateniese di uno dei +demi di campagna. Sentimmo la storia del suo servizio sotto Alessandro; poi, +rispondendo alle benevole domande di Euticleide, l’uomo descrisse com’era +stato ferito. Nel complesso, tutto molto commendevole. Quando il Basileus gli +rivolse altre domande, il veterano rispose prontamente. Questo Sosibio aveva +una voce sottile e spiacevole, e le sue parole venivano fuori a spizzichi e +bocconi. Sembrava un po’ impressionato dall’ambiente. Di tanto in tanto, mentre +parlava, un muscolo presso la bocca gli si contraeva, come se avesse un tic. +Benché si comportasse inappuntabilmente, lo trovavo tutt’altro che simpatico. +In un’altra occasione e da un altro uomo, la descrizione che ci diede della +battaglia presso la città di Isso e della disfatta dei Persiani sarebbe stata per me +di grande interesse. Disse che quando lui e i suoi compagni della fanteria stavano +cercando di seguire la cavalleria attraverso il fiume Paia, si erano trovati +gravemente impediti tanto dalla rapida corrente quanto dall’azione nemica. +Mentre le file si sbandavano, dei soldati provenienti dalla parte avversa si +gettavano nel fiume e su per le sponde, e lottavano con gli uomini d’Alessandro +con feroce ostinazione. +– E la cosa più terribile, signori – aggiunse – era che i soldati di fronte a noi +sull’altra riva, che scendevano nel fiume e falciavano i nostri, non erano +Persiani, bensì Greci. Ci gridavano in greco degli insulti orribili. Fu allora che +vidi Filemone di Atene: prima al di là del fiume, di fronte a noi, poi dalla nostra +parte del guado. Combatteva e gridava. +– Lo conoscevate? – domandò Polignoto, forse con un’ombra di dubbio nella +voce. – Come potevate riconoscerlo? +– Lo conoscevo, l’avevo visto prima. Ad Atene, un tempo. +– Lo vedeste di nuovo quel giorno? Nella battaglia? – domandò il Basileus. + – Sì. Noi passammo sull’altra sponda. All’inseguimento. La cavalleria tagliò +fuori i Greci venduti ai Persiani. Cominciarono a correre. Al crepuscolo, +Alessandro li aveva ridotti tutti alla fuga –. Ridacchiò. – Dario fuggì via come un +uccello sul suo carro, non toccava neanche terra. Sicuro che lo rividi, quel +Filemone. Se la dava a gambe davanti a noi. Ferito su un lato della faccia. Ma +non fu preso. +– L’avete rivisto più tardi o ne avete sentito parlare? +– No, non l’ho rivisto. Ma ne ho sentito parlare più tardi, a Sidone. Era +passato di lì andando a casa ad Atene. La gente se ne ricordava. Io rimasi con +l’esercito finché fui ferito, a Tiro. +– Vedete dunque – interloquì Euticleide riassumendo la situazione. – +Filemone fu riconosciuto fra quelli che combattevano per i Persiani. Era ferito. +Non era consigliabile per lui restare in Asia durante l’avanzata di Alessandro. +Sappiamo quali vendette ha fatto Alessandro sui traditori passati ai Persiani! +Così, questo vigliacco decise di tornare a casa. Ed ebbe tutto il tempo di rientrare +ad Atene prima del momento in questione. Il momento del delitto. +Toccava a me esaminare il testimonio. Non sapevo cosa dire. – Come +sapevate che era Filemone? Vi diede il suo nome? +L’uomo esitò, guardando Euticleide. – Sì – disse poi. – Penso di sì. Lo diede +certamente a Sidone, ad alcuni di là. +– Voi pensate, ma non ne siete sicuro. Non lo ricordate con certezza. Non è +forse vero che aveste semplicemente l’impressione che quell’uomo nella +battaglia fosse Filemone? Voi vedeste uno che in qualche modo gli somigliava. +– No. Lo riconobbi. +– Andiamo – dissi. Il cervello mi si stava schiarendo un poco. – Descrivete +quest’uomo meglio che potete. +– Be’, era alto… +– Alto come? Molto, molto alto? +– No, non eccessivamente. Ma alto, non piccolo. Robusto e muscoloso. Agile. +– Di che colore aveva i capelli? +– Castani. +– Castani come? +– Castani e basta. Non castano scuri. Piuttosto ricci. +– Aveva un elmo? – domandai, ricordandomi l’ultimo colloquio con +Aristotele in mezzo alle armi. +– Ehm… no. Non credo. O forse uno piccolo. Potevo vedergli i capelli, +dunque non doveva coprirgli la testa del tutto. +– Di che colore aveva gli occhi? +– Bruni. + – Descrivete la sua voce –. L’uomo apparve sbalordito. Le voci non gli +sembravano cose da potersi descrivere. +– Be’… una voce. Una voce giovane… chiara –. Sbirciò di nuovo Euticleide. +– Con un accento ateniese – aggiunse trionfalmente. +– Dei segni particolari, dei nèi, delle macchie? +– Nossignore. Salvo la cicatrice che avrà adesso della ferita ricevuta quel +giorno. +– Ah! La cicatrice della ferita che secondo voi ricevette in battaglia. Che +genere di ferita? Uno sfregio? Uno strappo? Un buco nella faccia? Era presso +l’orecchio? O vicino l’occhio? O sul mento? +– Su uno zigomo, all’ingiù. +– Su quale lato della faccia? +Esitante, Sosibio si toccò il viso da entrambi i lati. +– Non vi state specchiando in una vasca – dissi piuttosto malignamente. – Da +che parte? +Esitò ancora. – A destra, credo. Ma potrebbe essere stato a sinistra. No, era a +destra –. Euticleide diede un’occhiata infastidita al suo testimone. +– Signore – dissi freddamente al veterano – vediamo di esercitare la vostra +memoria e le vostre capacità di descrizione. Descrivetemi Glauco, figlio di +Glauco, ed Eufrastione figlio di Decagone, che sicuramente avrete visti. +Costoro erano due giovanotti di Atene di buona famiglia, entrambi famosi per +le loro prodezze atletiche; chiunque poteva conoscerli. Erano circa dell’età di +Filemone. Il testimone sembrò riluttante, ma il Basileus intervenne a sostegno +della mia richiesta. Quindi Sosibio, con molte interruzioni, descrisse i due +giovanotti. +– Ecco – ripresi, quando ebbe finito. – Glauco è alto, ma non troppo alto, +robusto, con capelli e occhi castani. Lo stesso dicasi di Eufrastione. Ecco a che +cosa si riduce la vostra descrizione. E aggiungete che entrambi sono muscolosi e +che nessuno dei due ha dei segni particolari. Potevate anche dire che +naturalmente tutti e due parlano con accento ateniese! Chi potrebbe riconoscere +chiaramente l’uno o l’altro da una simile descrizione? Chi potrebbe designare un +individuo e dire «Questo resoconto si applica a lui e a nessun altro»? Inoltre, in +un dettaglio avete sbagliato: Eufrastione ha gli occhi grigi. Con quanta +faciloneria l’avete fatto rassomigliare a Glauco. Tutti gli uomini di una certa età +e in buona salute sembrano uguali a questo testimone –. Mi voltai verso l’intera +corte. – La sua descrizione dell’uomo che chiama Filemone, che ha visto nella +furia della battaglia, potrebbe adattarsi almeno a mezza dozzina di giovani +ateniesi, e probabilmente a molti di più –. Mi sentivo euforico ora, e con la testa +più sgombra. Tornai a rivolgermi al testimone per insistere con le domande. + – Quando incominciò la battaglia? In quale stagione dell’anno era? E in quale +momento del giorno? +– Questa stagione dell’anno, più o meno; un pochino prima. E la battaglia +cominciò… oh, a metà pomeriggio. +– Sì – dissi. – Insolitamente tardi per l’inizio d’una battaglia, ma Alessandro +mise molta cura nel disporre le truppe, e gli ci volle del tempo. Com’era il +fiume? – chiesi. +– Freddo – rispose lui con enfasi. +– Dev’essere stato molto duro per voi – dissi in tono comprensivo – dover +combattere e attraversare un fiume nello stesso tempo. Non può esser stato +facile, poiché dite che avete dovuto aspettare che prima passasse la cavalleria. +– Sicuro – annuì lui fieramente. – Non fu facile. Nemmeno per la cavalleria, +figurarsi per noi. Persino i cavalli restarono impantanati nel fango, signori; così +vi potete immaginare che cosa fu per noi quel passaggio. +– C’era molto fango? – domandai innocentemente. +– Molto? C’era più fango di quanto abbiate mai visto ad Atene, anche se fosse +piovuto per un mese. Avreste dovuto vedere i cavalli che cercavano di venirne +fuori, gli ultimi cavalli, dopo che i primi erano andati. Tutta una gran +confusione, e più scivoloso del ghiaccio. +– Dunque, tutte e due le sponde del guado erano in gran confusione. Ci +saranno stati degli spruzzi sollevati dai cavalli e dagli uomini nel fiume, e anche +schizzi di fango. Siete stato schizzato anche voi? +– Certo che lo sono stato. Tutti eravamo schizzati. Combattere non è come +andare a una festa, con gli abiti tutti in ordine. Non si poteva avvicinarsi al fiume +senza… – e fece una pausa, cercando di riflettere. +– Senza coprirsi di fango – terminai per lui. – E questo valeva anche per i +nemici, no? I reparti di fanteria che si scagliavano contro di voi dopo che la +vostra cavalleria era passata. Dovevano essere sdrucciolati giù da una sponda +fangosa e su per un’altra, inzuppandosi nel frattempo in un fiume d’acqua +sporca. +Sosibio annuì, con aria infelice. +– Qui dunque, signore – dissi rivolto al Basileus – abbiamo un testimone le +cui reminiscenze e capacità di descrizione non sono, nel migliore dei casi, molto +accurate. Questo testimone pretende di aver visto e riconosciuto un uomo in +particolare. Non una sua conoscenza, ma semplicemente un uomo che aveva +visto in giro per Atene. Lo descrive molto genericamente, nonostante la pretesa +di fornire dei dettagli. Il testimone poi dice che ha visto quest’uomo in un +momento di grande agitazione e confusione, pieno di pericoli e di tensione, in +cui il testimone stesso doveva concentrare tutte le sue facoltà nel salvarsi la vita. + Inoltre, pretende di aver visto questo particolare individuo in quella che +dev’essere stata la fine del pomeriggio di un giorno alla fine dell’autunno. +Pretende anche di averlo visto di nuovo, qualche tempo dopo, a distanza, da +dietro e nell’oscurità, o nel migliore dei casi al crepuscolo. Quando Sosibio lo +vide a una certa vicinanza, quest’uomo doveva essere ricoperto di sudiciume, +essendosi schizzato di fango, poi infradiciato in un fiume sporco, poi di nuovo +infangato. Questa persona non doveva essere facilmente distinguibile dagli altri +soldati greci nemici! Che ci fossero dei Greci a combattere dalla parte dei +Persiani, ahimè, nessuno lo nega. E la maggioranza di questi Greci nemici +dovevano essere dei giovani alti e robusti, adatti al servizio attivo; e tutti in quel +momento gridavano, con le facce distorte e schizzate di fango, con i capelli +fangosi e grondanti. Il testimone Sosibio può senz’altro aver visto un giovane +Greco di alta statura in queste condizioni. Ciò non costituisce un’identificazione. +Tutto il resto non è che un seguito di supposizioni prive di fondamento. +– Dice che era Filemone – s’interpose Euticleide. – Questo è stato confermato +al suo passaggio da Sidone. +– Già, ma sappiamo se questa misteriosa persona che passò per Sidone fosse +lo stesso uomo che si trovava in battaglia? Certamente no. Questo testimone ha +dei ricordi molto imprecisi. Un uomo a Sidone può avergli detto che era +Filemone di Orinto, e lui può avere frainteso. Oppure ci può essere stato un altro +Filemone; probabilmente ce ne sono a centinaia in Grecia, con o senza una +cicatrice. O l’uomo che vide in battaglia può avergli rammentato vagamente mio +cugino. Come abbiamo visto, nella sua memoria gli uomini sono più o meno +uguali, e l’unica persona a Sidone che abbia menzionato un nome può essere +stato il testimone stesso. Con la spensieratezza con cui gli uomini parlano +quando hanno davanti una coppa di vino, all’udire di un tale con una cicatrice +può aver detto, «Ah, sì, Filemone», intendendo dire «l’uomo somigliante a +Filemone che ho veduto in battaglia». Poi può essersi persuaso che l’uomo +passato per Sidone, l’uomo visto in battaglia e mio cugino Filemone fossero una +sola e unica persona. Può darsi che abbiamo seguitato a parlare di tre persone +diverse. Sosibio non afferma di avere incontrato l’uomo con la cicatrice a +Sidone. Insisto che qui non c’è una identificazione che valga la pena di essere +presa in seria considerazione a lume di logica e di ragione. È tutto – e qui cercai +di sorridere serenamente – confuso e fangoso. +Gli avversari scossero il capo, ma non dissero granché. Euticleide appariva +furioso e ostinato, e annunciò che tutto si sarebbe chiarito al processo. Per +quell’epoca, disse, speravano di avere un testimone in grado di deporre non solo +che Filemone poteva trovarsi ad Atene, ma che vi si era trovato effettivamente. – +Nel qual caso – aggiunse in tono canzonatorio – le obiezioni grossolanamente + sollevate dal difensore contro le dichiarazioni del nostro testimone sono +destinate a cadere. +E questo fu tutto. Starnutii tre volte, violentemente, e tutti si ritrassero. Il +Basileus dichiarò chiusa la seduta. La testa mi si era schiarita notevolmente +durante la mia escussione del testimone, ma ora mi doleva. Mi sentivo piuttosto +fiero dei miei sforzi, ma mi rendevo anche conto che al processo non avrei +potuto fare di più di quanto avevo fatto ora per smentire le dichiarazioni del +veterano. E al processo, il testimone sarebbe giunto preparato da quest’episodio +preliminare. Quindi, quel giorno tutto quanto sarebbe potuto andare +diversamente. Ma anche se fosse andato come stamattina, mi chiesi come +avrebbe reagito la cittadinanza riunita all’Areopago. Forse si sarebbe schierata +emotivamente con il soldato e sarebbe stata pronta ad accettare la sua +testimonianza contro Filemone, a prescindere da quanto fosse superficiale o +illogica. Getta molto fango e vedrai che un po’ si attaccherà. Be’, oggi anch’io +ne avevo gettato un po’. Tuttavia, se Euticleide avesse messo in atto la sua +minaccia di produrre un testimone che aveva visto Filemone ad Atene, eravamo +perduti. Un mese prima avrei preso quella minaccia alla leggera. Ora sapevo che +probabilmente ad Atene, o almeno al Pireo, c’erano delle persone che avevano +visto Filemone. Mi stupivo che i miei avversari non avessero fiutato la pista che +conduceva al porto. Forse tenevano in serbo qualcosa? Starnutii di nuovo e uscii. +Mi sentivo la gola infiammata. Mi tornò in mente l’attore che aveva un brutto +raffreddore ed era terrorizzato di perdere la voce, e provai simpatia. E se avessi +perso la voce per sempre prima del processo e avessi dovuto sussurrare di fronte +all’intera cittadinanza di Atene? +Al margine del sentiero, con i radi capelli grigi arruffati dal vento, stava una +vecchia e odiosa conoscenza: Archimeno. Mi perseguitava, come certe immagini +nel sonno che ricorrono una notte dopo l’altra. Mi sentii stanco, perché avevo già +subito tutto questo in precedenza. Ancor prima che parlasse, capii che avremmo +interpretato la stessa scena, e con lo stesso pubblico: Teosoforo. Ebbene, se +avessi potuto, l’avrei cambiata questa noiosa commedia. Avrei ampliato il nostro +pubblico. Decisi di restare vicino ai miei avversari per non essere isolato, quindi +ci allontanammo alla spicciolata procedendo lungo il sentiero. Davanti a me +vedevo le larghe spalle e il collo robusto di Euticleide e Polignoto, col suo +devoto schiavo che gli trotterellava accanto. Ero a circa tre passi da loro quando +Archimeno mi parlò. Continuavo a sperare che la vergogna di comportarsi come +un pazzo in presenza di cittadini tanto rispettabili avrebbe soffocato la sua +oscena volgarità. Per conto mio, io non desideravo affatto incontrarmi con lui, e +sapevo che non avrei dovuto dar voce ai rabbiosi sospetti che mi ribollivano nel +cervello. Non qui, non adesso. + Archimeno parlò in un tono basso e sibilante, pieno di veleno, come il dente +di una serpe. – O Stefanos! Venduto ai Persiani! Cugino di uno che si è venduto +ai Persiani! Porta il tuo piccolo pestello in battaglia e vai a pestare spezie per i +Persiani! +Non risposi nulla, ma ero furioso. L’uomo mi trotterellava accanto sul +sentiero con passi leggeri, quasi danzando. +– Lascia in pace le ragazze, e provati a dar l’assalto a delle mura! Tu, amico +dei Persiani! Tu, lurida fogna. Rovinare femmine, ecco che cosa sai fare. Ti +piace startene dentro un nido caldo, eh, ruffiano dei Persiani? E allora va’ a +baciare i piedi ai Persiani e domandagli di essere castrato e messo a guardia delle +loro donne! Ma sta’ attento che gli uomini di Alessandro non vengano ad +infilzarti con una spada grande e grossa! +Mi sentivo imbarazzato e furibondo. Vedevo che quelli davanti a me sul +sentiero riuscivano a sentirlo, e probabilmente, pensai con amarezza, si +godevano la scena. +– Ah! Ah! Beccati una spada nella pancia! – gridò Archimeno allegramente. +Eppure, a dispetto della vergogna e della collera, le sue parole richiamarono alla +mia mente una cosa che poteva essere un’idea. La mia rabbia era turbolenta, e mi +ricordai dello schiavo con la mano fasciata. +– Quel che faccio di me non ti riguarda, vecchio rinsecchito senza cervello – +risposi. Amministrai la mia voce nel migliore dei modi, pur gracchiando un po’; +non volevo abbassarmi a sussurrare come un vigliacco. Continuai, guardando +torvo il mio antagonista e notando come le rughe verticali sul viso rosso di +Archimeno si facessero più profonde. – Quanto a scappare dal pericolo, ne +conosco di gente che è svelta a tagliare la corda. Quelli che aggrediscono i +cittadini farebbero meglio a esser cauti. Ricordati, idiota: chi se ne va in giro di +notte ad aggredire la gente, di giorno viene riconosciuto. Lascia sempre delle +tracce dietro di sé. Lo schiavo che regge la torcia può bruciacchiarsi anche lui. E +se conti su uno schiavo, ricordati che la sua discrezione non vale due soldi. +Azioni vergognose, di notte, contro gli inermi. Bell’orgoglio! Bell’onore! C’è +ancora una legge ad Atene. Pensaci. E ora va’ a casa tua, imbecille vigliacco, e +bada a come ti comporti, oppure le guardie ti chiuderanno dentro una stanza a +rinfrescarti quel tuo cervello cotto. +– Beccati una spada nella pancia – sussurrò Archimeno. Ma non sembrava più +così allegro. Teosoforo s’interpose. +– Che maniere sono queste? Con un cittadino rispettato e vecchio abbastanza +da essere tuo nonno? Suppongo che questi siano i nuovi modi raffinati degli +amici dei Persiani e che dobbiamo farci l’abitudine. +– Ruffiano dei Persiani! – rincarò Archimeno tutto accigliato. – Lurido cane! + – Sì – disse Teosoforo. – Ci vorrà del tempo prima che ci abituiamo ai modi +squisiti dei barbari. Sono veramente irresistibili. Venite via, amico. +Guidò Archimeno giù per il sentiero, non perché avesse bisogno del suo +appoggio (perché il vecchio aveva un’andatura decisa), ma per impedire che +tornasse indietro ad aggredirmi. La scena non mi aveva lasciato del tutto +soddisfatto, ma almeno avevo cambiato qualche battuta. In un dramma, pensai +distrattamente, io ed Archimeno saremmo stati i protagonisti, e Teosoforo il +direttore del coro, ma l’intera truppa, Euticleide, il soldato Sosibio, Polignoto, +Telemone e tutti gli altri avrebbero dovuto trovarsi nel coro, e non darci le +spalle. Il battibecco non era stato di mio gradimento, gli insulti mi avevano +avvilito. Ma se non altro avevo fatto capire ad Archimeno che sapevo che era +stato lui a dar fuoco alla casa di Melissa, e speravo di averlo spaventato. Se pure +era stato lui. Come potevo esserne del tutto sicuro? Era stato effettivamente +presente? Era a lui che avevo dato la caccia attraverso i vicoli oscuri del Pireo? +Adesso ne ero convinto più che mai. Ma perché? +Mi diressi a casa per cercare di riflettere, ma al momento del mio arrivo tutto +quello che desideravo era di buttarmi sul letto. Passai il resto della giornata chino +su catinelle fumanti di erbe in infusione, cercando di farmi passare il mal di +testa. Mi svegliai tardi la mattina dopo, sentendomi un pochino meglio, ma non +molto. Mia madre mi portò la colazione e sedette accanto a me. Nello sforzo +d’intrattenermi, mi diede ragguagli di faccende di casa che non m’interessavano +affatto. Poi aggiunse magnanimamente: – C’è anche una novità in città che +potrebbe interessarti, Stefanos. Quanto a me, qualsiasi disgrazia che succeda in +quella casa mi è gradita. Ora che hai finito di mangiare, te lo dico. +– Mi dici cosa? +– Uno degli schiavi che un tempo appartenevano a Boutades è morto. È +caduto giù da una rupe nel Parnete, dicono. Polignoto l’aveva mandato a fare +una commissione ieri a mezzogiorno. Non è tornato, e stamattina il suo corpo è +stato ritrovato da alcuni pastori. I nostri schiavi hanno sentito la notizia. +– Sì – disse la zia Eudossia, che era entrata nella mia camera per godersi la +conversazione. – Alcuni dicono che l’hanno assalito dei predoni. E questo è +esattamente quanto mi auguro, perché chiunque sottraesse loro delle ricchezze +avrebbe tutta la mia gratitudine. Aveva alcune monete con sé, e sono sparite, ma +sai, potrebbero averle prese i pastori. Le tavolette che portava erano intatte. E +non c’erano segni di lotta, niente graffi. I pastori hanno riportato il corpo in città, +e alcuni ad Atene l’hanno visto. Nessun segno di lotta, solo una leggera +contusione sulla testa. Si è rotto l’osso del collo. +– Certo – disse mia madre – avrà messo il piede in fallo al crepuscolo e sarà +caduto. Probabilmente avrà bevuto quando non doveva. Sono così negligenti + questi schiavi. Un povero Sinopeo balordo, senza nemmeno quel tanto di +cervello che basta a tenersi sul sentiero. +– L’hanno trovato sotto la rupe tutto storto – disse mia zia. – Non c’era +sangue, e così per un momento hanno creduto che potesse essere vivo, ma +quando l’hanno toccato, hanno capito che era morto da parecchio tempo. +– Polignoto è molto triste – aggiunse mia madre spensieratamente. – Anzi, +molto depresso. Era il suo schiavo favorito, andava con lui dappertutto; molto +devoto, dicono. Sembra che Polignoto non riuscisse a crederci, sulle prime. Ma +non è poi un gran guaio per lui, – sospirò. – Se ne procurerà un altro. Gli auguro +di peggio, e gli dei lo sanno. Vorrei che tutta la famiglia precipitasse da una +rupe, e anche Euticleide! +– Mamma! – protestai. – Sta’ attenta che gli dei non odano questo cattivo +augurio e ti puniscano. +– Lo meritano – replicò mia madre ostinatamente. – Ci hanno resi infelici! +Vorrei almeno che Polignoto udisse cattive notizie ogni mattina quando si alza, e +così tutta la famiglia. +Come ho già detto, mia madre prendeva tutta la faccenda dell’accusa come un +grave insulto personale. +– Ah! – disse zia Eudossia, mettendosi solennemente la mano sul cuore – è il +giudizio degli dei, ecco quello che è. +Io speravo molto che non lo fosse. Mi si era affacciato il sospetto, all’udire la +notizia, che lo schiavo potesse essere l’assassino di Boutades. Me lo rammentai +come l’avevo visto il giorno del delitto, sudato dalla corsa, pallido e tremante, e +mi ricordai di aver pensato: «Quello schiavo ha paura». Se adesso era morto per +giudizio degli dei, che cosa avrei potuto fare al processo? A cosa serviva la +legge, se gli dei punivano prima il colpevole, non lasciando all’innocente modo +di discolparsi? Se ci avessi pensato prima, avrei potuto chiamare lo schiavo a +testimoniare, farlo mettere alla tortura, estorcergli una confessione. Ora mi era +sfuggito di mano. Mi sentivo non meno afflitto di Polignoto per quella perdita. +Che fare? Avevo avuto una buona idea, ma era giunta troppo tardi. + XIV +Un giorno alla fattoria + + + + + +La mattina dopo mi svegliai più in forma. Avevo già precedentemente fissato +di andare quel giorno alla nostra fattoria, e sapevo che il fattore e sua moglie mi +stavano aspettando. La nostra casa di Atene aveva bisogno d’olio e di formaggio. +Così mi misi in viaggio con uno dei nostri schiavi, che portava due sacchi di +letame e di rifiuti di cucina da spargere sui terreni della fattoria per fertilizzarli; +al ritorno si sarebbe reso utile badando al carro dei muli con il carico del +formaggio e dell’olio. Lo schiavo non profumava esattamente come un vaso +d’unguento, e così lo tenni a distanza. La cosa, comunque, non lo dissuase dal +chiacchierare. Insistette per raccontarmi dell’incidente occorso allo schiavo +Sinopeo e dell’aspetto del suo cadavere, tutto bianco e con un lato della testa +vicino alla tempia completamente fracassato, «come una crosta di pane con un +buco al centro». Quindi fui costretto a risentire la storia daccapo. +Arrivammo sul mezzogiorno. Il sole era pallido nel cielo invernale. Stavamo +ormai avvicinandoci al giorno più corto dell’anno. La fattoria, benché non fosse +che una costruzione piccola e rustica, appariva accogliente. Fui ben lieto di +sottrarmi al freddo, sedermi davanti a un fuoco di rami d’olivo e sorseggiare un +po’ di vino con Dametas e sua moglie Tamia, che conoscevo fin dall’infanzia. +Tamia non doveva essere stata così vecchia allora, poiché mi aveva allattato +durante una malattia di mia madre, ma ora sembrava veramente decrepita, con il +viso pieno di rughe e il sorriso che mostrava una bocca quasi interamente +sdentata. Questa coppia aveva lavorato alla fattoria per molti anni. Ora Dametas +era vecchio e stava diventando cieco, e notai che le sue mani, deformate dal +lavoro e con le unghie spezzate, avevano un tremito persistente. Pensai con +apprensione che avrei dovuto trovare presto un nuovo fattore. Dametas era +anziano, poteva diventare infermo ed essere costretto a letto, poteva anche +morire. Era un pensiero sconvolgente, come quello che cadessero le colonne +d’Ercole. Anche Tamia, mentre mi conduceva in giro orgogliosamente a +ispezionare la tessitura, la dispensa e tutti i lavori delle donne, sembrava +muoversi a fatica. Nell’osservare il panno appena tessuto, lo portava molto +vicino agli occhi. Mi accorsi presto che anche l’udito la tradiva. Nel cercare di +rispondere alle mie osservazioni, teneva il suo sguardo opaco ansiosamente fisso + sul mio viso, cercando di indovinare ciò che dicevo, e tentando di nascondere la +sua infermità. Discorrere con lei era perciò irritante e deprimente insieme, per +quanto mi fosse cara. Per quanto tempo ancora avrebbe potuto seguitare a +lavorare come doveva? E dietro le sue spalle, le schiave potevano permettersi +ogni sorta d’insolenze: lei non le avrebbe sentite. +Avevo sperato di risollevarmi un po’ lo spirito visitando la fattoria che avevo +sempre amata, ma ero un uomo ormai, con tutte le preoccupazioni d’un uomo. +Ispezionai il porcile e guardai i campi. Lo schiavo che avevo portato con me fu +mandato a spargere il concime e poi a tagliare della legna. Dametas ed io +discorrevamo animatamente degli affari della fattoria, e Tamia cucinava delle +focacce, offrendomele poi con del miele «per la gola». Quando Dametas ed io +ispezionammo il locale dov’era conservato l’olio, mi sentii abbastanza sollevato +alla vista delle file di orci. L’olio che assaggiai era eccellente. +– Abbiamo tenuto da parte un po’ delle ultime olive perché tu le vedessi – mi +disse Dametas. – Quelle delle piante sul lato della collina, che fruttificano più +tardi. Vieni. So che ti piace veder spremere le olive. +Questo spettacolo era stato il mio divertimento favorito quando ero bambino. +Pensai melanconicamente che per Dametas e sua moglie ero sempre un bambino. +E quella vista mi piacque ancora. Il mulo camminava descrivendo lenti circoli, la +màcina del frantoio si muoveva piano, oscillando, e si udiva un rumore +raschiante; poi i frutti schiacciati schizzavano nel recipiente. Queste olive +compresse, ora senza i noccioli, vennero raccolte con tutto il sugo e messe +dentro a delle ceste. Io le seguii nel capanno dove dovevano essere spremute, e +vidi mettere sulla cesta il pesante coperchio. Tamia sollevò l’estremità di un +bastone che premeva forte contro le olive schiacciate. L’olio filtrava giù +attraverso l’intrico di vimini e gocciolava nella conca di terracotta sottostante. +Lento dapprima, e poi lievemente più rapido, un filo sottile di materia grassa, +color del miele, gocciolava giù in piccoli globi, più compatti e viscosi di gocce +d’acqua. Tamia sorrideva e si illuminava in viso mentre spremeva i frutti, e io +stavo a guardare, sentendo le mie preoccupazioni attenuarsi mentre l’olio fluiva +e colava così abbondantemente, ora da un buco nel cesto di vimini, ora da un +altro. +Un’ombra cadde sul torchio. Io mi volsi verso l’entrata. L’ombra era +proiettata dal corpo massiccio di Euticleide. +– Stefanos, figlio di Nichiarco? – chiese con cortesia. +– Sì, Euticleide – risposi, e mi affrettai a uscire come per salutarlo. In realtà +non volevo che il pacifico capannone dell’olio fosse insozzato dalla sua +presenza. +Euticleide non sembrava aver fretta di muoversi. – Un buon raccolto d’olio + quest’anno – disse – ma è tardi per torchiare –. Il suo tono, benché sempre +cortese, implicava che ero un amministratore negligente. Tamia continuò la +spremitura, ma chinò il capo in direzione dello straniero con uno sdentato sorriso +di benvenuto. +Euticleide e io uscimmo all’aperto. Era passato mezzogiorno ormai, e le +ombre azzurre si allungavano. +– Ho visitato un mio affittuario da queste parti – spiegò Euticleide – e appena +saputo che eri qui ho deciso di vederti subito, perché si tratta d’una faccenda +urgente. Riguarda quel debito di tuo padre verso di me. Temo di doverti chiedere +di pagarmelo, e presto. +– Mio padre? – chiesi sbalordito. – Ma non aveva debiti con voi. +– Direttamente con me no, questo è vero. Ma aveva un debito verso il mio +amico e ospite Agesandro. Te lo ricordi, questo? +Frugai nella mia mente e mi rammentai che nel mese di Boedromione, subito +prima che il delitto e l’accusa sgombrassero ogni altro pensiero dalla mia testa, +avevo passato in rassegna tutti i conti. A quel tempo mi preoccupavo di +raccogliere abbastanza denaro per sposare la figlia di Callimaco; come sembrava +lontana anche quella speranza. Mi ricordavo d’aver pensato che prima di tutto +avrei sistemato i debiti, fra i quali quello con Agesandro. Non mi era stato +possibile vendere la vigna, Agesandro non mi aveva fatto pressioni per essere +pagato, e nell’ansietà per la vicenda di Filemone avevo dimenticato tutto. È +disonorevole dimenticare un debito, sì, ma un giovanotto costretto a rinunciare al +proprio matrimonio probabilmente è incline a credere che chiunque altro possa +rinviare i propri piaceri a un altro momento. Arrossii, e vidi che Euticleide era +compiaciuto di trovarsi in vantaggio. +– È vero – risposi. – Devo del denaro ad Agesandro. +– Duecento dracme – precisò Euticleide con viva soddisfazione. +– Non così tanto – ribattei. – Agesandro prestò a mio padre centoventi +dracme… +– Già, ma c’è l’interesse, Stefanos, l’interesse. Un prestito a breve scadenza è +diventato un prestito a lungo termine. Perciò adesso tu devi anche un bel po’ +d’interessi. +– Ma era un accordo fra amici… concittadini. +– Era una questione d’affari, mio caro ragazzo. È ovvio. +– Ma perché Agesandro non è venuto di persona? È con lui che avrei dovuto +discuterne. +– Mio caro Stefanos –. Euticleide aveva preso un tono quasi da congiunto. +Infilò il braccio sotto il mio e seguitammo a passeggiare. Io mi sentivo umiliato +nella sua robusta presa, come se mi conducesse in prigione. – Certo – seguitò – + era ad Agesandro che tuo padre doveva il denaro. Ma Agesandro è un mio +parente, oltre che un amico e un ospite. Capirai! Ha avuto delle perdite, e così, +per assisterlo, mi sono accollato i debiti che la gente aveva contratto con lui. +Ragion per cui adesso sono io il tuo creditore. +– Voi! – esclamai, risentito. +– Non fare lo sciocco, caro ragazzo. Ho proprio paura che tu ti stia +comportando scioccamente a forza di ostinazione e di capricci. Ma d’altronde, +sei giovane, bisogna tenerne conto. Eppure, guarda questa fattoria – aggiunse +sprezzantemente, agitando la mano libera in direzione dei miei poderi. – Cade a +pezzi. Quel vecchio rimbambito che mi ha fatto entrare è carico d’anni e +incompetente. Una persona nella tua situazione dovrebbe vivere quietamente in +campagna, lavorando con le proprie mani per mantenere la famiglia. +– Mio padre era di buon nome e di condizione elevata come voi – ribattei in +tono risentito. – La mia è un’ottima famiglia. +– Molte ottime famiglie cadono in disgrazia nel mondo. Devi guardare le cose +come sono. Chissà, anche la mia famiglia in secoli venturi potrebbe essere +ridotta come la tua adesso. Ma hai un carattere troppo impulsivo. Vedo che non +vuoi ascoltare i buoni consigli. +Mi fissava con i suoi occhi freddi color ardesia e duri come pietre. La forza +del suo braccio sembrava immensa per un uomo della sua età. +– Adopera il buon senso, o sarà peggio per te. È ovvio che voglio il denaro. È +ovvio che mi devi pagare. +Furioso con me stesso per dovermi abbassare così, cominciai nondimeno a +pregare: – Ma pensate che momento difficile è questo per me… e mio padre è +morto da così poco tempo. Non potreste aspettare finché… non potreste +aspettare? +– Mi hai preso per una donna, che si lascia commuovere da preghiere o +lacrime? La gente come te, a sentirla, è sempre in un momento di difficoltà. +Detesto i piagnucoloni che somigliano a certi cani. Non pensare di sfuggirmi, o +sarà peggio per te. +– Sareste pronto a qualunque cosa pur di far denaro? – domandai con +impertinenza. Il risentimento e la disperazione mi rendevano audace. – Pensavo +che i veri Ateniesi, quelli i cui antenati combatterono a Maratona, disprezzassero +l’usura! +Il suo braccio era come il torchio che spremeva le povere olive. – Le tue +sciocche parole non mi danno fastidio. Non sono qui per discutere con te sui +sentimenti. Ho pagato ad Agesandro il debito e l’interesse. Ora, naturalmente, +voglio riavere quanto mi spetta. Non sei più sulle ginocchia della balia ormai, e +non stai trattando con un uomo di paglia. Va’ a casa da tua madre a lamentarti, o + resta qui a pavoneggiarti sul tuo campo di cavoli, come un bambino che gioca +alla fattoria, se preferisci, ma ricordati che devi pagare. +Inghiottii la rabbia e cercai di ricondurre la conversazione a un livello più +ragionevole. +– Sentite – dissi quanto più quietamente potevo. – Posso e voglio pagarvi il +debito. Venite, vi farò vedere –. Lo condussi al magazzino dell’olio e additai le +file di grandi orci. – Ecco – dissi. – Ho tutto questo da vendere. Posso ricavare +molto già così. Il resto seguirà presto, quando avrò venduto… alcune altre cose. +Quell’olio prezioso! Venderlo subito e immediatamente consegnare il +ricavato a un creditore! Così sarebbe sfumato l’olio da cucina per la nostra casa e +per la fattoria, e anche il denaro per pagare quanto occorreva per affrontare +l’inverno. Mi accorsi che Euticleide si rendeva conto di quello che ciò +significava per me, poiché sorrise torvamente. – Molto bene. Ma il primo +acconto dovrà essere versato presto. +– Per la fine di questa settimana – promisi. +– E quanto al resto non contare su un gran rinvio… – seguitò. Fummo +interrotti nel nostro colloquio da grida selvagge provenienti da poco distante. – +Ahi! Ahi! – Corsi in direzione di quelle urla trascinando Euticleide con me, e lui +allentò la presa. Presso la catasta della legna dietro la casa era accovacciato il +mio schiavo in condizioni pietose. Si dimenava avanti e indietro, reggendosi una +mano che grondava sangue. La teneva vicina alle labbra, ma non poteva +succhiarla perché preferiva usare la bocca per gridare, e ogni volta che guardava +la mano le sue urla spaventate si levavano più forti. Nello spaccare la legna si era +evidentemente mozzato la punta di un dito. Era uno spettacolo orribile, ma +Euticleide non parve trovarlo tale. Si avvicinò e sorrise, come se la vista del +sangue gli desse piacere, e rimase a guardare per alcuni istanti. Poi corrugò la +fronte con disprezzo. +– Smettila di far baccano! – disse brutalmente allo schiavo, e accostandoglisi +lo scosse con violenza. Il poveraccio, sbalordito, soffocò le grida e guardò con +nuovo timore l’importante sconosciuto dall’aria severa. +– Ecco! È così che bisogna trattarli – proclamò Euticleide. – Vanno soggetti +all’isterismo come le donne e bisogna richiamarli alla ragione, per poca che ne +abbiano. Un imbecille imprudente – concluse guardandomi, e capii che stava +pensando: «Che povera casa malgovernata è mai questa, dove persino gli schiavi +sono così stupidi da tagliarsi le dita? Tale padrone, tale servo». Si era ormai +radunata una piccola folla. Tutti gli schiavi si stringevano intorno, e Tamia +schioccava la lingua e cercava di calmare lo schiavo ferito. Euticleide si diresse +verso il cancello. Io lo seguii di malavoglia. +– Che posto movimentato! – disse sarcasticamente. – Mai un momento di + riposo –. Non mi ero reso conto prima che Euticleide sapesse essere ironico. Non +mi era mai parso spiritoso. – Ricordati quel debito, Stefanos. Spero di non +dovertelo rammentare di nuovo. +Lo guardai incamminarsi giù per la strada, massiccio, minaccioso. Sembrava +strano che pochissimo tempo prima mi era parso di comprendere perché la gente +lo stimasse. Euticleide! Probabilmente Agesandro lo stimava in quanto generoso +amico e ospite che offriva aiuto e protezione. Ma Euticleide non era solo un +uomo imponente e rispettabile come avevo creduto sino ad allora. C’era in lui +una volontà molto forte, e forse un certo compiacimento nella crudeltà. Queste +cose stavano alla radice di quell’energia che suscitava la gratitudine di quanti +erano protetti da lui. C’era in quell’uomo, pensai, molta più vitalità di quanto +non avessi creduto, benché di un genere repellente. Altri uomini avrebbero +potuto assecondare il suo volere, e persino con zelo, e non solo per rispetto nei +confronti di un cittadino austero e di nobile nascita, ma perché soggetti a una +vera e propria costrizione. Non avevo mai odiato tanto Euticleide, e non l’avevo +mai visto così chiaramente come un condottiero d’uomini. Ma perché ce l’aveva +tanto con me? Mi sentivo come se tutta la nostra famiglia venisse battuta e +torchiata come le olive sotto la pesante macina, che si muoveva lentamente, +inesorabilmente, riducendole a una poltiglia gocciolante. Ma la macina non è +capace di crudeltà: esegue solo il suo compito. +Mi appoggiai pesantemente al cancello, sforzandomi di riflettere. +Supponiamo, pensai ad un tratto, supponiamo che Euticleide abbia assassinato +Boutades per qualche motivo. Per denaro, magari. O supponiamo che ci fosse +qualche causa segreta. Forse Euticleide aveva sentito il bisogno di vendicarsi di +Boutades. Mi ricordai che Euticleide era arrivato in casa di Boutades +contemporaneamente a me dopo il delitto. Quindi poteva avere avuto il tempo di +uccidere Boutades, di andarsene e di ritornare. Però non mi era sembrato +ansimante. Ma perché avrebbe dovuto per forza essere ansimante? Il contatto +fisico con lui mi aveva insegnato quanto fosse forte. Certo la vista del sangue, +come nel caso del mio schiavo, non lo disturbava affatto. E disprezzava le +emozioni, per cui lo spettacolo di un vecchio amico o conoscente sgozzato a quel +modo non doveva averlo sconvolto troppo. E poi, ecco che si scagliava contro di +me, il debole difensore, per accertarsi che il delitto fosse attribuito ad un capro +espiatorio adatto e senza appoggi. Chi conduceva, in realtà, l’azione degli +accusatori? Euticleide. Chi faceva le domande, suggeriva le risposte, portava un +testimone? Sempre Euticleide. Nel rimuginare il passato, mi rendevo conto che +aveva occupato un posto di primo piano in tutte e tre le prodicasìe. +Stando così le cose, per Euticleide io ero solo un fragile ostacolo sul suo +cammino. E anche se fosse stato lui l’autore del delitto, cosa avrei potuto fare? + Non volevo pensare che l’assassino fosse lui. Avrebbe reso le cose troppo +difficili, come se mi avessero chiesto di abbattere una torre servendomi solo +delle mani. Ma non riuscivo ad allontanare tale sospetto. Era una tentazione +molesta nella mia mente, come un dente dolorante che si sente il bisogno di +premere con gli altri denti. +Starnutii varie volte. Il raffreddore mi stava tornando. Lasciai il cancello e +rientrai per scaldarmi un po’ al focolare. Il dito dello schiavo era stato fasciato +con affettuosa cura da Tamia, che ora stava servendo al poveretto del brodo +caldo. Egli alzò lo sguardo terrorizzato quando mi vide comparire, ma quando si +accorse che ero solo, la sua espressione si fece più rilassata e tornò a bere il suo +brodo. Cosa dovevo fare adesso con lui? Certo non era in grado di guidare il +carro con il carico di olio e di formaggi sulla via del ritorno; avrei dovuto farlo io +stesso più tardi. +Dopo essermi riscaldato, mi sentii troppo inquieto per restare in casa. Mi +aggirai tra i capannoni e attraverso i campi, cercando di pensare. Dissi a +Dametas, che trotterellava con precauzione in mezzo alle mucche, che quella +sera avrei portato via non solo le provviste necessarie per la casa, ma anche +quelle da vendere. Annuì placidamente, senza rendersi conto che intendevo +vendere quasi ogni cosa, lasciando noi tutti, padrone, famiglia, fattore, schiavi, +se non alla fame certo molto alle strette per il resto dell’inverno. Strinsi i denti. +Duecento dracme non erano una grossa somma, ma per me sì, tanto più che +dovevo versarle tutte subito! Maledetto l’inventore dell’usura! Soffermandomi a +riflettere, mi resi conto che avrei potuto contestare l’entità del debito, ma ormai +mi ero impegnato a pagarlo accettando la somma menzionata da Euticleide; +quindi, a questo punto, non sarebbe stato legale sporgere reclamo. E poi, il mio +creditore non avrebbe accettato passivamente un reclamo, su questo non c’erano +dubbi. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era un’altra lite o un’altra causa. +Seguitai cupamente a camminare per la fattoria mentre le ombre si +allungavano. Nel lento crepuscolo azzurrino mi trovai nel boschetto degli ulivi a +guardare i grossi alberi simbolo della vita quasi senza vederli. In fondo al +boschetto c’erano due alberi sacri dedicati ad Atena, un po’ discosti dagli altri. +Faceva buio sotto le piante, e soprattutto dove troneggiavano gli ulivi della dea. +L’unico rumore era il fruscìo delle foglie. Poi mi giunse un altro rumore +attraverso quel mormorio, come se qualcuno avesse strisciato leggermente +contro il tronco di uno degli alberi sacri. Mi diressi subito da quella parte. Poi mi +fermai. Tutto taceva. Mi mossi di nuovo, e udii di nuovo il rumore, come se +qualcuno si fosse mosso cautamente e rapidamente tra gli alberi. Mi pareva +addirittura di sentire uno sguardo su di me, qualcuno che mi fissasse alle spalle. +Mi girai senza far rumore, cercando di muovermi silenziosamente e guardando + gli alberi da cui proveniva il rumore e dove al buio, dietro i tronchi contorti, +qualcuno mi stava osservando. Mi voltai senza far rumore, ma il mio naso rovinò +la mossa. Starnutii due volte, molto forte, svegliando gli echi del boschetto. Una +voce bisbigliò: – Stefanos? – Questa parola così familiare, udita così di recente +in un’occasione violenta, mi fece drizzare i capelli in testa. Che pazzo ero stato a +venire in un luogo tenebroso da solo. Avrei dovuto rammentare l’avvertimento +di Aristotele. Non ero al sicuro nemmeno sulla mia terra. Euticleide, ad esempio, +non aveva trovato difficoltà a raggiungermi. +– Stefanos – ripeté la voce, giovane, canzonatoria. Rimasi fermo, per +affrontare il nemico nascosto nell’ombra. Ci fu un movimento dietro il tronco +contorto di un grande albero. Aguzzai gli occhi nelle tenebre. Dapprima vidi la +macchia bianca d’una faccia, poi l’intera forma di un uomo che veniva furtivo +verso di me per il viottolo oscuro in mezzo agli alberi. La figura si fece più +chiara. E allora, per poco non perdetti i sensi. Perché davanti a me nel boschetto +buio stava mio cugino. Filemone. Lo riconobbi senza ombra di dubbio, +nonostante quel che avevo detto a Sosibio sulla difficoltà di riconoscere +qualcuno nella semioscurità. Mio cugino Filemone. Proprio lui. +– Ciao, Stefanos. Come stai, a parte il raffreddore? +Corsi verso il mio caro cugino, che non rivedevo da due anni, e l’abbracciai, e +nel farlo emisi un acuto gemito di dolore. – Che cosa fai qui? – gli chiesi in una +sorta di disperato bisbiglio. – Per Zeus, re degli dei e degli uomini, per Atena, +dea di questo boschetto, non dovresti essere qui. Non sai che la tua vita è in +pericolo? +Filemone mi scostò da sé e sorrise in modo rassicurante. – È una lunga storia. +Sono felice che sia tu, Stefo. Sulle prime non distinguevo chi stava +avvicinandosi. Io sto bene. Sono stato soldato, so badare a me stesso. +– Ma perché sei qui? Sei stato bandito dalla città, e adesso sei accusato di +omicidio… +– Sì, sì, lo so. Ma… be’… tu non ci crederai, e temo che non ne sarai +contento, ma il fatto è che ho preso moglie… +– Sì – risposi spazientito – so tutto di questo. +Rimase sbalordito. – Cosa? Lo sai? Non è una sorpresa? Io credevo di farti +restare a bocca aperta. Bene, e così, naturalmente, sono venuto a vedere se mia +moglie e il bambino stavano bene. E anche a portarli fuori di Atene. Le cose +potrebbero mettersi male per loro, a quanto sento. +– Eccome – concordai decisamente. – Ma Melissa e il suo bambino sono al +sicuro. Li ho spediti sani e salvi fuori città. +– Davvero? E così non c’era bisogno che venissi, dopo tutto. Come sei stato +bravo, Stefanos! – La sua ammirazione era sincera. – Come hai fatto a sapere + tutto? Ma tu sei così intelligente, e anche Melissa, per essere una donna. +Immagino che avrete organizzato ogni cosa fra voi. Mi hai tolto davvero un gran +peso dal cuore, Stefanos. E io che mi preoccupavo… Dove si trovano, adesso? +– In cammino per la Macedonia, se gli dei li aiutano. +– Ma come… +– Sta’ zitto, per piacere – replicai con i nervi tesi. – Non è il momento di +chiacchierare. È alla tua salvezza che bisogna pensare. Tu sei al bando, accusato +di omicidio, denunciato come rinnegato e soldato dei Persiani, e sa il Cielo +cos’altro ancora qui ad Atene. Qualcuno vuole portarti via i tuoi beni, forse +anche la vita, e tu arrivi qui come se venissi a passeggiare! Suppongo che tra +poco vorrai andare in una delle botteghe da barbiere sul mercato per una bella +chiacchierata! Idiota che sei, dobbiamo portarti via il più presto possibile! +– Non parlare così di furia, Stefanos, non riesco a seguirti – protestò +bonariamente. – Sì, lo so che è un momento pericoloso. Siamo scivolati sul +fango. Non ci resta che tirare le redini e portare il carro all’asciutto. +Questo era mio cugino, ricordai, quello che parlava sempre nel gergo delle +corse o delle gare sportive. +– Ma non abbiamo tempo. Tu devi andartene. È stata una pazzia venire. Una +vera pazzia. Perché invece non mi hai mandato un messaggio? +– Ci ho pensato, ma non sapevo bene cosa dire, né come metterla nel caso che +il messaggio finisse nelle mani sbagliate. E volevo rivedere Melissa e il +bambino. E anche mia madre. Quando ho pensato che Melissa e il piccolo Likias +potevano essere in pericolo, per forza dovevo venire, era mio dovere. Sono già +stato qui prima, sai, e me la sono cavata sempre! +Mi venne in mente qualcos’altro che avevo dimenticato a proposito del +cugino Filemone. Era uno sciocco. Audace, sì, ma piuttosto sciocco. +– Puoi rinunciare all’idea di rivedere zia Eudossia questa volta – dissi +severamente. – Sta bene, ed è arzilla. Ma non ti voglio in giro per le vie di +Atene. Saresti catturato davanti ai miei occhi e giustiziato prima della fine del +mese. Incatenato pubblicamente alla gogna, poi strangolato o bastonato a morte: +è questa l’esecuzione per gli omicidi, lo sai. E sarebbe questa la tua sorte, +sempre che non arrivasse prima una folla patriottica furiosa contro i Persiani a +prenderti in consegna. +Gli enumerai tutte le cose più spaventevoli che mi venivano in mente, +sperando di riuscire a intimorirlo. Era sempre stato molto difficile mettere paura +a Filemone. Sembrava perplesso piuttosto che spaventato, come se stesse +giocando a guardie e ladri e lo avessero scoperto. +– E che ne sarebbe di me? – continuai insistendo su quell’argomento. – +Rischio la vita se si diffonde la notizia o anche solo il sospetto che ti ho offerto + asilo. Non devi andartene in giro a pavoneggiarti rendendoti ridicolo. Se tu vuoi +morire, fa’ pure, ma io non voglio. Ho dovuto parlare in tuo favore alle +prodicasìe e dovrò difenderti al processo. Dobbiamo restare vivi entrambi, se +vuoi che la zia Eudossia conservi il suo patrimonio e tua moglie e tuo figlio la +loro vita e il loro buon nome! +– Oh – disse senza capire. – Pensavo che sarebbe stato magnifico rivederti, +Stefanos. E adesso sei arrabbiato con me. Non arrabbiarti. Me la sono cavata +magnificamente e farò tutto quello che mi dici. +– Bene. Lasciami pensare. Dove sei stato oggi? +– Ho gironzolato per la fattoria. Sono stato in quella piccola foresta lassù e +sono venuto qui solo all’imbrunire. Pensavo che magari avrei potuto dormire in +un capannone. Mi è sempre piaciuta la fattoria, e sapevo dove mi trovavo, sai, +non mi sono perso per strada. Vedi, sono arrivato al Pireo stanotte in cerca di +Melissa, ma lei non c’era più e la casa era bruciata. È stato un colpo per me, +posso ben dirlo! Poi sono venuto qui, prima dell’aurora, tenendomi fuori delle +mura. Pensavo di stare nascosto per un po’ e poi magari venire a cercarti una +notte. +– Nessuno ti ha visto? +– Che io sappia, no. +– Speriamolo. Ma dovremo correre il rischio. Che facciamo adesso? +– Puoi darmi un posto dove dormire qui alla fattoria? Poi, domani… +– Ma quale domani! Dobbiamo andarcene subito. Stanotte. +– Ma… +– Sta’ zitto e fammi pensare! +Mentre io starnutivo, mi stringevo la testa e pensavo, aspettò pazientemente, +proprio come quando, da bambino, aspettava che inventassi un nuovo gioco. +– Hai del denaro? – gli domandai. +– Sì, un po’. Non molto, circa dieci dracme. +– Non basta. Suppongo che te la sentirai di cavalcare per un lungo tratto. +– Sì che me la sento! – rispose fieramente. – Lo facevo già da bambino, ti +ricordi, e mi sono impratichito nell’esercito. Ho badato ai cavalli per un po’. +– Bene –. Se riusciva a restare a cavallo per due stadi, potevo contare sul suo +talento naturale e la sua resistenza e farlo cavalcare per un centinaio di +parasanghe, sempre che non facesse spezzare le zampe al cavallo per +imprudenza. +– Bene! – dissi. – Per il momento, ti nasconderò nel fienile. Poi salirai di +nascosto su un carro e andremo via. Dovrai stare assolutamente zitto, non aprire +neanche bocca finché non ti dico che puoi farlo. Va bene? +– Sì. Tu farai abbastanza rumore per due, fra gli starnuti e il respiro da + vecchio brocco. +Era vero. L’infreddatura mi si era concentrata in gola. Tossii a più riprese, +poi, facendogli ripetuti cenni di silenzio, lo condussi per il boschetto e attraverso +un campo, fino ad una stalla che alloggiava mucche e capre da latte, e lo nascosi +fra la paglia. Poi tornai da Dametas e gli dissi bruscamente: – Ho bisogno di +portare via con me quanti più prodotti da vendere sia possibile. L’uomo che era +qui oggi mi fa pressioni per un debito che deve essere pagato subito. +– Oh, tesoro mio – disse Tamia. – Quell’omaccione! Non mi è piaciuto per +niente. +Ignorai la sua simpatia. – Ci ho pensato su e ho deciso. Prenderò il carro più +grande e due muli. Voglio che ci siano messi sopra prima di tutto gli orci +dell’olio, imballati bene con paglia pulita. I formaggi e i rotoli di tessuto possono +essere messi intorno agli orci. Porta il carro vicino alla stalla. Io prenderò i muli +e poi penserò all’olio. +Dametas osservò che era così tardi che avrei fatto bene a dormire alla fattoria +e ripartire il giorno dopo. +– No – dissi fermamente. – Devo andarmene stanotte. Penso di poter vendere +a buon prezzo la roba a un tale che conosco dalle parti di Megara. Manderò ad +avvertire a casa. +Mi rivolsi allo schiavo che si era tagliato un dito, dicendogli di andare a casa +e informare mia madre che giudicavo necessario effettuare una grossa vendita +nel più breve tempo possibile, e che andavo a Megara col carro della fattoria. +Potevo restare lontano quattro o cinque giorni, ma non doveva impensierirsi se +ritardavo. Lo schiavo rimase colpito da questo messaggio, e lo ripeté con grande +attenzione. +– Se viene qualcuno a reclamare per il debito – aggiunsi – mia madre deve +dirgli che sistemerò tutto il più presto possibile –. Gli diedi qualche obolo, per +consolarlo della sua ferita. Fui grato che stesse abbastanza bene da mandarlo a +riferire un messaggio, ma non tanto da sperare di accompagnarmi nel mio +viaggio. Poi, rapidamente e freddamente, scelsi le giare d’olio, quasi tutte quelle +che avevo, i rotoli di panno e i formaggi. Gli schiavi andavano e venivano, +collocando ogni cosa con attenzione sul carro. Venne buio del tutto e +terminammo il lavoro alla luce delle torce. Continuavo a starnutire di tanto in +tanto. Se fossi stato io invece di Filemone a nascondermi in mezzo alla paglia, +senza alcun dubbio sarei stato scoperto persino da Tamia. Risistemai con cura il +carico a mio piacimento, assicurandomi che rimanesse spazio sufficiente per un +uomo disteso. +Finito il lavoro, consumai un rapido pasto e accettai l’offerta di Dametas di +un vecchio mantello di lana che portava per lavorare in campagna. Era un + indumento pesante, di lana sudicia e non troppo profumato (odorava di Dametas +e letame), ma molto caldo. +Ora veniva la parte più difficile. Dametas e Tamia mi accompagnarono al +carro, come sapevo che avrebbero fatto. Rimandai indietro Tamia col pretesto di +un vaso di miele, e chiesi a Dametas di aprirmi il cancello. Appena ebbero girato +la schiena, feci un debole fischio e Filemone saltò fuori. Lo spinsi sul carro, lo +coprii con la paglia e ci misi sopra del panno e dei formaggi. Era quasi tutto +coperto quando Tamia ritornò. Presi il barattolo di miele e lo cacciai con troppa +foga dietro un ginocchio di Filemone. Vi fu un lieve grido, ma Tamia non lo udì, +e mi diede delle provviste per il viaggio. Proprio mentre Dametas stava +tornando, notai che un piede di Filemone sporgeva fuori. Lo ricoprii in fretta, +come potevo, con un pezzo di stoffa. Lentamente ci mettemmo in marcia, con +Dametas che reggeva una torcia per farmi lume. Era molto scuro, ma nel +riverbero della torcia scorgevo ancora l’alluce di Filemone. Il fattore mi fece +addii e buoni auguri presso il cancello, ed io m’incamminai in testa al convoglio, +guidando i muli e sollecitandoli. Mi augurai che fossero molto resistenti. Fuori, +sulla strada, la luce della luna consentiva una certa visibilità, e riuscii persino a +scorgere la forma del piede di Filemone che sporgeva fuori da sotto il pezzo di +stoffa. Grazie al Cielo il mio fattore era quasi cieco, e sua moglie quasi cieca e +anche sorda. + XV +Viaggio in Eubea + + + + + +Avanzavamo lentamente sul sentiero, io con i muli e Filemone dentro il carro. +Avevo detto al fattore e fatto riferire a mia madre che andavo in direzione +dell’oriente, oltre l’Imetto, verso Megara, e speravo che i curiosi ci avrebbero +creduto. Io sarei andato nella direzione opposta. Ma quando pensavo ad +Euticleide, sentivo un peso sul cuore. Avrebbe chiesto di me? E cosa sarei stato +in grado di pagargli alla fine di questo viaggio? +Era veramente un’impresa disperata. Ne dipendeva la vita di Filemone, e +forse anche la mia. Il meglio che potessi sperare, se il mio piano riusciva, era la +mia completa rovina finanziaria o qualcosa di molto simile, e tutto perché il mio +spericolato cugino si era intestardito a voler tornare nella rete. +Dopo aver percorso circa otto stadi mi fermai, in modo che Filemone +prendesse una boccata d’aria e si stirasse le membra, e io potessi ricoprirlo +meglio di paglia. +– Sono tutto un crampo – si lamentò lui. +– Non farci caso – ribattei io. – Potresti stare peggio. Stavolta ti nasconderò +completamente. +Lui non fece obiezioni, ma chiese sommessamente, – Dove andiamo Stefo? +– Non te lo dirò finché non ci avrò riflettuto bene. Ci sto pensando, se sai +cosa voglio dire. +– Più che altro starnutisci – ribatté lui. +Io mi limitai ad aggiungere, – Devo portarti lontano da Atene. +– Lontano? Andando così piano? Argh! – Risalì sul carro e disse, – Stefanos, +suppongo che avrò bisogno di urinare durante il viaggio. +– Non azzardarti ad urinare su quei formaggi – dissi arrabbiato. Poi mi calmai +e aggiunsi, – Se vuoi farmi un segnale perché mi fermi, sposta quel vasetto di +miele avanti e indietro per tre volte. Ma sta’ attento, avvisami in anticipo. Sei un +uomo e un soldato, e dovresti essere in grado di tenere a freno la tua vescica. +Filemone ridacchiò e si distese sotto la paglia, i formaggi e i rotoli di stoffa. +Io continuai a trascinarmi stancamente per tutta la notte, starnutendo o tossendo +quando ne avevo necessità. La notte era serena, ma fredda. Eravamo nel mese di +Poseidone inoltrato, eppure in quell’aria limpida mi sentivo la testa più sgombra + e riuscivo a concentrarmi. +In un primo tempo avevo pensato di trasportarlo attraverso la Beozia finché +non avessimo raggiunto Melissa e il suo gruppo. Ma sarei rimasto lontano da +Atene troppo a lungo. Melissa e la sua scorta ci precedevano di troppo, e noi +eravamo costretti ad andar piano. La cosa migliore da fare sarebbe stata +accorciare le distanze, mandando Filemone da solo attraverso strade per le quali +sarebbe potuto passare più facilmente inosservato. Prima del mattino avevo +riesaminato il mio piano diverse volte senza trovarci difetti, salvo quello di +essere difficile e pericoloso. Ma qualsiasi alternativa era altrettanto difficile e +pericolosa. +Ci fermammo in mezzo alla nebbia dell’aurora. Feci nascondere Filemone +dietro una macchia di cespugli, e divisi con lui il pane e il vino. Poco dopo +passarono un paio di campagnoli, che mi guardarono senza curiosità. Mi resi +conto che seduto lì, con addosso il vecchio mantello sporco di Dametas e gli +occhi rossi e lacrimosi, sembravo anch’io un lavoratore dei campi, e +probabilmente più vecchio di quanto fossi. Questo mi suggerì un’idea. Seduto lì, +masticando il mio pane, mi rivolsi ai cespugli tra cui era nascosto Filemone. – +Andiamo in Eubea – dissi. – Melissa e gli altri sono in cammino verso la +Macedonia, con una scorta di uomini di Antipatro. Dovrebbero arrivare a Pella +all’inizio della primavera. Ti comprerò un cavallo a Calcide, e tu dovrai +continuare il viaggio da solo attraverso la Tessaglia in direzione della +Macedonia. Il tuo nome è Leandro, sei un soldato ferito che torna dalla guerra, in +cerca della moglie che lo crede morto. Adesso ripeti tutto. +Il cespuglio obbedì, sussurrando docilmente. Aveva imparato tutto alla +perfezione. +– Ma come ha fatto Melissa… +– Ssst! Te lo spiegherò poi, se c’è tempo. +Scrutai attentamente in tutte le direzioni, e poi feci salire in fretta Filemone +sul carro. Ma mentre lo ricoprivo, vidi nella luce dell’aurora qualcosa che mi +arrestò un momento. Sulla sua faccia, a sinistra, dove la guancia incontra +l’attaccatura dei capelli, c’era una cicatrice, non recente, ma senz’altro una +cicatrice, lunga quasi quanto il mio pollice. Seguitai il cammino riflettendo +tristemente. +Bisognava percorrere molte salite e allungare di molto il cammino, passando +per i sentieri serpeggianti tra le colline. Avevo paura di far scendere Filemone +dal carro per alleggerire il carico. Più o meno a metà strada verso Dekelia, trovai +la capanna vuota di un taglialegna e le ceneri di un fuoco. Raccolsi quelle più +chiare e me le strofinai tra i capelli, per somigliare a un uomo con la testa +brizzolata; poi, specchiandomi in una pozza, mi sentii soddisfatto del risultato. + Strofinai anche la faccia di Filemone con ceneri miste ad olio, in modo che +apparisse olivastro e sudicio, con una carnagione da contadino che non vedeva +un po’ d’acqua da parecchio tempo. Adesso, se ci fossimo seduti sul ciglio della +strada, anche lui avrebbe avuto l’aspetto giusto. Questo trucco aiutava anche a +nascondere la sua cicatrice, di cui non feci parola. Mi sarebbe piaciuto avere un +altro mantello come quello di Dametas, e il mio desiderio fu esaudito. Forse la +mia fortuna durava perché continuavo a offrire libagioni alle divinità di ogni +boschetto o ruscello presso il quale passavamo. Era meglio non correre rischi. +Ad ogni buon conto, fuori da Dekelia trovai un vecchio contadino, che mi +vendette il suo logoro mantello per tre oboli e una piccola forma di cacio. Distesi +sul carro il mantello che portavo, e mi misi quello «nuovo». Non aveva un buon +odore, ma dichiarai che era molto più caldo, e il vecchio ed io ci separammo con +reciproca soddisfazione. +Ero veramente contento, anche se ben presto dovetti cominciare a grattarmi. +Evidentemente le pulci dovevano aver goduto per qualche tempo del tepore del +mantello. Anche Filemone fu contento, quando gli diedi il mantello di Dametas e +gli permisi di scendere dal carro per fare quattro passi. Disse che Dametas gli +stava simpatico e che il suo odore non lo infastidiva. Trovò il travestimento +addirittura divertente. Era sempre pronto a godersi qualsiasi novità gli si +presentasse. +Proseguimmo il cammino quanto era possibile, fermandoci a riposare solo al +tramontare della luna. Dormimmo sulla paglia del carro sparsa per terra, avvolti +nei nostri mantelli da contadini. Io mi ridestai molto presto e scrutai il cielo +sopra di noi, dove la costellazione di Orione stava sparendo all’approssimarsi +dell’aurora. +Rammentai che da bambini durante le placide notti d’estate, Filemone e io +dormivamo all’aperto o restavamo svegli a chiacchierare delle bravate compiute +o ancora da compiere. Sembrava che le nostre vite si fossero allontanate, e +invece, eccomi qui insieme a Filemone. +– Sei sveglio, Stefo? +– Filemone – dissi d’un tratto. – Come ti sei fatto quella cicatrice? +– Questa? Oh, un colpo di spada. Niente di serio. Ti ho detto che sono stato +soldato. +– In quale battaglia? +– Nella battaglia di Isso, presso il fiume Paia. Devi averne sentito parlare. +– La battaglia di Isso? Oh, Filemone, come hai potuto? +– Cosa intendi dire con come ho potuto? È stato facile. Molti Greci si sono +arruolati. Io l’ho fatto appena giunto in Asia, e ho seguito la marcia con i +migliori. È stata una grande battaglia, Stefo, non sarei mancato per nulla al + mondo. +– Migliore delle risse nelle taverne, suppongo. +– Ah, non farmi la predica. Sei solo geloso. Avresti dovuto vedere quei +Persiani come scappavano! E Dario per primo, via come una lepre. Brutta figura +per un re, no? +– Allora… Tu non combattevi dalla parte dei Persiani? +– Cosa vuoi dire? – La sua voce si levò bellicosamente dalle tenebre. – No di +sicuro! Hai creduto una cosa simile? +– Non sapevo cosa pensare –. Gli riferii i dettagli dell’accusa nell’ultima +prodicasìa. – E poi – aggiunsi, – visto che avevi effettivamente una cicatrice… +Ho cominciato a temere… +– Sciocchezze. Quasi tutti riportano delle ferite in battaglia. Sosibio non me +lo ricordo, ma io non ero proprio in prima linea. Feci un bel po’ di caccia ai +Persiani, però. Dopo la battaglia, Alessandro congedò una buona parte delle +truppe greche. Peccato, proprio quando cominciavo a divertirmi. Troppi +Macedoni in giro. Mi piacerebbe arruolarmi in un’armata tutta di Greci, ma il +capo sa quello che fa. Visto che ero ferito, sono stato tra i primi ad essere +congedati. E più tardi sono passato per Sidone, questo è vero. +Lo interrogai sulla conversazione avuta a Sidone. Gli pareva di ricordarsi +qualcosa del genere, ma aggiunse di aver parlato a troppi soldati e marinai per +poterseli rammentare. Mi diede il nome del suo capitano macedone, ed io me lo +impressi nella memoria. +Ora che stavamo discorrendo, volevo sapere tutto. Dovevo conoscere la +verità. In un certo senso, la verità non avrebbe potuto fare alcuna differenza: +avrei dato tutto, persino il mio sangue se necessario, per salvare Filemone, anche +se di omicidi ne avessi commessi sette, ma volevo sapere. +– Filemone – dissi, – sapevi che Boutades conosceva Melissa di vista? +– Sì, ma volevo domandarti, Stefanos, com’è che anche tu conosci Melissa? +Narrai brevemente i miei incontri con Nusia e la sua padrona, senza +accennare ai miei dubbi circa la legalità del matrimonio. +– Tutto questo è tipico di Nusia. Sa come cavarsela nelle difficoltà –. +Filemone era molto compiaciuto. – E la cosa ha avuto un lieto fine. Sì, sapevo +che Boutades conosceva Melissa, un po’ più che di vista anzi per la verità, ma +senza niente di male. Voleva adottare Likias. Figurati! +– Cosa pensasti… +– Oh, mi parve buffo quando Melissa me lo riferì. Capivo benissimo come +uno potesse perdere la testa per Melissa a prima vista; ma Boutades sembrava +impazzito anche per il bambino. E quando lei gli spiegò di essere già sposata, +voleva adottare me. Te lo immagini? Io vestito con grande eleganza a fare il + fannullone nella sontuosa casa di Boutades? Cosa avrebbe pensato mia madre, +poveretta? Ovviamente, Boutades fu molto gentile e generoso in tutta questa +storia, ma non mi piaceva granché. Pensavo che doveva avere qualche rotella +fuori posto. E così, con i dovuti modi, gli dissi di no. +– Cosa? Vuoi dire… che lo incontrasti? +– Sì. Ci incontrammo una volta a Egina, all’inizio dell’estate scorsa, molto +civilmente. Le donne non ne sapevano nulla. Pensavo che potesse essere un +imbroglio. Così non ci incontrammo sull’isola; io rimasi su una barca. Ma non +era un imbroglio. Boutades parlò in tono molto lusinghiero di tutti i suoi beni e +del denaro che aveva. +– Ti parlò di questo? +– Sì, in dettaglio. Aveva persino una lista con sé. Sembrava molto fiero di +tutto ciò. Seguitava a dire che era un uomo facoltoso. Rimasi veramente stupito +di quanto fosse ricco. Mi elencò persino una lista di crediti che aveva –. +Filemone ridacchiò, un po’ a disagio. – Sai, mi raccontò una storia molto strana. +Pare che avesse un amico, e che circa due anni e mezzo fa questo amico si fosse +messo nei guai. Aggredì una povera schiava di una fattoria lungo la strada per +Megara. La picchiò a tal punto da lasciarla quasi in fin di vita, e quella rimase +completamente sciancata. Quella schiava era la preferita della famiglia, e loro +insistettero per essere risarciti. Questo amico aveva investito tutto il suo denaro +in navi da carico o roba del genere, quindi Boutades gli prestò il denaro per +pagare, e dovette pagare tanto, perché voleva che tutto passasse sotto silenzio e +restasse fuori dal tribunale. Parte di questo prestito doveva ancora essergli +restituito, una grossa somma. Boutades mi raccontò questa storia come se fosse +stata un buon investimento. Che ne pensi? +– Non mi piace. +– Nemmeno a me. Una storia veramente scabrosa, eh già. Eppure, aveva +molte ricchezze ed era un cittadino molto potente. Parlò di ottenere un’amnistia +per me entro poco tempo. Quella sì che era una tentazione, te lo dico io! +– Ma perché voleva proprio te? +– Non ne ho idea. Non so perché ci tenesse tanto a me. Forse perché è, cioè +era, così attaccato all’idea di una discendenza. Polignoto non si è mai sposato, +vero? Questo è stupido da parte sua. Io, invece, ho fatto il mio dovere da buon +cittadino. Pensaci anche tu, Stefanos. In un certo senso, sono maggiore di te ora, +essendo marito e padre. +– Filemone, voglio farti una domanda, e tu devi dirmi la verità giurando +solennemente sugli dei. Io, a mia volta, giurerò di spendere le mie sostanze e +anche il mio sangue per metterti in salvo e riabilitare il tuo nome, qualunque sia +la risposta. + – Sei così maledettamente serio, Stefanos! Saresti bravo come avvocato. Hai +la voce giusta per fare il rètore, solenne, enfatica e piena di parole. +– Giura! – lo sollecitai. Giurammo entrambi nella forma più solenne mentre +spuntava l’aurora. +– Ecco la domanda – dissi con un respiro profondo. – Hai ucciso tu Boutades? +– No! – esplose Filemone con voce tonante. Nella pallida luce vedevo il suo +viso sporco che mi guardava con occhi indignati. – Per il padre Zeus e per tutti +gli dei, no! E così, il mio stesso cugino pensa che me ne vado in guerra +vendendomi ai Persiani, e poi ritorno per uccidere un vecchio nella sua camera! +E perché poi? Perché questo vecchio voleva adottarmi e io sono allergico ai +padri adottivi ricchi, suppongo. Bel cugino che sei, a pensare queste cose orribili +di me. Per Diòniso, mi piacerebbe prenderti a pugni! +Mi stava sopra, infiammato di rabbia. Mi alzai, ma appena fui in piedi mi +diede una botta nello stomaco e crollai in terra. – Avanti – disse agitando i pugni +e trotterellando di qua e di là come un pugile. +Mi attaccai alle sue ginocchia come un supplice. – Pace! Per favore, +Filemone! Sono veramente dispiaciuto, ma non ti sarò molto utile se mi metti +fuori combattimento! +Mi guardò infuriato e poi si mise a ridere. Mi aiutò a rimettermi in piedi, ma +ormai ridevamo entrambi così di cuore che ricademmo seduti a ridere insieme. +Non ero così felice da mesi. La cosa peggiore di tutte era stata il crescente +terrore segreto che mio cugino fosse l’assassino di Boutades. +– Ora, fra amici e senza giuramenti – dissi quando ebbi ripreso fiato, – +dov’eri la notte del delitto? Ad Atene? Qualcuno ha potuto vederti? +– Fra amici, e ancora sotto giuramento – rispose, – qualcuno potrebbe avermi +visto ad Atene un paio di giorni prima, quando andai a trovare mia madre, o al +Pireo la vigilia dell’assassinio. Sai, è curioso: avevo pensato di tornare a rivedere +ancora mia madre, ma d’un tratto mi è tornata la prudenza, e così dopo il +crepuscolo mi sono avviato verso Idra. +– Prudente… tu? +– Sì. È un effetto della paternità – mi spiegò. – Ho la fortuna di avere alcuni +amici fra i battellieri. Be’, non sono proprio amici magari, e come battellieri +sono piuttosto strani. Non sono in buoni rapporti con la legge, credo. Sono un +po’ schivi, come lucertole che corrono a nascondersi nelle fessure. Un attimo +prima li vedi, l’attimo dopo non li vedi più. Ho il sospetto che alcuni di loro +siano Spartani, e per di più fuorilegge. Se non fai domande a loro, loro non ne +fanno a te. +– Ma potrebbero fornire delle prove. Chi sono? Come si chiamano? +– Non verrebbero mai in un tribunale, caro Stefanos. Sono troppo timidi per + questo. Comunque, due di loro sono noti con i nomi di Fidia e Fidippide quando +sono in città. Non mi arrischierei a dire che questi bei nomi siano i loro nomi +veri. Se vuoi metterti in contatto con loro, va’ da Simonide il vasaio, sulla piazza +del mercato. Di’ solo «I vasi rossi non devono essere infornati durante la fase +sbagliata della luna», e incidi l’immagine di un albero su un frammento di vaso o +una tavoletta. Lui lo interpreterà come un ordine, e chiederà dove dovranno +essere consegnati i vasi, e qualcuno si presenterà da te. È tutto quello che so, ma +bada bene, io non ho mai incontrato Simonide. La zona del mercato è troppo +pericolosa. +Avrei voluto seguitare a discorrere con questo cugino e amico ritrovato, ma la +luce dell’aurora era ormai chiara, e dovevamo rimetterci in cammino. +Quel giorno camminai con molta allegria, cantando spensieratamente. La +difesa della zia Eudossia era giusta! Ma lei non lo sapeva. Filemone non era ad +Atene. Non era lui il colpevole. Ero immensamente grato che la visione di un +insolito Filemone che commetteva un orrendo crimine fosse svanita per sempre +dalla mia mente. +Sarebbe troppo lungo esporre le nostre avventure lungo la strada. Fu un +viaggio tedioso e disagevole, soprattutto per Filemone. Via via che ci +allontanavamo da Atene, lo lasciavo venir fuori più spesso, il che ci facilitava le +cose sulle salite. Tuttavia, fare piccole soste, ad esempio per comprare delle +provviste, mi sembrava pericoloso. Passammo altre due notti nella stessa +maniera della prima. Una notte piovve, e mi tornò il raffreddore. Nel buio +avevamo modo di parlare, e Filemone mi narrò tutti i suoi vagabondaggi e le sue +varie imprese. Io gli raccontai ciò che era accaduto ad Atene con riferimento a +lui, e sottolineai l’aiuto ricevuto da Aristotele nel far fuggire Melissa. Filemone +non conosceva il filosofo, e non parve molto colpito dal mio racconto. – Mi +sembra un buffo vecchietto – disse con sufficienza, – ma lo ripagherò, puoi +starne certo. Si è comportato molto bene con noi. Dev’essere un gran parlatore, +no? Quei vecchi filosofi stanno sempre seduti a sentenziare. +– Aristotele non sta seduto, lui è un peripatetico. +– Be’, allora a passeggiare e a sentenziare. Cercano di apparire importanti coi +sillogismi e i giri di parole. Perché non chiamiamo uno specchio di bronzo +specchio di bronzo e un pezzo di sterco pezzo di sterco, e così via, e la facciamo +finita? Bisogna stare attenti a questi sofisti. Ti dimostrano che il bianco è nero e +te lo fanno anche credere, se gli dai retta. +Proseguimmo attraverso l’Attica e oltre i confini della Beozia verso lo stretto +dell’Epiro, e Filemone continuò a viaggiare ingloriosamente nascosto. Quando +eravamo troppo vicini alle case perché potessi parlargli, a volte mi mettevo a +cantare per tenerlo allegro e informarlo di cosa c’era intorno. Cantavo agli orci + pieni d’olio: + +Siamo in Beozia adesso, mm +e alcuni di questi Beoti vivono presso l’oceano +e altri sulle colline, mm, oh! + +Quando attraversammo Orinto, cantai quasi sussurrando, per avvertirlo di +restare nascosto. Il vasetto di miele cominciò a spostarsi e a ballonzolare avanti e +indietro: il segnale convenuto. Continuai a cantare e a borbottare con la voce +arrochita dal freddo: + +Piacerebbe anche a me fare un bel bisogno, +ma non posso ancora, no… no…. mm. +È veramente da maleducati urinare in un mercato, +sì, è veramente da maleducati +e anche piuttosto pericoloso. +Non voglio offendere nessuno. +Uomo avvisato mezzo salvato… mm. +Ma non posso restare qui a lungo. + +Ero irritato con Filemone, perché il suo segnale significava che dovevamo +passare rapidamente attraverso Orinto, e io avevo programmato di comprare del +pane e del vino in questa città. Ma quando fermai il carro, lui rise +sommessamente, e disse che l’aveva fatto per vedere cosa avrei fatto o cantato. +Scendemmo verso Delio e seguimmo il sentiero sulla costa avvicinandoci allo +stretto dell’Epiro, dove l’oceano si comporta in modo strano, salendo e +scendendo di livello parecchie volte al giorno a intervalli irregolari. Ed ecco +davanti a noi il grande ponte dell’Eubea. Ne avevo sentito parlare spesso. La sua +costruzione era stata giudicata una grande impresa quand’era avvenuta +ottant’anni prima. Questo ponte aveva dato ai Beoti, e non agli Ateniesi, il +dominio dell’Eubea. Ad ogni modo, per un uomo considerato un criminale dagli +Ateniesi l’isola era pericolosa, sebbene non quanto l’Attica. Gli Ateniesi +avevano rapporti commerciali con l’Eubea, e ovviamente anch’essa ormai aveva +aderito all’alleanza con i Macedoni. Se si fosse venuto a sapere che un criminale +Ateniese accusato di omicidio era passato attraverso l’Eubea e gli era stato +offerto un qualsiasi tipo di assistenza, Atene avrebbe potuto riunire tutti i Beoti +presenti entro le sue mura e minacciare di condannarli al pagamento di una +sanzione; nessuna città vicina sarebbe stata ansiosa di lasciare che un cittadino +considerato criminale in Atene se ne andasse in giro libero e impunito. +Tuttavia la Beozia era sempre più sicura dell’Attica, se non altro perché +nessuno avrebbe sospettato che Filemone si trovasse lì. Ma dovevamo essere + prudenti. +Subito dopo l’aurora attraversammo il grande ponte. Mi diede una curiosa +sensazione guardare in giù e vedere l’acqua del mare muoversi sotto di me da +entrambi i lati. Non avevo mai visto niente di simile prima d’ora. +Mentre ci avvicinavamo, Calcide, il capoluogo dell’Eubea, la città della +lavorazione dei metalli, appariva imponente nella luce del primo mattino. Di +fronte a Calcide, sulla sponda beota dello stretto, vidi un’altra città innalzarsi +bianca sulla cima di un colle. Doveva essere Aulide, la famosa Aulide, dove era +stata sacrificata Ifigenìa. Immaginai lo stretto ingombro delle navi di +Agamennone in attesa del vento. Come avevano fatto le donne di Calcide ad +andare ad Aulide, sull’altra riva, a chiedere misericordia per la vittima e a +piangere insieme a lei? Allora il ponte non esisteva. Mi tornarono in mente +alcuni versi della tragedia di Euripide: Ifigenìa che diceva appassionatamente, +«In verità, il piacere più dolce dell’uomo è guardare il sole», e il fosco +ammonimento di Achille: «Ricordate, la Morte è una cosa spaventosa». +Attraversammo Calcide il più furtivamente possibile, una città prosperosa con +le case decorate a stucco nuove e scintillanti. Mentre passavamo davanti alla +bottega di un macellaio, raccolsi da terra un pezzo di interiora di maiale, un +frammento sanguinolento di budella. Il mio appetito crebbe; non avevo niente da +mangiare per quel giorno, ma tenni il minuscolo pezzetto di carne nel palmo +della mia mano. +Dopo un’ora di cammino da Calcide, in un tratto di campagna dove si +vedevano delle fattorie in lontananza, trovai un posto riparato tra gli alberi e feci +uscire Filemone dalla sua prigione di paglia pungente. +– Un po’ d’aria fresca finalmente! Per Diòniso, sono tutto accartocciato come +una foglia di prezzemolo! Dove siamo? +Glielo dissi, senza perdere tempo a citargli Euripide. Normalmente Filemone +non si interessava mai alle discussioni di argomento letterario. Ma provò un +certo interesse per il ponte. +– Avrei voluto vederlo, e avrei visto volentieri anche Calcide. +– Be’, non puoi. E devi restare qui. Promettimi che te ne starai seduto qui +tranquillo all’ombra di questi alberi avvolto nel tuo mantello, e non muoverti +finché non torno. +– All’ombra dici? Stefo, non siamo in estate, caso mai non l’avessi notato. Fa +un freddo da gelare. Perché dovrei starmene seduto all’ombra? +– Non voglio che qualcuno ti veda – spiegai pazientemente. – Avvolgiti nel +mantello. Puoi prendere la borraccia del vino. Siediti e cerca di non farti notare. +Voglio che tu abbia l’aria di un contadino che ha bevuto a colazione e sta +facendo un sonnellino. + – Oh, per me va bene, se posso avere il vino. +– Adesso – annunciai, – cambierò aspetto anch’io –. Disegnai una linea sul +mio braccio destro con un pezzetto di carbone, e poi, col sangue di maiale del +piccolo frammento di interiora, dipinsi lungo di essa una lunga ferita sottile. Il +sangue si asciugò rapidamente nell’aria gelida, dando così l’impressione che +avessi una ferita che aveva appena cominciato a guarire, quel tipo di ferita che +lascia una cicatrice permanente. Mangiai un po’ di pane e lasciai il resto a +Filemone. Poi, dopo avergli dato le ultime istruzioni perché stesse lì seduto ad +aspettarmi, girai il carro con le mule e tornai a Calcide con il mio carico. Uno dei +primi posti che vidi sulla via del mercato fu una bottega di barbiere. Provai una +gran tentazione di farmi tagliare la barba e i capelli e di darmi una lavata. Mi +sentivo sudicio e a disagio, e le pulci del mantello del contadino si erano +completamente abituate a me. Entrai dentro il negozio, ma all’interno mi vidi +riflesso per un istante in uno specchio di bronzo. La mia immagine era così +irsuta, così spaventosa, che mi bloccai. Per un secondo non capii nemmeno di +stare guardando me stesso. La mia esperienza fu completamente diversa da +quella di Narciso. Lasciai frettolosamente il negozio. Se io stesso stentavo a +riconoscermi in queste misere condizioni, per chiunque altro sarebbe stato molto +più difficile, e chiunque avesse descritto questa persona a Calcide non avrebbe +fornito una descrizione propriamente accurata di Stefanos di Atene. Le mie +escursioni al Pireo mi avevano indurito lo spirito. Non m’importava più di +apparire una persona di bassa estrazione. Anche la «cicatrice» mi sarebbe stata +utile. Ricordandomi di Sosibio, mi era venuto in mente che gli uomini ricordano +più facilmente segni caratteristici strani piuttosto che tratti veri ma ordinari. +Dal momento che quanto avevo da fare a Calcide doveva svolgersi in +pubblico, era meglio che mi ricordassero come un campagnolo sudicio e irsuto, +con una ferita sul braccio impossibile da collegare al lindo Stefanos, le cui +braccia erano assolutamente integre. Guidai il mio carro verso la piazza del +mercato, e mi diedi da fare ad annunciare la mia merce. +– Olio! Buon olio fresco dall’Attica! +Gli affari andarono bene; ben presto mi ritrovai a porgere orci, a ritirar denaro +e a dare il resto. Il mio braccio mostrava costantemente ai miei clienti il suo +solco macchiato di sangue. +– Come te la sei procurata? – volle sapere uno di loro. +– È stato un amico con un coltello – risposi seccamente. +– Bell’amico! Ecco, questa è l’amicizia attica! – Non sprecai il mio tempo a +difendere la mia città davanti a quei forestieri. Mi sentivo strano a trovarmi in +una città straniera; i suoi bei monumenti sembravano diversi dai nostri, e persino +alcune delle lettere delle iscrizioni erano scritte diversamente. Non avevo + viaggiato molto prima di allora, e desiderai avere un po’ di tempo libero per +andarmene in giro ad esplorare la zona. Fui persino tentato, quando alcuni dei +migliori barattatori cercarono di offrirmi degli oggetti in bronzo di Calcide di +elegante fattura, ma il denaro, denaro contante, era quello che mi serviva. +La qualità dell’olio dell’Attica è assai rinomata, e il nostro era così buono che +finii la vendita più presto di quanto mi aspettassi. I formaggi e i rotoli di panno +furono più difficili da vendere: alcune forme erano rimaste schiacciate nel +viaggio, e la stoffa aveva un aspetto meno invitante così coperta di polvere. Ad +ogni modo, dopo un po’ mi disfeci anche di queste e potei quindi uscire dalla +città. Una volta tanto, mi concessi il lusso di viaggiare seduto sul carro vuoto, e +mangiai un pezzo di una delle forme di formaggio schiacciate che non ero +riuscito a vendere. +Era ancora presto nel pomeriggio quando giunsi al boschetto da Filemone. Ed +eccolo ancora seduto là, con la borraccia di cuoio ormai vuota al suo fianco. +– Ci hai messo un bel po’ – disse. +– Non quanto temevo – risposi. – Ho venduto le merci e ho fatto un po’ di +denaro. Adesso viene la parte veramente difficile. Dovremo comprare un +cavallo, e ci vorrà del tempo, temo. L’Eubea non è Argo. +– Forse non ci vorrà tanto tempo – replicò lui. – Mi sono guardato attorno +mentre eri via. Vedi quel campo laggiù, in quella fattoria con il frutteto? – Mi +additò una valletta a circa dieci tiri d’arco di distanza. – Ci sono dei cavalli in +quel recinto, Stefo. E uno di loro potrebbe andar bene. +Legai i muli e ci avviammo alla fattoria. Da vicino, scorgevo i cavalli di cui +aveva parlato Filemone più chiaramente. Non avevo la sua vista perfetta. +– È quello nero – mi spiegò. – È un castrato. Deve avere quattro anni. Ha +l’aria di essere molto robusto e anche veloce. +– Mi sembra un po’ malandato – dissi dubbiosamente. L’animale in questione +aveva un mantello a chiazze piuttosto irsuto e la coda ingarbugliata. +– Lascia andare il mantello – replicò Filemone. – Guarda come si muove. Te +lo dico io, Stefo, che ho badato ai cavalli quand’ero nell’esercito. Fidati del mio +giudizio. Io me ne intendo! +Decisi che mi sarei fidato del suo giudizio, anche perché sapevo ben poco di +cavalli. Cavalcare andava bene per i ricchi in partenza per un lungo viaggio, +oppure per gli anziani, gli invalidi e i soldati. Avvertii Filemone di stare zitto, +ma mi attenni al suo consiglio sul prezzo da offrire al fattore quando ci +avvicinammo a lui. L’uomo parve stupito di trovarsi davanti dei compratori di +cavalli così all’improvviso in un giorno d’inverno. Spiegai che non potevamo +permetterci una cavalcatura di prima qualità, e che avevamo adocchiato +l’animale che ci sembrava più a buon mercato nel recinto. Ci occorreva perché il + nostro era morto, e mio fratello, che era un po’ zoppo, doveva andare a trovare +uno zio in Tessaglia. (Filemone si era messo a zoppicare vistosamente. Mi +augurai che non esagerasse). Il fattore ci fece esaminare il cavallo. Mio cugino +gli guardò in bocca e salì in groppa per fare il giro del campo. – Potrebbe andare +– disse infine laconicamente. +– Bene, Fidia – conclusi rivolto al finto zoppo. – Dipende da te. Possiamo +cercare altrove, se vuoi. +Il fattore, che si era fatto più interessato, s’interpose elencando i molti meriti +del cavallo. Dopo un’animata contrattazione, la vendita fu conclusa a trenta +dracme, meno della somma che mi aspettavo di dover pagare. Filemone era +felice quando lasciammo la fattoria. Tornammo ai muli e al carro vuoto, e io mi +avviai per la strada, mentre mio cugino cavalcava il suo nuovo destriero. Il +fattore ci aveva dato in omaggio una briglia di scarsa qualità. +– È stato magnifico da parte tua comprarmi questo cavallo, Stefo. Se trovo un +tratto di strada piana, provo a farlo trottare. È un peccato che non faccia una gran +figura, ma ci penserò io con un po’ di brusca e di striglia. +– Guardati bene dal farlo – lo ammonii severamente. – Nutrilo bene e trattalo +con cura, ma quanto all’aspetto, è molto meglio che rimanga così irsuto e ispido. +Si addice di più al tuo aspetto. +– Si addice di più al mio aspetto? Be’, di tutte le… +– Sì – dissi spazientito. – Non capisci? Sei un contadino zoppo e povero. Ed +eccoti qui, un po’ sporco, con addosso un mantello pesante rustico e logoro. Il +cavallo com’è ora si adatta perfettamente all’uomo che si suppone tu sia. Ma se +tu fai diventare quel cavallo bello come un destriero dell’esercito di Alessandro, +apparirà in contrasto col tuo aspetto, e sarai sospettato almeno di furto di cavalli! +E non farlo galoppare troppo, abbi cura dei suoi zoccoli e delle sue zampe. Tutta +la nostra salvezza dipende dal fatto che tu possa cavalcare a lungo passando +inosservato. +Filemone parve poco convinto. +– Mi sembra un peccato… +– Sarà un peccato maggiore se ti prendono e ti imprigionano, o se ti scoprono +e ti rimandano ad Atene incatenato per l’esecuzione. Tutto deve filare liscio. +Ora, alla prossima svolta della strada ci diremo addio. Io devo tornare a casa e tu +devi proseguire da solo. +Rimase in silenzio e pensieroso. Proseguimmo lentamente fino alla curva, e lì +smontammo. La strada era deserta, a parte noi. +– Ecco – dissi tracciando una mappa nella polvere della strada. – Questa è la +direzione che devi prendere per arrivare allo stretto di Artemisio. Attraversalo in +tutta sicurezza, non rischiare quando c’è un temporale. Quando sarai arrivato + dall’altra parte, sarai in Tessaglia. Prosegui verso nord e il nord ti porterà a +Larissa. Là dovrai scoprire qual è il modo migliore per attraversare le montagne +dell’Olimpo. Probabilmente è meglio se cerchi di tenerti lungo la costa. Molto +più avanti c’è la foce di un fiume, dove il Lidia si congiunge con l’Assio. +Attraversa il Lidia, e tra i due fiumi troverai la città di Pella. Là forse troverai +Melissa, ma devi essere prudente nel chiedere di lei. Io cercherò di mandarti del +denaro a Pella, ma non sarà facile. Probabilmente non avrai notizie da me fino +alla primavera. Sii prudente in Macedonia. Ricordati che lì sei Leandro, un +soldato in cerca di sua moglie che ti crede morto ed è andata a stare con i suoi +parenti. Eccoti del denaro. È tutto quello che posso darti. +Filemone ripeté quanto avevo detto e imparò la mappa. La cancellai col piede +e allungai le braccia per abbracciarlo. +– Stefanos… stavo pensando. Tu hai venduto tutto il tuo olio per comprarmi +il cavallo e darmi questo denaro, non è così? E hai rischiato la vita per portarmi +fin qui. Oh, Stefo, io e i figli dei miei figli ci ricorderemo di te. È così difficile +trovare le parole… +– Lascia stare le parole – ribattei in fretta. – Non sei forse mio cugino? Il +modo migliore di ripagarmi è che tu badi alla tua sicurezza. +Ci abbracciammo di nuovo dolorosamente, entrambi con le lacrime agli +occhi. +– Addio – dissi. – Prego per te Zeus, padre degli uomini e degli dei, amico del +viandante. Va’, adesso! Va’, svelto! E prego che in futuro avremo tempo per +parlare di questa avventura. +Con un elegante movimento, Filemone balzò in groppa al cavallo e si avviò. +Il cavallo iniziò un leggero trotto, e presto egli fu lontano da me e sul punto di +svanire lungo quella strada. Cavalcava bene il mio cugino centauro. Guardò +indietro ancora una volta, e mi salutò agitando il braccio. Lo salutai anch’io e +rimasi a guardarlo, finché il cavaliere avvolto nel suo mantello sul suo cavallo +nero fu solo un puntino scuro in lontananza che si allontanava sempre di più. +Solo gli dei potevano sapere quando lo avrei rivisto. + XVI +Ritorno ad Atene + + + + + +Rendendomi conto che potevo viaggiare più rapidamente a piedi che non con +il carro e i muli, specialmente d’inverno e in un paese collinoso, vendetti con +riluttanza l’intero equipaggio al proprietario di una casa nella parte di Calcide +ricadente nel territorio dell’Epiro, e tornai verso Atene. Il tempo era meno +piacevole di quando avevo viaggiato insieme a Filemone: c’erano nubi pesanti, +venti di tempesta e pioggia. Tra le colline fui sorpreso due volte da brevi +tempeste di neve. Una volta giunto alle alture del Parnete, le attraversai il più +velocemente possibile, non avendo molta simpatia per quella regione. La +distanza fino a casa mi sembrò lunga e faticosa, nonostante al ritorno il tempo +necessario per il viaggio si fosse dimezzato. In una bottega di barbiere a Dekelia +mi feci radere e lavare. Avevo lavato via la mia «cicatrice» subito dopo aver +attraversato il ponte, lasciandomi così alle spalle il contadino scarmigliato con la +cicatrice sul braccio che vendeva olio sulla piazza del mercato di Calcide. Ma, +nonostante ciò, mia madre rimase colpita dal mio aspetto, e disse che le +sembravo stanco e mal ridotto dal viaggio. Mi interrogò, naturalmente, sulla +vendita dell’olio. Deglutii, e dissi che avevo cattive notizie. Il carro si era +rovesciato, trascinando nella caduta le giare dell’olio e i formaggi; e così gli +sperati guadagni erano svaniti quasi interamente. Mia madre vide come ero +addolorato e non mi rimproverò per la mia (supposta) negligenza. Mi toccò il +cuore vederla raccogliere le sue cose più preziose per venderle, come mi disse. – +Sistemeremo il debito con quell’odioso Euticleide, naturalmente. Ha sempre +avuto antipatia per tuo padre, fin da quando Nichiarco lo batté in una gara di +corsa quando erano giovani. +Mia madre mi subissò anche di suggerimenti, alcuni sensati, altri ridicoli, +sulle cose a cui avremmo potuto rinunciare. Io temevo che le nostre economie ci +avrebbero portato al punto che lei e la zia Eudossia si sarebbero nutrite di +finocchio e sarebbero andate in giro vestite di stracci. Era orribile pensare che +Euticleide potesse ridurci così! Tuttavia, la prima cosa importante da fare era +cominciare a liberarsi di questo creditore. +All’indomani del mio ritorno, andai alla casa di Euticleide e rimasi ad +attendere in cortile, alla maniera di un umile merciaio ambulante, o di un + supplice in cerca di favori. +– Sei in ritardo di un giorno – disse freddamente Euticleide quando si degnò +di ricevermi. +Gli diedi quanto mi pareva di potere ragionevolmente dargli in quel +momento: settanta dracme. Era l’ammontare di quanto mi ero trattenuto dal dare +a Filemone, più la somma realizzata con la vendita dei muli e del carro. +– Non è molto – osservò Euticleide, in tono scoraggiante. – Oggi, o meglio +ieri, mi aspettavo di riscuotere almeno la metà della somma che mi è dovuta. +Mi sentii cadere il cuore. Avevo sperato che si raddolcisse. +– È tutto quello che ho al momento. +– Cosa? Dopo aver venduto l’olio? +– Alcune delle giare mi si sono rotte mentre andavo a Megara. +Un sorriso sottile, come la lama di un coltello, gli si formò sulle labbra. +Godeva della mia sconfitta. +– Un bel maldestro. Io non intendo fare sconti per la stupidità, figlio di +Nichiarco. +– Cose peggiori di queste sono capitate sulla strada per Megara – risposi con +la sconsideratezza dettata dal risentimento. Gli occhi di Euticleide si riempirono +di rabbia. +– Non essere sciocco e insolente. Senza dubbio accadono cose peggiori, ma +questa non è da meno per te. Che tu venda l’olio o preferisca rovesciarlo per la +strada, devo sempre essere pagato. +Inghiottii l’orgoglio e chinai la testa umilmente. +– Devi portarmi – continuò – almeno trenta dracme per completare la prima +metà del debito. E presto. Vediamo. Portale dopodomani sera. Ti concedo tutto +questo tempo, per quanto non dovrei essere così generoso. Devi avere altre cose +che puoi vendere. Non è poi così difficile. +Borbottai fra i denti alcune false e servili parole di ringraziamento e me ne +andai, detestandolo. Guardando di nuovo il suo volto odioso pensai che avrei +potuto avere davanti l’assassino di Boutades. Ed era lui l’uomo sulla strada per +Megara? Senza dubbio era evidente che non provava alcuna simpatia per me o +per la mia famiglia. Probabilmente mia madre aveva ragione. Non era il tipo +d’uomo che accettasse di perdere una corsa, né che perdonasse chi aveva +trionfato su di lui. +Nonostante la mia ansietà per il denaro e il fiero risentimento verso +Euticleide, avevo in me una sorta di gioia perenne. Il mio cuore esultava ogni +volta che pensavo a due cose. Filemone è in salvo! Filemone è innocente! Non +potei più resistere alla tentazione di far visita ad Aristotele, nonostante il suo +ammonimento a non andare troppo spesso da lui. Dissi a mia madre che volevo + consultare un medico per la mia salute, e lei, che si crucciava del mio persistente +raffreddore, trovò la cosa ragionevole. A volte Aristotele si prestava a esercitare +la medicina, e la gente cercava spesso di consultarlo, sebbene lui preferisse le +malattie rare e curiose. +Gli dissi che questa era stata la mia scusa, e Aristotele insistette nel fare la sua +parte. Mi esaminò la gola e prescrisse i soliti rimedi. Poi mi guardò acutamente e +disse: – Ti sei anche stancato molto in questi ultimi giorni, Stefanos. Non ti pare +imprudente fare delle lunghe marce a piedi in inverno, con quel raffreddore, e +oltre tutto con un carico? +– Come potete saperlo? +– È semplice per un medico. Sei più magro, sei abbronzato dal sole e dal +vento. Le tue braccia sono più muscolose di prima, e la tua mano destra è un po’ +incallita. +– Ah, bene – replicai. – Avrete udito che ho portato a vendere il nostro olio +dalle parti di Megara. +– Può darsi che l’abbia sentito dire – ammise. – Ma, sai, penso che tu sia +andato più lontano di Megara. Non solo, ma penso anche che in quel viaggio non +volessi essere riconosciuto. Spero che i tuoi rozzi indumenti non ti abbiano +messo troppo a disagio. +– E questo come lo sapete? – Ero veramente sbalordito. +– Dal fatto che non ti sei rasato per alcuni giorni in quel viaggio. Hai il viso +bruno e la pelle indurita, ma la barba deve essere cresciuta liberamente. Ti sei +rasato alla fine del viaggio, e così una parte del tuo viso è più chiara. Se fossi +andato a vendere l’olio senza essere in incognito, avresti mantenuto il tuo solito +aspetto. Ci sono botteghe da barbiere lungo la strada per Megara, come +dappertutto del resto. Ne deduco che ti sei lasciato crescere la barba perché +volevi mutare aspetto, e forse anche perché non ti andava di entrare in una +bottega. Una cosa poco piacevole. E poi, una barba lunga e sporca offre un +riparo alle pulci. Anche gli abiti che hai indossato di recente ti hanno messo a +stretto contatto con questi animaletti. Vedo i segni dei loro morsi. Sei andato +distante da qui e travestito. Dunque non a Megara, come racconti agli altri. +– Oh – dissi. – Sembra così semplice! +– Già. Non c’è niente di straordinario, una volta spiegate le ragioni. +Osservazione e logica. Ma, sai, la curiosità mi tenterebbe a spingermi anche più +in là. Perché mai Stefanos avrebbe dovuto intraprendere un viaggio così arduo in +questa stagione, e per di più non in perfetta salute? Perché è dovuto partire +all’improvviso e travestito. Ti assicuro che le mie deduzioni sono piacevoli. +Avevo dibattuto fra me se raccontare ad Aristotele di Filemone e della sua +fuga: questo mi decise. In ogni modo, la sua implacabile logica l’avrebbe + condotto molto vicino alla verità. Inoltre desideravo raccontargli ogni cosa. +Eppure esitai. – Aristotele – dissi con molta serietà. – Vi voglio dire una cosa +strana: una notizia lieta, ma pericolosa. Dovete giurarmi di non parlarne a +nessuno e di fingere persino con voi stesso di non averla sentita, perché in questa +faccenda io e i miei siamo esposti ai rigori della legge, sebbene davanti agli dei +io non potessi fare altrimenti e sia quindi libero da rimorsi. Ma l’esserne a +conoscenza potrebbe mettere in urto con la legge anche voi. Ho già detto troppo. +Aristotele fece un paio di volte il giro della stanza, ancora ingombra di armi +da guerra, ormai meticolosamente ordinate. Corrugò la fronte per qualche istante +e toccò una lancia, un elmo, una ciotola; poi si volse a me sorridendo. – Va bene. +Ti do la mia parola. Se anche non posso aiutarti, giuro di non ostacolarti. Farò il +giuramento più solenne. Ti basta? +Dopo che ebbe giurato e fatto le libagioni, si appollaiò su una sedia e disse +con impazienza, – Avanti! – come un ragazzino ansioso di sentire una nuova +storia. Mi chiesi se la sua curiosità fosse più forte del suo senso di giustizia. In +un certo senso, la sua volontà di trasgredire la legge mi sconcertò, sebbene il suo +giuramento fosse per me un grande sollievo. +– Ho visto Filemone – annunciai drammaticamente. +Aristotele si limitò ad annuire. – L’avevo indovinato ancor prima di giurare. +Non mi capita spesso di comprare pietre nascoste dentro borse di cuoio. In +verità, Stefanos, sei troppo trasparente. Ma cos’hai fatto con lui? +Raccontai tutto ad Aristotele, be’ quasi tutto. Badavo ancora a selezionare i +fatti nell’esporglieli. Ma gli narrai fedelmente l’incontro con Filemone, i dettagli +della fuga e del viaggio in Eubea, l’acquisto del cavallo e l’addio. +– Veramente magnifico – disse con soddisfazione. – Ti sei mostrato +perseverante e pieno di risorse. Mi congratulo con te. +Mi sentii arrossire d’orgoglio. +– Così adesso il tuo caro cugino che, devo dire, mi sembra piuttosto +spericolato e imprudente, è lontano da Atene e sta viaggiando per raggiungere +sua moglie e il bambino. L’unico inconveniente mi sembra il fatto che ci hai +rimesso un mucchio di soldi, e poi c’è quell’altra piccolezza di esserti esposto a +farti arrestare per avere ospitato e assistito un uomo al bando della città, rientrato +illegalmente e sotto accusa d’omicidio. Spero per amor tuo che nessuno ti abbia +visto. Mi auguro che nessun altro noti l’anomalia del tuo viso abbronzato +rispetto alla pelle più chiara sotto la barba. Fa’ attenzione ai dettagli, sono +importanti. Ma, d’altra parte, la maggior parte della gente non è molto brava a +notare i dettagli. L’idea della cicatrice era buona. +– Così mi era sembrata – ammisi. +– La cosa più strana di te, Stefanos, è che nonostante la borsa vuota, nuove + ansietà per la legge, e la salute un po’ scossa, mi sembri felice, addirittura +esultante. Come lo spieghi? +– Sì! Sì, proprio felice! – risposi spensieratamente. E aggiunsi d’un fiato: – +Filemone è innocente! Adesso lo so! Senza dubbio non è lui il colpevole. +– Ma, mio caro Stefanos! – Per la prima volta, Aristotele appariva sorpreso. +Si alzò e riprese a passeggiare per la stanza. – Pensavo che questa fosse la nostra +ipotesi fondamentale, no? Come mai quest’esultanza per qualcosa che dovevamo +ritenere scontato? La cosa è veramente interessante. Avanti, su, quando e perché +hai cominciato a sospettare che Filemone fosse colpevole? – Mi fissò con i suoi +occhi attenti e penetranti. +Mi sentii d’un tratto profondamente abbattuto. Mi ero scavato da solo un +trabocchetto. Avevo avuto l’astuta pensata di non raccontare ad Aristotele tutta +la storia, ma in realtà avevo un immenso desiderio di alleggerirmi la coscienza e +ora avrei dovuto confessare tutto. Ma cosa avrebbe pensato lui della mia +duplicità? +– Oh, Aristotele – mormorai. – Vi ho fatto un gran torto. Questa +consapevolezza mi ha tormentato per tutto questo tempo, ma vi scongiuro di +ascoltarmi come un supplice… – Feci l’atto di inginocchiarmi. +– Lascia perdere le formalità e veniamo al fatto – mi interruppe il filosofo. – +In che modo pensi d’aver mancato verso il tuo povero vecchio maestro? +– Accettando il vostro aiuto nel far fuggire la donna e il bambino mentre +pensavo che Filemone fosse colpevole – risposi decisamente. +– Ah! Mi hai ingannato! Mi meraviglio di te, Stefanos… be’, non troppo. +Come sei giunto a questa importante conclusione? Quando? L’avevi sempre +creduto colpevole? È così? +– No, no davvero. Ma poi ho scoperto che Filemone non solo era stato qui nel +mese di Boedromione, ma anche che aveva un movente per uccidere. +– E che genere di movente? Non il generico piacere di far fuori dei vecchi… +o un’abitudine presa in guerra, immagino. +– No. Qualcosa che non avreste mai pensato –. Gli spiegai di Boutades e dei +vaghi progetti di adozione di cui aveva parlato Nusia; progetti o propositi +riguardo a Melissa che ero convinto che ella avesse cercato di nascondere al +marito. – E così – conclusi – sapevo, o credevo di sapere allora, che Filemone +avesse un movente. La gelosia. Aveva scoperto, così pensavo, che un altro uomo +cercava di sottrargli sua moglie e il bambino. E allora era venuto ad Atene a +uccidere il seduttore nella sua stessa casa. +– Boutades non sembra aver avuto molto successo come seduttore. Se ci fosse +riuscito, Melissa non si sarebbe trovata a vivere così poveramente. Ma le +tavolette che Nusia menzionava… – Aristotele balzò in piedi all’improvviso. – + Stefanos, testa di legno! Che disdetta! A causa delle tue paure e delle tue +sciocche deduzioni hai lasciato che quella donna se ne andasse con la prova più +importante. La cosa migliore che potessimo avere, se l’avessimo avuta +veramente! Grande Atena, manda la saggezza al tuo popolo! E pensare che +quelle tavolette probabilmente sono rimaste in casa mia per due giorni. C’è di +che sudare dalla rabbia. Mi domando se è possibile recuperarle… ma rimane +così poco tempo prima del processo. Solo due decadi e due giorni. No, non credo +che si possa sperare di mandarle a prendere. +– Non vi darei nulla che possa incriminare Filemone – protestai. – Vi ho già +dato troppo: quel frammento che stupidamente vi ho portato, dopo averlo +raccolto sul luogo del delitto… e con sopra il nome di Filemone. +– Il nome di Filemone? – Aristotele sembrava realmente sbalordito. +– Be’… con una «fi»… +– Cosa? Sciocco che sei, non è una «fi». Hai la testa troppo piena di +Filemone. Non vedi che è… ma lasciamo andare. Quello che ci occorre sono gli +scritti in possesso di Melissa. E ora dimmi il resto. Dopo avere concluso che +Filemone era colpevole d’omicidio per gelosia, e dopo avermi indotto a usare la +mia influenza per far sparire la moglie di un omicida (a quanto supponevi) cos’è +che ti ha fatto cambiare idea? +Gli dissi dell’indignazione di Filemone alla mia domanda se avesse +commesso il delitto, e della sua risposta all’accusa di avere combattuto dalla +parte dei Persiani. Quando seppe del comportamento di mio cugino, il filosofo +rise. L’idea che fossi stato messo fuori combattimento sembrava divertirlo. Poi, +però, aggiunse in tono grave – Quindi, in virtù della parola di uno spaccone che +ti mette fuori combattimento sei pronto a credere che sia tutto così limpido e +cristallino? Certo, è logico. +– Vi sbagliate, – protestai. – Voi non conoscete Filemone, e lui ha fatto un +giuramento solenne. Sapeva che lo avrei aiutato fino a spendere l’ultima moneta, +addirittura l’ultima goccia di sangue, sia che fosse innocente o che fosse +colpevole. Potrà non essere un filosofo, – conclusi – ma è un ragazzo onesto. +Dopo aver parlato con lui, non ho avuto bisogno di altre prove. Ma ce ne sono, +se volete ascoltarmi ancora. +Gli narrai l’incontro di Filemone con Boutades, e come si era svolto. +– Così, vedete – conclusi – Filemone non aveva desideri di vendetta. E se +fosse stato in cerca di denaro (il che non era) avrebbe fatto meglio a lasciare che +Boutades lo adottasse. Se fosse stato adottato, la gente avrebbe potuto dire che +era tornato per ucciderlo ed ereditare una fortuna. Ma noi sappiamo che non fu +adottato: dunque non era l’erede e non aveva voluto esserlo. +– Questo è quanto dici tu – rispose. – Una bella storia, ma senza testimoni. + – Be’, forse dei testimoni ci sarebbero, di un certo tipo – risposi +pensierosamente. – Filemone ha menzionato degli amici che erano marinai, di un +genere un po’ equivoco, temo. Come le lucertole, ha detto. Ad ogni modo, era +con loro sul battello diretto ad Egina in quella famosa notte. E così, la difesa +della zia Eudossia dopo tutto era giusta, anche se lei non lo sapeva –. Aggiunsi +tutti i dettagli, comprese le misteriose istruzioni di Filemone sul come si poteva +far giungere un messaggio a quegli strani marinai. Aristotele scosse la testa. +– Ti piacerebbe presentare la tua difesa al tribunale con dei testimoni che +sono praticamente dei pirati? Con ogni probabilità, le lucertole sparirebbero +nella prima fessura libera sul muro e si renderebbero invisibili. Se davvero +esistono. +– Sono sicuro che esistono. Perché state cercando di accusare Filemone, +proprio ora che so che è innocente? Per scuotere la mia fiducia in lui? Nessuno +riuscirà più a scuotere la mia fiducia nella sua innocenza, qualsiasi cosa si dirà +contro di lui. +– Un buon rètore prevede tutte le obiezioni del caso – rispose Aristotele con +dolcezza. – Coraggio. Ti sei comportato molto bene con tuo cugino. Non farò +più la parte dell’accusatore. Ma non credi di meritare un piccolo castigo per +avermi ingannato così sfacciatamente? Oh, quegli scritti! Se solo potessimo +metter mano sulle tavolette! Perché non le abbiamo qui? Perché non le hai prese +tu, almeno? Dov’erano? No, zitto. Voglio riflettere. +Restammo in silenzio per alcuni minuti. Aristotele giocherellava con la parte +anteriore d’una corazza di metallo di squisita fattura, con delle scene omeriche +incise sopra. Tutt’a un tratto disse: – Io so dove sono nascoste le tavolette. +Anche tu lo sai, se ci pensi un momento. +– No, – dissi, – non lo so. +– Che cosa ti ricorda questa? – tenne la corazza davanti a me. +– Una battaglia. +– Sì, ma la figura? La scena? +– Achille. La guerra di Troia. +– Sì, e poi? +– Be’, l’Iliade, suppongo. +– E cosa ti ricorda l’Iliade? +– Omero. L’Odissea. +– Esatto. È un esercizio stupido, ma questa figura mi ha aiutato a riflettere. +Adesso probabilmente sai dove sono state nascoste le tavolette. +– Temo proprio di no – risposi. Mi pareva di essere nuovamente a scuola. +– Ma sì che lo sai. Qual era l’oggetto così prezioso per Melissa che si +precipitò indietro nella casa in fiamme per portarlo in salvo? + – Oh! La tenda di Penelope! +– Già. Proprio lei. E quello stesso ricamo con la figura di Penelope, usato +come schermo per una porta, avrà avuto dei pesi nel fondo, per impedirgli di +fluttuare troppo per la corrente. Le tende usate in questa maniera vengono spesso +appesantite con ciottoli o frammenti di argilla cuciti nell’orlo. Ma nel caso +nostro, o grande Atena, dea dei telai, perché hai lasciato che quel tessuto ci +sfuggisse di mano? Aspetta un momento, però. Mia moglie ha rammendato la +tenda mentre Melissa dormiva. Le domanderò se ha notato qualcosa. +Uscì in fretta e rimasi solo per un certo tempo, chiedendomi se Aristotele +fosse convinto della colpevolezza di Filemone proprio adesso che io ero così +sicuro, anzi sapevo con certezza, che era innocente. Sembrava un’ironia del +destino. D’un tratto, udii qualcuno che si avvicinava correndo allo studio. Alzai +gli occhi stupefatto, ma era il padrone di casa in persona che entrava +precipitosamente. Sorrideva, raggiava addirittura. Aveva le mani occupate. – Gli +dei ci aiutano, finalmente! – esclamò. – Sia ringraziata la benefica Atena, che ha +guidato mia moglie. Guarda! +Stese le mani verso di me. Reggeva quattro tavolette, una intera e tre +spezzate. Tavolette d’argilla, con delle frasi scritte sopra. +– Abbiamo in mano i documenti – dichiarò in tono di trionfo. – Nel +rammendare il ricamo, mia moglie ha notato che l’orlo era logoro e insudiciato. +Allora ha ritessuto il fondo della tenda e lo ha ricucito, dimenticando però di +rimetterci queste. Non pensava che avessero maggior valore dei soliti pesi, ma +quando si è resa conto di averli lasciati fuori li ha conservati, nel caso fossero +delle lettere. A quest’ora Melissa potrà aver notato che mancano –. Aristotele +depose gli oggetti su un tavolino basso e ne mise insieme i pezzi con attenzione. +– Ora – annunciò – possiamo leggerli. +Li esaminammo per alcuni minuti; ma i miei occhi ansiosi correvano avanti, e +sulle prime non riuscivo a capire quanto leggevo. +– Ah! – disse Aristotele. – Mi sembra una bozza, non un documento con +valore legale. Filemone doveva sapere che un’adozione non è valida senza una +apposita cerimonia e dichiarazioni di consenso firmate da entrambe le parti. +Melissa può non essere al corrente di queste sottigliezze legali. Vedi, questa è la +dichiarazione del proposito di Boutades di adottare Filemone figlio di Likias e +farne il proprio erede, e di considerare Likias, figlio di Filemone, come suo +nipote, oltre alla concessione di un appannaggio per il mantenimento della +moglie. Non sono sicuro che sia tutto qui, ma è probabile che sia completo. E c’è +la firma di Boutades in fondo –. La sua espressione si fece solenne. – Capisci +cosa significa? +– Be’ – risposi – sembra confermare quanto ha detto Filemone. + – Proprio così. È una tesi sostenibile in qualsiasi tribunale che un uomo abbia +poco da guadagnare uccidendo un generoso padre adottivo prima che l’adozione +abbia luogo. Ovviamente – aggiunse con la sua orribile propensione a vedere +difetti dappertutto, – queste tavolette potrebbero essere un falso. Supponiamo per +esempio che Melissa volesse proteggere Filemone. Ma perché prendersi tanta +pena? Se esistevano delle tavolette originali in grado di comprometterlo, perché +non distruggere solo quelle? È facile distruggere delle tavolette, non credi? – mi +chiese, rivolgendomi un’occhiata penetrante. – Che sistema useresti tu? +– Le brucerei – risposi prontamente, – o le ridurrei in polvere. Oppure, il +sistema più rapido, le butterei in un fiume o in mare. +– Sì. Non è difficile distruggere delle tavolette. O delle pergamene, o dei +papiri, come usano in Egitto. Gli unici scritti che possano durare sono quelli +incisi sul marmo o sul bronzo, per quanto Ares e Kronos riuscirebbero a +distruggere anche quelli. Le parole scritte sono così fragili. Ma noi le +conserveremo con cura queste tavolette. M’incarico io di custodirle; è più sicuro, +non ti pare? Da quanto mi dice Pitia sullo stato dell’orlo della tenda, questi +oggetti vi erano rimasti dentro un bel po’, avevano cominciato a logorare il +tessuto e l’orlo non era stato mai ricucito. Anche questo mi assicura che si tratta +degli scritti originali, eseguiti non più tardi della scorsa estate. Melissa aveva +trovato un ottimo posto per nasconderli, ma non un posto sicuro: le tavolette si +sono rotte. +– Sì, tenetele voi – dissi. – È più sicuro, sebbene solo gli dei sappiano se e +come potrò usarle a nostro vantaggio nel processo. Ma la mia casa molto presto +non avrà più un posto dove nascondere nulla; saremo poveri come lo era +Melissa, se Euticleide riesce nel suo intento – aggiunsi. Non intendevo +piagnucolare sullo stato delle mie finanze, ma l’eccitazione mi aveva sciolto la +lingua. +– Che cosa ha fatto Euticleide? +Gli raccontai la storia del pesante debito e il comportamento di Euticleide; +dissi anche ad Aristotele il sospetto che mi era balenato sul conto di lui quel +giorno alla fattoria. +– E non appena ho cominciato ad odiare quell’uomo e a considerarlo crudele, +Filemone mi ha raccontato una strana storia confidatagli da Boutades. La storia +di un uomo ricco che aveva quasi ammazzato di botte una schiava, appartenente +ad una buona famiglia che abitava nei pressi di Megara. Quest’uomo aveva +dovuto risarcire la famiglia, e Boutades gli aveva prestato del denaro che non gli +era stato restituito. +– E tu credi che quest’uomo fosse Euticleide? +– Mi sembra abbastanza crudele da esserne capace – e raccontai ad Aristotele + del comportamento crudele di Euticleide nei confronti del mio povero schiavo. +– Interessante – commentò. – Supponendo per adesso che tanto la storia di +Filemone quanto quella di Boutades siano vere, quello che mi hai detto vale +tanto per Boutades quanto per l’altro uomo. +– In che senso? +– Perché Boutades ha usato tanta cura nel proteggere il suo amico? Al punto +di non menzionare il debito nemmeno nel suo testamento? Io me lo ricordo +abbastanza bene, e non c’era nulla che vi facesse riferimento nemmeno +nell’elenco delle sue proprietà. Non c’era nessuna frase del tipo «Assicuratevi +che A o B paghi il restante numero di dracme per un debito che sa lui». Non +rimane che da pensare che Boutades stesso fosse presente all’aggressione, se la +sua storia è vera. Quindi avrebbe usato tutta quella cura perché non se ne sapesse +nulla e la cosa non avesse conseguenze su di lui –. Sospirò. – No, a essere +sincero, non ce lo vedo Boutades a fare il violento; ma avrebbe potuto essere +ubriaco e in compagnia dell’altro uomo, anche lui ubriaco. O magari avrebbe +potuto incoraggiare qualcun altro a comportarsi brutalmente. A quanto pare era +ben informato sulla faccenda. Prestare denaro al colpevole gli avrebbe consentito +di averlo in pugno, di chiunque si trattasse. Il potere è una cosa piacevole. E +anche il denaro, e noi sappiamo che Boutades lo considerava molto piacevole, +soprattutto man mano che invecchiava. Supponiamo che l’altro uomo dovesse +pagare Boutades regolarmente, e per un ammontare superiore al suo debito. +Pagare Boutades per il suo potere, il suo potere di parlare o di mantenere il +silenzio. +– Be’, se fosse andata veramente così – osservai, – l’uomo di Megara non +avrebbe potuto essere Euticleide. Lui e Boutades erano ottimi amici. +– Oh, quanto sei ingenuo – mi derise Aristotele. – La sanguisuga vuole bene +al suo ospite. Dopo tutto, un uomo può comportarsi male coi propri nemici +perché gli piace, ma allo stesso modo può comportarsi male con gli amici perché +gli riesce facile. Normalmente è una cosa terribile essere alla mercé di un’altra +persona; e se abbiamo commesso qualcosa di orribile, chi è messo a parte del +segreto ci terrorizza minacciandoci di tradirci. Se Boutades ha raccontato questa +storia a Filemone, è probabile che fosse compiaciuto del proprio potere e volesse +spiattellare tutto a qualcuno, anche se magari non fino in fondo. +– Non credete – insistetti, – che possa essere stato Euticleide a compiere +quella cosa orribile? Ammazzare di botte, o quasi, la schiava? +– Quasi tutti gli uomini sono dei potenziali assassini. Tuttavia, ognuno lo è +secondo la sua natura. Alcuni sostenevano che tuo cugino Filemone fosse un +assassino prima di essere condannato all’esilio. +– Ma quello fu omicidio colposo, durante un combattimento leale. + – Giusto. Tuo cugino è il tipo di campione coraggioso che sfida sempre gli +altri a usare i pugni. Un modo di pensare da giovanotto, un delitto da giovanotto. +Mi auguro che viva abbastanza da diventare vecchio e cambiare modo di +pensare. Quest’altro delitto a Megara sembra più il crimine di un uomo giovane +che quello di uno avanti negli anni. Un colpo di testa, un delitto passionale, un +genere di passione particolare, può darsi. +– Quindi non credete che Euticleide… +– Non dico questo. Non dico che debba essere stato per forza un giovane, ma +potrebbe essere stato un uomo con un carattere troppo giovanile per la sua età. +Normalmente gli uomini si comportano male con gli altri ogniqualvolta ne +abbiano la possibilità, per rabbia o per avidità. Ma queste cose variano da uomo +a uomo. Boutades non dev’essere stato un tipo facile a menare le mani. Le risse +da taverna non gli si addicevano. Gli piaceva far pesare il proprio potere, ma +solo se considerava la cosa senza rischi. +– Ed Euticleide? +– Euticleide ama far sentire la sua forza, come tu hai motivo di sapere. A +proposito, non preoccuparti troppo per il denaro. Penso che possiamo trovare un +compratore per la tua piccola vigna –. Aristotele agitò una mano per tagliar corto +ai miei imbarazzati ringraziamenti e proseguì. – Euticleide è un uomo molto più +sanguigno di Boutades. È rigidamente controllato, eccetto quando considera più +saggio non esserlo, ma nutre delle forti passioni, ad esempio, la smania di far +sentire la propria autorità. Guardati da lui, Stefanos. Non mettertelo contro. +Euticleide si ritiene un uomo fortunato. Il sentirsi fortunati incoraggia una sola +virtù: la gratitudine agli dei. Il fortunato, o colui che si ritiene tale, intraprende le +imprese più rischiose, buone o cattive, con la sicurezza del successo. D’altra +parte, esistono anche falliti recidivi che si autoconvincono di aver avuto +successo, una volta tanto, in un’impresa sconsiderata grazie a ciò che per propria +convenienza interpretano come fortuna. Ma essendo disperato, lo sfortunato può +anche aver usato più audacia del solito. In generale, invece, il fortunato che ha +agito +razionalmente +attribuisce +la +propria +fortuna +alla +razionalità. +Nell’intraprendere un’impresa audace, la pianifica in ogni dettaglio, persino con +temerarietà, mentre con ogni probabilità lo sfortunato (mi riferisco sempre alla +visione soggettiva della fortuna) non si fida della ragione e agisce in base a un +impulso improvviso. Gli appetiti possono anche essere gli stessi (brama di +potere, denaro, sesso, vendetta), ma il modo di agire è diverso. L’età dell’uomo, +la sua posizione, le sue convinzioni sulla propria fortuna determinano le sue +azioni. Vedi, Stefanos, se consideriamo un delitto abbastanza a lungo e con la +necessaria attenzione, finiamo col vederne trasparire la personalità del criminale. +– Suppongo che sia così – risposi educatamente. Non potevo fare a meno di + pensare che Aristotele, con tutte le sue digressioni, stava eludendo un punto di +capitale importanza. In questo momento rifiutava di affrontare direttamente la +possibilità che Euticleide fosse l’assassino, pur essendosi spinto al punto di +ipotizzare che Euticleide potesse essere stato prosciugato del suo denaro da +Boutades. Neppure io volevo pensare ad Euticleide, ma l’idea non mi dava pace. +Rabbrividii. +Lui mi guardò con aria benevola. – Va’ a casa, e bevi tutte le tisane che le +brave donne di casa tua ti prepareranno. Quanto a me, sai cosa intendo fare +domani? Nel pomeriggio devo tenere una conferenza, ma alla mattina… penso +che farò una visita a qualcuno che non sarà in casa. O per lo meno, mi assicurerò +che non sia in casa all’ora che ci andrò. È strano, non ti pare? Ci capisci +qualcosa? +– No – risposi con tutta sincerità, e tossii. +– Ti sei affaticato mentre avevi la febbre. È uno stato ben noto in medicina +per i suoi effetti sul cervello. La mente diventa ottusa e istupidita, o al contrario +stimolata e iperattiva? Ho dimenticato quale sia la risposta giusta. +E mi rivolse un sorriso furbescamente innocente. + XVII +Aristotele organizza un viaggio + + + + + +La mattina dopo, con il pensiero del debito incombente su di me, mi misi in +azione per vendere alcune delle nostre cose più preziose. Mi fece male al cuore +prendere il piccolo assortimento di gioielli di mia madre, i suoi bei vasi da +unguenti e il migliore dei suoi vassoi dipinti. Ero contento che mio padre non +fosse lì a vedere suo figlio depredare l’amata madre. Con questo spiacevole +compito raggiunsi, se non altro, il mio scopo di raccogliere un po’ del denaro +reclamato da Euticleide. Sia ringraziato Ermete, che negli ultimi tempi avevo +pregato con la stessa devozione di un mercante o di un ladro. +Nel pomeriggio, andai ad una delle speciali conferenze tenute da Aristotele, a +cui il pubblico poteva accedere pagando una certa quota. Lo feci, in parte, nella +speranza di poterlo vedere da solo più tardi, e sentire la spiegazione delle sue +misteriose parole della sera prima. A chi era andato a far visita? Perché era +andato a cercare uno che non si trovava in casa? Inoltre, assistere alla conferenza +nei miei abiti migliori e pagare la mia quota mi pareva un modo di riaffermarmi +come uomo di cultura, dopo l’umiliante esperienza del mattino. La società +ateniese non doveva sapere della mia povertà, delle mie preoccupazioni. Al +processo nell’Areopago intendevo presentarmi come un cittadino di buona +reputazione, capace di imporre rispetto. +Ma, nonostante la mia aria di pensosa concentrazione, non ero in grado di +godermi molto la conferenza. Aristotele sembrava molto distante: l’uomo +pubblico e il filosofo interamente assorbito dal suo discorso. Tenne la conferenza +come al solito, parlando rapidamente, con gli occhi accesi dall’interesse, e +facendo nel frattempo agili gesti che solo chi prestava attenzione era in grado di +seguire. L’argomento era la Commedia. Sono sicuro che le sue osservazioni +fossero interessanti e originali, e che la varietà degli esempi addotti fosse +veramente eccezionale, ma continuavo a perdere il filo del discorso. Cercai di +prendere appunti, ma vi rinunciai ben presto. (Per fortuna questa conferenza +faceva parte di un ciclo successivamente trascritto e conservato per i posteri). La +Commedia non era il soggetto più adatto per me quel giorno. +Alla fine, mi unii al piccolo gruppo che circondava il maestro. Lui parlava +ancora, rispondendo alle obiezioni fatte dagli ascoltatori più attenti, paragonando + la commedia moderna con l’antica, discutendo i rispettivi meriti d’Assionico e +d’Antifane, a paragone con Aristofane. Solo quando il gruppetto cominciò a +diradarsi si degnò di accorgersi di me. – A proposito di quella spada, Stefanos, +figlio di Nichiarco, desidero farti un paio di domande. Se vuoi essere così +gentile… La mia storia delle armi, sapete – spiegò agli studiosi rimasti. – Rimani +anche tu, Eubolo, per quelle notizie sull’armatura del tuo bisnonno usata nelle +guerre contro Sparta. +Ci condusse entrambi in casa sua, ed ebbe prima un lungo colloquio con +Eubolo, senza fare molta attenzione a me. Solo dopo che Eubolo se ne andò, +lusingato dall’attenzione dimostrata per la sua famiglia e le sue armi, ebbi modo +di parlare al maestro. +– Ti ho visto fra il pubblico – mi disse. – Cosa te ne è parso? +– Della conferenza? Oh… molto bella – risposi educatamente. +– Povero Stefanos. Non hai tempo per le commedie. Senza dubbio ti interessa +di più la mia visita di questa mattina. Ho qualcosa da mostrarti… +– Scusate, signore – disse uno schiavo affacciandosi sulla porta – c’è un’altra +persona che vuole vedervi. Ha delle armi da vendere. Dice che non può +aspettare. +– Fallo passare, allora – rispose Aristotele guardandomi con un’espressione di +scusa. +Entrò un uomo che riconobbi. Era uno dei marinai che avevo sentito +discorrere nella taverna del Pireo vari mesi prima. Era il capitano. I suoi occhi +mi sfiorarono senza riconoscermi. Poi si volse ad Aristotele. +– Chiedo scusa, signore, per avervi interrotto. Ma ho questo arnese da +vendere, e ho sentito che state raccogliendo armi per farci sopra un libro e +aiutare l’esercito. +Al contrario dell’odioso fabbro, quest’uomo non aveva oggetti nascosti +dentro una borsa. L’oggetto che intendeva vendere era sotto i nostri occhi. +– Ah! – disse Aristotele. – Un arco. +L’uomo lo depose sulla tavola. Io ne detestavo la vista, ma Aristotele no. +– E in buone condizioni anche – seguitò il mio maestro. – Ha ancora la sua +corda, e non è allentata. Come ne siete venuto in possesso? +– L’ho avuto da un amico, eccellenza, marinaio come me, che l’aveva avuto +da un reduce. Un oggetto non comune, vero? È vostro per cinque dracme. +– Suppongo – disse Aristotele seccamente – che vogliate venderlo perché +vostra moglie e i vostri figli sono in difficoltà, altrimenti non vorreste separarvi +da un oggetto così antico e prezioso. +– Non direi, signore. Non mi trovo in difficoltà. Mia moglie è morta, che sia +benedetta, e i miei figli sono adulti e capaci di provvedere a loro stessi, a parte la + femmina. Pensavo che poteste avere bisogno di una cosa del genere e, be’, cosa +me ne faccio io di un arco? Sto solo chiedendo quello che è giusto. +– Avete ragione, amico – disse Aristotele. – Sembrate un uomo onesto. Mi +dispiace di aver parlato in modo così scortese. Dover mercanteggiare mi ha reso +antipatico. Vi pagherò quanto chiedete. Suppongo che non ne abbiate altri. +– No, signore –. L’uomo possedeva una certa dignità, e aveva accettato +benevolmente le scuse di Aristotele. – A che mi servirebbe collezionare armi? +Specie se è vero che la nostra flotta non combatterà per chissà quanto tempo. E +se mai mi trovassi in combattimento, il che potrebbe anche accadere prima della +fine dei miei giorni, mi augurerei di essere armato di tutto punto come un +Ateniese, e non di battermi con uno di quegli arnesi persiani. +– Giustissimo – commentò Aristotele. – Sì, avete ragione. Questo è un arco +persiano. Non ho molti archi nella mia collezione. Ma visto che sono usati da +entrambi gli eserciti mi piacerebbe poterne esaminare degli altri. +– Potrei trovarne degli altri, forse – disse il marinaio, dubbiosamente. – +Alcuni ne hanno presi dagli arcieri macedoni, vecchi archi e frecce, come +ricordi; ma è roba malandata e di poca utilità. Perché non ve ne fate mandare di +nuovi dalla Macedonia? Suppongo che gli archi cretesi, non vi interessino. Sono +piuttosto scadenti, fabbricati rozzamente. Però sono stati usati in battaglia. +– Certo – approvò Aristotele. – Non avete degli archi cretesi da vendermi, per +caso? +– Nossignore. Potreste provare tra gli equipaggi delle navi granarie. Ma +immagino che avrete già esaminato l’arco cretese che appartiene al cittadino +Archimeno, l’arconte. +– Oh! Archimeno ha un arco cretese? +– Certo, signore. O per lo meno l’aveva. Gliel’ha portato la primavera scorsa +un marinaio di ritorno da Creta. Vedete, non aveva altro dono da offrire. E si sa +che a lui piacciono questi ricordi di guerra. Lo teneva nello stanzone, dove fa i +conti e bada ai suoi affari. Io ho avuto, ehm… occasione di fargli visita una +volta, e ho visto quell’arco. +– Bene, bene, – disse Aristotele – domanderò al cittadino Archimeno se posso +averlo in prestito. Mi piacerebbe dargli un’occhiata. Probabilmente non desidera +venderlo. Grazie per il vostro aiuto. Tornate ancora se avete qualcos’altro che +possa essermi utile. Eccovi il denaro. +Aristotele accompagnò il marinaio alla porta molto cerimoniosamente. +Quando fummo di nuovo soli, si rivolse a me con occhi brillanti di entusiasmo. +– Dobbiamo andare a fondo a questa faccenda, Stefanos. E subito! Non avrò +pace finché non l’avrò visto. Un arco cretese! +– Sono parole malaugurate per me – dissi, facendo con la mano un gesto di + scongiuro contro il malocchio. +– Versiamoci da bere e usciamo subito – insistette il mio maestro. Ben presto +fummo sulla grande strada che porta in città. Camminavamo molto in fretta. +– Io non voglio far visita ad Archimeno. Non voglio neanche vederlo – +protestai. +– No. È giusto. Non devi entrare con me. Quando saremo vicini a casa sua, tu +prosegui e va’ ad aspettarmi fra i tempietti sotto l’Acropoli. Verrò a cercarti +appena ho finito con lui. Spero che Archimeno sia in casa! +Arrivammo abbastanza presto alla residenza di Archimeno. Abitava presso +l’Acropoli, in un bell’edificio, benché non così ricco, né così imponente come le +case di Boutades e di Euticleide, nel demo aristocratico sotto il Colle delle Muse. +Fui contento di proseguire, non desiderando affatto di sentirmi insultare di nuovo +da quell’uomo. Mentre aspettavo, feci delle offerte in parecchi santuari. +Quando Aristotele riapparve, mi sorpassò con un cenno quasi impercettibile. +Capii che dovevo tenergli dietro senza che ci facessimo vedere a parlare insieme +in quella parte così frequentata della città. Si incamminò di buon passo ed io lo +seguii verso il tempio incompiuto di Zeus, una reliquia dell’odiata tirannide di +Pisistrato. Non eravamo lontani da casa mia. Le erbacce avevano invaso le +rovine del tempio rimasto inutilizzato. Nelle vicinanze si trovava un boschetto, +che circondava il più modesto tempio di Zeus dove venivano celebrati i sacrifici. +Qui Decaulione e Pirra, gli ultimi sopravvissuti dell’umanità, si erano fermati a +guardare la piena delle acque che defluiva attraverso un’apertura nelle rocce, e +qui avevano lanciato le pietre, tramutatesi in uomini e donne, per ripopolare la +nostra meravigliosa terra. Il luogo aveva un’atmosfera pacifica e sacra. Fu in +questo tranquillo boschetto che Aristotele si fermò, ed io lo raggiunsi. Non c’era +nessuno attorno. +– Avete l’arco? – domandai. +– No. Nemmeno per idea. Stefanos, quell’uomo è molto strano. Figurati, mi +ha insultato! Mi ha detto in faccia che sono un forestiero! +– Tutto qui? – domandai imperturbabilmente. – È capace di dire ben altro, +credetemi. +– Avevo incontrato Archimeno di rado prima di oggi, – mi spiegò Aristotele, +– e ci eravamo scambiati le cortesi frasi di circostanza che puoi immaginare. +Allora mi era sembrato serio, dignitoso, austero, ed è stato così all’inizio, ma +poi! Credo proprio che quest’uomo sia in preda a una profonda angoscia. +– Cos’è accaduto? +– Mi hanno fatto entrare nella stanza di cui ci aveva parlato il marinaio, +quello stanzone. Dopo i soliti convenevoli, ho accennato al mio lavoro, +sottolineando il valore patriottico dell’iniziativa, ovviamente. E Archimeno era + tutto sorrisi e offerte di aiuto. Poi gli ho detto che speravo che, essendo di ricca e +distinta stirpe, potesse avere qualche arma di famiglia da prestarmi, e lui mi ha +parlato con grande boria di suo nonno. A proposito, credo che la sua nobile +famiglia abbia commesso un errore politico durante il governo dei Trenta, e i +discendenti sono ansiosi di cancellarlo. Ciò nondimeno, la nostra conversazione +è stata estremamente banale. Poi, però, ho detto di aver sentito che conservava +come curiosità un’arma che mi interessava, un arco cretese. Credimi, Stefanos, +Archimeno è diventato pallido come un cencio proprio davanti ai miei occhi. +– E allora? +– Per un momento non ha detto niente. Poi mi ha risposto che non gli pareva +di avere niente del genere. Ho ribattuto che ne avevo sentito parlare. Forse avrò +esagerato, Stefanos, dandogli l’impressione che me ne avessero accennato in +parecchi. E allora lui: «Ah, quel vecchio arnese!». Ed io: «È vero, gli archi di +scarsa qualità diventano presto inservibili se non sono tenuti bene. Mi sembra di +ricordare che questo fosse tipicamente cretese, con la punta di corno». E +Archimeno ha cominciato a borbottare fra sé, cambiando colore. E poi ecco che +salta fuori a dire: «Voialtri immigrati! Non so perché vi permettano di entrare! +Non siete capaci di stare al vostro posto!». Io mi sono trattenuto dal ribattere, e +gli ho semplicemente rammentato il mio dovere verso Alessandro e i servizi che +gli ho reso. Allora ha cambiato registro, e con un sorriso tutto ossequioso mi ha +detto che avrebbe voluto essermi utile, ma che l’arco era sparito. Gli ho chiesto +se l’avesse dato via. E lui, in fretta: «No, è stato rubato qualche tempo fa». Gli +ho detto che mi dispiaceva, e lui ha ripetuto che doveva averlo preso uno +schiavo, e comunque era un oggetto senza valore. Allora ho detto con aria +sbalordita, «Avreste dovuto rimediare. Uno schiavo con un’arma è pericoloso. È +contro la legge lasciar passare un simile furto». Messo così alle strette, mi ha +detto: «Non so chi l’ha preso; a un certo punto l’estate scorsa è sparito e non ci +ho fatto caso». Ed io: «No, infatti, non credo che nella vita di tutti i giorni qui ad +Atene vi possa servire un arnese simile». Lui si è rabbuiato e ha borbottato che +gli dispiaceva di non poter essermi di maggiore aiuto. Io me ne sono venuto via, +ma nell’uscire l’ho udito parlare da solo in un modo molto strano. Con molte +imprecazioni. Ma una delle frasi che ho colto nei suoi vaniloqui era: «Quel +maledetto arco! Vorrei non averlo mai visto!». Ed ecco tutto – concluse +Aristotele. – Ti ho dato un resoconto completo. Adesso giudica tu. Cosa te ne +pare? +– Mi sembra ovvio, adesso – risposi. – I miei sospetti, i miei primi sospetti, +dopo tutto erano fondati. Dev’essere stato Archimeno a uccidere Boutades. +Aveva un movente, essendo stato truffato a proposito della nave. Aveva l’arma e +poi l’ha distrutta. Ma la punta si è spezzata ed è rimasta sotto la finestra di + Boutades. +– Che abbia avuto l’arma lo credo anch’io. O almeno l’ha avuta. Credo che il +mio piccolo gioco d’azzardo abbia avuto successo. Giocando d’azzardo si può +anche vincere. Bisogna pur giocare, se si vuol vincere. +– Ma voi non siete un giocatore – dissi, sorpreso. +– Non con i dadi o con le pietre, e per denaro. Ma in questo genere di partite +al bersaglio ogni tanto faccio centro e vinco il premio. Anzi, uno di questi premi +ce l’ho nella manica adesso. È di questo che intendevo parlarti prima che +fossimo interrotti da quel bravo marinaio. Guarda! Cosa ti pare di questo? +Stese la mano e mi mostrò un frammento di ceramica: una scheggia sottile +non più lunga dell’unghia del mio mignolo. +– Dimmi un po’ che cos’è. +Guardai obbedientemente l’oggetto. – È una scheggia, – dissi – un piccolo +frammento di un vaso, suppongo. +– Sì. Va bene. E che altro? Cosa ti dice? +– I frammenti di ceramica non dicono niente – ribattei con pesante sarcasmo. +– Non sono come i rètori. Sanno qual è il loro posto, e cioè tra i rifiuti. Non +serve a niente. È troppo piccolo per scriverci sopra una lettera. È semplicemente +una piccola scheggia di un vaso, probabilmente un vaso grande, dipinto di rosso +e verniciato. +– Andiamo. Non noti nient’altro? Di che colore è la terracotta? +– Gialla. Piuttosto opaca. Non ha un bel colore, a dire il vero. Ma la vernice +rossa ha fatto presa in profondità. +– Dunque l’argilla era gialla? +– Sì. Credo di sì. Sulle prime credevo che fosse rossa, come di solito. Ma, +Aristotele, perché parlare di ceramiche adesso che non abbiamo in mano +nemmeno un recipiente o un bricco? +– Non ne parlerò più per il momento –. Sospirò. – Forse hai ragione. Se +sapessi dove sono stato in visita senza essere invitato e mentre il padrone di casa +era fuori… e dove mi sono fermato alcuni minuti per scrivere un messaggio! Ma, +mio caro, adesso sei stanco, e la tua maggior preoccupazione dev’essere la tua +sicurezza. +– Diciamo piuttosto il processo – gli rammentai con amarezza. – È questo che +non riesco a togliermi dalla mente in questo momento. +– Anche al processo pensavo – ribatté. – Non lasciare che i sospetti di oggi +condizionino la tua condotta e ti occupino troppo la mente. Mantieni il segreto +finché non sarò di ritorno. +– Di ritorno? Partite? +– Sì, non te l’ho detto? Devo assentarmi inaspettatamente per affari. Parto + domattina all’alba. Le mie ricerche sulle armi non mi lasciano respiro. Me ne +lamento con tutti. Sì, devo partire. Probabilmente dovrò fare parte del viaggio in +battello. Oltre tutto con questo tempo! Vado a sud, giù per l’istmo di Corinto, se +non più lontano. Accidenti a chi ha inventato per primo i viaggi in inverno! +Sacrifica per me a Poseidone mentre sono via. +– Lo farò senz’altro – risposi educatamente. – E spero che farete un buon +viaggio e avrete successo nei vostri affari –. Dentro di me, avrei voluto +rimproverarlo perché mi abbandonava, il che era sciocco, poiché non era +responsabile per me, e in ogni caso cos’avrebbe potuto fare? +– Sarò di ritorno prima del processo, naturalmente – disse Aristotele. – Se la +cosa ti può confortare, Stefanos, ti aiuterò a preparare le tue arringhe. +– Cosa dovrei fare, ora? Come devo comportarmi con Archimeno? +– Non fare nulla, Stefanos. Lo dico sul serio. Sta’ alla larga da Archimeno. Ti +prego di essere prudente. Non accettare doni. E non uscire da solo se puoi farne +a meno, specialmente di notte. Evita i luoghi solitari. Ricordati la sorte dello +schiavo Sinopeo. +– Quello che scivolò in un dirupo tra le colline del Parnete? +– Quello la cui testa si scontrò con un oggetto duro sulle colline del Parnete +vorrai dire. Ricordati l’importantissima lezione del nostro allegro mercante di +pietre. Tenersi a distanza non basta a garantire una totale sicurezza. In realtà +sarai al sicuro solo dopo il processo. +– Allora – dissi cupamente – dovrò starmene in casa come una donna a far +niente? E il mio povero cugino? +– Be’ – disse Aristotele con cautela – potresti seguire il suo suggerimento e +cercare di far giungere un messaggio ai suoi pirateschi compagni, anche se io +aspetterei un po’. Se uno di loro fosse disposto a giurare che Filemone era diretto +a Egina al momento del delitto, potrebbe esserci utile… nel caso che la faccenda +si mettesse proprio male. Ma io spero in un esito migliore. Come vedi, Stefanos, +stiamo avvicinandoci al successo finalmente! Rivolgiamo le nostre preghiere al +padre Zeus in questo tempio. +Pregammo in quel piccolo tempio e ci separammo. Le statue rimaste senza +vernice e le colonne crollate del tempio abbandonato splendettero candide e +desolate quando vi passammo accanto. Quell’edificio senza tetto, così imponente +nelle ambizioni di chi lo aveva concepito e ormai così diroccato e mutilato, mi +parve il simbolo più adatto a rappresentare la tesi della mia difesa in questo +processo. + XVIII +Pericolo e rischio di morte + + + + + +Aristotele se ne andava, anzi, doveva essersene già andato. Questo fu il +pensiero con cui mi svegliai la mattina dopo. Avrei dovuto occuparmi da solo +dei preparativi per il processo. Decisi di mettermi in cerca del misterioso +Simonide, il vasaio di cui Filemone mi aveva parlato, e tentare di far giungere un +messaggio per suo tramite a uno dei loschi ma utili naviganti. Se fossi riuscito a +persuadere uno di quei marinai a fare da testimone al processo giurando +sull’assenza di Filemone al momento fatale, questo sarebbe stato pur sempre +qualcosa. +Da quanto mi aveva detto Filemone, sapevo che la bottega di Simonide era +lontano dal mercato, sulla strada che conduce alla Porta Acarniana, in una zona +piena di piccoli e modesti opifici. Trovai infatti senza difficoltà la bottega. Fu +facile riconoscerla, perché sul bancone di legno pieno di crepe qualche +analfabeta +aveva +scarabocchiato +col +carbone +una +figura +oscena +e +anatomicamente ambigua, aggiungendo a mo’ di didascalia, «a Simonide gli +piace fotere». L’aspetto del padrone della bottega era in stridente contrasto con +quest’oscena descrizione: era un uomo esile, dal viso bruno e dall’espressione +stizzosa, tutto sudato in mezzo ai suoi vasi. Questa non era certo una grossa +fabbrica di ceramica, e aveva un aspetto assai poco attraente. Si vedevano solo +un paio di garzoni ad assistere il padrone. Il pavimento era cosparso di vecchi +frammenti d’argilla; evidentemente il padrone non era ansioso di aumentare le +sue fatiche adoperandosi in grandi pulizie. Il vasellame in vista era abbastanza +scadente. C’erano alcuni calici neri di discreta fattura, ma nessuna traccia di bei +vasi dipinti. L’intera produzione sembrava consistere di rozze giare da acqua, del +tipo robusto usato dalle schiave per andare a prendere acqua dal pozzo, o di +larghi recipienti grezzi, del tipo usato dagli uomini per vomitare dopo un +banchetto. +– Simonide il vasaio? – domandai, pur sapendo che doveva essere proprio lui. +– Sissignore – rispose con un misto di rispetto e d’impazienza. +Inghiottii la saliva e dissi: – I vasi rossi non erano molto ben riusciti –. Poi +aggiunsi, come mi aveva insegnato Filemone: – Bisogna cuocerli nella fase +giusta della luna. + – Ah, mi dispiace di sapere che non siete soddisfatto. Volete darmi un’altra +ordinazione? +– Sì – risposi. – Fornitemi di questi, per favore. +E gli diedi il messaggio, scarabocchiato su un frammento di brocca rotta, un +coccio del tipo usato ordinariamente per scriverci sopra brevi note. Un lato era +già stato usato tempo prima per una lista di compere. Sul rovescio avevo +scribacchiato il disegno (che speravo somigliasse a ciò che sarebbe dovuto +essere) di un albero dai rami piatti, e sotto di esso avevo scritto «Fidippide o +Fidia», quest’ultimo abbreviato per mancanza di spazio. Avevo preferito +abbreviare Fidia perché il nome Fidippide mi faceva pensare a una persona +veloce. +Simonide, invece, non mi sembrava affatto una persona veloce. Diede +un’occhiata casuale allo scritto e disse: +– Una grossa ordinazione è un po’ problematica per noi in questo momento. +Potrebbero esserci dei ritardi. Non posso promettere nulla. Magari fra una +settimana o due, ma non è sicuro. +– Fate quel che potete – risposi, piuttosto abbattuto dalle sue allusioni. +Sembrava che Simonide avesse dei dubbi sulla possibilità che i due loschi +marinai si facessero vedere. +– Un giorno delle prossime due settimane – aggiunsi con fermezza. – E +meglio presto che tardi. Si tratta di… una riunione, capite? E avremo bisogno di +una grossa provvista. Se non potete servirmi, dovrò rivolgermi altrove. +– Io credo che nessun negozio da nessuna parte riuscirebbe a fornirvi +un’ordinazione così grossa con così poco preavviso, – rispose Simonide in tono +un po’ insolente – ma farò quello che posso… – E seguitò in un tono lamentoso, +tipicamente da bottegaio: – Non dipende da me, capite? Come posso +prevedere… non sono un indovino. Farò del mio meglio, ma una così grossa +consegna viene a costare, signore. +Sospirai e posi sul banco il mio denaro, dieci dracme. – Prendete queste come +caparra e per l’acquisto del materiale, ma non ci saranno altri versamenti finché +non mi avrete consegnato qualcosa, o almeno fatto sapere che l’ordinazione +verrà eseguita. +– Molto bene. Il vostro nome e indirizzo, signore? Così vi possiamo mandare +a dire qualcosa. +Borbottai il recapito con riluttanza. Ma se lui o i suoi soci dovevano venire da +me privatamente, dovevano per forza conoscere il mio indirizzo. +– Benissimo. Penso che ci faremo sentire la prossima settimana. Capisco la +necessità di far presto, ma non è un momento molto buono, signore. Ad ogni +modo… se proprio vi occorre la merce… + Mi scrutava acutamente, tanto da mettermi a disagio. Forse sapeva tutto di +me, e magari anche dell’ultima avventura di Filemone. Un personaggio così +bizzarro poteva avere delle fonti segrete d’informazione, oscuri ruscelli +sotterranei che sgorgavano fuori all’interno della sua sudicia bottega. Simonide +gettò con negligenza il mio messaggio tra un mucchio di altre note +scarabocchiate su cocci simili, ordinazioni di un’idra o di due anfore e così via, +in mezzo alle quali, magari, si trovavano dei messaggi strani come il mio. Annuì +con aria altezzosa, quasi a volermi congedare. Ma la sua altezzosità fu +comicamente contraddetta dal gesto che compì subito dopo: appoggiò l’indice a +un lato del naso, con grande concentrazione, e poi disse, – Benissimo, signore – +strizzando gli occhi e accennando un vago sorriso, il primo che gli avessi visto +fare, mentre dava due o tre colpetti sul naso, come se stesse convincendolo con +dolcezza a fidarsi di lui. +La mia visita a Euticleide, in serata, offuscò il resto del giorno. Ci sono cose +peggiori dei crucci per il denaro, come già sapevo, e come avrei avuto modo di +sapere ancor meglio prima che il giorno finisse. Ma i crucci economici, anche se +spregevoli, sono assillanti; averne è come stare seduti su un formicaio o +camminare tra le vespe. +Mi vestii con cura per quella visita, non volendo apparire né troppo ricco né +troppo povero, e mi incamminai attraverso la città verso il ricco demo presso il +Colle delle Muse. La maestosa dimora di Euticleide era proprio di fronte alla +casa che ancora consideravo come la residenza di Boutades. Sbirciai quel +malaugurato edificio, rammentandomi la mattina in cui erano cominciati tutti i +nostri guai. Decisi che non mi piaceva granché quel demo, nonostante le case +imponenti e l’aria pura delle colline. +Fui introdotto nella casa di Euticleide abbastanza sollecitamente, ma il +padrone non sembrava aver fretta di vedermi, nonostante la sua insistenza sulla +puntualità. Fui lasciato solo in una fredda anticamera piena di spifferi per quasi +due ore. Questa esperienza non servì certo a migliorare il mio umore, ma +ovviamente dovetti astenermi dal manifestare il mio risentimento. Quando +Euticleide si degnò finalmente di ricevermi, capii che si rendeva perfettamente +conto di entrambe queste cose, e che ne era compiaciuto. Non mi rivolse nessuna +scusa, ma disse soltanto: +– Bene, Stefanos, spero che avrai portato il denaro questa volta. +– Sì – risposi. – Eccolo –. Non potei trattenermi dall’aggiungere: – Se avessi +saputo che sareste stato impegnato così a lungo, sarei venuto più tardi. +– Ma allora avresti dovuto fare la strada al buio. Io sono spesso occupato per +affari urgenti, come certamente capirai. Il mio tempo è molto prezioso. +Mi ricordai di Simonide. Anche lui aveva parlato di problemi di tempo: + – Pare che siano tutti molto impegnati di questi tempi – dissi seccamente. – +Non che mi sia importato di aspettare – precisai, con un’alterigia che non +sentivo. – Posso pensare alla filosofia dovunque mi trovi, e questo mi fa passare +il tempo. +– Giusto. Dovresti riflettere sulla natura delle virtù, Stefanos, soprattutto della +prudenza. La raccomando alla tua attenzione. Anche questo fa parte della +filosofia, credo. Tu mi hai consegnato trenta dracme. Soltanto trenta, da +aggiungere alle precedenti settanta. Metà del debito. Io sono un uomo occupato e +puntiglioso in questioni d’affari, e mi aspetto lo stesso dagli altri. Spero che mi +farai avere le restanti cento dracme quanto prima. Diciamo fra tre giorni? +– Non posso prometterlo – replicai seccamente. – Dovrò vendere un pezzetto +di terra e ci vuole del tempo. +– Oh? Siamo al punto di vendere della terra? Spero che tu non stia cercando +di vendere dei possedimenti che appartenevano ai tuoi avi, Stefanos. Ricorda che +ci sono leggi che lo proibiscono. +Sentii la rabbia prendermi alla gola. Conoscevo la legge quanto lui. – Certo – +risposi. – Non si tratta di poderi di famiglia. È una vigna isolata, un acquisto di +mio padre. +– Nichiarco era spesso incauto nelle sue compere. E chi vorrà acquistare una +vigna in inverno? Comunque, Stefanos, io non posso aspettare in eterno che tu +concluda questa tua transazione immaginaria. Non mi riguarda. Mi devi versare +il denaro, qualunque cosa tu decida di fare con i tuoi magri poderi di terra acida. +Ad ogni modo, sarò ancora generoso, benché sia contro il mio interesse. Dovrai +pagarmi la somma restante più gli interessi. Ti darò altri venti giorni. +Arrossii di collera, mio malgrado. Questo significava che avrei dovuto +pagarlo il giorno prima del processo! Doveva sapere che avevo abbastanza +pensieri per la testa anche senza questo. Lo guardai e compresi che lo sapeva +molto bene. Perciò ringhiottii le parole di protesta e mi limitai a rispondere, con +la maggior calma possibile: – Sì. Vi pagherò allora. Molte cose possono +succedere in venti giorni. O in ventuno. +– Giusto. Siamo d’accordo, dunque. Non ti trattengo più. Ci rivedremo +quando mi porterai l’ultima rata. +La sua sgarberia era incredibile. Non si era nemmeno sentito in dovere di +offrirmi una coppa di vino. Come se fossi stato uno schiavo venuto per una +commissione; anzi, nelle case della gente perbene gli schiavi venivano accolti +meglio. Me ne andai schiumando di rabbia. Poteva darsi che non riuscissi a +vendere la vigna, quello era vero. E allora? Nell’imminenza del processo, +giornate importanti sarebbero state sciupate in sforzi frenetici per cercare di +radunare cento dracme, e sarei andato in tribunale svantaggiato dal peso di + umilianti preoccupazioni e abbattuto da pesanti sacrifici. L’intera famiglia +avrebbe dovuto vivere in grandi ristrettezze almeno per il resto dell’inverno. +Quando uscii da casa di Euticleide, uno strano istinto mi fece andare nella +direzione opposta a quella da cui ero venuto. Suppongo che fosse perché non +volevo passare di nuovo davanti alla casa di Boutades, ma non mi resi conto +della direzione che avevo preso fin quando non mi ritrovai vicino al sentiero che +corre su fino alla cima del Colle delle Muse. La cosa non m’infastidì, sebbene +fosse ormai buio fitto. Conoscevo benissimo il sentiero. Una volta in cima, dopo +aver oltrepassato il tempio, avrei trovato il sentiero per scendere sul versante +opposto del colle, e ci sarebbero state di nuovo strade e case. Avevo con me una +torcia, accesa al lume del custode di Euticleide, e non vi era nulla di spiacevole +nel fare una breve passeggiata su per la piccola altura prima di tornare a casa. +Anzi, approfittai dell’occasione per mormorare imprecazioni contro me stesso in +mezzo al boschetto e per liberarmi della collera con un’energica passeggiata. +Quindi salii in cima al Colle delle Muse. Ma in quell’occasione, per me esso +sarebbe stato ben altro che la dimora delle Muse. O dolce Talia, bella Erato, +leggiadra Tersicore, come avrete giudicato la profanazione di quella notte? A +questo punto, però, faccio dolorosamente appello a Mnemosine perché mi aiuti a +ricordare. +Camminavo svelto nel furore della collera, accorgendomi appena di quanto +mi circondava. A un tratto, mentre ero immerso nelle mie turbolente +fantasticherie, mi accorsi che qualcuno camminava alle mie spalle. Mi fermai. +Tutto era immobile; si udiva solo il mormorio del vento invernale fra gli alberi. +Proseguii, e subito mi sembrò di udire di nuovo dei passi. Non riuscivo a +distinguere nulla al di là del cerchio tremolante di luce proiettato dalla mia +torcia. Ma d’un tratto mi tornarono in mente delle impressioni già +immagazzinate che sul momento il mio cervello non aveva avuto tempo di +analizzare, ed esse mi davano la spiacevole notizia che qualcuno mi stava +seguendo su per il sentiero, e probabilmente mi aveva seguito appena fuori dal +cancello di Euticleide. +Troppo tardi mi ricordai l’avvertimento di Aristotele di stare lontano dai +luoghi deserti. Perché non avevo portato qualcuno con me? Uno schiavo, +magari? Ma la collera e la vergogna per la visita ad Euticleide mi avevano fatto +sembrare naturale l’andarci senza accompagnatori. Cos’era accaduto allo +schiavo Sinopeo? Com’era morto? Sembrava importante e interessante saperlo. +Affrettai il passo quanto potevo, quasi mettendomi a correre, e mi sentii sicuro di +essere inseguito. In cima al colle, presso la spianata del tempietto, mi fermai e +mi guardai attorno. E allora potei scorgere un’altra torcia. Troppo vicina. La mia +torcia indicava all’inseguitore o agli inseguitori dove ero. E se mi avessero + scagliato contro qualcosa, magari delle pietre? Ero troppo visibile. D’impulso, +scaraventai a terra la mia torcia e la spensi. Adesso ci vedevo molto poco, ma i +miei inseguitori ancora meno. Proseguii rapidamente, inconsapevole di dove +andassi (verso le rovine del tempio in verità), ma il cammino era difficile, e le +radici degli alberi mi ostacolavano. Pensai ironicamente che la cosa che mi +riusciva meglio era correre, di certo non la cosa più eroica. Fuggire, correre, +scappare: nella mia vita pareva non ci fosse altro che questo. No, dovevo +battermi da uomo. +Non avrei dovuto preoccuparmi di questo. Che lo volessi o no, stavo per +battermi con qualcuno. Perché l’uomo con la torcia stava guadagnando terreno +su di me, e mentre si avvicinava capii che non era solo. Dietro di lui si udivano +altri passi, di corsa. Mi volsi disperato, addossandomi al tempietto. +D’un tratto sentii un gran colpo alla spalla. Distinsi la figura di un uomo che +reggeva la torcia, con una brutta faccia bitorzoluta nell’alone di luce, una faccia +che non avevo mai visto. Il fatto che non mi conoscesse evidentemente non +diminuiva la sua ostilità. Picchiarmi gli sarebbe riuscito ancora più facile. +Rammentando la lotta che avevo affrontato qualche tempo prima, ignorai la +minaccia del suo braccio destro e feci un balzo verso il sinistro che impugnava la +torcia. Lo colpii con tutte e due le mani, gli strappai la torcia e la calpestai. +L’uomo mi colpì con un piede mentre ero impegnato in questo, ma io riuscii a +colpirlo allo stomaco col mio pugno destro. Adesso eravamo al buio. Qualcosa +fischiò nell’aria. Mi scansai a sinistra e sentii il tonfo pesante di un oggetto che +andava a sbattere contro il santuario. Un bastone! Ecco cosa doveva essere! +Balzai, nell’oscurità, in direzione dell’aggressore, e con mia sorpresa gli afferrai +un braccio. Lo piegai all’indietro e sentii un grugnito di dolore e rabbia. Afferrai +l’arma, che non riuscivo a vedere ma solo a immaginare, e torsi il polso +dell’uomo, facendogli mollare la presa sul randello. Continuò a tentare di +colpirmi a calci, ma io ormai avevo capito a cosa mirava, e continuavo a spostare +i piedi e le gambe fuori portata. Credo di essere stato più veloce di quanto si +aspettasse. Trionfante, riuscii a impadronirmi del bastone. Ma proprio mentre +l’impugnavo, qualcuno sopravvenne dall’altro lato e mi assestò un terribile colpo +nelle reni. +Vacillai con un urlo di dolore, ma non tralasciai di colpire a casaccio con una +botta violenta il mio primo assalitore, che mi auguravo fosse ormai disarmato. +Lo colsi nel basso ventre, e dovette sentire un male feroce, anche se il mio colpo +non fu forte quanto lo sarebbe stato qualche secondo prima che fossi colpito. Poi +l’aggressore dietro di me mi afferrò una spalla. Risposi con un calcio, senza +colpirlo, ma riuscendo tuttavia a sbilanciarlo per qualche istante. Mi piegai e +scrollai la spalla, allentando la sua presa; poi, rigirandomi quanto potevo, diedi + al secondo assalitore una bastonata nelle gambe. Lui mi lasciò andare subito, ma +scoprii presto che era solo per avere entrambe le braccia libere e sollevare il suo +randello sopra la testa per abbatterlo su di me. Io balzai rapidamente di lato +mentre il suo randello discendeva, e lo martellai sul fianco mentre il suo bastone +non trovava che il vuoto. Menai ancora due colpi, di cui almeno uno dovette +andare violentemente a segno sul collo 0 sulla testa di questo secondo uomo, +perché udii un gemito; poi lo sconosciuto si accasciò a terra e rimase immobile. +Tutto ciò si era svolto molto in fretta. Fino a quel punto me l’ero cavata +abbastanza bene. Avevo disarmato un assalitore e ferito seriamente (o così +speravo) l’altro. L’inizio della lotta era durato solo pochi secondi, ma ancora non +conoscevo il numero dei miei nemici. Perché in quel momento un altro uomo, +col solito randello (avrebbero potuto provare tutti e tre a impersonare Eracle), +balzò verso di me e abbatté con forza il suo bastone di legno sul mio +avambraccio destro, producendo un sibilo nell’aria. Se mi avesse colpito il +gomito, cosa che non avvenne per un pelo, credo che non sarei mai riuscito a +scrivere questa storia. Sul momento mi parve che il braccio mi si fosse spezzato. +Con un grido di dolore lasciai cadere il mio bastone, ma ebbi abbastanza +presenza di spirito da spingerlo al buio con un calcio, proprio mentre il primo +uomo, a cui l’avevo preso, mi afferrava alle caviglie, facendomi piombare a +terra. Il suo compagno, l’ultimo arrivato che mi aveva appena disarmato, mi +colpì due volte nel ventre con il suo corto randello. Sapevo che per fare questo +aveva dovuto piegarsi, per capire dove si trovava approssimativamente il mio +corpo. Così, non appena quello che mi aveva afferrato mi lasciò andare per +colpirmi a sua volta, inarcai il corpo, scalciando con tutte le mie forze verso +l’addome di chi mi stava sopra. L’uomo indietreggiò barcollando, e io balzai in +piedi e mi misi a correre, o meglio a zoppicare, lontano dal tempietto, +dirigendomi alla cieca verso il pendio. Ma dopo questa lotta il mio respiro +affannoso avrebbe indicato a chiunque dov’ero, se non fossero bastati i miei +passi a tradirmi. Presto mi furono addosso di nuovo, e di nuovo fui colpito alla +schiena. Caddi in ginocchio. Ma mentre uno degli assalitori si portava davanti a +me per colpirmi in faccia, gli afferrai una gamba, e piegando la testa come un +uccello o un serpente, la morsi selvaggiamente quasi fossi stato un cane. La sua +sorpresa fu grande, e così pure la sua rabbia. Gridò al suo compagno, – +Maledetto, mi ha morso! – Questi emise versi furiosi e cominciò a colpirmi sul +collo con i pugni nudi, a tutta forza. +Ci sono dei punti nel collo che fanno un male terribile quando ci si batte +sopra. Mi vennero le vertigini. L’uomo riprese a picchiare. Fui colto dalla +nausea. Mi rialzai, e quello che avevo morso mi colpì allo stomaco. +All’improvviso, e con mia grande sorpresa, vomitai. Suppongo che l’uomo si + trovasse proprio in quella direzione. Sentii delle imprecazioni, e poi quello che +mi aveva colpito sul collo ricominciò da capo. Fui percosso anche sul viso, +ripetutamente: sentivo il sangue colarmi dal naso. Poi il randello fischiò in aria e +mi piombò su una guancia. Fu allora che perdetti due grossi denti laterali. I +pugni mi grandinavano sul torace, sulla schiena e nella pancia. Tirai dei pugni +deboli cercando di tenermi dritto. In un certo senso era strano che non usassero +più il randello e rimanessimo a lottare tutti insieme in un groviglio scuro; ma +suppongo che quello col randello avesse paura di ferire il suo compagno. Cercai +debolmente di estrarre il mio pugnale. È un dono del cielo che non l’abbia +trovato, perché se l’avessi fatto, avrebbero potuto facilmente togliermelo e usarlo +per finirmi quando ne avessero avuto voglia. +Continuarono a picchiarmi energicamente. Erano evidentemente uomini +robusti e in perfette condizioni fisiche. Sapevo che stavamo lottando +pesantemente e che questo non era affatto uno scherzo. Quest’esercizio coi pugni +era solo il preludio. Man mano che mi indebolivo, l’uomo col bastone cominciò +a colpirmi senza troppa cautela. Mentre il randello mi percuoteva sulla schiena e +sulle spalle, mi resi conto che era irto di chiodi. Sentivo la pelle e la carne +lacerarsi. +Molto chiaramente, tra la morsa del dolore e la nebbia che mi velava la vista, +pensai: «Mi picchiano per buttarmi a terra di nuovo. E allora mi uccideranno. +Una volta caduto, non ci sarà più bisogno di essere prudenti col randello. Sarà +facile sfondarmi il cranio». Questo pensiero rese lucida una parte del mio +cervello tormentato, che ancora si sforzava di fare il suo dovere, e allora mi +chiesi mestamente, «Perché me ne sto qui a farmi ammazzare?». +Quest’ingenua domanda mi riscosse. Scattai (credo abbastanza lentamente) in +mezzo ai due, e cominciai a correre. Credo che fossero colti di sorpresa, perché +avevano smesso di aspettarsi una qualche reazione da parte mia. Ovviamente +m’inseguirono. Dopo pochi secondi, un colpo di bastone chiodato mi lacerò le +natiche e mi azzoppò quasi per sempre (per quanto, se il colpo mi avesse +impedito di correre, «per sempre» sarebbe durato circa un minuto in più di vita). +Un altro colpo mi colse alla spalla, la stessa che era stata così ferocemente +martoriata poco prima. Seguitai a correre, mentre negli occhi mi balenavano +lampi e stelle, e mi parve che al di là di queste strane luci vi fosse il buio eterno. +Sentivo nella testa un rombo come quello del mare. Grandi onde, tra le quali +entro pochi minuti sarei annegato. Rendendomi conto a fatica di quanto +accadeva, piombai in mezzo a dei cespugli, e proprio in quel momento ricevetti +un nuovo casuale colpo sulla testa. Seguitai a cadere, a cadere, a cadere, +rotolando e rimbalzando su cespugli e pietre, e sentendo a ogni sobbalzo uno +strazio che mi lacerava i sensi. Poi cessai del tutto di sentire, e le tenebre mi + chiusero gli occhi. + XIX +Pensieri di morte + + + + + +Mi risvegliai all’aurora. Dico «mi risvegliai», ma in realtà non fu niente di +simile ad un normale risveglio. Piuttosto, fu come il ritorno in superficie di un +uomo quasi affogato. Vedevo poco e male, come se guardassi il mondo +attraverso delle fessure. Vedevo pietre taglienti e qualche filo d’erba, e tutto mi +appariva mostruosamente grande. Mi sentivo in testa un fragore che m’impediva +di vederci chiaramente, e il cranio mi doleva come se stesse per spaccarsi. +Richiusi gli occhi e li riaprii poco dopo, cercando di muovermi. Lo sforzo fu così +doloroso che desistetti, ripiombando nel torpore. +Non so per quanto tempo rimasi così, dormendo e vegliando a brevi intervalli. +Le cose si facevano un po’ più chiare ogni volta che riaprivo gli occhi. Sentivo +qualcuno che gemeva, e mi resi conto che ero io. Poi riacquistai un po’ di +lucidità, e feci un enorme sforzo per accertarmi di non avere ossa rotte. +All’inizio mi parve di non riuscire a muovere la gamba sinistra, e fui preso da +un’enorme paura; poi scoprii che riuscivo a muoverla, ma mi faceva male. +Mentre il chiarore dell’alba aumentava, riuscii ad intravedere rivoli di sangue +sulle mie mani e sulla tunica sporca e ridotta a brandelli. Mi tornarono in mente +spezzoni di ricordi. Sapevo di essere Stefanos, e non solo un animale ferito e +mugolante che emergeva dall’oscurità. Ricordai qualcosa della notte appena +trascorsa. Infine, riuscii a raccogliere la forza necessaria per tirarmi su fin quasi a +sedere e guardarmi intorno con gli occhi gonfi e velati. Ero vicino al fondo del +pendio, in mezzo a una macchia di cespugli sotto una sporgenza di roccia. Piegai +la testa con un senso di nausea e riuscii a distinguere sopra di me il crinale del +colle. Le tracce della mia caduta erano tuttora visibili nella terra sconvolta e +nella vegetazione schiacciata. C’erano anche alcune orme umane a qualche +distanza, ma non intorno a me. Pensai confusamente che i miei assalitori +dovevano avermi colpito proprio mentre precipitavo giù da una sporgenza del +colle; poi, scendendo a cercarmi per una strada più sicura, dovevano aver scorto +la mia sagoma immobile e pensato che fossi morto. Dovevo essere rimasto un +bel pezzo senza muovermi, né esalare un grido. +Fui preso di nuovo da una grande debolezza e ricaddi nell’oblio. Ma poco +dopo rinvenni di nuovo, con la sensazione di dover vomitare (avevo in bocca un + sapore terribile di sangue incrostato e bile), ma capii che era impossibile; i conati +scossero la mia carcassa ferita e mi sentii trapassare le ossa da lame d’acciaio +bollenti. Guardando le macchie di sangue mi resi conto che il randello mi aveva +lacerato le carni. Il freddo dell’aria notturna doveva aver asciugato rapidamente +le mie ferite, il che era un bene, perché così doveva essermi rimasto un po’ di +sangue. Quasi ogni parte visibile (e molto era visibile, perché la mia tunica era +ridotta a brandelli) era coperta di lividi ed escoriazioni. Durante la notte era +piovuto un po’, e intorno a me tutto era umido e fangoso. Capii che non era +salutare restarmene seduto lì a riflettere sulle mie ferite. Avevo bisogno di +calore, di coperte, di medicine, di ogni genere di soccorso, e dovevo cercare di +tornare a casa. Decisi di compiere uno sforzo per farlo. +Quella decisione era molto più coraggiosa della mia determinazione a portare +Filemone in salvo in Eubea, e comportava molta più fatica. Chi lo consideri +facile dovrebbe provare a strisciare giù per il pendio di una collina con il corpo +interamente coperto di ferite e la testa confusa, con gli occhi gonfi, pesti e quasi +inservibili e le dita intorpidite che rifiutano di far presa. Per la maggior parte del +tragitto strisciai sul ventre come un serpente, ma molto più lentamente. Ogni +ciottolo che incontravo sul mio cammino mi faceva altrettanto male di un pugno. +Quando giunsi in fondo al pendio, mi alzai sulle mani e le ginocchia e +arrancai come un bambino. Di tanto in tanto gemevo, lo so, ma non piangevo. +Tutte le lacrime che avessi mai potuto versare non avrebbero mai reso giustizia +al dolore che provavo. Ogni tanto la sofferenza, il rombo nelle orecchie e la +cecità mi sopraffacevano, e mi appiattivo a terra ripiombando nel torpore. Ma +ogni volta che riaprivo gli occhi, riprendevo a strisciare un po’ più in là… e +ancora un po’ più in là. +Infine raggiunsi una strada. Non riuscivo a capire esattamente dove mi +trovassi, ma vidi che ero su una strada, e più in basso c’erano delle case. Provai +un nuovo terrore: la gente sarebbe potuta uscire dalle case e avrebbe potuto +accorgersi di questo essere abbietto e sanguinante che insozzava la sua bella +strada, questa creatura animalesca ridotta a brandelli che strisciava su quattro +zampe come un rospo. +Dietro di me avvertii un rumore di zoccoli. Non riuscivo a girare il capo per +guardare, ma lo scalpitio si avvicinava, e torreggianti sopra di me vidi le gambe +di un uomo, il suo corpo vestito di lana bruna, le zampe d’un mulo e la sua +pancia. Le cose appaiono molto strane viste dal livello stradale, ve lo assicuro. +Dominai la mia vergogna e gridai: – Aiuto! – Per lo meno, intendevo gridare; ma +la voce fu così debole che l’uomo non mi udì. Gemetti, e provai di nuovo. +Questa volta si fermò e abbassò lo sguardo. +– Che Atena ci salvi! – Non gli piacevo affatto, era chiaro, e il suo primo + impulso fu di proseguire. +– Aiuto – ripetei più chiaramente. – Sono un buon cittadino di Atene… +sorpreso dai ladri… quasi ucciso. +L’uomo si grattò la testa. – Oh – disse piano. E poi: – Come faccio a sapere +che non siete voi stesso un ladro? Ho sentito che alcuni attirano nei tranelli i +poveri passanti. Io non ho un soldo in tasca, sono lo schiavo d’un uomo povero, +che Atena mi aiuti! +– Non sono un ladro – balbettai. – Buon cittadino. Portatemi a casa. +Ricompensa. Nel nome di Zeus! – L’oscurità tornò a inghiottirmi, ma quando +riaprii gli occhi l’uomo era ancora lì. +– Mi sembrate un po’ malridotto infatti – ammise. Pensai che non sarebbe +mai diventato famoso come medico: questa sua diagnosi mi sembrava +assolutamente inadeguata. – Quanto sarà la ricompensa? +– Cinque dracme. +Sembrava ancora dubbioso. – Dieci! – dissi. Che importava se fossi poi in +grado di pagare il debito, o no? +– Bene. Che nome? Dov’è la casa? +Glielo spiegai, e lui esclamò: +– A cavallo, signore! – L’uomo mi afferrò con le sue mani rozze e mi buttò +sul dorso del mulo con la stessa delicatezza che avrebbe usato per un sacco di +orzo. La mia emicrania non fu certo alleviata dal trovarmi con la testa in giù, +ciondoloni sul fianco del mulo. Ci mettemmo in marcia. L’essere sballottato a +testa in giù mi provocò un violento senso di nausea prima ancora che il mulo +avesse fatto quattro passi, ma ormai non avevo più nulla da vomitare. Il +movimento della bestia sotto di me era come una tortura. Il dolore sembrava un +elemento, come il mare, e io vi ero immerso. Chiusi gli occhi, e la natura +misericordiosa mi fece perdere conoscenza. +Quando rinvenni, mi trovai disteso su un giaciglio più morbido che non il +dorso d’un mulo, e vi era un volto ansioso, bagnato di lacrime, chino su di me: +mia madre. +– Oh, è vivo! – gridò. – Parlami, figlio mio! Oh, Stefanos… l’uomo che ti ha +portato a casa ha detto che doveva consegnare un morto che abitava qui, e +anch’io ti ho creduto morto, figlio mio! Sia ringraziato Zeus! +Io chiusi gli occhi; poi li riaprii. – Sto morendo – dissi seccamente e con +convinzione, e poi ripiombai nel torpore. +Le ore che seguirono, una giornata o due, furono un alternarsi di dolore e +sonnolenza, tuttavia qualche parte della mia mente tentava ancora di funzionare. +Mentre giacevo così, a volte cosciente pur senza aprire gli occhi, compresi con +chiarezza che qualcuno, uno sconosciuto, aveva tentato di eliminarmi. Pensai + amaramente e sacrilegamente che avrei desiderato morire. Poi, mentre la ragione +ancora lottava, riflettei: «Se sono ancora vivo sono in pericolo», e mi colpì l’idea +che l’unica via di salvezza, a parte il morire sul serio, consisteva nel fingermi +morto; o se questo non era possibile, nel fingermi moribondo. Chiunque avesse +cercato di uccidermi sarebbe rimasto molto deluso apprendendo che respiravo +ancora; ma si poteva indurlo ad attendere facendogli credere che il successo +fosse semplicemente rimandato di poco. Sì, dovevo fingermi moribondo. +Nei primi due 0 tre giorni ci riuscii benissimo, naturalmente, e senza dovermi +imporre di recitare una parte. I giorni che seguirono non furono neanch’essi +molto difficili, per quanto riguardava la mia finzione. Trascorrere una notte +ferito, all’aperto, sul fianco di una collina e sotto la pioggia non è molto salutare, +e il raffreddore che pensavo mi fosse passato tornò a manifestarsi in modo +terribile, rendendomi la respirazione tanto difficoltosa che temetti di aver +contratto una di quelle affezioni maligne dei polmoni che conducono in breve +tempo alla tomba. Probabilmente fui affetto da qualcosa del genere, ma in una +forma assai meno grave; appresi in seguito di aver avuto una gran febbre e di +aver trascorso una notte in delirio. Dal canto mio, posso dire di essere stato +tormentato per un certo tempo da orribili incubi, nei quali un borioso Boutades +veniva verso di me armato di un randello, che si tramutava poi in un vasetto di +una cosa che lui continuava a versarmi in gola finché non ne venivo quasi +soffocato. +Sì, in quei primi giorni diedi esattamente l’impressione di uno che stia per +morire. Anzi, all’inizio ero stato così convincente che in Atene si sparse la voce +che ero morto. Il mio nemico così poté godersi una quarantina d’ore di tranquillo +compiacimento, prima che si diffondesse la notizia che ero solo gravemente +ferito, in seguito a un attacco di predoni, e che si pensava che non sarei +sopravvissuto. Dopo sei o sette giorni, la mia parte si fece più difficile: grazie +alle devote cure di mia madre, i miei polmoni si stavano sgombrando e il mio +corpo si ristabiliva; persino quelle tremende lacerazioni prodotte dai chiodi si +andavano cicatrizzando, dopo che mia madre le aveva ricoperte di unguenti per +eliminarne i veleni. In un certo senso, man mano che le mie condizioni +miglioravano, io mi sentivo peggio, poiché ero quasi sempre cosciente: infatti, +invece di arrendermi docilmente al dolore, sentivo l’impulso di lamentarmi. Con +grande sforzo di volontà, mi imposi di non aprire bocca, di non muovermi e di +seguitare a respingere il cibo, che fino a poco prima non desideravo affatto e che +adesso cominciavo ad agognare. +Ebbi un visitatore in quei primi giorni, un uomo che insistette per vedermi +dicendo che era un amico di Aristotele e aveva faccende importanti da discutere. +Era un cittadino di nome Diocle, che vedendomi mi disse di essere venuto per + comprare la vigna che, a quanto aveva udito, desideravo vendere. Aveva portato +con sé i documenti necessari, e completammo la transazione lì per lì, con me +ancora disteso sul mio letto. L’uomo mi lasciò duecentocinquanta dracme in una +borsa di cuoio, e per un certo tempo io tenni la somma gelosamente per me, non +osando neppure parlarne a mia madre per tema che quella meravigliosa +ricchezza svanisse. Non so se una simile vendita sarebbe risultata valida in sede +legale, qualora qualcuno avesse voluto contestarla, perché forse non ero ancora +del tutto in me all’epoca dell’affare. Il compratore mi appariva mescolato ai +fantasmi dei miei sogni febbrili, e in seguito vi furono dei momenti in cui dubitai +della sua esistenza. Tutta la faccenda, comunque, fortunatamente apparteneva +alla realtà. +Le mie condizioni intanto miglioravano, e questo causava delle difficoltà +riguardo al mio preteso stato di moribondo. Dovetti confidarmi con mia madre. +Con mia sorpresa, mi capì subito quando spiegai che pensavo di essere stato +vittima di un attacco ordito dai miei nemici e che sarei stato tuttora in pericolo, +se non fosse stata confermata la voce che stavo per morire. Mia madre escogitò +addirittura vari modi per protrarre l’inganno. La schiava che mi portava il cibo +ritrovava le porzioni quasi intatte; mia madre mi dava poi da mangiare +segretamente. Si aggirava nelle stanze della servitù pallida e piangente (le +lacrime, in parte, erano di sollievo) e trascorreva il suo tempo in sospiri e +lamentele. Gli altri membri della casa e persino mia zia Eudossia mi vedevano +solo come una pallida figura avvolta in bende e con gli occhi chiusi che +respirava a fatica. Come appresi in seguito, le notizie che circolavano per Atene +riguardo alle mie condizioni di salute furono assai convincenti. La schiava che +portava i pasti disse a tutte le sue conoscenze al pozzo che il padrone «soffiava +come un mantice ed era bianco come la neve». Queste e simili descrizioni si +diffusero in tutte le migliori famiglie, e così, tanto nell’agorà come nelle cucine, +i rimpianti per la mia morte prematura si mescolavano ai commenti sui terribili +eccessi compiuti dai rapinatori. (Sebbene, naturalmente, ci fossero anche dei tipi +intransigenti per i quali la mia morte era da interpretarsi come un castigo degli +dei contro la nostra famiglia). +Frattanto, sul mio giaciglio solitario nella stanza oscurata, avevo modo di +riflettere. A mia madre avevo detto che l’attacco era stato tramato contro di me +dai miei nemici, e questo era quanto pensavo. Ma chi erano? Ripassai nella +mente la mia visita a Euticleide quella sera. Mi aveva forse fatto aspettare di +proposito, in modo da assicurarsi che me ne andassi a un momento prestabilito e +nell’oscurità? Perché, tra tutti i luoghi malaugurati che potevo scegliere, avevo +dichiarato di essere andato a vendere il mio olio proprio a Megara? Che regalo +avevo stupidamente fatto ai miei antagonisti quella sera prendendo la strada + solitaria del colle! Non pensavo di poter riconoscere gli assalitori, neppure +l’uomo dal viso bitorzoluto che avevo intravisto per un momento. Non vi erano +notizie di un corpo trovato in cima al colle, perciò l’uomo che avevo +scaraventato a terra non doveva aver sofferto troppi danni. Ormai dovevano +essere tutti ben lontani o ben nascosti. Mi domandai se fossero già stati pagati 0 +se dovessero aspettare il mio funerale. +In questo difficile periodo della convalescenza, circa undici giorni dopo +l’attacco, ebbi un altro visitatore, uno che certamente non aspettavo. Entrò di +forza nella mia camera tra le proteste dei familiari, dicendo che aveva un +messaggio da trasmettermi a ogni costo, se respiravo ancora. Lo guardai +lievemente sorpreso. Era un uomo robusto dalla carnagione bruna, indurita dalle +intemperie; aveva membra muscolose, ma il suo stomaco sporgeva a botticella, +come succede alla gente che indulge a bere, e i suoi occhi piccoli somigliavano a +delle uova cotte, circondati com’erano da grosse borse. Entrò con aria +d’importanza e si fermò accanto al mio letto, con l’aria di uno che aspetta di +sentirsi dare il benvenuto. +– Ebbene? – domandai. +– Da parte di Simonide – disse, con una significativa mossa del capo in +direzione dello schiavo di casa. +Congedai il domestico e il mio visitatore chiuse la porta. – Chi siete? Che +volete? – sussurrai. +– Eh, ragazzo mio – attaccò a bassa voce. – Pensavo che sareste stato felice di +vedermi. Non è andata come mi aspettavo, o meglio, come vi aspettavate. Mi +chiamo Fidippide –. Strizzò gli occhi piccoli e si grattò il petto con un gesto +disinvolto. +– Oh. Sì, desideravo molto vedervi. Potete… +– Piano. Un momento. Fatemi controllare il carico. +Con mia grande preoccupazione, afferrò il mio polso nella sua zampa pelosa +come se fosse stato un medico; poi mi toccò la fronte. – Non c’è male – +borbottò. – Ben calafatato – aggiunse dando un’occhiata alle fasciature. – Adatto +a navigare: meglio di quanto pensassi –. Si accomodò familiarmente sull’orlo del +letto, e sputò un po’ delle foglie d’alloro che stava masticando. – Bene, figliuolo, +ci troviamo nei pasticci, eh? Non è bene lasciare che la pentola sia rimessa al +fuoco. No, no. Lasciate fare a me. +– Aspettate – dissi. – Forse non avete capito bene. Io non vi ho chiesto di +badare alla mia salute… +– Ah, – fece lui con aria saggia – non c’è niente come l’aria di mare per +rimettersi in salute. Aria pura e distanza curano molti mali. +– Ma per cosa credete che vi abbia fatto cercare? – domandai alquanto + perplesso. +Ammiccò furbescamente. – Be’, volete spedire della merce, no? Il più presto +possibile. Si può fare stanotte. Basta fissare il prezzo. +– Della merce? +– Certo. Un bel sacco di grano da spedire oltre mare, o un carico di pelli da +infilare nella stiva. Roba da portare al sicuro, da traslocare in quattro e +quattr’otto. +– Da traslocare in… +– È tutto chiaro come il vostro naso, anche se era più bello prima che ve lo +schiacciassero, vero? Avete chiesto di me quando sapevate di correre un grave +pericolo. Mi dispiace non avervi potuto aiutare prima che il ferro fosse caldo, ma +ora non vorrete mica aspettare che torni il fabbro, vero? Voi volete tagliare la +corda, e io posso organizzare tutto, farvi prendere il largo. È più salutare star +fuori che dentro casa, come dice chi se ne intende. +– Oh – esclamai, comprendendo finalmente. – No, grazie. Non voglio +prendere il largo –. (Devo ammettere che per un attimo l’idea mi parve +attraente). – Voglio – sussurrai d’un fiato – che mi promettiate di comparire +come testimone e giurare che mio cugino Filemone era in viaggio con voi verso +Egina in una certa notte… se questa è la verità. +Si alzò in fretta. – È la verità, senz’altro, ragazzo mio, ma non è da dire ad +alta voce. Non è per affari del genere che sono venuto qui da amico e vi ho +offerto il mio aiuto. Niente tribunali per me. Mi fanno male alla salute. +– Io posso… ehm… ricompensarvi bene per il disturbo – insistetti. +Scosse il capo, con aria dolente. – No. Non voglio presentarmi a una giuria. +No, per nessun prezzo. Per quel che riguarda la legge e roba simile, sono una +barca che fa acqua. Non si possono dipingere delle assi marce e farle sembrare +un trireme, questo è certo. +– Per piacere, pensateci – bisbigliai disperatamente. – Non dite subito di no. +Potrei ricompensarvi bene. Se vi promettessi l’impunità e una buona +reputazione… potrei richiamarvi? +– Non posso dire con certezza dove sarò. Non serve cercare d’impressionarmi +per poi farmi testimoniare sotto tortura. Me ne vado e non mi troverete più, se +non vorrò farmi trovare. +– Non voglio farvi del male – ansimai rauco. – Ma pensateci su, vi prego. +Non ci perdereste. Voglio dire che sareste risarcito per il tempo perso, mi capite? +Strizzò l’occhio, ma la faccia tornò ad aggrondarsi. – Potrei anche pensarci, +ma è più probabile di no –. Si avviò alla porta. – Attenzione a non dire niente –. +Poi annunciò a voce molto alta: – Presto ci dedicheremo ai vostri vasi, signore – +ed uscì. + Questa visita mi portò scarso sollievo. Sembrava avessi fatto poco o niente +per Filemone. I giorni che seguirono furono malinconici. Una guarigione lenta +non è una cosa piacevole. Provavo per me stesso una compassione così profonda +che a volte non riuscivo a pensare ad altro, nemmeno a mio cugino. +Tuttavia, stavo riprendendomi. E il processo si avvicinava. Il diciassettesimo +giorno fui in grado di passeggiare per la stanza per un certo tempo, naturalmente +in segreto. E alla sera me ne stavo seduto sulla mia sedia, quando sentii dei passi +rapidi dirigersi verso la camera. Mi aspettavo che lo schiavo respingesse gli +eventuali visitatori, ma per maggior sicurezza mi ero appena alzato per tornare +sul letto a fare la parte del moribondo quando la porta si aprì. E chi vidi entrare, +se non Aristotele in persona? +– Vengo come tuo medico – annunciò allegramente. – Ho detto di non lasciar +entrare nessuno mentre ti visito –. Il suo aspetto vivace sembrava portare un po’ +di animazione nella mia monotona prigione. Chiuse la porta. – Vediamo un po’. +Uhm, sì, mi sembri un po’ giù –. Rise sommessamente e aggiunse con dolcezza: +– Ma non così giù come certa gente vorrebbe, credo. Oh, Stefanos, che pazzo sei +stato! Non ti avevo messo in guardia contro i luoghi solitari? Cos’è accaduto, +realmente? +Bisbigliando per amore di segretezza, gli dissi tutto sul mio piano di «fare il +moribondo». +– La miglior cosa che potessi pensare – disse – date le circostanze. Lascia che +veda le tue ferite –. Quando ebbe finito di esaminarmi, dichiarò che le piaghe si +stavano cicatrizzando bene. – A parte il fatto che d’ora in poi sarai uno sfregiato +– aggiunse. – Sono rimasto molto male quando sono tornato ad Atene e ho +appreso che eri stato assalito da briganti e aspettavi di essere traghettato +attraverso lo Stige. È stato rimandato il processo? +– No – risposi. +– Benissimo! Stefanos, sono sicuro di avere trovato il modo di vincere la +nostra causa. Sempre che riusciamo a tenerti in vita per i prossimi quattro giorni. +Grazie ad Atena sei quasi ristabilito! Vedi, parte del mio piano dipende dal tuo +aiuto. Ho bisogno di te per darmi una mano in una faccenda difficile e +pericolosa. È così intimamente connessa con la tua causa che esiterei a chiedere +l’appoggio di un altro. E non posso fare tutto da solo, visto che non sono Eracle. +– Lo farò, qualunque cosa sia – risposi con entusiasmo. +– Aspetta. Ti senti abbastanza bene da uscire di notte e aiutarmi a spostare un +oggetto pesante? Ci vorrà un notevole sforzo. +– Io mi sento abbastanza bene per fare qualunque cosa ci aiuti a vincere la +causa – ribattei. La speranza e la forza mi si erano accresciute per effetto della +sua presenza, come se fosse stato Ermete, un messaggero divino venuto ad + aiutarmi nel momento del bisogno. +– Supponga sia un rischio – borbottò Aristotele appollaiandosi su una sedia. – +Ma sarà bene affrontarlo. Con il tuo permesso, aspetterò qui facendo finta di +curarti. Manda tutti i domestici a letto. A mezzanotte, una lettiga verrà a +prendermi. Ho un valido amico fra le guardie, che mi lascerà uscire dalla porta +della città col pretesto di fare un lungo giro per tornare a casa. Ma invece di me, +sarai tu che partirai in segreto sulla lettiga, mentre io verrò dietro umilmente a +piedi. Nel cuore della notte cominceremo il nostro lavoro clandestino. Poi, penso +che sarebbe meglio se tu venissi tranquillamente a casa con me. A tua madre +bisognerà dirlo della tua visita a casa mia, ma cerchiamo di nasconderlo a tutti +gli altri. Se vengono a scoprirlo… be’, sto semplicemente cercando di curarti con +dei rimedi usati in Macedonia, e con le medicine orientali preparate da mia +moglie. Ma è meglio se tutti seguitano a pensare che stai morendo pacificamente +a casa tua. +– Ma… – obiettai. – Cos’è questo strano lavoro che dobbiamo fare? Dove +andiamo? +– Credo che per adesso non te lo dirò. Non è precisamente piacevole. Non è +cosa da ruminarci sopra in anticipo. +Rimasi insoddisfatto, ma non c’era altro da fare che fidarsi del maestro. Feci +chiamare mia madre, mentre Aristotele attendeva in anticamera come si +conviene. Le dissi della progettata visita e della necessità del segreto, ma non il +resto del nostro piano. Lei assentì a malincuore, e disse che avrebbe spiegato ai +familiari che le medicine lasciate da Aristotele andavano somministrate +unicamente da lei nei prossimi giorni. Le diedi da custodire il denaro ricavato +dalla vendita della vigna, e le diedi istruzioni di far recapitare a Euticleide la +somma che gli era dovuta da parte mia tramite uno schiavo fidato nel giorno +stabilito. Poi furono portati i cordiali e le spezie che erano stati ordinati. +Aristotele mi fece respirare del balsamo e prendere un po’ di vino caldo. +Le ore scorrevano lentamente. – Com’è andato il vostro viaggio? – domandai +tanto per far conversazione. +– Molto bene, grazie – mi rispose. – È proprio per questo che penso che +abbiamo buone probabilità di vincere la tua causa. +– Ma allora volete dire… che siete partito per causa mia? +– Sì. Principalmente. E ho trovato ciò che cercavo. Sapevo che c’era, ma non +ero sicuro di trovarlo. +– Non sono un bambino – ribattei, contrariato. – Avanti, raccontatemi. E +ditemi anche dove andiamo e cosa dovremo fare. +– Le due cose si riducono ad una sola – rispose. – Quindi, per prima cosa +risponderò alla seconda domanda. Quello che ti chiedo di fare, Stefanos, è una + cosa antipatica da proporre anche a un uomo in buona salute e col morale alto. E +ha i suoi rischi. La legge potrebbe non essere d’accordo –. Rise. – Ma tu non sei +troppo scrupoloso nell’osservanza della legge quando si tratta di una buona +causa, vero? Ora posso ripagarti per lo scherzetto che mi hai fatto qualche tempo +fa. +– Ditemelo subito – insistetti. – Dove andiamo? +Allora me lo disse. Quando appresi dove ci stavamo dirigendo, rabbrividii. +Quando mi spiegò quello che dovevamo fare, mi si rizzarono i capelli. E quando +mi disse quello che si aspettava di trovare, e perché proprio lì, non trovai nulla +da replicare. Mi alzai subito e lo seguii nella notte. + XX +Al crocevia di Ecate + + + + + +Erano passati molti giorni dalla mia ultima uscita, e l’aria aperta mi parve +strana. Ma non ebbi tempo di lagnarmi del freddo della notte, perché Aristotele +mi spinse sulla lettiga, che era stretta e scomoda e odorava fortemente di cuoio +umido e di vecchia paglia. Non vedevo niente, ma sentivo ogni movimento degli +schiavi che mi portavano, e pensavo che avrei dovuto insistere per andare a +piedi. Oltre tutto mi sembrava disonorevole viaggiare così, come una nonna +vecchia e grassa. Mi sentii sollevato quando Aristotele ordinò al veicolo di +fermarsi. +– Dovrai camminare ora – disse. – Te la senti, no? – Mi guardò mentre +sgusciavo fuori dalla lettiga. Tutti quei giorni di degenza sembravano avermi +infiacchito le gambe. Ma lui disse, – Ottimo! – e mi diede da portare una torcia. +Ci allontanammo a passo che mi parve svelto, poi, girato un angolo, ci +lasciammo dietro gli schiavi e la lettiga. Presso un boschetto, svoltammo di +nuovo. – Ho creduto bene non far conoscere neppure ai miei schiavi la nostra +destinazione precisa – spiegò Aristotele. +Presto capii chiaramente dove eravamo: sulla grande strada per Eleusi, nel +punto in cui attraversa il Kerameikos. Proseguimmo da quella parte, mentre +Aristotele di tanto in tanto si voltava a guardare se arrivavano altri viandanti. È +una strada molto frequentata normalmente; ma in quella fredda notte d’inverno +non si vedeva nessuno. +Stavamo arrivando al crocicchio delle tre strade: il crocevia di Ecate, +Artemide la terribile, dea della morte e dell’oscurità. Sopra di noi brillava il suo +pianeta, Febe, la luna nuda e fredda, pallida sorella del caldo sole. Ci +avvicinammo al santuario di Ecate, il cui altare buio era illuminato dai raggi +lunari. Là, presso quell’incrocio stregato dalla luna e circondato dai morti, era +quello il luogo più giusto per rivolgere una preghiera ad Artemide. Pregai +fervidamente, e il mio cuore ebbe un sussulto quando pensai che la dea avrebbe +potuto non approvare la nostra missione. Questo era il suo mondo, e la notte +l’ora a lei sacra. Non avrebbe potuto forse scoccare i suoi divini strali contro di +noi tra quelle tenebre fruscianti? Anche il mio compagno stava ancora +mormorando le sue orazioni quando ci avviammo per uno dei sentieri che + serpeggiano in mezzo alle tombe. Raffiche intermittenti di vento mi facevano +rabbrividire, nonostante il tepore del mio caldo mantello. Sopra di noi, in alto, +piccole nuvole trascinate dal vento passavano sopra la luna, come navi guidate +da un potente faro su una spiaggia. La pancia delle nuvole si faceva d’argento +passando sopra la luna e, allo stesso modo, le sagome scure delle stele funerarie +mandavano un improvviso bagliore al passaggio delle nostre torce. A poco a +poco, ora un monumento, ora un altro si svelavano al nostro sguardo. Intere +scene incise nel marmo balenavano con un’apparenza di vita. Qui una testa virile +che ci guardava fissi, là un bambino ridente abbracciato dai suoi mesti genitori. +Questo giardino di polvere e d’ossa sembrava pieno d’occhi che ci spiavano: mi +sentivo attorniato da centinaia di presenze. Se ciò che molti considerano vero lo +è realmente e lo spirito intelligente, separato per sempre dal corpo, scende +nell’Ade dopo la morte, oh, che orrore dev’essere quella prima visione di tante +ombre simili a lui presso le rive dello Stige! Senza dubbio, ogni spirito memore +della propria carne e della vita gioiosa rifugge atterrito da tutte le ombre, pur +essendo esso stesso diventato tale. La mia mente si perse in queste cupe +divagazioni, e così per un po’ mi scordai il motivo per cui ci trovavamo lì. Ma il +mio compagno sembrava sereno, come se fosse stato nel suo studio a casa sua, e +camminava senza sforzo apparente, sebbene l’aria gelida della notte non dovesse +essere piacevole per i suoi reumatismi. A un tratto si fermò, agitando la sua +torcia verso un blocco di pietra, che si illuminò di un vivido bagliore. Boutades. +La sua faccia mi guardava con aria sprezzante. Sì, erano Boutades e sua moglie, +come li avevo visti già una volta, quel giorno in cui la lapide era stata trasportata +per le vie. +– Qui – disse Aristotele a bassa voce. Infilò la sua torcia ben dritta nella terra, +e mi accennò di fare altrettanto. Il vento agitava leggermente le fiamme, quel +tanto che bastava a far ondeggiare e tremolare la luce sopra le figure incise, +cosicché Boutades sembrava sorridere imbronciato e fare piccole smorfie, come +un uomo tormentato da un’indigestione. Fui quasi tentato di ridere. +– Al lavoro – disse Aristotele. Buttò indietro il mantello, scoprendo due +lunghe sbarre di metallo. Le aveva portate fin lì come uno può portare una +spada: fissate alla vita con un pezzo di corda. La mia ammirazione per la sua +energia aumentò. Camminare così ingombro non doveva essere stato facile. +– Per sollevare pesi – bisbigliò. – E qui c’è qualcosa per scavare –. Mi porse +un grosso badile. – Scava! – comandò. Obbedientemente, cominciai a scalzare la +terra intorno alla base della lapide. +– La terra è già abbastanza smossa – dissi con sorpresa. +– Da’ qua – ordinò Aristotele, e afferrato il badile cominciò anche lui a +scavare, delicatamente, tastando la base della lapide con le mani. – Sì, è + senz’altro piuttosto smossa nel mezzo. No, non c’è bisogno di far leva qui. +Proveremo invece sui lati –. Seguitò a scavare per un po’, spostando la terra con +precauzione e depositandola in piccoli mucchi. – Ora – disse. – Prova a far forza +con la leva lì a sinistra, ed io farò lo stesso a destra –. Poi, quando le sbarre di +metallo furono in posizione, comandò: – Forza! Su! +Facemmo leva tutti e due insieme. La lapide rimase immobile. Provammo di +nuovo a scalzarla. Si mosse lievemente, appena appena. Sentivo il sudore +imperlarmi la fronte. +– Uff! – esclamò Aristotele guardandosi attorno. Lì vicino c’era una piccola +stele in forma di colonna, un po’ trascurata, che s’era rovesciata su un lato. – +Ecco – disse lui. – Portiamola qui. Mettila di fronte alla lapide, a poca distanza. +La colonnina venne via facilmente dal terreno, ma risultò un carico tutt’altro +che da poco: circa il peso di un ragazzo sui quattordici anni direi. Normalmente +non ci avrei fatto caso, ma quella notte mi venne il fiato corto. +– Siediti – disse Aristotele dopo avermi dato un’occhiata. – E adesso guarda +–. Spinse la leva sotto il monumento di Boutades, come prima, ma appoggiando +una parte della sbarra di metallo sulla colonna. – Questo dovrebbe rendere le +cose più facili. Prova. +Ne dubitavo, ma obbedii. Aveva ragione, e quando ci riprovammo tutti e due +insieme, la pietra cominciò a cedere, a una pressione molto minore di quella +esercitata nei primi sforzi. +Boutades e sua moglie avevano l’aria sbalordita mentre incominciavano a +dondolare all’indietro; poi svanirono alla nostra vista. La lapide si abbatté +lentamente sul terreno con un tonfo sordo. Di fronte a noi ora c’era solo un nero +riquadro di terra cimiteriale. Aristotele vi si accovacciò accanto e cominciò a +lavorare di badile. +– Ecco – disse – dove prima hai trovato la terra smossa, segui quella linea e… +ah! +Frugò nella terra e ne estrasse qualcosa. – Non usare il badile, scava con le +mani. +Cominciai a scavare, e fra il terriccio che mi si appiccicava alle dita sentii +qualcosa di duro, e raccolsi un frammento sudicio di un vaso rotto. Sistemammo +i cocci in un mucchietto ordinato e seguitammo a scavare, come bambini che +giocano nella sabbia. I frammenti erano uno vicino all’altro, e dopo un po’ ne +formammo un cumulo. A un certo punto non ne trovai più, e Aristotele aveva già +cominciato a ripulire con un cencio i nostri reperti. +– Guarda – disse, porgendomi un grosso coccio con le dita macchiate di terra. +Alla luce della torcia, vidi che era un frammento di ceramica dipinta con parte di +una figura, e la figura era di un uomo con un manto di pelli. + – Diòniso – spiegò Aristotele da conoscitore. Stava accostando i vari pezzi +rapidamente, con la fronte corrugata e l’espressione molto concentrata, e sotto le +sue mani si ricomponeva come per magia la scena d’una festa, con il dio +Diòniso, un suonatore di flauto e un coro di satiri. +– Ancora un pezzo – disse Aristotele, tornando in fretta al riquadro di terra, e +scavando furiosamente. – Eccolo! Aggiunse il frammento mancante e la scena fu +completa: la parte centrale d’un vaso, ricomposta dai cocci del vaso stesso +accomodati in forma di circolo. Al chiarore delle torce, i frammenti di argilla +rossa dipinti e verniciati sembravano quasi eseguire una danza gioiosa nei colori +del rosso, del nero e del bianco, e nonostante qualche traccia di terra ancora +attaccata qua e là, le eleganti figure erano chiaramente visibili. La scena dipinta +era l’opera di un grande artista, e creava un vivace contrasto con il tetro mondo +che ci circondava. +– È magnifico – dissi. +Aristotele prese il complimento interamente per sé. – Te l’avevo detto che ci +sarebbe stato. Ho potuto arrangiare i pezzi così in fretta perché avevo avuto +occasione di studiare questa scena. E anche l’iscrizione alla base è come me +l’aspettavo. +Distolsi gli occhi dalla brillante decorazione e guardai i cocci opachi che +formavano la base. C’era tutta un’iscrizione. Le lettere si distinguevano +debolmente alla luce delle torce, ma riuscii a leggere: «Appartengo a Boutades». +Un pezzettino risultava ancora mancante, e quando ce lo avessi aggiunto, la parte +inferiore della «B» nel nome del possessore sarebbe stata completa. Avevo +portato via con me non una «fi» ma parte di una «beta». +– Sì – disse Aristotele. – Possiamo unirci l’ultimo frammento. Tutti questi +cocci insieme formano un intero; temo, però, che una parte di questo bel lavoro +sia svanita per sempre in atomi di polvere. Comunque sia, ne abbiamo a +sufficienza. Prenderò questi, per il momento. +Raccolse i frammenti con cura e li avvolse in lana grezza; poi infilò l’involto +in una borsa di cuoio che portava appesa al collo. +– Ora capisco – dissi tristemente. Non provavo alcun senso di trionfo, perché +mi rendevo conto vagamente di ciò che tutto questo significava: avrei dovuto +affrontare un terribile compito. E il senso dell’omicidio denunciato dai +frammenti del vaso era orrendo. Non riuscivo a comprenderlo nemmeno adesso. +– Almeno adesso potremo tornare a casa – dissi. +– No, non ancora. Prima dobbiamo rimettere tutto in ordine –. Accennò alla +lapide rovesciata e cominciò a sistemare i mucchietti di terra dov’erano prima +servendosi della pala. Rimettere la pietra al suo posto fu un lavoro duro come lo +era stato il rimuoverla; più duro, anzi, perché dovevamo stare bene attenti a + ricollocarla esattamente nella posizione originale. Dopo avere risistemato il +monumento funebre di Boutades, dovemmo riportare a posto anche la colonnina. +Stavolta pesava come un uomo di mezza età dalla corporatura robusta. Poi +Aristotele estrasse una spazzola e si diede a ripulire la lapide di Boutades dove +aveva toccato la terra. Infine spazzò il terreno intorno alla tomba. +– Temo che i segni della nostra presenza resteranno visibili – concluse. – Il +terreno è molto duro. Ci vorrebbe un po’ di pioggia. La neve sarebbe meglio, ma +temo che non sia il caso d’aspettarsela. +– Già che ci siete, potreste ordinare una tempesta o un terremoto – dissi con +pesante sarcasmo. +– Povero Stefanos. Non ti senti molto bene, vero? Mia moglie avrà del cibo +pronto per noi e medicine e vino caldo per te. Sta’ attento a come parli, però. +Non bisogna provocare gli dei. +Ci incamminammo di nuovo. Aristotele ricusò gentilmente le mie deboli +offerte di aiutarlo a portare gli arnesi. Le torce si erano quasi consumate, e si +spensero prima che giungessimo al luogo dove la strada di Eleusi lascia il +Kerameikos. Proseguimmo piano nell’oscurità. Benché non fossimo restati più +di un’ora nel cimitero, mi sentivo più stanco di quanto fossi stato dopo tutto il +viaggio con Filemone. Inoltre detestavo quell’oscurità; mi ricordava quell’altra +notte buia sul Colle delle Muse, e continuavo a immaginare dei passi che mi +inseguivano. +Quando ritrovammo gli schiavi, fui persino lieto di rientrare nella lettiga. Mi +addormentai quasi immediatamente, ma non fu un sonno tranquillo. Il mio +dormiveglia era colorato di rosso, di bianco e di nero in immagini frammentate: +la scena infranta della festa che avevamo dissotterrato vicino al crocevia di +Ecate. + XXI +Aristotele maestro di retorica + + + + + +L’indomani stavo male di nuovo, e la pratica medica di Aristotele si rivelò +utile, come lui non mancò di far notare. Avrei potuto ribattere che la colpa della +mia ricaduta era in parte sua. Non è la cura migliore per gli infermi andarsene in +giro nelle notti invernali a spostare lapidi e a depredare cimiteri. Ad ogni modo, +non ero dell’umore adatto a discutere. Tutto sembrava remoto e desolato. Vidi +che Aristotele era in pensiero per me, e così pure Pitia, o almeno così mi parve, +perché continuava a mandarmi delle medicine da prendere. Fra l’altro, delle +pozioni orientali che non avevo mai assaggiato prima. Prima di sera mi sentii +sollevato e persino in vena di scherzare, e la mattina dopo stavo molto meglio, +salvo un leggero dolore in mezzo alla fronte. +Fu allora, a tre giorni di distanza dal processo, che Aristotele cominciò a +lavorare con me all’esame delle prove. Ci chiudemmo nel suo studio, che ancora +presentava tracce della sua collezione d’armi, e ripassammo tutto il materiale +insieme. La mia meraviglia cresceva man mano che comprendevo quanto prima +non avevo saputo interpretare. Aristotele passeggiava per la stanza dissertando. +Io l’interrompevo di tanto in tanto per porgli delle domande o discutere. Era +come seguire la prima lezione di geometria correndo a rotta di collo. I concetti +sembravano tutti nuovi, la logica irresistibile. Ripassai da solo tutta la difesa +diverse volte, finché mi sentii sicuro che l’avevamo preparata nell’ordine +migliore e in maniera completa. Discutemmo anche diversi modi di presentarla, +a seconda di quello che gli accusatori avrebbero potuto dire. Poi, appena fu +stabilito con certezza quali persone dovessero parlare, inviai dei messaggi ai +miei testimoni, uno dei quali era già stato convocato da Aristotele. Aristotele +stesso spedì dei messaggi a due dei miei testimoni, ma io ignoravo di chi si +trattasse. Ero convinto che non avrebbe tentato nulla (ad esempio una trappola) +che potesse mettere a rischio la nostra causa all’Areopago. Dal canto mio, mi +sentivo soddisfatto, perché sapevo che tutto ciò di cui avevo bisogno era che i +testimoni dicessero la verità, nient’altro. +Quel giorno di studio accanito ebbe un effetto enormemente tranquillizzante +sul mio spirito. Ripetere i fatti e considerarli qualcosa di simile a delle +proposizioni matematiche rendeva il mio lavoro simile a un esercizio + intellettuale, comprensibile e addirittura piacevole. Ricomponevo insieme i fatti +nella mia mente ricavandone un disegno preciso, come Aristotele aveva rimesso +insieme i frammenti del vaso. Ora comprendo come alcuni possano prendere +gusto a un simile lavoro e farne persino una specie di professione, come alcuni +filosofi e studiosi di retorica che passano il tempo a preparare arringhe legali per +conto di terzi. +Aristotele, naturalmente, non era di quelli che vendono la propria abilità ad +accusatori e accusati. Pure, in quest’occasione, mostrò del tutto gratuitamente +con quanta bravura era in grado di preparare una difesa, e come era superiore a +tutti quei professionisti della retorica i cui famosi sproloqui sono tenuti in tanta +ammirazione. Quella sera attaccammo a lavorare sull’aspetto puramente retorico +dell’arringa. Aristotele si guardò bene dal fare ciò che sarebbe stato così facile +per lui, cioè scrivere tutto un bel discorso e consegnarmelo. No. Era +essenzialmente un insegnante, e si applicò a un compito più difficile: estrarre da +me stesso la formulazione più appropriata per l’arringa, esattamente come faceva +con gli studenti dell’Accademia durante le discussioni. Questo è il compito del +vero maestro: dare, per così dire, la parola ai muti. A suo parere, i discorsi scritti +da un altro e poi mandati a memoria suonano sempre falsi quando vengono +recitati. E cosa può esserci di più disarmonico del sentir parlare un uomo rozzo e +goffo con frasi eleganti e ornate, o di udire un pavido oratore usare frasi audaci +come un Agamennone che pungoli le sue truppe? +Aristotele si sedette di fronte a me ad ascoltare, senza risparmiarmi delle +amichevoli critiche. – Hum! – diceva – non mi piace quella frase roboante –. +Oppure, – Questa constatazione è zoppicante: hai perso di vista il punto +principale –. O addirittura si metteva a ridere, dicendo: – Questo stile a tuoni e +fulmini in quel punto suona male; è troppo burrascoso. È più adatto alla giuria +d’un tribunale qualunque, che magari si commuoverebbe fino alle lacrime. Ma +ricordati che la tua giuria è interamente composta di ex arconti, gli uomini più +imperturbabili di Atene. Abbi sempre presente di che tipo è il tuo auditorio. +Questa è la prima legge della retorica. +In un’occasione commentò: – Questo giro di frasi suona troppo presuntuoso +ed astuto. La giuria ha già assistito ad altri processi, e ha già sentito altre volte +questo genere di cose. Questa causa è troppo seria; i giurati non avranno voglia +di sorridere dei tuoi motti di spirito, e potrebbero pensare che tu stia cercando di +celare un punto debole. Usa pure l’arguzia, ma con parsimonia. Schiettezza e +moderata passione, ecco cosa serve. Tutto quanto stoni con l’effetto generale è +meglio lasciarlo da parte. +Ma era anche pronto ad applaudire una frase efficace, un’osservazione acuta +o un tono espressivo. Mi insegnò come tenere le mani in modo disinvolto + quando non facevo dei gesti. Finché non si è provato a parlare in pubblico, non +si sa come le mani possano essere d’imbarazzo. Aveva un occhio critico per ogni +tipo di gesto, che fosse adatto o no. Una volta m’interruppe ridacchiando e disse: +– Se fai così, hai l’aria di uno che sta abbattendo un albero con un’accetta. +– Ebbene – dissi, lasciandomi andare a sedere – mostratemi voi come va fatto. +Io sono stanco –. Allora Aristotele si alzò e cominciò a improvvisare un discorso +in un tribunale immaginario (una rustica arringa per la restituzione di un catino +di bronzo) con una così burbanzosa serietà, un tale sfoggio di belle frasi +malamente cucite insieme, e un tale spreco di gesti convulsi che fui ridotto con +le lacrime agli occhi per le risate. Poi Aristotele cambiò totalmente di stile, +adottando i modi di un pomposo cittadino le cui labbra gorgogliavano di saliva, +un uomo incline ad altezzose scrollate di spalle e a bruschi cambiamenti da una +posa all’altra. Alla fine del discorso ridevamo tutti e due. L’ilarità mi fece venir +la tosse, e sentivo la gola indolenzita. +– Mi ritroverò a parlare sotto voce – mi lamentai. – Oppure sarò ridotto a +balbettare e a impappinarmi, come Demostene quand’era giovane. +– Eccolo qui Demostene – replicò Aristotele, iniziando una terza parodia che +ricordo bene, un discorso sulla conservazione delle antiche usanze ateniesi su +come lavare i panni. La ricordo ma non la ripeterò, per riguardo a entrambi +questi uomini illustri. Penso che Aristotele avesse dell’antipatia verso +Demostene, perché questi, grande filosofo ma totalmente sprovvisto +d’umorismo, era pronto a credere che solo lui e quelli come lui fossero veri +patrioti, e che chiunque dissentisse da lui anche su un solo punto fosse in cuor +suo una canaglia. Sì, devo omettere la parodia di Aristotele, anche se non posso +fare a meno di osservare che la cosa che trovai più divertente in quel momento, +tornando allo stato mentale di uno scolaretto, non fu l’ironia pungente, ma il +semplice umorismo di una battuta che Aristotele intercalava di tanto in tanto: – +Ehm, perdonatemi se metto in bocca un sassolino –. Alla fine del «discorso di +Demostene» sembrava che avesse un’intera spiaggia sotto la lingua. +Questa sorta di recita mi risollevò lo spirito, oltre ad ammaestrarmi nel modo +più piacevole, perché Aristotele aveva trovato modo di inserire in tutte e tre le +arringhe alcune delle mie peggiori affettazioni. +Il giorno dopo, cioè quello precedente il processo, potei prendermela più +comoda, per riguardo alla mia voce. Quel giorno Aristotele si addossò la parte +dell’accusa, parlando in nome di Polignoto e dei suoi testimoni e invitandomi a +considerare ciò che avrei detto, o come avrei modificato il mio discorso in vista +di questa o quest’altra obiezione. Entrambi eravamo preoccupati della possibilità +che l’esposizione della mia difesa fosse interrotta come non pertinente a metà del +mio primo discorso o all’inizio del secondo. Vige la regola che tanto + l’accusatore quanto l’accusato si attengano rigidamente al punto in questione in +tutti e quattro i discorsi. In un processo per omicidio, questa regola esercita una +forte pressione sull’accusatore ed è giusta e imparziale nell’impedire che +l’accusato venga infangato di accuse generiche, ma nel mio caso ciò poteva +rivelarsi inopportuno, per non dire fatale. Le prove che avevo da addurre erano +senz’altro di grande rilievo, ma la linea che avrei dovuto seguire era insolita, e la +maggior parte di quanto avrei detto non era stato preannunciato in nessuna delle +prodicasìe. Se l’araldo suonava il corno e mi interrompeva, ero perduto. Avrei +dovuto ripiegare su materiale vecchio e trito. La mia difesa era unica nel suo +genere poiché consisteva nel provare chi era stato il vero assassino; ma se non +mi si consentiva di farlo, l’accusatore si sarebbe trovato in vantaggio, e Filemone +avrebbe potuto esser giudicato colpevole. In quel caso, inoltre, non sarebbe mai +stata fatta giustizia, perché Polignoto non avrebbe più cercato di trovare gli +assassini di Boutades, e a me, che non ero parente della vittima, non sarebbe mai +stato consentito di portare alla luce ciò che sapevo. +Discutemmo della spiacevole possibilità che mi fosse impedito di esporre la +mia difesa. In quel caso avrei dovuto essere estremamente abile +nell’introduzione degli elementi (apparentemente) estranei, intrecciandoli con la +difesa ovvia e diretta di Filemone. +– Io vedo una strada per impedire l’interruzione – disse Aristotele – o per +prevenirla, se preferisci. Anzitutto, siccome nel complesso l’Areopago è un +tribunale composto di uomini giusti, la giuria, benché simpatizzi con Boutades e +con Polignoto, sentirà di doverti risparmiare ogni inutile censura nei riguardi di +Filemone. Se Polignoto chiama il soldato a testimoniare, come hai ragione di +credere, la sua deposizione potrebbe sembrare diffamatoria, oppure, anche se +risponde al vero, estranea al caso. Un acuto senso di giustizia potrebbe indurre la +giuria a interrompere la sua deposizione. Ora, se le cose si mettono in modo da +far pensare che il soldato sia messo a tacere, tu devi pregare la corte che gli +permetta di continuare. +– Continuare? – dissi, sbalordito. – Ma io sarei felice di levarmelo dai piedi. +– Sì, d’accordo, ma dopo il brutto viene il bello. Quel che ha detto il soldato +non è una prova. Si tratta d’un testimone debole; se sei capace di farlo crollare, +puoi gettare il dubbio su tutta la tesi dell’accusa, e nessuna delle identificazioni +sembrerà più molto sicura. Inoltre, se domandi alla corte di lasciarlo continuare, +e non saltando su aggressivamente ma limitandoti a chiederlo con umiltà, allora +farai buona impressione. Apparirai come un uomo che desidera arrivare alla +verità. Dopo, potrai legittimamente scalzare la cattiva testimonianza e farla +crollare, e usarla come pretesto per introdurre nuovi elementi. (Dobbiamo +sperare che Polignoto presenti come testimone il soldato durante il corso del suo + primo discorso). Visto che ti sarai attirato delle simpatie mostrando una +mentalità aperta, la corte sarà meno propensa a interromperti mentre sviluppi la +tua tesi. Se è possibile, fai in modo che non vedano dove vai a parare fino alla +fine della tua arringa. Continua a dargli corda, e non annodarla finché non sarà +troppo tardi per protestare. +La faccenda si presentava difficile. Avrei dovuto essere tanto abile da pensare +a tutte quelle cose mentre ero in piedi a parlare, io così poco pratico come +oratore che avrei già trovato difficile pronunciarmi nel caso di un furto di +pagnotte! +– La giuria di sicuro non sarà disposta ad accogliere favorevolmente il mio +argomento principale. Io stesso non riuscivo a crederci finché non me l’avete +dimostrato al di là d’ogni dubbio. I giudici saranno prevenuti. E inoltre sono +molto propensi a dichiarare Filemone colpevole e a farla finita, ne sono sicuro. +Dopo tutto, sono della stessa classe ed età di Boutades. +– Sì, Stefanos, ma sono anche desiderosi che si faccia giustizia contro il suo +assassino. Se tu fai in modo che gli entri in testa un dubbio sulla colpevolezza di +Filemone, staranno bene attenti. E non dimenticare che i vecchi dalla barba +grigia sono curiosi non meno dei giovani, sebbene richiedano che si dimostri un +minimo di ragionevolezza e di riflessione. Tu puoi ridestare il loro interesse. E il +sistema migliore è un approccio dignitoso, razionale e naturale per indurli, piano +piano, ad accettare un nuovo punto di vista. Ormai, Stefanos, hai imparato queste +regole alla perfezione: niente goffaggine, niente false solennità, né espressioni +stereotipate. +– Come può venirmi tutto naturale se non ho fatto altro che provare e +riprovare discorsi e fingermi uno stile? +– Ah! Questo è uno dei grandi dilemmi dell’arte retorica. Quello che ci vuole +è un’artificiosa mancanza di artificiosità. Niente in pubblico suona più falso +degli sforzi naturali per cercare di impressionare gli altri. Un tribunale e una +giuria non sono un boschetto e un ruscello mormorante; là bisogna usare una +certa intelligenza per scoprire qual è il proprio stile naturale. Prendiamo ad +esempio te che non sei addestrato nell’arte della retorica: i tuoi primi impulsi ti +porterebbero a un uso eccessivo sia di frasi pompose, sia di balbettii esagitati. +Ma tu non sei né pomposo, né balbuziente. No, il miglior modo per apparire +naturali si scopre grazie all’artificio. +La mattina del processo dovetti farmi svegliare prima dell’alba per essere +riportato segretamente a casa mia. Mia madre mi disse che aveva fatto la sua +parte, e che pensava che nessuno sapesse dove avevo passato gli ultimi giorni. +Aveva anche fatto recapitare il denaro ad Euticleide, secondo le mie istruzioni. +Mi vestii dei miei panni migliori, che lei aveva preparati, ma prima insistette per + legarmi intorno al torace delle fasce di lana impregnate di grasso per tener +lontano il freddo. Accettai anche delle palline di miele, bollite e lasciate indurire +per la mia povera gola. La zia Eudossia era pallida e tremante. Mi pose la mano +sul braccio. +– Farai del tuo meglio per il mio povero figliuolo, lo so – disse. – Oh, +Stefanos, salvalo, salvalo! Devi salvarlo –. Mi implorava come se fossi uno +straniero che poteva essere 0 no disposto ad esaudirla. Questo mi ferì. Gli dei +sapevano che stavo dedicando a quell’intento corpo, anima e beni. +Mi incamminai, seguito dalle loro preghiere. Andavo più svelto che potevo, +raccogliendo i miei testimoni in vari punti lungo la via. Erano in verità un +gruppo eterogeneo. Uno andava avanti in lettiga; gli altri trottavano dietro di me +con mantelli e cappucci di semplice lana bruna. Era ormai il tetro mese di +Gamelione, il più freddo dell’anno. Il sole splendeva a intermittenza, interrotto +da nuvole grigie, ma dava poco calore. +Arrivammo all’Areopago. Lo spazio aperto per il processo si trovava là, sulla +parte occidentale del colle, e già andava colmandosi di spettatori. Vidi Polignoto +farsi avanti col suo seguito di testimoni. Euticleide era uno di loro. Così, dunque, +non avrebbe potuto far parte della giuria. Almeno ero contento di non dover più +considerare questo testimone dell’accusa come un creditore, anche se Euticleide +non sembrava granché contento di vedermi. Lo vidi lanciarmi un’occhiata +minacciosa ma non priva di allegria, l’occhiata di un uomo che guardi un noioso +insetto infastidito di trovarselo davanti, ma contento di poterlo schiacciare. +Polignoto non mi guardò. +C’era qualcosa d’irreale nella scena. Mi sentivo come se stessi per assistere a +uno spettacolo teatrale. Passò molto tempo senza che accadesse nulla. La folla +riempiva tutto lo spazio. Poi arrivarono i giurati. Il rito sacrificale incominciò. +Presto tutto fu pronto per i giuramenti. + XXII +Comincia il processo + + + + + +Polignoto avanzò per primo verso l’altare. Stese la mano sopra le offerte, +rappresentate dalle membra sanguinolente di un cinghiale, un ariete e un toro, +macellati secondo le norme particolari imposte dal rituale in caso di omicidio. +Appariva dignitoso e grave, pur nella sua gioventù e bellezza. Pronunciò il +giuramento con voce chiara: +– Io, Polignoto, figlio d’Eusebio, vengo qui davanti a questa corte e al +cospetto degli dei e accuso Filemone, figlio di Likias di Atene, dell’omicidio di +Boutades, pure di Atene. Affermo di essere il nipote dell’assassinato e il parente +adulto più prossimo. +– Giuro per tutti gli dei, celesti, terrestri e sotterranei, per Atena, protettrice di +Atene, per il fuoco e per le acque dello Stige e per queste cose sacre che sono +sull’altare che la mia accusa è veritiera, e che Filemone di Atene è l’assassino +volontario di Boutades. Vengo a dimostrare a tutti i presenti e a questa giuria che +le cose stanno così, e tutto ciò che mi propongo di dire riguarda questo caso +soltanto, senza aggiunte che non siano pertinenti. +– Se quest’accusa non è veritiera, insieme a tutte le mie dichiarazioni ad essa +pertinenti, possa una maledizione discendere sulla mia casa, e la distruzione +piombi sulla mia famiglia, mia moglie, la stirpe di mia moglie e i miei figli, e il +totale annientamento su di me. +Un terribile giuramento, in verità. Poi l’Orcote mi fece un cenno. Era il mio +turno di giurare. Temevo che la mano mi tremasse mentre la stendevo sopra +l’altare, e che il mio nervosismo fosse attribuito all’intenzione di spergiurare. +Cominciai a dire – Io, Stefanos… – e sentii d’avere preso un tono troppo alto. Il +mio giuramento era la controparte di quello di Polignoto. Dichiarai che ero il +parente più prossimo di Filemone, e il più qualificato a difenderlo, che lui era +innocente dell’accusa e lo avrei provato; e infine invocai la distruzione su di me +e su quanti mi erano cari, come pure su Filemone e la sua famiglia, se le mie +affermazioni erano false. +Sulle prime riuscivo soltanto a vedere la carne rossa sopra l’altare, simbolo +sanguinante di un omicidio. Poi, sollevando gli occhi, vidi tutta la moltitudine, +che si era zittita. Allora mi sentii calmo, perché sapevo che la mia causa era + giusta e che potevo giurare con tutta tranquillità sull’innocenza di Filemone. Poi +mi sedetti ad ascoltare il primo discorso di Polignoto. +Il processo per omicidio si divide in quattro parti. La prima arringa da parte +dell’accusatore è seguita da quella del difensore; poi l’accusatore ha nuovamente +la parola, e infine l’accusato (o chi lo rappresenta, come nel mio caso) parla per +ultimo. Questo sistema dà tutti i giusti vantaggi all’imputato; in verità, la legge +di Atene è molto equa. Se l’imputato è colpevole, o se gli pare che per lui il +processo si metta male, ha l’opportunità di rinunciare a tenere il suo secondo +discorso, e può approfittare di quest’ultima occasione per tentare la fuga da +Atene, prima di trovarsi soggetto alle penalità stabilite dalla legge. Nel mio caso, +non avrei avuto bisogno di ritirarmi personalmente, perché se la legge si +pronunciava contro di noi, sarebbe stato Filemone e non io ad essere +condannato… Ma… e se mi fossi espresso in maniera disastrosa? Se ogni cosa +fosse andata a rovescio, avrei dovuto ritirarmi prima dell’ultima arringa? Una +volta pronunciata anche una sola frase di questa, essa sarebbe stata valida, e io +non avrei potuto ritardare in alcun modo l’emissione del verdetto di questo +processo. +Benché avessi esaminato la mia difesa insieme ad Aristotele, continuavo a +chiedermi cosa dire nella mia prima arringa, se fosse più saggio parlare di questa +o quell’altra cosa all’inizio o alla fine. Ma con uno sforzo distolsi la mia mente +dal problema di ciò che avrei dovuto dire, e mi costrinsi ad ascoltare Polignoto. +Egli guardava il suo uditorio con composto dolore, stando elegantemente eretto +nella posa caratteristica dell’uomo di nobile famiglia. Appariva imponente come +una statua di bronzo, e la sua voce era chiara e incisiva (non aveva bisogno di +pillole al miele). Quasi ogni volto tra la folla esprimeva ammirazione e simpatia, +mentre l’uditorio si sporgeva in avanti per udire il suo primo discorso di accusa +in questo famoso processo di omicidio. + +– Onorevoli giurati di Atene e nobile pubblico, io Polignoto, vengo davanti a +voi nel mio dolore per raccontarvi di un crimine nefando, compiuto da Filemone +nella bassezza del suo cuore; quel Filemone che ha privato mio zio della vita +volontariamente e nel modo più obbrobrioso. Il modo in cui è avvenuta +l’uccisione rende il crimine ancora più grave. Essa è stata segreta come il lavorio +di un veleno, ma di gran lunga più sanguinosa; sanguinosa come l’opera di una +spada o di un pugnale, ma assai più subdola. Vorrei che la mia lingua non +dovesse formulare l’orribile racconto di come Filemone venne di notte e trafisse +mio zio, con una freccia, da una finestra, mentre sedeva pacificamente nel suo +studio. Con la sua malvagità, straziò a tal punto il cuore di Boutades da farne +uscire tutta la linfa vitale. Fui io che lo trovai, disteso sul pavimento con una + freccia nella gola, morto o morente. +Seguì poi una relazione di come Polignoto fosse entrato nella stanza, +svegliato da un rumore sul far dell’alba; come avesse rinvenuto il cadavere e poi +visto qualcuno al di là della finestra; come l’avesse rincorso nel giardino e poi +avesse visto il fuggitivo saltare al di là del muro. – A questo punto chiamo +l’egregio Telemone di Atene come testimone. +Telemone si presentò. Il vecchio Gambacorta era tirato a lucido e appariva in +gran forma. Giurò solennemente che l’accusato, Filemone, era colpevole. Poi +ripeté più o meno quanto aveva detto prima alla prodicasìa, affermando di aver +visto e identificato l’assassino. +– Proprio così – disse Polignoto. – Io ritornai in casa e venne Euticleide, in +compagnia di alcuni altri. Vi dirà egli stesso quello che vide. Chiamo l’egregio +Euticleide di Atene come testimone. +Anche Euticleide giurò che l’accusa era rispondente al vero e che Filemone +era colpevole. Diede una completa e commossa descrizione di come gli era +apparso il cadavere di Boutades. +– Uno spettacolo pietoso, signori, il suo corpo giaceva là dove era stato +abbattuto. Si poteva tirare una linea retta dalla finestra al luogo dove si trovava +prima di cadere colpito a morte. Una cosa orribile a vedersi, signori. Sangue +dappertutto, i capelli raggrumati. +Mi scoccò un’occhiata ostile, come se accusasse me personalmente di aver +abbattuto il suo collega ex arconte. +– Non mi fu detto nulla sul momento a proposito dell’assassino, perché in +quell’istante il parente più prossimo di questi si trovava molto stranamente nella +stanza. Ma subito dopo Polignoto mi disse che l’assassino era Filemone. +Euticleide appariva molto imponente. Le facce dei giurati sembravano dire: +«È uno di noi, uno di cui ci si può fidare». +– Finora, signori, – riprese Polignoto – si è parlato solo di quello che ho visto +e di quello che altri hanno visto. Nessuno nega che Boutades sia stato ucciso da +una freccia scoccata da un arco. Si tratta, come questo oggetto dimostra – ed +esibì la punta di corno dell’arco – di una freccia scoccata da un arco cretese. +Questo fu trovato fuori dalla finestra. Ma mi si obietterà con una certa +fondatezza che la luce non era molto chiara, che ho visto l’assassino solo di +sfuggita come anche Telemone, e che non ci si può fidare della nostra vista. Vi +darò allora maggiori prove che l’assassino, il malvagio che ha perpetrato +quest’azione cruenta è Filemone. Perdonatemi, signori, se mi lascio travolgere +dall’emozione. Non è una morte ordinaria quella di cui parliamo, e Boutades, +ricordatevi, era per me come un padre. O ombra corrucciata! Guarda il tuo +vendicatore! – Distese il braccio. La folla era col fiato sospeso. Poi Polignoto + riprese il controllo e seguitò: – Porteremo ora delle prove più consistenti che è +stato Filemone, un uomo già una volta esiliato per omicidio e pieno di rancore e +di furore, a compiere questo delitto. La difesa sosterrà che non può essere stato +lui, dato che era in esilio. Sciocca obiezione! Non è mai capitato che degli +esiliati rientrassero clandestinamente? Dimostreremo che Filemone rientrò in +Atene contro la legge. Inoltre, vi riveleremo che razza di vita conduceva, che +razza di uomo era e perché fosse inevitabile il suo ritorno per fare ciò che fece. +L’araldo non interruppe Polignoto. Nessuno mise in dubbio la pertinenza +della testimonianza che stava per essere resa. Io ero il più interessato di tutti, e +non vedevo l’ora di sentire cosa avrebbe detto il mio avversario. Avrebbe forse +rivelato inaspettatamente la notizia del matrimonio di Filemone? O magari +avrebbe fatto un resoconto distorto dei suoi rapporti con Boutades? +– Chiamo Sosibio di Atene come testimone. +Costui era il veterano, che si fece avanti tutto vispo e spavaldo. Mi sbirciò +piuttosto nervosamente, ma rifece il suo racconto come l’aveva fatto alla +prodicasìa. Quando arrivò alla battaglia sulle rive del fiume, vidi i giurati +guardarsi l’un l’altro con aria dubbiosa e alcuni di essi rivolgere gli occhi +all’araldo. +Allora parlai a voce bassa all’Orcote: – Per favore, guardate che non sia +interrotto. Questo potrebbe essere importante. Vi prego di lasciarlo continuare –. +Il messaggio fu trasmesso al Basileus, e i giurati presero un’aria di +approvazione; poi si accomodarono meglio per ascoltare. Naturalmente +desideravano udire il resoconto della battaglia, e solo un delicato senso di +giustizia li aveva indotti a pensare che forse avrebbero dovuto interrompere una +digressione che prometteva di essere diffamatoria. Io ascoltai tutto +pazientemente. Il resto del racconto del soldato fu come la prima volta, solo con +espressioni più appropriate. +– E così – concluse Polignoto, dopo aver congedato con garbo l’interessante +testimone – vediamo che l’accusato, Filemone, è effettivamente ritornato in +Atene dall’Asia Minore. Aveva dovuto lasciare il teatro della guerra perché +aveva motivo di temere le truppe d’Alessandro, essendo un traditore. E perciò è +venuto qui. E, signori, adesso chiamerò un testimone a dimostrare che lui, +Filemone, si trovava ad Atene in quel giorno fatale. +Qui c’era qualcosa di nuovo! L’annuncio fece sensazione fra l’uditorio, e la +gente si spingeva avanti per vedere. Io pure mi sporsi. Questo testimone non era +comparso in nessuna delle tre prodicasìe. +Si trattava di un certo Cleofonte, del Pireo. Dopo il giuramento, dichiarò +d’aver visto Filemone in una delle strade presso la piazza del mercato al Pireo +nel pomeriggio precedente il delitto. Questo Cleofonte era un pescivendolo, un + ometto piccolo e nodoso, vestito rusticamente ma con dignità. Probabilmente era +stato pagato per il suo disturbo, riflettei, sapendo come i popolani del Pireo sono +contrari a farsi coinvolgere negli affari dei signori di Atene; l’ometto era +visibilmente impaurito. Ma non avevo motivo di giudicare falsa la sua +deposizione. Era probabilmente il testimone più onesto che avessimo visto +sinora. Fra l’altro, correva un certo rischio di cacciarsi nei guai, perché infatti, se +aveva visto un esiliato, avrebbe dovuto denunciarlo subito. +Ci fu un gran mormorio nel tribunale dopo questa testimonianza. Capii che la +giuria stava pensando che Polignoto aveva segnato un punto decisivo. Se +Filemone si era effettivamente trovato in città, non era tutto chiaro, tutto +evidente? +– Così, egregi signori, – continuò Polignoto – sappiamo che quest’uomo +violento, questo Filemone, esiliato, si trovava in Atene al momento del delitto. +Aveva già avuto un’esperienza di omicidio, ricordàtelo. Era stato a Creta, e +conosceva bene le possibilità dell’arco cretese. Ma perché, perché avrebbe +dovuto uccidere il mio povero zio? Vi dirò io perché, sebbene la ragione sia +strana, quasi al punto da far pensare che l’uomo fosse pazzo. Vi devo dire, +signori, che sebbene all’epoca della condanna all’esilio fosse già un uomo di +diciannove anni, Filemone sentiva molto la mancanza di un padre –. Il pubblico +rise e anche Polignoto si lasciò sfuggire un pallido sorriso. +– Non intendo scherzare, signori, l’argomento è troppo grave. No, come tutti +sappiamo, Filemone era il vero e legittimo figlio di Likias. Ma suo padre era +morto, e questo scavezzacollo si trovava in una posizione molto modesta. Si +fissò nell’idea che avrebbe dovuto avere i requisiti e le aspettative di un figlio di +ricchi. E il mio povero zio divenne l’oggetto della sua attenzione. Poiché una +volta Boutades gli aveva parlato con bontà, lui si lasciò prendere dalla +stravagante idea che egli avrebbe dovuto adottarlo, a dispetto di ogni logica. Mio +zio lo raccontò a sua moglie e a me, e ci si rise sopra. Ma non ne parlò fuori di +casa, per rispetto alla memoria del povero Likias. Ecco, adesso possiamo +immaginare senza difficoltà questo sciagurato giovane, la cui vita è stata una +sequela di guai provocati da lui stesso. Per prima cosa uccide un uomo in una +rissa ed è bandito dalla città. Poi, in esilio, vagabonda sui mari senza meta, e +infine, nella perfidia del suo cuore, si arruola nell’esercito persiano. Ferito in una +grande battaglia in cui stava dalla parte del nemico e timoroso dei vincitori, +fugge di nuovo verso la patria e rientra in Atene, benché la città gli sia interdetta. +Io penso che non avesse un preciso piano d’assassinio finché non raggiunse la +spiaggia, ma chi può dirlo? Una volta in Atene, solo e sprovveduto, decide nella +sua mente disperata di far vendetta sull’umanità per le conseguenze dei propri +errori, e anzi di rivolgere questa vendetta sul mio sfortunato zio. Filemone + intendeva uccidere Boutades e prendersi le ricchezze che pensava dovessero +essere sue, che sarebbero state sue se fosse stato, come avrebbe voluto, figlio +d’un ricco. Fu senza dubbio in questa sorta di frenesia che uscì nella notte, per +togliere la vita a mio zio nel modo più vile e meno rischioso per lui. Provò +soddisfazione nel vedere la sua vittima morta e coperta di sangue? Certo, l’udire +me che mi muovevo impedì a Filemone di compiere la rapina che progettava. +Arrivai troppo presto, disgraziatamente. Pochi minuti più tardi lo avrei sorpreso +in casa nell’atto di rubare. Fu un’impresa folle, ma la follia non è una scusa +perché l’omicidio fu compiuto deliberatamente e con la piena consapevolezza di +causare la morte di un uomo. Ah, povero zio, privato in questo modo infame +della sua vita! La follia di Filemone dimostra che gli stessi dei lo hanno +maledetto. E anch’io lo maledico e lo esecro, Filemone, l’assassino. E possa io +stesso essere colpito da maledizione se non ho detto la verità nella mia accusa +davanti agli dei e a queste cose sacre. + XXIII +L’Areopago in tumulto + + + + + +Mi sentivo come se la terra mi stesse sprofondando sotto i piedi. Polignoto +non aveva menzionato nessun movente alle prodicasìe. Non era difficile +accorgersi che la giuria era convinta. Uno dei punti salienti della mia difesa +sarebbe stato forse seriamente indebolito. Contavo di causare sorpresa +riferendomi al desiderio di Boutades di adottare Filemone. Ma ora sarebbe stato +molto più facile per l’accusa screditare tutto ciò come un prodotto della fantasia +di Filemone e contraddire i documenti dichiarandoli falsi. L’unico e lieve +vantaggio di questa nuova situazione era che mi offriva l’opportunità di +continuare sull’argomento e introdurre questioni che non erano state menzionate +alle prodicasìe. +Mi alzai per parlare. L’uditorio mi appariva come una macchia indistinta. Il +cielo sopra di noi era grigio e minaccioso. Avevo l’impressione di rivolgermi a +un mondo tutto di ferro. + +– Onorevoli giurati di Atene! Io, Stefanos, mi presento a voi per difendere il +mio infelice cugino Filemone, e per dirvi che è innocente di questo terribile +delitto. Mi proverò a confutare la tesi dell’accusa punto per punto. Nessuno nega +che Boutades sia stato trafitto da una freccia, né che il suo corpo sia stato visto +da molti esattamente come l’accusatore e due testimoni l’hanno descritto. Ma vi +può essere un errore circa l’identità dell’assassino, specialmente in un caso in cui +nessuno è arrivato sulla scena se non dopo che il delitto era stato commesso. +Quanto al fatto che l’assassino sia stato visto, la luce era veramente fioca: quel +tipo di chiarore che precede l’aurora e in cui è difficile distinguere il bianco dal +nero. +Ripetei scrupolosamente tutti i punti che avevo specificati alla prodicasìa, +sottolineando soprattutto la miopia di Telemone. La giuria ascoltava come di +dovere, ma senza molto interesse. Passai quindi alla deposizione del soldato. Qui +mi sentivo più forte. Interrogai il testimone come avevo già fatto, ma questa +volta fu più guardingo. Tuttavia era sempre un testimone da poco: ostinato e +ansioso di compiacere quelli della sua parte, cosicché una domanda inattesa era +sufficiente a confonderlo. Questa volta riuscii a sbilanciarlo con un paio di + questioni tecniche sulle armi e le armature degli alleati e dei Persiani. Fu colto +nell’atto d’implorare con lo sguardo un suggerimento da parte dei suoi per +rispondere a una semplice domanda sugli elmi macedoni. Questa sciocchezza gli +fece perdere un po’ di credito presso la giuria, ed io fui in grado di puntualizzare +che la sua «identificazione» di Filemone era dubbia. +– In realtà – dissi – questo testimone non ha del tutto torto. Filemone era +presente in quella battaglia, certo. Combatteva dalla parte dei Greci e dei +Macedoni nella grande vittoria presso la città di Isso, e là fu anche ferito mentre +si batteva onorevolmente. Ho qui il nome del suo capitano, un Macedone –. Feci +passare il nome alla giuria, perché tutti lo vedessero. – Mandate a chiamare +quest’uomo, che è capitano nell’esercito di Alessandro, e lui vi potrà parlare +della condotta di Filemone in battaglia. È lontano da raggiungere, e ho appreso +questo fatto solo recentemente. Ma vi prego, aiutatemi nel mandare a chiedere +quest’informazione prima di bollare Filemone nelle vostre menti come traditore. +Vi domanderete come sappia tutto ciò, e come mai, sapendolo, non abbia agito +prima. Come avrete compreso, io ho comunicato con Filemone dopo l’inizio del +procedimento giudiziario. Se questo è un delitto, domando il vostro perdono, ma +sicuramente non è un crimine per un cittadino rispondere a una lettera inviatagli +dal suo parente più prossimo in grandi angustie, né sollecitare a sua volta una +risposta –. Stavo affrontando un tema pericoloso, e non ero contento di aver +giurato che avrei detto il vero, anche se mi premurai di non dire una vera e +propria bugia. +– La legge di Atene è giusta, e tiene conto dei vincoli di sangue. Ma è stato +solo dopo la diffusione di tale calunnia che ho avuto notizie dall’accusato e ho +potuto chiedergli della guerra; e così sono venuto a sapere il nome del suo +capitano. Filemone, benché in esilio, è sempre un patriota, e si è battuto per i +Greci. Non aveva motivo di fuggire dall’Asia, e inoltre, essendo uno degli eroi di +una gloriosa vittoria, non poteva trovarsi nello stato d’animo che l’accusa ha +indicato. +La giuria fu abbastanza colpita da questo: non del tutto, ma la mia fiducia e il +nome di Alessandro avevano sortito il loro effetto. Vedevo i primi segni di +dubbio riguardo alla colpevolezza di Filemone. Adesso, almeno, i giurati erano +meno propensi a considerarlo irrevocabilmente un traditore e, di conseguenza, +come uno sconsiderato assetato di vendetta. + +Anche il fatto che avessi insistito perché al veterano fosse permesso di parlare +aveva influenzato i giudici in mio favore. Colsi questo piccolo vantaggio e andai +avanti. +La parte successiva della mia difesa non sarebbe stata così piacevole. + – Sì, signori, ho un’ammissione da fare. Ma perché aver paura? Chi avrebbe +paura di ammettere la verità davanti a una corte di giustizia ateniese? Io non +chiedo pietà. Chiedo giustizia, un giudizio equo. Adesso so una cosa che prima +non sapevo, che gli dei mi aiutino: e cioè che Filemone è stato veramente ad +Atene. Non lo sapevo quando giurai fiduciosamente davanti al Basileus che +l’imputato non era qui e non avrebbe potuto esserci. Ma ora in verità, parlando in +suo nome, devo ammettere che fu colpevole di aver violato le leggi riguardanti +l’esilio. Voi potreste dire giustamente, «Per questo egli merita la morte secondo +la legge». Ma, signori, vi prego di considerare che, sebbene colpevole sotto +questo aspetto, può essere innocente in tutto il resto. Mi appello ai vostri cuori +perché consideriate i suoi sentimenti e la condizione in cui si trovava tornando +nella città natale come un clandestino, dopo aver combattuto per il proprio paese. +– Perché si macchiò di quest’azione illegale? Ah, signori, perché voleva rivedere +la sua vecchia madre, che sta morendo di un male incurabile. Lei sapeva della +sua venuta. Nessun altro della famiglia ne fu al corrente fino a poco tempo fa, +quando la sventurata donna, non potendo resistere, me lo ha confessato. È giusto +che ora ve ne parli. Punite anche me personalmente, se volete, per l’infrazione +commessa da Filemone; ma fatelo dopo il processo. Io sono disposto a farmi +rinchiudere in prigione. Ma questa è un’altra faccenda. Chi di noi non ha +commesso un torto, non un crimine, ma un torto, e tuttavia non è terrorizzato alla +sola idea di commetterne un altro? Le infrazioni non sono tutte uguali. Noi +stiamo discutendo questa causa, e di questo crimine Filemone è innocente. +Mi asciugai la fronte. La giuria aveva preso un’aria molto solenne. +L’accusatore e i testimoni avevano l’aria compiaciuta di cinque cornacchie nere +su un albero. Polignoto, benché fiero, sembrava dispiaciuto per me; Euticleide, +invece, aveva una smorfia compiaciuta sul viso. +– Considerate, signori, che anche se Filemone merita la morte secondo la +vostra legge, e tuttavia quella stessa legge non viene applicata sempre in modo +rigoroso, egli non merita che l’orrenda calunnia di quell’infame delitto penda sul +suo nome per sempre. Tra un’azione, il ritorno dall’esilio, e l’altra, il crimine più +ripugnante, vi è un enorme abisso. Alcuni di noi possono immaginare che abbia +commesso la prima. Nessun uomo a cui sia rimasto un briciolo di onore e di +umanità può immaginare che abbia commesso la seconda. +Compresi che la giuria per la maggior parte concordava con me sulla +differenza fra i due reati, ma i più, tuttavia, pensavano che con l’ammettere la +presenza di Filemone avevo rinunciato al punto principale della difesa. C’era +qualche simpatia per me (anche se riluttante), ma nessuna per Filemone. Dovevo +spingermi più a fondo. +– Ma non è tutto qui quel che ho da dire a proposito del suo ritorno. Vi + racconterò una storia che sarà per voi di grande interesse, la storia complicata di +una famiglia. Filemone è rientrato per rivedere la vecchia madre, è vero. Ma +anche per rivedere un’altra donna: sua moglie Melissa, che aveva sposato +segretamente prima dell’esilio. È venuto dunque a rivedere lei e il loro bambino. +Ora giungiamo alla parte più strana della vicenda. Questa donna fa parte di una +famiglia ateniese che viveva a Tebe. Durante la fuga da questa città all’epoca del +saccheggio, in compagnia di suo padre e dei domestici, fu vista e ammirata da +Boutades, che più tardi la ritrovò, dopo il matrimonio e dopo la nascita del figlio +di Filemone. Boutades allora avrebbe voluto adottare il bambino come suo. +Ci furono delle grida fra il pubblico. – Questa donna e il bambino, dove sono? +– In Macedonia – risposi tranquillamente. – Se mandate i messaggeri di +Antipatro là, li troverete nella capitale. Questa donna, dunque, spiegò che si era +sposata, e fu allora che Boutades decise che gli sarebbe piaciuto adottare anche +Filemone: avrebbe avuto così un figlio e un nipote. Osservate che la faccenda +corrisponde, più o meno, a quanto sostenuto dall’accusa, solo che i termini sono +invertiti. E, incidentalmente, perché l’accusatore non ha menzionato questa +storia dell’adozione in nessuna delle tre prodicasìe? +Polignoto prese un’aria di rimprovero come per dire, «Ma io avevo visto il +collegamento solo di recente». Ero certo, comunque, che avrebbe saputo trovare +una spiegazione nella sua prossima arringa. Euticleide giocherellava con la +frangia della veste, sporgendo le labbra. +– Ecco! – dissi teatralmente, presentando le tavolette che Aristotele e io +avevamo rinvenuto nel loro nascondiglio. – Qui c’è una prima bozza +dell’accordo, eseguita dal compianto Boutades. Questa copia era in possesso +della donna che ora si trova in Macedonia. Questo documento, non vistato da +testimoni, così com’è non ha valore legale, trattandosi ovviamente di una +minuta. Tuttavia le tavolette sono scritte di pugno di Boutades e contrassegnate +dal suo sigillo. Notate anche che queste tavolette sono vecchie: non sono state +redatte nelle scorse settimane. Quelli che conoscono la scrittura di Boutades +possono esaminarle da vicino. +Porsi le tavolette all’Orcote, che le passò dapprima al Basileus e poi alla +giuria. Si era destato un grande interesse. +– Sono sicuro che l’accusa griderà: «È un falso!». Tuttavia, chi potrebbe +essere il falsario? È in grado, una donna, di scrivere così? E anche se lo fosse, +troverebbe i termini corretti? Oppure mio cugino, che non è certo un uomo colto, +potrebbe avere scritto come una persona versata nelle leggi e negli affari? E +come imitare il sigillo di Boutades o la sua scrittura? Inoltre, se chiunque, uomo +0 donna, fosse tanto audace o tanto abile da tentare un falso, pensate che si +limiterebbe a imitare una minuta, e non invece un documento che risulti valido + in un tribunale? Queste tavolette non possono essere esibite per reclamare una +parentela adottiva o un diritto di eredità. Sono inutili. Dimostrano soltanto che +Boutades pensava effettivamente di adottare Filemone. Vi domanderete anche +come mai non si trovò copia di questa bozza di accordo fra i documenti di +Boutades. Una domanda molto pertinente, sulla quale ritornerò, perché io stesso +me la sono posta. Per trovare una spiegazione dobbiamo approfondire il caso. Mi +rendo conto che alla maggioranza di voi, che non conoscete Filemone, il ritratto +di lui tracciato dall’accusa può sembrare plausibile. Ma mio cugino non è +quell’uomo ossessionato e furente che ci è stato descritto. È un essere allegro e +bonario. Aveva sperimentato la gioia di una battaglia vittoriosa. Aveva una bella +moglie e un magnifico bambino. Pensava, e con ragione, che il suo valore in +battaglia avrebbe potuto portare a una commutazione della sentenza di bando, e +l’eredità di sua moglie gli consentiva anche qualche speranza di prosperità. Io vi +chiedo d’immaginare per lo spazio di due minuti che possa essere possibile che +Filemone non abbia commesso il fatto. È vero che era stato a Creta, e tutti +giurano che Boutades è stato ucciso con un arco cretese. Ma nessun altro poteva +avere accesso a un arco cretese? Chiamo come testimone il cittadino Archimeno. +Archimeno non sembrava entusiasta di testimoniare. Era venuto in lettiga con +la scusa di non sentirsi bene. Infatti non sembrava molto in forma, ma parlò con +chiarezza, senza mai abbandonare il cipiglio, con le due rughe sulla fronte così +profonde da dare l’impressione che fossero incise nel suo cranio. +Archimeno giurò che Filemone era innocente e che la sua dichiarazione era +vera. Poi testimoniò di aver posseduto un arco cretese, che durante l’estate era +scomparso. Descrisse il luogo dov’era tenuto e gli uomini che erano stati nella +stanza e dovevano averlo visto. Io lo interruppi dicendo: +– Ricordatevi, questo è importante. Non tutti sapevano che Archimeno aveva +quest’arco, non tutti sapevano che era un arco cretese. Ma alcuni sì, e fra questi +lo stesso Boutades, Polignoto, e altri uomini di una certa posizione, e così pure +alcuni schiavi e dei marinai –. Poi tornai a rivolgermi al testimone: – Perché non +avete denunciato la scomparsa dell’arco? +– Non sapevo chi l’avesse preso – replicò a bassa voce. +– Ma perché non ne avete parlato, comunque? Pensavate di sapere chi +l’avesse preso? +– Sì. Credevo che fosse stato lo stesso Boutades. +– Un po’ più forte, per favore. Pensavate che l’avesse preso Boutades. +Perché? +– Per una specie di… scherzo. +– Una beffa tra amici? Eravate amici? +L’uomo mi sbalordì. Rivolto a me e all’intera assemblea esclamò: – Io + ODIAVO Boutades! Mi aveva imbrogliato, aveva fatto della mia vita un inferno. +Mi fece accettare una nave in cambio di un credito che avevo, una nave così +male attrezzata che mi sarei rovinato a cercare di ripararla. Era disonesto +nell’animo. Non indietreggiava davanti a niente, a niente! Non gli importava +nulla né di Atene né della trierarchia. Si curava solo di se stesso, della sua +reputazione e del denaro. Soprattutto il denaro. Signori –e si volse alla giuria – +guardate un po’ a voi stessi e alle vostre navi, ed esaminate da vicino i conti fatti +con Boutades. Sono sicuro che anche fra voi c’è qualcuno che lui ha imbrogliato, +e lo sa. Ma nessuno è stato ingannato come me. Nessuno! Avevo pensato persino +di uccidermi, per causa sua. Non sono il suo assassino, ma sono felice della sua +morte. Se avessi pregato per cent’anni non avrei potuto chiedere niente di +meglio! Che gli dei lo maledicano anche nell’oltretomba e Radamanto lo +condanni! +Alla fine di questo incredibile sfogo, Archimeno scoppiò in lacrime, e non +bagnandosi leggermente gli occhi arrossati, ma versando una cascata di +lacrimoni come quelli di un bambino, che gli scorrevano sulle rughe tra il naso e +il mento e formavano dei rivoletti sulla sua tunica. Appariva molto vecchio, +molto pietoso e molto strano. +Penso che tutti avvertimmo la presenza di un tocco di follia, e magari +qualcosa di più che un tocco; eppure gli credemmo. La giuria era in subbuglio: +certamente le parole di Archimeno sugli uomini che come lui erano stati +imbrogliati dal defunto erano andate a segno, e tutti si sentivano sdegnati a +quella denuncia della disonestà di Boutades. La reputazione dei trierarchi in +generale è soggetta a tali ingiurie, e la pietà per Boutades che prima era stata così +forte d’un tratto scemò. Ormai egli non era più quel ritratto di uomo retto che +finora si era voluto dipingere. Il delitto rimaneva grave come prima, pure, d’un +tratto, l’atmosfera per me si era fatta più respirabile. I giurati non erano più +implacabilmente convinti dall’accusa: adesso erano più disposti ad ascoltarmi. +– Quello che Archimeno dice risulta vero – asserii. – Boutades era avaro. Ma +negli ultimi tempi la sua avarizia crebbe. Era ossessionato dall’idea di adottare +un figlio ed un nipote e lasciare una grossa eredità. La proprietà divenne il suo +unico obiettivo. Ma torniamo all’arco. L’assassino tirò contro di lui con un arco +cretese. Sì. Ma vi chiederò di nuovo di fare il vostro penoso dovere e di +immaginare l’orribile vista. Chiedo al cittadino Euticleide, testimone per +l’accusa, di ripetere la sua descrizione di come appariva il cadavere e dello stato +della stanza. +Euticleide parlò di nuovo, con esagerata pazienza. Fece una relazione molto +pertinente, ma quando gli chiesi di descrivere quello che si trovava sulle varie +tavole esitò, e non fu in grado di fornire una risposta completa. + – Ma il cadavere – insistetti. – Avete visto chiaramente il cadavere? +– Sì, certo. Giaceva nel modo che ho detto. +– C’era molto sangue? +– Sì. +– Anche nei capelli? +– Sì. Quando abbiamo sollevato quel povero corpo, i capelli sulla nuca erano +ingrumati di sangue. Io li ho visti. +– E i piedi? +– Anche. Le sue pantofole, perfino le suole, erano piene di sangue. Ma non +vedo a cosa serva tutto ciò – aggiunse sdegnosamente. – Quel poveretto era +morto, questo è certo. Protesto perché il difensore fa delle domande inutili per +guadagnare tempo. +Lo lasciai ritirare. Nessun altro fece obiezione alle mie domande. +– Raffiguratevi il cadavere con l’occhio della mente, signori. L’accusatore ha +detto che Boutades era seduto a lavorare alla sua tavola, di fronte alla finestra. +Stava quindi lavorando pacificamente alla tavola in fondo alla stanza, rivolto a +ovest. L’assassino che tirava su di lui dall’esterno, a ovest, non poté tirare da +molto vicino alla finestra, perché una freccia dev’essere scoccata da un po’ di +distanza per guadagnare forza. Ma… dov’era Boutades? Il cadavere era rivolto +nella giusta direzione, giusta, intendo, per un uomo colpito dalla parte della +finestra. Ma il corpo era quasi in mezzo alla stanza. Se Boutades fosse stato +colpito mentre lavorava alla sua scrivania, dove forse l’assassino poté vederlo +chiaramente dal di fuori perché la vittima, che non sospettava nulla, aveva una +piccola lampada sulla tavola, allora sarebbe caduto accanto o sopra la scrivania. +Per lo meno, il suo sangue avrebbe spruzzato la scrivania. Forse, direte voi, si +alzò, e così ricevette il colpo mortale in piedi e cadde repentinamente +all’indietro. Ma allora, non sarebbe dovuto cadere sulla sua sedia, o accanto ad +essa? Invece il cadavere si trovava nel posto sbagliato, al centro della stanza. Se +Boutades avesse visto l’assassino attraverso la finestra e si fosse alzato in fretta +correndo verso il centro dello studio… be’, allora sarebbe stato colpito alla nuca, +e non alla gola. Perché, dunque, era al centro della stanza o lì vicino quando la +freccia lo colpì nel collo? E ci sono anche degli altri fatti curiosi. Tutti +testimoniano che c’era una gran quantità di sangue. Sangue sul pavimento, sulla +tunica della vittima, sulle sue pantofole e nei suoi capelli. Ora, la grande vena +del collo è una parte vitale, e contiene molto sangue. Ma qualsiasi soldato vi +potrebbe dire che un uomo colpito da una freccia generalmente non sanguina +molto, perché spesso la stessa freccia funziona da tampone alla ferita. +Comunque, in questo caso naturalmente, il sangue potrebbe essere sgorgato dalla +bocca mentre il corpo cadeva all’indietro, per l’impatto del colpo. Ma un uomo + molto forte, muovendosi rapidamente innanzi, può essere in grado di fare +diciamo un passo o due prima della caduta, specialmente se la freccia, benché +mortale, non è stata scoccata da una grande distanza. Perché le suole delle +pantofole erano coperte di sangue? Io direi perché l’assassinato stava +camminando in avanti, verso la porta situata ad est, quando fu colpito. E fece un +passo o un passo e mezzo nel suo proprio sangue prima di cadere sul pavimento. +Sulla scrivania non vi era traccia di sangue. Non è strano? O ci stava lavorando, +nel qual caso la scrivania avrebbe dovuto esserne coperta, o se ne stava +allontanando, in tal caso doveva avere la schiena rivolta alla freccia. Cioè, se +l’assassino si trovava all’esterno della casa. È questo il problema, come un +problema di geometria. +Feci una pausa per lasciare che le mie parole andassero a segno, e diedi tempo +alla giuria di riflettervi sopra. Erano tutti curiosi. Avevo incatenato la loro +attenzione al problema. +– Vi faccio notare che c’è una netta possibilità che l’assassino si trovasse +dentro la casa, non fuori. Anche se, ovviamente, voi direte che l’assassino +potrebbe essere scappato dalla finestra, e su questo torneremo dopo. Ma se è +possibile, anzi se è addirittura probabile dalla posizione del corpo che l’assassino +fosse in casa in quel momento, allora è molto strano che nessuno l’abbia visto. +L’omicida non sarebbe dovuto fuggire rapidamente tra il momento in cui colpì +Boutades e quello in cui Polignoto entrò e vide suo zio che spirava? Non poteva +certo uscire per la porta che dà nell’atrio. Poteva l’assassino trovarsi in fondo +alla stanza, di fronte alla finestra, con Boutades trafitto nella gola fra lui e la +finestra stessa? Sì. Poteva allora aver preso la fuga attraverso la finestra? No, +certamente no, perché avrebbe lasciato tracce sul pavimento insanguinato, 0 +macchie di sangue tra la scrivania e il davanzale. Ma io ho ulteriori prove, e non +semplici illazioni, che l’assassino si trovava in casa. Come sapete, in casa di +Boutades è custodito un famoso vaso, un bellissimo vaso commemorativo. +Alcuni di voi l’hanno visto recentemente, altri nel passato. Stava sul tavolino +appoggiato alla parete affrescata, a circa sei spanne di distanza dalla parete dov’è +la finestra, e a sinistra della medesima. Nei giorni in cui Boutades viveva e +lavorava in quella stanza, nessun passante poteva vedere il vaso dalla finestra. Se +l’assassino avesse scoccato la freccia dal di fuori, non avrebbe potuto colpire il +vaso, da qualunque parte prendesse la mira, da presso la finestra o da più +lontano. E nessuno avrebbe potuto raggiungere il vaso per toccarlo o per +prenderlo da fuori la finestra. Eppure, qualcosa accadde a questo vaso nel +momento in cui Boutades fu ucciso. Non si trattò di un’arma. Il cadavere non era +vicino al vaso, e l’assassino dall’esterno non avrebbe potuto raggiungerlo. +Eppure esso è un testimone. Domando che il famoso vaso delle feste dionisiache + sia mandato a prendere per essere esaminato; dopo chiarirò il punto. +Avevo paura che la corte potesse negare il consenso, ma dopo alcune +perplesse consultazioni fra l’Orcote, il Basileus e gli arconti, fu mandato un +uomo a prendere il vaso. Polignoto obiettò vivacemente contro questa procedura, +che violava la sua proprietà e la sua casa, ma gli fu assicurato che il vaso sarebbe +stato guardato soltanto dal tribunale, che io non l’avrei toccato e che sarebbe +stato immediatamente restituito. Telemone parlò a Polignoto in tono conciliante. +Euticleide era più seccato, e continuava a rivolgere obiezioni a tutti gli arconti e +alla giuria, finché il Basileus tagliò corto: – Ho parlato: basta così –. Gli altri +testimoni avevano l’aria perplessa, e udii distintamente l’uomo del Pireo dire: – +Uff! Che cos’è un vecchio vaso, dopo tutto? – Questa battuta consolatoria non fu +accolta con molto favore dagli altri. +– Signori – proseguii – abbiate pazienza. Vi assicuro che questa faccenda ha +molto a che fare con il caso di Filemone. Io so che vi state domandando: «Che +l’assassino fosse dentro o fuori della stanza, che importa, se l’assassino è +Filemone?». Ma non è così. Ho ammesso che si trovava in Atene, come esule +rientrato clandestinamente; e per quel che ne so, il degno pescivendolo del Pireo +ha ragione quando dice di averlo visto il giorno prima del delitto. Ma Filemone +non era più ad Atene quando il delitto fu commesso. Chiamo Filandro di Atene +come testimone. +Filandro di Atene era la mia vecchia conoscenza, Fidippide, l’allegro +mascalzone che mi aveva offerto l’opportunità di prendere il largo alla +chetichella. Il lavoro d’un buon barbiere e il dono d’una tunica di seconda mano +l’avevano reso meno losco, ma chiaramente, nonostante la sua sfacciataggine, +non si trovava a suo agio nel tribunale, ed io temevo che il suo sguardo +sfuggente quando sbirciava la giuria fosse interpretato a nostro sfavore. +Pronunciò il giuramento con voce sonora, ma parve non trovare di suo gusto +le mie delicate e necessarie domande sulla sua occupazione. +– Uomo onesto. Aiutante d’un vasaio – fu tutto quello che gli si cavò sulle +prime. +– Sì, ma avete avuto anche qualche esperienza di mare, non è così? Mi pare +che vostro padre fosse un pescatore. +– Sì. Un onesto pescatore. Non che sia mai stato quello che si dice fortunato +nella pesca. +– E sapete manovrare una barca, no? +– Sì. A volte lo faccio. Quando gli affari vanno a rilento, mi guadagno +qualche soldo in più trasportando la gente a vela o coi remi. Mettiamo che una +vecchia signora vuole andare a Idra. Io ce la porto. Sempre coi dovuti modi. +Filandro è beneducato. A prezzi ragionevoli. + – E – aggiunsi in tono persuasivo a questo cugino di Caronte – è cosa nota +che voi fornite un passaggio sul vostro battello a chiunque ne abbia bisogno a +prezzo modico. Perciò, chiunque conosca il Pireo può rivolgersi a voi offrendo +di pagare per il trasporto? +– Sì, certo. Sono conosciuto al porto. Chiunque si può rivolgere a me. Però, +principalmente, sono un aiutante vasaio – ripeté con ostinazione. – Noto come +una persona onesta, prezzi ragionevoli – aggiunse di nuovo con enfasi. – +Filandro non approfitta del cliente. Qualche soldo onestamente guadagnato è +quello che chiedo, quanto basta per il prossimo pasto. Non voglio altro. +Ci volle del bello e del buono, ma finalmente indussi il mio riluttante +testimone, così dissimile dal precedente, ad ammettere con molta prudenza di +avere traghettato nella sua barca Filemone su una delle isole la notte prima del +delitto. +– Mica sapevo che era Filemone il proscritto – disse ansiosamente. – Non +volevo fare niente di proibito, vedete. Ho saputo che era lui solo quando siamo +stati in alto mare, molto fuori dal porto, e visto che era un tipo così robusto e +capace di far fuori una persona come niente, ovviamente sono stato zitto. Io sono +un povero diavolo. E poi, proprio perché sono un povero diavolo, ho avuto paura +di denunciarlo al ritorno, sebbene normalmente l’avrei fatto. Ma temevo che +quelli della legge avrebbero potuto dirmi: «Come! L’avete lasciato scappar via, e +adesso pagherete la penalità». Ma non volevo assolutamente mettermi contro la +legge, prego che ne teniate conto, signori. E adesso mi sembra tardi per +rimproverarmelo, perché a cosa serve piangere sul latte versato? E in ogni modo +non è una cosa importante come questo delitto tremendo che dovete giudicare. +«Non devo più preoccuparmi del mal di denti ormai», come disse l’uomo +quando lo portarono all’esecuzione. Spero solo che questo non sia un argomento +troppo delicato da affrontare qui. +Mi liberai del mio prudente testimone dopo aver stabilito chiaramente il fatto +che Filemone non era ad Atene al momento del delitto. Temevo il giudizio degli +dei su quest’uomo, questo Filandro alias Fidippide, ma la giuria aveva l’aria di +pensare che sull’argomento principale egli diceva la verità, come infatti l’aveva +detta, e i giurati apparivano chi divertito, chi colpito, chi perplesso. +– Così dunque, signori, non è Filemone l’assassino che quella notte agì +nell’interno della casa. E l’assassino era dentro la casa, come vi proverò +definitivamente mostrandovi il vaso e spiegando come andò in pezzi. Mostrate +pazienza per il mio paradosso, ma fra un momento, quando lo vedremo, sarà +tutto chiaro. Il vaso si ruppe inopportunamente, e proprio al momento del delitto. +Non è che precipitasse a terra in conseguenza della pressione della folla intorno +al corpo di Boutades quella mattina. No. In quel momento non c’era più. Io + domando a tutti i presenti non coinvolti per il caso giudiziario e che hanno visto +la stanza quella mattina di tornare indietro con la mente per ricordare se ci fosse +o no il vaso commemorativo delle Dionisiache. Non c’era. In quel momento i +frammenti del vaso infranto erano già stati ben nascosti. +Delle voci provenienti dalla giuria e dal pubblico gridarono: – Ma il vaso è +sempre lì! Non è mai stato rotto! +– E invece sì, signori. Ci furono due colpi quella notte. Il primo fece +precipitare il vaso, il secondo abbatté Boutades, che si era già alzato, si era +voltato e camminava in avanti quando il secondo colpo lo raggiunse. L’assassino +aveva probabilmente progettato che lui dovesse morire alla sua scrivania, ma il +rumore del primo colpo che mandava un oggetto in frantumi mise in allarme la +vittima e le diede tempo di muoversi. L’assassino all’interno della casa voleva +che la sua vittima gli fosse di fronte al momento in cui l’avrebbe uccisa, ma non +che avanzasse fino al centro della stanza. Così, dopo, spostò il corpo perché si +trovasse nel posto giusto. Così facendo, è probabile che abbia spostato +inavvertitamente la freccia, causando la fuoriuscita d’una anormale quantità di +sangue. Non poteva riportare il corpo vicino alla scrivania, perché avrebbe +destato sospetti trovandosi troppo lontano dalla pozza di sangue. Ma quando il +cadavere fu spostato e rigirato, i capelli della vittima si inzupparono e si +ingrumarono di sangue, e le suole delle sue pantofole furono parimenti +macchiate. Solo l’assassino, innervosito, era consapevole del significato del vaso +rotto. I frammenti furono frettolosamente raccolti e nascosti in un grosso +recipiente nella stanza. Un’anfora da vino a collo lungo e molto panciuta. +Quanto al vaso delle Dionisiache che si trova ora in casa di Boutades, dichiaro +che si tratta di un’abile riproduzione. Il vaso originale era di buona ceramica +ateniese e, come comprende chiunque abbia pratica in materia, l’argilla ateniese +è rossa. Io vi predìco, invece, che il vaso mandato a prendere ora da casa di +Boutades risulterà fatto di argilla gialla. Ed eccolo qui! +L’inviato stava entrando in tribunale, e depose il vaso davanti all’Orcote e al +Basileus. Ci fu un mormorio di ammirazione. Un burlone gridò: – Adesso +giudichiamo il vaso! – e si udirono delle risate. +– No – ribattei – non si sta giudicando il vaso. Non è responsabile della morte +di Boutades. È un testimone, come ho già detto. Ammiratelo quanto volete, ma +ascoltatemi. Il vaso originale era di argilla rossa. I suoi frammenti furono +nascosti dopo che ne fu eseguita una copia. Nascosti in un luogo da cui si +prevedeva che non sarebbero mai pi�� ricomparsi fino alla fine del mondo. Ma, vi +domanderete, chi è questo assassino all’interno della casa? Chi ebbe tempo di far +sparire i frammenti? L’uomo che li levò di torno e ne fece fare un’ottima +riproduzione era certamente la stessa persona che sapeva del nesso tra la + distruzione del vaso e il delitto e che voleva che il delitto apparisse compiuto in +ben diverse circostanze. Nessun assassino che tirasse dall’esterno poteva aver +colpito il vaso con una freccia, e neanche averlo toccato. Se chiunque altro, +all’infuori dell’assassino, avesse distrutto il vaso, lo avrebbe detto apertamente. +E se la copia fosse stata ordinata da una persona innocente, sarebbe stata +eseguita in Atene. Accettate il mio ragionamento? E siete d’accordo quando +affermo che se questo vaso è una copia, e se si può scoprire il nome dell’uomo +che la fece eseguire segretamente, quest’uomo è l’assassino? Poiché infatti lui e +lui solo aveva la conoscenza, la volontà e l’opportunità di fare tutto questo. +Alcuni dei giurati annuirono; altri restarono in silenzio, cercando +evidentemente ancora di seguire il filo del mio ragionamento. +– Ecco il vaso – dissi. – Non è sotto processo, ma lo metteremo sotto +interrogatorio come un testimone. Domando che un piccolo frammento sia tolto +dalla sua base, per vedere se l’argilla sia rossa o no. Chiedo che sia l’Orcote a +provvedere a questo. +Ci furono delle proteste particolarmente vivaci da parte di Polignoto. – Ma è +un vaso di valore – obiettò l’Orcote preoccupato. +– Può essere che lo sia, e può essere che non sia poi così prezioso – ribattei. – +E la vita di un uomo e il suo buon nome sono forse meno importanti d’un vaso? +Io non domando che sia distrutto, né danneggiato gravemente. Prendetene una +scheggia, quanto basta a vedere il colore dell’argilla. +Con riluttanza l’Orcote portò il vaso al Basileus, che sedeva in mezzo agli +arconti. Con visibile disgusto, il Basileus grattò delicatamente la base del vaso +con un coltello. +– Guardate! – gridai. – Cosa vedete? Argilla rossa di Atene? O argilla gialla +di Corinto? +Si udì un’esclamazione strozzata da parte del Basileus. – È gialla! – Si era +alzato e sollevava il vaso in direzione della giuria e del pubblico. – È di argilla +gialla, è una copia! – La parola passò di bocca in bocca, sebbene non molti +riuscissero a vedere abbastanza da vicino. Il Basileus esibì il vaso alla prima fila +di giurati. +– Chiamo – dissi io – Onesimo di Corinto a testimoniare. +Onesimo di Corinto, un ometto tranquillo, era di professione vasaio. Non +l’avevo mai incontrato prima di quella mattina. +– Vedete quel vaso? – gli domandai, e l’oggetto fu portato più vicino. – +L’avete visto prima? +– Sì. L’ho fatto io. Copiando dei frammenti di un altro vaso più vecchio. È +una riproduzione. E molto buona anche – aggiunse. +– Quando è stata fatta? + – Nella mia bottega a Corinto sulla fine dell’autunno. +– E chi è l’uomo che vi ha dato l’incarico di farla? +Mi disse che il suo nome era Periandro di Megara. Aveva l’aria d’un ricco, +benché viaggiasse semplicemente, accompagnato da uno schiavo con i capelli +rossi. +– L’avete rivisto poi? +– Sì. Oggi. +– Potete indicarlo? +E Onesimo levò il dito. Ci furono esclamazioni soffocate e un grande +tumulto. Tolsi una borsa di cuoio dalla mia cintura e l’aprii in fretta, con dita +tremanti. +– Sì! – gridai al di sopra del baccano. – E qui c’è il vaso originale. Questi +frammenti sono stati recuperati da me dove l’assassino li aveva nascosti! – Li +protesi in alto, bene in vista sul palmo della mano, con le tracce di decorazione +ben visibili sull’argilla rossa. – Erano nascosti, lo giuro, in un luogo molto +strano: sotto la pietra tombale della vittima! +Feci una pausa, e per farmi udire al di sopra del chiasso, gridai: +– Ed ecco l’assassino! Il suo nome ci è ben noto. Chi è l’uomo che ha urgente +bisogno di denaro per lo spettacolo che dovrà mettere presto in scena? Chi è +l’uomo che aveva maggiormente da perdere se Boutades decideva di adottare un +figlio per amore di prole? Chi aveva maggiori motivi di desiderare Filemone +ridotto in polvere con tutte le persone a lui care? Chi ha potuto compiere il +delitto dall’interno della casa scegliendo il momento opportuno e il complice più +adatto? Chi ha avuto modo di assassinare Boutades con tutto suo agio, facendolo +a corpo nudo per non avere addosso macchie di sangue, e con uno schiavo a +tenergli i vestiti e un lume nel frattempo? Chi ha la forza di scoccare una freccia +mortale e di muovere un corpo pesante? Chi ha avuto modo di raccogliere i +frammenti di un vaso infranto, e poi il tempo e l’opportunità di rimpiazzarlo? Io +dichiaro che Filemone è innocente, per tutti gli dei, poiché il nome del vero +assassino è Polignoto! +Preso dalla mia passione, avevo rivelato tutto in anticipo, e avevo riunito le +mie prove e tutto il resto nel mio primo discorso. Normalmente nella tattica +legale questo è un errore, e consiglio a ogni altro difensore di non provarsi a +farlo. Avevo perso la testa e avevo continuato ad accumulare accuse su accuse +sin dal primo momento in cui mi ero reso conto di aver destato l’interesse dei +giurati. E nessuno mi aveva interrotto. Dal momento in cui era stato mostrato il +vaso, nessuno, nemmeno il Basileus, aveva pensato di mettere in dubbio la +pertinenza di quanto dicevo. I giurati erano troppo curiosi e sorpresi. +Polignoto era pallido e sconvolto. Si era sbiancato in volto quando era stato + detto all’inviato di andare a cercare il vaso. Credo, comunque, che non si +ricordasse l’aspetto del vasaio di Corinto, e non si fosse reso conto di chi era +finché l’uomo aveva fatto la sua deposizione. Polignoto non era avvezzo a fare +attenzione alla gente umile, a meno che non fosse bella. Persino allora aveva +sperato di superare quel momento difficile con la sfacciataggine. Avrebbe potuto +raccontare varie bugie (anche se il fatto di aver dato al vasaio un nome falso era +stato più compromettente che dare quello vero). Ma credo che fosse stata la +resurrezione dei frammenti a sconvolgerlo di più. Ora, nella folla sovreccitata, si +udì una sorta di fischio, e si notò che la gente si ritraeva da lui. I suoi stessi +testimoni si allontanavano dalla sua persona come se avesse potuto contaminarli. +E allora, diventato impopolare per la prima volta in vita sua, Polignoto perse +la testa. Può darsi che si fosse reso conto confusamente di trovarsi a un processo +di cui era l’imputato, che avesse intuito che sarebbe stato condannato e +giustiziato se avesse pronunciato il suo secondo discorso. Lo si vide vacillare per +alcuni secondi. Poi, con un grido selvaggio, fuggì dal tribunale e giù per il Colle +dell’Areopago. +– Inseguitelo! – gridò qualcuno, non un’autorità, ma uno dell’uditorio, e la +folla cominciò a muoversi, urtandosi e spingendosi. Il Basileus rimase seduto +con gli arconti e la giuria, cercando di decidere cosa fare. Mi sedetti anch’io, e +qualcuno mi porse del vino leggero da bere. +Non ero in condizioni di inseguire Polignoto, né volevo unirmi alla caccia +selvaggia. Quello che seguì, lo so solo per sentito dire. Polignoto si precipitò giù +per il colle verso la città. Aveva alcuni minuti di vantaggio sugli inseguitori, ed +era un magnifico corridore. Da qualche parte in città, presso la strada per il +Pireo, trovò un cavallo, lo prese, e partì al galoppo per quella stessa strada che io +conoscevo così bene, inseguito dalla folla che procedeva più lentamente circa tre +stadi dietro di lui. Lungo la strada, molti degli inseguitori desistettero. +Si dice che Polignoto giunse al Pireo e si spinse fino alla riva del mare, dove +trovò due schiavi al lavoro intorno a una barca per metà fuori dall’acqua. Con +minacce e imprecazioni chiese di essere portato fuori in mare seguendo la costa. +I due, spaventati, obbedirono, pur seguitando a obiettare che la barca non era +adatta a navigare e che si preparava una tempesta. Polignoto non ne tenne conto: +sembrava, disse più tardi uno dei due schiavi «un dio uscito dal mare a cui niente +poteva far danno». Così, contro il loro volere, gli schiavi si misero in mare, certi +di finire travolti dalla furia degli elementi. Gli inseguitori giunsero sulla spiaggia +in tempo per scorgere Polignoto, appena visibile sulla sua imbarcazione, che si +allontanava da loro sulle grigie acque agitate. Poi sul mare avanzò una burrasca +di vento e di pioggia, e Polignoto fu nascosto da una cortina di pioggia e foschia, +come se un dio l’avesse rapito alla vista. Quelli che erano rimasti a guardare + dalla spiaggia si trovarono presto fradici e cercarono riparo. +Così Polignoto scomparve, e lo stupore per la sua uscita di scena durò tutta la +notte. Quella notte in cui io dormii esausto nel mio letto, con le lacrimose +espressioni di gratitudine di mia madre e della zia Eudossia ancora ronzanti negli +orecchi. Filemone era stato formalmente dichiarato innocente dal Basileus. +Il giorno dopo, nuove meraviglie. I due schiavi marinai erano riapparsi nella +notte, sbattuti sulla spiaggia di Salamina come due tronchi d’albero, eccetto per +il fatto che erano animati. Stando al loro racconto, la barca, che faceva acqua, era +stata sommersa circa due ore dopo che avevano preso Polignoto a bordo. Gli +schiavi si erano visti perduti, ma erano riusciti a strappare delle assi dal battello e +ad aggrapparvisi, e grazie a queste erano giunti a riva. Naturalmente, il loro +unico desiderio era di approdare alla spiaggia più vicina. Ma Polignoto, dissero, +aveva voltato le spalle ad Atene e se n’era andato a nuoto in una direzione del +tutto diversa. – Inutile parlargli e anche gridare – disse uno. – Era come un uomo +di marmo, salvo che nuotava bene. Si è allontanato come un delfino. +Così Polignoto, col suo viso duro ma sereno come quello d’un nume (riuscivo +a immaginarmelo benissimo), s’era diretto ad altre sponde nel colmo della +tempesta, come un Ulisse che, però, non nuotava verso Itaca e non incontrava +coste ospitali, né principesse. Tuttavia, quando udimmo questa storia dagli +schiavi, tutti quanti pensammo che in qualche modo ce l’avrebbe fatta. Polignoto +sarebbe approdato da qualche parte e avrebbe seguitato a vivere in qualche altro +luogo di questo mondo. +Dovette nuotare a lungo e con forza, allontanandosi dalle correnti che +l’avrebbero portato a Salamina o al Pireo, e riuscendo a raggiungere un punto +dove la corrente lo spingeva verso est. Questo apparve evidente quando fu +ritrovato. Poiché infatti fu ritrovato, e in uno stato tutt’altro che degno d’un +nume. Una settimana dopo la sua scomparsa, si apprese che il suo corpo era stato +ritrovato sulle scogliere intorno a Egina. Era gonfio e violaceo, orribilmente +mutilato per essere stato a lungo sbattuto fra gli scogli. Ma era rimasta una parte +delle sue vesti sufficiente a dimostrare che era lui, e aveva ancora il suo anello al +dito. Della sua persona, solo i capelli ricciuti erano riconoscibili. +Gli Ateniesi non vollero che il cadavere fosse riportato in città. Alcuni +personaggi ufficiali che conoscevano Polignoto andarono, con riluttanza, a +identificarlo, ma nessuno volle contaminare il suolo della città ospitando il +cadavere di un assassino così abbietto, un uomo che era in realtà un parricida, +recando così offesa agli dei. Gli dei avevano mostrato la loro disapprovazione +infliggendo essi stessi la punizione al momento opportuno: su questo erano tutti +d’accordo. Il fatto che i due schiavi si fossero salvati da quello strano naufragio +dimostrava che gli dei volevano rendere chiaro al di là di ogni dubbio che la loro + vendetta era diretta solo contro Polignoto. Vi furono delle tensioni con i cittadini +di Egina; essi dichiararono sdegnati di non voler contaminare neppure loro la +propria città. Furono portati dei doni e si fecero dei discorsi per placare gli +animi. Venne fatto osservare che, se gli dei avevano mandato Polignoto là, +evidentemente desideravano che lui vi rimanesse, e non potevano avere +risentimenti nei confronti dei cittadini di Egina, visto che Polignoto non era uno +di loro. Il cadavere fu seppellito sotto un mucchio di pietre in una remota +spiaggia dell’isola. Così l’uomo che in vita sua era stato ricercato, corteggiato e +invitato a cena nelle migliori case, da morto non ebbe nemmeno una sepoltura +decente, né una vera e propria tomba. Forse avrebbe fatto una fine più dignitosa +se fosse stato giustiziato. A volte, ma non spesso e solo ultimamente, mi sembra +di avvertire in cuore una sorta di vaga pietà per Polignoto, le cui fiere speranze +gli avevano promesso tanto. + XXIV +Dopo il processo + + + + + +Il processo era terminato in maniera molto irregolare, ma il Basileus e la +giuria avevano proclamato l’innocenza di Filemone pronunciando un formale +giudizio in questo senso davanti a un tribunale quasi vuoto. Molto più tardi fu +pubblicamente rivolta contro Polignoto una denuncia per omicidio. Non si +presentò nessun difensore. La città fu sottoposta alle purificazioni rituali. Si +offrirono dei sacrifici, e molte delle proprietà personali di Polignoto furono +gettate fuori dalle mura. A tempo debito, un secondo cugino di Polignoto prese +quietamente possesso della proprietà, badando bene ad offrire copiosi sacrifici su +tutti gli altari e a fare sostanziose donazioni ai poveri e ai vari fondi cittadini. +Quelli che erano stati testimoni d’accusa al processo di Filemone furono +trattati con clemenza. Telemone, piagnucolando, ripeteva a chiunque volesse +ascoltarlo che Polignoto gli aveva detto di aver visto Filemone quella notte, e +che lui a sua volta era sicuro di avere visto qualcosa. Non trovò altro che +disprezzo. Euticleide disse che si sentiva inorridito a pensare quale serpe avesse +serbato in seno, e si sottopose a un’elaborata purificazione rituale per la colpa +d’involontario spergiuro nell’aver confermato la responsabilità di Filemone; +quanto al resto fu molto puntiglioso nel sottolineare che non aveva detto nulla +che non fosse vero, e puntualizzò il fatto che una parte della sua deposizione era +servita a discolpare l’innocente. Anche lui fece larghe donazioni in beneficenza. +Nessuno fece domande riguardo allo strano Fidippide e alla sua complicità +con un esule rientrato clandestinamente; dal canto suo, egli fu molto contento +della sua giornata al tribunale, e specialmente del fatto di essere stato tra coloro +che erano arrivati fino al Pireo e avevano visto Polignoto fuggire a bordo della +sua barca. A quanto pare, Fidippide era una specie di fuggiasco. Gli pagai del +denaro, per essersi disturbato a comparire come testimone al processo. Spero +solo che si sia purificato dinanzi agli dei per la sua complicata testimonianza +riguardo alla propria totale innocenza. +Quanto a me, nessuno mi fece delle domande sulla portata del mio aiuto nei +riguardi di un confinato rientrato clandestinamente, ed anzi, la precisa indole +della mia assistenza non venne mai alla luce. Io stesso mi sentivo un po’ a +disagio riguardo a certe mie dichiarazioni pronunciate sotto giuramento, poiché, + se proprio non avevo detto il falso, certo avevo presentato le mie comunicazioni +con l’imputato in modo non rispondente al vero. Perciò feci speciali preghiere e +sacrifici e poi comunicai la faccenda al Basileus, ma non prima di aver saputo +dell’ascesa di Filemone nel favore popolare. La cosa più importante è che la +posizione giudiziaria di Filemone non fu per nulla aggravata dal fatto di essere +rientrato clandestinamente. L’opinione generale era che si trattava di un uomo +ingiustamente colpito, e che gli dei avevano protetto nonostante tutto. Prima +della fine dell’estate, la sua sentenza di bando fu commutata, e gli fu concesso di +ritornare con sua moglie e i bambini (ormai il piccolo Likias aveva un fratello +minore). Così la zia Eudossia poté vedere i suoi nipotini prima di morire; +sopravvisse ancora un poco, e si spense esattamente a un anno di distanza +dall’epoca in cui Filemone era stato accusato d’assassinio. +Fin dall’indomani del processo, fu chiaro che l’opinione pubblica era in mio +favore, e cominciai a guardarmi attorno con qualche speranza. Euticleide +insistette nel restituirmi l’interesse sul denaro che era stato prestato a mio padre +e ripagato da me con tanta difficoltà. +Non volli rifiutarlo per un senso di responsabilità verso la mia povera +famiglia, sebbene non mi piacesse l’idea di ricevere qualcosa da Euticleide. In +ogni modo, sono certo che il suo calcolo degli interessi era stato orribilmente +esoso. +Il giorno dopo il processo ero del tutto senza voce, e non c’era da stupirsene. +Quando mi ripresi, ebbi un periodo molto affaccendato sia per gli interessi di +casa, sia nell’intrattenere i molti che accorrevano a vedermi e a congratularsi. Gli +stessi che si erano tenuti alla larga da noi dopo l’accusa. +Fu sola una settimana dopo il ritrovamento del corpo di Polignoto che ebbi +l’opportunità d’una conversazione con Aristotele. Gli portai un piccolo dono, +come umile testimonianza d’una grande gratitudine, e ci ritrovammo a discutere +di nuovo dell’affare. Alcuni aspetti mi lasciavano ancora perplesso. +– Che l’assassino fosse Polignoto – gli rammentai – me l’avete detto la notte +in cui andammo al Kerameikos, e quando mi trovavo a casa vostra intento a +ripassare l’arringa di difesa, mi avete indicato le prove che lo denunciavano +come tale. Ma io vorrei sapere quando avete cominciato a pensare che +l’assassino fosse Polignoto. E perché non me l’avete detto subito quando l’avete +saputo? +– Oh, l’ho saputo fin dall’inizio – rispose il filosofo con disinvoltura. Poi +sorrise: – No, non proprio dall’inizio. Non lo sapevo, allora. Ma lo pensavo. +Pensai anche che potesse essere stato Filemone. Ma quello che mi dicesti sulla +posizione del corpo mi fece riflettere. E poi, che motivi aveva Filemone? Che +ragioni di trovarsi in casa? Forse Polignoto l’aveva costretto o persuaso a + commettere il delitto? Una quantità di pensieri come questi mi passavano per la +mente, ma non mi convincevano. Pensavo che dovesse essere stato Filemone o +Polignoto. Poi, quando la moglie di Boutades morì… mi parve una circostanza +molto sospetta. I pettegolezzi delle schiave al mercato mi fecero capire che +motivo impellente aveva Polignoto per disfarsi di suo zio. +– Ma perché non me l’avete detto? – protestai calorosamente. – M’avete +mandato in giro in spedizioni pazzesche… Al Pireo mascherato… e sapevate già +chi era l’assassino! +– Sapere e provare sono due cose diverse. A rigor di termini, non lo sapevo, +lo pensavo soltanto, e non riuscivo a vedere una strada per trovare il genere di +prova che sarebbe stata richiesta in un caso così difficile. Speravo che tu +t’imbattessi in qualcosa che io potessi interpretare, o che le prove si +presentassero da sé. Stefanos, io avevo paura che tu potessi sospettare la verità. +Ho ringraziato il cielo che tu non l’abbia fatto, perché tu non sai fingere, ragazzo +mio. Avresti buttato fuori i tuoi pensieri lì per lì, ma senza nessun sostegno di +prove sarebbero passati per farneticazioni, mentre tu ti saresti trovato in grave +pericolo. Finché rimanevi inconsapevole e senza sospetti, tutto occupato a +perseguire l’idea che Filemone non si trovava ad Atene in quel momento, +risultavi innocuo, anzi utile per l’accusatore, che voleva un autentico processo +per omicidio da cui Filemone uscisse condannato. Era sicuro che infine avrebbe +potuto provare che Filemone era stato ad Atene. +– Non me l’avete detto – ripetei in tono di rimprovero. – Mi avete lasciato +andare avanti senza dirmi niente, e si trattava di mio cugino. +– A cosa sarebbe servito? – replicò pacatamente Aristotele. – Preferivo che tu +rimanessi in vita. Se l’assassino aveva potuto uccidere anche la moglie di +Boutades senza pensarci due volte, ovviamente non aveva troppi scrupoli. E +pensavo che la tua tesi, alla fine, potesse pure fondarsi sulla difesa della zia +Eudossia. +– E così è stato in fondo – risposi con un certo sollievo. – Ma… alcune cose +non quadrano. Mentre preparavamo l’arringa e le prove, vi ho chiesto se era +stato Polignoto a incendiare la casa di Melissa e ad assalirmi, e mi avete +risposto: «No, lascia perdere questo». Ma ora voglio sapere. È stato Polignoto? +– È stato qualcuno che ti odiava, Stefanos. Qualcuno che ti odiava in modo +del tutto particolare. Archimeno era rimasto inorridito all’udire che il delitto era +stato commesso con un arco cretese. Era balzato alla conclusione che si trattava +dell’arco che lui aveva perduto (il che poi risultò esatto) e tremava all’idea che +l’omicidio fosse imputato a lui. Infatti aveva chiari motivi per uccidere +Boutades. Penso anche che in qualche modo si sentisse colpevole per avergli +augurato così spesso di morire. Perciò si sentì sollevato che l’accusa colpisse + Filemone, e finì col desiderare che il tuo nome e quello della tua famiglia fosse +totalmente disonorato. In quest’odio trovava sollievo alla vergogna, alla paura e +al senso di colpa. Sì. Tu, Stefanos, eri diventato nella sua mente un oggetto di +odio furibondo. Archimeno ti venne dietro, vide quello che credeva il tuo nido +d’amore, e diede fuoco alla casa. +– È ammalato adesso – rammentai. – Non è stato più lo stesso dopo quella +sfuriata il giorno del processo. Devo ammettere che rimasi molto sorpreso +quando mi diceste che doveva essere uno dei miei testimoni. E tuttavia sostenete +che fu Polignoto ad organizzare l’attacco contro di me sul Colle delle Muse? +– Sì, ne sono convinto, benché ora, probabilmente, non sia più possibile +provarlo. L’assassino cominciò a sentirsi a disagio man mano che il giorno del +processo si avvicinava. Tu parli delle tue sofferenze durante quei mesi, Stefanos, +con le prodicasìe da affrontare e tutte le cose che ti si mettevano contro. Ma hai +mai pensato cosa dovette sopportare l’accusatore? Dover sempre sorridere e +mostrarsi sereno mentre mentiva, cospirava e stava in guardia. Una vita +totalmente innaturale. Persino ad un criminale condannato è concesso di parlare +di quanto gli sta a cuore. Sì, Polignoto dev’essere stato infelice e pieno di paura. +Era terrorizzato che il suo schiavo avesse rivelato qualcosa. Abbiamo già parlato +della probabile messinscena del delitto, con l’assassino nudo in modo da non +sporcarsi di sangue, e lo schiavo a reggergli le vesti e un lume, quello schiavo +Sinopeo così pallido e spaurito la mattina del delitto e così allegro e coccolato +dal suo padrone in seguito. Suppongo che Polignoto avesse deciso di +assassinarlo sin dall’inizio, una volta celati nel loro nascondiglio finale i cocci +del vaso che probabilmente lo schiavo portava sempre con sé. Può darsi anche +che sia stato riluttante ad uccidere l’unica creatura di cui poteva fidarsi e che gli +era devota. Credo che inavvertitamente tu abbia detto qualcosa, magari +un’osservazione rivolta ad un’altra persona, che ha fatto temere a Polignoto che +potessi sapere o intuire qualcosa che non avresti dovuto sospettare. Ad ogni +modo, accadde qualcosa che gli fece capire che doveva liberarsi subito dello +schiavo. +Tornai indietro con la memoria, e ricordai un’osservazione stupida e +inopportuna che in effetti il vero assassino poteva aver frainteso. +– Così, – continuò Aristotele – come già sappiamo, Polignoto uccise lo +schiavo. Questo non deve aver giovato alla sua tranquillità di spirito. E +sospettando che tu potessi sapere troppo, pensò che fosse meglio toglierti di +mezzo, processo o non processo. Chi può sapere cosa avesse in mente? Forse a +quell’epoca ti odiava principalmente perché ai suoi occhi eri la causa della morte +del suo schiavo preferito. Probabilmente, tra tutti quelli che ha ucciso, lo schiavo +era l’unico a cui volesse bene. + – Non gli sarebbe certo dispiaciuto uccidere me – replicai. – Detestava già +Filemone, che vedeva come un usurpatore, e fece del suo meglio per schiacciarlo +insieme a tutta la sua famiglia. È un miracolo che io non sia morto, come +sarebbe accaduto se avesse usato lo stesso sistema a cui ricorse per eliminare lo +schiavo. +– Sì, – concordò Aristotele – ma nel tuo caso sarebbe stato troppo ovvio, e ne +sarebbe risultato un delitto di troppo. Perciò decise di rivolgersi a dei sicari. +Abbiamo già parlato di come Polignoto abbia colto di sorpresa lo schiavo sulle +montagne del Parnete e lo abbia fatto precipitare giù con una pietra lanciata da +una catapulta. Non si può fare a meno di ammirare l’intelligenza e la flessibilità +mentale di cui era dotato. Si era reso conto del pericolo insito nel ripetersi delle +situazioni. Commise tre delitti diversi con tre armi diverse. Ogni volta gli parve +importante adattarsi alle circostanze. Aveva anche buon gusto nella scelta delle +armi. Quel giovanotto aveva un ingegno piuttosto macabro. +– Intendete dire – dissi esitante – che uccise Boutades nel suo studio, il luogo +dove suo zio amministrava il suo denaro e dove aveva abbozzato i documenti +dell’adozione… +– Esatto, e poi sostenne che Filemone, l’estraneo, aveva compiuto il delitto +dall’esterno della casa. Provvide per suo zio una fine leggendaria, macabra e +memorabile ad un tempo. A sua zia riservò una fine tipicamente femminile. La +spacciò con il veleno, forse con una segreta allusione al fatto che la riteneva +velenosa. Alla vita dello schiavo pose fine con una rozza pietra. Era capace di +variazioni. Quanto a te, decise di rivolgersi a dei sicari per eliminarti. Anche +questo era appropriato oltre che necessario, perché ti considerava con disprezzo +e non voleva sporcarsi le mani con te come con una persona di famiglia. Ad ogni +modo, mi piacerebbe tanto conoscere quei particolari di cui non possiamo essere +sicuri – continuò Aristotele. – Ad esempio, dov’era l’arma del delitto, l’arco, +insieme alla sua compagna indesiderata, la seconda freccia, subito dopo +l’omicidio? Mi sono chiesto spesso se l’arco e la freccia si trovassero addosso a +Polignoto quando lo vedesti quella mattina, diciamo tra il corpo e la tunica. Tu +hai detto che si muoveva come se fosse fatto di legno. Se non si trovavano +addosso a Polignoto, saranno stati nascosti da qualche parte all’interno della +stanza, magari dentro l’anfora. Senza dubbio non si poteva sperare di ritrovare +l’arma. Arco e freccia potevano essere bruciati senza difficoltà. +– Ma la punta di corno sarà stata spezzata prima che l’arco fosse nascosto – +gli ricordai. – Polignoto avrà voluto che fosse ritrovata fuori dalla finestra. +Doveva servire a collegare la freccia con l’arciere immaginario all’esterno e a +identificarlo come Filemone. +– Vero. Ma il frammento del vaso rotto cadde accidentalmente, e + probabilmente nello stesso momento –. Aristotele rise. – Guarda un po’ cosa ha +combinato quel frammento. Te l’ho detto che vale la pena di osservare bene i +vasi. Quella scheggia di ceramica doveva essere rimasta impigliata nella tunica +di Polignoto, o nei suoi sandali. E visto che lui non sapeva che fosse stata +smarrita e ritrovata, nemmeno la sua mente flessibile poteva essere preparata +all’eventualità che venisse usata contro di lui. Ciò nondimeno, sono sicuro che il +vaso rotto sia stata la più grave contrarietà per lui. È stata l’unica cosa che è +andata storta nei suoi piani. Una volta visto il frammento, ne dedussi che un +vaso, un importante vaso attico, doveva essersi rotto nella casa di Boutades +all’epoca del delitto. E quando mi resi conto che il vaso delle Dionisiache non +era presente nella stanza subito dopo l’assassinio, ho intravisto in questo l’unico +tipo di prova che avrebbe sostenuto la nostra tesi. Ma quando io ed altri notabili +fummo invitati in quella casa a cena, il vaso delle Dionisiache era nuovamente in +evidenza. Cosa era accaduto nel frattempo? Niente di straordinario; ma +Polignoto era stato a Corinto. Ti ricordi di quando ti dissi che una volta andai a +visitarlo senza essere invitato e mi fermai a scrivere un messaggio? +– Sì – risposi. – E quando faceste la visita sapendo che Polignoto era assente, +vi fermaste nel vecchio studio di Boutades con la scusa del messaggio, e questo +vi diede l’opportunità di esaminare il vaso e grattarne l’orlo. E vi sono molto +grato per essere andato fino a Corinto a verificare chi aveva eseguito la copia. +Vorrei che me lo aveste detto; avrei almeno potuto pagare. E lo farò… +– Lasciamo perdere la gratitudine! – replicò Aristotele ammiccando. – È +l’enigma che conta. Ne ero affascinato. Niente sarebbe bastato a tenermi lontano. +È un’ottima cosa risalire alle fonti, esaminare i fatti. E non volevo darti troppe +speranze. Inoltre, avresti potuto lasciar trapelare qualcosa. Troppo pericoloso per +te – concluse frettolosamente. +– Ma – replicai – continuo a non capire come potevate sapere che bisognava +cercare i frammenti sotto la pietra tombale. Quella notte, quando veniste a casa +mia, mi diceste che il vaso era stato riprodotto e che i frammenti originali +sarebbero stati dove li trovammo. Ma come sapevate che sarebbero stati lì? +Aristotele parve leggermente a disagio. – Nella mia mente mi sentivo sicuro +che quello era il posto più logico dove cercarli, benché non ne avessi avuto una +prova oculare. Forse erroneamente ti ho rivelato la cosa come se fosse un fatto +certo. +– Non è che siete stato voi a mettere i frammenti lì, vero? +– Diamine, Stefanos, hai un’opinione esagerata della mia forza e della mia +malvagità! No davvero. Ho usato il metodo deduttivo. Ormai avevo un’idea +precisa di come funzionava la mente dell’assassino. Mi ero reso conto che in +tutta questa carneficina mostrava di intuire con molta chiarezza cosa fosse più + appropriato in ogni situazione. Era pieno di risorse e adattabile, e in ogni +circostanza, comprese le prodicasìe, ispirava le azioni all’occasione. Rispettava +le convenzioni. Ora, era chiaro che sarebbe stato necessario conservare i +frammenti del vaso finché non fosse stata eseguita la copia. E lo schiavo avrebbe +potuto essere ucciso solo dopo aver eliminato i frammenti e aver messo il nuovo +vaso al suo posto. Polignoto avrebbe potuto gettare i frammenti nel golfo di +Corinto, o disfarsene in altro modo mentre era fuori città. Ma un uomo prudente +avrebbe conservato i frammenti dell’originale finché il nuovo vaso non fosse +stato portato a casa sano e salvo. E lui era prudente, oltre che audace. Io pensai +che avrebbe fatto quello che sarebbe stato normale fare. Attendere che la copia +fosse felicemente arrivata, prima di disfarsi dell’unico modello esistente. E così +supposi che si fosse liberato dei cocci nel periodo fra il suo ritorno da Corinto e +la morte dello schiavo. Cos’era avvenuto nel frattempo? Una sola cosa degna di +nota. La collocazione della pietra tombale di Boutades. +– Sì – dissi. – Mi ricordo quel giorno –. E mi tornò alla mente la bianca faccia +marmorea di Boutades mentre passava per le vie. +– Ebbene – seguitò Aristotele prendendo gusto alla sua dissertazione – come +ho detto, l’assassino aveva dimostrato un forte senso di ciò che è appropriato. E +anche un forte senso della famiglia. Sotto certi aspetti era molto simile a suo zio, +avido e possessivo, con poca considerazione per la gente e molta per le cose. È +strano, ma io penso che Boutades imparò qualcosa di nuovo prima di morire, +quando si affezionò al piccolo Likias; ma questo avvenne perché aveva bisogno +di qualcuno a cui trasmettere i suoi averi. Aveva bisogno di sapere che aveva un +figlio. Polignoto non imparò mai a valutare le persone, ma apprese dall’esempio +di avarizia di suo zio che a volte vale la pena di spendere. Aveva rispetto per i +beni di famiglia. Una volta, in mia presenza, disse che gli piaceva vedere le cose +nel luogo a cui appartenevano. Io credo che questo fosse vero, anche se +Polignoto lo intendeva in senso ironico. Quando alla cena citò quei versi +dell’Iliade, guardò il vaso delle Dionisiache, la copia ovviamente. Quelle parole +di Achille, come ricorderai, erano tratte dal funerale di Patroclo, quando l’eroe +guarda la pira su cui vengono sacrificati ogni sorta di beni e persino vite umane. +Le parole di Omero si riferiscono ai riti e alle offerte funebri. Credo che di +recente Polignoto si fosse ricordato di quei versi. Anche lui, come l’eroe, stava +sacrificando degli esseri viventi, e anche lui stava accertandosi che ogni cosa +venisse fatta secondo la tradizione. In pratica, aveva già stabilito dove dovesse +finire l’originale. Le eredità non devono uscire dalla cerchia della famiglia. Ma +quando muore un ricco, a volte gli oggetti di valore e persino i preziosi +tramandati dagli avi vengono seppelliti con lui. Al mio ritorno da Corinto, mi +rammentai quella frase dell’Iliade, ne compresi il senso e mi sentii certo. Il + luogo più appropriato per i frammenti di quel bellissimo vaso era la tomba di +Boutades. Con quel pesante e imponente monumento sopra, i cocci sarebbero +stati al sicuro per sempre, nascosti a tutti e ironicamente restituiti al legittimo +proprietario. +– Credete dunque che abbia sepolto i frammenti nella fossa subito prima che +ci fosse collocata sopra la lapide? +– Non ne sono sicuro. Penso che questo avrebbe comportato dei rischi +superflui. Gli operai avrebbero potuto scavare nel terreno. E i cocci, te lo +ricorderai, non erano molto in profondità. No, io credo che Polignoto e il suo +fidato schiavo abbiano fatto una visita segreta al Kerameikos proprio come noi, +ma per nascondere i frammenti, non per trovarli. Due uomini possono spostare la +lapide, come sappiamo. E la loro spedizione non era così rischiosa come la +nostra. Polignoto aveva un’ottima giustificazione nei confronti di qualsiasi +passante, perché dopo tutto si trattava della lapide di suo zio pagata col suo +denaro. Poteva dire che era venuto a rendere omaggio alla tomba, o che aveva +udito che la pietra si era incrinata 0 era caduta, o addirittura che era venuto a +seppellire un’offerta dimenticata. +– E così Polignoto si è sottoposto a tutta quella spesa e quel disturbo. Avete +ragione sul fatto che Polignoto fosse pronto a spendere quando l’occasione lo +richiedeva. Guardate ai funerali, alla lapide di Boutades e alla copia del vaso. E +penso che fosse impaziente di finanziare le feste dionisiache. +– Sì. E invece il dramma su Chirone non si farà. Sono certo che la storia di +Chirone abbia offerto al nostro assassino un divertimento tutto personale. +Probabilmente fu dopo aver deciso quale dovesse essere l’argomento del +dramma che Polignoto decise come uccidere Boutades. La freccia scoccata da +Eracle, l’eroe forte che uccideva il suo maestro. Be’, gli attori sono molto tristi e +resteranno senza soldi. +– Soldi – ripetei. – Polignoto ne aveva e ne voleva di più. Sono il furore, il +timore e l’avarizia, come avete detto una volta, a causare i delitti. E l’avarizia +sembra più potente di quanto pensassi. +– Ma Polignoto amava il potere più di qualsiasi altra cosa. Il denaro era per +lui soltanto un mezzo per raggiungere un fine o diversi fini. Faceva dei costosi +investimenti. Ingaggiare dei sicari, come inscenare produzioni teatrali, si addice +soltanto ai ricchi. E in entrambi i casi la riuscita può essere diversa da quello che +il promotore desidera. Al contrario, Archimeno non poteva permettersi di +assoldare dei sicari per assassinarti. +– E allora chi fu l’uomo che aggredì e storpiò la schiava sulla strada per +Megara? Fu Polignoto o Euticleide? +– Oh, Stefanos, non l’hai indovinato? Fu Archimeno. Ecco perché Boutades + aveva tanto potere su di lui. L’ira, la paura e anche il senso di colpa, che era alla +base di tutt’e due, furono questi sentimenti a radicarsi nell’animo di Archimeno +e a fargli nutrire tanto odio nei confronti di Boutades. Sì, se Archimeno fosse +stato abbastanza coraggioso, avrebbe potuto assassinare lui stesso Boutades. Ma +lui è il tipo d’uomo che sfoga il suo odio solo sui più deboli. Era sempre crudele +con le donne. Ma tu non eri un debole. Archimeno fece un errore a mettersi +contro di te, no? +Mi sentii lusingato. – Suppongo – dissi – che voi non abbiate corrotto +Archimeno perché testimoniasse, ma che lo abbiate in qualche modo minacciato. +Gli avete mandato un messaggio il giorno prima del processo, vero? +– Non ho fatto alcuna minaccia, Stefanos. Gli ho semplicemente ricordato che +quella era l’occasione adatta per vendicarsi dell’uso perverso fatto da Boutades +di un certo incidente. Bada bene, non sono sicuro che Archimeno non meriti un +castigo legale per il crimine commesso in passato, ma gli dei stanno già +facendoglielo pagare. +– E così… Euticleide non è colpevole di nulla – conclusi in tono piuttosto +deluso. +– Be’… Euticleide può avere sospettato che Polignoto fosse l’assassino. +Questa è un’altra delle cose che non sapremo mai. Io sono dell’idea che +Euticleide indovinò la verità quasi subito, la indovinò e non vi diede molto peso, +ma vide nella futura scalata al potere di Polignoto una grande opportunità per se +stesso. Non è vecchio, ed è ancora ambizioso. La sua famiglia ha commesso +errori politici e perduto influenza, ma per lui si presentava l’occasione di +rioccupare la sua antica posizione. Poteva rendersi indispensabile a Polignoto. +Senza dubbio Euticleide desiderava di vedere te e la tua famiglia ridotti in +polvere per compiacere Polignoto e per garantire che il processo filasse liscio. +Dopo tutto, saresti stato troppo povero per poter ingaggiare uno che ti scrivesse +l’arringa –. Sorrise con autocompiacimento. Poi ridivenne serio e continuò: – È +questo il guaio con gli oligarchi. Hanno delle gran brutte abitudini. Polignoto +aveva l’anima dell’oligarca. E così Euticleide. Ma Polignoto era un tipo insolito, +giovane, brillante, spericolato. Si fidava molto della sua fortuna. Pensava +superstiziosamente che lo avrebbe sostenuto fintanto che faceva omaggio alle +convenzioni e rispettava quel particolare spirito conservatore che è evidente nel +decoro esterno delle sue azioni. Sì, Polignoto si sentiva un beniamino della +fortuna. Uno di quelli a cui gli eventi obbediscono. +– Sembrava… così buono – dissi ricordandolo. – Sembrava degno di +ammirazione. Sapete, in un certo senso, anch’io avevo simpatia per Polignoto; o +per lo meno lo stimavo. +– Già – sospirò Aristotele. – Polignoto era il tipo da ispirare il miglior genere + di retorica. + Postfazione +di +Beppe Benvenuto + + + +Dell’autrice, Margaret Doody, si sa poco o nulla. È certo, o quasi, che +nell’Ottanta aveva all’incirca quarantuno anni, viveva fra le due sponde +dell’Oceano e si manteneva insegnando una qualche materia del tipo letteratura +inglese, filologia classica o forse, meglio, letteratura comparata. È certo anche +che aveva scritto un libro di fiction di un genere assai singolare. Ed è quasi +altrettanto sicuro che l’opera era stata pubblicata nel ’78 in inglese e due anni +dopo nei Gialli Mondadori. Da allora però se ne sono perse le tracce (rinvio per +saperne di più alle non semplici scoperte fatte per l’occasione da Emanuele +Ronchetti sull’iter accademico dell’autrice, vedi postfazione da p. 443). +Il libro è diventato, bancarelle incluse, introvabile. Così tutto ciò che di questa +misteriosa signora e del suo unico frutto letterario si poteva conoscere, non +andava oltre i passaparola degli informatissimi, oppure rimandava al ricordo di +chi, oramai quasi vent’anni prima, aveva sfogliato il vecchio Giallo +mondadoriano restandone piacevolmente sorpreso. +Che Aristotele detective sia un libro un po’ «speciale» lo si intuisce sin dalle +prime battute. La Doody costruisce intorno al più celebre filosofo dell’antichità +una narrazione credibile e coinvolgente: una vicenda autenticamente noir, ben +ambientata, storicamente e filosoficamente corretta. Il libro è, però, anche un +romanzo di formazione. Al centro della scena uno svogliato frequentatore delle +lezioni del filosofo di Stagira, che improvvisamente si trova a dover fronteggiare +una storiaccia criminale nella quale è coinvolto un parente. Il suo nome è +Stefanos. A lui dobbiamo anche il racconto dell’intera peripezia. +Il giovane, grazie all’«aiuto» del Maestro, salverà dalla condanna il cugino +primo, Filemone (esule da Atene a causa di un precedente omicidio), accusato di +aver ucciso per avidità e gelosia l’oligarca Boutades. E si impadronirà di quel +«metodo deduttivo» la cui importanza anche pratica, il suo mentore, Aristotele, +gli ha fatto apprezzare. +Stefanos, ventidue anni, è da poco, in seguito alla scomparsa improvvisa del +padre, nella non semplice condizione di capofamiglia «con una madre e un +fratello minore a cui provvedere», oltre una schiera di domestici e schiavi da + foraggiare. E se non bastasse proprio in quel momento, ma si sa che le disgrazie +arrivano a grappoli, si trova ad accorrere fra i primi, passava davvero, davvero +da lì, per puro caso, sulla scena del delitto, precisamente nella stanza al centro +della quale, disteso sul pavimento, giaceva «l’eminente cittadino Boutades, del +clan degli Etioboutadi», ex corègo e trierarca. +Così, sbrigativamente, già nella sequenza iniziale vediamo in movimento, in +una notte avanzata che già volge all’alba, alcuni degli attori che ci +accompagneranno per l’intera storia. Di Stefanos e del patrizio ucciso abbiamo +parlato. Della sua morte veniamo ora a sapere che è stata provocata da una +freccia scoccata da un tipo d’arco, quello cretese, come spiega il protagonista- +narratore, poco usato nell’evoluta Atene. Sul posto accanto al cadavere sono +anche il nipote ed erede Polignoto, l’affarista e strozzino Euticleide, e un servo +che, vanamente, cerca di rincorrere quello che tutti i presenti assicurano essere +l’assassino. Ma che per il momento non ha ancora un volto e un nome. +Di lì a poco, è la sequenza successiva, concluso il funerale di Boutades, il +povero Filemone sarà pubblicamente accusato dai familiari della vittima. +Fissato il lead, la Doody procede spedita raccontando il disorientamento del +suo primattore. Stefanos non sa in effetti a che santo votarsi per tirare fuori dai +guai lo sventurato congiunto. Da quel bravo figliolo che è, sa anche di non poter +deludere l’anziana e malata zia Eudossia, madre di Filemone, che ne invoca +l’aiuto con parole così impegnative e toccanti da non ammettere repliche: «Oh, +Stefanos, devi salvarlo! Tu sei il capo della famiglia ora, tu puoi fare qualcosa +per ristabilire la giustizia». +Convinto dell’innocenza del cugino, anche se qualche dubbio in proposito +farà a più riprese capolino fra i suoi pensieri, Stefanos brancola nel buio. E gira a +vuoto. In città si sente guardato di traverso e intorno a sé avverte tutto, fuorché +simpatia. +Gli rimane una chance: Aristotele, di cui, in passato, era stato studente, +seppure di non «particolare talento». Forse potrebbe venirgli in soccorso. E così, +per quanto oppresso da mille timori, osa bussare alla sua porta. +Il filosofo si mostra disponibile e gli promette aiuto e consigli. Gli suggerisce +subito un percorso. Con il suo argomentare pacato, apparentemente spicciolo, lo +incita a considerare il caso da più punti di vista. Stefanos uscirà dal primo +appuntamento non solo rinfrancato, ma anche fornito di una serie di indicazioni +pratiche, che lo porteranno a svolgere una vera e propria controinchiesta. +Il Maestro, da quel momento, senza farlo notare, senza dirlo esplicitamente, +lo prende per mano e lo conduce per le aspre vie di un’avventura dall’esito +incerto. Facendosi un po’ allenatore e un po’ alter ego, ne tiene desto l’ingegno, +invitandolo a scrutare, comunque, dietro le pieghe di accadimenti e uomini. Lo + sollecita a fronteggiare, davanti ai giudici dell’Areopago, da pari a pari, +Polignoto, con argomenti ancora più stringenti di quelli esibiti dal rampante +antagonista. Gli consiglia l’esercizio maieutico di mettersi comunque nei panni +dei suoi contraddittori («Un buon rètore prevede tutte le obiezioni del caso»). Un +piccolo sunto di questa metodica aristotelica applicata al nostro delitto, si ha +quando il Maestro a proposito del tipo di morte di Boutades («molto +interessante»), puntualizza: «L’uomo colpisce il suo simile per uno di questi +motivi: per caso, per impulso, per abitudine, o per intenzione. Un caso non può +essere stato; a meno che l’assassino intendesse uccidere qualcun altro e abbia +commesso un errore. Possibile ma non probabile. Abitudine: certamente no. +L’abitudine di ammazzare gente all’alba, con arco e frecce, sarebbe +un’eccentricità troppo notevole. Impulso: sì, l’assassino può essere stato spinto a +commettere il delitto dal suo vero progettatore. Il che mi porta ad un quarto +motivo: perché chiunque abbia progettato questo delitto, sia stata sua o no la +mano che ha colpito, voleva che Boutades morisse». E all’obiezione di Stefanos +che si potrebbe trattare anche di un delitto compiuto da un pazzo, Aristotele +conclude così la sua fenomenologia del crimine: «Sì, un desiderio irrazionale +della morte di un uomo è anche possibile. I moventi irrazionali sono i più +difficili da enucleare, sebbene spesso finiscano col sembrare razionali una volta +che siano sviscerati». +Alla maniera di Sherlock Holmes o meglio di Archie Goodwin, il celebre +aiutante-narratore di Nero Wolfe, Stefanos si traveste da poveraccio, occhi e +orecchie ben aperte a caccia di notizie, di pezze d’appoggio per smontare le +accuse contro Filemone. Lo vedremo, come un vero investigatore, frequentare +bettole, ascoltare le confidenze di servotte risentite, scoperchiare i tremori di +alcuni sospettosi colleghi dell’estinto, magari aggirandosi fra i marinai +puzzolenti dell’angiporto del Pireo, o fra le schiave del mercato, a rubacchiare, +senza farsene accorgere, qualche indiscrezione, qualche retroscena sulla vita +privata, non sempre immacolata, dell’ucciso. +Il suo smuovere le acque non passa però inosservato: gli procura il +risentimento piccato di quelli che si sentono disturbati dalla sua petulante +curiosità. +E tuttavia qualche passo in avanti riesce a farlo. Ma ogni conquista, ogni +pezzetto di verità in più che viene scoperchiando, fa subito il paio con una +controverità che ne scuote le certezze. Non riesce a districarsi più di tanto fra gli +intrighi politico-finanziari che l’ucciso aveva tramato alle spalle di un collega +trierarca. E non sono rari i momenti in cui si sente davvero perduto, +melanconicamente solo, di fronte a un compito che gli appare troppo superiore +alle sue acerbe energie. Ma si tratta di horror vacui temporanei, e però così + laceranti da farlo sospettare persino delle buone intenzioni della sua ancora di +salvezza, Aristotele. +I passaggi di autentico panico, si alternano con accortezza a quelli di azione. +La suspence è garantita e mantenuta grazie a un dosaggio equilibrato di colpi di +scena, rimuginamenti fra sé e sé, dialoghi tesi e argutamente pensosi. +La costruzione del libro ha un suo andamento semplice, quasi elementare, +anche se un occhio sapiente può cogliere come, dietro un dialogare piano e un +raccontare nitido, si nasconda una mente sapiente capace di orchestrare i ruoli in +campo. La Doody tira le fila del suo intreccio, lasciando, come si conviene, il +lettore sino in fondo con il dubbio di aver effettivamente sbagliato ad intendere +chi è il vero assassino. E pur sposando, sin dalle prime pagine, la tesi +innocentista di Stefanos, l’autrice opportunamente evita di mostrarsi partigiana; +riservandosi, quando è il caso, di far leva sulla saggezza sfuggente ma +demiurgica di Aristotele. Un’ambiguità funzionale che non solo tiene desto +l’interesse, spazientendo e disorientando chi legge, ma che consente di +mantenere il filosofo al centro della scena narrativa. Quello di Aristotele risulta +così un perfetto dietro le quinte. In parte e solo verso la fine, il Maestro perderà +la sua olimpica flemma, trasformandosi da austero pensatore in vero detective. E +con quale energia e spregiudicatezza il lettore lo scoprirà da solo. +Bisogna ricordare a questo punto che il romanzo è ambientato in un periodo +di decadenza (siamo intorno al 330 a.C.). Atene va perdendo ogni autonomia +politica e ogni vigore democratico, per avviarsi a diventare uno dei tanti +spezzoni di quell’incredibile impero universale che il giovane Alessandro sta +mettendo assieme con la fulminante rapidità di un prediletto dagli dei. Una città +quindi livida, amareggiata, cattiva e querimoniosa, come può essere solo una ex +grande che ha visto scorrere davanti ai proprio occhi un sogno di dominus +universale e che ormai volge inesorabilmente al tramonto. +Non è un caso perciò che la Doody scelga di raccontarci quell’era di trapasso +con le tinte sfumate del grigio, mentre atmosfere e interni hanno sempre un tocco +accentuatamente plumbeo. L’eccellente metropoli è divenuta intimamente +ingenerosa, e, per paura di un incerto futuro, quasi inospitale. E soprattutto +dominata dal sospetto. +Niente di strano che Stefanos per avere un po’ di aiuto per uscire dalla sua +disgraziata condizione, trovi udienza in uno straniero, sebbene illustre e temuto, +come l’ex precettore del potentissimo Alessandro, lo stagirita Aristotele. Sui +concittadini non può contare. Il plauso arriverà solo alla fine, a catarsi avvenuta, +a successo platealmente conseguito. +Ma tant’è. Malgrado le ricorrenti crisi di smarrimento, Stefanos, confortato +dal Maestro, riesce ad uscire indenne dalle situazioni ad alto rischio. Non senza + commettere qualche errore: «Sei troppo trasparente», lo ammonisce spesso il suo +mentore. +Morti violente e colpi di scena non mancano. Il vero regista dell’indagine, è +sempre, naturalmente, Aristotele. Il filosofo si prende il gusto di tirare le fila +della storia, e di spiegare che ognuno dei delitti perpetrati aveva una sua tecnica +speciale, e una geometria simbolica. +A bocce ferme, il Maestro si intrattiene più che su come, su quando e perché +dell’assassinio, su una sorta di messa a punto, ad uso del discepolo ma +soprattutto del lettore, di un metodo di lavoro. Così l’indagine di un delittaccio +diventa una sorniona rievocazione di un filosofico ragionare. Un invito a +guardare oltre l’apparenza degli eventi, quando si devono adattare «idee» +teoreticamente sostenute ad una prosaica vicenda di ammazzamenti, gelosie, +inganni, ambizioni, lotte di potere e di denari. +Dalla striminzita mezza paginetta biografica che accompagnava la prima +edizione nei Gialli Mondadori leggiamo che Margaret Doody ha iniziato a +scrivere Aristotele detective in una casa di un vecchio villaggio di pescatori +«immersa nel profumo del salmastro». E dalla stessa fonte sappiamo che +continuava a provare un intenso «rimpianto del mare della sua infanzia». Non è +forse del tutto campato in aria immaginare perché la scrittrice faccia scomparire +l’assassino fra i flutti di una tempesta che agitava le acque davanti all’isola di +Salamina, dove invano aveva cercato riparo dal suo destino. +Beppe Benvenuto + Realtà e finzione di Aristotele investigatore +di +Emanuele Ronchetti + + + +Margaret Anne Doody, canadese di nascita, è professore di inglese e di +letterature comparate; ha studiato alla Dalhousie University, a Oxford e, per un +certo periodo, ha insegnato nel Galles, a Swansea. Prima di approdare alla +Vanderbilt University, dove attualmente lavora, è stata alla Columbia e a +Princeton. Una carriera accademica di tutto rispetto, nella quale la pubblicazione +di Aristotle Detective (Bodley Head, London 1978) ha segnato un momento +importante. Come ci racconta in apertura del suo bellissimo libro sulla storia del +romanzo (The True Story of The Novel, Harper Collins 1997), è stato proprio +l’aver pensato e scritto quel thriller storico e il suo seguito, sinora inedito – +Aristotle and Poetic Justice – a spingerla a occuparsi del romanzo antico: per +intenderci, dalla Ciropedia di Senofonte ai romanzi ellenistici su Alessandro +Magno. Non è un caso se la voglia dell’autrice di raccontare la torbida storia di +una catena di omicidi nell’Atene classica si sia incontrata con la convinzione +della studiosa di letteratura che il romanzo cominci proprio da allora. Dal 328 +a.C. Contro l’idea di molti autorevoli critici che le passioni a cui siamo abituati, +in particolare l’amore romantico eterosessuale, datino dal sorgere della borghesia +(dal 1650 in poi secondo Lawrence Stone, per esempio), Margaret Doody +sostiene che c’è una continuità ben visibile tra immaginario greco-romano e +moderno. Come le capita di far dire ad Aristotele stesso nel racconto Aristotle +and the Fatal Javelin del 1980 (The Mistery Guild Anthology, ed. by John Waite, +Constable London): non c’è età per le passioni e per gli istinti omicidi. Fedele +alla Poetica di Aristotele, Margaret Doody si attiene alla massima del maestro: +«Ora, siccome gli imitatori imitano persone che agiscono, e queste persone non +possono essere altrimenti che o nobili o ignobili – perché i due unici criteri su +cui si fonda la diversità dei caratteri possiamo pur dire che siano sempre questi, e +tutti gli uomini infatti differiscono nel carattere in quanto sono virtuosi o non +virtuosi – costoro dunque imiteranno o uomini migliori di noi o peggiori di noi o +come noi» (1448a). In effetti i personaggi che circolano nell’Atene del romanzo +non hanno qualità diverse da quelle degli uomini comuni. Alcuni sono malvagi, +altri +semplicemente +stupidi, +qualcuno, +come +Stefanos, +l’involontario + protagonista, allievo del filosofo, è ingenuo e volenteroso. Al tocco di realismo, +che circoscrive e definisce, in certo senso, la materia bruta del romanzo, si può +aggiungere la considerazione moraleggiante della giustizia poetica, secondo la +quale si nutre aristotelica fiducia nel fatto che il cattivo finirà male e il buono +felicemente. La plausibilità della storia è garantita dalla naturalezza delle +vicende e delle situazioni. Come da quel ritrattino del filosofo che risulta dal +dialogo un po’ concitato tra Filemone e Stefanos, in fuga sulla via di Megara. +«Mi sembra un buffo vecchietto», disse con sufficienza, «ma lo ripagherò, puoi +starne certo. Si è comportato molto bene con noi. Dev’essere un gran parlatore, +no? Quei vecchi filosofi stanno sempre seduti a sentenziare». «Aristotele non sta +seduto, lui è un peripatetico». Oltre che passeggiare, però Aristotele cura, nel +senso che fa il medico. E del resto questo non ci stupisce, sapendo che era il +figlio di Nicomaco, il medico personale di Aminta II, re di Macedonia, nonno del +grande Alessandro. L’interesse per la medicina, la duplice cura dell’anima e del +corpo, è colto come elemento importante della curiosità scientifica e umana dello +Stagirita. Lo troviamo diverse volte impegnato a prescrivere pozioni e linimenti, +dimostrando, incidentalmente, di apprezzare il buon vino. Sull’attendibilità +storica di questo particolare non è possibile pronunciarsi con certezza, ma è una +nota che non risulta stonata. Tra medicina ed eugenetica, allo scopo di realizzare +quell’armonia auspicata nei rapporti gerarchici familiari, si manifesta pure la +fedeltà dell’autrice alle predilezioni del filosofo. La storia del matrimonio +clandestino di Melissa con Filemone, l’accusato, padre del piccolo Likias, e della +complicata relazione con Boutades, che vuole adottare tutto il nucleo familiare +genitore compreso, non è altro che la riproduzione della concezione aristotelica +della preminenza assoluta del padre. Che se è vero che deriva in primo luogo +dalla necessità biologica, non è detto che non possa essere surrogata da un +artificio legale. In assenza di legame biologico, come in questo caso, si può +ovviare attraverso l’istituto giuridico dell’adozione, che supplisce razionalmente +alle impotenze della vita. In tal modo il ricco, poi crudelmente assassinato, +Boutades, aspira comunque a una sorta di «patria potestas», che la possibilità +dell’adozione gli concede. Avviene così che da seduttore della bella Melissa si +trasformi nel protettore della virtù insidiata, non si sa quanto spontaneamente, e +pur tuttavia questa decisione innesca gelosie e risentimenti che scateneranno la +violenza assassina. Il mondo delle passioni e il gioco delle relazioni e degli +impegni economici offre un altro terreno di verifica della rappresentazione +romanzesca. Nel dirimere, o, per lo meno, nel cercare di capire le motivazioni +confuse delle azioni, va tenuta in conto la nostra disponibilità ad accettare lodi +per le buone qualità che non abbiamo, così come la predisposizione a coltivare +un odio freddo e pervicace, ben diverso dalla collera istantanea e prorompente + verso chi ci intralcia nei nostri progetti. In tutto ciò bisogna agire da filosofo, +come insegna l’Aristotele della Doody, e comportarci come uomini dotati +soprattutto di grande senso pratico. La vedova di Boutades si «suicida» poco +dopo l’assassinio del marito. Stefanos, sconvolto, esprime ad Aristotele la sua +incapacità a capire come la donna che, in occasione del funerale del marito, +affranta, aveva gettato un anello d’oro nella fossa di Boutades in segno di +omaggio, fosse la stessa che, invece, all’annuncio della sua morte, pochi giorni +prima, aveva festeggiato gozzovigliando con un porcellino da latte. «È difficile +giudicare della buona salute di un matrimonio dall’esterno. Questa donna +avrebbe potuto non sopportare il fatto di essere privata di un compagno di litigi +per tutta la vita. Le nostre abitudini sono più forti di quanto non sospettiamo». +Sembra quasi un riferimento ironico alla vicenda matrimoniale tra Socrate e +Santippe. Del resto, si avvertono nel libro echi e tracce di Platone, e l’autrice ha +inoltre prestato ad Aristotele dei tratti socratici, perfettamente funzionali alla sua +attività di ricerca investigativa. Nell’aiutare Stefanos a preparare l’arringa +decisiva di fronte all’Areopago, il filosofo dimostra di essere un consumato +retore ed attore. Per addestrare l’allievo non sceglie la via a prima vista più +facile, che sarebbe consistita nello scrivergli il discorso. Cerca, maieuticamente, +di estrarre dallo stesso Stefanos le argomentazioni, gli atteggiamenti e le +modalità più adatti a persuadere il pubblico del tribunale. E l’allievo riconosce in +questo metodo quello usato da Aristotele nell’Accademia, quando cioè era +ancora allievo di Platone, prima di fondare la sua scuola, il Liceo. Se ci +spingessimo per un istante al di là dell’ambiente antico, l’episodio della +preparazione dell’arringa potrebbe ricordarci anche un filosofo più vicino a noi. +Il Denis Diderot del paradosso dell’attore, teorico delle tecniche più efficaci e +adeguate a coinvolgere l’uditorio. Non è qualcosa di innaturale e gratuito, del +resto, perché sappiamo bene come la tradizione poetica e retorica aristotelica +abbia giocato un’influenza decisiva lungo tutto l’arco della civilizzazione. Se +volessimo confrontare l’inizio della Retorica con le considerazioni che Aristotele +propone circa le regole a cui gli oratori erano obbligati sulla scena +dell’Areopago, nonché sulle modalità di raccogliere e presentare le prove, +avremmo una introduzione esemplare al modo di procedere del nostro +personaggio. Come ogni detective che si rispetti, anche Aristotele fa ampio uso +di ingegnose deduzioni e induzioni. Anzi, alla fine della storia, quando Stefanos +gli esprime la sua riconoscenza, Aristotele si schernisce. Afferma infatti che non +si è impegnato nella vicenda per benevolenza, perciò la gratitudine nei suoi +confronti non è giustificata. Piuttosto si dice spinto da una motivazione +egoistica: il gusto di risolvere un problema intricato, utilizzando tutti gli elementi +a sua disposizione. Applicando cioè le tecniche deduttive e induttive all’analisi + psicologica dei personaggi coinvolti. Studiando le mosse e le possibili reazioni +dei protagonisti; ricostruendo la dinamica degli eventi, la traiettoria delle frecce, +le tracce e gli indizi, anche nascosti e apparentemente irrilevanti. In questa +attività, tra l’altro ci si rivela un Aristotele esperto conoscitore della ceramica +greca del suo tempo e fine intenditore delle sue differenti qualità, estetiche e di +fattura. Tuttavia, queste coordinate logiche non sono riducibili a una specificità +sillogistica. Il nostro Aristotele si comporta e ragiona come Aristotele, +senz’altro, ma anche come Sherlock Holmes, praticando, per di più (non si sa +quanto inconsapevolmente), inferenze alla David Hume o abduzioni alla Charles +Sanders Peirce. Come l’inimitabile Zadig di Voltaire (lo Zadig del terzo capitolo +del racconto) che dice: «Nessuno è più fortunato di un filosofo che legge nel +gran libro che Dio ha messo sotto i nostri occhi. Le verità che egli scopre sono +tutte sue; nutre ed eleva il proprio animo; vive tranquillo; nulla teme dagli +uomini e la tenera sposa non viene a tagliarsi il naso». Così, con mossa +stupefacente, agli eunuchi del re che gli chiedono: «Giovanotto, non avete per +caso visto il cane della regina?», da buon lettore del libro del mondo, risponde: +«Si tratta di una cagna e non di un cane». Pur non avendo visto la cagna, Zadig +arriva alla realtà a partire dalle impronte di un animale, che lasciavano solchi +lievi e prolungati, indizio di un cagnolino – a questo punto di sesso femminile – +con le mammelle pendenti a sua volta testimonianza di recente maternità. «Altre +tracce in senso diverso, che sembravano aver costantemente rasato la superficie +della sabbia accanto alle zampe anteriori, mi hanno messo in grado di sapere che +aveva le orecchie molto lunghe; e poiché avevo notato che l’impronta di una +zampa era sempre meno profonda di quella delle altre tre, ho compreso che la +cagna della nostra augusta regina era, se posso azzardarmi a dirlo, un po’ +zoppa». Se è vero, come ha detto Agatha Christie, che la vita è un mistero +irrisolto, gli investigatori sembrano essere utili e talvolta efficienti ausiliari +nell’orientarsi nella nebbia. L’Aristotele di Margaret Doody appartiene a questa +galleria di curiosi per professione, simpaticamente bisbetico e professorale, +esattamente come ci aspettiamo che un illustre maestro e professore sia. Cinico +quel tanto da mettere alla prova il fedele e ingenuo Stefanos. E nello stesso +tempo così pedagogico da discettare sui vari tipi di desideri razionali: il desiderio +di vendetta, il desiderio di guadagno e il desiderio di assicurarsi una esistenza +facile. Tre motori immobili degli inconsulti e disordinati moventi delle nostre +azioni. +Emanuele Ronchetti + Indice + + + + + +I - Io, Stefanos +II - Omicidio ad Atene +III - Canti funebri e accuse +IV - In casa di Aristotele +V - Notizie e voci +VI - Dal Pritaneo al Pireo +VII - Taverne e vasi rotti +VIII - Sangue e insulti +IX - Questioni familiari +X - L’enigma dell’iscrizione +XI - Fuoco e tenebre +XII - Spade e pietre +XIII - L’ultima prodicasìa +XIV - Un giorno alla fattoria +XV - Viaggio in Eubea +XVI - Ritorno ad Atene +XVII - Aristotele organizza un viaggio + XVIII - Pericolo e rischio di morte +XIX - Pensieri di morte +XX - Al crocevia di Ecate +XXI - Aristotele maestro di retorica +XXII - Comincia il processo +XXIII - L’Areopago in tumulto +XXIV - Dopo il processo +Postfazione di Beppe Benvenuto +Realtà e finzione di Aristotele investigatore di Emanuele Ronchetti