diff --git "a/static/data/aaron_swartz.txt" "b/static/data/aaron_swartz.txt" new file mode 100644--- /dev/null +++ "b/static/data/aaron_swartz.txt" @@ -0,0 +1,9161 @@ +Giovanni Ziccardi +Aggiustare il mondo +La vita, il processo e l’eredità +dell’hacker Aaron Swartz + Giovanni Ziccardi + + +AGGIUSTARE IL MONDO +La vita, il processo e l’eredità dell’hacker Aaron Swartz +FONDAZIONE UNIMI_PRESS 1 + Aggiustare il mondo. La vita, il processo e l’eredità dell’hacker Aaron Swartz / Giovanni +Ziccardi. Milano: Milano University Press, 2022. +ISBN 979-12-5510-001-0 (print) +ISBN 979-12-5510-004-1 (PDF) +ISBN 979-12-5510-006-5 (EPUB) +DOI 10.54103/milanoup.100 +Questo volume e, in genere, quando non diversamente indicato, le pubblicazioni +di Milano University Press sono sottoposti a un processo di revisione esterno +sotto la responsabilità del Comitato editoriale e del Comitato Scientifico della casa +editrice. Le opere pubblicate vengono valutate e approvate dal Comitato editoriale +e devono essere conformi alla politica di revisione tra pari, al codice etico e alle +misure antiplagio espressi nelle Linee Guida per pubblicare su MilanoUP. +Le edizioni digitali dell’opera sono rilasciate con licenza Creative Commons +Attribution 4.0 - CC-BY-SA, il cui testo integrale è disponibile all’URL: https:// +creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0 +Le edizioni digitali online sono pubblicate in Open Access su: https://libri. +unimi.it/index.php/milanoup. +© L’Autore, 2022 +© Milano University Press per la presente edizione +Pubblicato da: +Milano University Press +Via Festa del Perdono 7 – 20122 Milano +Sito web: https://milanoup.unimi.it +e-mail: redazione.milanoup@unimi.it +L’edizione cartacea del volume può essere ordinata in tutte le librerie fisiche e +online ed è distribuita da Ledizioni (www.ledizioni.it) + Indice +Prologo +9 +I PRIMI VENT’ANNI +1. Un bambino e un computer +23 +2. Un teenager su un milione +37 +3. L’incontro con Lawrence Lessig +47 +4. Reddit e un ragazzo milionario  +63 +5. Il sogno di una biblioteca aperta +69 +6. Non più (solo) un programmatore +75 +L’ATTIVISMO +7. Un cane da guardia per la politica +85 +8. Il Guerrilla Open Access Manifesto +91 +9. Liberare il diritto e i tribunali +101 +10. La mobilitazione politica online +105 +11. Semplificare il linguaggio del web +111 +12. La protezione dell’anonimato +115 +13. La tutela degli informatori +119 +I CASI GIUDIZIARI +14. Il primo dossier dell’FBI +127 +15. L’accesso a JSTOR +137 +16. Il controverso ruolo del MIT +145 +17. Le strategie processuali +151 +18. Il suicidio e le polemiche  +161 + L’EREDITÀ +19. “Legacy” +189 +20. Su Aaron Swartz +201 +21. Libertà del codice, della scienza e della cultura +207 +22. Il segreto e la trasparenza +217 +23. La riforma del sistema giudiziario  +223 +Epilogo +227 +Ringraziamenti, metodologia, fonti consultate e riferimenti bibliografici +237 + In ricordo del mio meraviglioso amico Salvatore Iaconesi + Prologo +Illinois, Stati Uniti d’America. 24 febbraio 2009. +L’agente speciale dell’FBI sta guidando per le strade alberate e gli ampi incro­ +ci di Highland Park, un sobborgo elegante poco fuori Chicago. +La temperatura è più mite del solito; attorno al Lago Michigan si è già sciolta +la neve. I panorami sono splendidi: ville immerse nel verde, alcune moderne e +con un grande parco, altre in stile vittoriano. Le più sontuose sfoggiano campi +da golf privati. +Alla radio, i notiziari sono dedicati quasi esclusivamente ai tre fatti più impor­ +tanti di quell’inizio d’anno. +Barack Obama ha appena giurato. Si è insediato come 44° Presidente al ter­ +mine di una cerimonia sfarzosa a Washington, proprio di fronte al Campidoglio. +Quasi due milioni di spettatori hanno ascoltato il motto ufficiale del neo-eletto: +“A new birth of freedom”, una rinascita della libertà. +Una settimana prima, a New York, c’era stato l’incredibile atterraggio d’e­ +mergenza del volo US Airways 1549 sulle acque del fiume Hudson. Cinque +minuti dopo il decollo, un impatto con uno stormo di oche canadesi aveva +danneggiato, e spento, entrambi i motori: tutti salvi miracolosamente, grazie alla +grande esperienza del comandante Chesley “Sully” Sullenberger e alla collabo­ +razione dei pescatori e delle unità di soccorso marittimo dell’intera città. Sully +sarà consacrato dal Time come la seconda delle cento persone più influenti del +2009 dopo Michelle Obama. +Infine, il mondo geek è in grande fermento: il 3 gennaio era stato annun­ +ciato il rilascio del “blocco genesi”, il blocco-zero della blockchain alla base di +Bitcoin. La notizia era stata data dal misterioso Satoshi Nakamoto: aveva pro­ +messo al mondo l’eliminazione del tradizionale sistema bancario e delle valute, e +quello era stato il suo primo passo. La rivoluzione, di lì a poco, sarebbe iniziata. +Un fascicolo di colore grigio, spesso non più di un paio di centimetri, è custo­ +dito al sicuro nella borsa dell’agente speciale. Contiene diversi fogli dattiloscritti. +Sulla copertina è impresso il sigillo del Dipartimento di Giustizia degli Stati +Uniti d’America, il dicastero che si occupa, tra le varie cose, dei crimini dei col­ +letti bianchi, di armi, droghe ed esplosivi, delle politiche giudiziarie e del sistema +carcerario federale. +Il rassicurante motto dell’ufficio è “to uphold the rule of law, to keep our +country safe, and to protect civil rights”: far rispettare il diritto, mantenere il +Paese sicuro e proteggere i diritti civili. +Sul sito web del dipartimento è pubblicata, in evidenza, una frase di Thomas +Jefferson: «The most sacred of the duties of government is to do equal and + 10 +Aggiustare il mondo +impartial justice to all its citizens». Un impegno formale, quindi, a garantire +eguaglianza e imparzialità nell’applicazione della giustizia, un dovere sacro nei +confronti dei cittadini che dovrebbe essere il principio-guida alla base delle azio­ +ni di tutte le donne e gli uomini che lavorano all’U.S. Department of Justice. +Su un’etichetta, più in basso, è indicato a matita, con cura, il codice identifi­ +cativo del caso: 288A-WF-238343. +Poco sotto, in stampatello, due nomi: Bob e Susan Swartz. +L’ultima annotazione, al centro della copertina del piccolo dossier – proprio +nella parte dove è prassi indicare i crimini in corso di contestazione – è quella +che suona più minacciosa: intrusione informatica. +L’agente federale sta passando davanti a un cancello che ha un enorme nume­ +ro forgiato in metallo incastonato tra le sbarre: 23. È la famosa villa di Michael +Jordan, uno dei più grandi giocatori di basket di tutti i tempi. +Il testo riportato su un cartello, molto elegante e poco invasivo, posizionato +con cura dall’agenzia immobiliare, comunica al pubblico che la villa di Michael +Jordan è in vendita. Il prezzo è sceso: con meno di 15 milioni di dollari si può +acquistare. Fino all’anno prima ne sarebbero serviti 25, di milioni. Sbirciando, +dal vialetto e tra i pini, fino agli edifici bianchi di quella residenza famosa, l’agen­ +te speciale riesce a intravedere quasi 30.000 metri quadrati di terreno, un campo +da basket completo di tribune, piscine, golf, biliardi. Il tutto personalizzato con +il famoso logo del grande cestista che salta. +Ventitré è anche un numero, da alcuni, considerato “hacker”. La biografia +del giovane Karl Koch, l’hacker tedesco del Chaos Computer Club dal nickna­ +me Hagbard, trovato morto carbonizzato durante la Guerra Fredda in un bo­ +sco poco fuori Hannover, s’intitola proprio 23: il giovane era ossessionato da +questo numero, che aveva trovato riportato ripetutamente nella Trilogia degli +Illuminati. +Highland Park è uno dei sobborghi più vivaci e originali di Chicago. Negozi +di lusso, ristoranti italiani, messicani e cinesi, una grande sinagoga per la comu­ +nità ebraica, tre scuole conosciute in tutto il Paese per la qualità dei loro corsi, il +lago a poco più di un chilometro e una spiaggia affascinante, Rosewood Beach. +I turisti che giungono lì notano, subito, un grande arco che segna l’ingresso al +parco del Ravinia Festival, uno dei più famosi festival con musica dal vivo, cibo, +picnic e tovaglie sull’erba. +Poco più avanti spicca la villa di Billy Corgan, il cantante degli Smashing +Pumpkins. L’artista possiede anche una piccola caffetteria in centro – Madame +Zuzu’s – dove va spesso a suonare. +Tre anni prima, nel testo della canzone Tonight, tonight, Corgan aveva voluto +ricordare la sua infanzia in quei quartieri, e quei momenti indimenticabili tra­ +scorsi da bambino vicino al lago: + 11 +Prologo +And the embers never fade +In your city by the lake +The place where you were born. +È vero, le braci non si spengono mai, nella tua città sul lago, il luogo dove +sei nato, e la canterà di nuovo, quella frase, con la voce spezzata, quindici anni +dopo, quando si unirà ai residenti per celebrare i cittadini caduti in una strage +proprio lì, a Highland Park. +Un ventunenne sparerà sulla folla durante i festeggiamenti del 4 luglio, ucci­ +dendo sette persone e ferendone oltre quaranta. +Dopo aver attraversato tutta quella bellezza, l’agente finalmente arriva al civi­ +co del vialetto indicato nel fascicolo, per raggiungere il suo obiettivo. +L’FBI, per tradizione, si occupa sin dal 1908 di indagini e crimini assai im­ +portanti. Di crimini veri, insomma: l’agenzia è nata per proteggere gli Stati Uniti +d’America dal terrorismo, dalla criminalità organizzata e dalle minacce ester­ +ne più gravi. È il braccio operativo, nella maggior parte dei casi, proprio del +Dipartimento di Giustizia, e indaga su oltre duecento tipi, e categorie, di reati +federali. +A metà degli anni Ottanta, un film di grandissimo successo, WarGames, pre­ +occupò il mondo ventilando la possibilità di attacchi cibernetici globali a opera +di teenager curiosi ed esperti di computer. +L’FBI iniziò allora a occuparsi anche di crimini informatici; nello stesso pe­ +riodo, fu emanata una normativa specifica sui reati digitali che prese il nome di +Computer Fraud and Abuse Act (CFAA). La legge puniva, per la prima volta e +con pene severissime, anche l’accesso a sistemi informatici senza autorizzazio­ +ne: l’azione di chi entra “non invitato” in un computer altrui. +Il film ebbe il merito – o demerito – di prospettare nell’immaginario colletti­ +vo, per di più durante la Guerra Fredda, la possibilità concreta che si scatenasse +la terza guerra mondiale a causa delle azioni di un ragazzino, particolarmente +competente e curioso, entrato, per errore, in un sistema militare, nel tentativo di +accedere ai server di una società produttrice di videogiochi. +La pellicola contribuì soprattutto a dare il via alla rigidissima politica statu­ +nitense sulla regolamentazione dei crimini informatici: un approccio che sarà +sempre condizionato dalla paura di una macchina che possa sottomettere l’uma­ +nità, se guidata dall’agire di scienziati pazzi ultra-competenti e fuori controllo. +Il Presidente Ronald Reagan si fece proiettare privatamente il film nella sua +residenza montana di Camp David, proprio il fine settimana in cui era uscito +nelle sale. E si preoccupò non poco. +Ne discusse, qualche giorno dopo, in una riunione alla Casa Bianca, in pre­ +senza dei più alti funzionari del suo governo, e si pose – e pose loro – il fatidico +quesito se veramente si potesse prospettare una minaccia del genere: un accesso + 12 +Aggiustare il mondo +abusivo da parte di terzi nei computer più sensibili della sua amministrazione e +delle infrastrutture critiche nordamericane. +La risposta giunse una settimana dopo, e non fu affatto rassicurante. Attacchi +di quel tipo erano possibili, eccome. Da quel momento iniziò un significativo +rinnovamento dell’intera struttura della cybersecurity statunitense, partendo dai +sistemi presso il Dipartimento della Difesa per arrivare a quelli presenti in altre +infrastrutture critiche. +Si iniziò, al contempo, a lavorare a una politica legislativa che accelerasse +l’approvazione di una normativa contro i crimini informatici. +Il CFAA fu una delle prime azioni legislative al mondo specifiche relativa +all’idea di reato informatico, e andò a modificare la disciplina federale sulle frodi, +aggiungendo previsioni ad hoc proprio per i crimini digitali. +Il timore del legislatore e del governo era, essenzialmente, quello dell’avvento +di minacce tecnologiche non ancora individuate, che la legge doveva, però, in +qualche modo prevedere. +In particolare, mirò, innanzitutto, a proteggere i sistemi informatici federali +e delle istituzioni finanziarie, a punire il cracking dei sistemi e, in generale, si +preoccupò di sanzionare tutti quei crimini che vedevano come protagonista, o +vittima, un computer o una rete. +Essendo una normativa federale, si applicava soprattutto a casi che coinvol­ +gevano computer governativi – spesso presi di mira anche solo con finalità di +sfida, di protesta o di curiosità – o sistemi d’interesse federale, o a casi nei quali +il crimine informatico coinvolgeva più Stati o manifestava delle connessioni +internazionali. +L’FBI iniziò, da allora, a occuparsi sistematicamente di attacchi informatici +portati contro risorse federali o d’importanza critica. Quei dannati ragazzini +stavano bucando tutti i sistemi, soprattutto quelli delle compagnie telefoniche e +quelli governativi. Il governo si sentiva in dovere di reagire con pene esemplari, +anche facendo irruzione di notte nelle loro camerette con le armi spianate e +prospettando decine e decine di anni di galera. +L’amministrazione Obama, dal 2009 al 2017 – a causa anche del terribile +evento dell’11 settembre 2001, che aggravò il quadro politico e aumentò il livel­ +lo di paranoia collettiva – si sarebbe a sua volta dimostrata estremamente ostile +nei confronti dell’attivismo tecnologico, degli hacker e, comunque, di chiunque +fosse in grado, grazie alle sue competenze tecnologiche superiori a quelle statali +e senza particolari difficoltà, di mettere in crisi parti del sistema pubblico. +Gli attivisti tecnologici iniziarono a essere visti come pericolosi, non solo per +le loro idee ma, soprattutto, per la loro capacità di metterle in pratica sfruttando +una superiorità di competenza e approfittando di decine di vulnerabilità che i +grandi sistemi informatici pubblici stavano evidenziando. +Furono, quelli, gli anni nei quali il termine “hacker” divenne definitivamen­ +te, per l’opinione pubblica, sinonimo di “criminale informatico”, dimenticando + 13 +Prologo +completamente la nobiltà delle sue origini e i suoi aspetti positivi, e di utilità, per +la società tutta. +La missione di quel giorno dell’FBI non riguardava attentati, o attacchi al +sistema, o la prevenzione di “guerre termonucleari globali”, ma si presentava +semplice e noiosa: l’agente doveva trovare le tracce di una persona – e identifi­ +carla – in quel sobborgo di lusso di neppure 30.000 abitanti. +Aveva avuto ordini di tenere sotto sorveglianza una famiglia, la famiglia +Swartz, e, soprattutto, di cercare di identificare il loro figliolo di 22 anni, Aaron. +Nel fascicolo è contenuto un breve report sul giovane e sui suoi genitori. +Il padre è descritto come un programmatore di software e consulente infor­ +matico, benestante, grande appassionato di computer. +La madre è una casalinga. Ha intestati quattro mezzi e, evidentemente, è +quella che gestisce il bilancio economico – e gli equilibri – della famiglia. +Per la grande e potente macchina da guerra dell’FBI, identificare, nei giorni +precedenti, dove vivesse Aaron, e dove fosse collocata la casa dei genitori, si era +rivelato un gioco da ragazzi. +La strategia investigativa adottata era stata quella comunemente usata per la +lotta alla droga, al crimine organizzato, alla pornografia minorile e al terrorismo. +Gli investigatori erano partiti dall’analisi di un semplice indirizzo IP che sem­ +brava provenire da una famiglia di indirizzi di Amazon e che il soggetto su cui +stavano indagando aveva utilizzato per introdursi nella rete di un sistema infor­ +matico pubblico. +Del resto, l’indirizzo IP è un po’ come “l’indirizzo di casa” degli utenti che +operano in rete: è il primo identificativo utile per far capire dove si trova il com­ +puter e, poi, per cercare di risalire alle persone. Una traccia assai importante che +(quasi) tutti lasciano non appena si collegano. +Amazon aveva fornito senza problemi, in pochi giorni, tutti i dati correlati +a quell’indirizzo IP. Procedura standard, del resto: se sei il governo federale, ti +basta domandare. Chiedi, e i provider rispondono. +Una volta ottenuti i dati da Amazon, l’FBI aveva recuperato il numero di +telefono e di previdenza sociale del giovane, aveva verificato i suoi precedenti +penali – non ne aveva – o se fosse, in qualche modo, già conosciuto alle forze +dell’ordine, e aveva deciso di provare a fare un controllo, e sopralluogo di per­ +sona, poco fuori Chicago. +L’agente ora è lì, a un’oretta di distanza dalla città, che si sta aggirando in +macchina nel vialetto di residenza di Aaron. +Ha l’ordine di non avvicinarsi né al ragazzo né ai familiari, e di non approc­ +ciarli in alcun modo: c’è una investigazione in corso, e non è il momento di +scoprire le carte. +Leggendo le note contenute nel fascicolo, il giovane non sembra essere un +soggetto particolarmente pericoloso, né un criminale con un curriculum tale da +poter attirare l’attenzione dei federali. + 14 +Aggiustare il mondo +Nel profilo su LinkedIn – così hanno annotato gli investigatori dell’FBI nel +rapporto – si definisce “scrittore, attivista e hacker”. +Al momento sembra lavorare soprattutto nella Bay Area di San Francisco, +dopo aver trascorso un periodo di studio a Stanford. +Anche il profilo su Facebook, recuperato prontamente dagli agenti, contiene +indicazioni su periodi di ricerca trascorsi a Stanford e a Boston e un link a un +articolo del New York Times che parla di lui e che aveva reso note alcune sue +attività. +Le tecniche investigative di OSINT – ossia di ricerca di informazioni su fonti +aperte – si sono rivelate, in questo caso, particolarmente efficaci. +Internet stava cambiando: le persone iniziavano a esibire senza problemi i +loro dati e le loro informazioni private in tutti gli ambienti che frequentavano, e +questo facilitava enormemente le indagini da parte degli agenti. +Di lì a poco, la crescita esponenziale dei social network avrebbe ulteriormen­ +te amplificato questi comportamenti. +Tutti gli utenti si sarebbero pian piano “denudati” in questo nuovo spazio +digitale, ed era proprio ciò che gli investigatori da tempo auspicavano: avere i +dati delle persone alla luce del sole, senza necessità di costose, e lunghe, attività +investigative o, al massimo, effettuando una richiesta ai provider affinché fornis­ +sero i dati della vita degli utenti sui social network. +Nella parte più corposa del fascicolo è descritto con cura, e per punti, il mo­ +tivo dell’indagine che ha portato i federali a svolgere delle verifiche preliminari +in quei luoghi. +Aaron Swartz, un ragazzo di 22 anni, è accusato di aver cooperato con tale +Carl Malamud – un attivista che sostiene di battersi per un’amministrazione go­ +vernativa aperta e libera – nel prelevare da un archivio elettronico di proprietà +dello Stato milioni di copie di documenti pubblici provenienti dai tribunali fede­ +rali per, poi, pubblicarli e renderli disponibili gratuitamente sul web. +Gli agenti dell’FBI avevano iniziato la “caccia all’intruso” prima online, rin­ +correndolo tra i vari database, reti e provider; subito dopo, avevano verificato la +sua presenza nel mondo fisico. +L’indagine aveva preso il via da un’accusa mossa dai vertici dei tribunali sta­ +tunitensi: si erano lamentati, con i federali, del fatto che qualcuno avesse rubato +circa diciotto milioni di pagine di documenti, per un asserito valore di quasi due +milioni di dollari. +Nonostante fossero documenti pubblici – e finanziati con fondi statali – il +sistema di gestione dell’archivio dei tribunali, denominato PACER, prevedeva +l’addebito di un costo di diversi centesimi a pagina – tra i sei e gli otto, a seconda +della lunghezza del documento – per la copia della maggior parte dei documenti +giuridici, processuali e sentenze. +Un anno prima, la sede centrale del sistema-giustizia americano aveva de­ +ciso di avviare un esperimento con i tribunali e con l’ufficio per le stampe di + 15 +Prologo +documenti pubblici, garantendo un accesso di prova libero all’archivio a tutti +coloro che si fossero collegati da diciassette biblioteche selezionate in tutto il +Paese. +Se ti recavi di persona in una di quelle biblioteche, in quel periodo di prova, +potevi ottenere gratuitamente i documenti che ti interessavano. +Aaron, non appena era stato informato di questa possibilità, aveva deciso +di approfittare di quel periodo di prova per recuperare il più grande numero +possibile di documenti pubblici e per, poi, rilasciarli gratuitamente ai cittadini. +Una sorta di all-you-can-eat gratuito, insomma: scaricare tutto lo scaricabile e +liberarlo. +Si era, allora, recato presso una delle biblioteche – quella di Chicago, Settimo +Circuito di Corte d’Appello – e aveva installato nel computer dell’ufficio, da una +chiavetta, un piccolo script in Perl. +Il giovane aveva creato senza particolari difficoltà, partendo da codice già esi­ +stente sviluppato da alcuni suoi amici, un programma che domandava al sistema +della biblioteca una copia di un documento ogni tre secondi, passando ciclica­ +mente – e in maniera molto ordinata – da un numero di un caso giudiziario a +quello immediatamente successivo. Senza bisogno di alcun intervento umano. +Le copie elettroniche dei documenti così ottenute venivano, poi, memorizza­ +te su uno spazio cloud di Amazon. +Il programma funzionò molto bene, non c’è che dire. +Aaron, approfittando di quel periodo di prova, era riuscito a prelevare dal +database, e a caricare sul cloud, quasi venti milioni di pagine di documenti +giudiziari. +Venti milioni di documenti! +Nelle prime ipotesi investigative dell’FBI, sobillate dalle istituzioni “proprie­ +tarie” di tali documenti, tutti quei dati pubblici esfiltrati dal giovane, anche se, +appunto, pubblici e, quindi, di proprietà dei cittadini, erano stati chiaramente +rubati. +Il programma di Swartz aveva operato con grande efficacia, e indisturbato, +per ben diciannove giorni – dal 4 al 22 settembre del 2018 – fino al momento +in cui i tecnici informatici dei tribunali non si erano resi conto del fatto che un +utente stesse scaricando tutto l’archivio e come, di conseguenza, fosse in corso +una vera e propria “emorragia” di dati. +Nessuno di quei documenti era privato: erano tutti pubblici e a disposizione +dei cittadini, ma per ottenere delle copie era necessario pagare. +Quell’utente, al contrario, non stava pagando nulla, quindi era letteralmente +in corso un furto di beni dello Stato. Sei/otto centesimi non corrisposti a pa­ +gina, per quasi venti milioni di pagine scaricate, facevano un totale di diversi +milioni di dollari. Un furto enorme. + 16 +Aggiustare il mondo +Il periodo di prova gratuito per l’accesso a quel database fu immediatamente +interrotto. La segnalazione che le istituzioni presentarono all’FBI, domandan­ +do un’indagine per “criminalità informatica”, riferirono di un sistema PACER +completamente “compromesso”. Un sistema pubblico, per di più. Correlato +ai tribunali. Vi era stato un attacco a una infrastruttura critica. L’incubo delle +atmosfere alla WarGames si ripresentava. +I vertici dell’amministrazione chiesero anche di valutare la possibile conte­ +stazione, all’autore dell’attacco, dei gravi reati di accesso non autorizzato a un +sistema informatico pubblico e di utilizzo di password e codici non suoi: ipotesi +previste dal severissimo CFAA. +In realtà, le indagini e le analisi tecniche evidenziarono come lo script che +Aaron aveva utilizzato funzionasse senza bisogno di rubare codici di accesso e +password: si appoggiava ai cookies di autenticazione, e ai codici, degli operatori +di PACER che erano già presenti nel browser del computer della biblioteca. +A parte i dettagli e le precisazioni tecniche, era indubbio che Aaron avesse +scaricato 19.856.160 pagine e le avesse donate a un sito denominato “public. +resource.org”. +Public Resource era un’iniziativa del suo amico Carl Malamud: perseguiva lo +scopo di rendere pubblici tutti i database esistenti, e Malamud aveva accettato +con molto piacere da Aaron quell’enorme quantitativo di documenti provenien­ +ti dai tribunali statunitensi. +Nel fascicolo erano pertanto presenti anche alcuni appunti su Carl Malamud, +un attivista da tempo oggetto di attenzione da parte delle autorità. +Malamud, nella foto in possesso degli investigatori, appariva come un signore +sui cinquant’anni dall’aria tranquilla, in camicia azzurra e pantaloni sportivi un +po’ sformati, con pochi capelli e occhialini tondi. L’aria un po��� trasandata da +professore universitario, insomma. +Quando scriveva o parlava, però, aveva il fuoco dentro. +“Stiamo subendo, tutti noi cittadini, un vero e proprio oltraggio morale”, +urlava spesso da un microfono nelle occasioni pubbliche. “Ci stanno seque­ +strando la nostra conoscenza. Il nostro patrimonio culturale è stato incatenato +dietro ai paywall, ai muri elettronici degli archivi che richiedono un pagamento +per accedere ai dati e ai documenti.” +Le riviste scientifiche, profetizzava Malamud, diventeranno disponibili solo +per quei pochi studenti abbastanza fortunati, e ricchi, da poter frequentare uni­ +versità di lusso. Il restante novantanove per cento dei cittadini si troverà a dover +pagare venti dollari ad articolo per poter accedere al nostro patrimonio scienti­ +fico e culturale. +Malamud voleva medicare questa ferita infetta. +Voleva smantellare questo “country club della conoscenza” per soli membri +ricchi. + 17 +Prologo +Era fermamente convinto che la democrazia potesse funzionare bene soltan­ +to se i cittadini fossero realmente informati e conoscessero nei dettagli i loro +diritti e i loro obblighi. +E, per essere informati, dovevano poter accedere liberamente anche ai grandi +database pubblici, soprattutto quelli che custodivano il diritto. +Questa sua battaglia per portare giustizia, per rendere la conoscenza a dispo­ +sizione di tutti – non solo dei ricchi, o di quelli che detengono il potere – aveva +attirato l’attenzione non soltanto dei giovani attivisti ma anche, ovviamente, +delle autorità. +La sua esperienza nell’analizzare database governativi, con progetti assai +complessi che duravano mesi e anni, operando, però, sempre al confine della +violazione dei termini d’uso previsti da questi servizi, era ormai nota a tutti. +Sosteneva di lavorare sui database pubblici per cercare di migliorarli, per far +funzionare meglio la democrazia, per aiutare l’amministrazione dello Stato. +Da anni accedeva, curiosava, segnalava, scaricava e pubblicava. +Anche nel caso di PACER, era convinto di aver fatto la cosa giusta. +Non si era comportato da criminale informatico, ma aveva trovato, e segna­ +lato, documenti pubblici che andavano “riparati”: erano testi infestati da episodi +di violazioni della privacy, con nomi esposti di minori, di informatori, con dati +presi da cartelle cliniche e documenti finanziari, con migliaia di numeri di previ­ +denza sociale diffusi senza criterio. Tutti dati visibili, e non protetti. +Vedeva sé stesso, insomma, come un whistleblower. +“Avvertiva” il governo circa cose che non andavano nei suoi sistemi, e +costantemente inviava i risultati delle sue azioni, e dei suoi studi, ai giudici e +all’amministrazione. +In alcuni casi, i magistrati, grazie alle segnalazioni di Malamud, erano rimasti +costernati dalla gestione approssimativa di quel sistema elettronico da parte del +governo, e avevano disposto l’oscuramento di quei documenti e il cambio delle +regole sulla privacy dei documenti stessi e, persino, di alcune procedure interne. +Per i vertici del sistema giudiziario e organizzativo pubblico, però, la prospet­ +tiva interpretativa era ben diversa. +Tali azioni non erano state compiute da cittadini con la volontà di migliorare +la gestione dei dati pubblici, ma da parte di veri e propri ladri che avevano ruba­ +to 1,6 milioni di dollari di proprietà dello Stato. +Anche Malamud venne, così, preso di mira dall’FBI. +Due agenti armati lo fecero accomodare in una stanza d’interrogatorio per +avere informazioni su questa “cospirazione”, ma non trovarono, in quell’occa­ +sione che fu assai spiacevole, e traumatica, per l’attivista, possibili contestazioni +di reato. +Questa idea di combattere, di fare attivismo per permettere a tutti, anche +a coloro che non ne hanno i mezzi, di accedere alle informazioni pubbliche, + 18 +Aggiustare il mondo +soprattutto a quelle sul funzionamento della cosa pubblica e del sistema-giusti­ +zia, era obiettivamente coinvolgente. +Malamud si scagliava contro l’uso per profitto privato di informazioni che +dovevano essere nel pubblico dominio, contro il tentativo di limitare l’accesso +a tutte le informazioni giuridiche di un Paese e dei suoi tribunali, contro la ri­ +scossione di quelli che chiamava “pedaggi sulle autostrade della conoscenza”, +negando così la possibilità di istruzione, e di conoscenza, appunto, a chi si fosse +trovato senza mezzi economici. +Il suo sacro fuoco era alimentato anche dalla volontà di creare nuove op­ +portunità in società per i più poveri, i meno colti e gli emarginati, di rendere +la società più giusta e più equa e, come risultato finale, di rendere universale la +conoscenza e di prevedere l’accesso alla stessa come un vero e proprio diritto +umano. +Non era attento, quindi, solo ai costi e allo sperpero di denaro pubblico, o alla +poca efficienza di questi grandi database statali, o, ancora, alla violazione della +privacy. Perseguiva fini ben più nobili. +Le teorie di Malamud, come prevedibile, avevano affascinato tantissime per­ +sone nel corso degli anni, e avevano suggestionato anche il giovane Aaron, che +lo frequentava da tempo. +Malamud, in determinati periodi dell’anno, comunicava pubblicamente di es­ +sere alla ricerca di “volontari” per portare avanti le sue azioni. +Anche in questo caso, con riferimento al periodo di prova del sistema-giusti­ +zia, aveva “chiamato alla guerra”. +Il giovane Aaron era corso ad armarsi, e aveva aspettato il momento migliore +per attaccare PACER. +In realtà, il tentativo di ricognizione operato dall’agente dell’FBI in Illinois +fallì. L’uomo annotò, nel rapporto finale consegnato al suo superiore, l’elenco +delle azioni investigative che aveva svolto e, soprattutto, i problemi pratici so­ +pravvenuti, che avevano condizionato l’esito del sopralluogo. +L’abitazione presa di mira dagli investigatori si trovava alla fine di un vialetto, +dietro altre case, in Marshman Avenue, una via con tanti alberi e senza uscita. +In più, in quel contesto già piuttosto ostile per un appostamento, nessun’altra +macchina era parcheggiata sulla strada, per cui una attività di sorveglianza con­ +tinua sarebbe diventata impossibile, e il rischio di essere scoperti sarebbe stato +troppo alto. +Non restava che tornare indietro. +Arrivato a Chicago, l’agente compilò i documenti che poi spedì a Washington. +I tentativi, da parte degli investigatori, di ottenere ulteriori informazioni, anche +cercando, poche settimane dopo, di fissare un colloquio con Aaron e con il suo +avvocato, non andarono a buon fine. + 19 +Prologo +Il 5 ottobre del 2009 proprio Aaron, grazie al FOIA – la normativa norda­ +mericana sulla trasparenza – ottenne una copia di quel fascicolo e la pubblicò +integralmente sul suo blog, con il suggestivo titolo “Wanted by the FBI”. +«Oggi sono entrato in possesso del fascicolo dell’FBI su di me. Forza, cor­ +rete a richiedere il vostro!» – scrisse il giovane sul suo sito Raw Thought, sdram­ +matizzando un po’. Anche se il fatto di essere sotto sorveglianza lo stava pre­ +occupando non poco. +«Come immaginavo, e come speravo, è davvero delizioso» – continua – +«Presenta solo alcuni piccoli omissis per motivi di privacy (in pratica, hanno +cancellato i nomi degli agenti coinvolti, e cose simili). E tutto è iniziato quando... +In realtà, lascerò che sia il fascicolo a raccontare tutta la storia». +Aaron scoprì, così, che la sua posizione era rimasta aperta dal 6 febbraio 2009 +sino al 20 aprile dello stesso anno, prima che il bureau decidesse di chiuderla. +Non vi era, per gli investigatori, un immediato interesse nel perseguire Swartz +e Malamud per quei fatti. +Nessuna accusa, alla fine, venne mossa, ma l’atmosfera generale era diventata +improvvisamente tesa. +Il rapporto tra federali, Secret Services (anche loro avevano iniziato a inda­ +gare nell’ambito della cyber-criminalità), hacker e attivisti informatici si stava +deteriorando giorno dopo giorno, soprattutto quando erano coinvolte le vulne­ +rabilità dei sistemi informatici pubblici e delle infrastrutture critiche: le grandi +banche dati pubbliche, le compagnie telefoniche e di telecomunicazioni, i siste­ +mi dell’amministrazione della giustizia non si potevano toccare. +Nei mesi, e negli anni, successivi sarebbero arrivati nuovi, importanti scanda­ +li, rivelati da Julian Assange e da WikiLeaks. +Di lì a poco – nel maggio del 2010 – ci sarebbe stato l’arresto di Chelsea – +nata Bradley – Manning, accusata di aver rubato decine di migliaia di documenti +riservati quando era analista di intelligence durante le operazioni militari in Iraq +e di averli consegnati proprio a WikiLeaks. Sarà condannata, per questo, a 35 +anni di carcere. +Il giovane Aaron Swartz stava iniziando a operare come attivista proprio in +anni che si stavano rivelando critici per Internet e per i suoi equilibri mondiali +e geopolitici. +Le primavere arabe – tra la fine del 2010 e tutto il 2011 – avrebbero attraver­ +sato tanti Paesi come una vera e propria scossa elettrica e avrebbero posto al +centro del dibattito, con esiti non sempre soddisfacenti, i temi della libertà della +rete e dei mezzi di comunicazione dei cittadini, dell’informazione, della cultura +e della diffusione libera di contenuti. In più, la tecnologia sarebbe stata usata +come strumento di resistenza elettronica, di aggiramento dei tentativi di censura +governativa, di connessione tra le persone e di organizzazione delle proteste. +L’indirizzo IP, così interessante per l’FBI in un’ottica investigativa, diven­ +ne di estremo interesse anche per gli attivisti: s’iniziarono a sviluppare – o + 20 +Aggiustare il mondo +perfezionare – sistemi per nasconderlo e per cercare, così, di poter operare con +un buon livello di anonimato o, ancora, di aggirare eventuali blocchi statali alla +navigazione in rete verso siti web considerati “scomodi” dal Governo. +Internet sembrava in grado di cambiare l’intero quadro politico e sociale e di +sgretolare potere e rapporti tra Stati. Alla fine del 2011, in settembre, sarebbe +arrivato anche Occupy a mobilitare milioni di persone contro la disuguaglianza +sociale ed economica. +In un quadro simile, la reazione da parte del potere e dei governi non si fece +attendere. Chiara fu la volontà politica – e l’urgenza – di diminuire le libertà +online, di aumentare le attività di sorveglianza e di censura, di operare un “giro +di vite” contro gli hacker e gli attivisti e di soffocare sul nascere questo attivismo +tecnologico che intimoriva i centri di potere soprattutto per la sua asimmetria: gli +attivisti erano veri esperti tecnologici, e potevano fare cose impensabili con le +nuove tecnologie che si stavano diffondendo ovunque, mentre interi comparti +della società, soprattutto nel settore pubblico, erano completamente analfabeti +digitali e, quindi, estremamente vulnerabili. +Nonostante la chiusura ufficiale del caso, a causa di questa attività di scarica­ +mento di massa di documenti dal sistema PACER, e di interviste che comincia­ +rono ad apparire su testate nazionali e internazionali, il giovane Aaron Swartz +si trovò, da quel marzo del 2009, sotto i poco piacevoli riflettori dell’FBI e del +Dipartimento di Giustizia. +Stava per compiere ventitré anni, ed era improvvisamente diventato un sor­ +vegliato molto speciale. + I PRIMI VENT’ANNI + 1. Un bambino e un computer +Montare. Smontare. Rompere. Riparare. Leggere. Scrivere. Rileggere. +Annotare. Catalogare. Imparare cose nuove. Schedare tutte le informazioni. +Collegarle. Linkare. Programmare. Prendere un libro dalla libreria di famiglia. +Spostarlo. Prenderne un altro. Trovare i collegamenti tra i due. Incrociare le +note. Rimetterli a posto, ma con una collocazione differente. Cambiare ogni +giorno, di prima mattina, l’ordine di tutti i volumi di casa in base alle nuove +nozioni apprese. E, poi, riorganizzare di nuovo tutte le informazioni, prima di +sera, davanti a una macchina meravigliosa e incredibile che si chiama computer. + +Già a tre anni compiuti – nel 1989 – le giornate del piccolo Aaron Swartz +sono più intense, e impegnative, di quelle di un adulto medio. +Dopo aver imparato a leggere, ha iniziato a giocare e, poi, a scrivere al com­ +puter. Poco dopo, ha imparato a capire il codice, e programmare. All’età delle +scuole elementari è già in grado di elaborare piccoli programmi. +Al di là della sua spiccata intelligenza, l’Aaron-bambino ha un grandissimo +vantaggio iniziale rispetto a molti suoi coetanei: non è soltanto un ragazzino +particolarmente vivace e curioso – grazie anche all’ottimo rapporto con i due +fratelli – ma può utilizzare, nel suo ambiente domestico, diversi computer e +strumenti informatici moderni e potenti, dato il lavoro del padre, consulente +informatico e sviluppatore di software. +Ha accesso senza problemi e senza limiti allo stato dell’arte delle tecnologie +esistenti in un momento critico: l’espansione del web e la sua trasformazione in +rete commerciale. +Per di più, può utilizzare computer Apple: l’interfaccia grafica di quel sistema +operativo si presenta particolarmente adatta ai bambini, e gli permette di inca­ +nalare al meglio tutta la sua creatività e di rendere concrete le sue innumerevoli +idee, in maniera semplice e intuitiva. +Nelle foto e video di famiglia, Aaron non sta mai fermo, né si mette in posa. +Sta costruendo qualcosa. O sfreccia per la casa su uno skateboard improvvisato +per, poi, rovinare tra le tende della cucina. O, ancora, è davanti allo schermo di +un computer, dove muove un mouse, digita codice o gioca. +Deve, in ogni momento, fare qualcosa. Con un dinamismo che ha +dell’incredibile. +La sua casa diventa, ben presto, anche la sua scuola e il suo “luogo di lavoro”: +i tentativi dei genitori di orientarlo verso un percorso educativo tradizionale si +dimostrano, fin dalla sua tenera età, molto difficoltosi. +Un simile rapporto conflittuale con l’ambiente scolastico, e le sue istituzioni, +sarà una costante di tutta la vita di Aaron: dalle scuole elementari al college sino, +poi, all’università. + 24 +Aggiustare il mondo +Viveva, infatti, con un costante dilemma interiore. +Da un lato amava la conoscenza, l’apprendere, studiare e leggere. Dall’altro, +criticava e metteva in discussione in ogni momento il sistema scolastico in sé, +le competenze dei docenti in cui gli capitava di imbattersi e, persino, il metodo +educativo degli insegnanti. +Si era certamente in presenza di un ragazzo che voleva assorbire come una +spugna contenuti e nozioni da altre persone, ma queste persone dovevano esse­ +re meritevoli della sua attenzione e del tempo che avrebbe investito per ascol­ +tarle e per imparare da loro. +Era in una costante ricerca di maestri ma era, al contempo, molto, molto +esigente. Tanto che, in tutta la sua vita, trovò pochissime persone che lo entu­ +siasmarono veramente e, soprattutto, di cui si fidò. +L’ambiente scolastico tutto, in sostanza, non gli piaceva. Non gli piacevano +gli insegnanti. Si annoiava a studiare temi e argomenti che non riteneva utili per +la sua crescita e per la sua formazione. Trovava i compiti assegnati a casa trop­ +po facili o, addirittura, inutili e stupidi. Aveva la costante sensazione di perdere +tempo. +Un secondo fattore problematico si dimostrò la sua evidente intolleranza +nei confronti dell’idea stessa di autorità che promanava dagli insegnanti e che si +percepiva attraverso l’adozione di metodi educativi da lui ritenuti sbagliati. +Aaron dedicherà settimane, da teenager, a raccogliere ogni possibile libro e +articolo sul sistema educativo nordamericano – compresi testi di pedagogia, di +psicologia, di organizzazione scolastica, di analisi politica dello stato dell’arte +dell’insegnamento in quel Paese – per cercare di individuarne i punti deboli, e +capire come “ripararlo”. +Vi fu, poi, un terzo fattore, che in quegli anni stava esplodendo, e che mise +definitivamente in crisi la sua fiducia nel sistema scolastico: aveva accesso a +Internet. Anzi, tutti iniziavano ad avere accesso a Internet. E per ogni possibi­ +le argomento che si fosse deciso di trattare in classe, Aaron era finalmente in +grado, grazie alla rete e alle competenze di ricerca che aveva sviluppato in quei +primi anni, di trovare fonti ben più ampie, documentate e approfondite, in mi­ +nor tempo, e di poter selezionare e distillare soltanto gli aspetti che realmente +gli interessassero, rispetto a quanto c’era scritto sui libri o a ciò che veniva detto +dagli insegnanti. +I genitori, in questi anni problematici, lo assecondarono il più possibile, e per +lunghi periodi studiò a casa, per conto suo. +Il suo amico e mentore, Lawrence Lessig, ricorderà, in diverse occasioni pub­ +bliche, come una simile mancanza di istruzione scolastica tradizionale, e di ri­ +spetto della disciplina tipica di un contesto scolastico, fosse stata, da un lato, un +bene (aveva consentito una completa “liberazione” delle sue capacità e dei suoi + 25 +1. Un bambino e un computer +interessi) ma, dall’altro, potesse aver generato una vulnerabilità nel carattere del +giovane. +Aaron era più portato, anche nei momenti di dubbio, o di grande difficoltà, a +credere solo in sé stesso, e nelle sue capacità, piuttosto che appoggiarsi a maestri +e confrontarsi con persone di riferimento, soprattutto per condividere problemi +personali. +In uno dei suoi primi post sul blog, datato 14 gennaio 2002 (dal titolo “It’s +always cool to run”), Aaron racconta, ad esempio, della sua opera di persuasione +per cercare di convincere un suo coetaneo ad abbandonare la scuola: «È sempre +bello incontrare altri giovani intelligenti» – scrive il giovane – «e, forse, posso +convincerli ad abbandonare il sistema scolastico, come ho fatto io. Per chi non +lo sapesse, questo è il mio primo anno che passo al di fuori del sistema scolasti­ +co. Se fossi rimasto, quest’anno avrei frequentato il decimo anno. Devo dire che +è stata una scelta difficile, ma credo che sia stata la scelta migliore che io abbia +mai fatto. Ora sto frequentando un paio di corsi che si tengono in un’università +in zona. Il prossimo trimestre inizia mercoledì. Frequento “Teoria dei numeri” +e “Logica simbolica”. Credo.» +Lo stesso giorno, in un secondo post (“Tony Collen: Personally, I think”), +ribadisce il suo pensiero: +Io non sono certo un ragazzo normale (e ne vado fiero!), e credo che il processo +di “socializzazione” che avviene alle scuole superiori porti più danni che benefici. +È certamente importante essere in grado di fare amicizie, e di sostenere conversa­ +zioni, e tutto il resto. Tuttavia, la cultura alla base del sistema della scuola superiore +tende, spesso, a sopprimere le varie differenze, e a rendere tutti uguali. È una +cultura basata sulla competizione (Chi è più popolare? Chi ha la droga? Chi ha i +soldi?) e molto incentrata sul singolo e sull’individualismo. E credo che questo sia +molto pericoloso. +Il rapporto tra ambiente scolastico, insegnanti e giovani hacker – o piccoli +geni dell’informatica – è sempre stato assai problematico. +Si tratta di una sorta di cliché che si è ripetuto tante volte nella storia della +tecnologia: una sensazione costante, per questi giovanissimi informatici, di tro­ +varsi in un ambiente ostile, dove non sono pienamente compresi, dove molti +argomenti interessano solo a loro e non alla società/cultura che li circonda o ai +compagni, e sono costretti, pertanto, a sopportare dei vincoli costanti, prove­ +nienti dall’esterno, alla loro inventiva e alle loro capacità. +Aaron era nato l’8 novembre del 1986. Lo stesso anno, solo due settimane +prima, sulle pagine della più importante rivista hacker del tempo, Phrack!, nel +numero 7 del 25 settembre 1986, un hacker che si era firmato The Mentor aveva +pubblicato un Hacker Manifesto. + 26 +Aggiustare il mondo +Si tratta di un documento che sarebbe rimasto nella storia e che, di lì in avanti, +sarebbe stato citato, e preso ad esempio, da gran parte della letteratura sul tema +e, soprattutto, dagli appassionati di hacking. +Il giovane hacker aveva scritto questo documento l’8 gennaio del 1986. Lo +aveva elaborato di getto, subito dopo essere stato arrestato. +Il titolo del Manifesto è The Conscience of a Hacker, “La coscienza di un hacker”, +e il contenuto si presenta molto suggestivo sotto diversi aspetti. +A un certo punto, si focalizza proprio sul rapporto conflittuale tra questi +giovani e l’intero sistema scolastico. +Un altro ragazzo è stato arrestato oggi – scrive The Mentor – La notizia è su tutti +i giornali: «teenager arrestato per una vicenda di crimini informatici», «hacker +arrestato dopo aver truffato una banca». «Dannati ragazzini, sono tutti uguali». +Ma hai mai guardato, tu, con la tua psicologia da quattro soldi, e con il tuo cer­ +vello tecnologico rimasto agli anni Cinquanta, che cosa c’è dietro agli occhi di un +hacker? Vi siete mai chiesti che cosa abbia fatto nascere la sua passione, quali for­ +ze lo abbiano forgiato, quali lo possano avere modellato? Io sono un hacker, entra +nel mio mondo... Il mio è un mondo che inizia con la scuola. Io sono più sveglio +della maggior parte degli altri ragazzi. Questa robaccia che ci insegnano a scuola +mi annoia. Dannati sottosviluppati, sono tutti uguali. Proprio ora sono a scuola. +Ho ascoltato i professori spiegare per la quindicesima volta come ridurre una +frazione. E l’ho capito. «No Ms. Smith, non le mostro il mio lavoro, l’ho fatto nel +mio cervello». Maledetto ragazzino, probabilmente ha copiato, sono tutti uguali. +Il disagio studentesco descritto da The Mentor rimanda direttamente all’infan­ +zia scolastica di Aaron. +La scoperta del computer e di Internet porterà a cambiare completamente il +quadro, a disegnare uno spazio di libertà che era lì, pronto da utilizzare, fuggen­ +do, appunto, da quel tipo di scuola e di educazione. +Nel suo Manifesto, l’hacker annuncia con grande gioia ed enfasi la “scoperta” +che gli cambia la vita: +Ho fatto una scoperta, oggi. Ho trovato un computer. Aspetta un attimo, +è davvero cool. Fa quello che gli dico di fare. Se fa un errore, è perché ho +sbagliato io. Non perché non gli piaccio. O perché si sente minacciato da +me. O pensa che io voglia fare il furbo. O perché non gli piace insegnare, +e non vorrebbe essere qui. «Dannato ragazzino. Tutto ciò che fa è giocare. +Sono tutti uguali». E poi, è successo: una porta mi ha aperto un mondo, +che scorre attraverso le linee telefoniche come eroina nelle vene del tos­ +sicodipendente, un impulso elettronico è fatto uscire, si trova finalmente +un rifugio dalle incompetenze quotidiane, una tastiera è stata scoperta. +Questo è il luogo cui appartengo io. Conosco tutti qui, anche se non li ho +mai incontrati, anche se non ho mai parlato con loro, anche se non li sen­ + 27 +1. Un bambino e un computer +tirò mai più. Vi conosco tutti. «Dannato ragazzino. Sta di nuovo attaccato +alla linea telefonica. Sono tutti uguali». Ci puoi scommettere che siamo +tutti uguali. Siamo stati nutriti, a scuola, con cibo per bambini quando +volevamo mangiare una bistecca; i pezzi di carne che ci avete dato erano +già masticati, e senza gusto; siamo stati dominati da sadici, ignoranti e +indifferenti. I pochi che avevano qualcosa da insegnarci, ci hanno, poi, ri­ +conosciuti come allievi volenterosi. Ma erano gocce d’acqua in un deserto. +The Mentor, proprio come il giovane Aaron, vede Internet, e il mondo elettro­ +nico, come un vero e proprio universo dove trovare riparo dalle insoddisfazioni +percepite nella vita “fisica”. Un luogo dove vivere perché lì si è capiti, non si è +giudicati e si è, in un certo senso, al sicuro grazie alle proprie competenze e al +riconoscimento del valore da parte dei propri pari. +Aaron lo dichiarerà in innumerevoli occasioni: per lui, a quella età, Internet fu +subito il luogo dove “stava bene” e, anzi, dove si stava meglio. +Tutti i problemi che doveva affrontare nella vita quotidiana, una volta online +scomparivano. +In rete era apprezzato e poteva contribuire allo sviluppo dell’umanità, a “ri­ +parare parti di mondo” e a fare cose che percepiva come realmente utili. Senza +sprecare un solo minuto del suo tempo. +La parte finale del Manifesto di The Mentor, probabilmente la più interessante, +apre un nuovo fronte di riflessione che diventerà, nella vita di Aaron, centrale: è +dedicata, infatti, alla natura della rete e dei suoi contenuti, alla libertà che ci do­ +vrebbe essere, allo strapotere delle società commerciali ma, anche, alla costante +lotta contro le discriminazioni, contro la chiusura delle opere dell’ingegno, con­ +tro l’ulteriore emarginazione dei deboli e dei poveri. +A Internet, in sintesi, come strumento per la rivoluzione sociale. E all’idea +della figura dell’hacker come sub-cultura di opposizione. +Questo è il nostro mondo, ora – conclude The Mentor – Il mondo degli elettroni +e degli switch, la bellezza del baud. Noi usiamo un servizio che già esiste, sen­ +za pagare per quello che dovrebbe essere poco costoso o gratuito se non fosse +gestito da persone che pensano solo al profitto, da approfittatori ingordi, e ci +chiamano criminali. Noi esploriamo... e ci chiamate criminali. Noi esistiamo senza +discriminazioni per alcun colore della pelle, senza far caso alla nazionalità, senza +credenze religiose, e ci chiamate criminali. Voi costruite bombe atomiche, voi +finanziate guerre, uccidete, ingannate e ci mentite, e cercate di farci credere che è +per il nostro bene, e noi siamo i criminali. Sì, sono un criminale. Il mio crimine è +quello della curiosità. Il mio crimine è quello di giudicare le persone per ciò che +dicono e pensano, e non per come appaiono. Il mio crimine è quello di essere più +intelligente di te: una cosa, questa, che non mi perdonerai mai. Io sono un hacker, +e questo è il mio manifesto. Puoi fermare tutto questo combattendoci a uno a +uno, ma non puoi fermarci tutti. Del resto, siamo tutti uguali. + 28 +Aggiustare il mondo +Il manifesto di The Mentor è significativo non solo perché cerca di illustrare la +natura del vero hacking, ma perché, in ogni momento, fa percepire chiaramen­ +te quel senso di contrasto nei confronti di tutto ciò che viene avvertito come +autorità. +Un’autorità che, nelle parole di questo ragazzo, non solo minaccia e arresta – +siamo in un periodo storico di grande conflitto, dicevamo, tra autorità e hacker +– ma che soffoca la voglia di conoscere e la creatività dei giovani, plasma le men­ +ti e confina la loro coscienza attraverso vincoli che non riescono ad accettare. +È una realtà che, al contempo, presenta l’enorme possibilità di un mondo +nuovo, una rete. Che offre tutto. +Dalla contestazione del sistema scolastico, e dalla necessità di ripararlo, Aaron +passerà gradualmente alla messa in discussione della società, poi delle aziende, +poi della politica e, infine, dello Stato e del mondo. +Fisicamente, Aaron si presenta come un bambino apparentemente fragile e +minuto. Timido, dimostra meno anni di quelli che ha. E sarà sempre così. +Per carattere è molto restio a condividere i suoi stati d’animo e le sue vulnera­ +bilità, soprattutto per non destare preoccupazioni in capo alle persone a lui care. + +La sua dieta alimentare è un disastro. È ossessionato, sin dalla giovane età, dai +colori dei cibi, e prende ben presto la decisione di mangiare soltanto prodotti di +colore bianco o giallo. Non mangia frutta: ne ha il terrore. Non mangia verdura: +predilige ciotole di riso, piatti di maccheroni col formaggio e patate fritte. +A 12 anni gli è diagnosticata una patologia molto grave che lo porta ad af­ +frontare una condizione di dolore, e di disagio, per tutto il resto della vita, e che +influirà molto sul suo carattere sia da adolescente, sia da adulto. +La sua adolescenza è caratterizzata da questo conflitto tra mondo reale e +mondo di Internet. +Nel mondo reale vive nel suo piccolo sobborgo vicino a Chicago. Si sente un +po’ fuori posto: non vuole frequentare la scuola, gli amici e le occasioni di svago +sono poche, vuole solo avere più tempo per fare tutte le cose che gli vengono +in mente ogni giorno. +Pian piano, si rende conto che a lui non interessa poi così tanto il “mondo +fisico”, il verde e le foglie di Highland Park. A lui interessano, ormai, soltanto i +computer e i libri. +È affascinato da quella Internet che ha scoperto da giovanissimo. Un luogo +dove viene definito, e apprezzato, solo in base alle sue migliori qualità, alla sua +capacità di parlare con i computer e con la rete. +Aveva già deciso che quello sarebbe stato il suo “primo luogo” dove vivere e +lavorare. Non appena aveva accesso a un computer e a una connessione, entrava +nel web e capiva, giorno dopo giorno, che lì c’era qualcosa che avrebbe cam­ +biato tutto. Che avrebbe cambiato il mondo e la storia. Che avrebbe cambiato il +modo stesso di intendere la cultura e la comunicazione. + 29 +1. Un bambino e un computer +Nel 1999 – compiuti dodici anni – il piccolo Aaron comincia a diventare +adulto, e inizia a pensare in grande. +Decide di creare, nientemeno, che un’enciclopedia. Esatto, proprio un’enci­ +clopedia online. Un’idea di Wikipedia ancor prima che Wikipedia fosse nota e +diffusa in tutto il mondo. +Un’enciclopedia, per di più, che nella sua idea si sarebbe generata con il con­ +tributo di tutti gli utenti collegati in rete. Sarebbe stato lui stesso a invitare come +collaboratori, pian piano, tanti altri individui, affinché contribuissero a questo +progetto in comune, regalando al mondo online, gratuitamente, il loro patrimo­ +nio di conoscenza. +È molto significativo che il primo progetto di Aaron riguardi anche i contatti +tra le persone, il mettere insieme tante menti eterogenee per raggiungere un +obiettivo in comune: il fare incontrare le persone. +Il giovane era in rete, sempre, ma non era realmente isolato. Lavorava, in que­ +sto ambiente digitale, anche per generare collegamenti e reti tra le persone, nella +convinzione che fosse impossibile cambiare il mondo senza mettere insieme le +forze, e le menti, in maniera armoniosa. +Decise di chiamare questo suo primo progetto “The Info Network”. Non è +un caso che la sua prima idea concreta abbia riguardato un’enciclopedia. La sua +passione per i libri, per la scrittura e per i contenuti sarà una costante in tutta la +sua vita. +Aaron era così: quando entrava, per la prima volta, nell’abitazione di un ami­ +co o di una famiglia, la prima cosa che domandava era di poter osservare la +libreria di casa e i suoi contenuti. In ogni nuova città dove si recava, la prima +visita che faceva era, solitamente, presso la biblioteca cittadina. +Ciò significa che il sapere, i contenuti, l’aggregare un enorme quantitativo +di informazioni in maniera ordinata, sfruttando la capacità di generazione col­ +lettiva di contenuti che Internet consentiva – e, quindi, la chiamata alle armi di +tanti altri utenti – erano già principi ben chiari e definiti nella mente di Aaron +dodicenne. +Questo progetto fu talmente ben impostato e realizzato che portò il giovane +in finale a un premio importante: ArsDigita. +Si trattava di un concorso che premiava giovani che stavano avviando i primi +progetti di siti web senza finalità commerciali, utili per tutti i cittadini e con +spiccate connotazioni didattiche e collaborative. +La sua strada, anche per la programmazione, inizia a essere segnata: in futuro, +le sue energie informatiche saranno dedicate – tranne una brevissima parentesi +di pochi mesi – non a progetti commerciali, come molti suoi coetanei geni del +business o della programmazione nella Silicon Valley di allora, ma a unire le +persone, a liberare la conoscenza, ad alimentare attivismo e non profit. +Scherzo del destino, pochi anni dopo, sua mamma gli fece conoscere +Wikipedia – che era stata fondata il 15 gennaio 2001 – e Aaron, ovviamente, + 30 +Aggiustare il mondo +si appassionò. Divenne uno dei contributor più amati e ricordati: preparò de­ +cine di pagine dedicate, soprattutto, a recensioni di libri e, a un certo punto, si +interessò anche alla governance del progetto e si candidò per una posizione +ufficiale. +In finale del premio ArsDigita, il giovane Aaron vinse 1.000 dollari. Ebbe, +quindi, una prima gratificazione economica per le sue idee. +Ma furono due gli eventi per lui realmente importanti in questa (prima) oc­ +casione pubblica. Era stato premiato con un viaggio al Massachussets Institute +of Technology, il famoso MIT. La culla degli hacker. E aveva conosciuto una +persona che lo aveva stupito, e che lo motivò tantissimo: lo scienziato informa­ +tico Philip Greenspun, uno dei primi studiosi a sviluppare teorie sulle comunità +online. +Greenspun insegnava ingegneria elettronica e informatica proprio al MIT. Al +Massachusetts Institute of Technology, l’hacking era una tradizione sacra. +La curiosità regnava. +La violazione degli spazi e dei confini, sia informatici, sia fisici, era diffusissima. +I trucchi per aggirare gli ostacoli, gli strumenti per scassinare serrature e +lucchetti o per entrare in sgabuzzini chiusi, erano condivisi ogni giorno e consi­ +derati parte della cultura stessa che avrebbe portato all’innovazione. +Soprattutto, erano comportamenti che, generalmente, non venivano +sanzionati. +Il MIT era stato fondato nel 1861 da un geologo, William Barton Rogers. +Divenne ben presto l’università privata più rinomata per la qualità dell’insegna­ +mento e, soprattutto, dell’attività di ricerca. Era nota per coltivare lo studio delle +materie scientifiche (biologia, fisica, chimica, matematica e scienze della terra) +anche se, nel tempo, aveva iniziato ad ampliare l’offerta di corsi di studio alle +discipline linguistiche, economiche e alle scienze politiche. +La reputazione di cui godeva già ai tempi di Swartz era dovuta, in gran parte, +ai sofisticati laboratori che metteva a disposizione degli studenti. +Vi si potevano trovare laboratori d’intelligenza artificiale – dove iniziò a ope­ +rare, tra gli altri, il teorico del software libero Richard Stallman – un reattore +nucleare e vari acceleratori ad alta energia. +Grazie a tali caratteristiche, il MIT aveva iniziato ad attirare le menti più +brillanti del mondo. Veniva spesso citato in romanzi, film e telefilm al fine di +conferire ai personaggi qualità come grande intelligenza ed eccelse conoscenze +scientifiche e tecnologiche. +Gli studiosi dei fenomeni di hacking ricordano come al MIT fosse attivo il +celebre Tech Model Railroad Club, un club di appassionati di trenini elettrici, che è +considerato il “nido” dei primi hacker al mondo. +Per comprendere il fascino di quell’ambiente, si leggano, ad esempio, questi +suggestivi stralci di un post apparso sul blog di Aaron il 25 aprile 2002 (“Boston + 31 +1. Un bambino e un computer +Trip Story”) dove si racconta, proprio, di una sua “peregrinazione” attraverso i +bellissimi edifici del MIT. +Presi un taxi e andai al “77 Massachusetts Avenue”. «MIT», dissi al tassista, come +se avessi un breve ripensamento. Pagai, e iniziai a camminare in maniera spedita. +Controllando l’orologio, notai che ero in anticipo di mezz’ora. Cercai di collegar­ +mi a Internet, ma il MIT mi aveva bloccato l’accesso. Cercai un terminale aperto, +ma tutti richiedevano una password. Decisi di aspettare. Prima si presentò Robert +Mello e, presto, cominciarono ad arrivare altre persone. Purtroppo la stanza era +chiusa a chiave, quindi non potevo accedere a Internet. Scherzai sul fatto che sarei +potuto entrare nella stanza attraverso i condotti dell’aria e “liberare” i terminali, +come ai tempi degli hacker del MIT. Un professore di fisica che mi ascoltò, disse: +«Hacker? Non ne abbiamo al MIT!». Alla fine, Andrew Grumet arrivò, e ci fece +entrare. C’era un bel gruppo di studenti, con un tavolo pieno di persone di Ope­ +nACS. Si trattava di un’aula elegante con molta luce, lavagne, proiettori e attrez­ +zature informatiche. Tutti erano molto cordiali. Mi sono scusato per andare alla +riunione del W3C SWAD, e ho camminato per qualche isolato fino a Tech Square. +Ho trovato il piano del W3C, ma non ho visto nessuno che riconoscessi. Ho +controllato la mia posta elettronica utilizzando la rete wireless disponibile (che, a +differenza del resto delle reti del MIT, era aperta), e ho scoperto che quel giorno +non c’era nessuno. Una persona era rimasta a casa, un’altra era malata, una terza +era stata chiamata da un’altra parte per fare qualcos’altro, e Tim Berners-Lee era +in Giappone. Dopo aver scattato qualche foto, me ne sono andato. Scoraggiato, +e alla ricerca di qualcosa da fare, sono salito su un taxi per raggiungere gli uffici +della Free Software Foundation. Come ogni programmatore di software libero sa, +la Free Software Foundation si trova alla Suite 330, 59 Temple Place, Boston, MA, +e bisogna scriverle per ottenere una copia della licenza GPL, nel caso non sia stata +inclusa nel software. A causa della strana numerazione degli uffici, stavo per non +individuare la suite 330 ma, alla fine, ho bussato alla porta e sono entrato. Come +ci si potrebbe aspettare, la stanza era disseminata di carta, CD e capi d’abbiglia­ +mento con loghi GNU. Lisa è stata così gentile da farmi fare un giro degli uffici. +Avevano un secondo ufficio al piano superiore, con una targa sulla porta che +recitava “GPL Compliance Lab”. All’interno c’era una stanza sorprendentemente +pulita, con un paio di programmatori che eseguivano GNOME su computer por­ +tatili. Ho iniziato a chiacchierare con Jonathan Watterson, attivista della FSF per le +libertà digitali. Abbiamo discusso del DMCA, della legge Hollings e della BDPG. +Mi disse che teneva conferenze e lezioni nei college e che, al momento, stava +pianificando cosa fare in estate, una volta finita la scuola. Tornammo al piano +di sotto, e comprai una classica maglietta GNU. Lisa mi diede tanto materiale da +leggere, alcuni adesivi e delle spillette con la scritta “Free All E-Book Readers & +Programmers / Repeal the DMCA!”. L’ho ringraziata e le ho infilate nello zaino. +Andai a perfezionare l’acquisto della maglietta, e un altro addetto inserì i dati del +mio ordine in un modello Emacs RFC822. Ha premuto alcuni tasti e ha generato, +e stampato, una fattura (numero 11756). Lisa mi ha portato una tazza GNU e +io ho messo tutto nel mio zaino (che stava diventando sempre più pesante). Mi +guardai intorno per cercare copie della GPL, ma non ne trovai. Immagino che + 32 +Aggiustare il mondo +le stampassero al volo quando qualcuno le richiedeva (e, probabilmente, non era +molto frequente). Li ringraziai di nuovo, e me ne andai. Presi un taxi per tornare +al MIT, e iniziai a cercare un terminale d’accesso. Trovai un monitor che mostrava +le varie stampanti su una mappa del campus. Una di queste era etichettata come +“Hayden”. Avevo sentito dire che la biblioteca Hayden aveva dei terminali che +potevano essere utilizzati da chiunque, così mi ricordai della collocazione dell’edi­ +ficio nella mappa, e mi recai lì. C’erano un po’ di macchine Windows disponibili. +Lanciai un browser web, e usai un applet Java SSH per accedere al mio server e +vedere cosa succedeva. Presto fu il momento di andare. Avevo organizzato un +incontro con la mia amica, e studentessa del MIT, Nada Amin, alla gelateria del +campus. Mi sedetti con il mio zaino e aspettai, leggendo il materiale GNU per +passare il tempo. Mi accorsi che era passata l’ora in cui sarei dovuto partire per +prendere l’aereo e ricevetti una telefonata di promemoria da mia madre che mi +diceva di muovermi subito. Nadia non si era ancora presentata. Decisi di aspettare +ancora un po’, e arrivò. Comprò un gelato per entrambi e chiacchierammo pia­ +cevolmente. Alla fine, dissi che purtroppo dovevo ripartire, e presi un altro taxi. +Philip Greenspun, il grande studioso del MIT che, con una sua lezione, riuscì +nell’impresa di interessare – e motivare – il giovane e inquieto Aaron, ricorda +bene ancora oggi, sul suo blog, quel dodicenne e, soprattutto, le sue incredibili +qualità. +Un comitato scientifico composto di eccelsi programmatori – scrive Greenspun +– aveva selezionato Aaron tra diverse centinaia di candidati, e nominati, per il +premio ArsDigita nell’estate del 2000. All’età di 12 anni, Aaron aveva costruito un +sistema informatico utilizzando l’RDBMS Oracle e il nostro toolkit open-source. +L’intento del premio era quello di incoraggiarli e metterli in condizione di fare +di più. All’epoca, Aaron aveva solo tredici anni. Era alto meno di un metro e +cinquanta. E, da allora, ogni volta che qualche informatico si lamentava che il +nostro software e/o Oracle fossero troppo difficili da installare, mi veniva na­ +turale rispondere: «Beh, un dodicenne di Chicago ci è riuscito. Con la tua laurea +in informatica, e il tuo team di assistenti, spero proprio che anche tu riesca a far +funzionare tutto…». +Quell’Aaron bambino/adolescente sarebbe ben presto diventato l’Aaron +celebrato in tutto il mondo grazie, proprio, a questa strana combinazione di +fattori. +Innanzitutto, l’ossessione per un accesso illimitato alle informazioni e alla +conoscenza. Poi, la condivisione del suo modo di lavorare con i suoi pari. +Aveva alle spalle una famiglia che lo amava tantissimo, che gli finanziava gli +spostamenti per partecipare ai vari meeting e che lo aiutava a crescere. +Per di più, si trovava a vivere proprio in un momento storico dove si stava +costruendo la tecnologia che avrebbe permesso la condivisione dell’informa­ +zione in rete. + 33 +1. Un bambino e un computer +E lui fu uno dei primi a percepire la novità, a trarre vantaggio da questo +panorama e a usare la sua curiosità, la sua motivazione e il suo carisma per +investire tutto il suo tempo nella comprensione, e programmazione, di questo +nuovo ambiente. +Gli insegnanti, e il mondo attorno a lui, lo volevano spesso coinvolgere in +progetti per bambini. Lui, però, aveva già chiara la visione del mondo tecno­ +logico che sarebbe venuto di lì a poco, e iniziò una ricerca costante di persone +come lui, con la sua stessa curiosità e talento. Soprattutto, andava a caccia delle +più carismatiche, per costruire qualcosa insieme a loro. +Aveva capito, sin da quando aveva tre anni, come l’informazione, nell’era di +Internet, fosse divenuta la valuta più preziosa e, soprattutto, un bene del quale +nessuno doveva essere privato. +La cosa che, agli occhi di Aaron, rendeva Internet qualcosa di magico era la +possibilità di trovare altre persone con cui connettersi. +Ognuna di queste persone generava pagine e contenuti, e molti di questi +contenuti erano interessanti, ed aumentava giorno dopo giorno il numero di +informazioni che si potevano trovare online. +Da lì iniziò la sua impazienza che tutto il mondo fosse online, la sua passione +per progetti grandissimi, enormi, dove tutto il sapere, in un certo ambito, finisse +online. Tutti i libri del mondo. Tutte le sentenze. Tutte le leggi. Tutte le infor­ +mazioni sui politici. Tutti i documenti pubblici. +Sul suo blog, ricordava spesso questo vero e proprio colpo di fulmine nei +confronti della rete di allora. +Ero attratto da Internet – scrive – perché era una cosa da sempre presente +nella mia famiglia. Mio padre lavorava con un computer, quindi ne ho pos­ +seduto uno praticamente appena nato: era uno dei tanti giocattoli con cui +giocare. Ed era diventato subito il mio preferito. Ci sono tantissime cose +che potevi creare con le costruzioni, ma con un computer potevi costruire +un mondo intero. Interi mondi. Poi, quando è arrivata Internet, non era +più solo il tuo mondo. Potevi invitare altre persone a prendervi parte. Io +sono nato in un piccolo sobborgo fuori Chicago, e non c’era molta gente +nella mia strada. Non avevo molti amici. Invece, con Internet ho potuto +conoscere persone sparse in tutto il mondo, discutere degli argomenti cui +ero interessato e che a scuola non interessavano a nessuno. Improvvisa­ +mente, tutta questa subcultura esisteva in un luogo dove tutti ne erano +ossessionati e affascinati. Era così interessante. +Già da bambino, in rete, e grazie a un computer, si stavano formando la sua +attitudine e il suo carattere. Sentiva molto forte l’idea che non fosse sufficiente +vivere nel mondo così com’è, prendere ciò che viene dato, e seguire le cose che +gli adulti, i genitori e la società dicono di fare. + 34 +Aggiustare il mondo +Iniziava a farsi largo in lui l’idea che tutto si dovesse sempre mettere in di­ +scussione, e iniziò a elaborare la sua idea di attitudine scientifica. +Tutto ciò che hai imparato, scriveva spesso Aaron, è solo provvisorio, sempre +aperto a essere rifiutato, o discusso di nuovo, o questionabile, o confutato. +E pensava che lo stesso metodo si potesse applicare alla società tutta: una +necessità costante di confrontarsi con le persone, per testare tutto quello che si +sta facendo. +Nel 2009, a ventitré anni, Aaron si recò in Brasile, e rimase per qualche tem­ +po con Ronaldo Lemos, a quel tempo studioso a capo del progetto Creative +Commons Brasile. +In un’intervista, Aaron sintetizzò con grande precisione questo primo perio­ +do della sua vita. +Sono cresciuto come il più grande di tre figli in un piccolo sobborgo nel centro +degli Stati Uniti – dichiarò al giornalista – Mio nonno gestiva una piccola azienda +di insegne, che mio padre aveva rilevato e trasformato in una piccola azienda di +software, quindi, in casa c’erano sempre dei computer. Non c’era molto da fare +nella nostra città, ho passato molto tempo a giocare con quei computer. Abbiamo +avuto Internet molto presto (nel 1992, o giù di lì) e, da allora, ho trascorso gran +parte della mia vita online: leggendo e-mail, partecipando a gruppi di discussione, +navigando sul web. La scuola che frequentavo era a sei miglia di distanza, quindi +non vivevo vicino a molti dei miei amici. Invece, ho fatto amicizia attraverso +Internet. +La conoscenza del mondo della programmazione e delle community fu, per +lui, una scoperta rivoluzionaria. +Quando avevo circa 12 anni – ricorda – mio padre andò in viaggio d’affari al MIT +e mi portò con sé. Ho trascorso una giornata in una classe di un professore del +MIT, Philip Greenspun, che ha spiegato i principi fondamentali per la costruzione +di applicazioni web. Ero così entusiasta della lezione, che tornai subito a casa e +provai a creare qualcosa. La prima cosa che realizzai fu un’enciclopedia online che +chiunque poteva modificare ma, alla fine, lo fecero solo mia madre e i miei amici +di scuola. La seconda cosa che feci fu l’elaborare un programma per prendere le +notizie da tanti siti di notizie diversi, e combinarle in un’unica pagina in maniera +ordinata. All’epoca era piuttosto complicato: ogni sito di notizie aveva un proprio +formato con cui le pubblicava, e bisognava scrivere un software che le leggesse +a una a una; c’erano, però, alcune persone che avevano iniziato a parlare dell’esi­ +genza di creare uno standard, in modo che ci fosse un solo formato da leggere. +Ovviamente, ho iniziato a frequentarle. Naturalmente, essendo un ragazzino, ave­ +vo molto tempo libero, così finii per occuparmi sempre di più dello studio e del +lavoro su questi temi, fino a diventare uno dei redattori della specifica che divenne +nota come RSS 1.0. + 35 +1. Un bambino e un computer +L’occasione di questa intervista gli fece anche spendere alcune parole, e ri­ +flessioni, sul suo profilo da bambino. +Quando ero bambino – ricorda – pensavo molto a ciò che mi rendeva diverso +dagli altri bambini. Non credevo di essere più intelligente di loro e, di certo, non +avevo più talento. E non posso certo affermare di essere un lavoratore più im­ +pegnato e diligente: non ho mai lavorato, ho sempre cercato di fare cose che mi +divertissero. Invece, ho concluso che ero più curioso, ma non perché fossi nato +così. Se osservate i bambini piccoli, sono tutti estremamente curiosi, sempre in +esplorazione, e cercano di capire come funzionano le cose. Il problema è che la +scuola fa svanire tutta questa curiosità. Invece di lasciarti esplorare le cose da solo, +la scuola ti dice che devi leggere particolari, e specifici libri, e rispondere a parti­ +colari, e specifiche, domande. E se si cerca di fare qualcos’altro, si finisce nei guai. +Sono poche le persone la cui curiosità innata possa sopravvivere a un ambiente di +questo tipo. Ma, per un caso fortuito, la mia ce l’ha fatta. Ho continuato a essere +curioso, e ho seguito la mia curiosità. +La curiosità, ribadisce, connoterà tutta la sua vita, tracciando un filo che at­ +traversa tutti i suoi progetti. +Prima mi sono interessato ai computer, che mi hanno portato a interessarmi a +Internet, che mi ha portato a interessarmi alla costruzione di siti web di notizie +online, che mi hanno portato a interessarmi agli standard (come RSS), che mi +hanno portato a interessarmi alla riforma del diritto d’autore (dato che Creative +Commons voleva utilizzare standard simili). E così via. La curiosità si auto-ali­ +menta: ogni nuova cosa che s’impara, genera ogni sorta di componenti e connes­ +sioni diverse, che poi si desidera approfondire. Ben presto ci s’interessa a sempre +più cose, fino a quando quasi tutto sembra interessante. E quando è così, imparare +diventa davvero facile: si vuole imparare quasi tutto, perché non c’è nulla che non +sembri davvero interessante. +Aaron conclude l’intervista con una buona dose di umiltà: +Sono convinto che le persone che definiamo “intelligenti” siano soltanto per­ +sone che, in qualche modo, hanno goduto di un vantaggio in questo processo. +Mi sembra che l’unica cosa che ho fatto davvero sia stata seguire la mia curiosità +ovunque mi portasse, anche se questo ha significato fare cose folli, come lasciare +la scuola o non accettare mai un lavoro “vero”. Non è facile – i miei genitori +sono ancora arrabbiati con me perché ho abbandonato la scuola –, ma per me ha +sempre funzionato. + 2. Un teenager su un milione +Quando Aaron compie tredici anni – l’8 novembre 1999 – lo scienziato ingle­ +se Tim Berners-Lee e il W3C, il consorzio che riunisce gli sviluppatori che stan­ +no concretizzando l’idea del world wide web, sono già dei punti di riferimento +mondiali. Sono visti, ovunque, come l’Olimpo tecnologico, il gotha dei tecnici +che stanno letteralmente costruendo il futuro della rete, della sua architettura e +dei suoi contenuti. +Sir Tim Berners-Lee, in particolare, è riconosciuto da tutta la comunità scien­ +tifica come il “padre” del web. È lo studioso che ha progettato, e avviato, l’idea +di un web fatto di contenuti ipertestuali, e che sta per cambiare il modo attraverso +il quale saranno fruite le informazioni. +Il consorzio, dal canto suo, è un ambiente di lavoro dove i più grandi pro­ +grammatori che ci siano, e le menti più illuminate raccolte attorno a questa nuo­ +va idea dell’Internet grafica, discutono, anche in vivaci mailing-list, sulle singole +tecnologie e sui linguaggi da sviluppare per creare, al meglio, questo web più +utile, semplice ed efficiente. +Da tempo, in particolare, è in corso, tra le altre, una discussione molto par­ +tecipata su RSS, un formato per la distribuzione di contenuti sul web basato su +XML. Il fine è quello di progettare un sistema semplice, estensibile e flessibile. +RSS, infatti, avrebbe avuto un’importanza centrale nel sistema del (futuro) +web grafico: avrebbe garantito ordine nei flussi di informazioni e di diffusione +di articoli/commenti sul web, permettendo un efficace aggiornamento in capo +all’utente, senza costringerlo a visitare, a uno a uno, i vari siti web di suo interes­ +se e recuperare manualmente le informazioni. +Si trattava, in sintesi, di inventare un sistema che avrebbe consentito di orga­ +nizzare tutta l’informazione in rete. Il progetto era, allora, in via di sviluppo e +stava per essere presentata la versione 1.0. +L’organizzazione, e la correlazione, delle informazioni (non solo) in rete era­ +no, come già abbiamo visto, alcuni dei temi più cari ad Aaron sin dalla sua +infanzia. +A tredici anni, le sue idee e le sue capacità di programmazione e di visione +tecnologica erano già elevatissime, all’avanguardia e molto superiori rispetto a +quelle di studiosi che da tempo facevano parte del consorzio. +Il giovane, allora, decide di “buttarsi”. Entra nelle discussioni del consorzio, +a volte anche con toni accesi, e inizia a fornire un contributo concreto allo svi­ +luppo di RSS. +Deve superare, però, un problema non da poco: ha solo tredici anni. Esiste +il rischio concreto che nessuno lo prenda sul serio, impedendogli così di + 38 +Aggiustare il mondo +contribuire concretamente a scrivere parti di quel codice che sarebbe stato la +base del web. +Come avrebbe potuto scrivere la storia insieme a Tim-Berners Lee e al suo +gruppo di lavoro, se si fosse scoperta questa cosa? +In realtà, la rete gli consentì di collaborare per mesi senza che nessuno gli +domandasse, mai, informazioni circa la sua età. +Nelle discussioni online era iper-produttivo di commenti sempre sensati, e le +sue osservazioni tecniche erano puntuali. +Un anno dopo, a 14 anni, Aaron si era perfettamente integrato nel gruppo +del consorzio e si occupava, con Berners-Lee, dello sviluppo del cosiddetto +“web semantico”. +Il giovane si era realmente appassionato – ed era prevedibile – a questa idea +estremamente ambiziosa, e rivoluzionaria, che Berners-Lee e il consorzio sta­ +vano portando avanti: volevano trasformare tutte le informazioni del mondo +in un formato che fosse leggibile dalle macchine grazie al codice informatico. +Tutta la conoscenza umana stava per diventare codice. E Aaron non vedeva +l’ora che capitasse, e stava finalmente lavorando concretamente per questo. +Danny O’Brien, un giornalista e attivista tecnologico inglese, venne a sapere, +quasi per caso, che un quattordicenne stava aiutando il grande scienziato, e il +suo gruppo, a creare una nuova infrastruttura per la conoscenza. +Si trattava, ovviamente, di una notizia importantissima, e di lì a breve il gior­ +nalista pubblicò un articolo dal suggestivo titolo “A teenager in a million”. +L’articolo si focalizzò proprio sull’età incredibilmente giovane di Aaron e sulle +sue caratteristiche, così diverse da quelle dei ragazzi della sua età. Dagli altri +“milioni di adolescenti”, appunto. +Eppure – confessò pubblicamente, tanti anni dopo, l’autore dell’articolo – la +redazione aveva completamente sbagliato quel titolo. +La cosa eccezionale, notò O’Brien, non era la sua età, e il fatto che un ragaz­ +zino così fosse un’eccezione tra i suoi coetanei dell’epoca. Eccezionale era, al con­ +trario, il fatto che tutti gli studiosi del consorzio – anche i programmatori più +anziani – avessero ben compreso come la componente più importante di questa +partecipazione di Aaron alla costruzione del mondo del futuro non fosse il fatto +che ci fosse un tredicenne tra loro, ma che un’istituzione scientifica e “formale” +come il consorzio si fosse aperta a lui. +Lo avevano lasciato entrare dalla porta principale. Senza domandare chi fosse, +che età avesse, da dove provenisse, se avesse studiato o meno. Semplicemente, +lo avevano accolto per farlo lavorare – dato che lavorava bene – e perché, così, +l’umanità avrebbe potuto fruire del suo lavoro. E apprezzarlo. +Dal canto suo, il ragazzo si era improvvisamente ritrovato nel suo ambiente +preferito, nel suo elemento naturale. + 39 +2. Un teenager su un milione +Poteva lavorare sui temi che gli piacevano, contribuire insieme a suoi pari +a costruire qualcosa e imparare da loro e, al contempo, cominciava a rendersi +conto di come un’istituzione pubblica o scientifica veramente aperta fosse sola­ +mente quella capace di accogliere uno sconosciuto come lui senza problemi, e +senza domandargli altro che impegno, dedizione e, soprattutto, redazione di un +buon codice informatico. +Tim Berners-Lee rimase molto legato ad Aaron, e ricordò in tantissime oc­ +casioni quei momenti che contribuirono a creare il nuovo web: la felicità che +si diffondeva quando il sistema di ricerca funzionava, le mailing list aperte e, +soprattutto, uno scambio incessante di informazioni, giorno e notte. +In un contesto così particolare, dove le sue e-mail, e le sue righe di codice, in +pratica, dovevano “parlare” per lui e per la sua persona, Aaron iniziò a sviluppa­ +re un amore per il bel codice informatico e per l’estetica della programmazione +e, allo stesso tempo, un odio viscerale per il brutto codice; la programmazione +diventò così, per lui, anche una questione di estetica e di funzionalità. +In un’occasione gli fu fatto notare, da un programmatore del gruppo, come +il codice che aveva scritto fosse obiettivamente “brutto” e, per gran parte, il­ +leggibile. Il giovane si offese, ma si difese subito dicendo che quello non era il +suo codice. O, meglio, era un codice scritto “in autonomia” da un primo codice +che lui aveva programmato. Questa cosa lo irritò, comunque: era come se un +suo figliolo avesse operato male nel generare del codice, e lo avesse fatto senza +ereditare la sua stessa sensibilità. +Esiste un aneddoto curioso, con riferimento a questo periodo storico e all’in­ +gresso di Aaron Swartz nel gruppo del consorzio, che vale la pena ricordare. È +un fatto che dimostra non soltanto l’intelligenza e l’intraprendenza del giovane +ma, anche, la forte motivazione che lo portò ad aggirare gli ostacoli e a trovare +strade alternative per entrare in un determinato consesso, con una vera menta­ +lità da hacker. +Notavamo come l’ingresso nel W3C non fosse stato affatto semplice, per +Aaron, proprio per i suoi problemi di età. Un giorno, allora, si mise a spulciare +con attenzione, riga per riga, il regolamento, per cercare qualche punto debole +tra le frasi: notò la possibilità, per ciascun membro del consorzio, di inviare un +delegato agli incontri. +Si impossessò della lista di tutti i membri, e ne trovò uno che non aveva an­ +cora individuato, e mandato, un delegato: era la HTML Writers Guild. +Chiese loro di poter partecipare come loro delegato, e glielo consentirono. +Aveva risolto il problema. +Il 27 aprile 2001 Aaron invierà la sua prima e-mail in lista, per iniziare a col­ +laborare. Il testo è ancora presente negli archivi del W3C: +From: Aaron Swartz +Date: Fri, 27 Apr 2001 06:40:09 -0500 + 40 +Aggiustare il mondo +To: +Message-ID: +Hello all, +My name is Aaron Swartz and I’m participating in this group on behalf +of the HTML Writers Guild [1]. My interests are in this project are quite +varied, including: + - in working to integrate the RDF and the Semantic Web with the web +pages we already have (through the Blogspace [2] project) + - collecting and sifting through RDF metadata to build useful informational +systems (through the Info Network [3]) +- building a strong foundation for the growth of the Semantic Web +(through my work with SWAG: The Semantic Web Agreement Group [4]) +I began my interest in RDF relatively recently through the RSS project [5] +which works is a format for website authors to provide RDF metadata +about their sites for syndication and other purposes. It has been quite suc­ +cessful so far. This drew me deeper into work with RDF doing numerous +small applications and learning more about it in the RDF-interest email +list and IRC forums. +I’m thrilled to be a part of this group and feel that we’re truly working to +build the foundation of what will become a revolutionary force in the +world. +As part of this, I feel it’s extremely important to maintain focus of re­ +al-world applications and test cases (as Dan Connolly has pointed out). I +also believe it is essential to maintain lines of communication with the +wide interest group, and the many RDF users, or future-RDF-users who +are not represented here. +Glad to be on board! See you at the teleconference. +[1] http://www.hwg.org/ +[2] http://www.blogspace.com/about/ +[3] http://www.theinfo.org/ +[4] http://purl.org/swag/ +[5] http://purl.org/rss/1.0/ +-- +[Aaron Swartz | me@aaronsw.com | http://www.aaronsw.com] + 41 +2. Un teenager su un milione +Danny O’Brien, il giornalista che già abbiamo citato, e che allora lavorava al +Sunday Times, è un po’ la memoria storica di questo periodo. Si è trovato, in +innumerevoli occasioni, a descrivere questo “epico incontro” tra il creatore del +world wide web e Aaron. +O’Brien ricorda, innanzitutto, lo stile delle frasi di Aaron scritte online nelle +chat e nelle liste, il suo modo di argomentare chiaro e preciso in tutti quei gruppi +dove si lavorava insieme a uno standard per la rete e, quindi, servivano apporti +immediati e concreti. +A ciò si aggiungevano una conoscenza e competenza tecnica notevoli, unite a +una non comune capacità di scambiare, e mettere in circolo, le idee e di trovare +la risposta giusta in ogni occasione. +Non sembrava, ricorda il giornalista, una persona che lavorasse nell’ambiente +– un professionista in senso stretto –, ma era una persona che parlava tanto, che +dialogava con altri, che prendeva parte a una costante, ininterrotta conversazio­ +ne cui si applicava con grande dedizione. +Di certo, il lavorare con uno studioso del calibro di Berners-Lee ebbe, per +la crescita e formazione di Aaron, un’importanza fondamentale: lo convinse, +ancora di più, che tutto è connesso tramite hyperlinks e che ogni frammento di +informazione deve, in qualche modo, essere collegato. +Il web avrebbe dovuto insegnare all’umanità proprio questo, e l’umanità +avrebbe dovuto lavorare, tutta insieme, per raggiungere un simile obiettivo. Di +qui, la necessità di elaborare degli standard, dei linguaggi comuni e dei metodi +di classificazione delle informazioni semplici da usare. +Uno dei motivi per cui Aaron non si trovava bene a scuola riguardava proprio +il fatto che i docenti gli volessero insegnare cose separate: tante materie “verti­ +cali”, con un approccio che costringeva gli studenti a lavorare da soli. +Lui non voleva lavorare da solo. Era convinto che la liberazione assoluta della +creatività dell’essere umano potesse avvenire solo quando le idee di una persona +s’incontrano con quelle delle altre, per crearne di nuove. E, poi, si diffondono +tutte insieme. +Essere generosi, per Aaron, significava condividere idee, soprattutto idee che +potevano cambiare la vita delle persone, e far sì che il sapere di uno potesse +diventare il sapere di milioni. +La tecnologia su cui Aaron si era trovato a lavorare avrebbe permesso pro­ +prio quello: condividere le idee e trovare risposte che nessuno avrebbe potuto +trovare da solo ma, anche, ascoltare e capire gli altri entrando a far parte di +qualcosa molto più grande di noi. Il web. +Il ruolo di celebrità di Tim-Berners Lee è arrivato intatto sino a oggi. Tutti +compresero, oltre trent’anni orsono, che quando il primo sito web andò online +si era all’inizio di una delle più grandi invenzioni della storia. E la scelta nobile +che, ai tempi, fece Berners-Lee, ossia di non arricchirsi con la sua invenzione + 42 +Aggiustare il mondo +“chiudendola”, ma di regalarla all’umanità, come un novello Prometeo, contri­ +buì ancora di più a fare apprezzare la persona e lo studioso. +Tim, da giovane, era un vivace londinese, nato nel giugno del 1955, che aveva +voluto seguire le orme dei suoi genitori, tutti e due informatici. Era appassio­ +nato di trenini elettrici, come tanti hacker. Si avvicinò all’elettronica studiando +fisica a Oxford e, nel 1980, iniziò a lavorare come libero professionista per il +CERN, il consiglio europeo per la ricerca nucleare. +Al CERN, scienziati che provenivano da tante parti del mondo avevano +l’abitudine di utilizzare i loro sistemi informatici personali creando, così, un +ambiente molto eterogeneo. Ciò rendeva difficile la collaborazione scientifica +quotidiana. +L’idea di Tim fu quella di dar vita a un solo sistema di gestione delle informa­ +zioni che fosse accessibile a tutti gli scienziati che lavoravano al CERN. +Il 6 agosto del 1991, quando Aaron non aveva ancora compiuto cinque anni +– ma già si collegava in rete –, vi fu il momento storico dell’avvio di una nuova +rivoluzione tecnologica: fu messo online il primo, vero sito web, all’indirizzo +info.cern.ch, e ciò segnò la nascita del world wide web accessibile al pubblico. +Il resto entrò nella storia: nel 2004 la regina Elisabetta nominò Tim Berners- +Lee baronetto, riconoscendo il suo ruolo per lo sviluppo globale di Internet. +Sul suo primo sito web, Tim Berners-Lee descrisse con poche, ma significati­ +ve, parole l’obiettivo che aveva in mente: il world wide web era pensato per dare +un accesso universale a un grande numero di documenti. +Tim Berners-Lee voleva, allo stesso tempo, promuovere Internet come un +diritto fondamentale e come bene pubblico. Questa parte di attivismo, nell’ope­ +ra dello scienziato, influenzò non poco Aaron: si iniziò, ad esempio, a discutere +di open data e di net neutrality. +Scherzo del destino, tutto ciò fu inizialmente fatto, da Berners-Lee, nel tem­ +po libero e come progetto secondario domandando, addirittura, il permesso al +suo referente scientifico. +Tim non sopportava più l’idea che ogni studioso del centro avesse il proprio +formato di dati, anche perché, con molteplici sistemi di archiviazione e di do­ +cumentazione tutti eterogenei tra loro, era impossibile portare avanti qualsiasi +progetto in maniera ordinata e automatizzata. +Prendevo una cosa da una parte e una dall’altra – ricorda, spesso, nei suoi talk, +compreso un celeberrimo TED che vanta milioni di visualizzazioni su YouTube – +e qualunque cosa volessi approfondire, dovevo per forza connettermi con un’altra +macchina, imparare a far funzionare un nuovo programma e, alla fine, trovavo le +informazioni che volevo, però in qualche nuovo formato di dati! Ed erano tutti +incompatibili tra loro! Era davvero tutto molto frustrante: la frustrazione era data +anche da tutto questo potenziale inesplorato. Su tutti i dischi fissi degli studiosi +c’erano documenti: se si fosse riuscito a immaginarli come parte di un unico, +grande sistema virtuale di documentazione collocato da qualche parte, magari su + 43 +2. Un teenager su un milione +Internet, la vita sarebbe stata più semplice per tutti. +Non era, però, facile spiegare al mondo l’idea che Tim aveva in mente. +Ancora più difficile era costruirne l’infrastruttura tecnica alla base. +Ci voleva tanta immaginazione: bisognava che le persone si immaginassero +come quel link potesse portarle, in concreto, “verso” qualsiasi documento esi­ +stente. Questo era il passaggio interpretativo, e immaginario, che lo scienziato +domandava all’ascoltatore quando descriveva il progetto. Ed era il più difficile. +Qualcuno, però, capì, e si creò un movimento spontaneo dal basso, che rese +l’intera avventura, ricorda Berners-Lee, divertente. +Questa fu la cosa eccitante: non la tecnologia in sé, non cosa le persone ne +avrebbero fatto, ma la nascita di una comunità. Lo spirito di queste persone che +si riunivano e che si scambiavano e-mail per condividere le idee. +Oggi Tim Berners-Lee è, nei progetti che sta portando avanti, altrettanto +innovativo e non ha, di certo, perso lo smalto delle origini. +Nei suoi discorsi in pubblico più recenti ha ribadito la forte volontà che in +rete siano messi anche tutti i dati, e non soltanto dei documenti. +Lo scienziato vede ancora, in questo ambito, un enorme potenziale inesplo­ +rato, soffocato, in parte, dal fatto che tanto materiale non sia, sul web, in forma +di dati. +I documenti li leggi. Puoi “saltare” da uno all’altro – ricorda Tim Berners-Lee nel +TED che abbiamo citato poco sopra – Mentre con i dati, se hai un computer, puoi +fare tantissime altre cose. I dati, ad esempio, si possono combinare fino a creare +oggetti finali che sono più interessanti dei ‘pezzettini’ di dati presi singolarmente. +Si possono inserire all’interno di un software, ad esempio. È, quindi, davvero +importante, oggi, avere molti dati e non soltanto documenti. Immaginatevi – dice +lo studioso – un mondo nel quale tutti abbiano caricato i loro dati sul web. Un +mondo nel quale qualunque cosa voi possiate immaginare, sia presente sul web. +E chiamatelo, tutto questo, il mondo dei linked data. La tecnologia del futuro è +questa. Quella dei linked data. E nel caso voleste pubblicare qualcosa sul web per +contribuire a un simile sistema, diventerebbe un’operazione davvero semplice, a +patto che tutti seguano tre regole ben precise, affinché il sistema funzioni bene. +La prima regola è che gli indirizzi con il formato http non saranno più utilizzati +solo per i documenti ma, anche, per indicare le “cose” e gli “oggetti” di cui quei +documenti parlano. Li useremo per le persone, per i luoghi, per i prodotti, per +gli eventi: ogni sorta di concetto avrà un nome/indirizzo che inizierà per http. +Qualsiasi oggetto. La seconda regola prevede che se un utente prende uno di +questi nomi http, lo cerca, va sul web e recupera i dati corrispondenti usando il +protocollo http, ne ricaverà dei dati che sono sempre in un formato standard e che +conterranno informazioni importanti. La terza regola è che tutti i dati dovranno +essere correlati tra loro. Quando ricaviamo quelle informazioni, otteniamo anche +delle relazioni tra i dati stessi. I dati, quindi, diventano relazioni. + 44 +Aggiustare il mondo +L’idea estremamente affascinante alla base dei linked data, su cui stanno inve­ +stendo Tim Berners-Lee, il suo gruppo di ricerca e tanti altri studiosi e studiose +nel mondo, è che si possano avere molte, moltissime “scatoline” di dati e ulte­ +riori elementi informativi che, in un certo senso, “germogliano”. +Ognuna di queste “piante” che crescono sul web, di qualunque tipo essa sia – +una presentazione, un libro, una tesi, un articolo, un’analisi, un report, un archi­ +vio – “guarda” costantemente a tutti i dati di tutti gli altri elementi, e li connette +tra loro. Più “cose” ed elementi si connettono, più i dati diventano “potenti”. +Il problema concreto, che rallenta questa fase, è che i dati su Internet si pre­ +sentano, oggi, in tante forme differenti: si pensi al formato proprietario, ancora, +di tanti dati pubblici di proprietà di varie amministrazioni, nonostante il movi­ +mento per l’open data stimoli e, in alcuni casi, obblighi al rilascio di informazioni +strutturate e ordinate. +Però questi dati, se ben ordinati e linkati, possono essere utili per tutti: hanno +un valore per le imprese, ma anche per i singoli, per lo studio, per la ricerca e +per la politica. Il mettere questi dati a disposizione di tutti rende, in definitiva, +il mondo migliore. +Infine, nota Berners-Lee, una volta superato questo ostacolo (non facile, per­ +ché molti centri di ricerca pubblici e privati sono assai gelosi dei loro database, e +non li vogliono condividere), occorre far comprendere come i dati debbano es­ +sere messi a disposizione in formato raw: ossia non alterati. Servono i dati “nudi +e crudi”, proprio così come sono nati, e spesso questi dati sono già stati pagati +dai cittadini con il versamento delle tasse e potrebbero garantire, se liberati, una +interoperabilità globale, anche sui social network, unendo tante persone in un +comune, enorme obiettivo. +Lisa Rein, attivista della Electronic Frontier Foundation, una delle più impor­ +tanti organizzazioni al mondo per la protezione dei diritti nell’ambiente digitale, +è solita ricordare, in più occasioni, quei giorni nei quali Aaron si presentò online +sulle mailing list del consorzio dedicate a XMP (una tecnologia di etichettatura +e catalogazione che permette di incorporare dati relativi a un file dentro il file +stesso) e RDF (un modello standard per l’interscambio di dati sul web). +Arrivò da non si sa dove, alla fine del 2001 – rammenta Lisa in una commemora­ +zione pubblica – e faceva commenti molto precisi. Mostrava una comprensione +dei linguaggi di marcatura, e di modellazione dei dati, più profonda di tutti gli altri, +anche dei programmatori più anziani. Lo si capiva dal contenuto e dal tono dei +commenti. Aveva un talento innato per semplificare le cose e per andare immedia­ +tamente, durante una discussione, al cuore dei problemi che interessavano tutti +gli altri. Era un ragazzino che manifestava l’urgenza di essere incluso nei progetti +che stavamo portando avanti e che chiedeva di essere preso sul serio, come tutti +gli altri. + 45 +2. Un teenager su un milione +Nell’aprile del 2002, durante le prime fasi di lancio di Creative Commons, +Lisa informò Aaron di un incontro tecnico ad Harvard, e voleva assolutamente +che partecipasse. Voleva includerlo nell’intero progetto, con le stesse modalità +con cui era coinvolta lei. Lui le disse che aveva solo quattordici anni, e che +doveva prima contattare sua mamma per avere tutte le autorizzazioni del caso. +Quando Lisa insistette affinché partecipasse a quell’incontro, tutti, anche +Lawrence Lessig, videro inizialmente la cosa molto strana e, soprattutto, poco +“ortodossa”. +Hai bisogno di un quattordicenne per svolgere meglio il tuo lavoro di pro­ +grammazione? era la domanda tipica che le facevano. E la risposta era «sì». +«Ho bisogno di Aaron» – diceva sempre Lisa – «per essere sicura che la nostra +licenza di markup di Creative Commons che stiamo per lanciare sia la migliore +possibile». +Le persone, in definitiva, erano solitamente scettiche circa la figura di Aaron, +e le sue capacità, quando scoprivano che aveva solo quattordici anni. Ma bastava +parlare un poco con lui, ed era in grado di convincere tutti. +Quando Lawrence Lessig lo incontrò, capì immediatamente che Aaron era +pronto per diventare una sorta di “uomo di stato” tecnologico. E lo stesso capitò +a Cory Doctorow, scrittore e attivista, che ne rimase altrettanto impressionato. +Ho conosciuto Aaron quando aveva quattordici o quindici anni – ricorda Cory +in un suo post su Boing Boing – stava lavorando su progetti correlati all’XML e +veniva spesso a San Francisco. Stava da Lisa Rein, una mia amica che si occupava, +anche lei, di XML, che si prendeva cura di lui e che assicurava ai suoi genitori che +il ragazzo fruisse di una costante attività di supervisione da parte di un adulto. Per +molti versi, però, era già un adulto, con un intelletto profondo e veloce, che lo fa­ +ceva sentire completamente parte integrante del contesto sociale che si era creato +attorno a Internet. Apparteneva ormai, completamente, a un luogo in cui sono +solo i tuoi pensieri a contare, e non chi sei, o quanti anni hai. Ma anche allora era, +per altri versi, inequivocabilmente un bambino. Mangiava solo cibo di colore bian­ +co. Si andava in un ristorante cinese e lui ordinava riso al vapore. Gli suggerii che +si potesse trattare di un problema di percezione eccessiva dei sapori, un fenomeno +definito, dai medici e dagli scienziati, come “supertaster”, e gli diedi indicazioni +su come verificarlo. Lui lo fece, si documentò, e concluse che lo era sicuramen­ +te. Abbiamo discusso spesso circa i gravi problemi allo stomaco che aveva, e su +come avrebbe dovuto fare attenzione: i “supertaster” hanno la tendenza a evitare +le verdure dal gusto amaro e finiscono, così, per essere carenti di fibre e vitamine. +Si è subito documentato sull’argomento, ha elaborato una strategia per mangiare +meglio, e l’ha messa a punto. +L’ho presentato a Larry Lessig – rammenta, ancora, Doctorow – e ha partecipato +attivamente ai progetti del team tecnico originale di Creative Commons. Si è im­ +pegnato molto anche nelle questioni più teoriche, relative alla difesa delle libertà +tecnologiche. Aaron aveva ideali forti, e profondamente radicati, ma era anche un +giovane molto suggestionabile che, spesso, si lasciava trasportare improvvisamen­ + 46 +Aggiustare il mondo +te da nuove passioni. Sembrava sempre, in qualche modo, alla ricerca di mentori, +e nessuno di questi sembrava mai all’altezza degli standard impossibili che voleva +da loro (e che voleva da sé stesso). +Tim Berners-Lee, negli anni successivi, lo ricordò, in tante occasioni, con bel­ +lissime parole. Lo descrisse, in particolare, come un giovane molto preoccupato +per il futuro del web, irritato dalle interferenze governative nel mondo digitale +che si stavano manifestando e dai “giardini recintati” online in corso di costru­ +zione – soprattutto quelli di Facebook – che stavano chiudendo tutti i contenuti. +Aaron si opponeva fermamente alla costruzione di silos, nei quali gli utenti +non avrebbero più avuto il controllo sulle proprie informazioni. +Al contempo, il giovane sperava che i legislatori di tutto il mondo finalmente +si rendessero conto di come l’accesso alle informazioni, anche altrui, non do­ +vesse necessariamente essere considerato un crimine ma, al contrario, un diritto. +Aaron cominciava già a rendersi conto di questo profondo sospetto alimen­ +tato nei confronti degli hacker e di chiunque accedesse a un sistema informati­ +co, anche se l’accesso veniva effettuato in base a principi considerati etici e per +rendere più equo, e più giusto, il mondo. +Le grandi capacità di programmare, e di entrare nei sistemi, potevano diven­ +tare lo strumento per cambiare il mondo che si riteneva ingiusto, per portare +cambiamenti e per abbattere le barriere culturali. +Il giovane Aaron aveva compiuto, in piena adolescenza, un grande salto con +le sue competenze da programmatore ed era entrato a far parte di un team che +aveva fatto, e stava facendo, cose incredibili. +All’orizzonte, però, stava intravedendo come le sue capacità potessero servi­ +re anche alla politica, intesa, in questo caso, come insieme di azioni per cambiare +la società che si stava trasformando attorno a lui. +Sarà l’incontro con il professore di diritto Lawrence Lessig, nei mesi successi­ +vi, a radicare in lui ancora di più questi nobili propositi, e a legarlo a doppio filo +con l’idea di lotta per le libertà digitali. + 3. L’incontro con Lawrence Lessig +San Francisco, California, dicembre del 2002. Aaron ha appena compiuto +sedici anni. +È in corso, in una sala-conferenze gremita, l’evento di lancio del progetto +Creative Commons, un’ambiziosa e sofisticata strategia per la liberazione della +cultura e dei contenuti online. +I fondatori, le fondatrici, decine di studiosi, studiose e ospiti si danno il cam­ +bio sul palco per illustrare con entusiasmo le basi e i punti specifici dell’inizia­ +tiva. Tra il pubblico vi sono centinaia di programmatori, attivisti, imprenditori, +musicisti, registi, informatici e politici. +Il podio per i relatori è in legno, abbastanza spartano, con alcuni computer +portatili impilati con cura. +Aaron, data la sua statura, arriva a malapena al microfono. Nelle riprese vi­ +deo, in rete, che hanno custodito la memoria di quell’evento, appare emozionato +ma, poi, si rivela sicuro nel parlare e, soprattutto, sembra estremamente convin­ +to di ciò che sta dicendo. Il suo laptop bianco gli fa da scudo, e ogni tanto si +aiuta con qualche appunto su carta per recuperare il filo del discorso. +Il ragazzo si trova lì per spiegare in maniera semplice cose complesse a un +pubblico di adulti: sta realizzando, in pratica, uno dei sogni della sua vita. +Il dubbio originario, in capo agli organizzatori, era se quel consesso così im­ +portante fosse in grado di prendere sul serio la presentazione di un adolescente. +L’adolescente, dal canto suo, di dubbi non ne aveva: per quasi cinque minuti +parlò senza fermarsi e illustrò l’architettura informatica che aveva in mente e +che venne, poi, incorporata in quel progetto che diventerà Creative Commons. +Da lì in avanti, Aaron Swartz sarà sempre considerato come uno degli “ar­ +chitetti” della parte più tecnologica di Creative Commons, ossia di quello che +è, probabilmente, l’aspetto più innovativo delle licenze che stavano per essere +presentate per la prima volta. +Dopo aver partecipato alla creazione delle specifiche RSS, Aaron lasciava +così la sua impronta in un altro progetto che avrebbe cambiato sensibilmente il +modo di interpretare il copyright nella società digitale. +Sul suo blog, in un post del 5 marzo 2002 (“Aaron joins Creative Commons +as RDF Advisor”), il ragazzo aveva annunciato l’inizio di quella attività: +Oggi ho avuto, finalmente, il permesso di annunciare al mondo che sto lavorando +al progetto Creative Commons in qualità di RDF Advisor. Non posso dire in det­ +taglio cosa sto facendo, se non che mi sto occupando di RDF, e che sto fornendo +loro una consulenza. Ora mi stanno gentilmente accompagnando alla Emerging +Technology Conference di O’Reilly, dove il progetto farà il suo debutto. Riporto, qui di +seguito, alcune dichiarazioni, citazioni, comunicati stampa e note di programma + 48 +Aggiustare il mondo +della conferenza: Creative Commons, ideato dal professore di legge di Stanford +Lawrence Lessig, intende produrre licenze per la proprietà intellettuale flessibili +e personalizzabili che artisti, scrittori, programmatori e altri creatori di contenuti +potranno ottenere gratuitamente al fine di definire, da un punto di vista giuridico, +l’uso consentito del loro lavoro da parte di terzi. Lisa Rein, che si occupa dell’ar­ +chitettura tecnica, illustrerà, e dimostrerà, come il progetto utilizzi JavaScript, Perl, +HTML e XML per creare un’applicazione basata sul web pensata per generare +metadati associati alle opere digitali in un formato che sia leggibile dalle macchi­ +ne. I metadati aiuteranno a costruire licenze innovative e flessibili progettate per +aiutare i creatori di opere dell’ingegno a condividere il loro lavoro con il pubblico +a condizioni convenienti. I motori di ricerca, le applicazioni di condivisione dei +file, gli strumenti di gestione dei diritti digitali e tutte le altre tecnologie emergenti +riconosceranno, così, automaticamente le condizioni di utilizzo di tali opere. +L’idea di Creative Commons era venuta nel 2001 a Lawrence Lessig, giurista +nordamericano. +Il suo obiettivo era quello di facilitare la condivisione e l’accesso alle opere +dell’ingegno nel mondo digitale e in rete, al fine di dar vita a una società tecno­ +logica che fosse più equa, accessibile e innovativa. +Il grande costituzionalista voleva, in pratica, partire dal diritto d’autore, e dai +suoi limiti, per cambiare il quadro giuridico, economico e politico esistente. +Il cuore del progetto, e gli strumenti che avrebbero portato a questo cambia­ +mento, prendevano la forma, essenzialmente, di licenze d’uso, le “licenze CC”, +che erano state pensate non tanto per restringere eventuali utilizzi delle opere +ma, al contrario, per cercare di aumentare i margini di libertà in capo ai loro +utilizzatori. +Si partiva, quindi, da un elemento legale tradizionalmente restrittivo – un +tipico contratto di licenza d’uso – per adattarlo, sempre rimanendo nell’alveo +del diritto e della tutela giuridica, a una società tecnologica, e a un mondo di +creatori, che erano radicalmente cambiati e che richiedevano, a gran voce, nuove +forme di fruizione più libere, liquide e versatili. +Un riferimento importante, per Lessig, erano state le licenze libere che si +erano diffuse per il software, in particolare la GPL di Richard Stallman, alla base +del movimento GNU/Linux che aveva, tanti anni prima, “liberato” il software. +Si voleva riprodurre ciò che era accaduto con il software libero nel mondo +dei contenuti che, appunto, non fossero software: scritti, video, opere musicali e +teatrali, fotografie, ossia tutti quei prodotti della cultura che stavano alimentan­ +do la rete in quegli anni e che, spesso, erano creati dagli utenti stessi. +Secondo Lessig, e altri studiosi, tutti avrebbero dovuto avere piena coscienza +del termine “software libero” e della cultura, e filosofia, ad esso sottesi, per ben +comprendere anche il loro progetto CC. + 49 +3. L’incontro con Lawrence Lessig +Le origini di un’idea di software libero si possono localizzare nel campus del +MIT, dove, negli anni Ottanta, prese forma e vita la Free Software Foundation, +presieduta da Richard Stallman. +Il software libero è, in estrema sintesi e nell’interpretazione del suo fondatore, +un codice informatico che porta con sé una “promessa”. In realtà, le promesse +del software libero sono ben cinque, quattro esplicite e una correlata e implicita. +Queste prime promesse esplicite sono numerate da zero a tre e sono le se­ +guenti: 0) la libertà di fare funzionare, e utilizzare, il programma per qualsiasi +fine; 1) la libertà di studiare come funzioni il programma, e di adattarlo alle +proprie esigenze; 2) la libertà di ridistribuire copie del programma con il fine di +aiutare il prossimo; 3) la libertà di migliorare il programma e di rilasciare i propri +miglioramenti al pubblico, di modo che ne possa beneficiare l’intera comunità +dei programmatori e degli utenti. +La prima e la terza libertà portano a un’altra libertà finale, ancora più impor­ +tante: la necessità imprescindibile dell’accesso al codice sorgente del programma. +Un software che offra agli eventuali utilizzatori tutte queste libertà è conside­ +rato libero; un software che non preveda anche solo una di queste libertà, non +lo è. +Stallman presentò il suo movimento come una reazione ai cambiamenti che +erano avvenuti nell’ambiente di sviluppo del software. Nel mondo che lui aveva +conosciuto, i programmatori erano una sorta di “scienziati etici”: lavoravano su +problemi d’interesse comune e condividevano la conoscenza che il loro lavoro +generava. Stallman creò, allora, una struttura che avrebbe permesso di preser­ +vare quell’integrità che i programmatori pensavano dovesse caratterizzare il loro +ambiente. +La base di questa struttura sarebbe stata un sistema operativo libero, ispirato +da Unix ma non Unix, e chiamato GNU, “Gnu is not Unix”. +In quegli anni, l’obiettivo di Stallman sembrava irraggiungibile, anche per­ +ché nessuna persona, e nessun gruppo di volontari, aveva mai avuto successo +nel terminare un progetto-software che prevedesse la creazione di un sistema +operativo completo. Stallman e i suoi collaboratori iniziarono, però, con piccoli, +ma importanti, passi, e crearono un compilatore, GCC, e l’editor Emacs. Tutto +questo software fu basato, per quanto riguarda la sua creazione e la sua distribu­ +zione, su quella che molti reputarono l’idea più brillante di Stallman: una licenza +d’uso volta ad assicurare che il codice che lui stava costruendo rimanesse per +sempre libero. +Dopo sei anni di progetto, tuttavia, a GNU mancava un kernel, il cuore del +sistema operativo che fornisce il controllo dell’hardware di un computer. +Questa parte non fu aggiunta da Stallman ma, nel 1991, da Linus Torvalds, +uno studente finlandese che avviò, di sua iniziativa, la programmazione di un +kernel rilasciato in base a licenza GPL. + 50 +Aggiustare il mondo +Gli hacker iniziarono a integrare il kernel in GNU/Linux e, più o meno a +metà degli anni Novanta, apparve un intero sistema operativo libero e funzio­ +nante che si diffuse attraverso Internet, sino a diventare un diretto concorrente +di Microsoft Windows. +Non appena il movimento del software libero prese forza, iniziarono ad es­ +sere chiariti alcuni punti essenziali, soprattutto dal punto di vista del possibile +impatto economico di questo nuovo modo di concepire lo sviluppo dei pro­ +grammi per elaboratore. +Innanzitutto, fu evidenziato come il software libero si potesse anche usare +in ambito commerciale e imprenditoriale e come potesse, poi, essere venduto +a qualsiasi prezzo di mercato ritenuto congruo; sempre, però, mantenendo il +codice libero e a disposizione di tutti. Il mondo del business avrebbe potuto ga­ +rantirsi profitti producendo, o supportando, software libero, e la cosa interessò +immediatamente alcune grandi aziende, tra cui IBM e HP. +Il parallelo tra il software libero e la cultura libera è molto forte, anche se +occorre fare alcune distinzioni. +A differenza del software, la cultura, ricorda Lessig, ha sempre avuto un ele­ +mento di controllo proprietario, pur essendoci, contemporaneamente, un inco­ +raggiamento della produzione di cultura libera. +La partecipazione alla vita culturale di una società da parte di un individuo +richiede, nel pensiero di Lessig, un procedimento che è definito di “remix”: un +soggetto legge un libro e racconta la trama agli amici, vede un film che lo ispira e +condivide la storia con la sua famiglia e, in tal modo, mira a diffondere la cultura +o a stimolare l’ispirazione artistica altrui. +È impossibile immaginare, sostiene Lessig, un ambiente culturale dove ogni +persona non sia libera di attuare una simile pratica. Il remix diventa l’essenza +stessa di come le culture sono create: è l’azione di leggere, di criticare, di riporta­ +re, di condensare parti di cultura. Questa regola si è sempre applicata alla cultura +commerciale e a quella non commerciale: la possibilità di remix non è limitata a +ciò che risiede nel pubblico dominio poiché, nella tradizione, chiunque è sem­ +pre stato libero di remixare, sia che il materiale fosse protetto da copyright, sia +che non lo fosse. +Questa libertà, tuttavia, storicamente è stata limitata da un fattore tecnologi­ +co determinante e da precisi interventi della politica e del Legislatore. +Da un punto di vista strettamente tecnico, fin dall’inizio dell’umanità, chiun­ +que era stato libero di remixare, ma la tecnologia, ossia gli strumenti impiegati +per il remix, erano, essenzialmente, basati sull’utilizzo della parola. Si usava la +comunicazione verbale per ricreare la cultura, e si usava la parola per criticare: +per cui, la modalità tipica e ordinaria attraverso la quale la cultura veniva creata +era, essenzialmente, testuale e verbale. Nessuno ha mai ristretto la libertà di fare +cultura, perché nelle società libere, nessuno, sostiene Lessig, ha mai manifestato +il proposito di limitare l’abituale attività/livello di comunicazione delle persone. + 51 +3. L’incontro con Lawrence Lessig +Oggi, per remixare la cultura, nota Lessig, si usano, però, i computer: le mac­ +chine diventano un mezzo per parlare, per fare arte – usando suoni e immagi­ +ni – e le tecnologie possono permettere una rinnovata esplosione del lavoro +creativo. +Ora, conclude lo studioso, non esistono più limiti tecnici, in questo tipo di +creatività, se l’opera che sarà oggetto d’elaborazione è liberamente disponibile. +Ma quali scenari si delineano, invece, se si vogliono remixare contenuti che sono +protetti da copyright, magari unendoli a contenuti di nostra produzione? +In breve, per Lessig, ciò non è più possibile. In conformità alle norme odier­ +ne, remixare contenuti digitali protetti da copyright significa violare i diritti del +detentore di copyright. +Ecco, allora, che un determinato tipo di creatività, che era diffuso (e consen­ +tito) sin dalle origini della cultura umana, rischia di essere smarrito per sempre +nel mondo elettronico, man mano che i contenuti digitali protetti occuperanno +sempre più spazio nella vita del cittadino comune e nell’ambiente sociale in +generale. +Questo è, chiaramente, il collegamento tra il movimento del software libero +e quello della cultura libera. +In tutti e due vi era, in origine, una pratica condivisa che era, essenzialmente, +priva di vincoli. In tutti e due si è registrato, poi, un cambiamento nell’ambiente, +che ha provveduto a rimuovere quella libertà. +Nel software libero, il cambiamento fu il diffondersi del codice proprietario. +Nell’ambito della cultura libera, il cambiamento è stato portato dalla radicale +espansione della regolamentazione normativa e politica del copyright. +La tecnologia ha reso entrambi questi cambiamenti possibili, e sia il movi­ +mento del software, sia quello della cultura libera, a loro volta, si ripromettono +di usare la tecnologia, e la disciplina sul copyright, per ristabilire la libertà che il +codice e la cultura proprietari avevano rimosso. +Ognuno di questi due movimenti persegue, così, il fine di proteggere la liber­ +tà creativa degli utenti dai rischi connessi all’estremizzazione di idee proprietarie +e di chiusura. +Nota Lessig, però, che quando la maggior parte delle persone comuni si av­ +vicina a simili movimenti di liberazione, la reazione iniziale è quella di conside­ +rarli, entrambi, quali utopie irrealizzabili: si legge “libero”, ad esempio, come un +qualcosa chiaramente contrario ai principi comuni dell’economia. +L’economia del software libero, ci tiene a precisare Lessig, è però rimasta +una vera e propria economia, nonostante i dubbi iniziali: produce benessere, +ispira crescita, diffonde servizi ad ampio raggio nella società, funziona in manie­ +ra diversa dall’economia del software proprietario, è vero, ma è una economia +anch’essa. +Milioni di dollari sono stati investiti in questa direzione per farla fiorire, e lo +stesso modo di ragionare deve essere utilizzato per il concetto di “cultura libera”. + 52 +Aggiustare il mondo +Molti interpretano il concetto di cultura libera come una procedura per la +mancata retribuzione degli autori: in realtà, la nuova economia non nega l’im­ +portanza del copyright per costruire nuove culture, ma revisiona il quadro nor­ +mativo del copyright per adattarsi più efficacemente all’era digitale e struttura la +legge per produrre la più grande opportunità possibile in termini di creatività e +crescita che la tecnologia possa offrire. +Il progetto originario di CC, che si è trasmesso praticamente inalterato sino +ai giorni nostri, prevedeva delle licenze attraverso le quali gli utenti creativi po­ +tevano chiedere che fossero applicate quattro clausole generali. +La prima clausola, presente in tutte le licenze, si preoccupa di tutelare la co­ +siddetta “attribuzione” (“BY”), che consiste nell’obbligo di indicare sempre la +persona dietro quell’opera, ossia chi siano l’autore o gli autori, che hanno creato +quel contenuto. +Si tratta di un aspetto interessante: Lessig aveva compreso come a molti auto­ +ri interessasse di più, nella nuova economia digitale basata sulla condivisione, un +riconoscimento esplicito e formale dei credits sull’opera che viaggiasse insieme +all’opera stessa, più che un controvalore economico immediato in denaro. +L’autore, in altre parole, si impegna a concedere, grazie a questa licenza CC, +un uso libero della sua opera a patto che sia sempre indicato il suo nome come +creatore di quel prodotto digitale. +Ciò avrebbe consentito, in molti casi, ritorni economici indiretti ben più im­ +portanti, in un’ottica creativa innovativa, di un compenso diretto e una tantum +(“ti compro l’opera e ti pago”): si pensi a una possibile fama, alla richiesta di +ulteriori prodotti simili, a contatti diretti con l’autore per acquistare altre sue +opere o alla condivisione virale su nuovi canali. +La seconda clausola, denominata “condividi allo stesso modo” (“SA”), è stata +pensata con la funzione fondamentale di concedere ad altri utenti il diritto di +copiare, distribuire, eseguire e modificare il lavoro altrui, a patto che l’opera +modificata sia, poi, distribuita alle stesse condizioni. +Si tratta di un passaggio centrale nel pensiero di Lessig: si vuole creare una +catena della conoscenza e della creatività, che non deve essere interrotta, e si dà +la possibilità a creatori successivi di poter costruire nuove opere partendo da +lavori di creatori precedenti. +La terza clausola è stata denominata “non commerciale” (“NC”) e, come è +facile comprendere, è quella che permette al creatore di decidere se consentire, +o meno, un utilizzo della sua opera per finalità commerciali. +Il sistema Creative Commons non vuole essere visto come sinonimo di gra­ +tuità ma, al contempo, si vuole evitare lo sfruttamento commerciale “selvaggio” +di opere che vengano, dall’autore, lasciate libere per un utilizzo creativo amato­ +riale. È, pertanto, lasciata una completa libertà all’autore sia di negoziare un uso +commerciale della sua opera, sia di vietarlo ab origine. + 53 +3. L’incontro con Lawrence Lessig +La quarta, infine, ha preso la denominazione di “non opere derivate” (“ND”), +ed è stata pensata per garantire all’autore che non siano fatte elaborazioni suc­ +cessive della sua opera creativa. In questo caso, si tutela quell’autore che, al con­ +trario, non vuole che la sua opera sia presa e modificata, dando così origine ad +altre opere che potrebbero sfuggire al controllo dell’autore originario. +Dalla combinazione delle quattro clausole, possono derivare sei tipi di licenze +che si possono interpretare, anche, in ordine decrescente di libertà di utilizzo: i) +Attribuzione; ii) Attribuzione - Condividi allo stesso modo; iii) Attribuzione - +Non commerciale; iv) Attribuzione - Non opere derivate; v) Attribuzione - Non +commerciale - Condividi allo stesso modo; vi) Attribuzione - Non commerciale +- Non opere derivate. +L’idea vincente alla base delle licenze CC fu quella di non limitare questo si­ +stema di regolamentazione al dato testuale, ossia alla tradizionale clausola scrit­ +ta, ma di prevedere una triplice dimensione. +Oltre al testo della licenza, infatti, il sistema prevede un “creative commons +deed”, ossia una sintesi delle principali condizioni, accompagnata da icone fa­ +cilmente interpretabili e, soprattutto, prevede quei famosi metadati che citava +Aaron nel suo discorso e che consentono ai motori di ricerca, e ai siti web, di +classificare in maniera corretta il regime di uso e circolazione delle opere. +Il video dell’incontro californiano con il lancio del progetto Creative +Commons è, si diceva, ancora reperibile in rete: Aaron, in questo contesto, è +molto attento a fare uso di termini semplici per spiegare il suo lavoro e per con­ +dividere i motivi per cui quel progetto prettamente giuridico avesse affascinato +così tanto anche lui, un giovane informatico. +Mentre parla, evidenzia subito i tre punti essenziali alla base dell’idea di +Creative Commons. +Mettere la volontà, e la persona, dell’autore al centro, innanzitutto, affinché +possa essere sempre indicato il creatore dell’opera con un uso corretto del­ +le funzioni di attribution e dei credits. Garantire, poi, la libertà assoluta in capo +all’autore di scegliere un possibile utilizzo commerciale, o meno, del proprio +lavoro. E, infine, la possibilità costante di permettere, o vietare, modifiche al +lavoro stesso. +La novità – ribadisce Aaron dal podio durante il suo breve discorso – è che tutte +le domande circa i diritti d’uso e di diffusione che gli autori hanno voluto stabilire +sulle loro opere, per la prima volta le potremo fare a un server! A una macchina! A +un computer! E la macchina, fatta la domanda, ci risponderà. E ci rimanderà a una +pagina dove potremo trovare, in regalo, un piccolo frammento di codice scritto in +HTML. Da quel momento in avanti, potremo anche noi incorporare nel nostro +sito web, o in qualsiasi altra opera, quel frammento di testo che sarà in grado di +descrivere con cura e in ogni momento, il tipo di licenza che abbiamo deciso vi +debba essere su quell’opera. + 54 +Aggiustare il mondo +Una simile idea di una “machine-readable licence”, ossia di una licenza di +utilizzo che sia leggibile anche dalle macchine, fu molto interessante non solo +per Aaron, ma per l’intera comunità di sviluppo. Il concreto lavoro di coding che +la rese attuabile è considerato l’eredità che Aaron ha lasciato a questo progetto. +Non è, si badi, solamente l’idea di una licenza che si unisca e, per così dire, +s’incorpori al codice informatico. Si tratta, di più, di un vero e proprio codice +che può essere interpretato dall’intero mondo connesso del web e, soprattutto, +dai grandi motori di ricerca, e che avrebbe permesso a tutti i computer di leg­ +gere quelle licenze in automatico, aprendo possibilità innovative nella individua­ +zione puntuale e nella aggregazione delle informazioni. +Lawrence Lessig riconobbe in Aaron Swartz un discepolo ideale. Aaron, dal +canto suo, vide il professore di diritto come mentore e come persona assoluta­ +mente da seguire, e da ascoltare, in tantissime occasioni. +I due progetti che li videro più vicini furono, appunto, l’avvio di Creative +Commons e la discussione del caso Eldred davanti alla Corte Suprema degli Stati +Uniti d’America, nel giudizio Eldred v. Ashcroft del 2003. Poi, negli anni succes­ +sivi, si persero un po’ di vista. +Quando incontrò Aaron per la prima volta, Lessig era un docente di materie +giuridiche ad Harvard, soprattutto di diritto costituzionale. +Era diventato celebre in tutto il mondo per le sue idee assai innovative sui +temi del diritto delle nuove tecnologie e, in particolare, della regolamentazione +di Internet e dei necessari limiti della normativa a tutela del copyright. Agli inizi +degli anni 2000 era considerato uno dei maggiori studiosi viventi; dopo il perio­ +do ad Harvard, si trasferì a Stanford. +Nel pensiero di Lessig, il codice informatico poteva regolamentare compiu­ +tamente l’intera architettura di rete, con un impatto maggiore di quello che po­ +teva avere la legge stessa. +Per lo studioso statunitense, infatti, era il software, più che la legge, a definire +i veri parametri della libertà nel ciberspazio, e anche il software può presentarsi +come non neutrale nei confronti di alcuni valori da proteggere. +Lo stesso tipo d’approccio si poteva mantenere nei confronti dei tanti pro­ +blemi che riguardano i diritti nel ciberspazio. Lessig faceva l’esempio, da un lato, +dei tentativi volti a rafforzare l’estensione del copyright e dei brevetti da parte +di politici e, dall’altro, di informatici che prevedevano, e auspicavano, un uso di +Internet attraverso “trusted systems”, ossia architetture che avrebbero garantito +il perfetto controllo sull’uso online e sulla distribuzione di materiale protetto da +copyright. +Nell’ottobre del 2002, due mesi prima del lancio di CC, Lessig era andato a +discutere davanti alla Corte Suprema il già citato caso Eldred. +Era un caso importantissimo sui temi del copyright nell’era digitale e della +sua estensione, ormai arbitraria, da parte del governo a seconda delle esigenze +dei grandi produttori, soprattutto della Walt Disney. + 55 +3. L’incontro con Lawrence Lessig +Al centro del dibattito, in particolare, vi era una norma, voluta dal musicista +Sonny Bono, che nel 1998 aveva esteso i termini del diritto d’autore, impedendo +a numerose opere di finire nel pubblico dominio. +La legge aveva preso il nome di Sonny Bono Copyright Term Extension Act +(CTEA). Un provvedimento simile era stato approvato nel 1976. +Un editore elettronico, Eric Eldred, si fece capofila di un buon numero di +imprenditori che avevano atteso con ansia, al contrario, la scadenza dei termini +di copyright per avviare delle produzioni su opere che sarebbero cadute nel +pubblico dominio. Chiese, a tal fine, l’assistenza legale di Lawrence Lessig e di +un team di studiosi del Berkman Center for Internet and Society dell’Università di +Harvard. +Davanti alla Corte Suprema, l’atmosfera si presentava alla “Davide contro +Golia”: a domandare la validità dell’estensione dei termini erano non solo Janet +Reno e John Ashcroft, Avvocati Generali degli Stati Uniti, ma, anche, le potenti +associazioni dei produttori cinematografici e musicali. Tutto il mondo, in sinte­ +si, dei media e dei produttori di contenuti di allora. +L’estensione richiesta dal Sonny Bono Act per il copyright sulle opere in sca­ +denza era di ulteriori vent’anni e avrebbe avuto effetto retroattivo, anche sulle +opere già create. +Il 9 ottobre 2002, Lessig decise di portare con sé, come uditore, il teenager +Aaron. Un ragazzo, quindi, davanti alla Corte Suprema: il più importante orga­ +no giurisdizionale del Paese. +La discussione di quella vertenza non andò bene: Lessig perse la causa, e +il 15 gennaio 2003 la Corte Suprema ritenne la CTEA conforme ai principi +della Costituzione americana, con l’opinione di sette giudici contro due. Fu il +giudice Ginsburg a redigere l’opinione di maggioranza, forse influenzato anche, +nel testo, dalla situazione normativa in Europa (dove, nel 1993, una Direttiva +aveva stabilito un termine, per il diritto d’autore, di settant’anni dopo la morte +dell’autore). +Vicenda giudiziaria a parte, quella fu l’incredibile occasione, per il giovane +Aaron, di trovarsi per la prima volta, anche se come “turista”, dentro al sistema +politico e giudiziario nordamericano. Poteva osservare, dall’interno, come fun­ +zionasse il sistema e, soprattutto, quali possibilità ci fossero di avviare specifiche +attività per cercare di cambiarlo. +Sul suo blog, in un intervento del 5 ottobre 2002 (“To the courthouse”), +Aaron descrisse quell’incredibile esperienza, partendo dal giorno in cui ricevette +la tanto gradita notizia dell’invito di Lessig: +Credo sia giunto il momento di rivelare – annotò sul suo blog – l’invito, incredi­ +bilmente gentile, che ho ricevuto. Come molti di voi avranno scoperto, o intuito, +assisterò alla discussione orale del caso Eldred davanti alla Corte Suprema. Sono +incredibilmente emozionato, come potete immaginare. Visitare la Corte Suprema + 56 +Aggiustare il mondo +sarebbe già sufficiente, ma seguire un caso così importante... Quando Lessig mi +ha domandato se quel giorno fossi stato libero per andare con lui, mi è venuto da +ridere. Non potevo (e non posso tuttora) pensare a qualcosa che preferirei fare più +di partecipare a un evento così. Sarò eternamente grato a Lessig per la possibilità +di presenziare. D’altra parte, mi vergogno un po’ per avere avuto questa opportu­ +nità quando ci saranno, sicuramente, altre persone che se la meritano molto più di +me. Per fortuna, sembra che questi altri ‘meritevoli’ potranno ottenere anche loro +dei posti in udienza mettendosi in fila con noi. Speravo di poter prendere appunti, +e pubblicarli sul mio blog, per coloro che non sono riusciti a venire, ma, come ho +letto sul Times di oggi, solo gli avvocati, e coloro che vantano un accredito stampa +ufficiale, possono prendere appunti! Penso che sia scandaloso, ma spero di riu­ +scire a ricordare abbastanza dettagli, ed elementi, per fornire a tutti un resoconto +interessante. +In un post successivo del 10 ottobre, dal significativo titolo “Mr. Swartz Goes +to Washington”, arriva il resoconto che Aaron aveva promesso, dove descrive +più nel dettaglio l’esperienza con Lessig davanti alla Corte Suprema. +Ci siamo messi tutti in fila per entrare. Mi sono reso conto, in quel momento, di +non avere con me un documento d’identità e che, probabilmente, gli addetti della +Corte Suprema non mi avrebbero potuto identificare e mi avrebbero fermato +all’ingresso. Ma non è stato, in realtà, un problema: quando è venuto il mio turno, +mi hanno domandato semplicemente il mio nome e lo hanno depennato da una +lista per, poi, farmi accomodare a sedere. L’aula del tribunale è una struttura im­ +pressionante. Tutto è molto, molto alto. Siamo entrati attraversando alti cancelli +per, poi, sederci su lunghe file di panche imbottite di rosso. Si è sentito, a un certo +punto, un forte rumore. Come di un altoparlante che fosse stato spento. Come +se fossero state tirate da una forza invisibile, le gambe di tutti i presenti si sono +raddrizzate immediatamente e ci siamo alzati tutti in piedi come un’unica persona. +«L’Onorevole Presidente della Corte Suprema e i Giudici Associati della Corte +Suprema degli Stati Uniti. Tutte le persone che si devono presentare davanti all’O­ +norevole Corte Suprema degli Stati Uniti sono pregate di avvicinarsi e di prestare +attenzione, perché la Corte è ora riunita». (Guardai, e i giudici erano ancora in +piedi) «Dio salvi gli Stati Uniti e questa Onorevole Corte!». Lo scricchiolio risuo­ +nò di nuovo, e capii che si trattava di un martelletto. Prendemmo tutti posto, non +così coordinati come ci eravamo alzati. +Il processo, dicevamo, non andò bene per Lawrence Lessig, e Aaron, come +testimone diretto, descrive la tensione che si percepì in aula in quei frangenti e +l’accesa discussione attorno all’istituto, e alle regole, del copyright (e della sua +proroga per legge). +Larry riuscì a parlare per qualche minuto, prima di essere interrotto. Uno dei +giudici donna lo interruppe e lo incalzò sulla questione del Primo Emendamento. +Andarono avanti e indietro dibattendo un po’ di volte, e Larry non riuscì a spie­ +garsi bene. Si sono arresi, e sono passati a discutere su cosa distinguesse l’esten­ + 57 +3. L’incontro con Lawrence Lessig +sione del copyright avvenuta nel 1976 da quella del 1997. Larry affermò che non +vi era nulla di diverso: la sua teoria difensiva avrebbe annullato entrambe. «Forse, +allora, dovremmo trovare un’altra teoria», disse uno dei giudici. Mi aspettavo che +Larry spiegasse ai giudici come il Congresso potesse fissare il diritto d’autore a +qualsiasi limite ragionevole ma che, poi, dovesse rispettarlo e non, invece, esten­ +derlo retroattivamente alla sua scadenza. Ma non lo fece. Pensavo che Larry stes­ +se facendo un pessimo lavoro, finché non è arrivato il Solicitor General Olson +(l’uomo che ha difeso Bush in “Bush contro Gore”). I giudici hanno vissuto una +giornata campale con lui. Rehnquist gli fece ammettere che un copyright perpetuo +avrebbe violato la Costituzione. Kennedy gli fece ammettere che anche un copyri­ +ght obiettivamente perpetuo (novecento anni) sarebbe stato una violazione. Il +giudice Breyer sembrava avere in testa un foglio di calcolo da economista. «Bene, +quindi 2,4 miliardi di dollari sono andati ai titolari di diritti d’autore. Questa legge +darà loro 6 miliardi di dollari in più. E l’incentivo aggiuntivo che ne deriva è pari a +zero. Lo considero un aspetto negativo. Inoltre, si prevedrà, diciamo, un miliardo +di dollari per la ricerca dei titolari di copyright in questo intricato sottobosco le­ +gale – e per molti non sarà possibile trovarli, un costo incommensurabile! Questi +sono i costi. Per quanto riguarda i benefici, vedo l’unificazione [e altre due cose +che ho dimenticato - ASw]. Quali sono, secondo lei, i benefici?». «Beh, c’è l’ar­ +monizzazione con l’Europa», disse Olsen, «che riduce...». «È l’unificazione», ha +detto Breyer. (Lessig(?) ha osservato che se la Francia approvasse una legge che +non concede il diritto d’autore ai discorsi d’odio, a causa del Primo Emendamento +non saremmo in grado di armonizzarci con essa. Allo stesso modo, se l’Unione +Europea estendesse il diritto d’autore in modo tale da violare la Clausola sul dirit­ +to d’autore, non possiamo armonizzarci). Olson non è riuscito a pensare ad altri +vantaggi. +Il resoconto di Aaron del processo, nonostante qualche passaggio più stret­ +tamente processuale si manifesti, per lui, particolarmente oscuro, continua in +maniera certosina. +Un giudice ha chiesto in che modo l’estensione di vent’anni del diritto d’autore +di una persona morta possa incentivarla a promuovere la scienza e le arti utili. Il +[famoso autore classico morto] era seduto lì e pensava, «beh, scriverei ancora +qualcosa se solo il copyright durasse altri 20 anni dopo la mia morte?» (Risate +dal pubblico). Olson ha detto che l’editore sarebbe stato in grado di distribuire di +più le opere. Ah, ha scherzato un giudice, credo che dovremmo dare a qualcuno +i diritti d’autore di Shakespeare, visto che, a quanto pare, non c’è alcun incentivo +a distribuire le sue opere. Molti giudici hanno ripetuto che ritenevano che si trat­ +tasse di una legge stupida, che impediva alle opere di finire nel pubblico dominio +senza alcuna giustificazione. Ma avevano difficoltà a trovare un modo per dichia­ +rarla incostituzionale senza dover annullare anche l’estensione del 1976, cosa che, +evidentemente, non volevano fare. Nessun giudice ha detto di ritenere che la legge +fosse una buona idea. Sono rimasto impressionato dall’intelligenza dei giudici. +Si trattava di persone che comprendevano a fondo le questioni e ragionavano +in maniera rapida. Erano interessati agli effetti di lunga durata e all’impatto sui + 58 +Aggiustare il mondo +classici; dubito che a molti interessasse Topolino o Steamboat Willie. È triste che +oggi non ci sia questo livello di curiosità intellettuale e intelligenza nel resto del +nostro governo. Tuttavia, è stato estremamente divertente che in un ambiente così +formale, con imponenti drappi rossi che decoravano la sala e i magistrati seduti +più in alto rispetto agli avvocati, su grandi sedie, i giudici fossero così informali. +Si interrompevano l’un l’altro, si giravano e si muovevano sulle sedie e alcuni fin­ +gevano, persino, di addormentarsi con la testa appoggiata sulla scrivania. Il tutto +sembrava simile a un gruppo di bambini a scuola, a cui quasi certamente sarebbe +stato diagnosticato il disturbo da “deficit di attenzione e iperattività”, per la loro +curiosità e incapacità di resistere alle domande. Macki ha detto che il giudice Cla­ +rence Thomas sembrava che stesse masticando la gomma cercando di nasconder­ +lo all’insegnante. Durante la discussione, una delle guardie di sicurezza ha fermato +qualcuno che stava prendendo appunti e gli ha fatto mettere via carta e penna. +Ben presto l’udienza si è conclusa, noi ci siamo alzati e abbiamo lasciato l’edificio. +Anche il progetto Creative Commons si rivelò un luogo ideale per raccoglie­ +re, e sfruttare, le idee e le capacità di Swartz; Lessig, dal canto suo, non ci vide +nulla di male nell’invitare a collaborare, nonostante l’età, una delle persone più +interessanti che avesse mai incontrato. +Aaron si presentò alla conferenza californiana di lancio CC indossando una +maglietta da teenager – era la persona più giovane dell’intero uditorio – e iniziò +subito a parlare, come un adulto, di metadati, di codice e di connessioni, di com­ +puter che dovevano “parlare” tra loro e di conoscenza che si stava generando in +rete e che andava ordinata e regolamentata. +Riuscì a convincere tutti, in pochi minuti, dell’importanza di rappresentare +l’informazione – compresa l’informazione bibliografica, a lui carissima – in un +formato leggibile dalle macchine. In tal modo, i grandi motori di ricerca – che +avrebbero costituito la spina dorsale della rivoluzione digitale in arrivo – avreb­ +bero restituito informazioni in un formato a sua volta riutilizzabile. +Lessig era convinto delle idee e delle capacità di Aaron: lo presentò, senza +mezzi termini, come «il genio che avrebbe provveduto a creare l’infrastruttura +del progetto». +Aaron si trovava, al contempo, molto a suo agio in un contesto dove tante +persone apprezzavano quello che aveva da dire e che stava progettando e, so­ +prattutto, che apparivano realmente incuriosite dalle sue idee. +Nel 2011, trascorsi ormai un po’ di anni da quel lancio di progetto, Lessig +s’interrogò pubblicamente, in un’intervista apparsa (significativamente) su una +rivista dell’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale – il WIPO +Magazine – circa l’evoluzione che aveva avuto Creative Commons dalle origini +sino a quel momento. +Ricordare quei giorni attraverso le esatte parole del fondatore è molto utile +per comprendere chiaramente quali fossero i punti di contatto e di sintonia tra +le idee e le aspettative del giovane Swartz e quelle del grande giurista. + 59 +3. L’incontro con Lawrence Lessig +All’inizio del secolo – racconta Lessig nel suo articolo – intravedevamo, all’o­ +rizzonte, una sorta di “tempesta perfetta” in arrivo, che avrebbe colpito l’intero +mondo della cultura. Avevamo un’infrastruttura digitale che, ormai, incoraggiava +un’ampia gamma di condivisioni, remix e pubblicazioni di contenuti che non sa­ +rebbero potute avvenire nel Ventesimo Secolo. Avevamo, anche, un’architettura +che rischiava, però, di far scattare l’applicazione della parte più restrittiva della +normativa sul copyright ogni qualvolta venisse effettuata una semplice copia di­ +gitale di un contenuto. Ciò collocò il mondo dei creatori di contenuti digitali in +aperta rotta di collisione con la legge, che lo riconoscessero o meno. Per molti, +soprattutto per coloro che operavano in quella che io chiamo la sharing economy, +ciò non aveva senso. Una grande percentuale di loro aveva continuato a creare +contenuti su piattaforme digitali senza tener conto della normativa sul copyright. +Di conseguenza, i numeri di casi di “pirateria” erano saliti alle stelle. +Il timore, in quegli anni, era che lo scontro tra queste due “forze” – la nuova +economia della condivisione dei contenuti e la formalità della normativa sul +copyright – avrebbe potuto produrre o un movimento che avrebbe cercato di +abolire completamente il diritto d’autore o, al contrario, un sistema rigido di +norme, e di applicazione delle stesse, che avrebbe bloccato tutte queste nuove +attività creative con minacce di sanzioni milionarie o, addirittura, della reclusio­ +ne. Soffocando, così, la creatività nell’ecosistema digitale. +All’epoca – ricorda ancora Lessig – l’opinione prevalente era che o si rispettava +il tradizionale approccio di “tutti i diritti riservati”, oppure si doveva essere per +forza contrari al copyright o, addirittura, dei “pirati”. Abbiamo cercato, con CC, +di stabilire una via di mezzo: abbiamo riconosciuto che, di fatto, molte perso­ +ne credono nel diritto d’autore, e lo vogliono rispettare, ma non credono che le +loro opere creative debbano essere regolamentate in modo così rigido, come nel +modello di “tutti i diritti riservati”. Abbiamo deciso, allora, di creare una sorta di +sistema volontario di opt-in che permetta ai creatori di contrassegnare le loro opere +con licenze che indichino il livello di libertà che desiderano su quei contenuti. +Questo sistema ribadisce, innanzitutto, fiducia nel sistema del diritto d’autore e +nella normativa che lo tutela, dal momento che si tratta, in sostanza, di una licenza +basata sulle regole del copyright, ma afferma, anche, i valori che sono alla base +di quegli ambienti creativi – o ‘ecosistemi’ – in cui le regole dello scambio non +sono definite dagli aspetti commerciali, ma dipendono soprattutto dalla capacità +di condividere e di costruire liberamente sul lavoro di altri. +Da allora, e da quella prima presentazione, il progetto Creative Commons ha +compiuto vent’anni, ha raggiunto una nuova maturità, è sopravvissuto all’av­ +vento dei social network ed ha avviato progetti in circa ottanta Paesi; la sua in­ +fluenza si espande costantemente, in virtù dell’ingresso di sempre nuove realtà +statali, locali e private che aderiscono, e ciò anche grazie alle iniziative di una +rete dedicata di affiliati, che intraprendono una serie di attività di promozione e +sensibilizzazione in differenti giurisdizioni. + 60 +Aggiustare il mondo +Lessig è solito individuare delle precise ragioni politiche e, allo stesso tempo, +delle contingenti ragioni pratiche tra i fattori alla base del successo che questo +sistema ha avuto nel corso degli anni. +Le ragioni politiche – nota il grande giurista – sono legate a quelle che io chiamo le +“guerre del copyright”. Sono in molti coloro che vogliono trovare modi differenti +per regolare la creatività nel mondo digitale, e che credono che un’applicazione +restrittiva, e rigida, della legge sul copyright nell’era elettronica non abbia più +senso, soprattutto se pensiamo alle attività creative che si svolgono nei settori +dell’istruzione, della ricerca scientifica e delle opere amatoriali. Vi sono, però, an­ +che importanti ragioni pratiche. Nelle università, ad esempio, gli studenti devono +imparare a redigere elaborati ma, anche, a utilizzare al meglio i media digitali, quali +video, film o progetti di remix di brani musicali. Questo è ciò che significa essere +alfabetizzati nel ventunesimo secolo. Il materiale proposto con licenza CC è un’al­ +ternativa sicura al processo estremamente costoso, e macchinoso, che permette +di ottenere delle licenze in base alla normativa sul diritto d’autore, e che consente +agli studenti di sfruttare completamente le opportunità creative offerte dalle tec­ +nologie digitali. È, in sintesi, un’alternativa utile ed efficace all’ignorare l’esistenza +della normativa sul diritto d’autore e all’esporre le istituzioni accademiche a rischi +di significative responsabilità legali per violazione del copyright. +Ancora oggi, le licenze CC sono strutturate in modo da offrire, ai creatori, +la possibilità di scegliere gli usi, e le libertà, che desiderano garantire a chi vuole +utilizzare la loro opera. +Le licenze supportano, come direbbe Lessig, diversi “ecosistemi della creati­ +vità”: quelli che hanno al centro il denaro e il profitto, ma anche quelli che ope­ +rano nella sharing economy, che privilegia lo scambio gratuito rispetto alla vendita. +Selezionando, in maniera semplice, un ventaglio di libertà e di restrizioni, i +creatori possono scegliere di consentire ad altri di condividere il loro lavoro o +di remixarlo, con la restrizione che questo uso debba essere solo per scopi non +commerciali o che qualsiasi derivato debba essere rilasciato con una licenza +simile (‘share alike’: condividi allo stesso modo). +Licenze diverse – conclude Lessig – sono pensate per supportare ecosistemi crea­ +tivi diversi. La licenza per un uso non commerciale, ad esempio, supporta l’ecosi­ +stema amatoriale della creatività, consentendo ai creatori di essere certi che le loro +opere saranno utilizzate da altri secondo le regole della condivisione, e non del +commercio/profitto. Quando si scatta una foto e la si pubblica su Flickr, la scelta +di una licenza non commerciale per il suo utilizzo indica che si è felici di condi­ +viderla con altri per scopi non commerciali. Se, però, qualcuno volesse usarla per +creare l’illustrazione sulla copertina di un CD che, poi, intende mettere in vendita, +l’opzione Creative Commons Plus offrirà un mezzo semplice, e gratuito, per conce­ +dere in licenza la stessa opera per scopi commerciali. La licenza più semplice e più +libera – quella di sola attribuzione – supporta gli ecosistemi professionali, amato­ +riali e scientifici della creatività, perché produce risorse libere a cui si può attingere + 61 +3. L’incontro con Lawrence Lessig +e che possono essere utilizzate a piacimento. La licenza di attribuzione indica +che i licenziatari sono completamente aperti all’uso commerciale delle loro opere +creative. Nel 2010, ad esempio, l’emittente Al Jazeera ha rilasciato un enorme ar­ +chivio contenente materiale video con questa licenza. Ciò significa, in concreto, +che chiunque può prendere le riprese grezze e utilizzarle, purché il contenuto sia +attribuito ad Al Jazeera. Il tutto risponde perfettamente agli obiettivi commerciali +e alla volontà dell’organizzazione, dal momento che le consente di diffondere il +proprio marchio, utilizzando licenze che sono libere da vincoli troppo aggressivi. +Nel 2009 anche Wikipedia ha adottato la licenza CC per tutto il suo materiale, e ne +incoraggia volentieri l’uso commerciale. L’unico requisito è che, se si apportano +modifiche, si deve permettere ad altri di utilizzare il materiale modificato adottan­ +do lo stesso tipo di licenza. +Lawrence Lessig e Aaron Swartz s’incontrarono, negli anni successivi, in altre +occasioni, e ogni volta si ritrovarono a discutere con grande passione dei pro­ +blemi della politica e della rete. +Aaron apprezzò moltissimo, ad esempio, la svolta professionale di Lessig di +occuparsi di corruzione in politica, individuandola come il male principale per +la democrazia. +Dopo l’incontro con Berners-Lee, che gli aveva aperto il mondo della pro­ +grammazione e della interconnessione dei contenuti, quello con Lessig fece en­ +trare Aaron, giovanissimo, nel mondo delle libertà, delle istituzioni e dell’attivi­ +smo, con l’ambizione di migliorare le cose anche da un punto di vista politico, +e non solo tecnologico. +Il progetto Creative Commons riuniva molti di questi aspetti: la condivisione +di conoscenza, il non-profit, i lati giuridici e tecnici, il desiderio di una riforma +della normativa sul diritto d’autore, così come si stava delineando nel mondo di­ +gitale e stava nascendo proprio dal basso, dalla comunità degli utenti. Professori, +attivisti, legali, hacker si erano trovati insieme in un progetto nobile, che andava +ben oltre l’idea stessa di licenza per contenuti, ma che si basava su principi solidi. +Il 25 febbraio 2013, Colleen Walsh pubblicò su The Harvard Gazette la trascri­ +zione dei punti essenziali di una conferenza tenuta da Lessig, anch’essi preziosi +per meglio comprendere lo stretto rapporto che si era creato tra Aaron e Larry. +Il discorso del professore prese, contemporaneamente, due direzioni. Da un +lato, Lessig volle elogiare le attività di Aaron. Dall’altro, volle insistere sulla ne­ +cessità urgente di frenare una sorta di “estremismo”, da parte del legislatore +e del governo, ogni qual volta il mondo politico si accingesse a pianificare ed +elaborare leggi che andavano a toccare il mondo informatico e, in generale, la +società digitale. +Durante il suo intervento, nota la reporter, Lessig manifestò la necessità, da +parte di tutti, di effettuare un esame più attento su quali fossero considerati i +crimini più importanti, e quelli invece minori, nel nascente ambiente digitale. +Elogiò, anche, una proposta di legge avanzata dalla rappresentante californiana + 62 +Aggiustare il mondo +Zoe Lofgren, che voleva limitare la portata della famigerata legge CFAA sui +crimini informatici. Per Lessig, però, azioni di questo tipo avevano le “armi +spuntate”. Erano riforme che non si sarebbero spinte abbastanza in profondità, +dal momento che era necessaria una legge che eliminasse tutte le norme errate +sul copyright, in particolare quelle che portavano beneficio a pochi privilegiati +– e potenti – nonché una riforma normativa che facesse sparire ogni elemento +di corruzione dal sistema. +Lessig ricordò, nella conclusione del discorso, come fosse stato proprio il +dialogo serrato con Aaron, nel 2007, a convincerlo a spostare la sua attenzione, +e la sua ricerca, dai temi tecnologici e del copyright alla corruzione politica e +istituzionale. +Il 24 agosto 2017, una giornalista di The Atlantic, Caroline Kitchener, inter­ +vistò sempre Lawrence Lessig sul suo rapporto con Aaron Swartz e su come +il confronto con il giovane fosse arrivato a condizionare, per molti versi, la sua +vita. +Anche in questo caso, in diversi passaggi sono svolte considerazioni molto +interessanti. Lessig aveva aperto gli anni Duemila da “star” del mondo accade­ +mico: i suoi studi su codice e diritto e i suoi periodi accademici ad Harvard e a +Stanford lo avevano reso celebre, e apprezzato, in tutto il mondo. +Aaron, pian piano, con un costante lavoro ai fianchi, lo convinse a cambiare +radicalmente il suo percorso professionale per focalizzarsi sulla trasparenza del­ +le istituzioni politiche e sulla lotta alla corruzione. +La sfida intellettuale tra i due era, in sostanza, votata a cercare di avviare azio­ +ni sempre più costruttive per raggiungere obiettivi reali. +Il giovane era impulsivo e reazionario; l’adulto cercava di fargli mettere a +fuoco meglio i temi per i quali valesse la pena lottare. +I valori comuni erano quelli che li univano: in primis, l’obbligo di rendere il +mondo un posto migliore. Sopra tutto, però, vi era l’ombra di una corruzione +ormai congenita che aggrediva il mondo della politica americana e che avrebbe +reso vano ogni sforzo compiuto in altre direzioni. +In quegli stessi anni, in California, la Silicon Valley era in un momento di +massimo fulgore e di incredibile espansione. +Le startup tecnologiche si moltiplicavano: la valle stava attirando geni da tut­ +to il mondo, e l’idea di realizzare profitto e di diventare ricchi – molto ricchi – +grazie alle tecnologie era, finalmente, diventata realtà. +Inevitabilmente, di lì a poco, quel mondo, allo stesso tempo luccicante e pe­ +ricoloso, condizionerà, seppur per un breve, ma intenso periodo, anche la vita +di Aaron Swartz. + 4. Reddit e un ragazzo milionario +Sono passati circa tre anni dall’evento di lancio di Creative Commons in +California. Aaron ne ha appena compiuti diciannove. +La sua naturale inquietudine, e una continua volontà di dar vita a nuovi pro­ +getti, di programmare software e di sviluppare servizi innovativi lo portano +inevitabilmente a incrociare, in questo periodo, il rutilante mondo che si è ge­ +nerato attorno alla Silicon Valley. Un ambiente fatto di startup, di incubatori e +di finanziamenti milionari, che stanno dando forma al mondo tecnologico degli +anni Duemila, e alla società digitale che verrà. +La California si è trasformata nel paradiso dei giovani programmatori. A ogni +angolo, nei garage e nelle cantine, c’è un cantiere aperto con un’idea in corso, +sviluppata per lo più da studenti. Per ogni idea interessante c’è, lì pronta, una +società finanziaria per supportarla o, addirittura, per acquistarla a scatola chiusa. +La valle del silicio si estende, ormai, per tutta la zona meridionale della Bay +Area di San Francisco, nella parte settentrionale della California. È arrivata, così, +sino a oggi: punto di riferimento indiscusso, negli Stati Uniti d’America, per +tecnologia, innovazione, finanziamenti e social media. Tanto da costituire quasi +il venti per cento del PIL nazionale. +Era stata la Hewlett Packard, nel 1939, a investire per prima attorno a San +Jose e a insediarsi in un’area metropolitana, che vanta circa quattro milioni di +abitanti. Dieci anni dopo, in pieni anni Cinquanta, l’Università di Stanford creò +il primo incubatore, lo Stanford Research Park. Poi arrivarono i veri anni del +boom, gli anni Novanta, che diedero vita a un circo fatto di idee geniali ed +improvvisati ciarlatani, guerre tra produttori di browser e avvio della net-eco­ +nomy, disastrose bolle finanziarie e tecnologiche e improvvisi salti in avanti, che +avrebbero cambiato il mondo. +Qui Aaron trovò Google, con i suoi fondatori Larry Page e Sergey Brin, che +iniziava a farsi conoscere. Qui c’era eBay. Qui c’erano i barbecue del venerdì +pomeriggio, dove gli “angeli” – ossia chi aveva il denaro pronto da investire – +incontravano i ragazzi. Qui c’erano i servizi aperti ventiquattr’ore su ventiquat­ +tro, case di lusso pronte ad accogliere i creativi e i geni che stavano arrivando e +che sarebbero divenuti, sicuramente, ricchissimi. Qui cominciava a diffondersi +un approccio economico volto alla monetizzazione di qualsiasi cosa, prodotto +e contenuto, comprese l’informazione e la creatività. Qui si insegnava anche a +non aver timore di sbagliare: il fallimento non esiste. Un’idea che non ha suc­ +cesso si può integrare, riciclare, riutilizzare in un altro ambito e può benissimo +aiutare a far crescere un’altra iniziativa. Qui le startup nascono, muoiono e poi + 64 +Aggiustare il mondo +rinascono trasformate dopo poche settimane. L’importante è che la macchina +digitale non si fermi, e generi valore e profitto. +L’idea nella quale venne coinvolto Aaron, dopo alcuni momenti di ripensa­ +menti, fusioni e aggiustamenti dello schema di business, prese la forma di Reddit, +un progetto nato come aggregatore di notizie presenti sui social network, come +sistema di valutazione dei contenuti e come sito web idoneo ad animare discus­ +sioni, soprattutto tra i più giovani. +Si trattava di un progetto che, sulla carta, integrava tutto ciò che aveva appas­ +sionato Aaron sino a quel momento: milioni e milioni di contenuti, tante perso­ +ne che discutevano di qualsiasi argomento, un motore tecnologico potente che +aggregava le informazioni e raccoglieva le notizie da migliaia di fonti differenti. +Di qui, la necessità di ordinare i contenuti garantendo, però, la possibilità a tutti +di parlare, anche a utenti anonimi. Per crescere tutti insieme. +Reddit incorporava anche quella idea di community, di comunità, che non +solo piaceva ad Aaron – la aveva già sperimentata con Tim Berners-Lee e il suo +consorzio – ma che, nella Silicon Valley, era vista, allora, come la strada giusta +– anzi, l’unica – verso il futuro tecnologico. La strada che avrebbe messo al cen­ +tro i contenuti generati dagli utenti e che avrebbe dato vita ai social network, e +all’ecosistema di Internet e del web, come lo conosciamo oggi. +Anche Reddit, come il web e Creative Commons, fu un progetto che ebbe +un successo notevole. +Fu apprezzato non solo per le idee innovative, ma anche perché ebbe, in +breve tempo, un numero di visitatori e utenti senza precedenti e iniziò, così, una +capitalizzazione immediata del suo valore economico. +Ancora oggi, nel 2022, è un sito di riferimento globale: Wikipedia, nella clas­ +sifica dei siti più visitati al mondo, lo indica costantemente nei primi venti posti. +Semrush, società di ranking, nel marzo del 2022 lo ha indicato come il nono +sito web più visitato al mondo e il sesto sito web più visitato negli Stati Uniti +d’America. +Come nella migliore tradizione della Valley di quegli anni, il progetto origi­ +nario fu fondato da due compagni di stanza dell’Università della Virginia, Steve +Huffman e Alexis Ohanian. +Aaron si unì al progetto poco dopo, nel 2005, per aiutare i due fondatori a +raffinare il codice informatico alla base del sito web, a migrare verso un altro +linguaggio più efficace e a implementare nuove funzioni. +L’incontro con i due studenti della Virginia, Steve e Alexis, avvenne quasi per +caso: i due erano entrati in contatto con un incubatore di startup, denominato +Y Combinator, cui avevano illustrato la loro idea iniziale. +Non vi fu, a onor del vero, un primo, particolare apprezzamento del loro +progetto da parte degli esperti e l’entusiasmo nei confronti delle loro idee non +fu altissimo, forse perché il progetto originario era basato su uso di una tecnolo­ +gia mobile – ossia di telefoni cellulari e SMS – che non convinse gli investitori. + 65 +4. Reddit e un ragazzo milionario +L’incontro generò, però, un vivace dibattito negli ambienti della Valley su +come si potesse migliorare questo progetto, e vennero coinvolti altri giovani +esperti. +Si diede vita, così, a un vero e proprio brainstorming collettivo che portò all’i­ +dea di abbandonare le tecnologie mobili e di creare un sito web. Ma un sito web +molto ambizioso: doveva diventare la “porta di accesso” principale all’Internet +di allora. Una front page di contenuti – si direbbe in termini tecnici – che avrebbe +attirato tutti gli utenti mondiali. +Questa nuova idea piacque molto ai finanziatori di Y Combinator, che accol­ +sero questi giovani sotto le loro ali, li finanziarono e li misero subito al lavoro. +I due fondatori originari iniziarono a preparare l’architettura del loro proget­ +to usando, come codice, il linguaggio Lisp. Terminarono la prima fase dei lavori +– e lanciarono il sito – nel giugno del 2005. +A un certo punto, però, i fondatori e i finanziatori si resero conto di come il +progetto necessitasse di maggiori risorse, soprattutto umane e di programma­ +zione. L’idea era bellissima e, soprattutto, ambiziosa, ma mancavano i contenuti. +Era come se si fosse creato un “guscio tecnologico” incantevole, e perfettamen­ +te funzionante, ma completamente vuoto. +Ecco, allora, che il team si espanse, ed entrò in gioco Aaron. +Prima vi fu il reclutamento di Christopher Slowe e poi, tra novembre 2005 e +gennaio 2006, anche Aaron Swartz fece ingresso nel team originario di Reddit. +Aaron, in realtà, faceva già parte della “famiglia” di Y Combinator, grazie a +una sua piccola startup, denominata Infogami: sarà proprio Infogami ad essere +acquisita dal gruppo e a entrare a far parte, così, del capitale di Reddit. +Il giovane si ritrovò improvvisamente comproprietario di una realtà che stava +per esplodere a livello mondiale. +Il periodo di Reddit fu, per Aaron, molto traumatico. Non lo descrisse mai, +negli anni successivi, come un bel ricordo. +La situazione iniziò a rivelarsi critica quando, il 31 ottobre 2006, la società +venne venduta a Condé Nast – multinazionale e casa editrice già proprietaria della +notissima rivista tecnologica Wired – per una somma rimasta segreta, ma che fu +stimata, ai tempi, tra i dieci e i trenta milioni di dollari. +Il team di Reddit, compresi i ragazzi che si occupavano della programmazio­ +ne, si dovette, così, trasferire a San Francisco, presso la sede dell’acquirente. Ciò +comportò, per quei teenager, un vero e proprio cambio di vita, di compagnie e +di ambiente di lavoro. +Già nel novembre del 2006, pochi giorni dopo, Swartz, scrivendo sul suo +blog, si lamentava senza mezzi termini del nuovo ambiente societario e della +atmosfera che vi regnava. +In poche, ma accese, note criticò aspramente – e pubblicamente – il suo livel­ +lo di produttività in quel contesto – a suo avviso crollato – e quello del gruppo +di lavoro attorno a lui. + 66 +Aggiustare il mondo +La crisi continuò sino a quando, nel gennaio 2007, Aaron venne licenziato +dal suo nuovo datore di lavoro. Anche i due fondatori, Hoffman e Ohanian, +lasciarono Reddit un paio d’anni dopo, nel 2009. +Infogami, la startup originaria di Aaron che era “entrata” in Reddit, e da cui +tutto era nato, era molto interessante, perché ritagliata sulla sua persona e sui +suoi interessi e, pertanto, in linea con gli obiettivi e le idee che portava avanti +sin da bambino. +Si presentava come un progetto che voleva sviluppare e diffondere “l’arte +di trasformare i dati in informazioni”. Le informazioni, però, dovevano essere +arricchite di significato, affinché i contenuti potessero “parlare” tra loro. +Sul sito web della società e nelle brochure per gli investitori, per pure finalità +di marketing, l’idea era descritta, in maniera molto più fredda, come un insie­ +me di soluzioni di business intelligence capaci di trasformare i dati grezzi – quei +“raw data” di cui parlava spesso con Tim Berners-Lee – in informazioni che +permettessero alle società di “vedere meglio” le cose, di migliorare il processo +decisionale, di ridurre i costi e di supportare obiettivi strategici. +In realtà, il sogno di Aaron era sempre stato quello di ridurre la distanza tra +informazione e collaborazione, e di creare sistemi che generassero decisioni +condivise e strategie di lavoro collaborativo, anche per migliorare la qualità dei +contenuti stessi. +Al centro vi era, sempre, l’idea di condivisione libera e gratuita dei contenuti, +come volano per migliorare il livello di libertà nell’ecosistema digitale che si +stava espandendo. +Quando le teorie e le idee alla base di Infogami furono incorporate nel gran­ +de progetto di Reddit, e Aaron fu costretto a trasferirsi a San Francisco, qual­ +cosa si ruppe. +Il ragazzo, innanzitutto, non si riconosceva nel ruolo di imprenditore, e iniziò +a vivere negativamente questa cosa. Certo, Reddit era un sito web, era un sito +di contenuti, ed era un progetto che avrebbe cambiato il modo di intendere la +tecnologia nel futuro, proprio nell’ambito della gestione delle informazioni che +lui tanto amava, ma percepiva qualcosa di stonato. +Sul suo blog, Aaron ricorderà in molte occasioni, e in tanti post, il terribile +periodo di San Francisco e di Reddit. Un periodo di maturità del mondo tecno­ +logico, da un lato, che finalmente vedeva le idee avere un riscontro economico +immediato nella tecnologia che allora stava esplodendo ma, a livello personale, +anche un periodo di grande insoddisfazione e insofferenza. +Dopo pochi giorni negli uffici di San Francisco, Aaron stava già pensando +ad altro. +I mesi di lavoro in Condé Nast furono, per lui, l’occasione per riflettere, anche +da un punto di vista etico, su come la sua attività e le sue capacità di programma­ +tore/sviluppatore potessero essere utili non al settore aziendale e del profitto, +ma alla società e al mondo. + 67 +4. Reddit e un ragazzo milionario +Mentre stavamo sviluppando Reddit – scrive Swartz sul suo blog – era abbastanza +comune imbattersi in persone che ci riconoscevano e che si avvicinavano per +salutarci. A titolo di battuta, ci facevano notare come il nostro sito avesse lette­ +ralmente “ucciso” la loro produttività quotidiana: lo controllavano, infatti, cento +volte al giorno. +Aaron inizialmente sorrideva per quei commenti simpatici. Pian piano, però, +iniziò a trovarli sempre più ansiogeni e inquietanti. Che cosa stavano creando, +con Reddit? Era veramente qualcosa che la gente desiderava, e di cui aveva +bisogno? +Il giovane ricorda, allora, quegli anni come tendenzialmente effimeri e vuoti. +Come anni nei quali la semplice popolarità e il grado di apprezzamento da parte +degli utenti erano l’unica metrica per misurare il successo di una startup tecno­ +logica nella Valley. +Siamo nel periodo, si ricordi, nel quale anche Twitter stava iniziando a gua­ +dagnare popolarità, e anche per Twitter le considerazioni erano simili: poteva +apparire una perdita di tempo, ma era diventato estremamente popolare. E in +quegli anni, se diventavi popolare – o “mainstream”, utilizzando un termine che +allora si stava diffondendo anche nel settore tecnologico – guadagnavi automa­ +ticamente un valore. +Aaron, al contrario, si era sempre voluto concentrare, per tutta la sua vita, sul +valore delle informazioni e dei contenuti, e si trovava a operare in un ambiente +che, invece, stava diffondendo contenuti-spazzatura in ogni ambito. Contenuti +che, nella sua visione, erano pensati per far perdere tempo, per portare via ore +e minuti degli utenti su schermo. Rimanevano i blog, certo, che lui ha sempre +visto come possibili fonti di elementi di valore, ma sembrava che tutti fossero +attirati, in quegli anni, da “cibo spazzatura”. E che il web si stesse rapidamente +riempiendo di simili contenuti. +Ciò lo portò a sollevare il problema se la costante fruizione, da parte degli +utenti, di pillole di contenuti senza alcun valore – arrivò a definirli “inutili” o +“spazzatura”, parlando di foto di tramonti e di barzellette – fosse in così rapido +aumento semplicemente perché non era richiesto alcuno sforzo cognitivo in +capo alle persone. E, ovviamente, non vedeva questa cosa come un bene, nono­ +stante il mercato già allora andasse, spedito, in tale direzione. +Lui, però, era un programmatore. Era uno di quei talenti che stavano co­ +struendo l’infrastruttura sulla quale circolavano quei contenuti-spazzatura. +Perché, si domandava, i programmatori devono essere così privi di etica +e contribuire a trasformare un’intera nazione, grazie a simili progetti, in una +“Nazione di Ignoranti”? Come mai le startup devono contribuire a questa evo­ +luzione negativa? Dove ci porterà questo dilagare di un’idiozia online fatta di +foto di gattini e di contenuti con sintassi scadente? + 68 +Aggiustare il mondo +La tecnologia, concluse Swartz al termine di queste accorate riflessioni, ci +dovrebbe permettere di risolvere questi problemi, non di crearli. Ma, evidente­ +mente, non lo può fare da sola: occorre che le persone si riuniscano attorno a +un tavolo e inizino a costruire strumenti che li risolvano. +Il modello delle startup dell’epoca, per Aaron, stava prendendo una direzione +completamente differente da ciò che lui aveva sempre immaginato e voluto. E +questo, certamente, lo metteva in forte disagio. +Unico lato positivo fu, ovviamente, la liquidazione di diversi milioni di dollari +a ciascuno dei tre fondatori quando fu chiuso il rapporto societario e, finalmen­ +te, uscirono dalla compagnia. +Ricordando questi pochi mesi – ma fondamentali – di Aaron come impren­ +ditore nella Silicon Valley, viene facile tracciare un parallelismo tra Aaron e i +suoi coetanei che come lui erano, allora, al centro della rivoluzione tecnologica +e della prima economia digitale. +Diventa semplice il paragone, ad esempio, con Mark Zuckerberg e Facebook +(che stava nascendo), con Google e la sua voracità di dati per fini economici e, +in generale, con quel trend che era partito e stava monetizzando le persone, i +loro dati, la loro presenza in rete, i loro sentimenti e i loro comportamenti. +Aaron non voleva che i contenuti generati dalle persone fossero chiusi e +venduti. +Voleva combattere per una informazione libera, gratuita per tutti – soprattut­ +to per i più deboli e i più poveri – e per attivare servizi che unissero le persone +in maniera utile. Aveva in mente questa grande “mente collettiva”, che avrebbe +portato trasparenza e consapevolezza nei cittadini e che avrebbe, finalmente, +minato alla base il potere dei governi e dell’autorità. +I problemi di coscienza – e anche di salute, mentale e fisica – che furono ge­ +nerati in Aaron da questo breve periodo ebbero, però, il pregio di fargli mettere +a fuoco, finalmente adulto, i suoi reali interessi e il suo preciso ruolo in quel +mondo. +I vent’anni furono anche, contemporaneamente, il consolidamento delle sue +passioni per i libri, per la scienza e del suo amore-odio per il mondo accademico. +In pochi mesi avrebbe dimenticato l’esperienza nella Valley e si sarebbe con­ +centrato su ciò che veramente lo appassionava. + 5. Il sogno di una biblioteca aperta +Man mano che si avvicinava all’età adulta, Aaron si rendeva conto di amare +sempre di più i libri e la scrittura. Voleva scrivere. Voleva leggere. Voleva fare lo +scrittore e il giornalista. +I libri, in particolare, li apprezzava in tutte le forme possibili. Fisici. Rilegati. +Fotocopiati. Collocati nella libreria di casa – propria o altrui – e nelle grandi +biblioteche pubbliche. Ma anche in “pdf” o in altri formati elettronici, stampati +e impilati di fianco al suo comodino o in un armadio, a seconda del tema che lo +appassionava in quel momento. +Aaron non riusciva a farsi piacere, invece, l’idea tradizionale di istruzione, di +scuola, di accademia, di diffusione della conoscenza e di educazione. +Nonostante la frequenza, a intermittenza, di istituti scolastici da bambino, +l’ammissione a Stanford – dove rimase, però, solo un anno –, la prestigiosa fre­ +quentazione degli ambienti e dei laboratori di ricerca del MIT e i numerosi inviti +che ricevette quando divenne un programmatore famoso, mantenne sempre un +rapporto molto conflittuale con l’autorità scolastica, i professori e gli ambienti +educativi in genere. +In alcuni momenti di riflessione, e in alcuni periodi di crisi, Aaron manifestò +dei ripensamenti – a volte, persino, dei rimpianti – su questi delicati argomenti. +Del resto, la sua passione per la lettura, la scrittura e per il metodo scientifico +– nella sua idea, al centro vi era l’importanza della contestazione e della messa +in dubbio di ogni concetto – doveva a forza incrociarsi, prima o poi, con l’am­ +biente accademico. +Fu durante il periodo critico di Reddit, e di San Francisco, che sul blog di +Aaron iniziarono a essere pubblicati testi riflessivi su questo punto, indice chia­ +ro di insoddisfazione e di voglia di cambiamento, e che meglio chiarirono la sua +idea di università e di cultura pubblica. +La nostalgia, forse, per un percorso universitario interrotto, la vicinanza con +Stanford e il periodo di crisi, nonché i molti coetanei che, in quel periodo, stava­ +no frequentando – o avevano già terminato – importanti corsi di studi, gli fece­ +ro elaborare alcuni pensieri molto interessanti sull’università e sull’educazione. +L’occasione per avviare pubblicamente un dibattito su questi argomenti fu +un breve viaggio che Aaron effettuò per andare a trovare un amico che frequen­ +tava il MIT. +Quei giorni trascorsi in quei celebri luoghi gli consentirono di guardarsi at­ +torno, con calma, all’interno di quel campus. +Confessò, sul blog, che il periodo precedente, in cui si era dovuto concen­ +trare per diversi mesi sul mondo delle startup – un comparto che vedeva come + 70 +Aggiustare il mondo +avido, estremamente pratico e poco riflessivo e teorico – gli aveva fatto rimpian­ +gere spesso il mondo, a dire il vero sovente idealizzato, dell’università. +L’accademia, notava Aaron, vantava l’immagine comune e condivisa di luogo +idilliaco, ricco di persone intelligenti. Un luogo che, sulla carta, era sempre stato, +per lui, molto attraente, anche perché vi era la sensazione diffusa che, stando +in un ambiente come quello, si potesse diventare più intelligenti semplicemente +“per osmosi” e, soprattutto, ci si potesse immergere in un mondo di “continua +geekness”: un luogo magico, scrive, dove gli hacker si ritrovano e si divertono, +magari costruendo, nel tempo libero, sofisticatissimi robot. Ma erano conside­ +razioni solo sulla carta, e che attraversavano i suoi pensieri di quel momento. +Non è che non mi piaccia il mio lavoro attuale – scrive Aaron sul suo blog – È +solo che mi sembra di diventare, ogni giorno che passa, più stupido nel portarlo +avanti. O, almeno, di non diventare, ogni giorno, sempre più intelligente come, +invece, dovrei. Questa mia passione per il mondo accademico non è nuova. Per +qualche motivo, però, in questo periodo la sento più forte. Ho iniziato a scaricare +dal web tutti i programmi delle lezioni, e a fare i compiti di notte. Ho iniziato +a pensare a come potermi intrufolare nei vari corsi, e come frequentare alcuni +professori. A Cambridge, per di più, questo paradiso sembra così vicino. Così +accessibile. Eppure – continua il ragazzo – non è affatto un paradiso. Quando +sono stato in università, il conformismo diffuso, la mancanza d’interesse per il +lavoro vero e proprio, le lotte politiche interne e gli incarichi inutili mi hanno +fatto passare la voglia. Ho un appuntamento a pranzo con un laureato: mi rac­ +conta delle liti interne al campus, dell’eccessiva specializzazione, degli alti tassi di +abbandono, dell’insicurezza diffusa tra gli studenti. Torno, poco dopo, negli uffici +del consorzio W3C, e mi affaccio al balcone. In basso, vedo Tim Berners-Lee che +discute con un gruppo di ragazzi i dettagli di un progetto che, presumibilmente, +hanno accettato da portare avanti come lavoro estivo. Una volta, ero io uno di +quei ragazzi. Uno di quelli che lavoravano lì. E penso, in quel momento, al mo­ +tivo per cui me ne sono andato, e perché mi manca quell’ambiente. Ormai mi +meraviglio dell’inutilità e dello spreco. Sono stanco. Mi sento più triste, e mi chiedo +come ho fatto a perdere così tanto, così in fretta. Voglio provare nostalgia. Voglio +avvertire la sensazione che ci sia un luogo, a un paio di fermate di metropolitana +da me, dove tutto andrà bene. Un luogo migliore. Un luogo in cui dovrei essere. +Un luogo in cui posso tornare. Ma – anche solo visitandolo – i fatti sono evidenti. +Questo luogo non esiste. Non è mai esistito. Provo nostalgia, in sostanza, di un +luogo che non è mai esistito. +La scelta del college, che è uno dei momenti chiave nel percorso educativo di +ogni adolescente nordamericano, fu, per Aaron, piuttosto problematica. +Quando venne il momento di individuare la scuola più adatta per lui, la sua +famiglia volò a Cambridge, nel Massachusetts, e visitò l’Università di Harvard. +È un campus sontuoso ed elegante – ricorda Aaron sul suo blog – L’istituzione +scolastica gode di una reputazione eccezionale. Il quartiere è uno dei più affasci­ + 71 +5. Il sogno di una biblioteca aperta +nanti del mondo. Eppure, durante il tour dell’università, non ci hanno evidenziato +tutti questi aspetti. Ci hanno parlato, un po’, di John Harvard, e del 1700; poi han­ +no trascorso la maggior parte del tempo a dirci quanto fosse bella la “settimana +dello shopping”, in cui si potevano provare diversi corsi per un paio di lezioni. +Anche a Chicago Aaron non trova un ambiente che lo entusiasmi +particolarmente. +Il mese successivo ho visitato l’Università di Chicago – continua – Chicago ha +la reputazione, in tutto il mondo, di essere una scuola con delle idee molto auto­ +revoli: sembra che in ogni campo di ricerca esista una “Scuola di Chicago”. Ma, +dal tour che ci hanno organizzato, non si direbbe: l’unica volta in cui si è parlato +di studio vero e proprio è stata quando un ragazzo ha riferito di aver sentito dire +che l’Università ha una reputazione da “studenti sempre col naso a terra”. «Beh», +ha risposto la guida, «puoi lavorare sodo, se vuoi». E poi è tornato a parlare del +programma sportivo del campus. +In realtà, del mondo universitario ad Aaron interessano, e sono sempre inte­ +ressate, le persone: +La vera ragione per cui voglio andare in un’università – e quella che, a ben vedere, +sembra interessare anche tutti gli altri – è la gente. Voglio recarmi in un luogo +pieno di persone come me, ma più intelligenti. Un posto dove non si può fare a +meno d’imparare. La frase chiave è, quindi, “persone come me”. Voglio conoscere +com’è la “cultura” di quel determinato campus. Se si volesse generalizzare ingiu­ +stamente, si potrebbe dire che le persone ad Harvard sono snob, quelle a Stanford +sono pigre e quelle al MIT sono nerd. La realtà è che, con la possibile eccezione +del MIT, che vende specificamente dell’abbigliamento “nerd pride”, nessuno di +questi luoghi informa su questo aspetto. Dopo tutto, il pubblicizzare troppo la +propria individualità allontana una parte del gruppo d’interesse. Anzi, è proprio +questo il punto! +Se il mondo del college, e dell’accademia in generale, gli sollevavano tutti +questi dubbi e ripensamenti, Aaron ha le idee più chiare nei confronti dei libri e +delle biblioteche, suoi grandi amori sin dai tre anni di età. +Questa passione lo porta ad avviare un progetto che chiama “Open Library” +e la cui idea originaria risale al 2007, quando aveva ventun anni: perché non +trasformare l’attuale Internet in un’enorme biblioteca che contenga informazioni +su ogni libro? +Una biblioteca da navigare, da correggere in tempo reale, da alimentare co­ +stantemente grazie allo sforzo di tutti. +È un tipico progetto alla Aaron: vi è l’idea di “pubblico”, di “liberare il sape­ +re” dalle biblioteche come erano strutturate allora ma, anche, l’interesse comune +per il raggiungimento di un risultato simile. La rete sarebbe stato lo strumento +principe per garantire la libertà, in questo caso, di tutti i libri. + 72 +Aggiustare il mondo +E se ci fosse una biblioteca – s’immagina Aaron sul suo blog – che possa con­ +tenere ogni libro pubblicato? Non solamente ogni libro in vendita, od ogni libro +ritenuto importante, e neppure soltanto ogni libro in una determinata lingua ma, +semplicemente, ogni libro. L’intera eredità culturale del nostro pianeta. +Una volta lanciata la proposta, Aaron inizia a elaborare, da un punto di vista +logico e informatico, i passaggi necessari per concretizzarla. E ha le idee chiare. +Per prima cosa – scrive – questa biblioteca deve essere, ovviamente, su Internet. +Non esiste, al mondo, uno spazio fisico che sia così grande, o universalmente ac­ +cessibile, come lo potrebbe essere un sito web aperto a tutti gli utenti. Il sito si pre­ +senterebbe proprio come Wikipedia: una risorsa pubblica, accessibile a chiunque, +in qualsiasi Paese e che altri utenti potrebbero rielaborare in formati differenti. In +secondo luogo, la biblioteca che ho in mente deve essere completa. Comprendereb­ +be le indicazioni bibliografiche provenienti da ogni biblioteca esistente ma, anche, +da ogni editore e, persino, da ogni utente occasionale della rete che volessero +condividerle con altri. Questo sito web sarebbe collegato a portali commerciali +dove ogni libro potrebbe essere acquistato/venduto, preso in prestito o scaricato. +Il sito prenderebbe la forma, anche, di una raccolta di recensioni, citazioni, discus­ +sioni e di ogni altro dato, e informazione, riguardante quel libro. Ma la cosa più +importante è che una biblioteca simile dovrebbe essere completamente aperta. Non +solo una biblioteca “gratis per tutti”, com’è scritto a caratteri cubitali all’ingresso +della Carnegie Library di Pittsburgh, ma un vero prodotto di tutti, che consenta, a chi +ne abbia la voglia, di creare, e curare, il suo catalogo, di contribuire al suo conte­ +nuto, di partecipare alla sua gestione e di avere accesso completo, e libero, ai suoi +dati. In un’epoca in cui i dati delle biblioteche, e le banche dati in rete, sono gestiti +dietro “porte chiuse” da aziende a scopo di lucro, diventa oggi più importante che +mai essere veramente aperti. +In concreto, partendo dalle idee di Aaron, il processo di costruzione di questa +Open Library ruotò attorno a una pregevole iniziativa già esistente, denominata +“Internet Archive”: si trattava di un progetto che riuniva, a San Francisco, un +piccolo ma agguerrito gruppo di persone molto interessate a simili possibilità. +L’avvio fu estremamente dinamico: i fondatori recuperarono una copia del +catalogo della Library of Congress ed effettuarono decine e decine di telefonate +ai responsabili di case editrici per chiedere loro i dati relativi ai libri pubblicati. +Contestualmente alla raccolta dei dati di libri, i primi soci pensarono a come +creare un’infrastruttura completamente nuova, che fosse in grado di ospitare +una banca dati e che potesse processare milioni di schede. +Decisero di progettare il codice di questo sito web utilizzando, e aggiornan­ +do, la tecnologia wiki: ogni singolo utente avrebbe potuto inserire, così, dati già +strutturati. +Il tocco finale fu la progettazione di un motore di ricerca per il sito e la previ­ +sione di un’interfaccia grafica che fosse semplice e piacevole alla vista e all’uso. + 73 +5. Il sogno di una biblioteca aperta +Il progetto che stava per nascere si collegava direttamente all’idea di digi­ +talizzazione alla base dell’iniziativa Internet Archive, che aveva il fine di rendere +possibile ai cittadini la lettura del testo integrale di tutti quei libri che ormai non +erano più protetti dalla normativa sul copyright e che potevano, così, essere resi +disponibili al mondo. +Il futuro prevedeva, anche, l’aggiunta di una funzione di print-on-demand: si +sarebbe potuta ottenere una copia a stampa dei libri digitalizzati e, persino, uno +scan-on-demand. Anche tutti i libri ormai non protetti da copyright e, quindi, non +più stampati o non più interessanti per gli editori, avrebbero potuto “rivivere” +una seconda giovinezza in forma fisica. +Il codice sorgente della piattaforma sarebbe stato aperto, così come le liste di +discussione del progetto, al fine di dar vita a una comunità molto vivace attorno +a quella idea originaria. +La data ufficiale di partenza della Open Library, con una vera e propria chia­ +mata alle armi sul web, fu fissata per il 16 luglio 2007. +A quindici anni di distanza dal lancio, Open Library vive ancora, e in buona +salute, sul web. +I numerosi aspetti innovativi ideati da Aaron sono stati apprezzati da tantis­ +simi utenti, e hanno attraversato gli anni opportunamente adattandosi al cam­ +biamento della rete. +Aaron voleva, innanzitutto, apertura e completezza dei dati. Questa sua os­ +sessione per avere sempre a disposizione tutti i contenuti non si presentava +come un obiettivo facile per un mondo come quello dei libri e, soprattutto, degli +editori. +Esigeva, poi, che la “sua” biblioteca aperta fosse raggiungibile anche da quel­ +le persone che non potevano accedere a biblioteche tradizionali, e che presen­ +tasse i contenuti con caratteri, modalità e formati che avrebbero permesso an­ +che a disabili, anziani e persone con problemi alla vista di recuperare i libri e di +leggerli. Infine, voleva dare la possibilità a chiunque di pubblicare un libro anche +al di fuori dei sempre più complessi canali editoriali tradizionali. +Il tutto doveva avvenire in un ambiente di comunità, collaborativo, di modo +che tutti potessero essere coinvolti nel miglioramento del progetto e nella sua +crescita. +Tutti dovevano sentirsi parte di qualcosa di grande. Tutti dovevano impe­ +gnarsi per migliorare le schede dei libri che più avevano amato. Tutti dovevano +operare creando nuovi collegamenti tra i dati e le schede, tra i libri e gli autori, +tra le citazioni e le note. Tutti dovevano digitalizzare il più possibile delle opere. +Solo raggiungendo questi obiettivi, secondo Aaron, l’umanità avrebbe contribu­ +ito a fornire un accesso universale alla conoscenza. + 74 +Aggiustare il mondo +Open Library è ancora sul web, e presenta, ogni giorno, nuove iniziative, so­ +prattutto in collaborazione con scuole e università di tutto il mondo e con qual­ +che editore particolarmente lungimirante. +Risulta evidente, oggi, come l’intero progetto racchiuda l’amore per i libri, +per la scienza e per la condivisione dei contenuti che caratterizzava Aaron sin +da bambino. Questi temi rimarranno una costante per tutta la vita di Aaron, an­ +che quando abbandonerà, in parte, la programmazione per entrare nel mondo +dell’attivismo tecnologico e politico. + 6. Non più (solo) un programmatore +Aaron, a un certo punto della sua vita, entrò in crisi. +Com’era sua abitudine, annotò quei momenti tormentati sulle pagine del +blog Raw Thought: un sito web che il giovane continuava a interpretare come un +dialogo ininterrotto con la cerchia di amici/lettori – qualcosa di intimo e confi­ +denziale – e non come uno spazio che, vista la sua notorietà, diffondeva post in +tutto il mondo ed era letto anche da sconosciuti. +Scrisse, senza usare mezze parole, di avvertire l’urgente necessità di fare un +salto di qualità nella sua vita e nel suo lavoro. Di cambiare radicalmente. +Il periodo di San Francisco e della Silicon Valley e l’esperienza di Reddit gli +avevano lasciato l’amaro in bocca ed erano stati momenti traumatici, fisicamen­ +te e psicologicamente. +Descrisse, sul suo blog, giornate passate a piangere in bagno, nei locali della +redazione di Wired in pausa-pranzo e, persino, idee di suicidio. +Aveva provato, sulla sua pelle, come l’ambiente delle startup californiane non +solo non lo interessasse ma, anzi, lo facesse sentire a disagio. +L’idea del mestiere di programmare, come unico lavoro da portare avanti per +tutta la vita, iniziava a soffocarlo. +Senza contare, poi, i primi problemi etici che l’hacker iniziava a porsi: l’aspet­ +to economico – e di profitto – che stava connotando tutta la new economy e la +società dei servizi digitali negli anni Duemila entrava in conflitto, spesso, con i +suoi ideali. +Simili fattori di crisi arrivarono tutti insieme, in pochi mesi generarono un +corto circuito nel suo modo di pensare e intaccarono la serenità di un animo +particolarmente sensibile e complesso. +Fu questo, anche, il momento dell’inevitabile passaggio all’età adulta, e vi fu +l’avvio di un tentativo concreto di comprendere meglio – in retrospettiva – tutto +ciò che aveva costruito sino a quel momento. +Aaron si ritrovava, a vent’anni, con un carnet di obiettivi raggiunti che tante +persone non avrebbero potuto vantare in tutta la loro vita. +Guardando al futuro, però, doveva decidere quello che avrebbe fatto di lì in +avanti. O, meglio, quello che avrebbe voluto fare. +Il ragazzo aveva sempre lavorato nel mondo del codice informatico e del +digitale, sin dalla sua nascita. +Quello era il settore che amava. +Ma aveva notato come, attorno a lui, Internet, la società digitale e la Silicon +Valley stessero letteralmente mutando pelle e cambiando natura. +Un simile scossone radicale stava coinvolgendo, trasversalmente, le persone, +il mondo del lavoro, la società e la politica tutta. + 76 +Aggiustare il mondo +Tanti aspetti di quell’ambiente digitale che si stava sviluppando a un ritmo in­ +credibile non gli piacevano. Iniziò a domandarsi, di conseguenza, quale dovesse +essere il suo (nuovo) ruolo in quel mondo in cambiamento. E come dovesse, a +questo punto, mutare anche la sua pelle. +Il 27 maggio 2006 decise di esporre tutti i suoi dubbi – e questo suo momen­ +to di profonda crisi – per iscritto. +Ne uscì un flusso di pensieri, a volte disordinato e infarcito di citazioni ma +molto utile per comprendere il momento di disagio che stava attraversando. +Aaron intitolò questo post liberatorio “L’apologia del non-programmatore”: +in numerose righe celebrò il suo cambiamento e, in pratica, annunciò al mondo +il suo passaggio da programmatore informatico ��� ritenuto ormai da tutti, in +tutto il mondo, un professionista di grande talento – a vero e proprio attivista +politico. +C’era un punto, nello specifico, che lo stava lentamente lacerando giorno +dopo giorno. +«Quali sono le cose che riesco a fare meglio nella mia vita?» – iniziò a do­ +mandarsi – «Soprattutto, quali sono le cose che realmente vorrei fare in futuro? +In quali aspetti è possibile individuare il mio talento più genuino, e quali sacrifici +dovrò fare, di qui in avanti, per coltivarlo al meglio?» +Domande importanti, certo, che dovevano necessariamente partire dall’a­ +nalisi del passato e da una sorta di autovalutazione delle sue capacità di +programmatore. +Aaron era riconosciuto da tutti come un eccellente programmatore. Anche +questo aspetto lapalissiano, però, viene da lui messo in discussione, forse con +una dose eccessiva di autocritica: scrive, infatti, di sentirsi ormai un po’ arrug­ +ginito e di aver trascurato troppo l’arte della programmazione negli ultimi anni. +La prima domanda che il giovane si pone, di conseguenza, è se debba colti­ +vare, e utilizzare, il suo talento nel campo del coding, al fine di trascorrere tutta +la sua vita con l’obiettivo di essere un programmatore sempre più bravo (anzi: +il più bravo di tutti, come esigeva il suo tipico approccio), o se debba cambiare +completamente strada. +La verità è che, compiuti i vent’anni, si è reso conto che una simile prospetti­ +va non lo attira più. Anzi, lo intimorisce. +Questo amore ormai annacquato nei confronti della programmazione e del +codice informatico lo disorienta: per un lungo periodo della sua vita, sin da +bambino, il lavorare con il codice, e il programmare, erano stati per lui elementi +essenziali. Avevano caratterizzato le sue giornate, e scandito le ore, da quando +aveva tre anni. +Avverte, però, forte la sensazione di essersi ormai allontanato da quel mondo +e di trovarsi di fronte a un dilemma importante da sciogliere: cosa fare, nell’im­ +mediato futuro, che gli possa dare soddisfazione? In quali direzioni investire le +sue competenze e il suo talento? + 77 +6. Non più (solo) un programmatore +In realtà, programmazione a parte, Aaron sente di avere dentro di sé, sin +dall’infanzia, qualcosa che è profondamente legato alle tradizioni alla base del +mondo hacker. +I termini che gli vengono in mente in questo momento di confusione – come +fari nella nebbia o, in un’ottica più moderna, come hashtag – sono conoscenza, +competenza e condivisione. +«L’unico modo per me, oggi, di vivere in maniera responsabile la mia vita» +– annota sul suo blog – «è quello di sfruttare le mie conoscenze specifiche su +tanti temi, concentrarmi su quelle e cercare di spiegarle in una maniera che sia +la più semplice possibile a tutte le altre persone». +Voleva imparare sempre di più, quindi. Ma, soprattutto, voleva imparare tan­ +to e bene per, poi, spiegare. Spiegare agli altri. Trasferire le sue competenze e la +sua conoscenza a terzi. +Vedeva quel passaggio – e quello sforzo – come indispensabile per consenti­ +re a tutti coloro che avrebbero ricevuto in dono il suo patrimonio di conoscenza +di svolgere nel modo migliore i loro compiti nella società, nella vita quotidiana +e nel mondo. +E non vi sarebbe stato così più bisogno, rifletteva, che fosse solo lui a svolge­ +re quei compiti direttamente, caricandosi addosso l’intero fardello di problemi +della società moderna. +Non poteva – lo aveva finalmente compreso – farsi carico di tutte le cose +che non andavano dell’intera società; non poteva “aggiustare il mondo” da solo. +«Spiegare idee complicate a tutti i cittadini» – scrisse – «è la cosa che amo di +più. E nella quale mi sento particolarmente bravo, e portato». +Aaron decise, di conseguenza, di investire il suo tempo, per il resto della vita, +a spiegare ciò che aveva imparato – o che andava, giorno dopo giorno, impa­ +rando – per far sì che sempre più persone potessero conoscere. Soprattutto, gli +interessavano le nozioni più complicate, quelle più difficili da comprendere per +il cittadino comune. +Il codice informatico sarebbe sempre stato presente nella sua vita, e avrebbe +continuato a connotare il suo quotidiano, ma in un modo completamente di­ +verso: aveva compreso, in quel momento della sua vita, che non voleva essere +(solo) un programmatore. +Ormai, quando mi metto a leggere libri sulla programmazione – confessò – sono +più tentato di snobbarli e di prenderli poco seriamente più che leggerli con at­ +tenzione fino in fondo. Quando mi reco a conferenze di sviluppatori e di pro­ +grammatori, preferisco evitare le loro relazioni e trascorrere, invece, del tempo a +parlare con le persone di politica, invece che di programmazione. Scrivere codice, +anche se può essere piacevole, non è certo la cosa che voglio fare per tutta la vita. +Da quel momento in avanti, Aaron inizierà a lavorare più per le persone, la +politica e la società che per il codice informatico in sé. + 78 +Aggiustare il mondo +Ciò lo porterà ad avvicinarsi, inevitabilmente, al mondo della politica e del +buon governo della cosa pubblica, e ad approfondire maggiormente, ad esem­ +pio, gli studi di Lawrence Lessig e di altri giuristi. +Cercherà di sensibilizzare tutte le persone che incontrerà, spiegando quali +siano le cose importanti da fare nella vita. Prenderà di mira non soltanto le vio­ +lazioni dei diritti nel mondo digitale ma, anche, i grandi temi dell’open access, della +prevenzione della corruzione in politica e in società, della trasparenza ammini­ +strativa, della “liberazione” del patrimonio documentale dello Stato – soprattut­ +to del materiale giudiziario e dei prodotti della ricerca – dell’anonimato in rete e +della protezione delle fonti giornalistiche. +Anche da un punto di vista personale – e caratteriale – vi fu, da quel momen­ +to in avanti, un forte cambiamento che condizionò il suo modo di lavorare e, in +un certo senso, di vivere in società. +Eliminò, dal suo quotidiano, ogni attività considerata superflua o un’inutile +perdita di tempo. +Decise di dedicarsi solo a grandi progetti che potessero cambiare il mondo, di +uscire dall’ambito della sola tecnologia e di occuparsi di corruzione, di politica, +di trasparenza, di conoscenza delle norme da parte dei cittadini, di enciclopedie +e contenuti per tutti, di libertà del sapere scientifico e accademico. +La politica, in particolare, lo appassionò sin da subito. +Si avvicinò ad alcuni candidati e candidate al Congresso, per studiare le mo­ +dalità di funzionamento di una campagna elettorale e, persino, allo scopo di +affiancarli nella corsa per essere eletti. +Non ebbe grande successo in politica, ma furono tutti eventi che costituiro­ +no, per lui, una nuova fonte di esperienza e, soprattutto, occasioni di conoscen­ +za del sistema dall’interno. +Entrò in contatto, allo stesso tempo, con le principali associazioni che si oc­ +cupavano di attivismo digitale, e utilizzò parte dei suoi fondi, guadagnati con la +cessione di Reddit, per avviare nuovi progetti. +In quegli anni, il contesto dell’attivismo tecnologico che fioriva attorno ad +Aaron era molto vivace e ciò fu, per lui, una fortuna: gli si presentavano tantis­ +sime possibilità, opzioni e contatti. +La Electronic Frontier Foundation (EFF), il Center for Democracy and +Technology (CDT), la American Civil Liberties Union (ACLU) e tanti altri enti +più o meno grandi, e già ben organizzati, avevano da tempo iniziato a occuparsi +della difesa dei diritti degli utenti che operano in rete, e si erano ormai orga­ +nizzati in maniera professionale, sia dal punto di vista delle persone, che delle +competenze e delle risorse. +La EFF, in particolare, era la più importante, e antica, realtà per la difesa dei +diritti nel mondo digitale. +I campi d’azione di questa associazione erano diversi e, tutti, assai interessanti +per Aaron: si occupava della difesa della libertà di manifestazione del pensiero, + 79 +6. Non più (solo) un programmatore +della tutela dell’innovazione e del progresso nel tessuto sociale, della riforma +della normativa a difesa della proprietà intellettuale al fine di adeguarla ai mu­ +tamenti tecnologici, della protezione della privacy e del perseguimento della +trasparenza. +All’interno di simili macro-ambiti d’azione, gli attivisti individuavano, poi, +ogni giorno ulteriori sottocategorie che consentivano, a chiunque volesse ado­ +perarsi per migliorare lo stato delle cose, un ampio margine di discrezionalità +e operatività, anche in aree d’azione molto più settoriali e specifiche e, even­ +tualmente, adattando “chirurgicamente” il progetto a un contesto politico più +ridotto o locale. +Ai giorni nostri, con un quadro politico e tecnologico molto diverso da quel­ +lo che stava vivendo, allora, Aaron, le attività della EFF si sono spinte anche, +ovviamente, nell’ambito della sorveglianza (e della tutela dei diritti degli utenti), +della profilazione e del riconoscimento facciale. +Molto interessanti, e utili, sono le guide di autodifesa, ad esempio contro la +sorveglianza e contro i più comuni rischi e attacchi informatici: si presentano +come una serie di regole molto semplici, spesso illustrate, che conducono l’u­ +tente inesperto attraverso un percorso pensato per alzare il suo livello di sicu­ +rezza nella vita digitale quotidiana. +Un riferimento nell’attivismo, per il giovane Aaron, era sempre stato, sin dalla +giovane età, Richard Stallman, il fondatore del movimento del software libero, +del progetto GNU e, insieme al giurista Eben Moglen, della licenza GNU/ +GPL. Lo affascinava questo modo di intendere il diritto d’autore come stru­ +mento di (maggiore) libertà e non, al contrario, come mezzo per restringere i +diritti degli utenti. +Ad Aaron piacque l’idea di sviluppare un codice che consentisse a chiunque, +pur nei limiti dei termini di una licenza, di usare il software per qualunque sco­ +po, di modificarlo per adattarlo ai propri bisogni, di condividerlo con gli amici +e i vicini e di far circolare le modifiche effettuate, rendendo disponibile, per +l’intera comunità dei programmatori, il codice sorgente. Si trovò, molto spesso, +a collaborare con loro per portare avanti i suoi nuovi obiettivi. +Gli aspetti che più lo interessarono, dell’attivismo digitale, furono le modalità +di mobilitazione e di connessione delle persone tra loro, usando al meglio, e in +maniera innovativa, gli strumenti digitali esistenti o, all’occorrenza, program­ +mandone di nuovi. +Aaron interpretava Internet – vista la crescente accessibilità, e la capacità di +comunicare rapidamente con migliaia di cittadini – come il miglior strumento +di scelta per quegli individui, o organizzazioni, che desiderassero diffondere un +messaggio di rilevanza sociale. +Gli strumenti tecnologici che tanto amava si potevano utilizzare per costruire +una propria comunità d’azione e d’influenza – piccola o grande che fosse –, +per connettersi con altre persone dalla mentalità simile, al di fuori del proprio + 80 +Aggiustare il mondo +ambiente “fisico”, nonché per fare pressione politica, raccogliere fondi e orga­ +nizzare eventi. +Il computer che aveva tra le mani sin dall’infanzia poteva, ora, diventare uno +strumento per produrre cambiamenti sociali e/o politici: occorreva solo com­ +prendere come fare. +Aaron era, da questo punto di vista, fortunato: si trovava esattamente nel +mezzo (anche) di questa rivoluzione. +Gli anni Ottanta erano stati tiepidi, da questo punto di vista, ma le cose erano +cambiate con l’avvento del web, delle “dot.com” e delle piattaforme di social +media – soprattutto Facebook e Twitter. +L’idea di spostare la politica in rete, anche organizzando intere campagne, era +finalmente fattibile e, da informatico, iniziò a interessarsi circa gli strumenti che +si potessero utilizzare a tal proposito. +Le petizioni online, in particolare, lo affascinarono immediatamente. +Muovevano, alla base, dall’idea di creare dei “centri di raccolta” dove le persone +potessero comunicare con altre, e riunirsi, sotto l’ombrello di una causa comu­ +ne, da portare avanti tutte insieme. +I social network, dal canto loro, potevano essere utilizzati come strumento +di amplificazione del messaggio ma, anche, di raccolta di fondi e di sostegno +e, persino, per la rivelazione di informazioni riservate, o poco note, ai cittadini, +perché trascurate dai canali di comunicazione ufficiali. +Anche i blog e la diffusione del citizen journalism (giornalismo di strada portato +avanti tramite uno smartphone) stavano contribuendo a fornire nuovi mezzi di +comunicazione non filtrati ai cittadini, che si potevano interessare di qualsiasi +argomento. +Ben presto, i blog sarebbero stati affiancati dal micro-blogging e da un uso in­ +tenso di Twitter che, grazie alla sua rapidità, avrebbe permesso di diffondere su +larga scala la consapevolezza di un problema, o l’organizzazione di un evento di +protesta, in pochi secondi. +Grazie, poi, a un utilizzo intelligente degli hashtag – si ricordi, a tal proposito, +l’interesse che manifestava Aaron per tutto ciò che potesse marcare il testo e +consentirne una ricerca, raccolta e fruizione in maniera ordinata – si sarebbero +potute coordinare al meglio le conversazioni e le campagne in corso: l’hashtag +diventava strumento di resistenza e di rottura, per diffondere rapidamente un +concetto in tutto il mondo utilizzando i social media. +A ciò si aggiunse la diffusione dei telefoni cellulari, sia utilizzati per comunicare, +sia come strumento per raccogliere testimonianze, comprese fotografie o video. +Da un punto di vista più tecnico, ad Aaron interessavano tantissimo i vari ser­ +ver proxy che si erano diffusi: potevano essere strumenti ideali per aggirare filtri e +per contrastare l’azione di governi liberticidi, che volevano soffocare le proteste +online o disconnettere interi Stati. + 81 +6. Non più (solo) un programmatore +Infine, sin da bambino, si era appassionato di piattaforme di crowdsourcing, +ossia dell’uso di Internet per distribuire, tra più individui, la risoluzione di pro­ +blemi e l’acquisizione di risorse (anche economiche). +Internet, in quegli anni, poteva finalmente aiutare gli individui, e le singole asso­ +ciazioni e iniziative da loro organizzate, nel mobilitare una comunità globale e nel +creare opportunità di collaborazione tra gruppi di persone (altrimenti) non collegate. +Di lì in avanti, Aaron iniziò a lavorare per creare strumenti digitali che con­ +sentissero di aumentare la capacità di connettere una vasta comunità di persone +e di globalizzare gli obiettivi di una campagna, sempre tramite la più ampia +condivisione possibile di informazioni. +La sfida più interessante era il rapporto tra mondo online e mondo ‘fisico’, +tra proteste generate nelle stanze di casa, sulle poltrone e sui divani, e i tradi­ +zionali movimenti di piazza: occorreva trasformare tutto questo lavoro online +affinché potesse dare supporto concreto a un’azione sul campo. Tante erano le +critiche, infatti, che si stavano diffondendo, in base alle quali simili azioni sareb­ +bero destinate a rimanere nel mondo digitale e non avrebbero avuto un impatto +concreto sulla società. +In più, le piattaforme per i cambiamenti sociali avrebbero dato voce a chiun­ +que, e anche questo era un vecchio pallino di Aaron, che già lo aveva messo in +evidenza nei suoi progetti da teenager. +Chiunque avrà accesso alla rete potrà parlare, potrà far valere le proprie ra­ +gioni, potrà domandare un cambiamento e, finalmente, avrà un vettore ecce­ +zionale per veicolare il proprio messaggio. Potrà condividere la sua storia o un +problema personale, cercare donazioni per risolverlo al meglio e fare pressione +politica chiedendo al governo centrale, o locale, di agire e di intervenire. +Questa idea di “ascoltare tutte le voci” anche quelle che vengono bloccate dai +media tradizionali, era perfettamente in linea con la sua idea di “leggere tutti i libri”. +Internet consentiva alle voci, che erano in qualche modo condizionate dal +potere dei media e dalla società in generale, e che non riuscivano a farsi sentire, +di parlare. In questo modo, si aggiustava un altro errore del sistema. +Il mondo dell’attivismo era, però, molto complesso, e spesso non facile da +sostenere, sia psicologicamente, sia finanziariamente. +Non sempre le iniziative andavano bene; non sempre i progetti avevano un +esito positivo, o trovavano sufficienti finanziatori o, ancora, raggiungevano +l’obiettivo. +Al contempo, Aaron apriva continue finestre: non rimaneva mai su un pro­ +getto per più di qualche mese, e aveva un modo di lavorare che, sovente, irritava +i direttori dei progetti o, peggio, gli eventuali finanziatori. +Ciò non toglie che, quando iniziò la sua “seconda vita” da attivista a tempo +pieno, dopo i primi vent’anni, molti dei progetti che portò avanti si rivelarono di +grandissimo interesse e, ancora oggi, sono rimasti dei punti di riferimento della +società tecnologica moderna. + L’ATTIVISMO + 7. Un cane da guardia per la politica +Siamo nel 2008, e Aaron ha compiuto ventun anni. +È passato più di un anno dal licenziamento da Reddit, e ne sono trascorsi un +paio dal suo momento di “crisi d’identità” come programmatore. +L’entusiasmo, quando annuncia – con un post sul suo blog – l’avvio del suo +nuovo progetto denominato “watchdog.net”, è palpabile. +“Welcome, watchdog.net”, scrive il 14 aprile: siamo in presenza del suo pri­ +mo, concreto tentativo di un uso delle tecnologie correlato all’impegno politico. +L’obiettivo è ambizioso: unire fruttuosamente le attività di programmazione +di codice, e di progettazione di un’architettura web, alla modifica di un quadro +sociale negli Stati Uniti d’America, che il ragazzo descrive, senza mezzi termini, +come di pura “follia politica”. È in corso, in quei mesi, una campagna elettorale +caratterizzata quasi esclusivamente da pettegolezzi, da attacchi personali e da +diffusione sistematica di notizie false. +Dal momento in cui Aaron ha preso la decisione di voler iniziare a “fare la +differenza” nel mondo che lo circonda, il panorama delle imminenti elezioni +politiche gli è parso un ambito d’azione perfetto e un’ottima occasione da pren­ +dere al volo: le presidenziali sarebbero state il 4 novembre di quell’anno – ossia, +più o meno, di lì a otto mesi – e Obama e McCain avevano iniziato la campagna +già da almeno due anni. +Il dialogo serrato con Lawrence Lessig, in questi frangenti, fu per lui fonda­ +mentale. Anche il costituzionalista aveva ormai iniziato ad abbandonare molti +temi del diritto digitale e si era appassionato allo studio della corruzione conge­ +nita in politica – e di come si potesse cercare di sconfiggerla con la trasparenza +– e allo studio dei beni comuni. +Dopo aver trascorso mesi a pensare e a dibattere con tantissime persone, stu­ +diando centinaia di testi e mettendo sul tavolo decine di progetti differenti, ad +Aaron parve, finalmente, di aver individuato una direzione che avrebbe portato +a interessanti cambiamenti. E in quella direzione avrebbe potuto incanalare le +sue competenze, per essere finalmente soddisfatto delle sue azioni. +Il sito web prese il nome di watchdog.net. Il piano d’azione alla base del +progetto si doveva articolare in tre fasi, che Aaron aveva già ben individuato, +almeno sulla carta. +In primo luogo, lui e i suoi soci avrebbero iniziato, come prevedibile, una +grande raccolta di dati. Tutto, per Aaron, doveva partire da una raccolta massiva +e ordinata di informazioni che, se ben trattate, avrebbero generato nuovi dati e, +di conseguenza, un enorme valore. +Le fonti politiche da cui raccogliere i dati sarebbero state le più eterogenee: +i dati demografici tratti dagli archivi dei distretti elettorali, i dati sulle votazioni + 86 +Aggiustare il mondo +passate, un elenco di finanziatori e di centri di lobbying, nonché mappe di re­ +lazioni tra aziende e finanziamenti di specifiche campagne elettorali di singoli +politici. +L’idea era quella di consentire a tutte le persone – anche al cittadino comune, +non esperto né di politica, né di tecnologia né, tantomeno, di reti di influenza +politica – di poter esplorare tutti questi dati, di “saltare” da un collegamento +all’altro e di avere un quadro sempre aggiornato dei comportamenti e delle +relazioni, finanziarie e di potere, di tutti i politici. Proprio quei politici che il +cittadino stava valutando o, addirittura, si apprestava a votare. Il tutto attraverso +un’interfaccia web elegante e completa. +Il progetto si rivelò, da subito, estremamente complesso: proprio come +Reddit voleva essere la front page per l’ingresso in Internet, e la porta d’ingresso +per tutti i contenuti sul web, così whatchdog.net si proponeva di essere la più +potente interfaccia web esistente e affidabile per esplorare un grande insieme di +dati relativi ai politici statunitensi e alle loro candidature. +Ma questo primo punto di arrivo – il “regalare” ai cittadini tutte le informa­ +zioni sui politici che stavano per votare – non era ritenuto, da Aaron, sufficiente. +La seconda parte del progetto avrebbe dato, in più, maggior potere d’azione +ai cittadini che avrebbero utilizzato quel sito. Avrebbe fornito, a tutti, l’opportu­ +nità di fare, e costruire, qualcosa con quelle informazioni, affinché fossero utili +anche nella vita quotidiana di tutti. +Nell’idea di Aaron, il fornire soltanto un insieme d’informazioni politiche, +pur ordinato e catalogato, ai cittadini rischiava di renderli apatici e di non ap­ +passionarli al progetto. Occorreva il loro empowerment: era necessario, in qualche +modo, coinvolgerli. +Si decise, allora, di prevedere, nell’architettura del sito, strumenti specifici che +consentissero ai cittadini, appunto, di agire in tempo reale, mentre consultavano +o correlavano quei dati. +Cosa significava, in concreto, agire in un contesto di campagna elettorale +monitorata da un sito web di quel tipo? +Significava, ad esempio, poter scrivere direttamente a un politico o al suo uf­ +ficio; poter contattare un’azienda che finanziava la campagna di un determinato +candidato; mandare una e-mail a un comitato elettorale legato a quel candidato +ma, anche, poter chiamare il proprio rappresentante territoriale; poter creare, +e inviare, note e appunti ai quotidiani locali per segnalare un fatto oggettivo +ricavabile da quei dati; avere il potere di pubblicare in tempo reale informazioni +reperite o scoperte e, persino, generare schede di valutazione e di rating utili per +le elezioni in arrivo. +Uno scrutinio globale e costante, in definitiva, su ogni politico e le sue +relazioni. +I primi due aspetti del progetto sarebbero stati collegati tra loro grazie a +un enorme database collaborativo, che avrebbe raccolto questioni politiche, + 87 +7. Un cane da guardia per la politica +iniziative in corso e annunciate, campagne e mobilitazioni politiche, elenchi di +donatori, informazioni scientifiche sul singolo problema incluso nel dibattito +(ad esempio: l’inquinamento ambientale), manifestazioni d’interesse pubbliche +e private, e tanto altro. +Il tutto sarebbe stato progettato con software aperti e gratuiti e con la possi­ +bilità di una libera fruizione di dati. +Ma non solo: il progetto avrebbe consentito a chiunque, rendendo pubbliche +delle specifiche API (interfacce di programmazione delle singole applicazioni), +di sfruttare in altri ambienti e contesti – e, magari, anche in altri Paesi – ciò che +si sarebbe fatto, con quel sito, negli Stati Uniti d’America. +L’idea di dar vita a un hub, un concentratore/centro di collegamento tra cit­ +tadini, attivisti, organizzazioni, politici, programmatori e chiunque altro fosse +interessato alla politica, alimentava la speranza di Aaron, con questo suo primo +progetto, di rendere il più interessante e facile possibile l’avvicinamento e il +coinvolgimento dei cittadini alla politica. +Il progetto fu abbozzato in gran fretta: il breve momento pre-elettorale an­ +dava sfruttato e si decise di lavorare, in un certo senso, “in diretta”: venivano +rilasciati, sul web, i vari pezzettini e tasselli del sito non appena erano pronti. +L’entusiasmo che vi era alla base e le capacità del gruppo di lavoro compen­ +sarono i piccoli difetti iniziali dovuti alla fretta: dopo poche settimane apparve +chiaro a tutti come fosse concretamente possibile mettere a disposizione dei +cittadini una moltitudine di dati relativi a ogni rappresentante politico, gene­ +rando anche una interfaccia grafica efficace per presentarli e per consentire, +così, un controllo costante di quello che facevano, delle loro relazioni e dei loro +comportamenti. +Il progetto watchdog.net segnò, anche, l’ingresso di Aaron su Github, il più +importante servizio di hosting al mondo per progetti software e considerato, co­ +munemente, il “pianeta”, o il “paradiso”, degli sviluppatori. +Il funzionamento di Github è molto semplice, ma fondamentale, oggi, nello +sviluppo di migliaia di progetti condivisi: uno sviluppatore di software carica +sul sito il codice sorgente del programma su cui sta lavorando e lo mette a di­ +sposizione di tutti gli utenti tramite la possibilità di scaricarlo. Gli utenti, a loro +volta, possono dialogare e interagire con lo sviluppatore, segnalando problemi +e postando commenti o richieste finalizzate essenzialmente a risolvere bug o a +domandare nuove funzioni. Il servizio di hosting, dal canto suo, elabora dei report +dettagliati sulla “vita” di ogni singolo progetto e sulle sue varie versioni. Github +era, nell’idea di Aaron, quanto di più vicino vi fosse a una specie di “mente col­ +lettiva” che lavorasse in tempo reale – in un dialogo incessante – per migliorare +singoli progetti. +Aaron, in particolare, creò il suo account “aaronsw” esattamente il 4 aprile +2008. La sua prima azione importante registrata dal sistema di Github fu la cre­ +azione di un repository denominato, appunto, “watchdog”. Il progetto mostrava + 88 +Aggiustare il mondo +già la sua predilezione per il linguaggio di programmazione Python e per l’utiliz­ +zo di una licenza libera, in questo caso la AGPL-3.0. +I primi sei mesi nei quali Aaron usò la piattaforma Github furono dedicati +proprio al lavoro sul codice alla base di watchdog.net. +Nella versione iniziale, il progetto fu presentato in maniera molto semplice: +come un “hub” per la politica su Internet: «We’re trying to build a hub for poli­ +tics on the Internet. Our plan has three parts: [data, action, causes]». +Anche la descrizione del programmatore/ideatore fu molto sintetica: +Founder Aaron Swartz has been building web applications for far too long. He +co-founded Reddit (since purchased by Conde Nast), Jottit, Open Library, and +theinfo.org. His writing on technology and politics has appeared in Extra!, Wired, +Personal Democracy Forum, and other publications. +La memoria storica di Github ci dice che come suoi collaboratori al progetto +furono indicati, allora, Pradeep Gowda (programmatore), Kragen Sitaker (pro­ +grammatore) e Nathan Borror (designer). +Nello stesso periodo, un sito molto innovativo, denominato change.org, sta­ +va iniziando a operare, sempre da San Francisco. +Si trattava di un progetto direttamente legato all’idea di petizione: offriva ai cit­ +tadini la possibilità di promuovere le azioni che ritenessero importanti e di rac­ +cogliere firme per influenzare decisori e politici usando il web. Anche in questo +caso, il fine era quello di mobilitare il più ampio numero possibile di supporter. +Change.org diventerà, in pochi anni, un elemento centrale per questo tipo di +attività. +Progetti così complessi hanno bisogno, come è ovvio, di cospicui finanzia­ +menti, non solo per partire ma, soprattutto, per mantenersi attivi nel tempo. +Nel caso di watchdog.net, ad esempio, fu la Sunlight Foundation, organizzazio­ +ne senza scopo di lucro oggi non più attiva, a finanziare Aaron per sei mesi per +lo sviluppo del sito. Lo sforzo economico si rivelò nobile nelle premesse, ma +debole, purtroppo, nelle conclusioni. +L’idea di base era molto innovativa e piacque tanto ai finanziatori: collegare, +ad esempio, i dati sui finanziamenti delle campagne elettorali alle informazioni +sui lobbisti, al fine di trovare eventuali intersezioni nelle quali l’intervento di +un lobbista sembrasse corrispondere a un “favore specifico” garantito nei suoi +confronti da un membro del Congresso, era un’operazione assai affascinante. +Anche Lawrence Lessig, ad esempio, iniziò studi specifici sul tema, e ne ribadì +spesso l’importanza. +Ma ad Aaron parve, una volta avviato il progetto, che quello che si stava fa­ +cendo fosse, comunque, troppo poco. Una simile azione non poteva servire per +riformare, o cambiare radicalmente, il modo di far politica: i dati e la trasparenza + 89 +7. Un cane da guardia per la politica +non erano sufficienti per trasformare il mondo, dal momento che il vero proble­ +ma, nel quadro costituzionale, appariva essere la corruzione sistemica. +Un sistema idoneo a segnalare casi singoli, e relativi a specifici membri del +Congresso, non avrebbe aiutato a gestire tutti gli episodi che, inevitabilmente, +sarebbero sorti in ogni apparato statale; le persone, al contempo, sarebbero +rimaste deluse quando avrebbero compreso l’impossibilità di raggiungere un +simile obiettivo. +Aaron si rese conto, in definitiva, che doveva puntare più in alto: trasparenza +e pulizia del sistema elettorale, indipendenza dei media, aumento del livello di +democrazia in società e in rete. Sapeva che la potenza di Internet gli avrebbe +permesso di lavorare su problemi di più ampia portata, di pensare più in gran­ +de, e fece di nuovo capolino, in lui, questa ossessione del “voler fare sempre di +più” che lo portò, ben presto, a criticare il suo stesso progetto watchdog.net, a +dubitare della sua reale efficacia e, poi, ad abbandonarlo. +Oggi, in rete, rimangono pochissime tracce di questo progetto. Il nome di +dominio cui rimandava, ad esempio, è stato abbandonato, e il sito web non è +più in linea. +Tuttavia vi è, ancora, l’annuncio originario di quel 15 aprile 2008 che, comun­ +que, è permeato di quell’entusiasmo e di quel sapore di novità tipici di Aaron: +Raccogliere fonti di dati da ogni dove – dati demografici dei distretti, votazioni, +registri delle lobby, rapporti sui finanziamenti delle campagne elettorali, eccetera – +e permettere alle persone di esplorarli in un’interfaccia elegante e unificata. Voglio +che questa sia una delle interfacce più potenti, ed efficaci, per esplorare un grande +insieme di dati. Ma dare solo informazioni non è sufficiente; se non si dà loro +l’opportunità di fare qualcosa, si rischia solo di rendere i cittadini più apatici. La +seconda parte del sito include, quindi, la costruzione di strumenti che consentano +alle persone di agire: scrivere o chiamare il proprio rappresentante, inviare una +nota ai giornali locali, pubblicare una storia su qualcosa di interessante che si è +trovato, generare una scheda di valutazione per le prossime elezioni. E a collegare +questi due elementi sarà un database collaborativo di iniziative politiche. Così, +nella pagina sul riscaldamento globale, sarà possibile saperne di più sul problema +e sulle soluzioni proposte, ricercare i donatori e i voti sulla questione e iniziare una +campagna di comunicazione. +David Segal, membro della Camera dei Rappresentanti del Rhode Island, +lavorò a stretto contatto con Aaron quando il giovane iniziò ad appassionarsi +di temi politici. In un libro dove sono stati raccolti gli scritti principali di Aaron +Swartz, il politico lo ricorda con affetto e, soprattutto, cerca di delineare il suo +approccio politico. In questo primo progetto c’erano, infatti, già dei semi che +sarebbero germogliati, poi, nelle iniziative successive. +Aaron non era, sicuramente, un cyber-utopista – ricorda Segal – Credeva, ovvia­ +mente, nel diritto a un accesso alle informazioni – un credo che, in un certo senso, + 90 +Aggiustare il mondo +gli è costato la vita – e mi confidò che si riteneva un “fondamentalista della libertà +di parola”. Ma l’obiettivo principale di Aaron era quello di aiutare a costruire una +società che fosse connotata da una giustizia sociale. Per fare ciò, non era sufficien­ +te la trasparenza, ma serviva conoscenza, serviva la tutela dei diritti civili e serviva +sempre maggiore libertà. Voleva, allora, cercare di limitare il potere di governo, +delle grandi società e dei poteri economici e aumentare, al contrario, la presenza +di solidarietà ed eguaglianza nel mondo. + 8. Il Guerrilla Open Access Manifesto +Tre mesi dopo, nel luglio del 2008, durante un suo viaggio in Italia, Aaron +lavorò insieme ad altri colleghi – che, successivamente, non si vollero esporre +come coautori del documento – su un breve testo che intitolò Guerrilla Open +Access Manifesto. +Il suo pensiero politico e la sua voglia di attivismo si stavano già spostando +in un’altra, entusiasmante direzione: il diritto di tutti i cittadini del mondo ad +accedere liberamente al sapere scientifico e ai contenuti prodotti in società. +Con questo documento, Aaron prese anche una posizione pubblica ufficiale +di supporto al movimento open access, un insieme di teorie e di azioni, sociali +e politiche, volte a rimuovere ostacoli tecnici e paywalls (“barriere di pedaggio”) +che impediscano ai cittadini l’accesso alle pubblicazioni esito di ricerche scienti­ +fiche, spesso finanziate con fondi pubblici. +Il testo in lingua originale del Manifesto, come pubblicato su Internet Archive, +è il seguente: +Guerilla Open Access Manifesto +Information is power. But like all power, there are those who want to keep it +for themselves. The world’s entire scientific and cultural heritage, published over +centuries in books and journals, is increasingly being digitized and locked up by +a handful of private corporations. Want to read the papers featuring the most +famous results of the sciences? You’ll need to send enormous amounts to pub­ +lishers like Reed Elsevier. +There are those struggling to change this. The Open Access Movement has +fought valiantly to ensure that scientists do not sign their copyrights away but +instead ensure their work is published on the Internet, under terms that allow +anyone to access it. But even under the best scenarios, their work will only apply +to things published in the future. Everything up until now will have been lost. +That is too high a price to pay. Forcing academics to pay money to read the work +of their colleagues? Scanning entire libraries but only allowing the folks at Google +to read them? Providing scientific articles to those at elite universities in the First +World, but not to children in the Global South? It’s outrageous and unacceptable. +«I agree» many say, «but what can we do? The companies hold the copyrights, +they make enormous amounts of money by charging for access, and it’s perfectly +legal — there’s nothing we can do to stop them» +But there is something we can, something that’s already being done: we can fight +back. Those with access to these resources — students, librarians, scientists — +you have been given a privilege. You get to feed at this banquet of knowledge +while the rest of the world is locked out. But you need not — indeed, morally, +you cannot — keep this privilege for yourselves. You have a duty to share it with +the world. And you have: trading passwords with colleagues, filling download + 92 +Aggiustare il mondo +requests for friends. +Meanwhile, those who have been locked out are not standing idly by. You have +been sneaking through holes and climbing over fences, liberating the information +locked up by the publishers and sharing them with your friends. +But all of this action goes on in the dark, hidden underground. It’s called steal­ +ing or piracy, as if sharing a wealth of knowledge were the moral equivalent of +plundering a ship and murdering its crew. But sharing isn’t immoral — it’s a moral +imperative. Only those blinded by greed would refuse to let a friend make a copy. +Large corporations, of course, are blinded by greed. The laws under which they +operate require it — their shareholders would revolt at anything less. And the pol­ +iticians they have bought off back them, passing laws giving them the exclusive +power to decide who can make copies. +There is no justice in following unjust laws. It’s time to come into the light and, +in the grand tradition of civil disobedience, declare our opposition to this private +theft of public culture. +We need to take information, wherever it is stored, make our copies and share +them with the world. We need to take stuff that’s out of copyright and add it to +the archive. We need to buy secret databases and put them on the Web. We need +to download scientific journals and upload them to file sharing networks. We need +to fight for Guerilla Open Access. +With enough of us, around the world, we’ll not just send a strong message op­ +posing the privatization of knowledge — we’ll make it a thing of the past. Will +you join us? +Aaron Swartz +July 2008, Eremo, Italy +Aaron si focalizza, nel suo documento, su due aspetti essenziali. +Come prima cosa, auspica che sia rimossa ogni restrizione/chiusura posta da +università e istituzioni pubbliche all’accesso agli articoli scientifici. +Successivamente, domanda che sia riconosciuto un vero e proprio diritto, per +tutte le persone, ad avere accesso ai prodotti della ricerca scientifica. +È un tema, questo dell’accesso libero, che affascina Aaron per tanti motivi. +Gli ricorda, innanzitutto, gli ambienti del W3C e del consesso che diede vita +al web, quando frequentava decine di studiosi intenti a scambiarsi il più possibile +informazioni, e a non tenere nulla per sé. +Poi ebbe, sicuramente, una grande influenza il rapporto che si era stabilito +con Lawrence Lessig e l’avvio del progetto Creative Commons, anch’esso ba­ +sato su un’idea di “liberazione” della cultura prodotta nell’ambiente di rete, pur +entro i limiti della normativa sul copyright. +Al contempo, come programmatore aveva ammirato – e utilizzava – i prodot­ +ti e le licenze open source di Moglen e di Stallman, per “aprire” il più possibile le +possibilità di uso, da parte di altre persone, del software che si andava creando. + 93 +8. Il Guerrilla Open Access Manifesto +Infine, era sempre stato affascinato da realtà quali il MIT e Stanford, dove era +centrale, tra gli hacker di quei campus, l’idea di condivisione e di eliminazione di +tutte le barriere di accesso al sapere. +Il testo del Manifesto non è né lungo, né complesso. Più che un manifesto +programmatico, sembra essere una serie di efficaci appunti esposti per fissare +alcuni temi di importanza sociale e politica e, soprattutto, per dare il via a una +sorta di “chiamata alle armi”. +Richiama molto, come stile e come enfasi, la Dichiarazione di Indipendenza del +Ciberspazio che John Perry Barlow aveva redatto nel 1996 per consacrare, e ri­ +badire, la libertà della rete dai tentativi di colonizzazione da parte del mondo +aziendale e commerciale. +Il titolo roboante – e un po’ infelice per la presenza del termine Guerrilla – at­ +tirerà l’attenzione dell’FBI: il manifesto, che sembrava voler invocare una guerra +contro chi chiudesse i contenuti e suggerire, al contempo, un non troppo velato +invito a “liberarli”, finirà direttamente nel fascicolo che i federali prepararono +quando iniziarono a indagare sulla sua persona. +Il manifesto si apre con la considerazione, ormai acquisita, del livello di pote­ +re assunto dall’informazione nella società e nella politica digitale (“Information +is power”) e con la consapevolezza che, come accade con tutti i tipi di potere, vi +siano dei soggetti, nel mondo elettronico, che quei poteri se li vogliono tenere +ben stretti. +L’intera eredità scientifica, e culturale, mondiale, che è stata pubblicata nel +corso dei secoli in milioni di libri e riviste – denuncia Aaron – è sempre di più +digitalizzata e imprigionata e, letteralmente, bloccata da poche, grandi società +private. +Il giovane usa la suggestiva locuzione inglese “locked up”, che rimanda a +lucchetti, catene e cancelli chiusi. La conclusione è che un cittadino che volesse, +oggi, leggere quegli studi che riportano i più importanti risultati del progresso +scientifico si trova davanti a una vera e propria barriera, un “divieto di accesso”, +e dovrebbe pagare ingenti somme a grandi editori scientifici per entrare. +La chiamata alle armi di Aaaron è chiara: un quadro simile non va bene, e ci +sono persone che non sono d’accordo e che si battono, insieme ad esponenti di +varie associazioni, per cambiare la situazione. +Il riferimento esplicito è all’Open Access Movement: un movimento che ha scel­ +to, in tante occasioni, di protestare, proprio domandando agli studiosi di pub­ +blicare i loro lavori con modalità che ne consentissero l’accesso da parte di +chiunque. +Il quadro che si è generato, scrive Aaron, rappresenta un prezzo troppo alto +da pagare per tutti. Si obbligano – fa notare – gli accademici a pagare ingenti +somme di denaro per poter leggere i lavori dei loro colleghi; al contempo, si +scansionano e digitalizzano intere biblioteche e raccolte di libri ma, poi, si per­ +mette soltanto a Google di gestire il patrimonio costituito da simili documenti. + 94 +Aggiustare il mondo +Si fornisce alle università più prestigiose un accesso agli articoli scientifici, ma +non si dà la stessa possibilità ai bambini nelle zone povere del mondo. +Tutto ciò, nel pensiero del giovane, è oltraggioso e inaccettabile. E allora, si +domanda, che cosa possiamo fare? +Un primo, grande problema, scrive nel Manifesto, è che le grandi società de­ +tengono i diritti d’autore su gran parte dei contenuti e generano profitti proprio +facendo pagare una quota, spesso ingente, per accedere alle informazioni. Il +tutto avviene con modalità contrattuali ritenute perfettamente lecite dagli ordi­ +namenti giuridici. +Però, aggiunge, possiamo comunque fare qualcosa: possiamo iniziare a com­ +battere per rispondere a questa situazione, dal momento che tutti coloro che +hanno accesso a queste risorse e a questi contenuti – studenti, bibliotecari, +scienziati – hanno ricevuto un dono, e sono in una posizione di privilegio. +Si possono cibare ogni giorno a questo banchetto della conoscenza, scrive il +giovane in maniera accorata, quando il resto del mondo è lasciato fuori, e non +può accedervi. +Ma non è giusto, moralmente, che queste persone si tengano questo privile­ +gio per sé stesse. Nasce, in loro, un dovere di condividere questo materiale con +il resto del mondo, di scambiare le password e i codici di accesso con i colleghi, +di scaricare il materiale per soddisfare le richieste di amici. +Aaron vuole, in definitiva, che tutte queste persone che elenca, e che operano +in concreto nel settore della cultura e della produzione di contenuti, contribu­ +iscano a liberare quell’informazione che è stata chiusa a chiave dagli editori. E +che la condividano, indipendentemente da quanto dispone la legge. +Il problema, riflette Aaron, è che un’azione simile, clandestina, è definita +come “pirateria” o “furto” in gran parte degli ordinamenti, dove la condivisione +di un “pezzetto” di conoscenza è equiparato al furto vero e proprio di un bene. +La condivisione, però, non deve essere vista come immorale e, anzi, scrive, deve +diventare un imperativo morale: solo chi è accecato dall’avidità e dal profitto +non condivide beni con i propri amici o rifiuta a un amico la possibilità di fare +una copia di un contenuto. +Si pensi che in uno dei primi post del suo blog, nel lontano 4 febbraio del +2002 (“Arrgh, pirates”), Aaron aveva contestato proprio il termine “pirate”, e il +suo uso non corretto in ambito digitale: +Mi sono spesso lamentato, con le persone, per l’uso che fanno del termine “pira­ +tare” per intendere “condividere”. +Quando la gente si lamenta dei film “piratati”, intende davvero insinuare che +condividere i film con qualcuno sia l’equivalente morale di attaccare una nave? +Tuttavia, man mano che il termine si diffonde, non posso fare a meno di chie­ +dermi se la connotazione negativa si esaurirà: lo vediamo persino presente nel +dizionario come “Fare uso o riprodurre (un’opera altrui) senza autorizzazione”. +«Ehi Johnny, ho una copia pirata di Shakespeare per te!» + 95 +8. Il Guerrilla Open Access Manifesto +Proprio l’altro giorno la mia insegnante di matematica ha detto di aver “piratato” +dal libro di testo alcuni degli esempi che stava scrivendo alla lavagna. +Le grandi società, nell’interpretazione di Aaron, sono accecate di rabbia per +questa situazione, e il quadro normativo nel quale operano è pensato proprio +per creare un sistema simile. La politica, allo stesso tempo, risponde alle richie­ +ste delle grandi società con riforme legislative, che stabiliscono in maniera sem­ +pre più rigida chi ha il potere esclusivo di decidere chi può fare copie o meno. +Non c’è però giustizia – continua, accorato, Aaron – nel seguire le indicazioni +di leggi percepite da tanti utenti come ingiuste: è il momento, quindi, di uscire +dalla clandestinità, di venire in superficie e, in accordo con la grande tradizione +statunitense della disobbedienza civile, di dichiarare la ferma opposizione a un +furto in corso, da parte di privati, dell’intera cultura pubblica. +La parte finale del manifesto è quella che istiga, per così dire, all’azione: dob­ +biamo prendere l’informazione, scrive Aaron, ovunque essa sia conservata e +custodita, dobbiamo fare le nostre copie e dobbiamo condividerla con il mondo +intero. Dobbiamo, poi, prendere tutto il materiale che non è coperto da copyri­ +ght e aggiungerlo a questo grande archivio globale di conoscenza, dobbiamo +recuperare i database mantenuti segreti e caricarli sul web, dobbiamo scaricare +tutti gli articoli delle riviste scientifiche e immetterli nei sistemi di file sharing. +«Dobbiamo combattere per Guerrilla Open Access» – conclude – «E sa­ +remo in tanti, in tutto il mondo, e non solo manderemo un messaggio forte in +opposizione alla privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo una cosa +del passato. Ti vuoi unire a noi?» +Questo documento, pur nella sua semplicità – e, in alcuni passaggi, ingenuità +– è certamente il più noto scritto di Aaron Swartz. +Ha avuto una larghissima diffusione, è stato tradotto in numerose lingue ed +è stato apprezzato anche al di fuori della stretta cerchia degli attivisti digitali. +Uno dei grandi meriti è stato quello di continuare ad alimentare il dibattito +sull’open access, mettendo al centro non solo le questioni normative e politi­ +che, ma, anche, le biblioteche e le grandi banche dati, soprattutto delle grandi +università di élite. +Aaron intravedeva molto chiaro il problema che le biblioteche che lui amava +tanto frequentare, attraverso i contratti di licenza e gli accordi con quella che lui +chiamava “l’industria dei contenuti scientifici”, fossero le clienti più importanti +degli editori di questi costosi database e che, se avessero accettato acriticamente +termini e condizioni proposti dalle aziende, sarebbero state in qualche modo +responsabili dell’aumento di diffusione di questi paywall. +L’urgenza che Aaron manifesta, richiamando le teorie dell’open access, è +quella di cercare di cambiare questo modello basato su paywall. +Perché non lottiamo, si domanda, per modificare legalmente i contratti di +ricerca? Perché non combattiamo per rinegoziare con gli editori, per ottenere + 96 +Aggiustare il mondo +diritti più forti in grado di gestire in maniera più libera la diffusione del lavoro +scientifico, anche su riviste? +A quasi quindici anni di distanza, in alcune, grandi, università il quadro è +cambiato, ma rimangono ancora, in tanti ambiti, muri molto difficili da abbatte­ +re; lo scritto di Aaron, riletto ai giorni nostri, è quanto mai attuale. +La parte più criticata del Manifesto fu, come comprensibile, quella che chia­ +mava a una sorta di “pirateria di massa”. Fu anche la parte che interessò di più, +vedremo, gli investigatori. +Già a diciassette anni Aaron, in un breve articolo che gli era stato commissio­ +nato dal New York Times Upfront, affermava che “Downloadin’ Isn’t Stealing”: +“scaricare non è rubare”. +Il quotidiano pubblicò il suo intervento accorciandolo, però, e togliendo una +parte dove sembrava che Aaron volesse suggerire ai lettori di infrangere la legge. +Rubare è sbagliato – scrive Aaron in questo documento giovanile – Ma scari­ +care non è rubare. Se rubo un album dal negozio di dischi del mio quartiere, +nessun altro potrà più comprarlo. Ma quando scarico una canzone, nessuno +ne perde la disponibilità, e al contempo un’altra persona la ottiene. Non vi è +alcun problema etico. Le case discografiche hanno attribuito al fenomeno del +download la causa di un calo delle vendite del 15% dal 2000. Ma, nello stesso +periodo, c’è stata la recessione, un aumento dei prezzi, una riduzione del 25% +delle nuove uscite e la mancanza di nuovi artisti famosi. Tenendo conto di tutti +questi fattori, forse il download è in grado di aumentare le vendite. E il 90% +del catalogo delle grandi etichette non è più in vendita: Internet è l’unico modo +per ascoltare questa musica. Anche se il download danneggiasse le vendite, que­ +sto non lo rende, comunque, immorale. Anche le biblioteche e le videoteche +danneggiano le vendite. Allora non è etico utilizzarle? Il download può anche +essere illegale, ma 60 milioni di persone hanno usato Napster e solo 50 milioni +hanno votato per Bush o Gore. Viviamo in una democrazia. Se la gente vuole +condividere i file, allora la legge dovrebbe essere cambiata per permetterglielo. +E c’è un modo giusto per cambiarla. Un professore di Harvard ha scoperto che +una tassa di 60 dollari all’anno per gli utenti della banda larga compenserebbe +tutti i mancati introiti. Il governo li darebbe agli artisti interessati e, in cambio, +si renderebbe legale il download, stimolando sistemi più facili da usare e più +musica condivisa. Gli artisti otterrebbero più soldi e voi più musica. Cosa c’è di +non etico in questo? +In questo passaggio del documento si percepisce il dibattito acceso attorno +al copyright degli anni Duemila, che interessò anche numerosi giuristi. Vi è un +filo molto evidente che lega il tema delle “guerre sul copyright”, esploso in am­ +bito musicale con il fenomeno di Napster e, poi, con la duplicazione illecita dei +contenuti dei DVD, e l’idea di permettere di scaricare, e di rendere liberi, anche +i libri e gli articoli scientifici. + 97 +8. Il Guerrilla Open Access Manifesto +Aaron, nel Manifesto, si ispira alle idee di Lessig ma, per certi versi, le +estremizza. +Nel pensiero di Lawrence Lessig, ad esempio, il problema, in un quadro si­ +mile, era principalmente quello di tutelare le libere utilizzazioni, da parte dell’u­ +tente, di opere protette da copyright, utilizzazioni che sono comunque garantite +dalla legge. +Di conseguenza, per lo studioso nordamericano non si trattava di discutere +se la legge dovesse proteggere la proprietà intellettuale o meno ma, soprattutto, +si doveva riflettere sul fatto che le tecnologie stesse non proteggessero troppo, in +quegli anni, la proprietà intellettuale, anche più della legge stessa. +Vi era, quindi, un problema di diritto ma, anche, un problema di uso della +tecnologia, e del codice, per “chiudere” la conoscenza. +L’dea che Aaron prospetta di ribellarsi e di scaricare e condividere gli articoli +non è nuova: una professoressa della Georgetown University, Julie Cohen, ave­ +va da tempo elaborato e reso noto un teorema che era stato definito come “il +teorema di Cohen”: un soggetto avrebbe diritto di violare (la studiosa parla pro­ +prio di “diritto di hack”) un sistema chiuso al fine di far valere, e difendere, i suoi +diritti tradizionali, concessi dalla legge, per le libere utilizzazioni delle opere. +Il parlare di hacking, di apertura, di download e di condivisione, in quegli anni +di grande espansione dell’economia digitale e dei profitti degli editori digitali, +anche scientifici, poteva essere estremamente pericoloso da un punto di vista +delle responsabilità legali. +In un articolo del 1999, pubblicato su The Industry Standard, Lawrence +Lessig aveva compilato, un po’ per scherzo, una sorta di lista di comportamenti +e azioni/strategie politiche che avrebbero avuto l’effetto, certo e immediato, +di regolamentare, in maniera illiberale e liberticida, la società tecnologica così +come si stava sviluppando, insieme ai comportamenti dei suoi utenti. +Il primo consiglio ai politici e al Legislatore, contenuto ironicamente nell’arti­ +colo, era quello di eliminare il movimento open source con tutte le sue influen­ +ze. Se il mondo di Internet avesse continuato a essere popolato da hacker, geeks, +esperti e curiosi di informatica che combattevano perché il codice e la cultura +fossero aperti, e se costoro avessero prodotto sempre di più software in codice +aperto, una regolamentazione del ciberspazio sarebbe risultata sempre più diffi­ +cile. Un dominio assoluto, invece, dell’idea di “chiusura” – ad esempio da parte +del software commerciale e proprietario – sarebbe stata la chiave per garantire +un controllo completo, sia a livello d’applicazioni, sia di architettura. +Nel pensiero di Lessig, ad esempio, è impossibile “imbrigliare” e regolare il +comportamento di hacker come Aaron, anche se è stato fatto un gran lavoro, +negli anni, per cambiare, nella percezione della gente comune, il senso del termi­ +ne “hacker” e dare una connotazione negativa a un simile movimento culturale. +È molto più semplice, di conseguenza, regolamentare in maniera rigida tutto +ciò che riguarda l’architettura e i contenuti, compresi i contenuti scientifici: se + 98 +Aggiustare il mondo +il software che governa la rete e i suoi servizi, i grandi archivi di contenuti, la +produzione scientifica rimarranno liberi, sarà praticamente impossibile, per un +soggetto privato o pubblico, controllare interamente il mondo digitale. Al con­ +trario, la chiusura, operata anche tramite contratti di licenza e paywall, garantirà +un sempre maggiore controllo. +La libertà del software, dei contenuti e della scienza intimorisce perché eli­ +mina alla radice ogni possibilità di confinare Internet all’interno di uno spazio +perfettamente, e completamente, regolabile. +Nei dialoghi tra Aaron e Lessig, soprattutto negli ultimi tempi, i temi politici +erano diventati preminenti, a volte anche più di quelli tecnologici, e lo si nota +anche nella narrazione del Manifesto. +Lessig sosteneva, ad esempio, che chi si occupa di difesa dei diritti di libertà +in Internet dovrebbe sempre analizzare sia l’azione del cosiddetto West Coast +Code (il codice informatico che è sviluppato in California, nella Silicon Valley), +sia l’azione del cosiddetto East Coast Code (ossia l’insieme dei provvedimenti +legislativi voluti dal Congresso sul tema del digitale). +Per Lessig, la protezione degli interessi delle grandi società, attraverso il con­ +trollo tecnologico dei contenuti che producono, può essere ancora più dannosa +dell’azione legislativa: tali strumenti informatici sono, infatti, più veloci, più eco­ +nomici e più facili da implementare rispetto agli strumenti legislativi. +Una reazione corretta a questa prassi, secondo Lessig, è quella della critica, più +che della condanna aprioristica: ogni cittadino dovrebbe sviluppare, anche verso +il codice informatico, lo stesso senso critico che ha nei confronti delle leggi. +Ogni software dovrebbe essere sottoposto, da parte del cittadino, a un vero +e proprio esame, a un giudizio basato sui valori del prodotto, e ci si dovrebbe +sempre domandare, secondo Lessig, per quali fini è utilizzato quel software, a +che prezzo, e se il suo funzionamento è compatibile con quei valori che si riten­ +gono, in un determinato contesto, imprescindibili. +Queste teorie del software e della sua “liberazione” sono ben presenti nell’i­ +dea del Manifesto di Aaron, anche se applicate alla ricerca e produzione scienti­ +fica, ed esasperate un po’ con alcuni pensieri tipici del mondo hacker di allora. +Lessig aveva un approccio molto più pacato: da giurista, cercava di operare +in un’ottica di libertà, ma sempre dentro i confini della normativa sul copyright, +magari cercando di allargarli il più possibile o di individuare spiragli di nuove +libertà, o vulnerabilità, nel sistema. +Aaron, nella sua chiamata alle armi, si rifà ai padri costituenti e all’idea del +diritto “naturale” di non seguire le indicazioni di norme ritenute ingiuste dalla +maggior parte dei cittadini, e di ribellarsi. +L’idea del combattere, del ribellarsi, di non considerare il quadro giuridico, +non ha affascinato solo Aaron: tre anni dopo, il 5 settembre del 2011, una svi­ +luppatrice di software e ricercatrice kazaka, Alexandra Elbakyan, prenderà ispi­ +razione (anche) dal Manifesto di Aaron e darà vita a Sci-Hub, enorme archivio + 99 +8. Il Guerrilla Open Access Manifesto +scientifico online gratuito, che rende disponibili articoli indipendentemente dal +loro regime di copyright. Si tratta, probabilmente, di uno dei più clamorosi pro­ +getti oggi in corso con, alla base, l’intento dichiarato di liberare la conoscenza +scientifica. + 9. Liberare il diritto e i tribunali +Settembre 2008. Sono passati meno di tre mesi dalla pubblicazione del +Guerrilla Open Access Manifesto. È venuto il momento, per Aaron, dopo aver +illustrato le sue idee da un punto di vista teorico, di passare all’azione. +La prima battaglia – o guerriglia – concreta per liberare dei documenti dal +sistema pubblico di archiviazione prende di mira un grigio, ma cruciale, sistema +informatico pubblico nordamericano denominato PACER. +PACER è un sistema molto semplice e spartano, ma centrale, a livello d’im­ +portanza, per il sistema della giustizia americana: si tratta, infatti, di un database +di documenti legali. Un archivio giuridico che contiene documenti pubblici, +ossia già visibili dal pubblico, pagati con fondi pubblici e che, secondo Aaron, +dovevano essere liberati. +Il progetto PACER – acronimo di Public Access to Court Electronic Records, ossia +accesso pubblico ai documenti elettronici dei tribunali – nacque per permettere +al pubblico – quindi: a ogni cittadino – di prelevare documenti custoditi, o ge­ +nerati, dai tribunali statunitensi a un costo di circa otto-dieci centesimi a pagina, +con una cifra finale che di solito varia – e aumenta – sensibilmente nel caso il +cittadino sia interessato a documenti molto lunghi. +Nella visione di Aaron, un database con simili contenuti deve essere a dispo­ +sizione dei cittadini senza filtri, vincoli e costi. +Che cosa può essere più utile, scriveva spesso il giovane, dell’accesso ai do­ +cumenti contenenti il diritto, per spiegare ai cittadini realmente come funzioni +la società? E come si può pensare di migliorare il mondo – di aggiustarlo – se, +prima, non lo si spiega con cura ai cittadini stessi, tramite i documenti di quel +sistema che porta, o dovrebbe portare, giustizia tra loro? +Non è un caso, quindi, che Aaron avesse preso di mira PACER: lo vedeva +come un database ideale per liberare quella conoscenza giuridica che avrebbe +reso i cittadini consapevoli di tanti aspetti sino a quel momento tenuti loro na­ +scosti. Il diritto era la società stessa. Conoscere il diritto generato ogni giorno +dalle corti nordamericane era il punto di partenza imprescindibile anche solo +per poter parlare di “possibilità di conoscenza” del mondo. +Dopo l’ingresso di Swartz nel database, e la conseguente chiusura della pos­ +sibilità di accedere, erano stati prelevati tantissimi documenti. Swartz stesso di­ +chiarò di aver recuperato e liberato quasi il venticinque per cento dei documenti +presenti in PACER. Il New York Times scrisse il venti per cento, mentre stime più +realistiche – dal momento che PACER conteneva, allora, più di 500 milioni di +documenti – valutavano i 2,7 milioni di documenti che Swartz aveva scaricato +come meno dell’un per cento dei contenuti del database. Cifre esatte a parte, + 102 +Aggiustare il mondo +quel che è certo è che fu un evento importantissimo, anzi, clamoroso, che finì +su tutti i giornali, nei forum e negli ambienti tecnologici e politici. +L’attacco informatico portato contro il sistema PACER fu, in realtà, mol­ +to articolato, e con diverse prospettive interessanti. Merita, pertanto, di essere +approfondito. +In primis, le motivazioni degli attaccanti. Vi erano alcune ragioni alla base, non +solamente collegate all’idea, pur centrale, di liberare quei documenti, ma anche +volte a dimostrare e denunciare una cattiva organizzazione e gestione di quel +sistema, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista della protezione +della privacy dei soggetti che si ritrovavano coinvolti in vicende giudiziarie e i +cui dati finivano inevitabilmente in quei documenti. +Questo aspetto di auditing di sicurezza (però, non richiesto…), che metteva +sotto alla lente del microscopio il rispetto della privacy del sistema, era portato +avanti soprattutto da Carl Malamud. Fu un’azione assai efficace: contribuì, ad +esempio, a rendere pubblica la necessità di una protezione della privacy molto +più rigorosa per i documenti legali e per i sistemi di e-filing – ossia l’immissione +elettronica di atti giudiziari nel sistema – e costrinse giudici e funzionari a inter­ +venire concretamente per rimediare a tali errori. +L’azione principale di attacco fu un’operazione essenzialmente di scraping, os­ +sia di raccolta automatizzata e indiscriminata di dati e documenti da un sistema. +Lo stesso team iniziale, composto da Swartz, Malamud e Schultze, accen­ +nava informalmente a un vero e proprio “PACER scraping project”. La loro +intenzione dichiarata era di trovare un modo per portare una forte pressione al +sistema giudiziario nordamericano, affinché consentisse finalmente un libero e +pubblico accesso all’intero database. +Schultze, in particolare, sin dal 2008 aveva messo il sistema PACER al centro +del suo lavoro, dei suoi studi e dei suoi interessi: aveva scritto diversi articoli, in +cui domandava che fosse abbattuto il paywall di quel sistema. Secondo lui, senza +usare mezze parole, i tribunali stavano violando la legge, addebitando quasi die­ +ci centesimi a pagina per documenti pubblici, anche se la tassa in questione era +stata autorizzata, nel 2002, da un E-government act, che consentiva di caricare dei +costi in capo ai cittadini, ma soltanto “per quanto fosse necessario per coprire i +costi di fornitura del servizio”. +La normativa sull’e-government, sulla carta, era meritoria: voleva incoraggia­ +re il sistema giudiziario a migrare da un sistema di archiviazione dove gli stru­ +menti utilizzati erano finanziati dalle tasse degli utenti verso una struttura dove i +documenti fossero disponibili gratuitamente a più cittadini possibile. +Nella realtà, denunciava Schultze, nel corso degli anni, la raccolta di fondi +da parte di PACER con questo sistema aveva superato, e di molto, la necessità +di semplice copertura dei costi del sistema stesso. Gli utenti avevano pagato +quasi 120 milioni di dollari, ma gestire PACER per il sistema giudiziario aveva +un costo, soltanto, di venti milioni. Questa differenza, sosteneva l’attivista, era + 103 +9. Liberare il diritto e i tribunali +chiaramente in contrasto con l’idea di addebitare ai cittadini unicamente i costi +necessari per far funzionare il sistema. +Anche i venti milioni di costi, secondo molti esperti, erano eccessivi: una +migliore organizzazione del sistema informatico avrebbe fatto risparmiare ulte­ +riori fondi ai cittadini. +Nonostante ci fosse un velo di segreto sul suo funzionamento, l’impressio­ +ne era che lavorasse in maniera davvero poco efficiente: si basava su server e +dipendenti singoli in ogni distretto, e su connessioni di rete affittate da società +private. Schultze era convinto che vi sarebbe stato un abbattimento dei costi +semplicemente facendo migrare il sistema su una moderna piattaforma di cloud +e su hosting provider che fossero, comunque, certificati dal punto di vista della +sicurezza, come già avveniva per altri computer e servizi governativi. +Per di più, erano proprio il settore governativo ed esecutivo a versare a +PACER milioni di dollari in diritti di copia: il solo Dipartimento di Giustizia +spendeva quasi quattro milioni di dollari all’anno per accedere ai documenti dei +tribunali. Ciò comportava che le somme pagate da tutte le agenzie governative +e pubbliche per l’uso di PACER fossero più che sufficienti per coprire i costi +di gestione dell’intero sistema. In altre parole: sarebbe stato già possibile, senza +problemi di bilancio, eliminare ogni tassa di copia per gli utenti privati. +Il problema, nota Schultze, è che il sistema genera cento milioni di dollari di +profitti all’anno. E questi profitti vengono usati anche per altri servizi dell’am­ +ministrazione della giustizia e per progetti non connessi a PACER. +L’attivista scrisse, anche, un Open Pacer Act, un progetto di legge molto sem­ +plice, ma significativo, che prevedeva solamente due articoli: uno contenente +la revoca della possibilità di imporre tasse per i diritti di copia nei tribunali, e il +secondo volto a stabilire l’obbligo che tutti i documenti pubblici – i public records +– fossero liberi. +Nel momento in cui Swartz mette gli occhi su PACER, e inizia a pensare alla +creazione di uno script che sia in grado di prelevare dal sistema più documenti +possibile, approfittando del periodo di prova gratuito, abbraccia alla lettera le +motivazioni, le idee e le indicazioni di Malamud e del gruppo degli scrapers: quei +documenti devono essere gratis, perché sono prodotti del settore pubblico, non +sono soggetti a copyright e quindi non devono essere fatti pagare. +Malamud, nel momento in cui l’amministrazione statale annuncia un periodo +di prova gratuito sul sistema, lancia una call pubblica: una vera e propria chiama­ +ta alle armi per cercare dei “soldati” e per individuare qualche volontario che lo +aiuti nell’estrarre da PACER più materiale possibile. Aaron si unisce al gruppo +e, nel settembre del 2008, si reca in una biblioteca a Chicago e installa uno script +in Perl che agisce scaricando un nuovo documento dall’archivio ogni tre secondi. +Prima che i responsabili del sistema individuassero questa anomalia e chiu­ +dessero il servizio, Aaron aveva già scaricato 19.856.160 pagine. Tutte queste + 104 +Aggiustare il mondo +pagine furono inviate “in dono” a Malamud e al suo servizio e sito di open gover­ +nment, Public.Resource.Org. +Questo è un passaggio importante nella vita di Aaron: è passato all’azione. +Aveva sempre pensato, scritto e teorizzato come l’informazione dovesse essere +libera, e in tanti suoi progetti aveva concretamente diffuso documenti e cono­ +scenza. Ora, però, agiva da “liberatore” per tutti, su larga scala, prendendo di +mira il sistema di gestione della giustizia federale e alcuni server d’importanza +critica per lo Stato. +Anche se non furono ravvisati specifici reati, questa azione attirò l’attenzione +dell’FBI, e sono in molti a pensare che il successivo accanimento del governo +statunitense e dei federali nel perseguire Aaron per altre attività sia direttamente +legato a questo precedente. +Aaron, negli archivi delle forze dell’ordine, sarebbe apparso come un recidi­ +vo, un liberatore di dati seriale, un violatore di copyright e di sistemi pubblici; fu +persino acquisito agli atti, e interpretato in maniera rigida, il Guerrilla Open Access +Manifesto, insieme ad alcune sue interviste sul tema. +Il caso PACER, anche dopo la sua archiviazione, fu un momento importante +per Aaron dal punto di vista giudiziario, e avrebbe avuto ripercussioni notevoli +in seguito. + 10. La mobilitazione politica online +Il 2009 si apre, per Aaron, con un nuovo progetto, che prende vita e che +viene pensato e fondato con Adam Green, Stephanie Taylor, Michael Snook +e Forrest Brown: gli viene dato il nome di PCCC (Progressive Change Campaign +Committee) e diventerà già nel 2012 – con oltre un milione di membri – il princi­ +pale gruppo progressista degli Stati Uniti d’America. +Lo studioso David Karpf pubblicò un libro per la Oxford University Press – The +MoveOn Effect – espressamente dedicato a questo fenomeno/movimento e al +ventaglio di novità che l’iniziativa avrebbe portato nel quadro sociale e politico +di quegli anni. +Internet, nota lo studioso, stava facilitando una vera e propria transizione +generazionale all’interno del sistema dei gruppi di attivisti politici negli Stati +Uniti d’America; si registrava il sorgere costante di nuove associazioni politiche +netroots – ossia organizzate tramite blog, forum, siti web, sistemi di messaggisti­ +ca – che avrebbero svolto un ruolo sempre più importante nella mobilitazione +politica dei cittadini. +Allo stesso tempo, le organizzazioni che si occupavano di raccogliere e coor­ +dinare l’impegno politico dei cittadini, e loro azione collettiva, stavano cambian­ +do radicalmente: si basavano, ormai, su strutture e routine di lavoro innovative, +impiegando nuove strategie e strumenti mai visti prima. +Il nuovo ambiente dei media e del web aveva dato origine a modalità di or­ +ganizzazione che univano varie entità, spesso anche molto piccole, cambiando +completamente i regimi sociali e le modalità di adesione, di tesseramento e di +raccolta fondi. +Stava apparendo all’orizzonte, in poche parole, la nuova organizzazione poli­ +tica del XXI secolo che teneva in grande importanza anche le iniziative piccole, +estremamente verticali e portatrici di singoli interessi specifici. Il coordinamen­ +to, e l’unione, di tutti questi “satelliti” con gli strumenti elettronici in vista di un +obiettivo comune avrebbe, infatti, generato una grande realtà. +I membri del PCCC si dedicarono, sin dalle origini, a innumerevoli attività +di sensibilizzazione, sostegno, organizzazione di campagne, petizioni, raccolta +fondi e denunce pubbliche di fatti illeciti correlati alla politica nordamericana. +La presenza di Swartz fu preziosa per portare attenzione nei confronti dei +temi digitali e per farne comprendere l’importanza politica; egli avviò, in parti­ +colare, campagne per ribadire e garantire la neutralità della rete, per opporsi a +tentativi di censura, per reclamare contenuti liberi online e infrastrutture basate +su architetture aperte e accessibili a tutti. +Nel 2010, venne lanciata l’iniziativa “GoogleDontBeEvil.com”: furono con­ +segnate oltre 300.000 firme a funzionari presso la sede centrale di Google, con + 106 +Aggiustare il mondo +l’invito a rispettare il loro motto aziendale, “Don’t be evil”, e a porre fine ad ac­ +cordi segreti – in particolare con l’operatore telefonico Verizon – che avrebbero +messo in pericolo l’idea di neutralità della rete. +Oltre 100.000 membri dell’organizzazione, nelle settimane successive, firma­ +rono una petizione per domandare al presidente della Commissione federale +per le comunicazioni, Julius Genachowski, di impegnarsi al fine di garantire una +reale protezione della neutralità della rete e affinché non lasciasse che fossero +le multinazionali a “scrivere le regole” della società digitale del futuro. Inoltre, +quasi cento candidati al Congresso per le elezioni del 2010, stimolati dagli attivi­ +sti, assunsero l’impegno formale di proteggere la neutralità della rete seguendo +le indicazioni, e il lavoro in tal senso, degli esperti del PCCC. +Nel 2010, uno degli obiettivi principali degli sforzi di Aaron era la creazione +di realtà per l’attivismo politico che, negli Stati Uniti d’America, ormai fiori­ +vano come le startup nella Silicon Valley. Aaron decise, allora, di contribuire +anche alla fondazione di Demand Progress, una seconda organizzazione, con sede +a Washington, che aveva lo scopo di sviluppare una coscienza critica con rife­ +rimento ai diritti degli utenti sul web. Rispetto al PCCC si trattava, quindi, di +un’iniziativa particolarmente orientata al mondo digitale. +Anche in questo caso, l’organizzazione avrebbe operato promuovendo cam­ +pagne di raccolta di firme online e si sarebbe battuta per la libertà di manifesta­ +zione del pensiero in rete e per la protezione dei dati personali. +Demand Progress fu fondata con un primo, grande fine specifico: avviare una +battaglia per contestare un disegno di legge denominato PROTECT IP Act +e cercare di fermare l’approvazione di una legge denominata SOPA. Erano, +entrambi, provvedimenti correlati al copyright, che avevano come obiettivo un +inasprimento delle sanzioni per tutti coloro che avessero violato le leggi a tutela +del diritto d’autore e della proprietà intellettuale, ostacolando così, di fatto, il +libero accesso alla conoscenza. +Demand Progress si presentava come un progetto particolarmente interessante +per il suo collegamento diretto a Internet e alla politica della rete e per le sue +posizioni di supporto alle libertà in rete, alle libertà civili, alla trasparenza e ai +diritti umani e di ferma opposizione a episodi di censura e di controllo. +La battaglia di Demand Progress contro il copyright iniziò con l’obiettivo estre­ +mamente importante, per difendere Internet, di bloccare una proposta di legge +statunitense che voleva contrastare la pirateria online. Le azioni presero il via nel +settembre 2010, quando un disegno di legge, denominato COICA – Combating +Online Infringement and Counterfeiting Act –, sembrava riguardare specificamente e +unicamente l’area della tutela del copyright online ma, a seguito di un’analisi più +approfondita, appariva coinvolgere la libertà stessa di utilizzare Internet. +Fu questo, in particolare, il punto critico che attirò l’attenzione di Aaron: nel +testo di quella norma vi era un passaggio per cui il governo degli Stati Uniti + 107 +10. La mobilitazione politica online +d’America avrebbe avuto la possibilità di stilare una lista di siti web che i cittadini +americani non sarebbero stati autorizzati a visitare. +Veniva concretizzata, pertanto, l’idea di un vero e proprio “grande firewall +americano” basato su una lista nera di siti, con un connesso sistema di censura +immediata di determinati contenuti. +Aaron comprese all’istante – e cercò di far comprendere a più persone – +come non si trattasse solamente del problema della rimozione di alcuni specifici +contenuti, considerati dalla legge illegali, ma di una vera e propria procedura +di chiusura discrezionale di interi siti web e del blocco della comunicazione fra +gruppi di discussione. +In altre parole: il riferimento legislativo al copyright era stato usato come leva +per aggirare i principi costituzionali sulla libertà di manifestazione del pensiero +consacrati nel Primo Emendamento, e si partiva dall’istituto del copyright per +dar vita a uno strumento di censura e per impedire in maniera generalizzata la +comunicazione tra le persone in rete. +Il COICA venne presentato al Congresso il 20 settembre 2010. Il voto era +previsto per il 23 settembre – appena tre giorni dopo – con un meccanismo di +fissazione della tempistica dei lavori a dir poco criticabile: non apriva, in pratica, +ad alcuna possibilità di discussione. Aaron, allora, pensò che l’unico modo serio +di procedere potesse essere quello di coinvolgere direttamente alcune grandi +aziende che operavano su Internet e che stavano creando – e, in molti casi, ave­ +vano già creato – l’economia digitale. +Voleva, in poche parole, generare tensione e ostilità tra le aziende e il mondo +dei contenuti e di Hollywood, una lobbying che voleva la riforma in tal senso del +diritto d’autore. Ma le reazioni dei responsabili delle aziende furono molto tie­ +pide: non trovò, in concreto, una sponda solida in tal senso e le grandi società si +disinteressarono del problema. +Allora, il giovane decise di lanciare una petizione online e creò, a tal fine, +proprio il sito Demand Progress. Lo presentò come un’iniziativa nata per opporsi +a una proposta di legge considerata nociva, coinvolgendo tutti gli amici e arri­ +vando a raccogliere ben 300.000 firme in due settimane. +Ma non solo: gli attivisti iniziarono a mandare richieste specifiche ai singoli +senatori, invitarono i cittadini a chiamare al telefono i politici per protestare, +cercarono di bloccare la votazione, di sensibilizzare la stampa e pregarono sin­ +goli deputati di attivarsi per bloccare questo disegno di legge. +La legge venne approvata ugualmente, all’unanimità, nonostante fosse in +corso una vera e propria ribellione di Internet. Poco dopo, però, l’iter di questa +legge improvvisamente si bloccò. Un senatore democratico dell’Oregon, Ron +Wyden, propose la sospensione del disegno di legge al termine di un accorato +discorso, nel quale lo descrisse come uno strumento inadatto e devastante per +combattere la violazione del diritto d’autore online, annunciando che non ne +avrebbe consentito il passaggio senza modifiche. + 108 +Aggiustare il mondo +Da solo, scrisse Aaron sul suo blog, un senatore non può certamente +bloccare una legge, ma può soltanto rallentarne la procedura di attuazione. +Un’opposizione così forte ed evidente, però, poteva far sì che il Congresso fos­ +se costretto a investire un enorme quantità di tempo per organizzare il dibattito +prima dell’approvazione definitiva. Ed è proprio ciò che fece il senatore Wyden, +riuscendo, così, a fare guadagnar tempo prezioso agli attivisti. +L’intervento del senatore rallentò l’iter legislativo fino alla fine della sessione +del Congresso, al punto che, quando la proposta vi tornò, si dovette ricomin­ +ciare tutto da capo. +La necessità, per i politici, di ripartire da zero nell’iter legislativo, li portò a +rinominare questo progetto, prima con l’acronimo PIPA e, poi, con SOPA. Al +contempo, però, il ritardo aumentava, garantendo agli attivisti il tempo di or­ +ganizzarsi al meglio e di gettare le basi per una nuova, imponente opposizione. +L’attività di sensibilizzazione fu estremamente difficile: nonostante gli atti­ +visti descrivessero alle persone in maniera molto semplice – proprio come era +nella prassi di Aaron – concetti tecnici assai complessi, la sensazione diffusa, +tra loro, era che non fossero presi seriamente. Che fossero visti come dei pazzi, +ragazzini problematici e nerd che protestavano perché, a loro dire, il Governo +statunitense voleva censurare Internet. +Quando, però, venne il momento di intervenire in concreto, si creò un bellis­ +simo gruppo, e tante persone si attivarono. Singoli cittadini furono affiancati an­ +che da grandi società, ormai leader nel digitale, quali Reddit, Google e Tumblr, +e da vivaci startup della Silicon Valley. +L’attivismo e le sue modalità, si diceva, erano radicalmente cambiati, e la pro­ +testa prese, questa volta, innumerevoli forme eterogenee tra loro: singoli cittadi­ +ni iniziarono a registrare video, a preparare infografiche, a dar vita a comitati di +sostegno elettorale, a diffondere annunci e a pagare spazi pubblicitari, a scrivere +articoli e commenti sui blog, a organizzare riunioni. Dal basso, e grazie alla rete, +tutti sentivano un’esigenza immediata di essere coinvolti e, soprattutto, di fare +rete e di invitare altre persone a unirsi a loro. +Un momento cruciale che cambiò il corso della battaglia politica, ricorda +Aaron, fu quello delle audizioni alla Camera dei Rappresentanti sul testo e le +motivazioni del SOPA. +Divenne immediatamente chiaro come non fosse più ammissibile che i poli­ +tici non comprendessero il funzionamento di Internet. Il mondo della politica +non poteva più ignorare la natura della tecnologia e la delicatezza di quell’ecosi­ +stema digitale che si stava espandendo sempre di più. +I membri del Congresso fronteggiavano numerosi ostacoli che impedivano +loro di comprendere lo stato della rete e l’impatto che una simile normativa +avrebbe avuto. Erano ignoranti, in primis, nel senso che non erano alfabetizzati +dal punto di vista tecnologico e, quindi, in molti non conoscevano neppure le +nozioni di base del tema che era stato posto in discussione. + 109 +10. La mobilitazione politica online +Erano, poi, molto seccati per essere stati contestati pubblicamente da un +gruppo di giovani nerd. Erano, in fondo, convinti che Internet andasse regola­ +mentata, anche se non la conoscevano. E anche le frange più progressiste e più +attente alle libertà civili non avevano problemi ad avviare progetti di censura +nei confronti di quel mezzo che non conoscevano e che richiamava immagini +di spionaggio e di minacce nucleari, provenienti direttamente dagli anni Ottanta +del secolo precedente. +Vi era, infine, un problema di percezione di grande asimmetria nelle competenze: +i senatori avevano timore di soggetti che erano dotati di competenze tecnologi­ +che maggiori delle loro. +Aaron descrisse sul suo blog questa atmosfera come «una paura irrazionale +che le cose fossero fuori controllo», e come tutta l’azione politica di quel tempo +fosse collegata a questa sensazione. Occorreva, nell’idea della politica, tenere +Internet costantemente sotto controllo. +Le audizioni al Congresso furono fondamentali per cercare di far compren­ +dere, in maniera pacata e neutra, i problemi alla base di una simile proposta di +riforma legislativa e la reale natura di Internet e dei suoi utenti. Pian piano, i +politici più lungimiranti iniziarono a pensare, ad opporsi e, persino, a congelare +la proposta per alimentare un ulteriore dibattito. +Fu, quello, il momento della vittoria, anche perché la protesta non si arrestò, +ma arrivò a vette mai raggiunte da nessun’altra presa di posizione pubblica su +quei temi: Wikipedia oscurò le sue pagine, Reddit oscurò il sito, e lo stesso fece +Craigslist. I telefoni del Congresso furono tempestati di chiamate e i membri del +Congresso si affrettarono a far circolare nuove dichiarazioni, ritirando il soste­ +gno alla proposta garantito proprio da loro fino a pochi giorni prima. +Il 14 gennaio, praticamente tutti i senatori supportavano quella proposta di +legge. Il 15 gennaio, tutti erano improvvisamente di parere opposto, e la vole­ +vano affossare. +Ma non facciamoci illusioni – scrisse Aaron sul suo blog dopo questa vittoria – i +nemici della libertà nell’uso della rete non sono scomparsi. L’ira negli occhi di +quei politici non è svanita. Ci sono tante persone potenti che vogliono soffoca­ +re Internet. E, a essere onesti, non ce ne sono altrettante che abbiano interesse +nel proteggerla da tutto questo. Anche alcune delle più grandi aziende attive su +Internet, per dirla francamente, trarrebbero vantaggio da un mondo in cui i loro +concorrenti commerciali più piccoli potrebbero essere censurati. Non possiamo +permettere che ciò accada. +L’entusiasmo di Aaron, la sua crescita come attivista e come uomo, la sua +passione, finalmente esplosa, per il mondo politico emergono chiaramente dalla +gioia palpabile con cui descrisse questi fatti sul suo blog. +Vi ho raccontato questa storia come una vicenda personale – scrive Aaron – an­ + 110 +Aggiustare il mondo +che perché penso che vicende importanti come questa siano più interessanti se +inquadrate a misura d’uomo. Abbiamo vinto questa battaglia perché tutti si sono +trasformati nell’eroe della propria storia. Tutti hanno deciso d’impegnarsi per salvare +questa libertà fondamentale. Si sono sentiti coinvolti, e hanno agito. Hanno fatto +il meglio di quanto potevano. Non si sono fermati a domandare il permesso a +nessuno. +Anche il delicato tema della rete libera dal predominio del governo e delle +società commerciali è ormai ben presente nel pensiero del giovane. +I senatori avevano ragione: Internet è davvero fuori controllo – sostiene Aaron – +Ma se ce ne dimentichiamo, se lasciamo che Hollywood riscriva la storia, in modo +tale che sembri che a fermare quella legge sia stata una grande azienda come Go­ +ogle, se gli consentiamo di convincerci che in realtà non siamo stati noi a cambiare +le cose, se cominciamo a pensare che la responsabilità di quest’impegno spetti a +qualcun altro, e il nostro compito sia solo quello di andare a casa per sdraiarci sul +divano ingozzandoci di popcorn mentre guardiamo Transformers – beh, allora la +prossima volta potrebbero anche vincere. + + 11. Semplificare il linguaggio del web +Una delle passioni di Aaron, accanto alla lettura, è sempre stata la scrittura. +Gli piaceva scrivere codice ma amava, anche, firmare recensioni di libri – su +Wikipedia ne pubblicherà a decine – e, in generale, era affascinato da come i +caratteri di testo potessero prendere forma sul monitor per dar vita a documenti +complessi. +Una parte delle sue ricerche fu dedicata allo studio del modo migliore per +creare un testo formattato, utilizzando editor i più semplici possibile. Voleva +unire semplicità di utilizzo a potenza di risultati. +Il suo progetto in questo ambito prese il nome di Markdown, un linguaggio +di markup – ossia di marcatura dei testi – leggero e funzionale. +Lavorò su Markdown a stretto contatto con John Gruber, l’ideatore di questo +editor, a partire dal 2004. Decisero di rivolgersi, anche, agli utenti meno esperti, +affinché la loro idea fosse immediatamente utilizzabile sui blog che in quegli +anni stavano registrando un incredibile successo, nella messaggistica istantanea, +nei forum, nei software collaborativi, nelle pagine dei documenti contenenti le +istruzioni di programmi e in tanti altri tipi di file. +In realtà, già due anni prima, nel 2002, Aaron aveva creato un formato di +testo strutturato che aveva chiamato “atx” e che sarà poi l’embrione per i lavori +successivi con Gruber, che portarono alla creazione di Markdown. +L’obiettivo dichiarato era quello di consentire a tutte le persone di scrivere +utilizzando un formato di testo semplice e di facile lettura, che fosse anche +convertibile senza particolari problemi in XHTML o HTML e che avesse un’ar­ +chitettura valida. +Come primo passo, occorreva garantire la leggibilità, per cui il linguaggio +doveva essere comprensibile così com’era, senza dare l’impressione di essere +stato “marcato” con tag o istruzioni di formattazione, a differenza del testo for­ +mattato con linguaggi di markup più “pesanti”, come il Rich Text Format (RTF), +l’HTML o, persino, il wikitext. +Tutti questi linguaggi, infatti, avevano evidenti tag nel testo e istruzioni di +formattazione che potevano rendere il testo più difficile da leggere per l’utente +non esperto. +Sul suo blog, Aaron illustrò con cura il risultato finale cui ambiva questa nuo­ +va iniziativa, che lo impegnò non poco. +Per mesi ho lavorato con John Gruber a un nuovo progetto – scrive Aaron – L’i­ +dea era quella di rendere la scrittura di semplici pagine web, e in particolare di voci +di weblog, facile come la scrittura di un’e-mail, consentendo di utilizzare la stessa +sintassi e convertendola automaticamente in HTML. Insieme abbiamo analizzato +i dettagli della sintassi da cima a fondo, cercando di sviluppare il formato perfetto, + 112 +Aggiustare il mondo +e credo che abbiamo ottenuto qualcosa di veramente fantastico. L’abbiamo testa­ +to a lungo: sui nostri blog, nel mio modulo per i commenti, nelle nostre e-mail. +Tutto ha funzionato incredibilmente bene. +Si trattava di una iniziativa con fini ambiziosi: rendere la scrittura di voci e +testi sul web facile e divertente, stimolando così la partecipazione di co-autori, +permettere di raggiungere obiettivi importanti con un approccio no-code, ossia +senza la necessità di conoscere nei dettagli un linguaggio di programmazione, e +dar vita a un linguaggio di markup che fosse finalmente “umano”, leggero, con +una sintassi più semplice di quella di tutti i concorrenti e utilizzabile proprio +come il testo normale. +Si proponeva di diventare il miglior strumento esistente per scrivere testi +pensati per il web, che non necessitasse di periodo di apprendimento o di lettura +di manuali. Pronto da utilizzare, in definitiva. +Si noti che, in quegli anni, la scrittura di testi sul web era diventata un elemen­ +to centrale dell’intera società tecnologica che si stava sviluppando; per l’utente +comune, però, poteva essere molto complesso avvicinarsi all’HTML. +L’idea di John Gruber e di Aaron Swartz fu quella di disegnare un’interfaccia +utente che evitasse i lunghi percorsi di formattazione richiesti dall’HTML, che +vedevano come un processo stancante, che rendeva difficile la correzione di +errori e poco affascinante anche dal punto di vista estetico. +A ispirare il loro lavoro furono le semplici e-mail, e la gestione del testo +da parte dei sistemi di posta elettronica: volevano togliere ai programmatori +il predominio della formattazione del testo e restituirlo alla gente comune che +scriveva sul web. +La sintassi “atx”, che aveva inventato Swartz due anni prima, fu un otti­ +mo punto di partenza, e Gruber si rivolse a Swartz chiedendogli di testare +Markdown e di verificare con lui le regole di formattazione e il funzionamento. +Swartz partecipò al progetto con grande entusiasmo e scrisse html2text, un pro­ +gramma gratuito di conversione per trasformare HTML in Markdown. +Gruber vide sempre Aaron come la sua musa, era il suo unico beta-tester. +Markdown ebbe un enorme successo e fu incorporato in siti di grande impor­ +tanza: iniziò a diffondersi in maniera virale sul web, permettendo agli utenti di +essere produttivi in pochi minuti. +L’idea di una “lingua franca” per tutti coloro che scrivessero sul web era stata, +così, realizzata, mettendo, al centro del programma, solamente l’idea di scrivere, +senza allontanare le mani dalla tastiera e senza perdersi in comandi di formatta­ +zione astrusi o opzioni inutili. +Al contempo, Aaron si era ritrovato in un progetto che univa tante sue pas­ +sioni. La scrittura di codice, prima di tutto. Ma anche la semplicità, lo spiegare +concetti difficili in maniera semplice. E, infine, l’idea di ordine: il marcare i +testi serviva non solo per una migliore resa grafica ma, anche, per creare un + 113 +11. Semplificare il linguaggio del web +ambiente ricercabile e collegabile ad altri ambienti, in un momento storico +nel quale il web si stava letteralmente riempiendo di contenuti prodotti dagli +utenti stessi. + 12. La protezione dell’anonimato +Nel 2008, poco prima di farsi coinvolgere dall’attivismo politico, Aaron aveva +riflettuto sul tema dell’anonimato quale elemento strettamente correlato alla +libertà di manifestazione del pensiero, e lo aveva fatto con un approccio tipica­ +mente nordamericano. +La politica, le idee, spesso contrarie a quelle di un regime, il diritto di un +utente di poter parlare senza ritorsioni e senza essere individuato in rete erano +tutti ambiti dove si poteva rivelare particolarmente interessante l’opzione di +nascondere, o alterare, il proprio indirizzo IP, per navigare e operare in rete con +un determinato livello di anonimato. +L’eredità di Aaron in questo ambito ha preso la forma di Tor2web, ossia +una rete di server proxy HTTP utilizzata per l’accesso ai contenuti dei Tor Hidden +Services (servizi nascosti e, spesso, temporanei presenti sulla rete Tor) e fu, in +origine, creata da Aaron Swartz e Virgil Griffith. +Il fine era quello di fornire accesso ai Tor Hidden Services da parte degli utenti +Internet attraverso l’uso di un comune browser web: generalmente, infatti, gli +hidden services di Tor sono accessibili solo tramite l’uso di un client Tor. +Oggi Tor2web è parte del progetto GlobaLeaks, ed è mantenuto dal Centro +Studi Hermes per la Trasparenza ed i Diritti Umani Digitali. +In termini più semplici: un utente comune, e non particolarmente esperto, +sarebbe stato comunque in grado, grazie a questo strumento, di accedere a con­ +tenuti e servizi presenti in forma nascosta sulla rete Tor, semplicemente digitan­ +do il corretto indirizzo nel browser comunemente utilizzato. +Tor2web, da un punto di vista eminentemente pratico, agisce come un server +proxy fra l’utente e un Tor Hidden Service: l’utente deve solo sostituire la sequenza +“.onion”, presente nell’URL dell’hidden service, con la sequenza “.tor2web.org”. +Accedendo a tale url, Tor2web recupererà il contenuto dalla rete Tor e lo fornirà +all’utente attraverso una connessione cifrata di tipo Https. +L’anonimato dell’utente, garantito dalla rete Tor, non viene invece garantito +nella rete Tor2web, il cui scopo è quello di permettere che i contenuti della rete +Tor siano accessibili tramite la comune navigazione web. +Come nel caso dei relay Tor, anche i proxy Tor2web vengono offerti da una rete +di volontari. +Aaron e Virgil svilupparono Tor2web come un modo per sostenere il whi­ +stleblowing e altre forme di pubblicazione anonima tramite Tor, consentendo +ai materiali diffusi di rimanere anonimi e rendendoli accessibili a un pubblico +più ampio. +Anche in questo caso, Swartz cercava, come prima cosa, una estrema sem­ +plicità d’uso: vedeva Tor come strumento complesso, per cui voleva dotare gli + 116 +Aggiustare il mondo +utenti comuni di un sistema “ibrido”, che consentisse comunque di pubblicare +e consultare determinati contenuti su Internet. +Per comprendere il funzionamento di Tor2web occorre avere chiaro il ruolo +della rete Tor nella società dell’informazione odierna. E tutti i progetti più impor­ +tanti di Aaron, in questo periodo, ruotavano proprio attorno a Tor, ritenuto dal +giovane come strumento efficace in un’ottica di protezione dalla sorveglianza. +Il progetto Tor nasce in ambito militare e successivamente, come capita so­ +vente nel mondo tecnologico, viene acquisito da un gruppo di attivisti che ne +continuano a tutt’oggi lo sviluppo, senza finalità di lucro. +Alla base dell’idea, vi è un sistema di onion routing che consente agli utenti di +Internet, e di servizi online, di attivare un accesso privato, sicuro e non filtrato +(o censurato, che dir si voglia) ai contenuti presenti in rete. +I progettisti originari erano preoccupati, evidentemente, dalla trasformazio­ +ne in corso del web e di Internet in un enorme sistema di tracciamento e di +sorveglianza costante degli utenti; presso il Naval Research Lab statunitense si +iniziò, allora, a investigare circa la possibilità di creare connessioni in Internet +che fossero in grado di non rivelare “chi stesse parlando con chi” e, soprattutto, +che non lo rivelassero a possibili “controllori del traffico” esterni. +Si avviarono, allora, i primi progetti di ricerca in tal senso, e si svilupparono +dei prototipi di onion routing, ossia d’instradamento del traffico attraverso più +server “a strati” (proprio come la buccia di una cipolla) cifrando, contempora­ +neamente, le informazioni in ogni tratto del percorso. +Tor fu accolto con entusiasmo anche in sedi, per così dire, istituzionali e oggi, +dopo tanti anni, funziona ancora in questo modo: fa affidamento su una rete +decentralizzata, gestita da entità con diversi interessi (e presupposti di fiducia) +attraverso un software libero e a codice aperto, al fine di massimizzare anche i +requisiti imprescindibili della trasparenza e della decentralizzazione. +Nell’ottobre del 2002, quando la rete Tor fu inizialmente distribuita, il suo +codice venne rilasciato con i termini di una licenza di software libero; alla fine +del 2003, il sistema già contava su circa una dozzina di nodi volontari, soprattut­ +to negli Stati Uniti d’America e in Germania. +Lo sviluppo successivo di Tor Browser, un elemento che ha facilitato tantissi­ +mo l’utilizzo di Tor da parte di utenti non particolarmente esperti, ha preso il +via nel 2008 e ha avuto un momento di grande successo ed espansione durante +le Primavere Arabe (a partire dalla fine del 2010), quando contribuì non solo a +proteggere l’identità delle persone che si organizzavano online per protestare +e manifestare ma, per di più, permise loro di accedere a risorse critiche, social +media e siti web che erano stati bloccati dalle autorità locali. +Tor fu, poi, connesso al processo di rivelazione di contenuti da parte di +Snowden durante il Datagate (nel 2013), e divenne uno strumento sempre più +popolare con, al contempo, un aumento sensibile dei nodi e un potenziamento + 117 +12. La protezione dell’anonimato +della rete; oggi il network può contare su migliaia di relay gestiti da volontari, e +su milioni di utenti in tutto il mondo. +Una delle caratteristiche ulteriori del Tor Browser è la sua capacità di isolare +ogni sito web che l’utente visita, di modo che i tracker e gli annunci di terze parti +non possano “seguire” l’utente stesso. +Al contempo, Tor Browser impedisce a un eventuale osservatore/ascoltatore +della connessione dell’utente la conoscenza di quali siti web si stanno visitando, +non consentendo, così, il controllo delle abitudini di navigazione e rendendo +tutti gli utenti, in un certo senso, “uguali tra loro”. Ciò comporta l’impossibilità +di una schedatura (“fingerprinting”) delle persone in base a informazioni rica­ +vabili dal browser o dal dispositivo utilizzati e dai dati che potrebbero rilasciare. +Per raggiungere tali obiettivi Tor usa la crittografia: il traffico viene ritrasmes­ +so e cifrato tre volte mentre passa sulla rete Tor, composta da migliaia di server +(relay) gestiti da volontari; una simile modalità consente di accedere a siti che la +rete domestica, aziendale o di alcuni Stati potrebbe aver bloccato. +La progettazione e l’uso di Tor, nonché l’attivazione di nodi di rete da parte +di utenti, hanno, nel corso degli anni, sollevato interessanti problemi giuridici, +non sempre risolti pacificamente dagli interpreti del diritto. +Sul sito ufficiale del progetto sono raccolte, in primis, delle FAQ che cercano +di chiarire gli aspetti più generali: se siano state intentate delle cause legali a +utenti di Tor o a persone che abbiano attivato dei relay, i limiti dell’istigazione a +delinquere per chi consiglia l’uso di Tor in determinati contesti, le responsabilità +di chi sviluppa o finanzia il progetto, come comportarsi in caso di sequestro/ +interrogatorio e la corretta gestione domestica degli exit relay (nodi d’uscita) con +relative responsabilità . +Un ultimo dettaglio, ma fondamentale, è come sia necessario comprendere +che il processo per anonimizzare le attività in rete è particolarmente complesso +e tortuoso, e come un uso scorretto di servizi e software, pur sofisticati come +Tor, possa annullare ogni difesa e rendere perfettamente tracciabile l’utente. +Il traffico in uscita dall’ultimo nodo, ad esempio, non è cifrato: di conseguen­ +za, nel caso l’utente si collegasse a siti web a lui riconducibili, o facesse transi­ +tare informazioni a lui riferibili (si pensi al collegamento a una casella di posta +elettronica attivata a suo nome), ecco che tutta l’architettura di Tor si rivelerebbe +inutile. +L’efficacia di Tor, in definitiva, è strettamente legata ai comportamenti dell’u­ +tente che vuole rimanere anonimo: non è sufficiente confidare solamente nel +“potere magico” della tecnologia. +Inutile ribadire i motivi per cui un progetto di questo tipo avesse toccato le +corde di Aaron e avesse attirato il suo interesse: poteva essere un vero e proprio +strumento di libertà, estremamente efficace e, per di più, sofisticato ed elegante +dal punto di vista tecnologico. + 118 +Aggiustare il mondo +I progetti attorno a Tor riguardavano, si diceva, il tema dell’anonimato, un +punto estremamente caro ad Aaron. +Sul suo blog, il 24 ottobre 2008, il giovane dedicò un articolato post proprio a +questo argomento e lo intitolò, per rendere ben chiaro il suo approccio al tema, +“In difesa dell’anonimato”. +Dopo un breve excursus storico, volto a incardinare il concetto di anonimato +nella storia costituzionale americana, Swartz passa ad analizzare con lucidità il +quadro tecnologico e la nuova importanza di questo fattore digitale. +Nel 1787, quando i padri fondatori degli Stati Uniti d’America vollero difendere +la Costituzione – scrive Aaron – pubblicarono le loro argomentazioni (i Federalist +Papers) in forma anonima. Gli informatori hanno reso pubblico tutto, dai Pentagon +Papers ai Memos di Downing Street. Il discorso anonimo è un diritto garantito dal +Primo Emendamento. Eppure – continua il giovane – nella frontiera apparente­ +mente selvaggia di Internet, pubblicare in forma anonima non è più così facile. I +fornitori di servizi di hosting richiedono un nome e i dati di una carta di credito, +tutte informazioni che possono consegnare all’FBI in caso di asserite questioni di +sicurezza nazionale. +Nel suo post descrive, quindi, la parte tecnologica che stava discutendo con +i suoi colleghi, per cercare di raggiungere l’obiettivo di riportare l’anonimato a +quella centralità nel mondo digitale che, secondo lui, meritava. +Ma, parlando con Virgil Griffith e altri – ricorda Aaron – ho scoperto un nuovo +modo per consentire la pubblicazione anonima di contenuti. L’incredibile proget­ +to Tor consente di utilizzare Internet in modo anonimo, mascherando il proprio +traffico attraverso una lunga serie di relay. Meno noto è il fatto che consente anche +la pubblicazione anonima. Purtroppo, per visitare i siti pubblicati in modo ano­ +nimo è necessario il software Tor, ma ci siamo resi conto che non c’è motivo per +cui debba essere così. Così, ho rispolverato un lavoro iniziato anni e anni fa, e ho +costruito un proxy tor2web. Ora, chiunque abbia un browser web può visitare +un URL Tor anonimo da qualsiasi browser web, senza alcun software “speciale”. +Il che significa che anche la pubblicazione di un sito web anonimo diventa, ora, +abbastanza facile. Un applauso all’anonimato – e a più strumenti che lo possano +proteggere. + 13. La tutela degli informatori +La figura del whistleblower, ossia di quel soggetto che, dall’interno della +struttura di un’organizzazione privata o di un ente pubblico, prende la ferale +decisione di rivelare fatti e documenti comprovanti comportamenti illeciti, è +sempre stata, per Aaron, estremamente affascinante. +In particolare, il giovane hacker pensò a quali strumenti tecnologici potessero +essere utili a un soggetto che avesse intenzione di trasmettere dei documenti a +un giornalista, a una redazione o agli uffici di un’autorità, ma che, al contempo, +volesse essere certo di non essere intercettato o controllato nelle sue comunica­ +zioni, né che fosse svelata la sua identità. +Aaron dedicò, allora, alcuni mesi a ideare e progettare un sistema che deno­ +minò SecureDrop: una simile architettura avrebbe consentito di comunicare in +maniera sicura con ben specifiche fonti d’informazione – soprattutto, redazioni +di quotidiani, settimanali e singoli giornalisti – tutelando sia il canale di comu­ +nicazione, sia la fonte. +Lo scopo di Aaron era quello di dimostrare, per l’ennesima volta, come un +uso intelligente delle migliori tecnologie disponibili potesse contribuire ad alza­ +re barriere protettive abbastanza solide contro tentativi di controllo e di sorve­ +glianza da parte dei governi e dell’autorità. +In questo caso, il sistema era stato pensato – ma non solo – come un servizio +open source che editori, redazioni, giornalisti o semplici utenti avrebbero po­ +tuto installare sui server di loro proprietà, per consentire a fonti, che avessero +voluto rimanere anonime, di inviare documenti, a loro avviso, utili per una po­ +tenziale inchiesta. +Si trattava di un’iniziativa ben progettata, e anche questa ebbe un buon ri­ +scontro a livello internazionale: venne adottata, nel corso degli anni, da oltre cin­ +quanta realtà, tra cui The New York Times, The Washington Post, ProPublica +e The Intercept. +L’idea alla base di un simile progetto si fonda su alcuni assunti di cyberse­ +curity che Aaron e il suo gruppo di lavoro avevano ben chiari, e che misero +immediatamente in pratica. +Innanzitutto, il sistema/server che riceve e tratta le segnalazioni non deve +essere gestito da una terza parte, ma deve rimanere di proprietà dell’organizza­ +zione e trovarsi fisicamente all’interno di essa. +Poi, si deve prevedere un processo rigoroso di minimizzazione dei metadati (le +informazioni aggiuntive contenute nei documenti) ed evitare assolutamente di +registrare informazioni circa gli indirizzi IP di collegamento, i browser utilizzati +e qualsiasi identificativo correlabile a un computer. + 120 +Aggiustare il mondo +La cifratura dei dati – sia in transito, sia a riposo – garantisce la loro riserva­ +tezza e integrità; il sistema può funzionare benissimo anche come strumento +di formazione e di educazione alla sicurezza informatica per i giornalisti e gli +utenti, dal momento che impone, nel quotidiano, comportamenti destinati ad +aumentare, in generale, la sicurezza nelle attività più comuni, soprattutto se ef­ +fettuate in ambienti ad alto rischio. +Il tutto è fondato su software libero, che permette e garantisce una regolare +verifica del codice sorgente e del suo livello di sicurezza, nonché l’assenza di +backdoor, ossia di vulnerabilità che permettano l’ingresso surrettizio di terzi nel +canale di comunicazione. +SecureDrop nasce, nella mente di Aaron, come un sistema di protezione +delle fonti giornalistiche ma, in realtà, dà vita a un intero ambiente informatico +sicuro, che elimina completamente le terze parti (ad esempio, un provider che +potrebbe custodire i dati): il giornalista e la fonte comunicano esclusivamente +attraverso un server che il giornale possiede e che si trova in locali di sua pro­ +prietà (un server, per di più, che conserva molte meno informazioni, e file di log, +degli operatori “tradizionali”). +L’attenzione alla minimizzazione dei metadati ci fa comprendere, ancora una +volta, come oggi i dati esterni – ossia i dati di traffico, le durate delle comunica­ +zioni, il mittente e il destinatario di una chiamata, di una e-mail o di un messag­ +gio – siano ben più importanti dei contenuti stessi delle conversazioni. +La fonte deve accedere a SecureDrop unicamente attraverso TorBrowser, +che provvede a mascherare l’indirizzo IP della fonte stessa (quindi, non si può +risalire ad alcuna indicazione su chi sia la fonte, a meno che non sia essa stessa +a rivelarlo, né da dove stia inviando informazioni). +L’indirizzo IP della rete Tor, il computer e il tipo di browser che la fonte sta +usando non vengono in alcun modo registrati, e per ogni fonte documentale +vengono memorizzate sul server solamente l’ora e la data di ogni invio. +Quando una fonte invia un nuovo messaggio, l’ora e la data dell’ultimo mes­ +saggio vengono sovrascritte, per cui non rimangono metadati in grado di dimo­ +strare il momento esatto del dialogo tra la fonte e il giornalista. +Al contempo, le fonti non possono creare un nome-utente personalizzato, +che potrebbe ingenuamente rivelare informazioni su di loro, ma è SecureDrop +stesso a generare automaticamente due nomi in codice casuali: uno da mostrare +alla fonte, e un altro ai giornalisti che usano il sistema. +Le comunicazioni attraverso SecureDrop sono cifrate in transito, quindi i +messaggi non possono essere facilmente intercettati e letti mentre attraversano +Internet, e sono anche cifrate sul server, quindi se un attaccante riuscisse a pe­ +netrare nel server non sarebbe, comunque, in grado di leggere i messaggi che +sono circolati. +Non meno importante, la chiave di decifratura per l’invio a SecureDrop si +trova su un computer air-gapped (non connesso in alcun modo a Internet): questo + 121 +13. La tutela degli informatori +computer scollegato dalla rete è l’unico luogo in cui i messaggi SecureDrop +vengono decifrati e letti, per far sì che sia molto più difficile, per un possibile +attaccante, accedervi. +I contributi sono, poi, accessibili e scaricabili dai giornalisti utilizzando il si­ +stema operativo Tails, che si avvia da una chiavetta USB, non “tocca” il disco +rigido del computer e instrada tutto il suo traffico Internet attraverso la rete Tor. +I contributi sono, infine, decifrati su un computer air-gapped che usa anch’esso +Tails, e questo procedimento mitiga il rischio che un attaccante possa inviare +malware attraverso SecureDrop nel tentativo di infettare la rete principale del +quotidiano o dell’organizzazione. +La scelta di Aaron di ancorare il suo progetto a Tails, un piccolo/grande +sistema operativo, pensato e sviluppato per garantire un alto livello di sicurezza +e per essere utilizzato (anche) in contesti dove le attività di sorveglianza e di +controllo sono particolarmente pervasive nei confronti di un utente preso di +mira, è molto significativa anche in un’ottica di attivismo. +Aaron scelse, infatti, un sistema operativo specificamente progettato per non +lasciare alcuna traccia di attività sul computer che lo “ospita” e che permette +all’utente di installarne una copia su una normalissima chiavetta USB e di usarla +ovunque, soprattutto su computer di cui l’utente non conosca l’origine, la pro­ +venienza e la configurazione. L’uso tipico, come ben si può immaginare, è sul +computer collocato in un Internet Café o nella hall di un hotel, luoghi che Aaron +vedeva come facilmente controllabili da un terzo ostile. +Nonostante sia un sistema pensato per dissidenti, per giornalisti controllati +da regimi liberticidi, per vittime di reati (ad esempio, di stalking) o, comunque, +per persone che non possono permettersi di lasciare tracce delle loro attività, si +può rivelare uno strumento assai utile per l’utente itinerante, che voglia mante­ +nere al sicuro i suoi dati e le sue attività/comunicazioni. +Aaron, com’è noto, cercava, negli strumenti che utilizzava o sviluppava, come +prima cosa, la semplicità, e l’uso di Tails è molto semplice ed è alla portata anche +dei non-tecnici: si avvia su un computer “ospite”, ma il sistema operativo risiede +sulla chiavetta USB in possesso e di proprietà dell’utente. La conseguenza è che +si viene a creare una sorta di “computer temporaneo” sulla chiavetta stessa (che +si appoggia alla memoria volatile del computer “ospite”), che non lascia alcuna +traccia delle attività dell’utente. In pratica, Tails non usa né il sistema operativo +presente sul computer che lo ospita, né il suo disco fisso. +Ma vi è di più: Tails, a ogni avvio, si presenta come un ambiente libero da +qualsiasi dato generato in precedenza e, quindi, non reca traccia di tutte le atti­ +vità svolte in passato. In altre parole: non appena si spegne il computer, “svani­ +sce” anche Tails. +Aaron aveva riflettuto con cura sui benefici immediati di tale sistema: Tails +consentiva di non lasciare tracce di tutte le attività che un utente comune avreb­ +be potuto svolgere nelle ore trascorse di fronte allo schermo di un computer: i + 122 +Aggiustare il mondo +siti web visitati, i file aperti e cancellati, le password memorizzate e le reti Wi-Fi +utilizzate. Tutto, in sintesi, sarebbe sparito. +Tails permette, poi, di memorizzare in una cartella cifrata alcuni strumenti +utili, o file, che si utilizzano più comunemente o che si vogliono consultare in +seguito: si usa, in pratica, la stessa chiavetta USB come archivio persistente. +Il sistema operativo contiene una selezione di applicazioni pensate per finalità +di sicurezza informatica, e tutte queste applicazioni sono già configurate al fine +di non lasciare tracce o per garantire il più alto livello di anonimato possibile. +Siamo in presenza di una sorta di security by default implementata e incorporata +nel sistema operativo stesso. Si pensi, ad esempio, che tali applicazioni sono au­ +tomaticamente bloccate dal sistema nel caso cercassero di connettersi a Internet +senza utilizzare Tor e, quindi, senza transitare attraverso una rete cifrata. Una +delle regole “inflessibili” di cybersecurity alla base dello sviluppo di Tails preve­ +de, infatti, che qualsiasi attività effettuata su Internet debba passare per la rete +di Tor. +Si tratta, in definitiva, di uno strumento multiuso che potrebbe permettere la +non tracciabilità, o profilazione, da un punto di vista commerciale/pubblicitario +e la gestione di un sito web, o di un blog, con modalità le più possibile anonime. +Il codice sorgente è pubblico, basato sulla distribuzione Debian e a completa +disposizione di tanti ricercatori indipendenti, che costantemente verificano che +non vi siano incorporate nel codice backdoor o “trappole” di altro genere per gli +utenti. +Nel maggio del 2013, l’importante rivista New Yorker ha annunciato il lan­ +cio di Strongbox, una “casella di posta” anonima sviluppata proprio partendo +dalle idee di Aaron Swartz ed eredità delle invenzioni già alla base del progetto +SecureDrop. +Si tratta, anche in questo caso, di un sistema di “posta” in grado di ricevere +e proteggere i file provenienti da fonti anonime. Il germe di questa idea aveva +visto il contributo anche di Kevin Poulsen, ex hacker e redattore di Wired, che +aveva conosciuto Swartz quando il sito Reddit era stato venduto a Condé Nast +(che possedeva sia Wired, sia il New Yorker). +Sia Aaron, sia Kevin avevano sviluppato questa idea di progettare una casella +di posta sicura e anonima per i reportage investigativi; con la collaborazione +dell’esperto di sicurezza James Dolan, erano arrivati a crearne una versione sta­ +bile nel dicembre del 2012. +Nei mesi successivi, una versione definitiva e funzionante fu proposta al New +Yorker, che la implementò e la chiamò Strongbox. +Strongbox, presente e funzionante ancora oggi, è, essenzialmente, un sistema +di dropbox sicuro combinato con vari protocolli, che servono a rendere i messag­ +gi più difficili da rintracciare. +Per connettersi al sistema, una fonte deve utilizzare, anche in questo caso, la +rete di anonimizzazione Tor. Da quel momento può caricare un file e riceve, in + 123 +13. La tutela degli informatori +risposta, un nome in codice generato casualmente. I file saranno cifrati e inviati +a un server separato dal resto della rete di Condé Nast. +Per poterli visualizzare, i redattori dovranno adottare una serie di precauzioni +di sicurezza, tra cui la decifrazione dei file stessi su un computer separato non +connesso a Internet, e le comunicazioni successive utilizzeranno quel nome in +codice. +Il lancio di questa architettura fu effettuato solo pochi giorni dopo che +un’agenzia di stampa aveva rivelato come gli investigatori del Dipartimento di +Giustizia avessero monitorato le telefonate di alcuni giornalisti per cercare di +scoprire le loro fonti. +Strongbox è stato progettato proprio per rendere le testate giornalistiche un +po’ meno vulnerabili alle richieste governative o ai controlli aziendali: a meno +che una fonte non scelga di identificarsi, nemmeno i giornalisti sapranno chi è +e, a differenza di quanto accade con un’e-mail proveniente da un account “usa e +getta”, non c’è un servizio/provider come Google o Yahoo cui rivolgere istanze +processuali. +Strongbox è utilizzato solo dal New Yorker, ma il codice sottostante, noto +come DeadDrop, è oggi disponibile con licenza open source su GitHub. +Questi progetti sono, negli Stati Uniti d’America, strettamente legati all’idea +del ruolo della stampa e della sua funzione democratica e di controllo, un tema +che per Aaron era non solo estremamente affascinante, ma centrale nella vita +di un Paese. +The Freedom of the Press Foundation, negli Stati Uniti, oltre a organizzare dei +tradizionali hackathon per testare e migliorare simili sistemi, ha sempre indivi­ +duato l’impulso di Aaron dietro al progetto SecureDrop come la volontà di +ristabilire l’equilibrio tra i governi e i giornalisti che vogliono comunicare con +fonti anonime. E questo, unito a una libertà di stampa molto forte, è visto come +un elemento essenziale per una democrazia funzionante. +Si pensi che la Fondazione si è presa carico dello sviluppo e della promozio­ +ne di un simile sistema open source, al fine di aiutare le organizzazioni dei media +a semplificare il processo di accettazione sicura dei documenti provenienti da +fonti anonime. +In questa fase di sviluppo di prodotti pensati per proteggere le comunicazio­ +ni, è evidente la volontà di Aaron di entrare anche nell’attivismo pratico e nella +resistenza elettronica, ossia la creazione di tools – strumenti utilizzabili anche +dal semplice cittadino – per alzare una barriera nei confronti di società, forze +dell’ordine e governi che avevano intensificato il controllo sulle comunicazioni +degli utenti comuni. +Egli aveva compreso, in particolare, che un uso intelligente delle tecnologie +esistenti avrebbe permesso, se non un livello di anonimato assoluto, almeno +strumenti di difesa particolarmente efficaci in determinati contesti ad alto ri­ +schio di controllo e di sorveglianza. + I CASI GIUDIZIARI + 14. Il primo dossier dell’FBI +Il primo documento che riguarda Aaron presente negli archivi del Federal +Bureau of Investigation – e, quindi, il primo coinvolgimento ufficiale del gio­ +vane, a poco più di vent’anni, in un contesto investigativo giudiziario negli Stati +Uniti d’America – è datato 2 ottobre 2008. +Si tratta di un’investigazione che ha per oggetto un caso informatico cui, +vista la sua apparente importanza, viene subito assegnato un agente speciale; +il caso vede, come presunta vittima, l’intero sistema dei tribunali statunitensi, +e i suoi vertici organizzativi, per quella che viene definita come una “possibile +intrusione informatica”. +I dettagli strettamente giudiziari del caso PACER – di cui già abbiamo am­ +piamente illustrato gli aspetti fondamentali –, che cercano di mettere a fuoco +la posizione e il ruolo di Aaron nella vicenda, sono reperibili nel fascicolo reso +pubblico dalle autorità. +Il 24 settembre 2008, l’ufficio amministrativo dei tribunali degli Stati Uniti +d’America decide di contattare il Washington Field Office dell’FBI per denun­ +ciare una compromissione di una parte del sistema dei tribunali nordamericani. +Le indagini preliminari evidenziano come, tra il 4 e il 22 settembre 2008, il +sistema PACER avesse ricevuto richieste di login (per accedere) provenienti da +due biblioteche che partecipavano al progetto pilota gratuito. L’ufficio ammini­ +strativo riferiva, pertanto, all’FBI come il sistema PACER fosse stato “letteral­ +mente inondato di richieste”. Una interrogazione veniva, infatti, effettuata ogni +tre secondi. +Le investigazioni preliminari individuano come l’informazione di login e le +credenziali compromesse fossero quelle della Sacramento County Public Law +Library e della Seventh Circuit Court of Appeals Library. +Il nome utente “SC5449” era stato assegnato alla prima; “WM1788” alla se­ +conda. I due account apparivano i diretti responsabili per lo scaricamento di più +di 18 milioni di pagine, per un valore approssimativo di 1,5 milioni di dollari. +L’FBI decide, di conseguenza, di aprire un caso/fascicolo per investigare su +questa intrusione. +Il caso prende il numero 288A-WF-238943; un agente inizia immediatamen­ +te a operare e, il 4 novembre del 2008, gli uffici amministrativi dei tribunali +forniscono all’FBI tre CD-Rom contenenti i file di log – ossia il diario di tutte le +attività dei computer e dei server – che fotografano la situazione del loro siste­ +ma e le attività di quel settembre del 2008. Viene, anche, fissato un incontro di +persona per fare il punto della situazione. +Il programma pilota, che era partito nel novembre del 2007, aveva riguardato +17 biblioteche federali, che avevano un determinato numero di computer in + 128 +Aggiustare il mondo +loco disponibili al pubblico. All’epoca, c’erano quasi 850.000 utenti registrati +al servizio PACER: i vertici dei tribunali americani avevano deciso di collocare +questo servizio anche nelle biblioteche perché convinti che molti cittadini co­ +muni preferissero non fare lo sforzo di recarsi in tribunale per simili richieste di +documenti legali, sentenze e atti. Le biblioteche, per di più, erano, per il cittadi­ +no comune, meno formali e austere, e più a misura d’uomo. +Ogni tribunale/corte federale ha il suo sistema e il suo server, e crea un log +dei pagamenti per lo scaricamento dei documenti che viene custodito localmen­ +te. Accedere a PACER è, quindi, un processo interno alla biblioteca: il bibliote­ +cario si deve loggare e deve scollegare l’utente alla fine della sessione. Non sono +richiesti documenti cartacei da firmare; alcune biblioteche li avevano previsti +e li avevano custoditi per qualche tempo, ma le persone tendevano a usare, e +comunicare, nomi falsi. +All’utente viene assegnata una postazione/computer nella biblioteca e, dopo +che si è loggato, può andare ovunque all’interno dell’archivio PACER. +Le password risultavano essere state violate nelle due biblioteche indicate e, +durante il periodo della asserita compromissione da quei terminali, qualcuno +avrebbe acceduto a 34 archivi di corti distrettuali, in una sessione unica e conti­ +nua, che aveva accesso ai documenti ogni due/tre secondi fino a scaricarne più +di 18 milioni. +Il tutto era avvenuto nelle normali ore di lavoro, e i dati, che erano in corso +di esfiltrazione, venivano mandati, man mano, a due indirizzi IP presenti su +computer/servizi di Amazon. +I documenti venivano scaricati in ordine sequenziale, per numero, e partendo +dai casi più vecchi – dal 1990 – sino a quelli attuali. Non erano stati individuati +specifici tipi di casi, ma venivano scaricati tutti indiscriminatamente: interi fasci­ +coli con i corrispondenti documenti. +Quando il 22 settembre furono scoperte le compromissioni, gli account ven­ +nero disabilitati e la comunicazione ufficiale, verso l’esterno, fu che il progetto +pilota fosse stato interrotto per un problema di sicurezza. +Nel dialogo con l’FBI, i rappresentanti dell’amministrazione della giustizia +iniziano a fare una prima ipotesi: qualcuno era intenzionato a progettare un +servizio simile e a costruire un proprio database per offrire ciò che consentiva +PACER che, al momento, non aveva concorrenti commerciali. +La vittima era, pertanto, preoccupata per due ragioni. Innanzitutto, perché +qualcuno era riuscito a ottenere un accesso di questo tipo alle postazioni delle +due biblioteche, e poi per il grande numero di documenti scaricati. Il timore era, +in particolare, che dietro a un attacco simile ci fosse una organizzazione crimi­ +nale con competenze informatiche specifiche. +L’FBI, ascoltate le ragioni dei vertici delle corti nordamericane, si interessa al +caso. E, in particolare, si interessa a un sito web – “public.resource.org” – dove +sembra che sia “apparsa” online una lista di documenti che corrispondono a + 129 +14. Il primo dossier dell’FBI +quelli compromessi. Gli investigatori analizzano la corrispondenza tra i file sul +web e quelli trafugati – che viene acclarata – e focalizza, quindi, l’attenzione su +public.resource.org. +Tra gli atti del fascicolo dell’FBI viene acquisita una lettera, inviata il 3 otto­ +bre 2008, nella quale public.resource.org si definisce una corporation non profit +che “porta avanti progetti di interesse pubblico su Internet”. +La lettera era stata inviata al presidente di una commissione sulle regole di +procedura del sistema giudiziario, il giudice Rosenthal. +In sintesi, nella lettera si poneva l’attenzione su alcuni tipi di dati che erano +soliti rimanere ben visibili nei documenti delle corti e che erano accessibili con +PACER. In particolare, informazioni sulla sicurezza sociale, dati di terzi, dati di +minori, dati fiscali, dati di nascita e, in alcuni casi di atti penali, persino l’indiriz­ +zo di residenza dei soggetti coinvolti in casi giudiziari. +Nella missiva si ammette che tali risultati sono legati a una preliminare attività +di auditing effettuata su documenti delle corti distrettuali; come allegato, viene +incluso un DVD contenente 2.282 documenti che erano, secondo il mittente, +problematici e vulnerabili, al fine di evidenziare possibili violazioni della privacy +dei cittadini. +La lettera, inoltre, suggerisce all’amministrazione della giustizia di ripensare +completamente le regole identificative dei soggetti coinvolti in un giudizio o +in un procedimento, usate nel trattamento dei documenti, e suggerisce delle +strategie e degli strumenti specifici per anonimizzare i dati durante la scansione +dei documenti. +Il quadro sta diventando, per l’FBI, più chiaro: il passo successivo è quello di +acquisire agli atti un articolo di giornale del 12 dicembre 2008 dal titolo molto +minaccioso: “Ribelle online pubblica milioni di dollari di fascicoli dei tribunali +USA gratuitamente”. +La notizia esce su Wired, un’importante rivista tecnologica, e tra le righe si +fa il nome, espressamente, di Carl Malamud, attivista che era solito domandare +a gran voce un diritto di accesso a tutti i documenti legali pubblici negli Stati +Uniti d’America, affinché i cittadini potessero consultare tali dati gratuitamente. +In questo articolo – lo vedremo meglio a breve – Malamud non usa mezzi +termini e si lascia andare a toni aggressivi. +Definisce il sistema PACER come un’assurdità, come un vero e proprio “di­ +fetto” dell’intero sistema della giustizia americana; al contempo, domanda a tutti +gli avvocati del Paese di donare alla sua organizzazione, uno ad uno, i documenti +che ogni giorno scaricano da PACER. +Lui promette, dal canto suo, di classificarli con cura e di pubblicarli gratuita­ +mente sul sito della sua organizzazione. Afferma, esplicitamente, di essere già +in possesso di ben il 20% dei file dell’archivio PACER, con le decisioni degli +ultimi 50 anni. + 130 +Aggiustare il mondo +L’articolo cita, anche, il periodo di prova che si era svolto l’anno precedente +e la chiamata alle armi di Malamud in quell’occasione: aveva invitato tutti gli +attivisti a cercare di recuperare più documenti possibile usando chiavette per, +poi, donarli a lui. +Non c’è da stupirsi, quindi, che questo articolo sia finito direttamente nel +fascicolo dell’FBI. +Si leggano, ad esempio, i seguenti passaggi dell’articolo, per meglio com­ +prendere come i contenuti fossero, in un’ottica investigativa, particolarmente +preoccupanti. +Il primo riferimento è al sistema informatico in sé, e alla sua vetustà: +Se volete cercare i documenti del tribunale federale, non è un problema. Basta +richiedere un account online e il Governo vi fornirà un nome utente e una pas­ +sword. Tramite il servizio postale. Una volta effettuato l’accesso, il motore di +ricerca dei tribunali del governo, noto come Public Access to Court Electronic +Records (PACER), vi farà pagare 8 centesimi a pagina per leggere i documenti di +pubblico dominio, una tariffa che nel 2006 ha fruttato alla magistratura federale +50 milioni di dollari di profitti. Con il suo costo elevato e le sue funzionalità li­ +mitate, i critici definiscono il sistema un’assurdità nell’era di Google, dei blog e +di Wikipedia, dove l’informazione è gratuita e la larghezza di banda, lo spazio su +disco e la potenza di elaborazione lo sono quasi altrettanto. +Subito dopo, entra in gioco Carl Malamud, e il giornalista descrive con cura +in che cosa si concretizzi il suo attivismo: +«Il sistema PACER è la parte più difettosa del nostro meccanismo legale federa­ +le», afferma Carl Malamud, che dirige il gruppo no-profit di open-government +Public.Resource.Org. «Hanno una mentalità da mainframe». Ora Malamud sta +facendo qualcosa al riguardo. Chiede agli avvocati di donare i loro documenti +PACER uno per uno, che poi classifica e raggruppa in file ZIP pubblicati gratuita­ +mente sul sito web della sua organizzazione. Questo sforzo, che dura da un anno, +gli ha permesso di ottenere il 20% di tutti i file presenti su PACER, comprese tutte +le decisioni delle corti d’appello federali degli ultimi 50 anni. +Le motivazioni di Malamud sono nobili, e la sua passione è veramente forte, +quasi una missione di vita: +Il progetto è importante, dice, perché i documenti dei tribunali fanno parte del +tessuto di una democrazia e dovrebbero essere liberamente accessibili ai cittadini. +«Stiamo cercando tutto il materiale legale primario degli Stati Uniti», afferma +Malamud. «È parte del sistema operativo americano e pensiamo che debba es­ +sere open source». Malamud è un uomo abituato a trovare modi per fornire un +accesso online gratuito e semplice ai documenti governativi. Nel 1995, il Securi­ +ties and Exchange Committee decise di mettere online i documenti societari solo +dopo che Malamud lo spinse a farlo. Per due anni ha gestito un sito gratuito che + 131 +14. Il primo dossier dell’FBI +pubblicava i documenti, poi ha staccato bruscamente la spina e ha indirizzato +gli utenti arrabbiati alla SEC. Da allora ha vinto battaglie per liberare il catalogo +nazionale dei diritti d’autore, l’archivio delle leggi statali dell’Oregon e il database +dei brevetti e dei marchi degli Stati Uniti. Ora sta cercando di ottenere i video +delle udienze del Congresso, i codici edilizi costosi ma privi di copyright e il Co­ +dice dei Regolamenti Federali, oltre a tutti gli atti giudiziari contenuti nel database +PACER. Sebbene il budget di Malamud sia di appena 1 milione di dollari all’anno, +egli può contare su una sovvenzione equivalente da parte del gruppo filantropico +del fondatore di eBay Pierre Omidyar e sull’aiuto di influenti amici del settore +tecnologico come Tim O’Reilly, Paul Vixie e Larry Lessig. +Il sogno di Malamud, di liberare, in un certo senso, il diritto dai tribunali, non +è però ben visto da tutti, ed è naturale che si generino frizioni con il sistema. Il +giornalista di Wired ascolta, infatti, anche altre voci: +Malamud sogna un giorno in cui i documenti legali del PACER siano gratuiti, in +modo che accademici e imprenditori possano creare motori di ricerca personaliz­ +zati e nuovi strumenti per rendere le informazioni disponibili ai cittadini america­ +ni. Ma questo è ciò che PACER fa ora, come spiega il portavoce dei tribunali degli +Stati Uniti Richard Carelli. «PACER è la più grande conquista tecnologica del +sistema giudiziario degli ultimi 20 anni», afferma Carelli. Il sistema di ricerca ha +già rivoluzionato l’accesso agli atti giudiziari, sostiene Carelli, evitando lunghi spo­ +stamenti verso i tribunali federali e riducendo le tariffe per le fotocopie. PACER +sta anche sperimentando la possibilità di rendere disponibili online le registrazioni +audio digitali dei casi e, almeno durante la fase pilota, una copia di un file audio +costa solo 8 centesimi, indipendentemente dalla lunghezza. Inoltre, il PACER of­ +fre già ai suoi 900.000 utenti l’accesso gratuito ai pareri giudiziari, e i cittadini non +devono pagare se guardano meno di 10 dollari di documenti all’anno, dice Carelli. +In effetti, il PACER è rivoluzionario ed economico se paragonato ai tribunali sta­ +tali e locali che non hanno alcun archivio elettronico, o che fanno pagare 5 dollari +solo per eseguire una ricerca di documenti, anche se non dà alcun risultato, come +nel caso della Corte Superiore di Los Angeles. Ma l’interfaccia di PACER sembra +progettata per il Dipartimento dei veicoli a motore e il sistema non offre alcuna +possibilità di ricerca nel testo dei documenti legali. Siete interessati a trovare tutti +i casi di pirateria musicale o a scoprire quante volte Steve Jobs viene citato in un +documento giudiziario? Volete essere avvisati via e-mail quando c’è una nuova +archiviazione in un caso specifico? Che ne dite di un feed RSS delle decisioni di +un determinato tribunale? Il PACER non vi aiuterà. +Chi vuole informazioni del genere? Tim Stanley, l’amministratore delegato di Ju­ +stia.com, per esempio. Dopo aver venduto la sua società di contenuti giuridici +Findlaw a una delle più importanti aziende di editoria legale del Paese, West Pu­ +blishing, Stanley ha avviato una redditizia società di web design per studi legali. +Utilizza i ricavi per regalare documenti legali attraverso il motore di ricerca Justia. +com. «West guadagna miliardi di dollari vendendo materiale che noi vogliamo re­ +galare gratuitamente», si vanta Stanley. Justia consente ad accademici e giornalisti +di seguire gratuitamente i casi di interesse e pubblica online alcuni fascicoli di casi + 132 +Aggiustare il mondo +che possono essere consultati da tutti. La sua azienda ha acquistato e digitalizzato +tutte le decisioni della Corte Suprema, ha creato il primo motore di ricerca gratui­ +to e le ha donate a PublicResource.org. Ora Justia sta collaborando con la Cornell +University per introdurre alcuni strumenti Web 2.0, tra cui le pagine wiki per le +decisioni, il monitoraggio automatico delle citazioni nelle decisioni e gli strumenti +per tenere traccia delle memorie scritte da un determinato avvocato. Altri sforzi +includono AltLaw.org, un motore di ricerca legale gratuito creato dai professori +di legge Tim Wu e Paul Ohm, e la completa Public Library of Law di Ed Walter, +che copre anche i tribunali statali. +Nell’articolo di Wired vi è, anche, il riferimento esplicito a questa attività di +verifica della presenza di dati personali, che Malamud effettua su tutti i docu­ +menti provenienti da PACER: +Alcuni problemi sono emersi quando i vecchi fascicoli dei tribunali sono migrati +online e sono stati indicizzati da Google e da altri motori di ricerca. Malamud +racconta di essere stato contattato da persone scioccate dal fatto che una vecchia +causa in cui erano stati coinvolti fosse improvvisamente comparsa nei risultati di +ricerca con il loro nome; attualmente sta bloccando i motori di ricerca dall’indi­ +cizzazione dei suoi file PACER tramite robots.txt. Malamud sostiene che ci sono +anche enormi violazioni della privacy che si nascondono all’interno di alcuni do­ +cumenti giudiziari, poiché cancellieri, giudici e avvocati non rispettano le regole su +ciò che può o non può essere contenuto nei documenti legali. Public.Resource.org +ha utilizzato alcuni strumenti software primitivi per cercare i numeri di previdenza +sociale nei documenti giudiziari di 32 tribunali distrettuali. I risultati: 1.700 docu­ +menti confermati, tra cui uno di un tribunale del Massachusetts che conteneva un +elenco di 54 pagine di nomi, problemi medici, numeri di previdenza sociale e date +di nascita di 353 pazienti. +Malamud sostiene che la soluzione a questi problemi è una maggiore trasparenza, +non una minore. «I gruppi di interesse pubblico e il pubblico in generale, quando +hanno accesso a questi documenti pubblici, sono in grado di fornire il tipo di fee­ +dback che porta alla correzione di questi problemi di privacy», ha detto di recente +Malamud agli amministratori dei tribunali statunitensi. «Se vogliamo essere seri +riguardo alla privacy personale, possiamo farlo solo se siamo seri anche riguardo +all’accesso pubblico». +Il passaggio dell’articolo che riguarda il periodo di prova gratuito del servi­ +zio, e che è sembrato a Malamud il momento migliore per agire, armando un +esercito di ragazzi con chiavette USB (“Thumb-Drive Corps”), è di centrale +importanza per gli investigatori: +Ma l’Ufficio amministrativo dei tribunali degli Stati Uniti ha già sperimentato la +possibilità di rendere PACER gratuito per il pubblico, trovando molti punti deboli. +Nel 2007, l’ufficio ha lanciato una sperimentazione in 16 biblioteche del Paese che +consentiva l’accesso gratuito illimitato dai computer della biblioteca. La sperimen­ +tazione è stata sospesa lo scorso settembre, dopo che Malamud ha incoraggiato i + 133 +14. Il primo dossier dell’FBI +volontari a recarsi nelle biblioteche e a scaricare un gran numero di casi su chia­ +vette USB per poi donarli al pubblico. +Carelli non ha voluto dire perché il processo è stato sospeso, né se la “Thumb-Dri­ +ve Corps” di Malamud sia stata la causa di tale decisione. Anche Malamud non +vuole parlarne, ma in una lettera ai tribunali dello scorso ottobre ha fatto notare +che la sperimentazione interrotta «è stata condotta senza alcuna linea guida scritta +o orale sull’uso appropriato». +Malamud dice che non vede l’ora che arrivi il giorno in cui non dovrà più ricorrere +al sistema. «Se avessi 10 milioni di dollari, farei una copia di tutti i documenti e +la farei finita» +L’articolo che abbiamo appena analizzato apre tante strade interpretative agli +agenti dell’FBI, che cominciano a unire i puntini e a comprendere che cosa +fosse successo. Vi è, ormai, la quasi certezza che il DVD allegato alla lettera +contenesse i file provenienti da quel periodo di prova. +Lo step investigativo successivo dell’FBI si concentra sulle persone e riguar­ +da l’identificazione di chi fosse stato ad accedere, studiando le modalità attraver­ +so le quali aveva operato. Si analizza, in altri termini, il processo di login. +In pochi giorni, l’FBI viene a sapere che l’indirizzo IP di Amazon usato per +le operazioni collegate all’accesso al sistema PACER appartiene a tale Aaron +Swartz, del quale riescono ad ottenere un numero di telefono e un indirizzo nei +pressi di Highland Park. La scheda di Aaron in possesso dell’autorità inizia a ri­ +empirsi di dati. Ha una pagina web, che viene visionata con cura dagli investiga­ +tori per raccogliere le prime informazioni. Il sistema non restituisce precedenti +penali. Nel fascicolo finiscono anche il suo numero di previdenza sociale, una +sua foto e tanti altri documenti pubblici, compresa una recente attività collegata +al sito whatchdog.net. +Il sopralluogo per identificarlo non va a buon fine, per il rischio dell’agente +di essere scoperto. +Il 12 febbraio del 2009, il New York Times pubblica un articolo intitolato “Uno +sforzo per aggiornare il sistema di archiviazione delle corti in maniera gratuita +e facile”; in questo articolo viene intervistato proprio Swartz, sulla compro­ +missione del sistema PACER. Anche in questo articolo, che finirà nel fascicolo, +si parla dell’invito fatto da Malamud a tanti attivisti di andare nelle diciassette +biblioteche che offrivano accesso gratis e di scaricare più documenti che pote­ +vano, per poi mandarli a lui per la pubblicazione sul web. +Swartz rispose, e scaricò i documenti; gli avvocati dei due li rassicurarono, +dicendo che non avevano infranto alcuna legge, ma li consigliarono di rimanere +un po’ nell’ombra, di tenere un basso profilo. Del resto, il New York Times aveva +una diffusione mondiale. +Quando l’FBI inserì anche questo articolo nel fascicolo, apparve interessante +il sottotitolo: “Aaron Swartz used a free trial of the government’s Pacer system + 134 +Aggiustare il mondo +to download 19,856,160 pages of documents in a campaign to place the infor­ +mation free online”. Vi era un preciso riferimento a un’azione di Aaron. +Anche il contenuto di questo servizio, come l’articolo di Wired, è, del resto, +perfettamente idoneo a richiamare l’attenzione degli investigatori. +Si apre, in particolare, proprio con la descrizione dell’azione di un gruppo +di attivisti: +Gli americani si sono abituati a trovare online qualsiasi cosa desiderino in modo +rapido e gratuito. Ma per chi cerca decisioni, memorie e altri documenti legali di +un tribunale federale, non c’è Google. C’è invece Pacer, il sistema di accesso pub­ +blico ai registri elettronici dei tribunali gestito dal governo e progettato ai tempi +dei modem telefonici. Macchinoso, arcano e non gratuito, è tutto ciò che Google +non è. Di recente, tuttavia, un piccolo gruppo di attivisti dedicati all’open-gover­ +nment si è unito per spingere il sistema dei registri giudiziari verso il 21° secolo, +semplicemente accaparrandosi enormi porzioni del database e regalando i docu­ +menti, con grande disappunto del governo. +Carl Malamud è presente anche in questo scritto, e conferma il suo approccio +critico nei confronti del sistema: +«Pacer è semplicemente orribile», ha dichiarato Carl Malamud, leader dell’iniziativa +e fondatore di un gruppo no-profit, Public.Resource.org. «Il sistema è obsoleto da +15 a 20 anni». Peggio ancora, ha detto Malamud, Pacer prende informazioni che +secondo lui dovrebbero essere gratuite, e i documenti prodotti dal governo non +sono coperti da copyright, e fa pagare 8 centesimi a pagina. La maggior parte dei +servizi privati che consentono la ricerca, come Westlaw e Lexis-Nexis, fanno pagare +molto di più, mentre i nuovi arrivati, come AltLaw.org, Fastcase.com e Justia.com, +offrono alcuni documenti a basso costo o addirittura gratuitamente. Ma anche il co­ +sto apparentemente basso di Pacer aumenta quando i documenti giudiziari possono +arrivare a migliaia di pagine. Le tasse vengono restituite ai tribunali per finanziare la +tecnologia, ma il sistema ha un’eccedenza di bilancio di circa 150 milioni di dollari, +secondo i recenti rapporti del tribunale. Per Malamud, mettere il sistema legale della +nazione dietro un muro di denaro e di meccanismi separa la gente da quello che lui +chiama il “sistema operativo della democrazia”. Così, nel 2008, utilizzando 600.000 +dollari di contributi, ha acquistato un archivio di 50 anni di documenti delle corti +d’appello federali e li ha messi online. Entro quest’anno, era pronto a operare sul +più ampio database dei tribunali distrettuali. Questi tribunali, con l’aiuto del Gover­ +nment Printing Office, avevano aperto una prova gratuita di Pacer in 17 biblioteche +del Paese. Malamud ha esortato i colleghi attivisti a recarsi in quelle biblioteche, a +scaricare il maggior numero possibile di documenti giudiziari e a inviarglieli per la +ripubblicazione sul Web, dove Google potrebbe indicizzarli. +A questo punto, il quotidiano presenta al pubblico la figura di Aaron Swartz +e lo indica come l’unico responsabile dello scaricamento di quell’enorme quan­ +titativo di documenti statali: + 135 +14. Il primo dossier dell’FBI +Aaron Swartz, un ventiduenne di Stanford che ha letto l’appello di Malamud, è +riuscito a scaricare circa il 20% dell’intero database: 19.856.160 pagine di testo. +Il Government Printing Office ha comunicato che il programma pilota gratuito +Pacer era stato sospeso, «in attesa di una valutazione». Un paio di settimane dopo, +un funzionario del Government Printing Office, Richard G. Davis, ha comunica­ +to ai bibliotecari che «la sicurezza del servizio Pacer è stata compromessa». L’FBI +sta conducendo un’indagine». Gli avvocati di Malamud e Swartz hanno detto che +non sembravano aver violato alcuna legge, ma che era impossibile dire cosa avreb­ +bero potuto fare i funzionari governativi arrabbiati. All’ufficio amministrativo dei +tribunali, una portavoce, Karen Redmond, ha detto di non poter commentare +il problema della prova gratuita di Pacer, né se ci sia stata un’indagine penale +sul download di massa. Il programma gratuito «non è terminato», ha detto la +Redmond. «Dobbiamo solo vedere cosa succederà dopo l’indabine». Per quanto +riguarda il costo del sistema, ha detto: «Siamo al massimo dell’economicità. Stia­ +mo parlando di pochi centesimi a pagina». Nel frattempo, i 50 anni di sentenze +d’appello rimangono online e accessibili a Google, mentre i 20 milioni di pagine +di sentenze delle corti inferiori sono disponibili in blocco, ma non sono ancora +facilmente ricercabili. «Voglio l’intero database nel 2009», ha detto Malamud. +L’articolo si conclude con un’ulteriore attenzione all’attività di Malamud e +del suo team: +Malamud ha detto che i suoi anni di attivismo lo hanno portato a fissare un obiet­ +tivo a lungo termine: prestare servizio nell’amministrazione Obama, forse anche +come capo del Government Printing Office. Il pensiero potrebbe sembrare in­ +verosimile: Malamud è, per sua stessa ammissione, più un tipo da barricate che +da scrivania. Ma ha notato che l’anno scorso ha pubblicato più pagine online di +quante ne abbia pubblicate l’ufficio stampa. Malamud rappresenta una prospettiva +di apertura e trasparenza che è molto in sintonia con quella della nuova ammini­ +strazione, ha detto Lawrence Lessig, professore di legge ad Harvard e principale +sostenitore della cultura libera. L’idea sembra avere una certa attrattiva anche per +John D. Podesta, un fan di lunga data di Malamud e capo del team di transizione +di Obama, che tuttavia si è astenuto dal fare qualsiasi cosa che possa essere inter­ +pretata come un’approvazione. «Sicuramente darebbe una scossa alle cose», ha +detto Podesta, ridendo. +Malamud dice di non contare sul fatto che la nuova amministrazione sia così +audace. Inoltre, ha detto, si tiene terribilmente occupato a fare ciò che secondo +lui il governo dovrebbe fare in ogni caso. «Se sarò chiamato, sicuramente mi ren­ +derò utile», ha detto. «Ma se non sarò chiamato, probabilmente mi renderò utile +comunque». +Il caso, e l’indagine dell’FBI, cominciarono pian piano a sgonfiarsi. +Innanzitutto, non venne ravvisata una compromissione delle password, né +un’ipotesi di accesso abusivo al sistema informativo. Certo, Aaron era ben con­ +sapevole che il suo accesso non era autorizzato e, quindi, stava operando in + 136 +Aggiustare il mondo +violazione dei termini contrattuali, dal momento che stava usando un codice +di accesso non appartenente a lui e aveva superato il limite di un’ora di collega­ +mento per utente imposto dal sistema, ma il suo comportamento non raggiun­ +geva la gravità prevista dalle norme penali. +Il 14 aprile del 2009, circa due mesi dopo l’apparizione di Aaron sul New York +Times, un agente speciale dell’FBI fece una telefonata per cercare di parlare con +lui. Rispose una donna – sua madre – che disse che Aaron non era più reperibile +a quel numero e che non aveva un altro numero a cui essere contattato. L’agente +dell’FBI lasciò un messaggio, la madre assicurò l’investigatore che avrebbe in­ +viato quel messaggio per e-mail ad Aaron. +Quando Aaron richiamò, la conversazione fu molto breve. L’agente disse che +si stava informando su come avesse fatto ad accedere al sistema PACER per +poter rimediare ad eventuali vulnerabilità. Aaron non disse nulla perché voleva, +prima, parlare con il suo avvocato. +Quando Aaron contattò di nuovo l’FBI, domandò esplicitamente se vi fosse +un’investigazione ufficiale aperta su di lui o se fosse solo una raccolta prelimi­ +nare di informazioni. Siamo attorno al 15 aprile del 2009, e l’agente speciale è +costretto a rispondere che, sì, c’è una investigazione aperta su di lui. Aaron, un +po’ ingenuamente, domanda all’agente se deve contattare un avvocato per farsi +rappresentare. L’agente conclude la conversazione dicendo che non può fornir­ +gli consigli su quel punto. +Il giorno successivo, il 16 aprile 2009, l’FBI interroga anche Carl Malamud. +L’attivista è molto trasparente: dice di essere stato contattato da Aaron, che era +uno dei suoi volontari, che era in possesso di dati, e di averglieli fatti caricare +sul suo sito. Dichiara all’FBI che non pensava che tale comportamento fosse +illegale, e che né lui, né Aaron erano degli hacker in senso criminale. Non aveva +pagato alcuna somma a Swartz, né Aaron era un suo dipendente: si conosceva­ +no e collaboravano da dieci anni. +Pochi giorni dopo l’ascolto di Swartz e Malamud, l’FBI decise di chiudere +questo caso: era il 20 aprile del 2009. +Sia Swartz, sia Malamud avevano, però, avuto una grande esposizione media­ +tica, erano finiti sulle pagine della stampa internazionale, erano stati associati al +mondo della criminalità informatica e a quegli hacker che, in quel periodo sto­ +rico, erano visti come soggetti ostili al governo e, soprattutto, erano ora – tutti +e due – negli archivi dell’FBI. + 15. L’accesso a JSTOR +Nel gennaio del 2011, a venticinque anni, circa tre anni dopo l’accesso a +PACER, Aaron sarà arrestato per un nuovo “attacco” a un sistema. +Le motivazioni e gli eventi alla base di questo nuovo caso giudiziario – e trau­ +ma – nella sua vita risalgono all’autunno del 2010 e coinvolgono un’altra banca +dati – la biblioteca digitale denominata JSTOR (“Journal Storage”) – cuore di +un servizio commerciale che concede in licenza riviste scientifiche a numerose +organizzazioni accademiche e di ricerca e università nel mondo, tra cui il MIT. +La sera di sabato 25 settembre 2010 i tecnici di JSTOR notano un numero +estremamente elevato di richieste di download di articoli scientifici che proven­ +gono dal MIT; più precisamente, tra le 17.00 di sabato e le 4.00 di domenica +vengono scaricati più di 450.000 articoli, che erano stati pubblicati su 560 riviste. +Il volume di dati trasferiti è talmente alto da sovraccaricare il server JSTOR +coinvolto; i tecnici della banca dati decidono di bloccare temporaneamente ul­ +teriori download richiesti da quell’indirizzo IP del MIT che stava interrogando +il sistema. Ma questa prima strategia di difesa non si rivela sufficiente: le stesse, +ossessive richieste di download continuano, poco dopo, da un altro indirizzo IP. +Il giorno successivo, domenica 26 settembre, JSTOR decide, allora, di negare +l’accesso all’intera gamma di indirizzi IP ricollegabili al MIT, e invia un’e-mail +di chiarimento alle biblioteche di quell’Ateneo, notificando l’accaduto e giustifi­ +cando una scelta così radicale. +Nel testo di questa e-mail – finita, poi, sia in un rapporto investigativo interno +del MIT, sia negli atti processuali – si spiega come JSTOR «raramente reagisca +in questo modo alle attività illecite, ma si era ritenuto necessario, e prioritario, +mantenere la stabilità del sito web per tutte le altre istituzioni e gli utenti colle­ +gati». Vi era, insomma, il fondato timore che una simile attività “buttasse giù” +tutto il sistema e impedisse, così, l’accesso al servizio a tutti i clienti mondiali. +Gli investigatori di JSTOR osservano, al contempo, come il modo in cui le +richieste di download erano arrivate al loro sistema «indica chiaramente una +raccolta robotizzata di articoli in PDF, in violazione dei nostri termini e condi­ +zioni d’uso». Non c’era una persona, dietro questa attività, ma un automatismo, +uno script che faceva le veci di un essere umano e agiva giorno e notte. +In base agli accordi contrattuali stipulati con JSTOR, le biblioteche del MIT +iniziano, allora, a collaborare con la società, nel tentativo di determinare la fonte +del download – ossia da quale computer, stanza del campus o laboratorio avve­ +nisse quella operazione – e di impedirne la prosecuzione. +Nel momento in cui i vertici di JSTOR domandano esplicitamente l’assi­ +stenza del MIT e del suo staff di security per evitare che l’incidente si ripe­ +ta, la risposta che ricevono dai responsabili delle biblioteche è chiara: «Stiamo + 138 +Aggiustare il mondo +indagando su questo caso; visto che ad avere originato l’attività illecita è stato un +ospite in visita al MIT, confidiamo che il fatto non si ripeterà più». +In risposta a questo messaggio rassicurante da parte dei vertici del campus, +JSTOR decide, in un’ottica di fiducia, di riattivare tutti gli indirizzi IP collegabili +alla rete del MIT e di tenere, però, sotto controllo con grande attenzione le atti­ +vità di rete e la situazione. Al contempo, il team di sicurezza della rete del MIT +e il gruppo “Stopit” – che si occupa di fermare i comportamenti inappropriati +che si verificano per via elettronica – aumentano, a loro volta, il livello di allerta. +Il modo di procedere del gruppo “Stopit” del MIT, che cerca di mantene­ +re l’ordine nel campus con riferimento agli episodi di scaricamenti selvaggi, è +molto interessante: generalmente ha il compito di inviare al trasgressore un +messaggio di posta elettronica di avvertimento e, nella maggior parte dei casi, +un simile ammonimento formale è sufficiente per responsabilizzare gli utenti e +farli smettere. +Nel caso in questione, però, il computer era registrato in rete a un “ospite”, +e l’ospite utilizzava un indirizzo e-mail anonimo che non poteva in alcun modo +essere contattato. L’unica cosa da fare fu, allora, quella di disabilitare la registra­ +zione dell’indirizzo MAC utilizzato dal computer incriminato per generare un +deterrente sufficiente per ulteriori attività. +Due settimane dopo – sabato 9 ottobre 2010, proprio durante il fine settima­ +na del Columbus Day – si verifica un secondo incidente molto simile al primo: +un ospite esterno della rete scarica altri articoli di JSTOR, utilizzando un indiriz­ +zo MAC leggermente modificato rispetto a quello correlato al primo episodio. +Questa volta, però, le richieste e i download generano dei malfunzionamenti +enormi che si estendono, pian piano, a tutti i server di JSTOR. Gli ingegneri +della società sono seriamente preoccupati, e la situazione diventa d’emergen­ +za: il servizio rischia di diventare inaccessibile da tutto il mondo, e le richie­ +ste di download sembrano provenire, in questo caso, da migliaia di macchine +contemporaneamente. +JSTOR è costretto nuovamente a interrompere il servizio alle 23:15 circa del +9 ottobre 2010, limitando così i danni: erano stati scaricati, in questa sessione di +collegamento, “solo” 8.000 articoli. +Una rapida investigazione interna all’azienda conferma che gli articoli in +corso di scaricamento non erano limitati a una specifica disciplina, ma erano +sequenziali e attraversavano l’intero database e ogni possibile argomento. Era +il chiaro segnale di come fosse in corso uno “sforzo concertato per scaricare +l’intero archivio JSTOR”. L’intero archivio. +La situazione diventa ancora più delicata. I vertici di JSTOR iniziano a dia­ +logare con i vertici delle biblioteche del MIT sul da farsi. Vi è, però, urgenza di +ripristinare il servizio, che è centrale per la vita accademica, e ciò viene fatto il 12 +ottobre, dopo tre giorni di blocco delle banche dati nell’intero campus. + 139 +15. L’accesso a JSTOR +Sia JSTOR, sia il MIT si impegnano a monitorare con grande attenzione le +attività e a intervenire al più presto in caso di ulteriori comportamenti sospetti. +Nel frattempo, gli investigatori interni del MIT iniziano a lavorare su un’in­ +formazione importante e un po’ più “fisica”: le attività di download sembrano +avvenire da un palazzo del MIT denominato Dorrance Building n. 16, una co­ +struzione accademica collocata nel campus centrale. +La sera del 26 dicembre 2010, in pieno periodo natalizio, sorgono nuovi pro­ +blemi: JSTOR registra, nuovamente, un eccesso di download provenienti dalla +rete del MIT, questa volta riferibili a un nuovo indirizzo IP. +La sorpresa è grande, questa volta, perché si scopre come quest’ultimo +download fosse in corso da tantissimo tempo – almeno a partire dalla fine di +novembre – ma JSTOR se ne è accorto solo molto più tardi. L’attività era rima­ +sta invisibile, perché le modalità di accesso ai download erano state rallentate e +modificate in modo tale che i sistemi di monitoraggio dell’azienda non indivi­ +duassero la ripresa della raccolta robotizzata. +Anche questa attività proviene dall’edificio 16: JSTOR domanda, allora, alla +direzione delle biblioteche di agire, e in fretta. Esige, in particolare, che venga +fatto ogni sforzo per identificare i responsabili e per assicurare che il contenuto +prelevato in quell’incidente, e in quelli precedenti, fosse messo in sicurezza e +cancellato. In più, ribadisce come fosse in corso un’intensa attività non auto­ +rizzata e come fosse necessario scoprire, a questo punto, l’autore di una simile +azione criminale, chiaramente intenzionale e proveniente dall’interno del MIT. +In concreto, però, visto il periodo di vacanze natalizie, questi messaggi di +invito a investigazioni più decise vengono appresi e trattati soltanto a gennaio, +al ritorno al lavoro di tutto l’organico del campus. +Con il nuovo anno, pertanto, l’attenzione si sposta sull’edificio 16 e sulla +ricerca fisica del computer che opera i download. +In particolare, gli addetti alla sicurezza del MIT mettono sotto osservazione +uno sgabuzzino, presente nel seminterrato, che contiene gli switch di rete dell’e­ +dificio. Notano, subito, una cosa strana: c’è un cavo collegato a uno switch di +rete che porta a una scatola di cartone collocata sul pavimento. +L’ingegnere del MIT addetto al controllo solleva, allora, la scatola e scopre +un computer portatile. Telefona immediatamente a un collega, che lo raggiunge +rapidamente nello sgabuzzino, ed entrambi coinvolgono nell’istruttoria la dire­ +zione e il team di sicurezza, nonché i vertici del MIT. +Poco dopo, questa informazione viene comunicata alla polizia interna del +MIT: gli agenti in uniforme arrivano nello sgabuzzino e si appostano nel corri­ +doio del seminterrato per cercare di sorprendere il proprietario di quel compu­ +ter nel caso fosse tornato in loco. Al contempo, i tecnici iniziano a monitorare il +flusso dei dati e a osservare i download in corso da quel computer. + 140 +Aggiustare il mondo +Un fotografo inizia a fare i rilievi investigativi di rito: vengono scattate fo­ +tografie dell’armadio, della scatola, del computer portatile e di un disco rigido +collocato sotto al computer. +Terminato un primo sopralluogo, la polizia del MIT assume una decisione +importante che cambierà il corso dell’intera vicenda: si tratta, a loro avviso, di +un caso di criminalità informatica, e la criminalità informatica, nell’ordinamento +nordamericano, è una cosa seria. +Viene, così, contattato il Dipartimento di Polizia di Cambridge, che manda +un agente esperto di computer forensics e di crimini informatici. +Il detective di Cambridge che viene allertato dalla polizia del MIT fa parte di +un gruppo interforze, la New England Electronic Crimes Task Force, e sta la­ +vorando tranquillo nel suo ufficio, in un edificio federale a Boston. È lì, proprio +in quel momento, insieme ad altri agenti delle forze dell’ordine, le cui agenzie +partecipano ai lavori della task force. +Il detective si presenta poco dopo al MIT con altri due componenti di quella +task force contro i crimini informatici: un agente speciale dei Secret Services degli +Stati Uniti d’America e un detective del Dipartimento di Polizia di Boston. Tre +investigatori coinvolti, quindi, tra cui uno dei Secret Services. +Il MIT, in un passaggio del rapporto interno che stilerà sull’incidente, ci terrà +particolarmente a precisare, con riferimento a questa circostanza, come non +fossero stati loro a chiamare i Secret Services: la polizia del MIT aveva contatta­ +to il detective di Cambridge, chiamandolo sul suo cellulare personale, e l’agente +speciale si era unito di sua iniziativa al detective per il sopralluogo. +All’arrivo degli agenti, il computer portatile sospetto è in piena attività e sta +ancora scaricando dati. Inoltre, durante il monitoraggio, gli ingegneri di rete del +MIT avevano osservato come il portatile fosse stato contattato da diverse fonti, +tra cui un indirizzo IP situato in Cina. +Queste informazioni, comunicate alle forze dell’ordine, aumentano il livello +di allarme e fanno temere che possa essere coinvolta una persona, o un’entità, in +Cina. Comincia a circolare il sospetto di un attacco internazionale. +L’agente speciale, sulla scena del crimine, decide di collegare un dispositivo +USB al computer portatile, nel tentativo di copiare il disco rigido per poi analiz­ +zarlo in laboratorio, ma il tentativo non va a buon fine. +Vengono acquisite le impronte digitali presenti sul portatile e sul disco rigido +e si decide, come strategia di contrasto e investigativa, di lasciare il portatile e il +disco rigido sul posto, così come sono stati trovati, per intercettare un eventuale +ritorno della persona che li aveva posizionati lì. Non è possibile, per limiti di +risorse umane, garantire un monitoraggio costante dei corridoi e delle stanze +che portano al seminterrato e attorno allo sgabuzzino. Si prende la decisione, al­ +lora, di installare una videocamera nell’armadio, che possa essere monitorata da +addetti alla sicurezza collocati in un altro punto del MIT, a poca distanza da lì. + 141 +15. L’accesso a JSTOR +Il ripostiglio viene, poi, ripristinato esattamente così com’era stato trovato, ad +eccezione dell’installazione della nuova telecamera. +Circa mezz’ora dopo, un individuo entra nel fuoco dalla videocamera appena +installata nel ripostiglio del seminterrato. Cambia il disco rigido collegato al +portatile e ripone quello vecchio dentro al suo zaino. +Alcuni agenti delle forze dell’ordine, che hanno visto tutto in diretta gra­ +zie alla telecamera, si precipitano, allora, verso il ripostiglio per arrestare quella +persona, ma se ne è già andata prima del loro arrivo. Nessuno, nei paraggi, è in +grado di riconoscere la persona apparsa nel video. +A questo punto, si prendono alcuni fotogrammi del video e si generano delle +foto segnaletiche del sospetto, che vengono stampate e distribuite alla polizia +del MIT. Il MIT, nel frattempo, fornisce spontaneamente tutti i dati, i file di log +e gli elementi di indagine, man mano che sono raccolti, alla task force esterna +di agenti. +Vi sono, in pratica, tre indagini aperte contemporaneamente: quella interna +dei tecnici di JSTOR, quella interna della polizia del MIT e quella esterna che +coinvolge i detective di Cambridge e i Secret Services nella task force e che rice­ +vono aggiornamenti e fonti di prova dal MIT in tempo reale. +Alle 12:30 circa di martedì 6 gennaio, qualcuno entra di nuovo nello sgabuz­ +zino. Viene ripreso dalla telecamera anche in questa occasione ma, mentre sta +entrando, decide di coprirsi il volto con un caschetto da bicicletta. Lo toglie solo +dopo che è entrato e ha chiuso la porta. +Anche in questo caso, nessuno della polizia del MIT riesce a raggiungere l’e­ +dificio 16 in tempo per fermare, o almeno intercettare, la persona che è entrata +nello sgabuzzino. +Verso le 14:00, un agente di polizia del MIT a bordo di un’auto civetta che +si sta recando in un garage dopo il suo turno di lavoro, guarda con attenzione +la fotografia che ha con sé, fornita dai vertici del campus. Il poliziotto conosce +bene l’indagine in corso e viene informato via radio che il portatile è stato ri­ +mosso dal ripostiglio del seminterrato e che ora è da qualche parte nel campus. +Ha anche guardato con attenzione il video del 4 gennaio che ritraeva il sospetto, +così come i fotogrammi ricavati dal video. +Quando imbocca Vassar Street, vicino a Massachusetts Avenue, il poliziotto +vede un ciclista, proveniente dalla direzione opposta alla sua, che lo supera. +Sulla base delle foto che ha con sé, e del video che ricorda bene, e notando +lo zaino e i vestiti che il ciclista indossa, l’agente è convinto che il ciclista corri­ +sponda alla descrizione del sospetto del ripostiglio del seminterrato. +Senza attendere oltre, l’agente effettua un’inversione a U per mettersi all’in­ +seguimento del ciclista che, nel frattempo, ha appena svoltato su Massachusetts +Avenue e sta proseguendo verso nord in direzione di Harvard Square. + 142 +Aggiustare il mondo +Quando l’agente raggiunge il ciclista e si accosta per guardarlo meglio, ricon­ +trolla le foto che ha in macchina e conclude che il ciclista è effettivamente la +persona delle foto. +L’agente, allora, chiama immediatamente il suo dipartimento per domandare +rinforzi; un secondo agente di polizia del MIT, accompagnato dall’agente spe­ +ciale della task force, lo raggiunge in auto dalla stazione di polizia. +Quando il ciclista raggiunge il lato nord di Central Square, l’agente che lo +segue decide di anticiparlo e di fermarlo per accertarne l’identità. +Poi, uscendo dall’auto, esibisce le sue credenziali e il distintivo in modo che +siano ben visibili, e intima al ciclista di fermarsi. +Il ciclista obbedisce. +L’agente spiega di essere un ufficiale di polizia del MIT e di voler parlare con +lui. +Il ciclista si dimostra ostile, e risponde che non è solito parlare con gli estranei. +L’agente mostra nuovamente il suo distintivo e la fototessera. +Il ciclista, a quel punto, contesta la sua autorità, gli dice che un agente della +polizia del MIT non è un “vero poliziotto” e si rifiuta, di conseguenza, di parlare +con lui. +Improvvisamente, il ciclista lascia cadere a terra la bicicletta e inizia a correre +in maniera forsennata verso Central Square, sulla Massachusetts Avenue. +L’agente lo insegue brevemente, ma poi decide di tornare alla sua auto e di +seguirlo con la vettura, mantenendo un contatto visivo. +Il sospetto, a questo punto, rallenta fino a camminare in maniera di nuovo +pacata, e l’agente, ancora in auto, lo osserva e lo segue. +Nel frattempo, contatta, via radio, il secondo agente e gli comunica dove si +trova al momento il sospetto. +Una volta in prossimità del sospetto, sia gli agenti di polizia del MIT che l’a­ +gente speciale parcheggiano i loro veicoli e lo inseguono tra le auto parcheggiate. +Lo fermano e lo ammanettano. +A questo punto, gli agenti non conoscono ancora l’identità del giovane. +Uno degli agenti chiama la polizia di Cambridge, che arriva in loco e porta il +sospetto al dipartimento di polizia di Cambridge per la registrazione dei dati e +le formalità di rito conseguenti a un arresto. +È lì, in quel dipartimento, che il giovane viene identificato come Aaron +Swartz. +Si rifiuta di parlare con la polizia e telefona alla sua amica Quinn Norton, +la quale incarica un conoscente di raggiungere tempestivamente la stazione di +polizia con il denaro necessario per pagare la cauzione. +Poco dopo, si presenta anche un avvocato dello studio Good & Cormier, +completa le pratiche per la cauzione di Aaron Swartz ed esce con lui dallo stabile. +Più tardi, sempre il 6 gennaio del 2011, dopo l’arresto di Aaron Swartz, i +tecnici, la polizia del MIT e l’agente speciale si recano nell’area del campus dove + 143 +15. L’accesso a JSTOR +ci sono i servizi per gli studenti, per cercare il portatile che era stato spostato +dallo sgabuzzino. +Lo trovano, con un disco rigido esterno e collegato a una presa di rete. +L’agente speciale esamina il portatile, concorda con gli altri investigatori come +non ci sia modo di raccogliere fonti di prova dal portatile mantenendolo acceso, +quindi lo scollegano dalla rete e lo spengono. +Un detective del MIT acquisisce il portatile e il disco rigido esterno e li catalo­ +ga come prova; il 3 febbraio del 2011, la custodia del portatile e del disco rigido +viene trasferita dalla Polizia del MIT alla Polizia di Cambridge. +Da questo momento in avanti, non siamo più in presenza di una semplice +indagine interna del MIT, con “poliziotti che non sono veri poliziotti” – come +diceva Aaron – e con ammonizioni per i download e sanzioni, fatte di momen­ +tanee disconnessioni dalla rete per gli studenti meno rispettosi delle regole. +Da questo momento in avanti, il caso passa a una task force che si occupa +di indagare sui crimini informatici e che avvia un procedimento penale vero e +proprio. + 16. Il controverso ruolo del MIT +Era Aaron Swartz, dunque, l’utente che aveva acceduto alla rete del MIT +come ospite – si era registrato ben cinque volte nel 2010 – e stava cercando di +scaricare su un hard disk l’intero archivio di articoli di JSTOR. +Il giovane aveva approfittato di una politica del campus, con riferimento alla +connessione alla rete, che era, per tradizione, molto aperta, come si confaceva a +quella che era considerata “l’università degli hacker”: chiunque poteva entrare in +quell’ateneo e collegare il proprio computer a una porta della rete universitaria +o, a sua scelta, connettersi alla rete wireless. +Per connettersi alla rete cablata, e ottenere automaticamente l’accesso, era +necessario registrare il proprio computer in occasione della prima volta in cui +veniva collegato; la connessione alla rete wireless non richiedeva, invece, alcuna +formalità. +Anche l’accesso al servizio di articoli scientifici JSTOR era tendenzialmente +aperto e senza particolari vincoli. In altre parole, prima di quel fatidico gennaio +2011, qualsiasi computer collegato alla rete del MIT poteva accedervi; in se­ +guito all’incidente, i vertici delle biblioteche e lo staff di sicurezza informatica +del campus decisero di implementare un sistema di autorizzazione specifico, +denominato “eControl”, da loro progettato per limitare in un’ottica restrittiva +l’accesso da parte della comunità studentesca e di ricerca a determinate banche +dati elettroniche. +Una volta installato eControl, le richieste di accesso a JSTOR avrebbero do­ +mandato anche un certificato valido del MIT e sarebbero state verificate in +base all’elenco delle risorse umane dell’ateneo, tanto che l’accesso sarebbe stato +concesso solo a docenti, studenti o personale e, ad esempio, non agli ospiti. Gli +ospiti che desideravano accedere a JSTOR avrebbero dovuto utilizzare i com­ +puter delle biblioteche del MIT, recandovisi di persona. +Aaron non era né un membro del personale del MIT, né uno studente iscritto +o ex studente né, tantomeno, un membro della facoltà. Era, semplicemente, un +visitatore abituale del campus, che da anni interagiva e collaborava con persone +e importanti gruppi di ricerca, sia in ateneo, sia fuori. +I suoi legami con il MIT erano, pertanto, sempre stati molto stretti, anche se +non c’era mai stato un “riconoscimento formale”. +La sua prima startup di web-publishing era stata sviluppata proprio grazie +all’aiuto di un boot camp organizzato da una società di accelerazione dell’im­ +prenditorialità, che gli aveva permesso di essere ospitato nel campus del MIT +già nell’estate del 2005. + 146 +Aggiustare il mondo +Dopo un breve periodo a San Francisco, era poi tornato a Cambridge nel +2006 e aveva vissuto in un appartamento in Massachusetts Avenue, a Central +Square, tra Harvard e il MIT. +Il giovane partecipava attivamente alle principali iniziative del MIT: era un +membro del Free Culture Group, un visitatore abituale dello Student Information +Processing Board (SIPB) e un membro attivo all’annuale International Puzzle +Mystery Hunt Competition. +Anche il padre di Aaron, Robert, lavorava come consulente del famosissimo +MIT Media Lab: il giovane faceva spesso visita al padre e ai suoi due fratelli mi­ +nori, che erano stati stagisti presso quello stesso, importante laboratorio. +Al MIT aveva anche ritrovato persone che aveva incontrato online durante +il suo periodo giovanile di collaborazione con il consorzio di Tim Berners-Lee, +per lo sviluppo del web del futuro: partecipava, infatti, alle riunioni del gruppo +di lavoro sul semantic web che si tenevano presso il MIT Computer Science and +Artificial Intelligence Laboratory. Era stato persino invitato come relatore a una +delle riunioni del 2008. +Nel frattempo, nel 2010, Aaron era diventato ricercatore presso l’Edmond J. +Safra Center for Ethics dell’Università di Harvard. Era stato invitato in quella +struttura per condurre studi sperimentali ed etnografici sul sistema politico, e +per lavorare a una monografia sui meccanismi alla base della corruzione poli­ +tica. Gli era stato dato un ufficio presso quel centro di ricerca, e contribuiva +regolarmente alle discussioni e alle attività del campus. +La sua vita in quei mesi gravitava, in sostanza, a metà strada tra il MIT e +Harvard. +Dopo l’arresto, l’università di Harvard fu molto rapida nelle decisioni e scelse +di sospendergli la borsa di studio e di vietargli l’accesso al campus. La posizione +del giovane fu “congelata” perché si voleva attendere l’esito di un’indagine volta +ad accertare se Aaron avesse utilizzato anche i computer, o la rete, di quella +istituzione per attività analoghe a quelle che gli erano state contestate al MIT. +Il MIT, invece, non intraprese alcuna azione giudiziaria o disciplinare formale +nei suoi confronti, né assunse posizioni pubbliche pro o contro il giovane. +In tribunale, però, in occasione dell’udienza preliminare del 7 gennaio 2011, +il giudice Thomas, della corte distrettuale di Cambridge, ordinò ad Aaron di +stare lontano dalle proprietà del MIT come parte delle condizioni stabilite per +il rilascio. Un tale divieto sarà ribadito dal giudice Dein, come condizione per il +rilascio all’udienza per l’accusa federale del 19 luglio 2011. +Le due università più importanti al mondo – il MIT per la scienza e la tecnica, +e Harvard per il diritto e la politica – lo avevano allontanato e, anzi, gli vietavano +di avvicinarsi, proprio come in un tipico conflitto familiare. + 147 +16. Il controverso ruolo del MIT +Nel gennaio del 2013, il presidente del MIT, L. Rafael Reif, domandò al pro­ +fessor Hal Abelson di condurre un’analisi approfondita circa il coinvolgimento +complessivo del MIT nella vicenda Swartz. +Sei mesi dopo, il 26 luglio 2013, il professor Abelson e il suo team presenta­ +rono il loro rapporto al Presidente Reif e ne condivisero il testo con la comunità +accademica e con il mondo intero. +Si tratta di un documento importantissimo, che è da (ri)leggere con attenzio­ +ne per due motivi. +Il primo è che il rapporto è estremamente curato nel ricostruire, con preci­ +sione e nel dettaglio, la vicenda anche, e soprattutto, nella fase in cui si è svolta +dentro i locali del campus. Nelle pagine precedenti – e anche in quelle che segui­ +ranno – abbiamo ricostruito gli accadimenti prendendo a piene mani da questo +rapporto e confrontando la descrizione degli eventi con gli atti processuali. +Il secondo motivo è che il rapporto cerca di chiarire la posizione scomoda +che si era originata per il MIT. +Il campus più tecnologico, più hacker, più innovativo, più votato alla condi­ +visione di software e contenuti, più free, più naïf, più open e più goliardico del +mondo – che faceva della creatività e dell’oltrepassare le barriere il suo credo +– si ritrovava improvvisamente a dover giustificare la pesantissima persecuzio­ +ne giudiziaria di un suo studioso e membro della comunità e, soprattutto, la +cooperazione con l’autorità, le procure e l’amministrazione della giustizia per +contribuire a incarcerarlo. +Nonostante il rapporto abbia cercato di analizzare in maniera obiettiva il +ruolo e le azioni dei vertici del campus durante il procedimento, e abbia insistito +su una posizione neutra dell’ateneo – né contro, né a favore di Swartz –, ciò che +si deduce tra le righe è che vi fu, comunque, un’accurata collaborazione nella +raccolta delle fonti di prova e la consegna in tempo reale di tutti gli elementi a +carico di Aaron – da parte della polizia del campus – ai detective locali e agli +agenti federali. +La cosa incredibile – e forse prevedibile da parte del MIT – fu questa esca­ +lation – per un fatto avvenuto all’interno del campus – che vide un passaggio +di competenze dalla polizia interna, a un detective di Cambridge, sino all’auto­ +rità federale e a una task force pensata per investigare su gravi, e veri, crimini +informatici. +Il report, pertanto, si propone, tramite un resoconto operato da un gruppo +di revisori dei fatti, di fornire una descrizione indipendente degli eventi accaduti +e delle decisioni prese mentre gli eventi si svolgevano. +Il lettore noterà, all’interno delle decine di pagine del rapporto, come i ter­ +mini indipendenza e neutralità – o posizione neutra – del MIT saranno quelli più +utilizzati, forse anche in una sorta di excusatio non petita. La vicenda aveva, infatti, +coinvolto la natura stessa dell’università, i suoi principi e la sua reputazione. + 148 +Aggiustare il mondo +Occorre, innanzitutto, sfatare alcuni miti, si legge nel documento, che si +erano immediatamente diffusi dopo i fatti. I vertici del MIT non avrebbero +in alcun modo preso di mira Aaron Swartz, né avrebbero cercato di ottenere +un’azione/condanna penale nazionale o federale, né, tantomeno, una punizione +esemplare o il carcere, né, ancora, si sarebbero opposti a un patteggiamento o a +un accordo processuale “leggero”. +Dall’analisi del ruolo del MIT – si legge – siamo certi che le sue decisioni siano +state ragionevoli, appropriate e assunte in buona fede. Il rapporto conferma la +nostra fiducia nei membri della comunità del MIT coinvolti nelle vicende di Swar­ +tz. Hanno sempre agito con integrità e cuore e hanno servito il MIT con grande +professionalità. Sappiamo che gli ultimi sette mesi sono stati difficili per loro e per +le loro famiglie, e a loro va il nostro più profondo rispetto e la nostra gratitudine. +Di certo, però, il comportamento del MIT sollevò non pochi dibattiti, e nel +rapporto viene evidenziato, giustamente, questo aspetto. +Ho sentito molti nella nostra comunità che ritengono che le nostre azioni siano +state corrette e giustificate. Altri la pensano diversamente, e il gruppo di revisio­ +ne ha individuato percorsi alternativi che avremmo potuto seguire, compreso un +coinvolgimento più attivo nel caso man mano che si evolveva. Sono certo che ci +saranno ulteriori discussioni e riflessioni ora che abbiamo in mano il rapporto. +Dalle righe del rapporto esce una descrizione del caso molto chiara, con tanti +aspetti problematici. E la posizione neutra del MIT, tanto ribadita nella investi­ +gazione interna, non fu mai condivisa né dai familiari né dal collegio di difesa +di Aaron né, tantomeno, dagli amici più cari. Fu una posizione, sostenevano, +che ebbe comunque una conseguenza diretta sui fatti e sullo svolgimento dei +procedimenti giudiziari. +Di certo, si legge nel documento sull’indagine interna, emerse la volontà, +poco dopo, di revisionare le politiche di ateneo sulla raccolta, la fornitura e la +conservazione dei documenti elettronici e vi fu un aumento di consapevolezza, +e di conoscenza, su tali temi con, anche, un coinvolgimento degli studenti. +La vicenda Swartz aveva fatto emergere grandi dubbi, e generato un viva­ +ce dibattito, su argomenti quali l’open access, l’over-protection della proprietà +intellettuale, i profili di responsabilità e gli aspetti etici nel mondo elettronico. +Tutte questioni d’importanza centrale, che toccavano direttamente competenze, +interessi e valori di tutto il personale pur tra differenze interpretative e posizioni +contrastanti, più o meno libertarie. +Con riferimento alle azioni degli agenti e del team investigativo del MIT nei +confronti di Aaron, il rapporto tende, poi, a precisare come nessuno sapesse, +fino al giorno dell’arresto, che quella persona fosse lui. L’indagine fu una natura­ +le reazione a un uso non corretto della rete del campus da parte di una persona + 149 +16. Il controverso ruolo del MIT +sconosciuta, con comportamenti e azioni che rischiavano di mettere in crisi +l’intero funzionamento del sistema. +Il MIT non avrebbe, infine, mai domandato direttamente ed esplicitamente +l’avvio di un procedimento penale contro Aaron e avrebbe assunto sin dall’i­ +nizio, lo si ribadisce ancora, una posizione neutrale, con un coinvolgimento, a +suo dire, contenuto, limitandosi a produrre documenti in giudizio e senza mai +rilasciare dichiarazioni pubbliche sul caso. +Come si diceva, una simile interpretazione, delineata nel documento conclu­ +sivo del MIT, non fu condivisa da tutti. +A un certo punto, i familiari, i legali e due professori del MIT domandarono +all’ateneo di schierarsi apertamente a favore di Aaron, ma l’ateneo si rifiutò. +Informò, però, la procura e gli investigatori che non era intenzione del campus +richiedere una punizione per Swartz né alcuna forma di risarcimento civile. +Nel rapporto, in un passaggio, vi è, a un certo punto, una chiara posizione +di dubbio e di autocritica – una sorta di “opinione dissenziente” che si è volu­ +ta in qualche modo verbalizzare con il senno di poi – che appare, comunque, +interessante. +Tra i fattori che non sono stati presi in considerazione – si legge in questo pas­ +saggio – vi è il fatto che l’indagato fosse un collaboratore apprezzato, e noto, +alla costruzione della tecnologia alla base di Internet; che il Computer Fraud and +Abuse Act fosse una normativa penale mal formulata e discutibile se applicata al +quadro tecnologico attuale, che ha un impatto sulla comunità di Internet nel suo +complesso e che è ampiamente criticata; e che il governo degli Stati Uniti stesse +portando avanti un’azione penale apertamente aggressiva. La posizione del MIT +può essere stata prudente, ma non ha tenuto in debito conto il più ampio contesto +di politica dell’informazione in cui si è svolto il processo e quel quadro digitale nel +quale i membri del MIT sono, tradizionalmente, leader appassionati. +Per chiarire meglio questo punto cruciale, l’autore del rapporto indica, nel +dettaglio, alcuni dei problemi che il caso di Aaron aveva sollevato e che merita­ +vano una profonda riflessione. +In primis, le sfide in corso per preservare gli ambienti digitali aperti, e il libero +accesso, in un mondo digitalmente connesso, che era sempre più preoccupato +per i crimini informatici e l’uso improprio delle informazioni. Il legislatore e il +governo stavano chiudendo l’ambiente digitale, che era sempre stato caratte­ +rizzato da un amplissimo livello di libertà, con la collaborazione delle grandi +multinazionali. A tal fine, le norme sui crimini informatici, la tutela della pro­ +prietà intellettuale, la lotta alla pornografia e alle minacce interne ed esterne alla +sicurezza nazionale venivano utilizzate come leve per avviare azioni esemplari a +fini deterrenti, anche nei confronti di adolescenti curiosi. Il problema del libero +accesso a informazioni e documenti era diventato cruciale, ma il governo spin­ +geva verso la chiusura e minacciava sanzioni per chiunque agisse per garantirlo. + 150 +Aggiustare il mondo +Vi era, poi, un dilemma costante, soprattutto nelle facoltà scientifiche come +il MIT, su come comportarsi nei confronti di membri della comunità partico­ +larmente curiosi che, a causa delle loro competenze, si mettevano nei guai con +la giustizia. Non vi era ancora stato un dibattito serio, internamente, sui confini +tra hacking e criminalità informatica e su come valutare azioni di ingresso in +sistemi, non motivate da volontà criminale ma da curiosità, sfida o dall’idea di +portare avanti la scienza e la libertà. +Anche il tema dell’etica diventava, a tal punto, centrale. Come diffondere +l’idea di un uso etico delle tecnologie e delle proprie competenze? Come aiutare +dei piccoli (o grandi) geni dell’informatica a orientarsi in quelle scelte etiche, +che comunque dovrebbero accompagnare un programmatore o un informatico +in tutto quello che fa? A grandi poteri tecnici dovrebbero corrispondere non +soltanto grandi responsabilità ma, anche, una visione chiara dei limiti etici, de­ +ontologici (ossia correlati alla professione di informatico o di programmatore) +e giuridici. +Ultimo, ma non ultimo, il caso di Aaron aveva evidenziato come fosse ne­ +cessario introdurre corsi e competenze specifiche in tema di diritto e politica +dell’informatica, a tutti i livelli, nei campus. +Cosa ci lascia, quindi, la lettura accurata di quasi duecento pagine di rapporto +interno del MIT sulla vicenda Swartz e sulle investigazioni correlate? +Da un lato, la più grande università tecnologica al mondo, il luogo dove erano +nati e avevano operato i primi hacker, che ospitava regolarmente Aaron e la sua +famiglia, aveva chiaramente deciso di non entrare nella vicenda dopo l’arresto +del giovane, ma di mantenere un atteggiamento neutrale, cautamente lontano +dall’opinione pubblica, considerando quella vicenda come una controversia le­ +gale in cui non voleva essere parte in causa. E ciò, nonostante quello specifico +fatto – il download dalla rete del campus di milioni di documenti – ponesse +evidentemente problemi tecnologici, sociali e giuridici, che erano chiaramente +nel dominio di quella che si presentava al mondo come l’università degli hacker, +all’avanguardia per idee di libertà e di apertura. +Questo portò, inevitabilmente, alla diffusione di una percepita mancanza di +attenzione dell’intera comunità del MIT nei confronti di un caso che evidenzia­ +va, sin dai primi momenti, un conflitto tra etica hacker, ideali open access, leggi +discutibili e procedimenti giudiziari aggressivi. E quel caso era nato, e si stava +sviluppando, proprio dentro quell’università. +Inutile ricordare, pertanto, come commentatori, giuristi, tecnici, attivisti e +l’intero mondo tecnologico si aspettassero, dal MIT, un intervento di ben altro +tenore e autorevolezza. +Che, però, non ci fu mai. E Aaron fu lasciato, anche in questo caso, solo, nel +momento in cui stavano per iniziare ben due importanti procedimenti penali, +uno statale e uno federale. + 17. Le strategie processuali +Dopo i fatti occorsi al MIT, il conseguente arresto e i primi adempimenti +burocratici presso il commissariato di polizia nell’immediatezza dei fatti, la po­ +tente macchina processuale americana si mise in moto. E il quadro, per Aaron, +si complicò notevolmente. +Da questo momento in avanti, la storia giudiziaria di Aaron è fatta di mesi e +mesi di consulenze con avvocati, udienze annunciate e rimandate, tentativi di +patteggiamento, coinvolgimento di autorità nazionali e federali, attenzione da +parte dell’opinione pubblica, spese elevatissime, che arrivarono ad azzerare il +suo patrimonio e i suoi risparmi, consigli buoni e meno buoni, tanta incertezza, +periodi di stasi in attesa delle udienze o degli incontri e momenti, sempre più +frequenti, nei quali il ragazzo era terrorizzato per le pene che si potevano pro­ +spettare e per la possibilità concreta di finire in carcere. +La situazione fu, sempre, kafkiana, di estrema incertezza e, a volte, oscuri­ +tà. Una minaccia costante, che in alcuni periodi dell’anno accelerava e, in altri, +lasciava un po’ più libero il ragazzo di occuparsi delle sue passioni e del suo +attivismo. Sempre, però, con questo pensiero fisso. +Da un punto di vista giuridico, non è corretto parlare di “processo” nel caso +di Aaron, perché un processo vero e proprio e come lo intendiamo comune­ +mente – con udienze pubbliche, telecamere, gli avvocati in toga e un giudice che +emette una sentenza – non ci fu mai. +Ci furono, però, due procedimenti aperti, che originarono serrate trattative +tra accusa e difesa che, purtroppo, non portarono a nulla e l’attesa di un’udienza +finalmente chiarificatrice che non sarebbe, però, mai arrivata. +Subito dopo il suo arresto, Aaron Swartz non rilasciò alcuna dichiarazio­ +ne con riferimento a cosa avesse intenzione di fare con i documenti scaricati. +Diventa, quindi, complicato comprendere realmente le motivazioni alla base di +quell’azione. +Nel fascicolo degli inquirenti finirono, ça va sans dire, stralci di articoli e in­ +terviste che lo riguardavano, dove sollecitava a “liberare” scienza, cultura e do­ +cumenti, e tutti i suoi scritti correlati alla necessità di una gratuità diffusa delle +informazioni. +In più, vi erano, come è noto, precedenti di attività di download di grandi +quantitativi di dati, in violazione dei termini di servizio di banche dati statali, +con particolare riferimento al precedente caso PACER. +Nell’interpretazione dell’accusa federale, di conseguenza, il download era +chiaramente avvenuto “allo scopo di distribuire una parte significativa dell’ar­ +chivio di JSTOR attraverso uno o più siti di file-sharing”. + 152 +Aggiustare il mondo +L’accusa inquadrava Aaron come un “pirata”, che voleva rubare tutto il con­ +tenuto dell’archivio e caricarlo su sistemi di file sharing simili a Napster, per +consentire a tutti gli utenti del mondo di prelevarlo liberamente e gratuitamente. +A sostegno di questa teoria, il governo aveva anche recuperato il Guerrilla +Open Access Manifesto a firma (solo di) Aaron, risalente al 2008, e si concentrò +su un passaggio del documento che invita, senza mezzi termini, a «prendere le +informazioni, ovunque siano conservate, fare le nostre copie e condividerle con +il mondo». +Lo scaricamento di quasi cinque milioni di articoli, ossia l’80% del contenuto +del database di riviste di JSTOR, era, per l’accusa, chiaramente finalizzato a +questo: «si sostiene» – si legge in un atto d’accusa – «che Swartz abbia eluso i +sistemi di sicurezza del MIT e di JSTOR per distribuire una parte significativa +dell’archivio di JSTOR attraverso uno o più siti di file-sharing». +Nel rapporto del MIT si nota, correttamente, come Aaron Swartz, in passato, +avesse anche partecipato a uno studio sugli articoli presenti negli archivi pub­ +blici che riguardava il pagamento, da parte di organizzazioni e centri d’interesse, +a esperti – tra cui professori di legge – per la pubblicazione di articoli in riviste +accademiche. +Aveva, in particolare, elaborato uno script che scaricava gli articoli dalla ban­ +ca dati giuridica Westlaw e un secondo script che, immediatamente dopo, estraeva +dalle note a piè di pagina di ogni articolo possibili informazioni rilevanti sulle +fonti di finanziamento. +Questo “precedente” è molto interessante. Apriva nuove prospettive sulle +reali motivazioni di Aaron alla base di un gesto simile e, se possibile, su un mo­ +vente ben diverso: l’intenzione di generare un innovativo sistema di “riferimenti +incrociati” che attraversassero l’intero database di JSTOR per autore, editore +e fonte di finanziamento, in modo da dimostrare fino a che punto il servizio +di JSTOR e, quindi, le tariffe che applicava alle istituzioni, fosse finanziato da +denaro pubblico. Si trattava di una precisa linea di ricerca che portava avanti da +mesi e che si pensava potesse avere qualche collegamento con un’azione simile. +Oppure, come è ovvio, in questo quadro di mistero, si può, senza problemi, +ipotizzare che, al momento del download, Aaron Swartz non avesse ancora +deciso cosa fare di quegli articoli. +Fatto sta, che la grande macchina giudiziaria statunitense, particolarmente +rigorosa quando erano coinvolti dei comportamenti interpretati come crimini +informatici, si mise in moto. +Passarono pochi mesi e già nell’estate del 2011 vennero avviati due procedi­ +menti penali nei confronti di Aaron Swartz. +Il primo era un importante procedimento federale. Fu avviato dall’ufficio del +procuratore degli Stati Uniti – il celebre, e autorevole, United States Attorney Office +di Boston – e iniziò con un’incriminazione nel luglio 2011, seguita da un’altra +nel settembre 2012. + 153 +17. Le strategie processuali +Il secondo fu un procedimento statale avviato dall’ufficio del procuratore +distrettuale della contea di Middlesex, che iniziò nel novembre 2011 e venne, +però, archiviato nel marzo 2012, su istanza dell’ufficio del procuratore. +Aaron Swartz venne rappresentato, in queste vicende penali, in momenti di­ +stinti, da tre gruppi di avvocati, oltre che da un quarto avvocato. Anche il padre +di Aaron Swartz, Robert Swartz, partecipò attivamente alla sua difesa. +Il primo studio legale incaricato dal giovane fu Good & Cormier, a Boston. +Andrew Good divenne il legale principale di Aaron Swartz. Lo studio rappre­ +sentò Swartz nella causa federale e fu coinvolto dal giorno dell’arresto di Swartz +sino all’autunno del 2011, dopo la prima incriminazione federale, ma prima che +venisse emessa l’incriminazione statale, poi archiviata. +Il secondo studio che decise di assistere Aaron fu quello di Martin G. +Weinberg. L’avvocato Weinberg ereditò la rappresentanza di Good&Cormier +a partire dall’autunno 2011 e continuò fino alla fine di ottobre 2012, dopo la +formulazione dell’accusa federale aggiuntiva. +Il terzo studio fu Keker & Van Nest, di San Francisco. Elliot Peters era il +legale di Aaron Swartz. Questo studio raccolse il testimone da Martin Weinberg +e continuò ad assisterlo fino al termine del procedimento. +Anche William Kettlewell dello studio legale Collora (a Boston) venne coin­ +volto nella difesa, in un periodo che si sovrappose al coinvolgimento di Good & +Cormier e Martin Weinberg. Né Kettlewell, né il suo studio legale, comparvero +però in tribunale nella causa federale o statale. +Con riferimento ai gravi reati contestati dopo l’arresto, Aaron Swartz fu in­ +nanzitutto accusato, presso il tribunale distrettuale di Cambridge, di due crimini +di “effrazione diurna”: un capo d’accusa, ciascuno, per il 4 e il 6 gennaio 2011. +Una sorta di “violazione di domicilio”, con ingresso in locali contro la volontà +di chi aveva il legittimo interesse ad escluderlo. +Il 6 novembre 2011, dopo la presentazione dell’accusa federale iniziale, l’uf­ +ficio del procuratore distrettuale ottenne un’accusa statale ben più seria contro +Aaron Swartz per sei capi d’imputazione: due capi d’imputazione per viola­ +zione di domicilio (presso il MIT), con l’intento di commettere un reato; tre +capi d’imputazione per accesso a un computer senza autorizzazione e un capo +d’imputazione per furto – in particolare, furto di dati elaborati o memorizzati +elettronicamente di JSTOR – per un importo superiore ai 250 dollari. L’accusa +non venne formulata presso il tribunale distrettuale di Cambridge, bensì in un +altro tribunale, ossia la Corte Superiore della Contea di Middlesex. +In un quadro simile, accusa, difesa, parti processuali e opinione pubblica ini­ +ziarono a impostare le loro strategie e a veicolare le loro interpretazioni dei fatti +in un procedimento che si presentava come lungo e complesso e che avrebbe +condizionato, come una Spada di Damocle, la vita di Aaron di lì in avanti. +Nella scacchiera che si era generata, ogni parte processuale elaborava le pro­ +prie strategie. + 154 +Aggiustare il mondo +Con riferimento all’accusa, e all’azione penale federale, l’ufficio del procura­ +tore degli Stati Uniti avviò l’indagine il 5 gennaio 2011. +L’assistente del procuratore degli Stati Uniti, Stephen Heymann, capo dell’u­ +nità per i crimini informatici e di Internet all’interno dell’ufficio del procuratore, +si prese l’incarico dell’indagine e portò avanti l’azione penale. +Il procuratore capo, poco dopo l’arresto di Aaron Swartz, e l’agente speciale, +che si era recato al MIT il 4 gennaio, interrogarono il personale tecnico e della +polizia del MIT e notificarono al MIT due mandati di comparizione davanti al +Gran Giurì. +L’atto d’accusa iniziale venne, così, emesso da un gran giurì federale, riunito +a Boston, il 14 luglio 2011: l’imputazione a carico di Aaron Swartz prevedeva +quattro capi d��accusa: uno per frode telematica e tre per violazione del temibile +Computer Fraud and Abuse Act. Ognuno di questi tre capi d’accusa si basava +su assunti giuridici diversi. +L’avvocato difensore Andrew Good venne informato dall’ufficio del procu­ +ratore degli Stati Uniti d’America dell’incriminazione e organizzò una compa­ +rizione volontaria di Aaron Swartz in tribunale la mattina presto del 19 luglio. +Seguendo le normali procedure dell’U.S. Marshal’s Service, Aaron Swartz +venne arrestato per le accuse federali, trattenuto in cella in attesa di essere inter­ +rogato e gli vennero prese impronte digitali e dati identificativi. +Il giorno dell’arresto, Aaron Swartz pubblicò 11 tweet dal suo account +Twitter che si riferivano al sito web di Demand Progress – che aveva pubblicato +un articolo sui capi d’accusa e sull’arresto – e sollecitò dichiarazioni di sostegno +a suo favore. Demand Progress, dal canto suo, avviò una raccolta di petizioni a +suo sostegno, che furono sottoscritte da più di 35.000 persone. +Il 12 settembre 2012, 14 mesi dopo l’accusa iniziale, un secondo Gran Giurì, +anch’esso riunitosi a Boston, emise un nuovo atto d’accusa. +L’imputazione a carico di Aaron Swartz saliva, così, a ben tredici capi d’accu­ +sa, tra cui due di frode telematica e undici di violazione del CFAA. +In sostanza, il nuovo atto d’accusa riprendeva i quattro capi d’imputazione +iniziali e li suddivideva ulteriormente in più capi, interpretando la presunta con­ +dotta di Aaron Swartz come un “insieme di eventi distinti” e non, invece, come +una singola accusa di responsabilità. +Ultimo, ma non ultimo, venne introdotta anche la fattispecie del danneggia­ +mento di un computer protetto. +La situazione era diventata, in poco più di un anno, realmente preoccupante. +Se si fosse elaborata una somma, pur teorica, dei limiti edittali e degli anni di +reclusione previsti per quella rosa di reati, il risultato avrebbe portato a diverse +decine di anni di carcere. +A tal proposito, un punto delicatissimo, nella vicenda processuale di Aaron, +riguarda il possibile patteggiamento, ossia i tentativi di accordo tra accusa e di­ +fesa per concludere il caso prima di un processo, accordandosi sul livello della + 155 +17. Le strategie processuali +pena e prevedendo un periodo di carcere (molto) limitato rispetto al possibile +esito finale di un processo. +Si tratta di un punto focale, perché la paura di Aaron di finire in carcere – +anche per poche settimane o mesi – e, soprattutto, di vedere la fedina pedale +sporcata con accuse che gli avrebbero impedito, in futuro, una carriera politica, +era altissima e lo condizionava. +Il giovane non aveva timore, soltanto, dell’idea del carcere in sé ma, anche, +della conseguenza che un fatto di quel tipo avrebbe potuto avere sul suo futuro +in politica o nelle istituzioni. +Questo è il motivo principale per cui tutti i colloqui tra accusa e difesa per un +eventuale patteggiamento, durante il procedimento federale, non ebbero alcun +esito, sia nel 2011 sia, soprattutto, nel 2012. +Al centro di questi dialoghi vi erano, probabilmente, i due aspetti essenziali +che l’accusa metteva immediatamente sul piatto: Aaron si doveva dichiarare col­ +pevole di (almeno) alcuni reati e doveva scontare una pena detentiva in carcere. +Ammissione di colpevolezza, quindi, e periodo in carcere. Senza discussione. A +questi due elementi l’accusa non voleva rinunciare. +La prima proposta di accordo in tal senso, proveniente dall’ufficio del procu­ +ratore generale chiedeva, infatti, una dichiarazione esplicita di colpevolezza per +un singolo capo d’accusa con una sentenza, suggerita, di tre mesi di reclusione, +seguita da un rilascio sotto supervisione, le cui condizioni includevano un pe­ +riodo in un centro di riabilitazione, un periodo di confinamento a casa e – cosa +comune nei casi di crimini informatici – restrizioni specifiche sull’uso del com­ +puter durante il periodo di supervisione. +Nelle parole dell’avvocato di Aaron di quel periodo, Andrew Good, questa +prima offerta di patteggiamento fu fatta dal procuratore capo prima della for­ +mulazione dell’accusa iniziale. +Ne seguì un’altra: Aaron Swartz si doveva dichiarare colpevole di un reato e +avrebbe scontato 13 mesi di reclusione, un periodo di libertà vigilata sarebbe +seguito alla detenzione e sarebbero state, infine, imposte restrizioni sull’uso del +computer durante la libertà vigilata. +Tutte queste offerte preliminari furono rifiutate da Aaron e dalla sua difesa, +compresa un’offerta di “soli” sei mesi di reclusione, che non venne nemmeno +presa in considerazione. +Le trattative e le offerte del procuratore, però, continuarono anche nei mesi +successivi. +In particolare, l’ufficio del procuratore offrì periodi di detenzione fino a sei +mesi, che includevano restrizioni aggiuntive simili a quelle già discusse, e propo­ +ste di una “split sentence”, in base alla quale l’indagato avrebbe scontato prima +un periodo di reclusione seguito, poi, da un periodo in comunità o in arresti +domiciliari. + 156 +Aggiustare il mondo +Al centro delle offerte della procura vi erano, però, dei punti/elementi fissi, +che ad Aaron e alla sua difesa non andavano bene in via di principio: la previ­ +sione di un periodo in carcere, ad esempio (fino a 4 mesi), così come la dichia­ +razione di colpevolezza per i capi d’accusa contestati e un periodo di libertà +controllata, o vigilata, con il divieto di usare un computer. +La situazione, quindi, era di stallo. Da un lato, la difesa rifiutava qualsiasi +proposta che prevedesse un periodo, anche minimo, di detenzione. Dall’altro, il +procuratore voleva una dichiarazione di colpevolezza e il carcere, e non garan­ +tiva l’assenza assoluta di reclusione per Aaron. +Secondo gli avvocati di Aaron Swartz, in nessun momento, in tutta la vi­ +cenda, i procuratori federali presero in considerazione un accordo di patteg­ +giamento che garantisse l’assenza di carcere. Avevano sempre insistito per un +patteggiamento che, comunque, coinvolgesse un reato. +Durante queste discussioni – secondo il legale Andrew Good – la difesa +informò il procuratore capo di come Aaron Swartz fosse un profilo a rischio +di suicidio. +Nel sistema statunitense esistono, in molti casi, delle linee-guida che antici­ +pano, pur con previsioni non precise, la pena detentiva che un cittadino rischia, +con riferimento a determinati tipi di reati. Non sono parametri vincolanti per i +giudici, ma i magistrati li utilizzano ampiamente, spesso per comodità, per de­ +terminare la pena definitiva appropriata per un indagato. +Nel caso di Aaron, analizzando le linee guida per la pena, il primo problema +interpretativo era, secondo il Computer Fraud and Abuse Act e i reati infor­ +matici previsti, comprendere il valore dei beni – ossia della “proprietà” – che si +volevano sottrarre (e non di quelli, poi, realmente sottratti). +Il governo poteva, in questo caso, contare sul valore, e importanza, della ban­ +ca dati di JSTOR e sui milioni di articoli sottratti; la pena base, con riferimento +ai calcoli in base alle linee guida, poteva partire da ben sette anni di carcere, oltre +a periodi di libertà vigilata, multe accessorie e spese in caso di condanna al pro­ +cesso. Sette anni di carcere: una prospettiva di pena davvero inquietante, che un +accordo di patteggiamento, come si notava poco sopra, avrebbe notevolmente +ridotto. +Il 5 ottobre 2012, l’avvocato Weinberg, per conto di Aaron Swartz, presentò +cinque mozioni per eliminare alcune delle fonti di prova e una mozione per +l’archiviazione delle accuse. +Tra le argomentazioni addotte in queste mozioni vi era l’accusa che il go­ +verno, e il MIT, avessero violato la normativa che disciplina le comunicazioni +elettroniche memorizzate nei sistemi, il diritto costituzionale di Swartz ai sensi +del Quarto Emendamento contro le perquisizioni e i sequestri irragionevoli e +la sua aspettativa di privacy, ai sensi della politica del MIT relativa alla manuten­ +zione e alla distruzione regolare dei file di log (in particolare, dei registri DHCP, +ossia del sistema che assegna automaticamente un indirizzo IP e la connessione + 157 +17. Le strategie processuali +a chiunque si colleghi alla rete del MIT). Il governo presentò opposizione a +queste contestazioni il 16 novembre 2012. +Un evento importante, e assai significativo, nelle vicende processuali di Aaron +è il disinteresse di JSTOR nel perseguirlo per i download. +Mentre l’accusa, infatti, si accaniva e costruiva un castello processuale sempre +più aggressivo, il soggetto che si poteva ritenere il principale danneggiato dalle +sue azioni – ossia la banca dati che era, in un certo senso economico, “proprie­ +taria” di tutti quegli articoli – si chiamò clamorosamente fuori e dichiarò di non +voler perseguire Aaron e di non voler nulla da lui anche a titolo di eventuale +risarcimento. +Per la difesa questo aspetto fu molto importante, e cercò di utilizzarlo nel +tentativo di convincere l’ufficio del procuratore ad approdare a un accordo sen­ +za condanna penale e senza carcere. La strategia difensiva portò, a tal fine, a +coinvolgere formalmente JSTOR nel processo, come “voce a difesa” di Aaron. +JSTOR, dal canto suo, si era affidata sia a un consulente legale interno, sia +a uno studio professionale esterno; lo studio legale Debevoise & Plimpton di +New York. +Facendo seguito a un mandato di comparizione, i legali di JSTOR si videro +obbligati a fornire al procuratore tutti i dati interni del loro sistema, che avevano +tenuto traccia delle azioni di Aaron (giorni e durata delle connessioni, numero +di articoli scaricati, registri e file di log, flusso di richieste) e che ipotizzavano +quasi 5 milioni di articoli scaricati. +Nei primi giorni, i legali di JSTOR erano preoccupati per il business del loro +cliente: se quegli articoli avessero iniziato a circolare, ci sarebbero stati proble­ +mi sia di profitto immediato, sia di fiducia da parte degli editori che cedono gli +articoli a JSTOR. +Al contempo, però, la società, dopo un fitto dialogo con la difesa di Aaron +e con Aaron stesso, decise di non perseguire civilmente il ragazzo. Nel giugno +del 2011 si raggiunse un accordo formale: Aaron dichiarò solennemente di non +aver fatto alcuna copia dei dati che aveva scaricato da JSTOR e che la sua di­ +fesa aveva consegnato all’accusa l’unico disco fisso sul quale quei dati erano +memorizzati. +JSTOR era, così, più che soddisfatto: i dati erano al sicuro presso gli uffici +dell’accusa, non erano circolati, non vi erano altre copie in giro e la società +aveva persino ricevuto da Aaron 26.500 dollari, come ristoro per le spese legali +che aveva dovuto sostenere. Nella somma erano compresi 1.500 dollari, che il +ragazzo versava a JSTOR come mea culpa e (simbolico) risarcimento di danni. +Una volta stipulato l’accordo, JSTOR iniziò a fare una pressione molto garba­ +ta, ma esplicita, sull’ufficio del procuratore tramite alcuni sui consulenti. Certo, +dicevano, ogni decisione finale spetta al governo. Però loro non avrebbero, in +alcun modo, mai domandato sanzioni penali e, anzi, a loro avviso, era meglio +che non fossero mosse accuse nei confronti del giovane. + 158 +Aggiustare il mondo +Ciò, purtroppo, servì a poco o nulla. +Quando, il 19 luglio 2011, l’accusa federale venne resa pubblica, JSTOR pub­ +blicò un comunicato stampa del seguente tenore: +Siamo stati citati in giudizio dall’ufficio del procuratore degli Stati Uniti in questo +caso, e stiamo collaborando pienamente. L’indagine penale, e l’odierna incrimina­ +zione di Swartz, sono state coordinate dall’ufficio del procuratore degli Stati Uniti. +È stata una decisione del governo, non di JSTOR. Come già detto, il nostro fine era +quello di mettere al sicuro i nostri contenuti. Una volta raggiunto questo obiettivo, +non avevamo alcun interesse a che la questione legale fosse portata avanti. Per quan­ +to riguarda il coinvolgimento di JSTOR nel procedimento penale – si legge ancora +nel comunicato – ci preme far notare, anche, quanto segue. Quando, l’11 gennaio, +i Secret Services hanno domandato a JSTOR il valore del suo database, JSTOR si +è rifiutato di rispondere. In seguito, quando l’ufficio del procuratore ha contattato +JSTOR per ottenere informazioni, JSTOR ha insistito per ricevere un mandato di +comparizione. Sono stati notificati diversi mandati di comparizione e JSTOR ha +cercato di limitare al minimo le informazioni fornite in risposta ai mandati di com­ +parizione. Il governo non ha mai domandato alla dirigenza di JSTOR se vi fossero +stati accessi non autorizzati, frodi, inganni o danni. Le sue indagini su JSTOR prima +dell’incriminazione sono state “superficiali”. Nessun dipendente di JSTOR è stato +interrogato prima dell’incriminazione (sebbene l’accusa abbia avuto accesso ai do­ +cumenti di JSTOR tramite citazioni in giudizio). +Contemporaneamente, il team dell’accusa sta impostando il caso e integra il +fascicolo anche raccogliendo tutte le fonti di prova provenienti dal MIT. +Vengono acquisiti dati del sistema di videosorveglianza, indirizzi IP asse­ +gnati ai diversi edifici, file di log connessi agli eventi, tutti i messaggi di posta +elettronica, appunti, rapporti, documenti, corrispondenza e altri materiali che +riguardano, o si riferiscono, agli eventi, fotografie, video e le altre immagini +riprese dalle telecamere di sorveglianza nel ripostiglio del famoso Edificio 16 e +utilizzate durante gli eventi, schermate del processo di accesso degli ospiti alla +rete del MIT e relative condizioni d’uso. +L’accusa cerca anche di ottenere, dall’università, una sorta di “quantificazio­ +ne dei danni” che Aaron avrebbe portato al loro sistema. Ma il MIT, su questo +punto, è fermo: precisa all’accusa, e alle sue domande, che non sono quantifi­ +cabili spese direttamente correlate alla risposta ad eventi causati da Aaron e che +non vi erano state spese vive. L’accusa, a questo punto, insiste per avere almeno +una stima del tempo impiegato da tutto il personale per contrastare le azioni di +Swartz. In altre parole: si cerca di quantificare il costo orario di dipendenti del +MIT, comunque pagati mensilmente, che però, a causa delle attività di Aaron, +fossero stati costretti a dedicare il loro tempo lavorativo a fare altro. +Nonostante la posizione chiara di JSTOR e del MIT – nessuno dei due do­ +mandò esplicitamente un procedimento penale – l’accusa decise comunque di +andare avanti. + 159 +17. Le strategie processuali +Il MIT venne espressamente citato come una delle due vittime della condotta +di Aaron Swartz (l’altra vittima è JSTOR). +Tra le accuse ad Aaron, vi è quella di aver violato la Sezione 18 del CFAA +«accedendo alla rete del MIT senza autorizzazione» o «superando i limiti dell’ac­ +cesso autorizzato». I danni al MIT e a JSTOR avrebbero superato i 5.000 dollari. +Da quel momento in poi, nonostante il contatto tra le parti processuali ri­ +manga costante – così come il dialogo tra Aaron e i suoi legali – non resta +altro da fare che attendere l’udienza del processo, dove si sarebbe deciso tutto. +Colpevole o innocente. +L’autunno e l’inverno del 2012 passano così. La tensione in Aaron è in qual­ +che modo soffocata e tenuta nascosta dal suo carattere e appare, all’esterno, +poco visibile. Il ragazzo non vuole preoccupare le persone che ha attorno, né +vuole domandare aiuto. Mostra sicurezza, ma questa vicenda lo ha stremato +psicologicamente ed economicamente e l’inizio dell’anno nuovo si prospetta, +per lui, denso di preoccupazioni. +La primavera del 2013 sarebbe stata, con ogni probabilità, quella della fissa­ +zione dell’udienza e dell’inizio del suo processo. + 18. Il suicidio e le polemiche +Aaron si tolse improvvisamente la vita nel suo appartamento di Brooklyn l’11 +gennaio 2013. +Non lasciò lettere, né biglietti, né messaggi. È, quindi, operazione assai azzar­ +data cercare di entrare nella sua mente, e nel suo umore di quella mattina, per +individuare delle motivazioni. +Le ipotesi che si possono fare sono molte. Fu, forse, il timore di sacrificare +una buona parte della sua vita in prigione a causa di un comportamento veniale, +percepito, comunque, da gran parte della comunità di attivisti che frequentava +come giusto e, soprattutto, non nocivo? O aleggiava l’incubo dell’impossibilità, +a causa di una condanna e dell’ammissione di un grave reato, di ottenere un in­ +carico pubblico in politica? O, ancora, era stata la lunga situazione processuale +ad averlo logorato e ad aver acuito preesistenti sintomi di disagio? +Nessuno lo può sapere. Di certo, dopo un simile, tragico fatto, che ebbe +un impatto forte in tutto il mondo, prese il via un’analisi certosina, sociale e +politica, del suo gesto, portata avanti soprattutto da familiari ed esponenti della +stampa, per cercare di comprendere il perché. +La polemica si spostò, innanzitutto, sulla violenza di quell’azione giudiziaria. +Quanto poteva essere percepita come brutale, da un giovane come lui e, +soprattutto, da un carattere come il suo, l’esperienza di essere indagati per reati +così gravi? +I procuratori, dal canto loro, avevano fatto la scelta di usare tutte le armi in +loro possesso – anche le più potenti, quelle pensate per terroristi, narcotraffi­ +canti e pedofili – per perseguire un fatto che, in fin dei conti, si era rivelato di +poca importanza. L’amministrazione della giustizia e la politica avevano allora +voluto fare di Aaron, suo malgrado, un esempio? Come in Antigone, si trovava a +dover pagare sulla sua pelle la colpa dei padri e l’ostilità nei confronti del mondo +hacker, che il governo statunitense portava avanti da decenni? +Molte voci, di conseguenza, iniziarono ad accusare il governo nordamericano +di aver chiaramente contribuito alla morte del ragazzo. +L’accusa non aveva preso in considerazione, con la dovuta attenzione, i pro­ +blemi di salute e personali, che trasparivano anche da alcuni scritti sul suo blog. +E ciò, nonostante più volte gli avvocati e i familiari avessero segnalato al procu­ +ratore come il giovane fosse a rischio-suicidio in caso di condanna a un periodo +di carcere. +Un trauma molto profondo, di cui soffrì Aaron durante le fasi investigative, +fu legato al rapporto processuale tra il procuratore Heymann e Quinn Norton, +giornalista e attivista, con cui Aaron aveva avuto un’importante relazione – anzi, +la sua prima relazione – e a cui era rimasto molto legato, sia a lei, sia alla figlia. + 162 +Aggiustare il mondo +Avevano anche vissuto insieme, in passato, e Aaron rimase molto colpito +quando Quinn diede mandato a un avvocato per gestire la sua posizione proces­ +suale e difenderla, nel momento in cui la procura si fece viva nei suoi confronti +in maniera molto aggressiva. +La procura offrì a Quinn l’immunità in cambio di una collaborazione con +l’accusa per ottenere informazioni su Aaron, le sue attività e le sue possibili +motivazioni criminali. +La donna si spaventò molto per questo coinvolgimento nel procedimento – +conservava sul suo computer, di cui fu minacciato il sequestro, anni di informa­ +zioni e di contatti con fonti riservate – e decise, così, di cooperare con l’accusa, +dicendo tutto quello che sapeva. +In realtà, non sapeva nulla di importante e segnalò, semplicemente, alcuni +passaggi “minacciosi” del solito Guerrilla Open Access Manifesto. Aaron, però, in­ +terpretò questo fatto come un vero e proprio tradimento, e si sentì ancora più +solo. +Quinn si giustificherà, poco dopo, affermando di aver semplicemente segui­ +to le indicazioni dei suoi avvocati, dal momento che non aveva ben compre­ +so la situazione e non si rendeva conto dell’impatto di ciò che stava facendo. +Soprattutto, con l’immunità le era anche stato imposto di non parlare con nes­ +suno di ciò che aveva rivelato, e fu costretta a mantenere il segreto anche con +Aaron. +Il 4 marzo 2013 Quinn pubblicò un sofferto articolo su The Atlantic, dove +descrisse in dettaglio la convocazione presso la procura e la sofferenza di questo +passaggio processuale e di quei frangenti. +L’esordio del suo lungo sfogo parte, proprio, dall’idea di solitudine e di paura +che genera, nel cittadino comune, un’indagine federale. +Una volta che la vostra vita si ritrova all’interno di un’indagine federale – scrive +Quinn – non c’è più spazio al di fuori di essa. L’unica cosa privata sono i vostri +pensieri, e anche quelli non sono più al sicuro. Ogni parola che pronunciate, o +scrivete, può essere usata, manipolata o giocata come una carta contro il vostro +futuro e quello delle persone che amate. Non ci sono parti neutrali, né fonti di +saggezza e fiducia ineccepibili. Gli avvocati vi dicono: non prendete appunti. Gli +avvocati vi dicono: non parlate con nessuno. È la più grande delle solitudini essere +circondati dai propri cari, in pericolo, e costretti al silenzio. Che voi non dobbiate +mai vivere un’indagine federale. Io l’ho vissuta, e mi ha consumato e ha cambiato +ogni giorno successivo per il resto della mia vita. +L’incubo di Quinn iniziò con una telefonata di Aaron da una stanzetta di una +prigione, e quell’incubo durò mesi, fino al tragico esito finale che colpì quello +che la donna considerava il suo migliore amico: avevano avuto una relazione, +in passato, che era durata ben quattro anni e avevano convissuto per un anno. +Una relazione complicata: lei giornalista investigativa e attivista, legata al mondo + 163 +18. Il suicidio e le polemiche +degli hacker e della tecnologia, lui estremamente riservato. Non le aveva nem­ +meno confidato quanto avesse guadagnato dalla vendita di Reddit. +L’Epifania del 2011, il giorno dell’arresto di Aaron, cambiò anche la vita di +Quinn: al telefono il ragazzo era freddo e preoccupato, le chiese di contattare il +suo avvocato a Boston e di trovare qualcuno che potesse pagare la cauzione di +1.000 dollari per uscire di galera. +Nonostante Aaron non parlasse del caso – si riferiva genericamente a un ac­ +cesso alla rete del MIT – Quinn, vista la sua esperienza, era molto preoccupata. +Sapeva che quando il governo federale si interessa dei temi dell’hacking e dei +computer crimes, non c’è da stare tranquilli. +Sono una giornalista che si occupa di hacker – scrive Quinn – Sono il mio campo +e i miei amici: ho visto persone aggredite e perseguitate. Una ricerca o una pre­ +sentazione a una conferenza si trasformavano improvvisamente in un’indagine, +in telefonate e incontri con avvocati. Ci aspettavamo incursioni, sorveglianza e +minacce da parte di uomini potenti, che nel mio mondo non sapevano distinguere +i buoni dai cattivi. +E il mese dopo, come Quinn aveva previsto, i Secret Services si presentarono al +domicilio di Aaron e al suo ufficio presso l’Harvard Ethics Center, per sequestrare +hard disk, computer e telefoni. +Dopo aver “visitato” Aaron, i Secret Services si recarono, all’inizio di marzo, +anche presso la residenza di Quinn. Iniziarono a farle domande su Aaron e mo­ +strarono un mandato di comparizione davanti al Gran Giurì per lei. Volevano, +a fini investigativi, tutte le comunicazioni intercorse tra loro, soprattutto quelle +che riguardavano i casi JSTOR e MIT. +Quinn ricorda come, in quei frangenti, accanto alle preoccupazioni, per così +dire, criminali, vi fossero anche quelle economiche. +«Un altro fattore che gli amici e la stampa prospettarono come potenzialmen­ +te influente» – ricorda Quinn – «fu un grave problema economico: vi erano, in +previsione, milioni dollari di spese processuali alla partenza del processo, e i +risparmi di Aaron erano ormai terminati». +Quinn si rivolge a un avvocato per valutare meglio la sua posizione e inizia a +soffrire per il caso, e per il suo amico, con stress e dolori che la costringono ad +assumere pesanti medicinali. +L’incontro con gli avvocati Adam e Jose, dello studio Fish and Richardson, +porta Quinn a riflettere su una possibile strategia processuale. Ma non era cer­ +tamente un ambito nel quale si sentisse a proprio agio: lei era legata ai mondi +hacker, cresciuta povera con un padre veterano del Vietnam, arrestato perché +coinvolto nel traffico di droga. Era decisamente fuori posto. +Gli avvocati le dissero, come prima cosa, di non parlare con Aaron e di +non frequentarlo. Indicazioni che lei, molto spesso, disattese. Soprattutto, non +avrebbero dovuto discutere del caso. + 164 +Aggiustare il mondo +Quinn e Aaron erano anche preoccupati per le sorti di Ada, la figlia di sette +anni di Quinn. Non volevano che quello che stava succedendo la toccasse in +qualche modo. +Un’ulteriore preoccupazione, per Quinn, riguardava i contenuti del suo com­ +puter portatile: conteneva interviste, corrispondenza e comunicazioni con fonti +riservate per vicende risalenti fino a cinque anni prima, e vi era un riferimento +esplicito, nel mandato di comparizione, per l’acquisizione di contenuti proprio +da quello specifico computer. +Quinn non voleva in alcun modo consegnare la sua password al procuratore, +lo aveva ribadito chiaro ai suoi avvocati. Piuttosto, sarebbe andata in prigione. +Per di più, aveva l’abitudine di registrare qualsiasi conversazione, una prassi che +fece infuriare Aaron. +In primavera, in un momento di confidenza, Aaron rivela a Quinn che +Heymann, il pubblico ministero, gli aveva offerto un accordo: tre mesi di pri­ +gione, tre mesi in una sorta di centro di recupero e tre mesi di libertà vigilata, e +la contestazione di un solo reato. +Mi disse che avrebbe accettato se avessi voluto – ricorda Quinn – Ne parlammo, +di cosa avrebbe significato per lui avere sulla fedina penale un reato grave, per +la sua vita e i suoi sogni in politica. Pensai a mio padre, mandato a State Penn +quando avevo 17 anni, e a come la cosa lo avesse distrutto. Non aveva resistito +a lungo dopo la prigione. Essere un criminale, in questo Paese, significa essere +un paria, non essere ascoltato. Aaron desiderava più di ogni altra cosa parlare +con il potere, fare riforme proprio nel sistema che lo stava attaccando ora. Nella +maggior parte degli Stati, un criminale non può nemmeno votare. Il pensiero che +non potesse votare era inammissibile. Ma la verità è che volevo che accettasse il +patteggiamento e che la cosa finisse. Volevo non avere più paura, non avere più a +che fare con queste persone. Nove mesi non sembravano così lunghi e sono stata +molto vicina a chiedergli di farlo. Ma lo guardai e pensai al PCCC (il primo dei +suoi gruppi di azione politica), a Demand Progress, a Washington DC e a tutto il +lavoro che aveva fatto. «Se vuoi combattere, devi farlo», gli ho detto. Gli ho detto +che lo avrei sostenuto. +Questo momento di riflessione con Aaron, se accettare o no l’offerta, provò +ancora di più Quinn, soprattutto perché scelse di non spingere troppo sul pun­ +to, di non provare a convincerlo, e pensò di non aver valutato correttamente i +rischi di entrare in un ambiente e in un meccanismo, quello della giustizia, che +comunque non conoscevano. +Aaron riferì a Quinn, poco dopo, che il procuratore era andato su tutte le +furie quando aveva saputo del rifiuto dell’offerta di patteggiamento. +Gli avvocati di Quinn le consigliarono, al contrario, di collaborare. Di mante­ +nere un approccio amichevole. Del resto, le informazioni in suo possesso sulle +attività e le motivazioni di Aaron erano praticamente nulle: Aaron non aveva + 165 +18. Il suicidio e le polemiche +mai discusso con lei di ciò che aveva fatto. Fissarono, allora, un incontro con +il procuratore Heymann, il quale le offrì una totale immunità per quel giorno: +qualsiasi cosa lei avesse detto, non poteva essere incriminata e il governo non +avrebbe potuto usare nessuna di quelle informazioni contro di lei in un proce­ +dimento penale. +Si trattava di un’offerta che, di solito, veniva fatta, in casi penali importan­ +ti, agli informatori per negoziare, con loro, pene minori in cambio di vera e +propria attività di spionaggio. Questa cosa alterò Quinn: lei voleva unicamente +chiarire all’accusa l’inutilità e la sproporzione di una simile azione nei confronti +di Aaron, non entrare in un meccanismo pericoloso come quello che le stavano +prospettando. Alla fine, gli avvocati le consigliarono di aderire, e lei si arrese. +Con sommo dispiacere, e disappunto, di Aaron, che la pregò di non incontrare +Heymann. Soprattutto, Aaron cominciò a dubitare della sua lealtà. +Il 13 aprile ci fu l’incontro in tribunale tra Quinn, avvocati, Secret Services +e procuratori. L’interrogatorio si mantenne su fatti noti, ma Quinn comprese +subito che ciò che interessava agli inquirenti in quel contesto erano i suoi col­ +legamenti con il mondo hacker e il suo rapporto molto stretto con Aaron. Le +domandarono se conoscesse il motivo per cui Aaron avesse fatto una cosa del +genere, o cosa pensasse delle riviste accademiche, e proprio in quel momento +Quinn citò, durante l’interrogatorio, un post sul blog di Aaron che aveva preso +il nome di Guerrilla Open Access Manifesto e le sue posizioni sull’open access. +Quindi – ricorda Quinn – è qui che sono stata profondamente sciocca. Ho parlato +loro del Guerrilla Open Access Manifesto. E così facendo, mi avrebbe spiegato +Aaron in seguito (e i giornalisti avrebbero confermato), ho peggiorato le cose. È +con questo che devo convivere. Ho aperto un nuovo fronte per la loro crudeltà. +A quattro mesi dall’inizio delle indagini, avevano finalmente trovato il motivo per +farlo. Il manifesto, sostenevano i pubblici ministeri, dimostrava l’intenzione di +Aaron di distribuire ampiamente i documenti JSTOR. E io gliene avevo parlato. +Non riuscivo a capire come queste persone potessero esaminare la sua vita, mi­ +nacciare i suoi amici, esaminare la nostra storia digitale insieme, fare irruzione in +casa sua, sorvegliarlo e non leggere mai il suo blog. Ma questo sembrava essere il +dato di fatto. +Aaron si preoccupò molto, nei giorni successivi, per questa attenzione spe­ +cifica dell’accusa per il suo manifesto. Un documento che, a distanza di anni, +probabilmente non rispecchiava più compiutamente il suo modo di pensare. +Nei mesi successivi, la tensione tra Quinn e Aaron aumentò. Quinn cambiò +avvocato, Aaron si allontanò sempre di più, iniziò a diventare paranoico e ad +avere timore che tutte le loro conversazioni fossero intercettate. +Quando Heymann, verso l’estate, fece intervenire un altro procuratore, Scott +Garland, per dare un impulso al caso, la strategia dell’accusa divenne ancora +più aggressiva e Quinn fu convocata davanti al Gran Giurì. La donna invocò + 166 +Aggiustare il mondo +il quinto emendamento, rifiutandosi di testimoniare, ma Heymann si presentò +con una dichiarazione di immunità preparata, che la obbligava a testimoniare o +ad affrontare la prigione con l’accusa di oltraggio alla corte. +La donna, allora, disse ai giurati di non essere affatto sorpresa da questi +eventi, perché la comunità tecnologica era afflitta da una tendenza a un’azione +giudiziaria portata all’eccesso, che cercava di criminalizzare il normale uso del +computer e la ricerca. Poi Quinn fu costretta a leggere ai giurati il Guerrilla +Manifesto, soprattutto nei passaggi più controversi. +Mi hanno messo davanti il manifesto, causa di tanto dolore, da leggere alla giuria +– ricorda Quinn – Lessi ciò che mi avevano indicato e mi chiesero se Aaron fosse +l’autore. Ho spiegato che non lo sapevo, era stato scritto da quattro persone, non +da una sola. Dissi loro che non c’era modo di sapere se avesse scritto lui la parte +che cercavano di usare per dimostrare il suo intento. Alla domanda se riflettesse +il suo pensiero attuale, ho guardato il pubblico di mezza età e ho detto, onesta­ +mente, che aveva moderato molte delle sue opinioni negli ultimi anni, non potevo +saperlo. Ho fatto riferimento alla deriva della mente di un giovane e ho detto che +non dovremmo essere vincolati a tutto ciò che diciamo a vent’anni. Ho notato che +una delle donne in fondo annuiva. I procuratori erano furiosi. +Subito dopo, Quinn rivelò davanti al Gran Giurì una notizia che aveva ap­ +pena appreso e che pensava potesse essere molto utile nell’economia del caso: +Aaron e JSTOR si erano finalmente accordati. Lo ritenevano assolutamente +innocuo, e non erano interessati a che il procedimento andasse avanti. +JSTOR – disse Quinn davanti al Gran Giurì – avrebbe avuto paura di essere vista +come parte in causa nella persecuzione di un ricercatore di dati e borsista del +Centro Etico di Harvard nel corso della sua ricerca. Avrebbero avuto paura di una +rivolta da parte del mondo accademico, di una crocifissione da parte dei media. +Era stata una piccola vittoria, questo secondo incontro, ma i rapporti tra +Quinn e Aaron si erano ormai incrinati e proseguirono ognuno per la propria +vita. +Nell’articolo-saggio di Quinn vi è la convinzione di essere stata, in qualche +modo, manipolata. +Credo – sostiene la donna – che il mio contributo al caso sia stato quello di +fornire all’accusa il manifesto durante l’ultima parte della sua indagine iniziale +e di ridurne, ma non eliminarne, il valore come prova. Comunque questa storia +si rifletta su di me, è importante che la gente sappia che i pubblici ministeri mi +hanno manipolata e hanno usato il mio amore contro Aaron senza che io capissi +cosa stavano facendo. Questa è la loro normalità. Lo farebbero con chiunque. +Dovremmo capire che qualsiasi presunto crimine può diventare una rovina per +la vita. L’innocenza e la bontà sono considerate solo come rischi per il loro caso. +Questo è il sistema che noi, come cittadini, abbiamo accettato. + 167 +18. Il suicidio e le polemiche +Quinn, subito dopo questa esperienza traumatica in procura, scrisse una let­ +tera al procuratore Heymann, che rese pubblica e nella quale manifestò tutto il +suo disagio per un tipo di indagine come quella e per la persecuzione in corso +non solo di Aaron, ma anche dei suoi affetti e dei suoi familiari. +Caro Steve, +non riesco a smettere di pensare agli ultimi momenti di ieri, quando ti ho chiesto +perché e tu hai detto che non potevi ancora darmi una risposta. +Sei investito del potere di cambiare tutto di una persona, di distruggere vite, di in­ +fliggere danni che si ripercuotono negli anni, nelle persone, nelle comunità. Ogni +volta che questo potere viene usato, lascia un segno piccolo, ma indelebile, nella +storia. Anch’io ho questo potere, in misura minore. Ho anche il potere di lasciare +così delle increspature nella storia. Questo è quanto di più vicino al sacro possa +esistere in un mondo secolare. Usarlo dovrebbe renderci umili entrambi, cosa che +cerco di tenere a mente ogni volta che scrivo una storia. +Negli ultimi anni ho assistito a tante storie che mi hanno sconvolto. La perdita di +New Orleans, la fuoriuscita di petrolio, il mio stesso governo che ammette aperta­ +mente la tortura, la cancellazione di quasi metà dell’economia mondiale, la perdita +di innumerevoli vite in silenzio. Tutte queste cose hanno avuto delle ripercussioni, +storie di vite distrutte che non saranno mai raccontate. Ho quello che una volta si +chiamava un temperamento malinconico. A volte penso solo a queste cose, e crol­ +lo, e piango. Per tutto il tempo sono stata circondata da avvocati. Li ho tormentati +sul perché ci sono stati così pochi o nessun caso relativo ai crimini veramente gra­ +vi che hanno distrutto la società. Ricevo sempre la stessa risposta: che queste cose +sono semplicemente troppo difficili da dimostrare, troppo contaminate politica­ +mente, che le forze dell’ordine non amano accettare casi che potrebbero perdere. +Non so dirvi quanto sia deludente questa risposta. È troppo difficile? Potreste +perdere? Allora fai cose difficili e rischia di fallire. Per cos’altro siamo su questa +terra? +Negli ultimi anni ho vissuto il crollo del mio settore. Dopo che tanti barili di +inchiostro sono stati sprecati per la ricerca dell’ombelico dei media (e mio Dio, +quanto siamo capaci di guardarci dentro), ho parlato con molti miei colleghi e ho +letto molti studi e analisi sul consumo di media e notizie da parte del pubblico. +Nonostante il nostro digrignare i denti, è emerso che o stiamo facendo il nostro +lavoro, o lo sta facendo qualcun altro. Il pubblico è più informato che in qualsiasi +altro momento della storia. Eppure, gli scandali non hanno il peso per portare a +una riforma che avevano un tempo, se non a livello locale, e forse anche a livello +rurale, dove i pubblici ministeri seguono ancora le indagini. Da tempo temo che +parte dell’apatia pubblica sia dovuta a questo: la vostra professione ha smesso di +prendere il testimone dalla mia. +Poi c’è la questione che ci interessa: tu hai accusato Aaron di aver scaricato un +milione di articoli di riviste. Hai detto di poterlo dimostrare. Mi hai chiesto di con­ +testualizzare questo fatto e io ti ho dato l’unico contesto che posso immaginare: +dare ai poveri del mondo strumenti per migliorare la loro condizione. Credo che +sia l’unico contesto che tu hai. Mi chiedo ancora come, in un mare di problemi, +questo possa davvero valere il tuo tempo e la tua energia, come possa valere il + 168 +Aggiustare il mondo +fantastico e sacro potere distruttivo che ti è stato dato. Se riuscite a dirmi in che +modo spendere il vostro prezioso tempo per questo, tempo che non potrete mai +riavere indietro, tempo che non potrà mai essere dedicato a tante oppressioni non +affrontate dello spirito umano, possa rendere il mondo un posto migliore, mi darò +pace. Anche se non sono d’accordo con voi, posso calmarmi. Ma credo che saprò +se state mentendo. Se la vera risposta è che le altre cose sono troppo difficili, che +potreste fallire, allora siete già parte di un grande fallimento. Un fallimento così +grande e così vicino a noi che riusciamo a malapena a vederlo, scambiandolo per +il cielo stesso. +In effetti, la posizione intransigente di Heymann fu contestata da più parti. +Nel marzo del 2013, alcuni articoli di stampa iniziarono ad accusare, senza +mezzi termini, l’ufficio del procuratore di avere deliberatamente alterato delle +prove nel caso. +Elliot Peters, che era stato avvocato di Aaron nel caso JSTOR, accusò il +procuratore Heymann di aver mantenuto una condotta professionale non cor­ +retta. Avrebbe, a suo dire, volontariamente nascosto una e-mail, che avrebbe +aiutato a escludere dal processo alcune fonti di prova a carico di Aaron acquisite +illegalmente. +Durante il sequestro di computer, hard disk e USB drive di Aaron da parte +del Cambridge Police Department, il 6 gennaio 2011, i Secret Services avreb­ +bero fatto “scadere” un ordine di sequestro per, poi, ottenerne un secondo ed +eseguirlo. +Il procuratore disse che il ritardo era colpa dell’operato errato della polizia di +Cambridge, ma Heymann aveva ricevuto una e-mail che provava come il laptop +fosse già in suo possesso – e non in quello della polizia di Cambridge – e avreb­ +be tardato nel rivelare quella e-mail alla controparte, violando palesemente le +regole processuali di disclosure. +Nel gennaio del 2013, pochi mesi prima, anche la rete aveva iniziato a reagire +al suicidio di Aaron e si era, in qualche modo, ribellata. In particolare, appar­ +vero su Twitter centinaia di link a materiale protetto da copyright – soprattutto +articoli scientifici e libri – per commemorare in maniera originale Aaron. La +protesta partì dal sito web Reddit con una “chiamata alle armi” di un ricercato­ +re, Micah Allen, che disse che un buon tributo poteva essere un upload di massa +di articoli protetti dal copyright, caricandoli su Google Docs e postando, poi, il +link. L’hashtag scelto fu #pdftribute. +Nel marzo del 2013, l’Attorney General Eric Holder, al contrario, difese espli­ +citamente l’operato del Dipartimento di Giustizia nel caso Swartz. +Lo definì, in particolare, un “uso corretto della discrezionalità del procu­ +ratore” nel corso di un’audizione al Senato: il magistrato era stato convocato +proprio per valutare se vi fosse stato un uso troppo zelante delle regole del +sistema giudiziario nei confronti di Swartz e se, alla base, non ci fosse stato un +vero e proprio desiderio di “vendetta” nei suoi confronti per i suoi precedenti + 169 +18. Il suicidio e le polemiche +e, soprattutto, per generare e diffondere un esempio dissuasivo, partendo dal +suo caso. +Il procuratore, ad esempio, affermò che troppa attenzione era stata portata +in maniera errata, da stampa e amici di Aaron, sugli anni che avrebbe potuto +trascorrere in carcere. In realtà, disse, la procura aveva intenzione di domandare +pochi mesi, e quello che avevano pubblicato i media, con riferimento ai possibili +anni di galera, non corrispondeva alla sostanza del dialogo che era stato man­ +tenuto vivo tra le parti in quel caso, con offerte a suo dire ragionevoli da parte +dell’accusa («avremmo potuto concludere con un accordo di tre mesi – massi­ +mo cinque – di carcere. E lo avevamo detto espressamente anche a Swartz. Ma +aveva sempre rifiutato»). +L’audizione di Eric Holder era nata da una lettera del senatore John Cornyn, +che già aveva, un anno prima, domandato le dimissioni dell’avvocato più in alto +di grado dell’amministrazione Obama, per vicende legate a modalità investigati­ +ve contro il narcotraffico e l’uso di droni-killer. +La lettera, sul punto della politica adottata dall’accusa nel caso Swartz, è mol­ +to chiara nelle domande che pone (e che non avranno mai una risposta soddi­ +sfacente, ma piuttosto comunicati-stampa ufficiali di circostanza): +In primo luogo, su quale base il procuratore degli Stati Uniti per il Distretto del +Massachusetts ha concluso che la condotta del suo ufficio era “appropriata”? +Quell’ufficio, o qualsiasi altro ufficio del Dipartimento, ha condotto una verifi­ +ca? In caso affermativo, la preghiamo di identificare tale verifica e di fornirne il +contenuto. +In secondo luogo, l’azione penale contro il signor Swartz è stata in qualche modo +una ritorsione per l’esercizio dei suoi diritti di cittadino ai sensi della legge sulla +libertà di informazione? In caso affermativo, raccomando di sottoporre immedia­ +tamente la questione all’Ispettore generale. +In terzo luogo, che ruolo hanno avuto, se ne hanno avuto, le precedenti indagini +del Dipartimento sul signor Swartz nella decisione di quali crimini accusarlo? Vi +preghiamo di spiegare le basi della vostra risposta. +Quarto, perché l’ufficio del procuratore degli Stati Uniti ha presentato l’atto d’ac­ +cusa sostitutivo? +Quinto, quando l’ufficio del procuratore degli Stati Uniti ha redatto l’atto d’accusa +e l’atto d’accusa sostitutivo, che considerazione è stata data al fatto che i capi d’ac­ +cusa e le pene associate fossero proporzionali alla presunta condotta di Swartz e +al suo impatto sulle vittime? +In sesto luogo, era intenzione del procuratore degli Stati Uniti e/o dei suoi subor­ +dinati ‘fare un esempio’ di Swartz? Si prega di spiegare. +Infine, il procuratore ha dato la colpa alle “pene severe autorizzate dal Congres­ +so” per l’apparente durezza delle accuse a Swartz. Il Dipartimento di Giustizia +concede ai procuratori degli Stati Uniti la discrezionalità di accusare gli imputati +(o di non accusarli) di crimini coerenti con la loro visione della gravità dell’illecito +in un caso specifico? + 170 +Aggiustare il mondo +Vi ringrazio per le vostre risposte rapide ed esaurienti a queste domande. +Cordiali saluti, +John Cornyn, Senatore degli Stati Uniti +Si noti che Holder è stato il componente di più alto grado dell’amministrazio­ +ne Obama a difendere i procedimenti contro Swartz. +Non vi sembra strano – insistette il senatore Cornyn nelle sue domande a Holder +– che il governo incrimini qualcuno per reati che comporterebbero pene fino a +35 anni di carcere e multe milionarie e, poi, gli offra una pena detentiva di tre o +quattro mesi? +Penso che sia un buon uso dei poteri di discrezionalità dell’accusa – replicò Hol­ +der – considerare la condotta, indipendentemente da quali fossero i massimi edit­ +tali previsti dalla legge, e formulare una sentenza coerente con la natura della +condotta. E penso che quello che i procuratori hanno fatto offrendo tre, quattro +o sei mesi sia coerente con quella condotta. +In un colloquio con un giornalista di The Guardian, negli stessi giorni, la com­ +pagna di Swartz, Taren Stinebrickner-Kauffmann, accusò direttamente Holder +e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di aver ritardato le indagini e di +avere gestito male il caso. +«Questo non è il Dipartimento di Giustizia» – dichiarò – «ma è il +Dipartimento della Vendetta». +E anche la centralità del Guerrilla Open Access Manifesto nella strategia investi­ +gativa dell’accusa, per cercare di individuare la motivazione di Aaron nel furto +di contenuti, era, disse la ex compagna, completamente sbagliata: erano frasi +eccessive che aveva scritto cinque anni prima ma, nel frattempo, le sue idee si +erano molto smussate e non erano più così estremiste. +La procuratrice Carmen Ortiz, allora superiore in grado a Heymann, in­ +tervenne dicendo che erano ben consapevoli che non vi fosse la prova che il +download fosse a fini di profitto personale e che, pertanto, il suo ufficio aveva +l’intenzione di domandare una sentenza equilibrata, di sei mesi in “low security +settings” e che non avevano mai, in alcun modo, fatto intendere o comunicato +ad Aaron e alla sua difesa che avrebbero domandato il massimo della pena. +In un’intervista a The Guardian, la donna ribadì il fatto che il suo ufficio +si fosse assunto il difficile compito di applicare una legge che aveva giurato di ri­ +spettare, e lo avesse fatto in modo ragionevole, riconoscendo come «non c’erano +prove contro Swartz che indicassero che avesse commesso i suoi atti per un torna­ +conto finanziario personale», e ha riconosciuto che la sua condotta – pur essendo +una violazione della legge – non giustificava le severe punizioni autorizzate dal +Congresso e richieste dalle linee guida per le sentenze. «Per questo motivo, nelle +discussioni con il suo legale sulla risoluzione del caso, il mio ufficio ha cercato di +ottenere una pena adeguata alla presunta condotta, una pena, che avremmo racco­ + 171 +18. Il suicidio e le polemiche +mandato al giudice, di sei mesi in un ambiente di bassa sicurezza». +In realtà, nota il giornalista del quotidiano, queste affermazioni sono in palese +contrasto con la posizione sovente pubblicamente sostenuta dalla stessa Ortiz +che, dopo l’accusa a Swartz nel luglio 2011, aveva affermato in più occasioni che +«rubare è rubare, sia che si usi un comando per computer o un piede di porco, +sia che si prendano documenti, dati o dollari». +La Electronic Frontier Foundation si unì al dibattito elencando nove risposte +cui, secondo l’organizzazione per la protezione dei diritti digitali, sia Holder sia +il Dipartimento di Giustizia dovevano rispondere. +1) Durante l’audizione del mese scorso di fronte alla Commissione Giudiziaria del +Senato, il senatore Leahy ha chiesto al procuratore Generale Holder se il dipar­ +timento avrebbe preso in considerazione la possibilità di proibire i procedimenti +penali CFAA basati esclusivamente sulle violazioni dei Termini di Servizio (ToS). +Holder ha risposto: «È una cosa che possiamo prendere in considerazione». +Il Dipartimento di Giustizia ha preso in considerazione la possibilità di modifi­ +care la sua attuale politica per garantire che i procedimenti giudiziari basati esclu­ +sivamente su violazioni dei termini di servizio non si verifichino in futuro? Sono +state condotte revisioni interne ufficiali per identificare altri procedimenti giudi­ +ziari basati su questa pericolosa teoria legale? Il DOJ è disposto a sostenere una +legislazione che aggiorni la CFAA per chiarire che le violazioni dei ToS non sono +un reato? +2) Durante l’audizione del mese scorso davanti alla Commissione giudiziaria del +Senato, il senatore Cornyn ha chiesto a Holder: «Su quali basi il procuratore degli +Stati Uniti in Massachusetts ha concluso che la condotta del suo ufficio era “ap­ +propriata”?». Il procuratore generale Holder ha risposto che «si è parlato con i +procuratori; si è parlato con i procuratori degli Stati Uniti». +L’ufficio del procuratore del Massachusetts o lo stesso Dipartimento di Giustizia +hanno condotto una indagine interna ufficiale della gestione del caso Aaron Swar­ +tz? Quali sono stati i risultati? Ha imparato qualche lezione? +3) «I senatori John Cornyn e Al Franken hanno entrambi scritto al Dipartimento +di Giustizia all’inizio di quest’anno chiedendo informazioni sulle azioni del di­ +partimento nel caso Swartz», ha riferito Politico. Il Dipartimento di Giustizia ha +risposto a queste lettere e le renderà pubbliche? +4) Holder conferma il commento fatto durante l’udienza del Senato sul fatto che +accusare Swartz di 35 anni e poi offrire un patteggiamento di 3 mesi è stato un +«buon uso della discrezionalità dell’accusa»? Può fornire ulteriori giustificazioni +per questa opinione? +5) Ex e attuali membri del Dipartimento di Giustizia si sono lamentati del fatto +che i media continuavano a ripetere che Aaron rischiava fino a 35 anni di carcere, +quando in realtà, date le circostanze, avrebbe dovuto scontare molto meno tempo. +Il Dipartimento di Giustizia ritiene che i media citino un numero impreciso? E se +è così, perché il Dipartimento di Giustizia lo ha incluso nel comunicato stampa +del luglio 2011 che annunciava l’incriminazione di Aaron? + 172 +Aggiustare il mondo +6) Durante l’ultimo briefing è stato riferito che «alcuni membri dello staff del +Congresso hanno lasciato il briefing con l’impressione che i procuratori credes­ +sero di dover condannare Swartz per un reato che lo avrebbe messo in prigione +per una breve pena, al fine di giustificare le accuse, in primo luogo, secondo due +assistenti a conoscenza del briefing». Questa impressione era vera? E, se era vera, +su cosa si basava la convinzione dei procuratori? +7) È stato anche riferito che il Guerrilla Open Access Manifesto «dimostrava +l’intento malevolo di Swartz di scaricare documenti su larga scala». Ritiene che +questo manifesto sia un’espressione protetta dal Primo Emendamento? Sebbene +diverse esigenze mostrino che Aaron ha distribuito questo manifesto, avete la +prova che l’abbia scritto lui? +8) In precedenza, Aaron Swartz aveva scaricato in massa articoli accademici da +Westlaw, un database legale, per condurre uno studio sulle fonti di finanziamen­ +to della ricerca scientifica e non li aveva resi pubblici. Oltre al manifesto scritto +anni prima dell’incidente al MIT e che non menziona specificamente JSTOR, +avete qualche prova che Aaron avesse intenzione di rendere pubblici i documenti +JSTOR? +9) L’Ispettore generale del DOJ è a conoscenza o ha dato seguito a una lettera +presentata dall’ex avvocato di Swartz all’Ufficio per la responsabilità professionale +del DOJ, in cui si denuncia che l’Ufficio del procuratore del Massachusetts a) ha +ritardato la divulgazione di e-mail rilevanti per l’indagine e b) ha esercitato pres­ +sioni su Swartz affinché si dichiarasse colpevole con minacce di pene detentive +esagerate? +La deputata Zoe Lofgren della California propose, poi, su Reddit, un’ini­ +ziativa legislativa che denominò Aaron’s Law: una proposta di legge che voleva +emendare il CFAA, depenalizzando la violazione dei termini di servizio. +Non ebbe successo, e non fu approvata dal Congresso, ma ebbe il merito +di ricordare Aaron e di sollevare un problema specifico: il CFAA era troppo +vago e, a causa di una simile formulazione, gli utenti che violavano i termini +di servizio, potevano rischiare il carcere. Senza contare che, a causa di evidenti +ridondanze, i cittadini potevano essere processati più volte per lo stesso reato +informatico in base a disposizioni diverse, aggravando le accuse e prevedendo +pene sproporzionate per i condannati. +La proposta di una Aaron’s Law voleva rimediare a questo “corto circuito +normativo”, modificando il linguaggio del CFAA per rendere le pene per il +download di materiale protetto da copyright, sia in termini di carcere che di +multe, meno punitive e più legate al reale valore del materiale sottratto. +Anche la famiglia di Aaron, subito dopo il tragico evento, rilasciò dichiara­ +zioni in cui si accennò a una responsabilità diretta del procuratore per la morte +del ragazzo. +Non si trattava, dissero, soltanto di una tragedia personale, ma il suicidio +era stato il prodotto di una giustizia penale, e di un sistema processuale, che +erano pensati per intimidire, utilizzando un insieme di capi di imputazione che + 173 +18. Il suicidio e le polemiche +prospettavano oltre trent’anni di prigione come conseguenza di un crimine che +non aveva vittime. +Il collettivo hacker Anonymous, sempre nel mese di gennaio, prese di mira +alcuni siti web del MIT, dove furono lasciati dei messaggi politici che parlavano +di un abuso della giustizia, dell’ingiustizia del sistema criminale americano, dei +crimini informatici e della ingiustizia nelle trattative prima del processo. Anche +in questo caso, fu chiesta la riforma della normativa sul copyright. +Il 27 gennaio del 2018, sei anni dopo la morte di Aaron, il New York Post, in +un articolo a firma di Isabel Vincent, metterà in correlazione il suicidio di Aaron +con quello di James Dolan, un hacker di 36 anni, che si era suicidato anche lui +in un hotel di Brooklyn il 26 dicembre dell’anno prima. +In effetti, gli aspetti in comune sono molti e inquietanti. +Dolan era un ex marine ed esperto di sicurezza informatica ma, soprattutto, +era il secondo componente del team di programmatori e attivisti digitali che +avevano sviluppato SecureDrop. Il primo era stato Aaron. +Dolan aveva un carattere molto particolare, ai limiti della paranoia. Viveva +per essere il più invisibile possibile, in una società digitale che ormai era diven­ +tata un apparato di controllo e di sorveglianza. Non era praticamente presente +online, tantomeno sui social network e, dopo il suo suicidio, iniziarono a circo­ +lare teorie complottistiche che univano la creazione del sistema SecureDrop a +WikiLeaks e a episodi di stress post-traumatico dovuto a due missioni in Iraq. +L’hacker era già, dai suoi vent’anni, un esperto di cybersecurity, e poteva acce­ +dere a dati top secret. Un mese prima che il presidente Bush lanciasse Operation +Iraqui Freedom (l’invasione dell’Iraq nel marzo del 2003), Dolan lavorava già +sul campo come data network specialist per la marina. +Non furono mai rivelati, negli anni successivi, i suoi veri compiti in Iraq, +anche nella seconda fase più sanguinosa, quella di Falluja, ma di certo tornò in +patria con la volontà di aiutare i giornalisti a raggiungere l’obiettivo della traspa­ +renza e della segretezza delle fonti. Rinunciò a lavori ben pagati per frequentare +le varie redazioni di quotidiani, al fine di insegnare a usare SecureDrop. Quello +era diventato il suo obiettivo: la protezione dei whistleblower. +Furono in tanti, in tutto il mondo, a rendere pubblico il proprio cordoglio per +la morte di Aaron e a lanciare accuse, più o meno esplicite o velate, all’accusa e +all’intero sistema giudiziario. +Intervennero nel dibattito avvocati e informatici, politici e scienziati, pro­ +grammatori e semplici utenti, bibliotecari e attivisti. Ognuno con il suo ricordo +e la sua interpretazione dei fatti. +Vi sono, però, tre posizioni particolarmente interessanti, che vale la pena di +analizzare con cura. +La prima è quella di Lawrence Lessig, amico e mentore di Aaron. La seconda +è quella di Danah Boyd, un nome importante nell’attivismo digitale e nel mondo + 174 +Aggiustare il mondo +dell’open access, anche lei cara amica di Aaron. E la terza è la testimonianza – e +le accuse – della sua ex compagna, Taren Stinebrickner-Kauffman. +Le tre testimonianze sono non solo un pregevole riassunto dei fatti e delle +polemiche generate dalla tragica morte di Aaron ma, anche, un accorato ricordo +costruttivo, volto a estrarre dalla troppo breve vita del giovane quanto di buono +si possa trasmettere alle nuove generazioni. +Le riflessioni di Lessig le traiamo da una intervista del 14 gennaio 2013, pochi +giorni dopo il suicidio di Aaron. +Il grande giurista risponde a numerose domande di una giornalista di +Democracy Now! +Il lettore noterà, in tanti passaggi, il riferimento al sentimento di sgomento e +di rabbia, per l’azione della procura, ancora ben vivo in parenti e amici. +Grazie per avermi invitato a parlare di questa incredibile anima – esordisce Lessig +commosso – Credo che la cosa da ricordare di Aaron sia che fin dalla più giovane +età, dall’età di 12 anni, il suo lavoro è stato dedicato esclusivamente a rendere il +mondo un posto migliore. Ha iniziato con l’idea che forse dovevamo rendere +Internet più facile per condividere le informazioni, e questo è ciò che ha portato a +RSS. E poi, con Creative Commons, ha pensato: come possiamo concedere licen­ +ze alle persone, per rendere la libertà di condivisione legalmente protetta? E poi, +in seguito, con la biblioteca pubblica: come rendere disponibili i libri? E quando +questo non è bastato, ha iniziato a operare nello spazio degli attivisti sociali e dei +progressisti, prima lavorando con Stephanie Taylor e Adam Green al Progressive +Change Campaign Committee, e poi, con la sua Demand Progress, con David +Segal. In tutti questi ambiti, quello che faceva era portare avanti degli ideali. Era +un idealista, che credeva che dovessimo essere all’altezza di qualcosa di migliore, +ed era un’anima incredibile, un’anima incredibile che ha ispirato milioni di persone +che ora piangono, come abbiamo visto su Internet, per l’indignazione e la deva­ +stazione che lo avrebbero spinto verso il precipizio da cui si è buttato. +Quando l’interlocutrice di Lessig domanda di descrivere i punti essenziali del +caso giudiziario, il professore si trattiene un po’ – anche a causa di alcuni aspetti +legati al segreto professionale – per poi, però, chiarire tanti punti interessanti. +Devo essere molto cauto – precisa Lessig – perché quando Aaron è stato arre­ +stato, è venuto da me e per un periodo ho agito come suo avvocato. Quindi, so +più cose sul caso di quante ne possa dire. Ma ecco cosa è stato affermato. Aaron +è stato fermato mentre usciva dal MIT. Aveva un computer in suo possesso, e +c’era una prova che indicava che aveva collegato il computer a un server in un +armadio del MIT, e l’accusa era di aver scaricato una parte significativa di JSTOR. +JSTOR è un sito web senza scopo di lucro che, dal 1996 circa, cerca di costruire +un archivio di articoli di riviste accademiche, come la Harvard Law Review o articoli +di riviste di geografia del 1900. È una straordinaria biblioteca di informazioni. +E l’affermazione era che Aaron ne aveva scaricato una parte significativa. E la +domanda, l’ovvia domanda che tutti si sono posti, è stata: perché? Perché lo stava + 175 +18. Il suicidio e le polemiche +facendo? La polizia di Cambridge ha quindi arrestato Aaron. JSTOR ha detto: +«Non vogliamo perseguire. Non vogliamo perseguire civilmente. Non vogliamo +che siate perseguiti penalmente». Ma il MIT non è stato così chiaro. E il governo +federale – ricordiamo che all’epoca c’era la questione di Bradley Manning e di +WikiLeaks – pensò che fosse davvero importante dare un esempio. E così, ha +avviato un’azione penale incredibilmente ridicola, con più di una dozzina di capi +d’imputazione contro Aaron, con la minaccia di decine di anni di carcere. Ma non +si trattava di rivendicazioni teoriche su ciò che avrebbe potuto ottenere, bensì +dell’onere pratico che negli ultimi due anni gli ha prosciugato il patrimonio, men­ +tre doveva negoziare per cercare di risolvere la questione, perché il governo non +si sarebbe fermato prima che lui ammettesse di essere un criminale, e credo che, +in un mondo in cui gli artefici della crisi finanziaria cenano regolarmente alla Casa +Bianca, sia ridicolo pensare che Aaron Swartz fosse un criminale. +La conversazione procede per cercare di analizzare, sempre di più al micro­ +scopio, i fatti processuali nei dettagli. La giornalista è incuriosita, ad esempio, +dalla scena del crimine. +Quale era la scena in cui è stato arrestato? Era in bicicletta? – domanda la gior­ +nalista, e Lessig risponde polemico: «Sì. Questo fa parte della propaganda incre­ +dibilmente ridicola che il governo ha diffuso. Hanno pubblicato queste foto di +Aaron, di bassissima qualità – perché, in pratica, si trattava di una telecamera di +sicurezza – e hanno suggerito che Aaron stesse nascondendo il suo volto e che +stesse cercando di eludere il riconoscimento. Tutto quello che stava facendo era +uscire dal MIT con il casco da bicicletta attaccato allo zaino. E l’immagine era, +come dire, solo quella di un ragazzo che era appena stato al MIT, usando la loro +rete, e che se ne andava» +Dopo questa prima descrizione sommaria dei fatti, la conversazione si spo­ +sta sul punto critico del ruolo del MIT in tutta la vicenda, e Lessig è molto +polemico. +Ora, dobbiamo contestualizzare il tutto – precisa lo studioso – Il MIT, per la +maggior parte della sua storia, è stato un sostenitore dell’accesso aperto alle in­ +formazioni. In effetti, la politica del MIT, almeno secondo la maggior parte delle +persone, consentiva a chiunque si trovasse nel campus di avere accesso alle in­ +formazioni presenti nel campus. Il MIT ospita Richard Stallman, il fondatore del +movimento del software libero, che ha celebrato e difeso il MIT molte volte per le +sue convinzioni. Quindi, sapete, molte persone si sono chieste: cosa ci fa il MIT +qui? Ora, devo dire che ho criticato molto duramente il MIT, in un post che ho +pubblicato sul blog intitolato “Prosecutor as Bully”, a causa di ciò che hanno fatto +prima che Aaron morisse, a causa del loro rifiuto di riconoscere la follia di ciò che +il governo federale stava facendo e di fermarlo dicendo: «Noi non perseguiamo +in un caso come questo, e voi dovreste smettere di perseguire». Il MIT avrebbe +dovuto farlo, ma non l’ha fatto. Ma quello che il MIT ha fatto domenica, a mio +avviso, è straordinariamente importante. Nominando Hal Abelson, che credo sia + 176 +Aggiustare il mondo +la persona migliore al mondo per esaminare ciò che il MIT ha fatto e per riferire +se sia stato giusto o sbagliato, penso che il MIT abbia fatto un passo importante +per riconoscere l’errore in ciò che è successo qui. Vedremo cosa dirà Hal Abelson +quando lo esaminerà e riferirà! +Il programma radiofonico nel quale è coinvolto Lessig è molto ben struttu­ +rato e pensato. A un certo punto, infatti, la giornalista legge le dichiarazioni del +MIT, di JSTOR, di Aaron e i commenti dei suoi genitori per, poi, terminare con +un accorato discorso di Aaron stesso che aveva tenuto, l’anno prima, sul tema +della libertà di connessione. +Il giovane si trovava, nell’ottobre del 2010, all’Università dell’Illinois a +Urbana-Champaign e parlò anche specificamente di JSTOR. +Vi darò un esempio – disse Aaron in quel contesto – di qualcosa di non così +grande come la salvezza del Congresso, ma qualcosa di importante che potete +fare proprio qui nella vostra scuola. È sufficiente che siate disposti “a sporcarvi +un po’ le mani”. In virtù del fatto che siete studenti di una grande università sta­ +tunitense, presumo che abbiate accesso a un’ampia gamma di riviste scientifiche. +Praticamente, ogni grande università degli Stati Uniti paga queste specie di diritti +di licenza a organizzazioni come JSTOR, Thomson e ISI per avere accesso a rivi­ +ste scientifiche che il resto del mondo non può leggere. E questi diritti di licenza +sono consistenti. E sono così alti, che le persone che studiano in India, invece di +studiare negli Stati Uniti, non hanno questo tipo di accesso. Sono escluse da tutte +queste riviste. Sono escluse da tutta la nostra eredità scientifica. Voglio dire, molti +di questi articoli di riviste risalgono all’Illuminismo. Ogni volta che qualcuno ha +scritto un articolo scientifico, è stato scansionato e digitalizzato e messo in queste +collezioni. Questa è un’eredità che ci è stata portata dalla storia delle persone +che fanno un lavoro interessante, la storia degli scienziati. È un patrimonio che +dovrebbe appartenerci come bene comune, come popolo, ma che, invece, è stato +rinchiuso e messo online a scopo di lucro da una manciata di società che, poi, han­ +no cercato di trarne il massimo profitto possibile. Ora, ci sono persone, brave per­ +sone, che stanno cercando di cambiare questa situazione con il movimento open +access. Quindi, tutte le riviste, in futuro, stanno incoraggiando a pubblicare il loro +lavoro come open access, quindi aperto su Internet, disponibile per il download +da parte di tutti, disponibile per la libera copia e forse anche per la modifica con +le clausole di attribuzione. +Nella parte centrale dell’intervista, la giornalista domanda a Lessig quale fos­ +se il significato delle azioni che Aaron stava facendo. È il momento nel quale si +celebra, in un certo senso, l’importanza del giovane nel mondo. +Aaron stava dedicando la sua vita a costruire un mondo – nota Lessig – Un mon­ +do che fosse idealista come lui. Ed era impaziente con noi, ed era deluso da noi, da +tutti noi, mentre affrontavamo questa battaglia. E quando è diventato impaziente, +ha chiesto alle persone di fare di più. Ed è incredibilmente difficile per tutti noi + 177 +18. Il suicidio e le polemiche +che gli siamo stati vicini accettare il fatto che forse se avessimo fatto di più, forse +se avessimo fatto di più, tutto questo non gli sarebbe sembrato così cupo, e forse +avremmo fermato questo processo. Quattro giorni prima che Aaron morisse, ho +ricevuto un’e-mail da JSTOR, da parte del presidente di JSTOR, che annunciava +il fatto che JSTOR avrebbe rilasciato tutti questi articoli di riviste a chiunque in +tutto il mondo volesse accedervi, esattamente ciò per cui Aaron si stava battendo. +Non ho avuto il tempo di inviarlo ad Aaron, ero in viaggio. Ma non vedevo l’ora +di rivederlo – l’avevo visto solo la settimana prima – e di festeggiare per quello +che era successo. Quindi, tutti noi pensiamo che ci sono mille cose che avremmo +potuto fare, mille cose che avremmo potuto fare, e dobbiamo fare, perché Aaron +Swartz è ora un’icona, un ideale. È per lui che lotteremo, tutti noi, per il resto della +nostra vita. +L’intervista si conclude discutendo di un punto delicatissimo, ed estrema­ +mente scivoloso: lo stato di salute, e mentale, di Aaron. +La giornalista ricorda, in primis, un post sul blog di Aaron, apparso il 27 no­ +vembre 2007, nel quale parlava di depressione e di tristezza. +Sicuramente – scriveva Aaron in questo post – ci sono stati momenti in cui siete +stati tristi. Forse una persona cara vi ha abbandonato o un piano è andato ter­ +ribilmente storto. Il vostro viso è affranto. Forse piangete. Vi sentite inutili. Vi +chiedete se valga la pena andare avanti. Tutto ciò a cui pensate sembra desolante: +le cose che avete fatto, quelle che sperate di fare, le persone che vi circondano. Si +vuole solo stare a letto e tenere le luci spente. L’umore depresso è così, solo che +non arriva per nessuna ragione e non se ne va per nessuna. +Sì – conferma Lessig – Aaron era depresso. Stava perdendo tutto, perché il suo +governo stava esagerando nel modo più ridicolo possibile per perseguitarlo, non +solo per questo, ma anche per ciò che aveva fatto in precedenza, liberando do­ +cumenti governativi che dovevano essere di dominio pubblico. Naturalmente era +depresso. Non era depresso perché non aveva genitori affettuosi – aveva genitori +affettuosi che facevano tutto il possibile per lui – o perché non aveva amici affet­ +tuosi. Ogni volta che incontravo Aaron, era circondato da cinque o dieci persone +diverse che lo amavano, lo rispettavano e lavoravano con lui. Era depresso perché +si rendeva sempre più conto che l’idealismo che aveva portato in questa lotta forse +non era sufficiente. Quando ha visto che tutte le sue ricchezze erano sparite e ha +capito che i suoi genitori avrebbero dovuto ipotecare la casa per permettergli di +avere un avvocato, per combattere un governo che lo trattava come se fosse un +terrorista dell’11 settembre, come se quello che stava facendo fosse una minaccia +per le infrastrutture critiche degli Stati Uniti, quando ha visto questo e ha capito +quanto sarebbe stato incredibilmente difficile combattere, ovviamente era depres­ +so. Ora, sapete, non sono uno psichiatra. Non so se ci fosse qualcosa di sbagliato +in lui, ma non ho pazienza per le persone che vogliono dire: «Oh, questa era solo +una persona pazza; questa era solo una persona con un problema psicologico che +si è uccisa». No. Si tratta di qualcuno che è stato spinto al limite da quello che io +considero una sorta di bullismo da parte del nostro governo. Una prepotenza da +parte del nostro governo. E così come riteniamo le persone responsabili quando + 178 +Aggiustare il mondo +la loro prepotenza porta a una tragedia, spero che Carmen Ortiz faccia quello che +ha fatto il MIT e che conduca un’indagine interna, che chieda a qualcuno di indi­ +pendente di esaminare ciò che è successo qui e di spiegare all’America: è questo il +governo degli Stati Uniti? +Una seconda testimonianza, altrettanto accorata di quella di Lessig, viene +invece da un’amica di Aaron e grande studiosa, Danah Boyd. +La donna si trovò a riflettere, sul suo blog, su quanto fosse successo, a pen­ +sare a ciò che era capitato ad Aaron ed evidenziare problemi sociali e giuridici +particolarmente importanti. +Le ultime 24 ore – ricorda Danah – sono state una montagna russa di emozioni. +Ieri mi sono svegliata e ho scoperto che un mio amico, Aaron Swartz, si era tolto +la vita. Il mio feed di Twitter è entrato in lutto: shock, tristezza, rabbia, vendetta. +Ho passato la giornata a parlare con amici che erano tutti in vari stati di confusio­ +ne. Ho osservato come molti di loro abbiano riversato i loro cuori sui loro blog, +una pratica che tutti noi facciamo da oltre un decennio. Eppure, non riuscivo a +trovare le parole per esprimere ciò che sentivo. Quando ieri ho twittato che ero +arrabbiata, amici benintenzionati ed esperti di salute mentale che non conosceva­ +no Aaron mi hanno scritto che non potevo essere responsabile della depressione +di qualcuno. Mi è venuta voglia di urlare. Ho deciso invece di scrivere questo post +sul blog. È crudo e imperfetto, ma è la mia situazione attuale. +Il primo pensiero dell’amica di Aaron, nel suo scritto, è rivolto alla sua salute +mentale e a cercare di comprendere che cosa lo possa aver condotto a quel +gesto. +Nel bene e nel male – ricorda Danah – nel corso degli anni ho conosciuto molte +persone che si sono suicidate. Ho visto persone lottare contro una grave depres­ +sione e poi fare questa scelta. Avendo combattuto i miei stessi demoni, ho capito. +Parte del motivo per cui la morte di Aaron mi ha colpito come un macigno è per­ +ché questa volta era diversa. Non ho dubbi sul fatto che la depressione sia stata un +fattore. Adoravo Aaron perché era un turbine emotivo, un caratteraccio irascibile +e compulsivo. Le nostre conversazioni avevano un qualcosa di etereo e mi spin­ +geva a riflettere su questioni complesse mentre discutevamo. Aveva un’ampiezza +intellettuale che mi terrorizzava, e il senso di curiosità di un gattino. Ma quando +si sentiva distruttivo, usava la sua astuta comprensione delle persone per trovare +i loro punti deboli e colpirle dove faceva male. Soprattutto le persone che amava +di più. Si considerava un sociologo dilettante, perché era innamorato della natura +delle persone, e discutevamo sulla necessità di rigore, sulla necessità di una forma­ +zione formale. Non aveva pazienza per chi era intellettualmente più lento di lui e +non riusciva ad apprezzare ciò che si poteva ottenere da un ambiente universitario. +Voleva invece leggere i libri e vivere nel mondo della mente. Conoscevo Aaron +da nove anni e lo adoravo da morire, ma lo trovavo anche molto frustrante. Negli +ultimi anni, il nostro legame si è fatto più sporadico, perché amavo i suoi alti, ma + 179 +18. Il suicidio e le polemiche +faticavo molto con i suoi bassi. Ma quando è avvenuto l’arresto, mi sono preoc­ +cupata molto per lui. Decidemmo di non parlare mai del caso in sé, ma, tra gli +“ingorghi cerebrali”, scherzavamo sul fatto che finalmente si sarebbe laureato in +carcere, per alleviare la pressione. Gli promisi che avrei curato un piano educativo +basato su grandi ricerche e gli dissi che ogni giorno gli avrei inviato una stampa da +JSTOR. Sapevo che stava lottando, ma era anche un attivista appassionato e pen­ +savo sinceramente che questo lo avrebbe aiutato a superare questo periodo buio. +Terminati i ricordi, la studiosa si concentra sugli aspetti politici del caso, ed +espone con cura le sue accuse, motivandole con precisione. +Ciò che ieri mi ha fatto arrabbiare in modo così incontenibile – dice la Boyd – è la +stessa cosa che mi ribolle nelle viscere da due anni. Quando il governo federale si +è accanito su di lui – e il MIT si è prostrato – non lo ha trattato come una persona +che poteva o meno aver fatto qualcosa di stupido. Era un esempio. E il motivo +per cui gli hanno dato la caccia non è stato quello di dargli una lezione, ma di far +capire all’intera comunità di hacker di Cambridge che erano stati fregati. Era una +minaccia che non aveva nulla a che fare con la giustizia, ma con una più ampia bat­ +taglia per il potere. Negli ultimi anni, gli hacker hanno sfidato lo status quo e messo +in discussione la legittimità di innumerevoli azioni politiche. I loro mezzi possono +essere stati discutibili, ma le loro intenzioni sono state degne di valore. Lo scopo +di una democrazia funzionante è quello di mettere sempre in discussione l’uso e +l’abuso del potere, per evitare che emerga la tirannia. Negli ultimi anni, abbiamo +visto gli hacker demonizzati come antidemocratici, anche se molti di loro si con­ +siderano combattenti per la libertà contemporanea. E chi è al potere ha usato Aa­ +ron, confondendo il suo progetto di liberazione dell’informazione con la storia di +hacker feroci i cui atti terroristici sarebbero destinati a distruggere la democrazia. +Di certo, il mantenere un rapporto personale e scientifico con Aaron non +era semplice, ricorda la studiosa, ma il caso di Swartz aveva sollevato tantissime +ombre e dubbi che, probabilmente, sarebbero rimasti irrisolti. +Le persone ragionevoli – continua la Boyd – possono essere in disaccordo sul­ +le tattiche e su dove, e quando, un particolare approccio si spinga troppo oltre. +Come Lessig, sono spesso in disaccordo con Aaron sul suo particolare approccio +alla liberazione delle informazioni del mondo, anche se non sono mai stata in +disaccordo con lui sull’obiettivo. Una delle ragioni per cui tanti hacker, e geek, +hanno trascorso la giornata di ieri inveendo contro la macchina del potere, è che +molte persone al potere non sono state in grado di vedere al di là degli atti singoli +e di comprendere le intenzioni e l’attivismo. L’opinione pubblica si è impegnata a +controllare la resistenza dei geek, a soffocare la ribellione e a punire chiunque le +autorità riescano a perseguire. Ma la maggior parte dei geek opera in zone grigie, +il che rende difficile incastrarli e accusarli. È in questo contesto che la bravata di +Aaron ha fornito agli agenti federali prove sufficienti per portarlo in tribunale e +usarlo come esempio. Hanno usato il loro potere per metterlo a tacere e condan­ +narlo pubblicamente, ancor prima che il processo iniziasse. Ieri c’è stata un’ondata + 180 +Aggiustare il mondo +di informazioni sul suo caso, compreso un incredibile resoconto del testimone +esperto della difesa. Molti si sono chiesti perché non se ne sia parlato prima. +Posso solo spiegare il mio ragionamento. Avevo troppa paura di parlare pubblica­ +mente, per timore che le mie parole potessero essere usate contro di lui. E avevo +troppa paura di rimanere invischiata nella caccia alle streghe che ho visto portare +avanti negli ultimi tre anni. Perché non si è trattato di giustizia o di sicurezza na­ +zionale. È stata una questione di potere. Ed è il cuore e l’anima del motivo per cui +l’amministrazione Obama è stata per me una delusione cocente. Negli ultimi due +anni, ho avuto un numero ridicolo di scontri con i membri dell’amministrazione +per il trattamento riservato ai geek e l’incomprensione degli hacker, ma non sono +mai riuscita a capire come fare la differenza su questo fronte. È stata una fonte di +grave frustrazione per me, anche se SOPA/PIPA ha dimostrato che i geek pote­ +vano fare la differenza. +La parte finale del post di Danah Boyd è, come prevedibile, dedicata al ricor­ +do e all’indignazione. +Così oggi siamo qui – conclude Danah – Il mondo è privo di un bambino prodi­ +gioso il cui intelletto ha spaventato a morte tutti coloro che lo hanno conosciuto. +È diventato un giocattolo per un governo che vuole dimostrare la propria forza. +Lo hanno maltrattato, hanno sfruttato le sue debolezze e hanno cercato di di­ +struggerlo. E lo hanno fatto. Il tutto, prima ancora di essere processato in una +società che si vanta dell’innocenza fino a prova contraria. La depressione è stata +la chiave di ciò che è accaduto venerdì? Certamente. Ma non è tutta la storia. Ed +è questo che lo rende difficile da digerire. L’indignazione è giustificata. Molte per­ +sone vogliono la testa dei principali amministratori che hanno contribuito a creare +il contesto in cui Aaron si è tolto la vita. Capisco perfettamente il loro punto di +vista. Ma temo anche la possibilità che Aaron venga trasformato in un martire, +un’astrazione di attivista geek distrutto dallo Stato. Perché lui era molto di più: +amabile e imperfetto, appassionato e volitivo, brillante e esasperatamente ottuso. +Sarà facile per la gente gridare vendetta in suo nome. Ma non si guadagna molto +a reificare il gioco “noi contro loro” che ci ha portato fin qui. Deve esserci un +altro modo. Quello che spero davvero che venga fuori da questa orribile tragedia +è una seria riflessione comune e una profonda verifica dei valori. Molte delle con­ +vinzioni che Aaron sosteneva – la liberazione della conoscenza, l’accesso aperto +alle informazioni e l’uso del codice per migliorare il mondo – sono valori fonda­ +mentali per la comunità geek. Tuttavia, come analizza astutamente Biella Coleman +in “Coding Freedom”, questa comunità non è priva di difetti. Nemmeno Aaron +lo era. Faceva le cose a modo suo perché credeva che la passione, la volontà e +l’azione avessero la meglio su tutto. E la sua testardaggine lo ha reso fragile. Se +vogliamo raggiungere i valori e gli obiettivi che sono alla base della comunità geek, +non credo che faremo mai la differenza creando altri martiri da usare come esem­ +pi in una guerra culturale. Mentre piangiamo collettivamente la morte di Aaron e +incanaliamo la nostra rabbia per fare la differenza, penso che dobbiamo cercare +un approccio al cambiamento che non si traduca nell’additare persone brillanti +come esempi per poter essere tormentate dal potere. + 181 +18. Il suicidio e le polemiche +Infine, rabbia, commozione e ricordi caratterizzarono anche il post com­ +memorativo della sua compagna di allora, Taren Stinebrickner-Kauffman, che +viveva con lui nell’appartamento dove si è tolto la vita. +Credo che la morte di Aaron – scrive Taren – non sia stata causata dalla depressio­ +ne. Lo dico con la consapevolezza che molte altre persone non avrebbero fatto la +stessa scelta che ha fatto Aaron, nemmeno sotto le stesse pressioni che ha dovuto +affrontare. Dico questo non per sminuire il dolore che ha provato, né, peraltro, +il dolore che provano le persone clinicamente depresse. Dico questo, nonostante +all’inizio della nostra relazione avessi letto e discusso con lui il suo famigerato +post sul suicidio scritto anni prima, quindi non ignoravo che in passato avesse +lottato con problemi di salute mentale. Dico questo, perché negli ultimi 20 mesi +della sua vita, Aaron ha passato più tempo con me che con chiunque altro al +mondo. Per gran parte degli ultimi 8 mesi della sua vita, abbiamo vissuto insieme, +abbiamo fatto i pendolari insieme e lavorato nello stesso ufficio, e non mi sono +mai preoccupata che fosse depresso fino alle ultime 24 ore della sua vita. Dico +questo perché, da quando si è suicidato, mentre cercavo di affrontare l’accaduto, +ho imparato. Ho fatto ricerche sulla depressione clinica e sui disturbi associati. +Ho letto i sintomi e, almeno fino alle ultime 24 ore della sua vita, Aaron non vi +corrispondeva. E questo rende difficile leggere, in tanti articoli, che “Aaron ha +lottato con la depressione”, come se l’accusa fosse solo un fattore tra i tanti, come +se, forse, avrebbe potuto suicidarsi l’11 gennaio senza di essa. La depressione è +caratterizzata da scarsa energia e inattività, ritiro e isolamento, sentimenti di scarsa +autostima, difficoltà a concentrarsi e a ricordare i dettagli e incapacità di trarre +piacere dalla vita quotidiana. Non tutte le persone depresse provano sempre tutte +queste cose, ma la ricetta è quella. E, in effetti, il post di Aaron sulla sua depressio­ +ne, pubblicato anni prima, aveva accennato a molte di queste cose. Ma lasciatemi +parlare dell’Aaron che conoscevo, l’Aaron Swartz del 2011, del 2012 e dei primi +giorni del 2013. +I ricordi di Taren, di qui in avanti, descrivono egregiamente il ragazzo Aaron +e le sue innumerevoli idee e attività. +L’Aaron che conoscevo era attivo – ricorda la donna – Si allenava quasi tutti i gior­ +ni fino a quando non ha preso l’influenza due settimane prima di morire. Poche +settimane prima, quando ero fuori città per il fine settimana, mi aveva sorpreso +recandosi a fare un’escursione di un giorno fuori New York. Tornò raggiante la +sera stessa, descrivendo come si fosse arrampicato su una ‘scorciatoia’ rocciosa +e ripida con alcuni altri escursionisti che lo osservavano (e nel frattempo aveva +perso il suo Kindle in un crepaccio). L’Aaron che conoscevo era socievole ed +entusiasta di trascorrere del tempo con le persone che amava, fino alla fine. Aveva +progetti e ambizioni, anche molto grandi. Il 9 gennaio, due giorni prima di morire, +ha trascorso ore e ore a parlare con il nostro amico australiano Sam della nuova +organizzazione che Aaron stava avviando. Sam gli chiese se avesse un supporto, +e Aaron rispose che tutti coloro che erano abbastanza competenti da sostenerlo +lo stavano in effetti sostenendo – la classica arroganza pessimistica di Aaron, ma + 182 +Aggiustare il mondo +anche un promemoria del fatto che sapeva che i suoi amici erano al suo fianco. +Sam ha fatto ad Aaron una rapida panoramica della politica australiana; Aaron +ha espresso stupore per la facilità con cui sarebbe stato possibile ‘conquistare +l’Australia’, ma ha concluso che in un Paese di soli 20 milioni di abitanti probabil­ +mente non ne sarebbe valsa la pena. L’autostima, inutile dirlo, non era, certo, un +problema di Aaron. L’Aaron che conoscevo non aveva problemi a concentrarsi o +a ricordare i dettagli. Fino alla settimana prima di morire, stava divorando tutta la +letteratura scientifica che riusciva a trovare sulla tossicodipendenza e sugli inter­ +venti efficaci. Per essere chiari, non perché avesse problemi di droga (non beveva +quasi mai alcolici), ma per un progetto di consulenza a cui stava lavorando per +Givewell, la sua associazione di beneficenza preferita. Mi raccontò, con profonda +eccitazione intellettuale, le sue conversazioni con i massimi esperti del settore, gli +interventi che si erano dimostrati più promettenti per combattere l’alcolismo, le +sue teorie, in via di sviluppo, su quali tipi di cambiamenti politici potessero essere +politicamente più fattibili. Discutevamo dei costrutti culturali che permettono alla +nostra società di trattare in modo diverso sostanze chimiche quasi indistinguibili +come l’eroina e la morfina. L’Aaron che conoscevo aveva una profonda capacità +di provare piacere nella vita quotidiana. Naturalmente aveva problemi con l’a­ +limentazione, nell’ambito dei normali sintomi associati alla colite ulcerosa. Ma +quando trovava del cibo veramente buono – o, se vogliamo, qualsiasi cosa vera­ +mente buona – ne godeva. Aveva un senso estetico finemente affinato. Riusciva +a trarre una gioia più profonda e vera da un muffin di mais perfetto, da un arco +narrativo brillantemente costruito dalla biografia di Robert Caro su Lyndon B. +Johnson, da un bellissimo font, più di chiunque altro abbia mai conosciuto. E, +forse, la cosa più impressionante è che ha mantenuto tutte queste qualità per quasi +due anni, di fronte a una prova continua che minacciava di rovinargli la vita. +Nella parte finale del suo bellissimo ricordo, Taren conclude parlando di fe­ +licità e di dolore, di paure e di morte. +Aaron era umano – ricorda la sua ex compagna – non era felice in ogni momento +e sarei la prima a dire che a volte poteva essere una vera sofferenza vivere con lui. +Aaron poteva essere lunatico e introverso. Aaron aveva spesso forti dolori fisici +allo stomaco. Aaron era duro con sé stesso (e altrettanto duro con gli altri). E, +ovviamente, alla fine Aaron aveva tendenze suicide. Ma lo ripeto: la morte di Aa­ +ron non è stata causata dalla depressione. Questo è un punto importante, perché +molte persone sostengono che lo sia stata e che la risposta appropriata alla sua +morte sia un migliore trattamento della depressione e una migliore individuazione +delle tendenze suicide. Questo Paese ha assolutamente bisogno di queste cose +– Aaron sarebbe stato il primo ad essere d’accordo – ma ne abbiamo bisogno +perché sono la cosa giusta da fare, non per quello che è successo ad Aaron. Non +so esattamente perché Aaron si sia ucciso. Non so esattamente cosa gli passasse +per la testa. Se avessi saputo queste cose l’11 gennaio, se avessi saputo anche +solo le domande giuste da fare, forse avrei potuto fermarlo. Dall’11 gennaio, ci +penso ogni ora di ogni giorno. Ma come mi ha ricordato in sogno Aaron, posso +sapere solo ciò che già so. E con le conoscenze che ho – osservando, ascoltando, + 183 +18. Il suicidio e le polemiche +chiedendo, accanto a lui sul letto, durante i pasti, parlando in metropolitana, dalle +nostre scrivanie adiacenti in ufficio, dove lavoravamo a progetti separati – dalle +nostre vite insieme, credo che la morte di Aaron non sia stata causata dalla depres­ +sione. Credo che la morte di Aaron sia stata causata dalla stanchezza, dalla paura e +dall’incertezza. Credo che la morte di Aaron sia stata causata da una persecuzione +e da un processo che si protraeva già da due anni (che fine ha fatto il nostro diritto +a un processo rapido?) e che aveva già prosciugato tutte le sue risorse finanziarie. +Credo che la morte di Aaron sia stata causata da un sistema di giustizia penale +che privilegia il potere rispetto alla misericordia, la vendetta rispetto alla giustizia; +un sistema che punisce persone innocenti per aver cercato di dimostrare la loro +innocenza, invece di accettare patteggiamenti che li segnano come criminali in +perpetuo; un sistema in cui le strutture di potere si allineano per far sì che i pub­ +blici ministeri distruggano la vita di un innovatore come Aaron, per perseguire le +proprie ambizioni. Chiedetevi questo: se il 10 gennaio Steve Heymann e Carmen +Ortiz dell’ufficio del procuratore del Massachusetts avessero chiamato l’avvocato +di Aaron dicendo che si erano resi conto del loro errore e che avrebbero ritirato +tutte le accuse – o anche se fossero stati pronti a offrire un patteggiamento ragio­ +nevole, che non avrebbe segnato Aaron come un criminale per il resto della sua +vita – Aaron si sarebbe ucciso l’11 gennaio? La risposta è indiscutibilmente no. +Brewster Khale, caro amico di Aaron, scrisse una poesia, subito dopo la mor­ +te del giovane, e sintetizzò egregiamente la sua vita e tutta la sua azione. La +intitolò “Howl for Aaron Swartz” +Howl for Aaron Swartz +New ways to create culture +Smashed by lawsuits and bullying +Laws that paint most of us criminal +Inspiring young leaders +Sharing everything +Living open source lives +Inspiring communities selflessly +Organizing, preserving +Sharing, promoting +Then crushed by government +Crushed by politicians, for a modest fee +Crushed by corporate spreadsheet outsourced business development +New ways +New communities +Then infiltrated, baited +Set-up, arrested + 184 +Aggiustare il mondo +Celebrating public spaces +Learning, trying, exploring +Targeted by corporate security snipers +Ending up in databases +Ending up in prison +Traps set by those that promised change +Surveillance, wide-eyes, watching everyone now +Government surveillance that cannot be discussed or questioned +Corporate surveillance that is accepted with a click +Terrorists here, Terrorists there +More guns in schools to promote more guns, business +Rendition, torture +Manning, solitary, power +Open minds +Open source +Open eyes +Open society +Public access to the public domain +Now closed out of our devices +Closed out of owning books +Hands off +Do not open +Criminal prosecution +Traps designed by the silicon wizards +With remarkable abilities to self-justify +Traps sprung by a generation +That vowed not to repeat +COINTELPRO and dirty tricks and Democratic National Conventions +Government-produced malware so sophisticated +That career engineers go home each night thinking what? +Saying what to their families and friends? +Debt for school +Debt for houses +Debt for life + 185 +18. Il suicidio e le polemiche +Credit scores, treadmills, with chains +Inspiring and optimistic explorers navigating a sea of traps set by us +I see traps ensnare our inspiring generation +Leaders and discoverers finding new ways and getting crushed for it + L’EREDITÀ + 19. “Legacy” +“Legacy” è il titolo di uno dei post più famosi – e articolati – di Aaron. Si +tratta di un flusso di parole attraverso il quale il giovane s’interroga sul suo ruolo +nel mondo e su ciò che vorrebbe lasciare all’umanità, prendendo ad esempio +l’attività di altri studiosi e professionisti. +L’analisi di questo scritto giovanile – Aaron aveva appena compiuto dician­ +nove anni – è il modo migliore per cercare di individuare, al termine di una vita +così entusiasmante, problematica, affascinante e complessa, quale insegnamen­ +to si possa trarre, per nuove e vecchie generazioni, dal suo operato e per valuta­ +re l’attualità del suo pensiero a distanza di dieci anni dalla morte. +Le persone ambiziose – riflette preliminarmente Aaron – vogliono lasciare un’e­ +redità. Ma che tipo di eredità vogliono lasciare? Il criterio tradizionale che viene +adottato è che l’importanza di una persona si misuri in base alle conseguenze di +ciò che fa. Questo è il motivo per cui, ad esempio, i giuristi considerati più impor­ +tanti sono i giudici della Corte Suprema, dal momento che le loro decisioni sono +in grado di influenzare l’intera nazione. I più grandi matematici sono coloro che +fanno scoperte importanti, poiché le loro scoperte finiscono per essere utilizzate +da molti altri matematici. Questo approccio mi sembra abbastanza ragionevole: +l’eredità di una persona dipende dal suo impatto sul mondo e sugli altri, e quale +modo migliore, per misurare, l’impatto se non valutare l’effetto di ciò che ha fatto +una persona. +Aaron, però, non è completamente convinto di una simile affermazione. +Sente la necessità di puntualizzarla ulteriormente, ribaltando la prospettiva ed +esponendo alcuni casi storici a suo dire significativi. Per lui l’approccio alla vita +deve essere di rottura. Tipico del mondo hacker è cercare sentieri non ancora +battuti, elaborare teorie apparentemente assurde ma che, poi, si possono ri­ +velare geniali. E nel suo ragionamento si trova, esattamente, questo modo di +procedere. +Ma adottare questo approccio – continua – significa, anche, ragionare muovendo +da una base sbagliata. La vera domanda, allora, non dovrebbe essere “quale effet­ +to abbia avuto il vostro lavoro”, ma “come sarebbero le cose se non l’aveste mai +fatto”. Le due prospettive non coincidono affatto. È, piuttosto, comunemente ac­ +cettato come ci siano “idee il cui tempo è giunto”, e la storia tende a confermarlo. +Quando Newton inventò il calcolo, lo fece anche Leibniz. Quando Darwin scoprì +l’evoluzione attraverso la selezione naturale, lo fece anche Alfred Russel Wallace. +Quando Alexander Graham Bell inventò il telefono, lo fece anche Elisha Gray, +probabilmente prima di lui. In tutti questi casi, i fatti sono evidenti: se Newton, +Darwin e Bell non avessero mai svolto il loro lavoro, il risultato sarebbe stato, +sostanzialmente, lo stesso: avremmo egualmente il calcolo, le teorie evolutive e + 190 +Aggiustare il mondo +il telefono. Eppure, queste persone sono acclamate come grandi eroi, e le loro +eredità considerate immortali. Forse, se ci si interessa solo di queste cose, ciò è +sufficiente. Ma se ci si preoccupa veramente del loro impatto – anziché, semplice­ +mente, di come viene percepito – è necessaria una riflessione più attenta. +Riflettendo più in profondità, il ragazzo nota come le professioni correlate +alle scienze siano quelle che, da anni, trova più interessanti. Ma critica aperta­ +mente tutti quegli scienziati che seguono linee di ricerca perché sono “di moda”, +attirano maggiore attenzione – e fondi – e agevolano, quindi, la possibilità di +fare scoperte importanti. +Una volta – ricorda Aaron – passai del tempo con un noto accademico che aveva +pubblicato diverse opere, ampiamente riconosciute come classici anche al di fuori +del suo campo; mi diede alcuni consigli per intraprendere una carriera nel mon­ +do delle scienze. Diceva, in particolare: «Questo, o quel campo, è molto caldo in +questo momento; potresti davvero farti un nome entrandoci». L’idea era che le +scoperte più importanti sarebbero state fatte, di lì a poco, proprio in quell’ambito, +e che se avessi scelto quel campo, avrei potuto essere proprio io a farle. Secondo +il mio modo di pensare, però, una cosa del genere lascerebbe una pessima ere­ +dità all’umanità. Presumibilmente, Darwin e Newton non hanno iniziato le loro +ricerche perché pensavano che il loro campo di ricerca fosse “caldo”. Pensavano +che, operando in quel modo, avrebbero avuto un impatto significativo, anche se +questo, poi, si è rivelato sbagliato. Ma chi si unisse a un campo di ricerca sempli­ +cemente col pensiero che da esso potrebbe derivare, presto, una scoperta impor­ +tante, non potrebbe mai godere di una simile prospettiva. +La figura del giudice della Corte Suprema, nel pensiero e nello scritto di +Aaron, è uno dei ruoli apicali che meglio si presta per motivare questo suo +pensiero su professioni ed eredità. Ma, anche, qui, il suo ragionamento prende +strade originali. Per fare bene il giudice quando sarai giudice – osserva – ti devi +“comportare male prima”, altrimenti sarai un magistrato senza alcun impatto +sulla società e che semplicemente seguirà la politica del Presidente che lo ha +nominato. +Lo stesso – sostiene Aaron – vale per altre professioni che consideriamo, er­ +roneamente, importanti. Prendiamo, ad esempio, il ruolo di giudice della Corte +Suprema. Tradizionalmente, si pensa che questo sia un lavoro importantissimo, +in cui si prendono decisioni di grande rilevanza. In realtà, mi sembra che i giudici +abbiano un impatto minimo: la maggior parte dell’impatto è già stata determinata +dalla politica del Presidente che li ha nominati. Se non ci fosse stato quel giudice, +il Presidente avrebbe trovato qualcun altro che avrebbe immediatamente assun­ +to posizioni simili. L’unico modo per avere un vero impatto sulla società, come +giudice della Corte Suprema, sarebbe quello di cambiare la propria politica una +volta nominati; e l’unico modo per prepararsi a questo sarebbe quello di passare +la maggior parte della propria carriera a fare cose ritenute sbagliate, nella speranza + 191 +19. “Legacy” +che, un giorno, si possa essere scelti per far parte della Corte Suprema. Sembra, +questa, una cosa piuttosto difficile da ammettere. +L’unico lavoro che, veramente, lascia un segno e prepara un’eredità preziosa +è quello che rompe le regole e che aiuta a cambiare il mondo e a migliorare la +società. +Quali sono i lavori – conclude allora Aaron – che lasciano una vera eredità? È +difficile pensare alla maggior parte di essi, poiché, per loro stessa natura richie­ +dono di fare cose che gli altri non cercano di fare e, quindi, includono le attività +a cui la gente non ha ancora pensato. Ma una buona idea può essere il tentativo +di fare cose che cambino il sistema, invece di seguirlo. Per esempio, il sistema +universitario incoraggia le persone a diventare professori che fanno ricerca in +determinate aree e, quindi, molte persone lo fanno, mentre scoraggia le persone +dal cercare di cambiare la natura dell’università stessa. Naturalmente, fare cose per +cambiare l’università è molto più difficile che diventare semplicemente un altro +professore. Ma per chi ha veramente a cuore il proprio lascito, non sembra esserci +molta scelta. +Il primo consiglio che Aaron lascia, riflettendo anche sulla sua persona e sul +suo ruolo nel mondo, è, in conclusione, quello di fare tutto ciò che gli altri non +cercano di fare. +Suggerisce di cambiare il sistema, e non di seguirlo; di cambiare l’università e +la sua natura, e non di limitarsi a fare i professori. Di fare il giudice riformista e +indipendente dalla politica. +Aaron è consapevole della difficoltà, e dei rischi, di un modo di agire simile +in ambito lavorativo, ma è convinto che questo sia l’unico modo giusto di “stare +nel mondo”. +In un secondo post, correlato alla preparazione di una relazione da presen­ +tare a una conferenza, Aaron si ritrovò a elaborare una serie di consigli per +chiunque fosse interessato a cercare un lavoro “simile al suo”. +Divise questo percorso ideale – anche di crescita, e motivazionale – in speci­ +fici passaggi, e ricostruì con cura tutto ciò che aveva fatto sino a quel momento, +con l’idea che la descrizione di un simile iter sarebbe potuta servire a ispirare +anche altre persone. +Si tratta di una testimonianza molto interessante, che vale la pena di riportare +– e commentare – (quasi) integralmente. Non è solo, infatti, un breve “diario” +della sua vita, ma contiene, anche, uno sguardo disincantato sulla società tecno­ +logica che si è visto costretto ad attraversare negli anni. +Lo scrittore americano Kurt Vonnegut – esordisce Aaron – intitolava sempre i +suoi discorsi “Come ottenere un lavoro come il mio” e, poi, parlava di tutto ciò +che gli passava per la mente. Io mi trovo in una situazione opposta. Mi è stato +detto che avrei potuto parlare di ciò che volevo e invece di pontificare come al + 192 +Aggiustare il mondo +solito, per un po’, sul futuro di Internet, o sul potere della attività collaborativa di +massa in rete, ho pensato che la cosa più interessante di cui potessi parlare fosse +“Come trovare un lavoro come il mio” +L’incipit del post ha un tono ironico; Aaron ne approfitta, però, per ricordare +l’infanzia a Highland Park, in mezzo al verde. +Come ho fatto a trovare un lavoro come il mio? – scherza, in primis, Aaron – Senza +dubbio, il primo passo sarebbe quello di potersi scegliere i geni giusti: sono nato +bianco, maschio, americano. La mia famiglia era benestante, e mio padre lavorava +nell’industria informatica. Purtroppo, non conosco alcun modo per poter sceglie­ +re in anticipo queste caratteristiche quindi, probabilmente, questo primo consiglio +non vi sarà di grande aiuto. D’altra parte, quando ho iniziato ero un ragazzo molto +giovane, bloccato in una piccola città in mezzo alla campagna. Quindi ho dovuto +elaborare dei trucchi per uscire da quella situazione. Nella speranza di rendere la +vita un po’ meno ingiusta, ho pensato di condividerli con voi. +Il primo “trucco” che Aaron condivide con l’uditorio è legato alla sua inces­ +sante voglia di imparare, di leggere, di conoscere, di elaborare informazioni. Da +questa prima parte traspare, naturalmente, tutto il suo amore per i libri, per la +conoscenza e per i contenuti. E ogni sua attività doveva avere un esito naturale +in quella rete che, allora, stava esplodendo: l’unico modo concreto che Aaron +vedeva per rendere tutto pubblico. +La prima cosa che ho fatto – ricorda Aaron – e che, presumibilmente, tutti voi +avrete già intuito, è stata quella di imparare a conoscere i computer, Internet e la +cultura di Internet. Ho letto un mucchio di libri, ho letto un numero enorme di +pagine web e ho fatto tanti tentativi. Per prima cosa, mi sono iscritto alle mailing +list e ho cercato di capire e interpretare le discussioni, fino a quando non mi sen­ +tivo a mio agio nel partecipare al dibattito in prima persona. Poi, ho studiato i siti +web e ho cercato di costruirne uno mio. Infine, ho imparato a costruire applica­ +zioni web e ho iniziato a farlo. Avevo tredici anni. +Il secondo trucco, suggerisce agli ascoltatori, è quello di provare sempre. Di +fare, e mettersi alla prova, in ogni momento. È la tipica filosofia americana del +just do it, di avviare decine di progetti senza pensarci troppo. Alcuni moriranno, +altri si riveleranno sbagliati, altri, ancora, saranno abbandonati, ma qualcuno +rimarrà. +Il primo sito web che ho costruito – nota il giovane – si chiamava “get.info”. L’i­ +dea alla base di quel progetto era quella di offrire un’enciclopedia online gratuita +che chiunque potesse modificare, integrare di contenuti o riorganizzare, diretta­ +mente dal proprio browser web. Ho costruito il tutto, ho aggiunto molte funzioni +interessanti, l’ho testato su tutti i tipi di browser e ne ero, obiettivamente, molto +orgoglioso. In realtà, vinse anche un premio come una delle migliori nuove ap­ + 193 +19. “Legacy” +plicazioni web di quell’anno. Purtroppo, però, le uniche persone che conoscevo +all’epoca erano altri ragazzi della mia scuola, quindi non avevo nessuno attorno +che potesse editare un sufficiente quantitativo di voci, e articoli, per quella en­ +ciclopedia. Fortunatamente, diversi anni dopo, mia madre mi segnalò un nuovo +sito chiamato “Wikipedia” che si proponeva di fare la stessa cosa. Il secondo sito +che ho costruito si chiamava “my.info”. L’idea era che, invece di dover andare su +Internet per trovare notizie da ogni tipo di pagine web diverse, ci fosse un unico +programma che andasse a estrarre le notizie da tutte quelle pagine web e le collo­ +casse in un unico posto. Lo progettai, e programmai, e lo feci funzionare, ma si +scoprì che, all’epoca, non ero l’unico ad avere questa idea: molte persone stavano +lavorando a questa nuova tecnica, allora chiamata “syndication”. Un gruppo di +loro si divise, e decise di lavorare a un progetto, per raggiungere questo stesso +obiettivo, denominato RSS 1.0. E io mi unii a loro. +Il suo terzo trucco, rammenta, fu quello di intrufolarsi in contesti dove i +migliori scienziati stavano discutendo di questioni importanti, e di contribuire +attivamente a tali scoperte mettendo a frutto, e “regalando”, le sue competenze. +Qui emerge l’importanza, nel suo pensiero, della cooperazione tra studiosi: l’u­ +nico modo per creare cose grandi è quello di unire le forze. +Era estate, avevo finito la scuola – scrive nel post – e non avevo un lavoro, quindi, +avevo molto tempo libero a disposizione. Lo trascorsi leggendo, in maniera quasi +ossessiva, i messaggi che circolavano sulla mailing list RSS 1.0, facendo ogni sorta +di lavoretto di programmazione e qualsiasi altra cosa di cui avessero bisogno. +Ben presto mi chiesero se volessi diventare un membro del gruppo, e finii per +diventare co-autore e, poi, co-editor delle specifiche RSS 1.0. L’RSS 1.0 è stato +costruito sulla base di una tecnologia chiamata RDF, che è stata fonte di accesi +dibattiti nelle liste RSS. Questo fu il motivo per cui iniziai a studiare meglio l’RDF, +a iscrivermi alle mailing list su RDF, a leggere cose, a fare domande stupide e a +iniziare, lentamente, a comprendere bene tutte le nozioni. Ben presto mi sono +fatto conoscere nel mondo dello sviluppo RDF e quando hanno annunciato un +nuovo gruppo di lavoro per sviluppare la successiva specifica RDF, ho deciso di +intrufolarmi anche in quello. +Per entrare nel gruppo, Aaron dovette elaborare una strategia ben precisa, dal +momento che le regole d’ingresso erano particolarmente rigide e lui era poco +più che un bambino. Questo fu un momento in cui, in un certo senso, iniziò ad +agire da hacker: individuò un problema e cercò la strategia più efficace e crea­ +tiva per risolverlo o, almeno, aggirarlo. Lui voleva entrare nel gruppo, le regole +apparentemente glielo impedivano, ma il richiamo per quel lavoro era troppo +forte, e doveva trovare un modo per aggirare quelle regole o per piegarle a suo +vantaggio. Doveva essere, in un certo senso, creativo. +Per prima cosa – racconta – domandai ai membri del gruppo di lavoro se potessi +partecipare alle attività. Mi dissero di no. Ma io volevo davvero far parte di quel + 194 +Aggiustare il mondo +gruppo di lavoro, così ho cercato di trovare un altro modo. Ho letto le regole alla +base del consorzio W3C, l’ente di standardizzazione che gestiva il gruppo di lavo­ +ro. Le regole stabilivano che, pur potendo rifiutare qualsiasi richiesta di adesione +da parte di un individuo, se un’organizzazione che era membro ufficiale del W3C +avesse domandato di inserire qualcuno nel gruppo di lavoro, non si poteva dire di +no. Così ho curiosato nell’elenco dei membri del W3C, ho trovato il membro che +mi sembrava più disponibile e gli ho chiesto di inserirmi nel gruppo di lavoro. E lo +fecero. Essere un membro del gruppo di lavoro significava partecipare a riunioni +telefoniche settimanalmente con tutti gli altri membri, discutere in mailing list e su +IRC, volare occasionalmente in città sconosciute per incontrarsi di persona e co­ +noscere, in generale, molti individui. Ero anche un convinto sostenitore di RDF, +quindi ho lavorato duramente per convincere altre persone ad adottare quello +standard. Quando venni a sapere che il professor Lawrence Lessig stava fondan­ +do una nuova organizzazione, chiamata Creative Commons, gli inviai un’e-mail +dicendogli che avrebbe dovuto assolutamente usare RDF per il suo progetto e +spiegandogli perché. Qualche giorno dopo mi ha risposto dicendo: «Buona idea. +Perché non lo fai per noi? ». Così finii per entrare a far parte del team di Creative +Commons, cosa che mi consentì di partecipare a bellissime conferenze, feste e +meeting dove finii per incontrare ancora più persone. Mettendo insieme tutte +queste cose, la gente cominciava a sapere chi fossi, e io cominciavo ad avere amici +in molti luoghi e a sviluppare campi di conoscenza diversi. +Una volta che Aaron si creò la sua rete, e cominciò a essere noto per le sue +competenze tecniche, venne per lui il momento di costruire. E l’ingresso nell’età +adulta, dove bisognava produrre, fu quello per lui più traumatico. L’esperienza +di Reddit, in particolare, lo inserì in un ambiente di lavoro completamente nuo­ +vo per lui. +Poi – continua – ho lasciato tutto e sono andato al college per un anno. Ho +frequentato l’Università di Stanford: una istituzione idilliaca in California dove +il sole splende sempre, l’erba è verde e i ragazzi sono sempre all’esterno delle +aule ad abbronzarsi. Ci sono ottimi professori e, sicuramente, ho imparato molto; +non ho trovato, però, un’atmosfera molto ‘intellettuale’, dato che la maggior par­ +te degli altri ragazzi sembrava profondamente disinteressata allo studio. Verso la +fine dell’anno, ricevetti un’e-mail da uno scrittore di nome Paul Graham che mi +disse che stava avviando un nuovo progetto, Y Combinator. L’idea alla base di Y +Combinator era quella di trovare un gruppo di programmatori molto intelligenti, +portarli a Boston per l’estate e dare loro un po’ di soldi, e i documenti, per av­ +viare un’azienda. Mentre i programmatori lavorano sodo per costruire qualcosa, +i manager insegnano loro tutto quello che c’è da sapere sul mondo degli affari e +li mettono in contatto con investitori e acquirenti. Paul mi ha suggerito di fare +domanda, l’ho fatto, sono stato ammesso e, dopo molte sofferenze, fatiche e lotte, +mi sono ritrovato a lavorare su un piccolo sito chiamato Reddit.com. La prima +cosa da sapere su Reddit è che non avevamo la minima idea di cosa stessimo fa­ +cendo. Non avevamo alcuna esperienza di business, non avevamo quasi nessuna +esperienza reale nella creazione di software di produzione e non avevamo idea + 195 +19. “Legacy” +se, o perché, quello che stavamo facendo avrebbe funzionato. Ogni mattina ci +svegliavamo e ci assicuravamo che il server non fosse fuori uso, che il nostro sito +web non fosse stato attaccato dagli spammer e che tutti i nostri utenti non se ne +fossero andati. Quando ho iniziato a lavorare a Reddit, la crescita è stata lenta. +Il sito è stato messo online molto presto, poche settimane dopo aver iniziato a +lavorarci, ma per i primi tre mesi non ha superato i tremila visitatori al giorno, che +è più o meno la soglia di riferimento per un feed RSS che sia realmente utile. Poi, +in un paio di settimane di maratone di coding, abbiamo migrato il sito da Lisp a +Python, e ho scritto un articolo al riguardo per il mio blog. La cosa suscitò molta +attenzione e ancora oggi, alle feste, incontro persone che, quando dico che lavo­ +ravo a Reddit, dicono «Oh, quel sito che era in Lisp». +Questa volontà di costruire qualcosa diede, poco dopo, i suoi frutti. E il sito +su cui stavano lavorando improvvisamente divenne un punto di riferimento +mondiale. Ma l’ambiente che si era creato attorno a quel progetto enorme non +faceva più per Aaron. Anche se ricorda gli inizi, il periodo dell’innocenza, delle +“poche” migliaia di utenti e del merchandising delle magliette, con percepibile +nostalgia. +In quel periodo – ricorda Aaron – il traffico del sito web iniziò a decollare. Nei +tre mesi successivi, il nostro traffico raddoppiò per ben due volte. Ogni mattina +ci svegliavamo per controllare i grafici del traffico e per vedere come stessimo +andando: se la nuova funzione che avevamo lanciato ci avesse garantito più visi­ +te, se il passaparola funzionasse, per diffondere la conoscenza dell’esistenza del +nostro sito, se tutti i nostri utenti ci avessero già abbandonati. E, ogni giorno, i +numeri aumentavano. Anche se non riuscivamo a toglierci di dosso l’impressione +che sembravamo crescere più velocemente ogni volta che ci prendevamo una +pausa dal lavoro effettivo sul sito. Non avevamo ancora idea di come fare soldi. +Vendevamo magliette sul sito, ma ogni volta che guadagnavamo un po’ di soldi, +li spendevamo per ordinare altre magliette. Abbiamo firmato un contratto con +un importante rappresentante di annunci sul web per vendere annunci sul nostro +sito, ma sembra che non siano mai riusciti a vendere annunci per noi e raramente +abbiamo guadagnato più di, letteralmente, un paio di dollari al mese. Un’altra idea +che abbiamo avuto è stata quella di concedere in licenza la “tecnologia Reddit”, +per permettere ad altre persone di costruire siti che funzionassero come Reddit. +Ma non riuscimmo a trovare nessuno che volesse acquistarci la licenza. +Reddit fu un progetto, lasciato in eredità da Aaron e dai suoi partner di allo­ +ra, che si rivelò un fenomeno commerciale incredibile, non solo per il tasso di +crescita ma, anche, come testimonianza dell’imprevedibilità alla base della net +economy e di possibili successi, o fiaschi, sempre dietro l’angolo. Generò tantis­ +simo valore, e fu subito acquisito da un gigante dei media. +Ben presto – scrive Aaron – Reddit ha raggiunto milioni di utenti al mese: un +numero di gran lunga superiore alla media degli abbonati e lettori delle riviste + 196 +Aggiustare il mondo +americane. Questo lo so perché, all’epoca, dialogavo con molti editori di riviste. +Tutti si domandavano come la magia alla base di Reddit potesse funzionare anche +per loro, per il loro mercato. All’inizio abbiamo detto di sì a tutto ciò che ci sug­ +gerivano e, fortunatamente per noi, la cosa ha funzionato, dal momento che riu­ +scivamo a programmare più velocemente di quanto loro potessero elaborare un +contratto ufficiale dove ci domandavano ciò che volevano. Inoltre, i siti di notizie +online hanno iniziato a notare come Reddit potesse dirottare verso di loro grandi +quantità di traffico web. In qualche modo, pensavano di poterlo incoraggiare ag­ +giungendo i link “reddit this” a tutti i loro articoli. Per quanto ne so, l’aggiunta di +tali link non aumenta le possibilità di essere popolari su Reddit (anche se rende il +sito più brutto), ma ci ha fornito molta pubblicità gratuita. +La fase finale della crescita di Reddit fu, come noto, la vendita del progetto. +Aaron abbandonò, in un certo senso, la sua creatura dopo aver sofferto non +poco il cambio di vita, e di luogo di lavoro, che aveva comportato l’ingresso – +per lui traumatico – nella net economy. Ricevette, però, un’enorme somma di +denaro. Non rivelò mai, pubblicamente, quanto, quasi come se si vergognasse +di questa operazione commerciale. +Ben presto i discorsi di partnership si trasformarono in discorsi di acquisizione – +scrive Aaron nel post – Acquisizione: la cosa che avevamo sempre sognato! Non +avremmo più dovuto preoccuparci di fare soldi: un’altra società si sarebbe assunta +questa responsabilità, in cambio della possibilità, per noi, di arricchirci. Abbiamo +abbandonato tutto il lavoro di coding, allora, per negoziare con i nostri acquirenti +e, poi, è rimasto tutto fermo. Abbiamo negoziato per mesi. Prima abbiamo di­ +scusso sul prezzo. Preparammo piani e fogli di calcolo, ci recammo presso la sede +centrale per fare presentazioni, facemmo riunioni e telefonate interminabili. Alla +fine, hanno rifiutato la nostra offerta, e ce ne siamo andati. Poi hanno cambiato +idea e, finalmente, ci siamo stretti la mano e abbiamo concordato le condizioni +per, poi, iniziare a negoziare su qualche altro punto chiave e allontanarci di nuovo. +Ci saremo allontanati almeno tre o quattro volte prima di ottenere un contratto +accettabile. Smettemmo di lavorare davvero, almeno per sei mesi. E io iniziai a im­ +pazzire per il fatto di dover pensare così tanto, e continuamente, ai soldi. Abbiamo +iniziato tutti a essere molto tesi per lo stress e per la mancanza di produttività nel +lavoro. Abbiamo iniziato ad aggredirci, a non parlarci e a rinnovare gli sforzi per +lavorare insieme per poi, inevitabilmente, ricominciare a urlare. L’azienda è quasi +crollata prima che l’accordo venisse concluso. Ma, alla fine, andammo negli uffici +dei nostri avvocati per firmare tutti i documenti, e la mattina dopo il denaro era +nei nostri conti bancari. Era fatta. Volammo tutti a San Francisco, e iniziammo +a lavorare negli uffici di Wired News (eravamo stati acquistati da Condé Nast, +una grande casa editrice che possiede Wired, insieme a molte altre riviste). Ero +infelice. Non sopportavo San Francisco. Non sopportavo la vita d’ufficio. Non +sopportavo Wired. Mi presi una lunga vacanza di Natale. Mi ammalai. Ho pensato +al suicidio. Sono scappato dalla polizia. E quando sono tornato il lunedì mattina, +mi è stato chiesto di dimettermi. + 197 +19. “Legacy” +Dopo il periodo di crisi, ricorda Aaron, venne però il momento di godersi la +libertà. Questo trauma, durato diversi mesi, aveva generato qualcosa di buono +e gli aveva aperto nuove prospettive su ciò che voleva realmente fare nella vita. +Anche per tutelare la sua salute. Nella parte centrale del post, in particolare, il +ragazzo cerca di rassicurare gli ascoltatori alla conferenza sul fatto che quel suo +brutto passaggio nella luccicante Silicon Valley fosse stato, comunque, per lui +necessario. Si rivelò indispensabile per comprendere chiaramente che cosa vo­ +lesse fare nella sua vita. Da lì in avanti, infatti, iniziò con un flusso interminabile +di idee e di progetti. E nelle righe che seguono si noterà, proprio, questo affa­ +stellarsi di contatti, persone, progetti iniziati e abbandonati e altri, invece, portati +avanti con successo: un quadro che descrive egregiamente, con le sue stesse +parole, come sarà la sua vita, e come si connoteranno le sue giornate, di lì in poi. +I primi giorni senza un lavoro sono stati strani – rammenta – Sono rimasto in +casa. Ho approfittato del sole di San Francisco. Ho letto qualche libro. Ma, presto, +ho sentito che avevo di nuovo bisogno di partire con un progetto. Ho iniziato a +scrivere un libro. Volevo raccogliere tutti gli studi interessanti che avevo trovato +nel campo della psicologia e raccontarli non come risultati di ricerche ma come +storie. Ogni giorno andavo a Stanford per fare ricerche nella loro biblioteca (Stan­ +ford è un’ottima scuola per psicologi). Ma, un giorno, ricevetti una telefonata da +Brewster Kahle. Brewster aveva fondato Internet Archive, un’incredibile organiz­ +zazione che cerca di digitalizzare tutto ciò su cui riesce a mettere le mani e, poi, di +metterlo in rete. Mi disse che voleva iniziare un progetto di cui avevamo parlato in +passato. L’idea era quella di raccogliere informazioni su tutti i libri del mondo in +un unico luogo, un wiki gratuito. Mi misi subito al lavoro e, nei due mesi succes­ +sivi, iniziai a telefonare alle biblioteche, a coinvolgere programmatori, a lavorare +con un designer e a fare ogni sorta di altri lavori strani per mettere online il sito. +Quel progetto ha finito per diventare Open Library e una versione dimostrativa è +ora disponibile su “demo.openlibrary.org”. Gran parte del progetto è stato realiz­ +zato da un programmatore indiano di grande talento: Anand Chitipothu. Un altro +amico, Seth Roberts, ci ha suggerito di trovare un modo per riformare il sistema +di istruzione superiore. Non siamo riusciti a trovare una soluzione valida, ma ci +siamo trovati d’accordo su un’altra buona idea: un wiki per raccontare agli studen­ +ti come sono i diversi lavori nella nostra società. Il sito dovrebbe essere lanciato +a breve. Poi un altro vecchio amico, Simon Carstensen, mi ha mandato un’e-mail +dicendomi che si stava laureando e che voleva fondare un’azienda con me. Avevo +conservato una lista di aziende che ritenevo avessero delle buone idee, e ho estrat­ +to la prima dalla lista. L’idea era questa: rendere la costruzione di un sito web facile +come l’operazione di riempire una casella di testo. Nei mesi successivi abbiamo +lavorato alacremente per rendere le cose sempre più semplici (e anche un po’ più +complesse). Il risultato, lanciato un paio di settimane fa, è “Jottit.com”. Mi sono +anche iscritto, come mentore, a due progetti della Summer of Code, entrambi +straordinariamente ambiziosi e che, con un po’ di fortuna, dovrebbero essere +lanciati a breve. Ho anche deciso di dedicarmi al giornalismo. La scorsa settimana +è stato pubblicato il mio primo articolo su carta stampata. Ho anche aperto un + 198 +Aggiustare il mondo +paio di blog sulla scienza, e ho iniziato a lavorare a un mio articolo accademico. +Si basa su uno studio che ho fatto qualche tempo fa su chi ha scritto Wikipedia. +Alcune persone, tra cui Jimmy Wales, il portavoce pubblico di Wikipedia, sostene­ +vano che Wikipedia non fosse poi un progetto così grande e distribuito, ma che +fosse, invece, scritto solo da circa 500 persone, molte delle quali da lui conosciute. +Aveva presentato alcuni semplici studi a sostegno di questa affermazione, ma io +ho analizzato i numeri con più attenzione e ho scoperto il contrario: la stragrande +maggioranza di Wikipedia è stata creata da nuovi redattori, per lo più persone che +non si sono nemmeno preoccupate di creare un account, aggiungendo un paio +di frasi qua e là. Come ha fatto Wales a commettere un errore così grande? Ha +esaminato il numero di modifiche apportate a Wikipedia da ciascun utente, ma +non ha considerato l’entità delle modifiche. È emerso come vi sia un gruppo di +500 persone che apporta un numero enorme di modifiche a Wikipedia, ma tutte +le loro modifiche sono minime: eseguono operazioni come correggere l’ortogra­ +fia e cambiare la formattazione. Sembra molto più ragionevole credere che 500 +persone abbiano modificato gran parte di un’enciclopedia piuttosto che pensare +che l’abbiano scritta loro. +La parte finale del post, dopo che Aaron ha descritto il suo percorso fino a +quel momento, è riservata ad alcuni consigli. La parola che più ricorre, inevita­ +bilmente, è curiosità. Un’idea di curiosità legata a doppio filo al mondo dei primi +hacker. +Qual è il segreto? Come posso riassumere le cose che faccio in frasi sintetiche +che mi facciano sembrare il più bravo possibile? – conclude Aaron – Ecco: siate +curiosi. Leggete molto. Provate cose nuove. Credo che molto di ciò che la gente +chiama intelligenza si riduca alla curiosità. Dite di sì a tutto. Ho molti problemi +a dire di no, quasi in misura patologica, sia a progetti che a colloqui, o ad amici. +Di conseguenza, faccio molti tentativi, e anche se la maggior parte di essi fallisce, +ho comunque fatto qualcosa. Supponiamo che anche gli altri non abbiano idea di +quello che stanno facendo. Molte persone si rifiutano di provare a fare qualcosa +perché ritengono di non saperne abbastanza o, perché, pensano che gli altri ab­ +biano già provato tutto quello che è venuto loro in mente. In realtà, sono poche +le persone che hanno idea di come fare le cose nel modo giusto e, ancora meno, +quelle che vogliono provare cose nuove. Quindi, di solito, se si fa del proprio +meglio in qualcosa, si riesce a farlo abbastanza bene. Ho seguito queste regole. Ed +eccomi qui, oggi, con una dozzina di progetti in ballo e un livello di stress ancora +una volta alle stelle. Ogni mattina mi sveglio e controllo la mia e-mail per vedere +quale dei miei progetti sia imploso oggi, quali scadenze siano in ritardo, quali +discorsi debba scrivere e quali articoli debba modificare. Forse, un giorno, anche +voi potrete trovarvi nella stessa situazione. Se è così, spero di aver fatto qualcosa +per aiutarvi. + 199 +19. “Legacy” +A parte l’idea di curiosità, di partire con nuovi progetti, di creare relazioni +con le persone, di vivere diverse vite cambiando improvvisamente lavoro e inte­ +ressi, Aaron era anche pienamente integrato nella cultura americana di quell’e­ +poca che suggeriva di provare e di non aver timore per un eventuale fallimento. +L’imprenditoria di quegli anni non stigmatizzava i fallimenti e le crisi delle +startup, ma consentiva ai più giovani di provare, appunto, senza conseguenze. +Era cosa normale, per un giovane di allora, fallire una o due volte per poi, però, +avere successo. E anche i finanziatori, e gli incubatori di startup e progetti, era­ +no ben consapevoli di quel fatto. +Fu questo approccio che diede il via all’economia della Silicon Valley di que­ +gli anni; e questo stesso ambiente fu quello, abbiamo visto, che fece cambiare +vita ad Aaron dopo averlo portato sulla soglia di un esaurimento nervoso. + 20. Su Aaron Swartz +Aaron, nella sua breve vita, ha scritto tantissimo e tanti scritti parlano di lui. +La scrittura era la sua passione, e non solo la scrittura di codice; per di più, aveva +spesso confessato di voler fare professionalmente lo scrittore e il giornalista. Si +era appassionato, tra gli altri, alle opere, e alla vita, di David Foster Wallace. +Accanto ai suoi scritti, furono caricati sul web, dopo la sua morte, decine di +interviste, documentari, film, commemorazioni, articoli, libri e commenti che +ancora oggi, ciclicamente, sono proposti come materiale prezioso per celebrare +le sue azioni e la sua opera. +I familiari e gli amici hanno fatto il possibile per mantenere online i post del +suo blog e il suo sito web – probabilmente la fonte più interessante per riper­ +correre i momenti salienti della sua vita e della sua formazione culturale –, così +come sono rimaste le sue “tracce” sui siti dove creava e pubblicava codice e nei +progetti che aveva avviato. +Un incidente al suo server fece sparire i suoi post più risalenti, ma alcuni +volontari, con molta pazienza, li hanno recuperati e rimessi in linea. Oggi, per­ +tanto, possiamo analizzare gli scritti di Aaron sin dal suo primo post (il classico +“Hello, World”, apparso in rete il 13 gennaio 2002). +Gran parte delle cose che ha fatto, e scritto, a partire dai suoi 12 anni sono ri­ +maste, per così dire, pubbliche, e siamo in possesso, quindi, di un ottimo punto +di partenza per chi volesse ricostruire la sua vita e i multiformi aspetti del suo +carattere. +Per chi fosse appassionato di film e documentari, l’iniziativa probabilmente +più celebre – e riuscita – per ricordarlo ha preso la forma di una pellicola del +2014. Il titolo è molto suggestivo – The Internet’s Own Boy, “il ragazzo/figlio di +Internet” – e il video è reperibile liberamente sui maggiori canali e piattaforme +di streaming. +Il regista dietro quest’opera si chiama Brian Knappenberger. L’approccio è +molto critico nei confronti del sistema che ha, per molti versi, contribuito alla +morte di Aaron. Al contempo, elenca gli spunti che Aaron ha lasciato alle gene­ +razioni future per costruire un mondo migliore. +Già la scelta importante del regista di iniziare la pellicola con una frase di +Henry David Thoreau – «Esistono delle leggi ingiuste / ci accontenteremo di +obbedire a loro, o dovremmo cercare di modificarle e di obbedire finché non ci +riusciamo, o le dovremmo trasgredire subito?» – vuole evidenziare il rapporto +costante di crisi che ci fu tra Aaron e la società/sistema che aveva attorno. +Per nulla velate sono, anche, le accuse nei confronti del governo – che avreb­ +be voluto farne un “esempio”, per il suo insaziabile desiderio di controllo nei + 202 +Aggiustare il mondo +confronti del mondo degli hacker – e del MIT, che avrebbe tradito tutti i suoi +principi. +Aaron dichiara, all’inizio del documentario, come crescendo si fosse reso +conto che, nel mondo attorno a lui, ci fossero tante cose che andavano cambiate +e che potevano essere cambiate, e che erano sbagliate e, quindi, dovevano essere +per forza cambiate. Nel momento in cui ha capito quelle cose, ha capito anche +che non si poteva più tornare indietro. +Il documentario insiste, nei primi fotogrammi, sulle immagini, e oggetti, che +hanno caratterizzato l’infanzia di Aaron. +Da bambino viene ripreso con, spesso, in mano un libro; appare determinato, +e con una curiosità senza fine. Legge, ma spiega anche, e questa voglia di spiegare +è molto importante nei progetti che vorrà portare avanti da adulto. La madre +ricorda che quando tornò a casa dalla sua prima lezione di algebra, la volle su­ +bito insegnare ai fratelli. +Non è, quindi, un caso che i suoi primi progetti, da bambino, riguardassero +la programmazione – vista come “strumento magico” che avrebbe potuto risol­ +vere i problemi che gli esseri umani non riuscivano a risolvere – e dei repository +di conoscenza, dove chi sapeva poteva inserire informazioni, e altre persone +potevano correggere eventuali errori o integrare quelle informazioni. +Fu allora naturale, anche se eccezionale, per lui entrare nella cerchia di pro­ +grammatori e programmatrici che stavano sviluppando l’RSS attorno al lavoro e +la guida di Tim Berners-Lee. Naturale perché l’RSS era proprio uno strumento +che avrebbe consentito di recuperare sommari ed estratti di contenuti presenti +su altre pagine web – si poteva usare, ad esempio, per i blog – per poi avere una +sintesi sempre aggiornata di cosa stesse capitando sulle altre pagine e per creare +una lista unificata dei contenuti che venivano man mano pubblicati. +Viveva, insomma, con un desiderio innato di raccogliere informazioni ma, +anche, di ordinarle affinché fossero realmente fruibili da parte delle persone e, +quindi, concretamente utili. +Anche perché, il collegamento tra le informazioni avrebbe portato, come +conseguenza, il collegamento tra le persone e le loro menti. +Un’altra cosa che è rimasta di lui, ed è descritta chiaramente nella prima parte +del documentario, è il suo mettere tutto in discussione: la scuola, la società, il +business e un’idea arretrata di copyright che stava entrando in collisione, nei +ragazzi della sua generazione, con la potenza di Internet e con i nuovi compor­ +tamenti che si erano diffusi. +Mise in discussione anche un’università importante come Stanford, dove si +immatricolò, ma rimase solo un anno, e poi si scagliò contro quel mondo delle +startup che lo vide protagonista subito dopo, con un progetto incredibile: lui e +i suoi amici partirono da zero e, giorno dopo giorno, utente dopo utente, sem­ +plicemente scrivendo codice, crebbero sino a dar vita a un sito di importanza +mondiale e ad attirare l’interesse e i fondi di un gigante dell’editoria. Ma la vita + 203 +20. Su Aaron Swartz +da milionario in California non gli piace, si trova male sin dal primo giorno di +lavoro, trova l’ambiente chiuso – impazzisce quando l’azienda gli fornisce un +computer dicendo che «non avrebbe potuto installarci nulla» – e capisce ben +presto di avere altre aspirazioni, soprattutto politiche. +Aaron contestò in toto la Silicon Valley e il suo sistema, respinse il mondo +del business, e vide Tim Berners-Lee come modello da seguire: una persona +che aveva tra le mani una grande invenzione ma, invece di trarne profitto, aveva +deciso di regalare il world wide web all’umanità. +In realtà, anche se il periodo di San Francisco è stato uno spartiacque impor­ +tante, c’è continuità con quello che fece dopo: i nuovi progetti riguardarono, +comunque, il facilitare e l’organizzare l’accesso alle informazioni pubbliche, la +progettazione di grandi siti editabili con tecnologia wiki e partecipazione pubbli­ +ca, l’ideazione di interfacce facili a uso di quelle persone che volessero accedere +alle informazioni, la garanzia di un accesso pubblico ai materiali in pubblico +dominio e un attacco costante alla strategia governativa di far pagare per la +richiesta di copie di materiale pubblico. +Un aspetto non secondario dell’eredità di Aaron è, poi, come fare hacking +del sistema politico, una cosa che si può fare soltanto se si ha una conoscenza +accurata dell’intero processo legislativo e del funzionamento del sistema stesso. +Fare hacking vuol dire, per lui, organizzare le persone con strumenti tecnolo­ +gici, sostenendo bassi costi, con rapidità e intervenendo concretamente “libe­ +rando i documenti”. Per di più, stava facendo hacking del sistema in un periodo +storico – di attivismo e di proteste – che era l’ideale per portare avanti, in tutto +il mondo, determinate iniziative. +Una seconda fonte, molto importante per ripercorrere la vita di Aaron e per +distillare le parti più interessanti del suo pensiero, è un libro di quasi quattrocen­ +to pagine, intitolato “The boy who could change the world”, che ha raccolto in +lingua inglese, nel 2015, tutti gli scritti più importanti di Aaron. +Il criterio adottato nell’indice per ripercorrere la vita del giovane è molto +significativo, e permette di comprendere in concreto quali siano stati i suoi temi +di interesse e, quindi, in quali ambiti abbia contribuito maggiormente con la sua +azione. +I curatori, in particolare, hanno individuato i temi della cultura libera, dei +computer e della programmazione, della politica, dei media, dei libri e del con­ +flitto con il sistema scolastico, come i punti essenziali della sua vita: quasi delle +parole-chiave, o degli hashtag, che hanno connotato i suoi anni. +Il 29 dicembre 2015, uno scrittore, Malcom Harris, partendo dalla recensio­ +ne di questo libro, pubblicò un articolo su The New Republic dove analizzò, in +un certo senso, tutti gli scritti che Aaron aveva lasciato. Lo intitolò “Reading +Everything Aaron Swartz Wrote”, e trasse delle conclusioni molto interessanti. +Vediamo, insieme, i passaggi più importanti di questo articolo, che fornisce +nuove chiavi di discussione a diversi momenti cruciali dell’esistenza di Aaron. + 204 +Aggiustare il mondo +Harris cerca, innanzitutto, di ricavare, da tutti gli scritti del giovane, dei canali +interpretativi ben definiti. +Non conoscevo Aaron abbastanza da poter fare ipotesi su come si sarebbe sentito +riguardo ai contenuti del libro con i suoi scritti – nota lo scrittore – ma lo conosce­ +vo abbastanza bene, tanto che chiamarlo “Swartz” mi sembra sbagliato. Ci siamo +frequentati forse una manciata di volte, mi ha intervistato per il suo podcast. +Quando si è ucciso, credo di aver provato più dolore di quanto ne avessi diritto, e +ho cercato di non pensare troppo a lui. Aaron era così dedito all’impegno civile, +che mi è stato impossibile separare il mio senso di perdita personale da quello +collettivo. Anche se non eravamo d’accordo su molte cose, mi sento ancora parte +di quel noi che contava su Aaron, almeno per quanto riguarda la sua presenza. “Il +ragazzo che poteva cambiare il mondo” è un libro difficile da recensire. Sviscerare +il pensiero di Aaron sui media, o sui flussi di denaro in politica, è brutto, come +criticare i fiori a una veglia funebre. Invece di organizzare gli scritti cronologica­ +mente, o anche cronologicamente all’interno delle sue sezioni tematiche (cultura +libera, computer, politica, media, libri e cultura, e unschool), l’editore di The Boy ha +fatto la scelta, discutibile, di frammentare, e disperdere, il percorso intellettuale di +Swartz. Saltando da Swartz quattordicenne a quello ventunenne a quello dicias­ +settenne, è difficile capire quali idee stia assorbendo e quali si stia lasciando alle +spalle. La raccolta non presenta Swartz come un pensatore la cui evoluzione è +importante per il resto di noi da capire; è un progetto elegiaco su un giovane che +aveva un buon cuore, un potenziale illimitato e voleva aiutare le persone. Se non +fosse per l’occasionale riferimento al suicidio di David Foster Wallace, avvenuto +qualche anno prima di quello di Aaron, un lettore che prendesse in mano il libro +potrebbe chiedersi cosa gli sia successo. +Harris affronta, se pur sinteticamente, tutti i temi trattati in questa raccolta di +scritti +di +Aaron. +In +particolare, +sembra +essere +interessato, +soprattutto, +all’unschooling, + +ossia alle teorie di Aaron sui difetti del metodo educativo tradizionale e, al con­ +trario, sull’efficacia dell’auto-formazione. +Avrei voluto – nota con un pizzico di polemica – che la raccolta iniziasse con la +sezione finale sull’“unschooling”. Essa comprende gli scritti di Aaron dell’età di +14 anni, quando prende la decisione di abbandonare la scuola superiore per diven­ +tare autodidatta, nonché una conferenza di un decennio dopo, intitolata, sempli­ +cemente, “Scuola”, che più di ogni altro passaggio del libro evidenzia le capacità +di Aaron come studioso e intellettuale. Il volume è un diario dell’auto-formazione +di Aaron; si può vedere il suo cervello muoversi. Fin dall’adolescenza, Aaron ha +preso in mano le redini della propria istruzione e i risultati sono impressionanti, +oltre che affascinanti. Un incontro con un documentario di Noam Chomsky su +Netflix lo manda in tilt, le note a piè di pagina di Foster Wallace si ritrovano nei +post del blog di Aaron. Cercare di trovare un modo per mettere il suo talento al +servizio del miglioramento del mondo è stato, per Aaron, una componente vitale +della sua autoformazione. + 205 +20. Su Aaron Swartz +Harris lo continua a vedere, però, come un eterno ragazzo, nonostante le sue +attività abbiano cambiato, in tanti ambiti, il mondo. Ricorda il suo entusiasmo e +la sua capacità di connettere persone. +Credo che uno dei motivi per cui Aaron sembra sempre un ragazzo – sostiene – è +che era così aperto ed entusiasta di imparare, come raramente lo sono gli adulti, +compresi e, forse, soprattutto, i cosiddetti “adulti colti”. Era geneticamente aperto +a nuove informazioni, a fatti che non aveva mai sentito e ad angoli a cui non aveva +mai pensato. L’educazione di Aaron era più vicina a quella che i greci chiamava­ +no paideia – la formazione dell’attenzione, l’educazione di un cittadino – che alla +versione moderna che la maggior parte di noi riceve. Grazie alle sue eccezionali +capacità di programmazione, e a uno schermo dietro il quale si sentiva a suo agio, +Aaron poteva seguire le sue passioni e i suoi interessi. Si pensi che ha fatto amici­ +zia con lo storico Rick Perlstein, inviandogli un’e-mail all’improvviso, con l’offerta +di un sito web gratuito. +L’accesso libero alle informazioni pubbliche fu il primo, grande ambito nel +quale il giovane Aaron si sentì in dovere di intervenire. Questa idea si rivelò, ben +presto, poca cosa rispetto ai problemi più importanti che Aaron aveva iniziato a +intravedere nella società che lo circondava. Soprattutto la corruzione in politica. +La pubblicazione di informazioni pubbliche – ribadisce Harris – si adattava al +talento di Aaron. Era una sorta di hacking dove, però, la legge non era qualcosa +da eludere, bensì un altro sistema con vulnerabilità e scappatoie da individuare. +L’immaginazione e l’attenzione ai dettagli di Aaron lo rendevano eccellente, ma la +sua ambizione non gli avrebbe permesso di riposare sugli allori. Fornire accesso +alle informazioni non sarebbe stato sufficiente per combattere la cospirazione di +menzogne della destra. Ha provato ad aggregare i dati dei politici, poi a cercare +di eleggere direttamente i candidati progressisti, ma nessuna delle due cose ha +funzionato molto bene. A un certo punto, ha persino accarezzato l’idea di trovare +finanziatori per una vasta cospirazione di sinistra. Ma il fallimento, per Aaron, era +una parte necessaria del tentativo: l’unico modo per imparare. +Con riferimento ai guai giudiziari di Aaron, Harris espone alcune sue inter­ +pretazioni interessanti. Evidenzia, in particolare, la guerra legale che, a un certo +punto, prese di mira il giovane, condizionandogli radicalmente la vita. +I procuratori – scrive – hanno sostenuto che Aaron scaricava file di documenti +accademici per renderli pubblici: una tattica sostenuta nel Guerrilla Open Access Ma­ +nifesto, un pezzo entusiasmante che non è attribuito solamente ad Aaron. L’editore +suggerisce che potrebbe essere opera di più autori, il che mi sembra plausibile. In +base a ciò che so di Aaron, non credo che questa fosse la sua intenzione. Sospetto +che avesse intenzione di pubblicare solo il lavoro di dominio pubblico che veniva +impropriamente tenuto dietro un paywall. Non credo che avesse intenzione di in­ +frangere la legge, ma di aggirarla. Credo che ritenesse che questo fosse importan­ + 206 +Aggiustare il mondo +te. In un certo senso, Aaron è un ammonimento per l’unschooling. Una delle lezioni +che la scuola insegna è che le persone che fanno le regole non sono obbligate a +seguirle. È una cosa che anche gli studenti più ribelli imparano, in un modo o +nell’altro, ma Aaron ha cercato una serie di regole diverse e si è fatto strada fuori +dalla scuola. Da un lato Aaron era felice della sua scelta, e si sentiva più coinvolto +e a suo agio con i compagni online; dall’altro, ha dovuto sopportare una perico­ +losa lezione sulla navigazione nei sistemi burocratici. Molti studiosi di diritto ed +esperti di tecnologia pensavano che Aaron si fosse attenuto alla lettera della legge, +ma il sistema giudiziario penale è contrario al tipo di hacking che lui era solito +praticare. Non so se abbia pensato di fuggire dal Paese, ma ne dubito. Forse, se +fosse sopravvissuto per vedere Edward Snowden e la sua fuga dall’estradizione, le +cose sarebbero state diverse. +Harris se la prende, nella parte finale del suo articolo, con tutti coloro che, +dopo i fatti, si sono in un certo senso “chiamati fuori”. Critica, in particolare, +Lawrence Lessig e il MIT. +Sono rimasto sorpreso – conclude Harris – quando ho visto il filmato di sicurezza +di Aaron che entrava nell’edificio del MIT, con il casco da ciclista tenuto a malapena +davanti al viso e i capelli che spuntavano ai lati. Avevo letto il Manifesto, ma non pen­ +savo che rispecchiasse davvero le intenzioni di Aaron. Ero preoccupato per quello +che poteva succedergli, ma non così tanto. Pensavo che avesse un sostegno istituzio­ +nale sufficiente a limitare la sua eventuale punizione a un buffetto. Ero, soprattutto, +arrabbiato perché non aveva preso abbastanza sul serio quello che stava facendo; +con un team, e un po’ di pianificazione, le autorità non sarebbero mai state in grado +di collegare Aaron a quell’azione. Ma le operazioni segrete non erano uno dei suoi +punti di forza, e non ha mai avuto la possibilità di imparare. Se faccio parte del noi +che contava su Aaron, allora faccio anche parte del noi che lo ha deluso. Pensavo +che le sue conoscenze, la sua credibilità e la sua reputazione lo avrebbero tenuto +al sicuro, e forse lo pensava anche lui. Forse lo abbiamo convinto che un ragazzo +come lui potesse cambiare il mondo, o almeno trovare sempre una via di fuga. Ma +non c’è individuo che non possa essere eliminato se oltrepassa la linea sbagliata +o, semplicemente, se incontra il procuratore sbagliato. Quando ho visto Lawrence +Lessig, amico intimo di Aaron, mentore, stimato avvocato e professore di Harvard, +prendere le distanze dalle azioni di Aaron dopo la sua morte, mi sono infuriato. In +un post sul blog che denunciava il procuratore del caso di Aaron, Carmen Ortiz (di +cui, in qualche modo, trascura di fare il nome), Lessig ha avuto cura di premettere +che se ciò che il governo sostiene è vero, allora ciò che ha fatto Aaron è sbagliato. +E se non è sbagliato dal punto di vista legale, almeno è sbagliato dal punto di vista +morale. Le cause per cui Aaron ha combattuto sono anche le mie. Ma per quanto +rispetti coloro che non sono d’accordo con me, questi pensieri non sono i miei. È +stato vile, irrispettoso e ha isolato nuovamente Aaron nella morte. Era, il ragazzo, +un tragico spreco, non un compagno ucciso o un martire. Dire che era mal consi­ +gliato serviva come scusa per non essere al suo fianco. + 21. Libertà del codice, della scienza e della +cultura +In un momento importante della sua vita – più o meno a partire dai 14 anni +– Aaron iniziò a interessarsi di libertà, sotto vari aspetti e accezioni. +Vi fu, innanzitutto, l’innegabile influenza, molto importante, di Richard +Stallman e del movimento del software libero, con riferimento alla libertà del +codice informatico; a ciò, si aggiunse la frequentazione di Tim Berners-Lee e il +lavoro, pubblico e gratuito, effettuato dagli scienziati del consorzio per il web +sugli standard che stavano elaborando. Lo affascinarono, poi, i nuovi limiti di +libertà che cercava di stabilire Lawrence Lessig con il progetto Creative Commons, +per liberare il più possibile le opere amatoriali dell’ingegno prodotte e scambiate +in rete. Il passo successivo fu un vivo interesse per il mondo dell’open access e +della diffusione libera degli articoli scientifici per, poi, approdare quasi natural­ +mente a una forte volontà di ‘liberazione’ di tutto ciò di documentale che fosse +prodotto dal comparto pubblico e finanziato con i soldi dei cittadini. +Al contempo, sin da ragazzino, nei suoi primi post sui blog, descriveva senza +particolari problemi il suo costante uso di sistemi di file sharing e di peer-to-pe­ +er per scaricare musica e film e la sua opposizione al concetto di “pirateria” così +come veicolato, in un’ottica negativa, dal governo e dal legislatore. +Infine, ci fu un momento di forte innamoramento per Wikipedia e per ciò che +rappresentava, dal punto di vista della libertà e della condivisione, questa inven­ +zione geniale che era apparsa nel mondo della nuova cultura digitale. +L’idea di libertà di Aaron era pienamente inserita nella tradizione nordame­ +ricana. Si legga, ad esempio, questo post nel suo blog, datato 12 gennaio 2004 +e intitolato, significativamente, “Jefferson: Nature Wants Information to Be +Free”. Il riferimento diretto a Thomas Jefferson è utilizzato per estendere le +sue idee libertarie al mondo, a lui caro, della condivisione della conoscenza e +dei contenuti. +Dal momento che in molti hanno affermato che la mia visione del diritto d’au­ +tore e dei brevetti è infantile, e che è dovuta solo al fatto che sono cresciuto con +Napster e non scrivo per professione, ho pensato di indagare su alcuni punti di +vista più rispettabili sull’argomento. E chi meglio di Thomas Jefferson, il nostro +terzo presidente più riflessivo? A giudicare dalla sua lettera a Isaac McPherson, il +pensiero di Jefferson è il seguente: +Nessuno mette seriamente in dubbio che la proprietà sia una buona idea, ma è +bizzarro suggerire che le idee debbano essere proprietà. La natura vuole chiara­ +mente che le idee siano libere! Sebbene si possa tenere un’idea per sé, non appena +la si condivide, chiunque può averla. E una volta che l’ha avuta, è difficile che se ne +liberi, anche se lo volesse. Come l’aria, le idee sono incapaci di essere rinchiuse e + 208 +Aggiustare il mondo +accumulate. E non importa quante persone la condividano, l’idea non diminuisce. +Quando ascolto la tua idea, acquisisco conoscenza senza sminuire nulla della tua. +Allo stesso modo, se usi la tua candela per accendere la mia, ottengo luce senza +oscurare te. Come il fuoco, le idee possono abbracciare il mondo senza diminuire +la loro densità. Pertanto, le invenzioni non possono essere proprietà. Certo, pos­ +siamo concedere agli inventori un diritto esclusivo al profitto, magari per incorag­ +giarli a inventare nuove cose utili, ma questa è una nostra scelta. Se decidiamo di +non farlo, nessuno può opporsi. Di conseguenza, l’Inghilterra era l’unico Paese ad +avere una legge del genere, finché gli Stati Uniti non l’hanno imitata. In altri Paesi, +i monopoli possono essere concessi, occasionalmente, con un atto speciale, ma +non esiste un sistema generale. E non sembra che questo li abbia danneggiati: quei +Paesi sembrano essere altrettanto innovativi dei nostri. +(Non sto citando direttamente Jefferson, sto traducendo ciò che ha detto in in­ +glese moderno e omettendo qualcosa, ma non gli ho messo in bocca parole non +sue - Jefferson ha detto tutte queste cose). +La prima cosa da notare è che Jefferson potrebbe essere stato il primo a dire, in +sostanza, «l’informazione vuole essere libera!». (Jefferson attribuì questa volontà +alla natura, non all’informazione, ma il senso era lo stesso). Pertanto, tutte le per­ +sone che liquidano questa affermazione come assurda dovrebbero dare qualche +spiegazione. +La seconda è che, sebbene Jefferson parli ripetutamente di “idea”, la sua logica si +applica ugualmente, ad esempio, a una melodia o a un qualcosa di orecchiabile e +quindi a quasi tutto ciò che comunemente chiamiamo “legge sulla proprietà intel­ +lettuale” (soprattutto copyright, marchi e brevetti). +La terza è che, sorprendentemente (soprattutto per me!), Jefferson è pazzo quan­ +to me: +Per loro stessa natura, le idee non possono essere proprietà. +Il governo non ha il dovere di fare leggi su di esse. +Le leggi che facciamo non hanno molto successo. +Se Jefferson non era soddisfatto delle leggi relativamente modeste del 1813, qual­ +cuno può seriamente suggerire che non sarebbe furioso con le leggi espansioni­ +stiche di oggi? Dimenticate la Free Software Foundation e le licenze Creative Commons, +Jefferson sarebbe là fuori a sostenere la resistenza armata e l’impeachment dei +giudici che hanno votato contro Eldred! (OK, forse no, ma di certo farebbe di più +che scrivere licenze di copyright). +È vero che all’epoca di Jefferson non c’erano né film né reti televisive, ma c’e­ +rano sicuramente libri e invenzioni. Le persone si guadagnavano da vivere come +scrittori o inventori. È difficile sostenere che Jefferson cambierebbe idea oggi per +motivi economici - semmai sospetto che, vedendo la facilità di condivisione delle +idee su Internet, sosterrebbe la necessità di leggi meno restrittive. +Jefferson pensava che queste leggi fossero contrarie alla natura umana quando +riguardavano solo le persone con grandi officine o con macchine per la stampa +- immaginate quanto si sarebbe arrabbiato vedendo che queste leggi limitano pra­ +ticamente tutti, anche chi fa cose perfettamente inoppugnabili (come insegnare al +proprio cane-robot AIBO a ballare o girare un documentario). +Ora forse la gente troverà Jefferson un facile argomento per un attacco ad homi­ + 209 +21. Libertà del codice, della scienza e della cultura +nem come lo ha trovato per me. E il fatto che Jefferson l’abbia detto non lo rende +vero - ovviamente le sue opinioni erano anche oggetto di discussione all’epoca. +Ma quando i suggerimenti del nostro terzo presidente vengono definiti “autogiu­ +stificazione”, “egoismo”, “superficiali”, o quelli di un “idiota”, “disgustosi”, un +“fraintendimento” della legge (!), e “immorali”, allora ci si deve fermare e chieder­ +si: che cosa sta succedendo? +Il movimento alla base dell’idea di open access è uno di quelli che ha rivestito +un ruolo tra più importanti nella storia, e nelle motivazioni, di Aaron. Alcuni +commentatori, dopo la sua morte, arrivarono persino a definirlo come un atti­ +vista che per l’open access aveva dato letteralmente la vita. +Il giovane credeva tantissimo in molti dei principi sostenuti dai teorici di que­ +sto movimento, tanto da rischiare più volte sanzioni, in prima persona, superan­ +do i confini dei termini di servizio delle grandi banche dati – con conseguenti, +inevitabili guai giudiziari – per metterli in pratica. +Ancora oggi, a dieci anni di distanza, le idee alla base dell’open access sono +estremamente affascinanti, e centrali, per il mondo della ricerca. +All’origine delle idee che Aaron aveva assorbito vi erano, probabilmente, i +contenuti di alcune dichiarazioni formali che risalivano ai primi anni Duemila. +Ci riferiamo, in particolare, alla Dichiarazione di Budapest, alla Dichiarazione +di Bethesda sull’Open Access in editoria e alla Dichiarazione di Berlino. Erano +tutti testi che cercavano di veicolare, in estrema sintesi, l’idea, e l’esigenza, che +i risultati di una ricerca scientifica finanziata con denaro pubblico dovessero +essere aperti, pubblici e fruibili da chiunque senza alcuna limitazione. +Un approccio simile sarebbe stato immediatamente benefico per la società +tutta. I lavori scientifici sarebbero stati, in particolare, più visibili e non confinati +in oscuri centri di ricerca e sperdute biblioteche periferiche o, se messi in rete, +accessibili solo a individui e istituzioni in grado di pagare. Si sarebbe alimentato +un dibattito sui lavori, più visibili e, quindi, conoscibili (qui entrava in gioco, +anche, il metodo scientifico della contestabilità, tanto amato da Aaron). Il web +avrebbe, poi, facilitato incredibilmente accesso e ricerca di quei prodotti, ampli­ +ficandone l’influenza e permettendo, allo stesso tempo, una maggior citazione +di quei contributi. +Aaron amava notoriamente i luoghi pubblici che racchiudevano scienza e +cultura. Quando si presentò davanti alla Corte Suprema, invitato da Lessig, si +ritagliò mezza giornata di tempo per andare a visitare la Libreria del Congresso. +Per Aaron, l’idea di open access, unita all’idea di istituzione o ente pubblico, +era la formula ideale per consentire non solo di valutare efficienza, merito ed +eccellenza dell’istituzione per quanto riguardava la produzione scientifica ma, +anche, per ripensare completamente gli accordi contrattuali con tutti gli editori +che, a suo avviso, “cannibalizzavano” il settore pubblico proprio per ottenere + 210 +Aggiustare il mondo +profitto da opere che, in realtà, già erano state in qualche modo finanziate dai +cittadini e dalle loro tasse. +Il punto, nodale, dei rapporti con gli editori interessati a questi prodotti della +scienza è stato il campo di battaglia di Aaron per gran parte della sua vita. +In realtà, il copyright non era, per lui, materiale di specifico studio e interes­ +se, ma gli interessava, per così dire, indirettamente: Lessig era riuscito a fargli +comprendere come la battaglia attorno al copyright fosse, in realtà, una battaglia +legata alla civiltà stessa di una società e ai diritti costituzionali dei cittadini. +Per Aaron, impegnato in battaglie per cambiare il mondo, il tema del copyri­ +ght in sé era una “piccola cosa”, molto specifica e per tecnici. Ma era diventata +enorme, e meritava tutti i suoi sforzi, quando aveva intravisto i suoi legami con +la libertà (a rischio) della rete. +Occupandosi di open access, Aaron iniziò quindi a interessarsi del rapporto +che si genera tra istituzioni (ad esempio: un’università), autori ed editori, con +riferimento alla cessione dei diritti agli editori stessi e alle possibilità, sempre +molto limitate, di riutilizzo della ricerca o di ri-pubblicazione della stessa in altri +ambiti più aperti. +Contemporaneamente, avviò dei progetti per cercare di scoprire, nelle note +degli articoli, dei collegamenti a finanziamenti specifici da parte di sponsor, che +avrebbero potuto condizionare, orientare o, addirittura, falsare gli esiti di una +ricerca. +Nel frattempo, il movimento open access si diffondeva sempre di più e pren­ +deva anche forme ibride, sempre votate alla libertà dei contenuti, ma non con­ +formi, letteralmente, ai canoni e ai principi dell’open access, come teorizzati +nelle carte che sono state citate; le università, allo stesso tempo, iniziavano a +pensare a repository istituzionali per cercare di raccogliere il più possibile, e “libe­ +rare”, versioni precedenti dello scritto pubblicato (ad esempio: bozze, pre-print +o versione originale dell’autore). +Il movimento open access riuniva, in sé, tutto ciò che avrebbe motivato le +azioni di Aaron: l’idea che i lavori in open access fossero facilmente reperibili +sul web, che vi fosse, per tutta l’umanità, un accesso libero al sapere scientifi­ +co, che il lavoro si potesse riutilizzare per costruire nuova cultura ma, sempre, +citando e rispettando l’autore, che fosse connotato da gratuità e, al contempo, +che garantisse la stessa qualità (ad esempio: nel processo di peer review) delle +pubblicazioni scientifiche “tradizionali”. +Il successo di un simile progetto richiedeva, però, il completo ripensamento +dell’intero processo produttivo, condizionato da forti interessi e, in alcuni casi, +da veri e propri monopoli economici e di mercato. +Occorreva mettere al centro del sistema trasparenza e accessibilità, nonché +quel dubbio che tanto appassionava Aaron e che avrebbe permesso di mettere +alla prova sempre, in tempo reale e da qualsiasi computer, la scienza. + 211 +21. Libertà del codice, della scienza e della cultura +In questo quadro che non voleva cambiare, Aaron individuò, come primo +suo nemico, il mondo dell’editoria accademica e i prodotti scientifici che usciva­ +no dalle università con una chiara connotazione commerciale. +Non comprendeva il motivo per cui, a fronte di finanziamenti quasi esclusi­ +vamente pubblici, quel patrimonio di sapere collettivo non fosse reso libero per +tutti i cittadini. +La cessione sistematica dei diritti d’autore ai grandi editori operava, diceva +Aaron, una vera e propria privatizzazione della conoscenza e generava dei paywall – +delle barriere di pedaggio– che avevano il solo fine di aumentare sempre di più +i profitti di quelle società. +Aaron incolpava, in primis, gli accademici stessi. I professori, scriveva, sanno +benissimo come questa privatizzazione di tutta l’attività di ricerca finanziata con +fondi pubblici sia sbagliata in origine, ma sono, comunque, condizionati, nel +loro futuro accademico, da un simile meccanismo e, soprattutto, dalla possibi­ +lità di pubblicare su riviste riconosciute come prestigiose e che sono offerte a +pagamento. Per cui continuano ad alimentare questo mercato. +Questo il motivo per cui, nel suo Guerrilla Manifesto, inviterà a liberare tutta la +letteratura scientifica mondiale e agirà di conseguenza almeno in due occasioni, +con PACER e poi, più specificamente, con JSTOR. +Il governo, come si diceva, è intervenuto pesantemente nel caso JSTOR, +anche perché era consapevole che si stava toccando un ambito commercia­ +le particolarmente delicato: non vi era, soltanto, il timore degli hacker e delle +loro azioni, ma era coinvolta, anche, la potentissima industria del copyright e +degli editori commerciali, che chiedeva esplicitamente da tempo un intervento +sempre più restrittivo del legislatore. La violazione dei diritti d’autore doveva, +pertanto, essere considerata un crimine sempre più grave. +Ultimo, ma non ultimo, Aaron notò come in alcuni casi vi fosse un doppio pa­ +gamento: l’autore pagava per pubblicare su una rivista prestigiosa e, subito dopo, +l’editore domandava all’università o al centro di ricerca di quell’autore un se­ +condo pagamento per accedere ad altri articoli di quella rivista non open acess. +Si era creato un circolo vizioso, insomma, dal quale era complicatissimo uscire. +La morte di Aaron, e la sua passione per l’open access, ispirarono altri attivisti +e, in particolare, galvanizzarono il progetto alla base di un respository denomi­ +nato Sci-Hub, che si prefissò di “raccogliere il testimone” e di liberare tutta la +letteratura scientifica mondiale, mettendo in linea decine di milioni di articoli di +riviste e utilizzando, anche, sistemi di archiviazione decentralizzata a causa delle +pressioni legali. +Alexandra Elbakyan, studentessa in Kazakistan, si rese conto, a un certo pun­ +to, come l’università che stava frequentando non potesse permettersi di pagare +l’abbonamento a molte delle riviste che lei aveva necessità di consultare. Decise, +allora, di scaricare sistematicamente articoli – domandando, anche, credenziali +ad altri studiosi stranieri – per poi raggrupparli nel suo archivio online. + 212 +Aggiustare il mondo +Ancora oggi, sul sito di Sci-Hub, sono riportati in bella vista i tre principi che +animano le attività di Alexandra: “knowledge to all”, “no copyright” e “open +access”. +Con riferimento al primo aspetto, “conoscenza per tutti”, il pensiero della +fondatrice è ben chiaro: +Combattiamo le disuguaglianze nell’accesso alla conoscenza in tutto il mondo. La +conoscenza scientifica dovrebbe essere disponibile per ogni persona, indipenden­ +temente dal reddito, dallo status sociale, dalla posizione geografica, e così via. La +nostra missione è rimuovere ogni barriera che impedisca la più ampia distribuzio­ +ne possibile della conoscenza nella società umana! +Vi è, poi, il punto della protezione dei contenuti in base alla normativa sul +copyright e, anche in questo caso, il movimento alla base di Sci-Hub riprende +la tipica ostilità verso il sistema di protezione del diritto d’autore, che già aveva +caratterizzato le azioni di Aaron: +Sosteniamo la cancellazione della proprietà intellettuale, o delle leggi sul copyri­ +ght, per le risorse scientifiche ed educative. Le leggi sul copyright rendono illegale +il funzionamento della maggior parte delle biblioteche online. Di conseguenza, +molte persone sono private della conoscenza, mentre allo stesso tempo permet­ +tono ai detentori dei diritti di trarne enormi benefici. Il diritto d’autore favorisce +l’aumento delle disuguaglianze informative ed economiche. +Infine, vi è l’adesione esplicita ai principi di base dell’open access, soprattutto +con riferimento ai contenuti scientifici e ai prodotti accademici: +Il progetto Sci-Hub sostiene il movimento Open Access nella scienza. La ricerca +dovrebbe essere pubblicata ad accesso aperto, cioè essere di libera lettura. L’acces­ +so aperto è una forma nuova e avanzata di comunicazione scientifica, che sostitu­ +irà i modelli di abbonamento ormai obsoleti. Ci opponiamo al guadagno ingiusto +che gli editori ottengono creando limiti alla distribuzione della conoscenza. +Da un punto di vista giuridico, Sci-Hub è un sito che è in palese violazione +di tante regole, comprese quelle relative al copyright in tutti i Paesi coinvolti. +Prosegue, però, nelle sue attività – nonostante le numerose vertenze legali che +vengono minacciate e portate avanti – sfruttando le ampie maglie della norma­ +tiva locale e spostando, spesso, il sito tra vari portali e servizi. +Aaron, in questa sua strada verso la liberazione dei contenuti, si appassionò +anche al mondo che ruotava attorno a Wikipedia, cui dedicò numerosi post – e +riflessioni – sul suo blog. +Il suo rapporto fu, in realtà, un po’ tormentato. Diremmo, quasi, di amore-odio. + +Lui amava l’idea di enciclopedia aperta e collaborativa online e contribuì agli + 213 +21. Libertà del codice, della scienza e della cultura +aggiornamenti delle pagine di Wikipedia. Si candidò, anche, per una posizione di +responsabilità nel comitato alla base di Wikipedia. Al contempo, tuttavia, elaborò +degli studi per cercare di comprenderne il reale funzionamento e, soprattutto, il +numero di soggetti effettivamente coinvolti in questo incredibile progetto. +L’idea di enciclopedia sul web era stato l’oggetto del suo primo progetto in +assoluto, da bambino. Era quindi inevitabile che la sua vita si incrociasse con il +progetto di Jimmy Wales. +Aaron era convinto, in particolare, che Wikipedia, in quegli anni, fosse di­ +ventata troppo grande per essere gestita da poche persone e, in un modo in un +altro, si sarebbe dovuta presto trasformare in un’organizzazione, ma non ne +aveva chiaro il tipo. +Il suo timore era che una struttura organizzativa più evoluta non fosse più +neutra, e che una visione al vertice potesse decidere tutto, anche i contenuti dei +contributi. +Temo che Wikipedia, così come la conosciamo – scriveva, accorato, Aaron sul suo +blog – possa non durare. Che la sua esuberante democrazia possa fossilizzarsi in +una burocrazia stagnante, che la sua innovazione possa ristagnare nel conservato­ +rismo, che la sua crescita possa rallentare fino alla stasi. Se queste cose dovessero +accadere, so che non potrei restare a guardare la tragedia. Wikipedia è troppo +importante – sia come risorsa, sia come modello – per vederla fallire. +A un certo punto, Aaron decise di cercare di comprendere in profondità +come funzionasse il sistema di aggiornamento dei contenuti. +Iniziò, allora, ad analizzare il ruolo degli “estranei”, degli “interni”, degli +“utenti abituali” e di quelli “occasionali” e anche le modifiche che venivano ef­ +fettuate alle voci e la loro natura, nonché l’equilibrio tra “aiuto interno” e “aiuto +esterno” nella creazione e modifica dei contenuti. +Terminata la sua analisi – nella quale contestò, anche, alcuni dati che erano +stati fatti circolare da Jimmy Wales, con riferimento ai contributi nelle modifi­ +che, e mantenne, in alcuni passaggi, dei toni un po’ polemici – Aaron individuò, +però, nel senso di comunità l’aspetto secondo lui più affascinante di quel progetto. +Anche l’idea di creazione di comunità online, e il senso di appartenenza di più +utenti a un ambiente co-creato, erano concetti che Aaron si portava dietro sin +dall’infanzia. +Perché Wikipedia ha funzionato lo stesso? – ragiona, Aaron, in un post – Non +perché i programmatori fossero così lungimiranti da risolvere in anticipo tutti i +problemi. E non è stato perché le persone che la gestiscono abbiano messo in atto +regole chiare per prevenire comportamenti scorretti. Lo sappiamo, perché quan­ +do Wikipedia è nata non aveva programmatori (usava un software wiki standard) +e non aveva regole chiare (una delle prime regole principali era, infatti, «Ignora +tutte le regole»). No, il motivo per cui Wikipedia funziona è la comunità, un +gruppo di persone che ha interpretato il progetto come proprio e si è impegnato + 214 +Aggiustare il mondo +per il suo successo. Le persone cercano costantemente di vandalizzare Wikipedia, +sostituendo gli articoli con testo a caso. Non funziona: le loro modifiche vengono +annullate nel giro di pochi minuti o, addirittura, secondi. Ma perché? Non si tratta +di magia, ma di un gruppo di persone incredibilmente impegnate, che siedono al +computer per controllare ogni modifica apportata. Oggi si chiamano ‘pattuglia +delle modifiche recenti’ e dispongono di un software speciale che rende facile +annullare le modifiche sbagliate e bloccare gli utenti malintenzionati con un paio +di click. Perché qualcuno fa una cosa del genere? Non è un lavoro particolarmen­ +te affascinante, non sono pagati per farlo e nessuno dei responsabili ha chiesto +loro di offrirsi come volontari. Lo fanno, perché tengono al sito tanto da sentirsi +responsabili. Si arrabbiano quando qualcuno cerca di rovinarlo. +Questa dedizione alla causa, questo amore viscerale da parte di tutti gli utenti +per il sito, proprio come se fosse una “cosa loro”, intriga tantissimo Aaron. +Nella sua visione, un sito web di questo tipo è come se avesse una vita indipen­ +dente dai vertici e, in fondo, da un’autorità. Fattore che lui apprezzava molto. +Tutti conoscono Wikipedia come il sito che chiunque può modificare – continua +il giovane nel suo ragionamento – Ma ciò che è meno noto è che è anche il sito +che chiunque può gestire. I vandali non vengono fermati perché qualcuno è in­ +caricato di fermarli; è, semplicemente, qualcosa che la gente ha iniziato a fare. E +non si tratta solo di vandalismo: un “comitato di benvenuto” saluta ogni nuovo +utente, una “task force di pulizia” va in giro a controllare i fatti. Le regole del sito +sono stabilite con un consenso diffuso. Anche i server sono in gran parte gestiti +in questo modo: un gruppo di sysadmin volontari si riunisce su IRC per tenere +d’occhio la situazione. Fino a poco tempo fa, la Fondazione che si suppone gesti­ +sca Wikipedia non aveva dipendenti effettivi. Ma l’apertura di Wikipedia non è un +errore: è la fonte del suo successo. Una comunità dedicata risolve problemi di cui i +leader ufficiali non saprebbero nemmeno l’esistenza. Nel frattempo, il loro volon­ +tariato elimina in gran parte le lotte intestine su chi deve fare cosa. Al contrario, i +compiti vengono svolti dalle persone che vogliono veramente farli e che, guarda +caso, sono anche quelle che si preoccupano di farli bene. +Nel momento in cui Aaron inizia la sua “campagna elettorale” per candidarsi +a una posizione dentro Wikipedia (ma non sarà eletto), inizia a spiegare, sul +suo blog, come a suo avviso la stessa apertura ci dovrebbe essere anche nella +struttura del progetto. +Proprio come il successo di Wikipedia come enciclopedia richiede un mondo di +volontari per scriverla – nota il giovane nel suo post – il successo di Wikipedia +come organizzazione richiede una comunità di volontari per gestirla. Da un lato, +ciò significa aprire i meccanismi interni del Consiglio di amministrazione affinché +la comunità possa vederli e parteciparvi. Ma significa anche aprire le azioni della +comunità in modo che il mondo intero possa essere coinvolto. Chiunque vinca le +prossime elezioni, spero che si assuma questo compito. Costruire una comunità + 215 +21. Libertà del codice, della scienza e della cultura +è piuttosto difficile; richiede la giusta combinazione di tecnologia, regole e per­ +sone. Sebbene sia chiaro che le comunità sono al centro di molte delle cose più +interessanti di Internet, siamo ancora agli inizi della comprensione di ciò che le fa +funzionare. Ma Wikipedia non è neppure una tipica comunità. Di solito, le comu­ +nità di Internet sono gruppi di persone che si riuniscono per discutere di qualcosa, +come la crittografia o la stesura di una specifica tecnica. Magari si incontrano in +un canale IRC, in un forum web, in un newsgroup o in una mailing list, ma l’obiet­ +tivo è sempre qualcosa di “esterno”, qualcosa che non rientra nella discussione +stessa. Con Wikipedia, invece, l’obiettivo è costruire Wikipedia. Non si tratta di +una comunità creata per creare un’altra cosa, ma di una comunità creata per creare +sé stessa. E poiché Wikipedia è stato uno dei primi siti a farlo, non sappiamo quasi +nulla sulla costruzione di comunità di questo tipo. +In conclusione, per Aaron il sistema alla base di Wikipedia, e l’enciclopedia +stessa, hanno un fascino innegabile. +Non li vede solo come strumenti per la libertà dei contenuti ma, anche, come +nuovi ecosistemi più adatti alla società digitale così come si stava delineando. +Non solo: l’idea del wiki, ossia di una architettura che fa nascere dei contenuti +condivisi e collaborativi è, per lui, applicabile fruttuosamente in qualsiasi cam­ +po, e non solo quello dei contenuti enciclopedici. +La vera innovazione di Wikipedia – conclude in maniera molto lucida – è stata +molto più della semplice creazione di una comunità per costruire un’enciclopedia, +o dell’uso di un software wiki per farlo. La vera innovazione di Wikipedia è stata +l’idea di una collaborazione radicale. Invece di far lavorare insieme un piccolo +gruppo di persone, ha invitato il mondo intero a partecipare. Invece di assegnare +compiti, ha permesso a chiunque di lavorare su ciò che voleva, ogni volta che ne +avesse voglia. Invece di avere qualcuno che comanda, ha lasciato che le persone +risolvessero le cose da sole. Eppure, ha fatto tutto questo per creare un prodotto +molto specifico. Ancora oggi è difficile pensare a qualcosa di simile. I libri sono +scritti in collaborazione, ma di solito solo da due persone. Grandi gruppi han­ +no scritto enciclopedie, ma di solito solo con compiti specifici ben assegnati. Il +software è stato scritto da comunità ma, in genere, qualcuno è, nello specifico, re­ +sponsabile. La comunità di Wikipedia è estremamente vivace, e non ho dubbi che +il sito riuscirà a sopravvivere a molti cambiamenti di software. Ma se ci preoccu­ +piamo di qualcosa di più della semplice sopravvivenza, di come rendere Wikipedia +la migliore possibile, dobbiamo iniziare a pensare alla progettazione del software +tanto quanto al resto delle nostre scelte politiche. + 22. Il segreto e la trasparenza +Una costante, nella vita di Aaron, fu l’attivismo. Gran parte delle sue energie +furono dedicate alla battaglia per la trasparenza e, allo stesso tempo, alla ricerca +di modalità per consentire a soggetti a rischio – ad esempio: fonti giornalistiche, +informatori e whistleblower – di poter attivare canali sicuri di informazione, +che proteggessero i loro segreti. Gli ultimi progetti, nelle settimane prima della +morte, erano specificamente dedicati a questo. +Con riferimento, in particolare, alla lotta per la trasparenza, il suo mentore fu, +sin dagli inizi, l’attivista Carl Malamud. +Sarà proprio Malamud a ricordarlo in un articolo intitolato “L’esercito di +Aaron”, dove metterà bene in luce questa sua caratteristica. +Non si pensi per un attimo – ammonisce, innanzitutto, Malamud – che il lavoro +di Aaron su JSTOR sia stato l’atto casuale di un hacker solitario, una sorta di folle +download di massa. JSTOR è stato a lungo oggetto di critiche feroci da parte +della rete. Larry Lessig ha definito, in un discorso, JSTOR un “oltraggio mora­ +le”, e devo confessare che mi stava citando. Non eravamo gli unici a soffiare sul +fuoco. Sequestrare la conoscenza dietro barriere di pedaggio, rendendo le riviste +scientifiche accessibili solo a pochi ragazzi abbastanza fortunati da frequentare +università di lusso e facendo pagare 20 dollari ad articolo al restante 99% di noi, +era una ferita aperta. Questa situazione ha offeso molte persone. Ha messo in +imbarazzo molti di coloro che hanno scritto quegli articoli, che hanno capito che +il loro lavoro era diventato il margine di profitto di qualcuno, un country club +della conoscenza per soli soci. Molti di noi hanno contribuito ad alimentare quelle +fiamme. Molti di noi oggi si sentono in colpa per aver alimentato quelle fiamme. +Le intenzioni di Aaron come attivista, dice però Malamud, erano ben più +nobili, e ampie, di quel singolo aspetto. +Nel corso degli anni aveva, con il suo entusiasmo, contagiato tante persone +e avviato iniziative che, per la prima volta, riuscivano a usare le tecnologie più +innovative per far comunicare online tutti gli individui che avevano un obiettivo +comune, indipendentemente da età, residenza e cultura. +JSTOR era solo una delle tante battaglie – continua l’amico di Aaron – Hanno +cercato di dipingere Aaron come una sorta di hacker solitario, un giovane terro­ +rista che si è lanciato in una follia che ha causato 92 milioni di dollari di danni. +Aaron non era un lupo solitario: faceva parte di un esercito, e ho avuto l’onore di +lavorare con lui per un decennio. Avete sentito molte cose sulla sua vita straordi­ +naria, ma stasera voglio concentrarmi solo su una. Aaron faceva parte di un eser­ +cito di cittadini che crede che la democrazia funzioni solo quando i cittadini sono +informati, quando conosciamo i nostri diritti e i nostri doveri. Un esercito che +crede che dobbiamo mettere la giustizia e la conoscenza a disposizione di tutti, + 218 +Aggiustare il mondo +non solo dei benestanti o di coloro che hanno preso le redini del potere, in modo +da poterci governare più saggiamente. Faceva parte di un esercito di cittadini che +rifiuta i re e i generali e crede in un consenso puro e in un codice in esecuzione. +Malamud ricorda, con una punta di commozione, il periodo in cui avevano +lavorato insieme e le strategie di attivismo che, man mano, venivano elabora­ +te. Il fine era uno solo: portare trasparenza, soprattutto nel settore pubblico, +perché un cittadino consapevole era la premessa per qualsiasi altro discorso +che si potesse fare su politica, corruzione, partecipazione e vita democratica. Il +cittadino, per essere consapevole, doveva però essere in grado di accedere, in +ogni momento e a costo zero, a tutti i documenti prodotti dallo Stato nel quale +si trova a vivere. +Abbiamo lavorato insieme su una dozzina di database governativi – rammenta +Malamud – Quando lavoravamo su qualcosa, le decisioni non erano affrettate. Il +nostro lavoro spesso richiedeva mesi, a volte anni, a volte un decennio, e Aaron +Swartz non ha avuto la sua giusta dose di decenni. Abbiamo esaminato, e spulcia­ +to, a lungo il database del copyright degli Stati Uniti, un sistema a dir poco obso­ +leto. Il governo – che ci crediate o no – aveva rivendicato il copyright sul database +del copyright. Non capisco come si possa mettere sotto copyright un database +che è espressamente citato nella Costituzione degli Stati Uniti, ma sapevamo che +stavamo giocando con il fuoco violando i loro termini di utilizzo, quindi siamo +stati attenti. Abbiamo preso quei dati e li abbiamo usati per alimentare la Open Li­ +brary qui all’Internet Archive e per alimentare Google Books. Abbiamo ottenuto +una lettera dal Copyright Office che rinunciava al copyright su quel database. Ma, +prima di farlo, abbiamo dovuto parlare con molti avvocati con il timore costante +che il governo ci trascinasse in tribunale con l’accusa di download di massa pre­ +meditato e doloso. +Malamud ci tiene a precisare come, da un lato, vi fosse la consapevolezza che +lui e Aaron – e altri del team – stessero operando ai limiti delle regole; dall’altro, +come non dovessero essere considerati dei criminali, bensì attivisti per il bene di +tutti i cittadini, con azioni meditate. +Non si trattava di atti di aggressione casuale – ci tiene a precisare Malamud – Ab­ +biamo lavorato sui database per migliorarli, per far funzionare meglio la nostra +democrazia, per aiutare il nostro governo. Non eravamo criminali. Quando ab­ +biamo prelevato 20 milioni di pagine di documenti della Corte distrettuale degli +Stati Uniti da dietro il muro a pagamento del PACER, che costa 8 centesimi a +pagina, abbiamo scoperto che questi documenti pubblici erano infestati da vio­ +lazioni della privacy: nomi di minorenni, nomi di informatori, cartelle cliniche, +cartelle sulla salute mentale, cartelle finanziarie, decine di migliaia di numeri di +previdenza sociale. Eravamo degli informatori e abbiamo inviato i nostri risultati +ai presidenti di 31 tribunali distrettuali, i quali sono rimasti scioccati e costernati +e hanno modificato quei documenti, hanno richiamato gli avvocati che li avevano + 219 +22. Il segreto e la trasparenza +depositati e, alla fine, la Conferenza giudiziaria ha cambiato le regole sulla privacy. +Ma sapete cosa hanno fatto i burocrati che gestivano l’Ufficio amministrativo dei +tribunali degli Stati Uniti? Per loro non eravamo cittadini che miglioravano i dati +pubblici, ma ladri che si erano presi 1,6 milioni di dollari di loro proprietà. Così +hanno chiamato l’FBI, dicendo che erano stati violati da criminali, una banda +organizzata che stava mettendo in pericolo il loro flusso di entrate da 120 milioni +di dollari l’anno, vendendo documenti pubblici dello stato. L’FBI si posizionò +davanti alla casa di Aaron. Lo chiamarono e cercarono di convincerlo a incontrarli +senza il suo avvocato. L’FBI ha fatto sedere due agenti armati in una stanza per gli +interrogatori con me per andare a fondo di questa presunta cospirazione. Ma non +eravamo criminali, eravamo solo cittadini. +Questa reazione spropositata dello Stato, per Aaron e Malamud incompren­ +sibile, non ha però frenato la loro voglia di cambiare il sistema, né ha scalfito la +loro convinzione di essere dalla parte giusta. Avevano, però, compreso sulla loro +pelle come il “toccare” banche dati considerate critiche nel sistema di governo +potesse generare conseguenze imprevedibili e muovere, addirittura, i vertici del +sistema investigativo nazionale. +Non avevamo fatto nulla di male – si giustifica Malamud – Loro non hanno tro­ +vato nulla di male. Abbiamo fatto il nostro dovere di cittadini, e l’indagine del +governo non ha portato a nulla, se non a uno spreco di tempo e denaro. Se volete +generare un effetto terrorizzante, fate sedere qualcuno con un paio di agenti fe­ +derali zelanti per un po’ di tempo e vedrete quanto rapidamente gli si raffredda il +sangue. Ci sono persone che affrontano il pericolo ogni giorno per proteggerci – +agenti di polizia, vigili del fuoco e operatori di emergenza – e sono grato, e stupito, +per ciò che fanno. Ma il lavoro che facevamo io e Aaron, che ci occupavamo di +distribuire DVD e di eseguire script in shell su materiale pubblico, non dovreb­ +be essere considerato una professione pericolosa. Non eravamo criminali, ma +sono stati commessi dei crimini, crimini contro l’idea stessa di giustizia. Quando +il Procuratore ha detto ad Aaron che doveva dichiararsi colpevole di 13 reati per +aver tentato di diffondere la conoscenza, prima di prendere in considerazione un +accordo, si è trattato di un abuso di potere, di un abuso del sistema giudiziario +penale, di un crimine contro la giustizia. E quel procuratore non agisce da solo. +Fa parte di una posse intenzionata a proteggere la proprietà, e non le persone. In +tutti gli Stati Uniti, chi non ha accesso ai mezzi non ha accesso alla giustizia e deve +affrontare ogni giorno questi abusi di potere. +Carl Malamud ventila il sospetto, nel suo scritto, che queste battaglie per la +trasparenza, effettuate con tecnologie innovative e con uno sfoggio di cono­ +scenza, e competenza, informatica tale da intimorire i “dinosauri” dello Stato, +abbiano portato a una vera e propria strategia di vendetta da parte della politica +nei loro confronti. Trasparenza e segreto sono, in sintesi, argomenti che non +devono essere toccati. + 220 +Aggiustare il mondo +Nel caso JSTOR – riflette Malamud – la posizione eccessivamente aggressiva dei +pubblici ministeri e delle forze dell’ordine del Dipartimento di Giustizia è stata +forse una vendetta, perché erano imbarazzati dal fatto che – almeno secondo loro +– in qualche modo l’avessimo fatta franca nell’incidente del PACER? La spietata +azione legale nel caso JSTOR è stata la vendetta di burocrati imbarazzati perché +sono apparsi stupidi sul New York Times, perché il Senato degli Stati Uniti li ha +messi al tappeto? Probabilmente, non sapremo mai la risposta a questa domanda, +ma di certo sembra che abbiano distrutto la vita di un giovane uomo, con un +meschino abuso di potere. Non si trattava di una questione criminale, Aaron non +era un criminale. Se pensate di possedere qualcosa e io penso che quella cosa sia +pubblica, sono più che felice di incontrarvi in un tribunale e – se avete ragione – +mi prenderò le mie responsabilità se vi ho fatto un torto. Ma quando mettiamo +gli agenti armati contro i cittadini che cercano di aumentare l’accesso alla cono­ +scenza, abbiamo infranto lo stato di diritto, abbiamo profanato il tempio della +giustizia. Aaron Swartz non era un criminale, era un cittadino, ed era un soldato +coraggioso in una guerra che continua ancora oggi, una guerra in cui profittato­ +ri corrotti e venali cercano di rubare, accaparrare e affamare il nostro dominio +pubblico per il loro guadagno privato. Quando si cerca di limitare l’accesso ai +contenuti normativi, o di riscuotere pedaggi sulla strada della conoscenza, o di ne­ +gare l’istruzione a chi non ha mezzi, queste persone sono quelle che dovrebbero +affrontare lo sguardo severo di un pubblico ministero indignato. +La conclusione dell’articolo di Malamud mira a far sì che il sacrificio di Aaron +non sia stato vano e a raccogliere ulteriori adesioni, e apprezzamenti, sull’azione +che l’attivista continua, comunque, a portare avanti. +Quello che il Dipartimento di Giustizia ha fatto passare ad Aaron per aver cercato +di rendere migliore il nostro mondo, è la stessa cosa che possono far passare a voi. +Il nostro esercito non è composto da un lupo solitario, ma da migliaia di cittadini +– molti di voi in questa sala – che lottano per la giustizia e la conoscenza. Dico +che siamo un esercito, e uso questa parola con grande consapevolezza, perché +affrontiamo persone che vogliono imprigionarci per aver scaricato un databa­ +se o per aver dato un’occhiata più da vicino, affrontiamo persone che credono +di poterci dire cosa possiamo leggere e cosa possiamo dire. Ma quando vedo il +nostro esercito, vedo un esercito che crea, invece di distruggere. Vedo l’esercito +del Mahatma Gandhi che cammina pacificamente verso il mare per produrre sale +per la gente. Vedo l’esercito di Martin Luther King che cammina pacificamente, +ma con determinazione, verso Washington per rivendicare i propri diritti, perché +il cambiamento non arriva con le ruote dell’inevitabilità, ma attraverso una lotta +continua. Quando vedo il nostro esercito, vedo un esercito che crea nuove oppor­ +tunità per i poveri, un esercito che rende la nostra società più giusta ed equa, un +esercito che rende la conoscenza universale. Quando vedo il nostro esercito, vedo +le persone che hanno creato Wikipedia e Internet Archive, le persone che hanno +codificato GNU e Apache e BIND e LINUX. Vedo le persone che hanno creato +l’EFF e le licenze Creative Commons. Vedo le persone che hanno creato Internet +come dono al mondo. Quando vedo il nostro esercito, vedo Aaron Swartz e il + 221 +22. Il segreto e la trasparenza +mio cuore si spezza. Abbiamo davvero perso uno dei nostri angeli migliori. Vorrei +poter cambiare il passato, ma non possiamo. Ma possiamo cambiare il futuro, e +dobbiamo farlo. Dobbiamo farlo per Aaron, dobbiamo farlo per noi stessi, dob­ +biamo farlo per rendere il nostro mondo un posto migliore, un posto più umano, +un posto dove la giustizia funziona e l’accesso alla conoscenza è un diritto umano. +Nei suoi ultimi anni di attività, Aaron si interessò anche del tema del segreto +in ambito tecnologico. L’uso intelligente, e creativo, della crittografia, di Tor, +delle tecnologie di rete poteva consentire a una persona di comunicare con un +alto grado di sicurezza rispetto a possibili intercettazioni e, quindi, di attivare +canali di comunicazione sufficientemente sicuri. +Strumenti di questo tipo potevano essere utilizzati in innumerevoli contesti +e occasioni: si pensi all’uso da parte di dissidenti in un Paese ostile o da parte +di giornalisti per tutelare il dialogo con le loro fonti più riservate o, ancora, da +parte del semplice cittadino che volesse segnalare un illecito senza essere iden­ +tificato e, quindi, senza mettere a rischio la sua incolumità. +Di lì a poco, il caso Snowden avrebbe rivelato la concreta capacità da parte +delle agenzie degli Stati Uniti d’America di intercettare e processare tutte le co­ +municazioni dei cittadini, e sarebbe aumentato l’interesse collettivo per questi +strumenti. +Aaron si era appassionato di giornalismo ed era sempre stato un fan della +scrittura e un grande lettore, per cui le sue energie andarono anche nello svilup­ +po di quel sistema SecureDrop che sarà poi adottato, dopo la sua morte, da tante +organizzazioni. Un sistema che voleva regalare al mondo la reale possibilità di +comunicare in segreto. +Trasparenza e segreto, che sembrano due concetti in conflitto, erano inter­ +pretati da Aaron come entrambi essenziali in una democrazia. La trasparenza +coinvolgeva i vertici, a cascata fino al singolo ufficio periferico, e i loro docu­ +menti. Il segreto era un potere da conferire al cittadino, unitamente all’anonima­ +to, per operare in sicurezza anche in azioni di attivismo. +E la tecnologia, in entrambi i casi, poteva e doveva essere la leva per garantire +questi due diritti. + 23. La riforma del sistema giudiziario +L’ultimo capitolo ci porta quasi naturalmente a una riflessione finale, in que­ +sto caso assai sofferta, sul grado di violenza con cui il sistema giudiziario degli +Stati Uniti d’America sia solito reagire nei confronti di reati connessi al mondo +digitale e delle informazioni. Non si tratta, si badi, di un approccio tipicamente +nordamericano: in quasi tutti i Paesi, Italia compresa, si è agito spesso, e ancora +si (re)agisce, allo stesso modo. +Uno degli aspetti più tristi, e critici, di tutta la vicenda di Aaron Swartz, se +riflettiamo, è quello che coinvolge il sistema della giustizia penale in generale e, +in particolare, l’uso di determinati reati – crimini informatici, terrorismo, pe­ +dopornografia – come “scusa” per prevedere clamorose indagini su larga scala +(crackdown) e per individuare delle vittime da punire a titolo di esempio. +Non è possibile, sia chiaro, ricondurre scientificamente, e con prove certe, +l’atto del suicidio di Aaron all’aggressività delle vicende processuali, esito del +caso JSTOR. Molti commentatori, però, unirono i due eventi, soprattutto riflet­ +tendo sul fatto che le uniche due possibili vittime delle azioni di Aaron – ossia +JSTOR e il MIT – si erano praticamente ritirate dal procedimento, o avevano +mantenuto una posizione neutrale, e non avevano evidenziato comportamenti +criminali, o danni, per cui valesse la pena sollecitare un’azione penale di tale +portata o, ancora, intervenire nel procedimento. +Nell’ottica dell’accusa, invece, quello era il caso perfetto nel quale giocare tutte +le carte alla base della più rigida normativa sui computer crimes esistente – il CFAA +– con le sue pene altissime. Si poteva attaccare direttamente la comunità hacker +individuando un loro esponente e portando alla sbarra un profilo, quello di +Aaron, che già era stato “perdonato” una volta per la vicenda PACER e che era +molto visibile e conosciuto nella comunità tecnica. +Si noti che furono diciassette – diciassette! – i mesi che mantennero Aaron in +una sorta di limbo dovuto all’incertezza di possibili sanzioni, all’incubo del car­ +cere, a mutamenti improvvisi della strategia dell’accusa e a tentativi di dialogo, e +di patteggiamento, mai andati a buon fine, nell’attesa di una udienza. Diciassette +mesi che furono mal sopportati da un profilo psicologico per alcuni versi debole +e problematico ma, soprattutto, terrorizzato dalla possibilità di una condanna. +Il sistema penale ha oppresso Aaron con così tanta violenza nella fase preli­ +minare, che non si è neppure arrivati a un processo. Appare quindi giustificata, +in conclusione, una riflessione politica su un sistema che, in molti casi, è pen­ +sato per intimidire e per mostrare i muscoli portando, così, ad evidenti ecces­ +si processuali, pur in presenza di reati non violenti e senza danni, e che non +coinvolgono criminali di professione; un sistema, per di più, che ha costi tali da +permettere solo a chi è molto ricco di resistere in giudizio. + 224 +Aggiustare il mondo +Un secondo punto ispirato dal tragico destino di Aaron, e che ha alimentato +un interessante dibattito, è su come la società e il sistema della giustizia trattino +i geni, gli eccentrici, chi è, e vive, fuori da uno schema, e come, palesemente, +detto sistema abbia, in questa circostanza, fallito. +Attivismo, azioni a volte avventate, violazione delle regole a fin di bene, pos­ +sibili spinte autodistruttive, che portano ad azioni che appaiono giuste ma che +violano la legge, sono tutti elementi che il sistema della giustizia penale do­ +vrebbe affrontare e trattare con particolare garbo e delicatezza, proprio per la +possibile assenza di intento ed elemento criminale. +Tutta l’azione di Aaron, per tutta la sua vita – ed era sufficiente informarsi, +per conoscerlo un po’ più a fondo – era votata alla disobbedienza a leggi con­ +siderate sbagliate. Entrare in quello sgabuzzino del MIT era, per lui, una forma +di disobbedienza civile. Così come il collegarsi a una rete per “liberare” degli +articoli. +Aaron, con il suo modo di agire, sfidava, non commetteva crimini. Spesso +con azioni innocue, che non distruggevano sistemi, né causavano danni eco­ +nomici. Azioni pensate, spesso, per generare fastidio. Un costante operare al +limite, tipico della cultura hacker. +Evidentemente, non si è trovato a vivere in un mondo pensato per lui. Era in +un mondo ancora fermo agli anni Ottanta del secolo scorso, terrorizzato dalle +azioni dei primi hacker e con leggi pensate per veri criminali. +Era il mondo, evidentemente, che aveva in mente Carmen Ortiz, la procura­ +trice che vedeva il computer come pericoloso ex se, che interpretava l’informati­ +ca come uno strumento per generare minacce nella società, indipendentemente +dalla presenza di un’organizzazione criminale. Oppure i palazzi di giustizia, e i +corridoi degli uffici di Heymann, erano diventati vero e proprio terreno di sfida, +una questione personale che richiedeva un’esibizione di muscoli impressionante per +schiacciare un ragazzo che, a loro avviso, meritava di essere punito. E questa +esibizione di muscoli e di manette portò quel ragazzo a consumare sé stesso, sia +fisicamente sia economicamente, per cercare di venire a capo di questa vicenda. +Gli innumerevoli progetti che lanciava ogni giorno non erano sufficienti, evi­ +dentemente, per non pensare al suo futuro. +Dopo il suicidio, apparvero molti articoli sulla stampa, che accusarono di­ +rettamente sia il procuratore distrettuale Carmen Ortiz, sia il suo assistente +Stephen Heymann – i magistrati che avevano in gestione il caso – di aver preso +Aaron come esempio nell’era di WikiLeaks e di Anonymous, e di avere organiz­ +zato una campagna coordinata per spaventare, allo stesso tempo, tutti i giovani +attivisti che stavano scoprendo la potenza di Internet per cambiare il sistema, +anche grazie a Julian Assange e al collettivo hacker. + 225 +23. La riforma del sistema giudiziario +Lo stesso coinvolgimento, in questa vicenda, dei Secret Services fu estrema­ +mente significativo: fu il modo per portare il caso a un livello nazionale, esauto­ +rando in fretta la polizia locale del MIT e di Cambridge. +La normativa contestata – il CFAA – era lo strumento ideale in mano all’ac­ +cusa per portare avanti una battaglia simile. +Si tratta, infatti, di una legge con ampi margini di interpretabilità, vaga e +ridondante, applicabile sia in maniera morbida, sia in maniera aggressiva, a se­ +conda della discrezionalità e dell’umore dell’accusa. +Fu Lawrence Lessig, tra gli altri, a parlare senza mezzi termini di bullismo le­ +galizzato, che aveva perso di vista sia la natura del crimine, sia la proporzionalità +della pena. +La divisione per i computer crimes di Boston si occupava, già allora, di casi di +enorme importanza, come attacchi hacker dalla Russia e crimini finanziari di +grande portata. Quello di Aaron era, obiettivamente, un caso bagatellare: il ra­ +gazzo era un “pesce piccolo”. C’erano le prove (la registrazione del sistema di +videosorveglianza del MIT), c’era un ragazzo con un carattere particolare, c’era­ +no le vittime che non lo volevano perseguire. Fu un attimo, invece, per l’accusa, +trasformare un caso di questo tipo in una campagna di giustizia, e di politica, di +rilevanza nazionale. +E il messaggio dell’amministrazione Obama arrivò, con il caso di Aaron, +chiaro e forte: cari hacker, cari attivisti, cari guerrieri per la trasparenza, per la +libertà dell’informazione, per la democrazia, sappiamo che avete le competenze +tecniche per colpire il governo e le nostre reti, ma anche noi siamo in grado di +spaventarvi e di colpirvi più forte. +Tanti anni dopo, nel marzo del 2021, finalmente la Corte Suprema degli +Stati Uniti d’America è intervenuta per “limare” in modo sostanziale il temibile +Computer Fraud and Abuse Act dell’era Reagan, e lo ha fatto nel caso Van Buren. +Al centro della questione vi era l’interpretazione del reato di “accesso abusivo +a un sistema informatico”, anche nel caso in cui l’utente accedesse a un sistema +per il quale avesse autorizzazione all’accesso, ma travalicasse i termini e le condi­ +zioni del servizio. Davanti alla Corte Suprema, Van Buren contestò la vaghezza +della norma e la criminalizzazione ingiustificata – e ingiusta – della semplice vio­ +lazione dei termini di servizio di un archivio, e ottenne la revisione del suo caso. +La Electronic Frontier Foundation, in un suo comunicato all’esito dell’udienza, +evidenziò l’importanza storica di questa decisione, forse un primo passo per +una “demolizione progressiva” di questa norma tanto contestata. +Un ex agente di polizia della Georgia – si legge nel comunicato della EFF – +ingiustamente condannato in base alla legge sulla frode informatica e l’accesso +abusivo ai computer (“CFAA”), notoriamente vaga, chiede alla Corte Suprema di +respingere un’interpretazione pericolosamente estensiva della legge. Nella causa +Van Buren contro Stati Uniti, Nathan Van Buren è stato accusato di aver accettato +denaro in cambio della ricerca di una targa in un database delle forze dell’ordine. + 226 +Aggiustare il mondo +È stato condannato per violazione del CFAA, perché avrebbe usato quel database +per uno scopo improprio, anche se si trattava di un database a cui era autorizzato +ad accedere per motivi di lavoro. In base a questa interpretazione estensiva della +CFAA, vi sarebbe un reato federale ogni volta che una persona violi i termini +di servizio di un sito web. Se la violazione dei termini di servizio è un reato, le +aziende private possono decidere chi va in prigione e per cosa, mettendo tutti noi +a rischio per il comportamento quotidiano online. Van Buren ha presentato con +successo una petizione alla Corte Suprema affinché riesamini il suo caso. L’EFF +ha presentato delle memorie, sia per incoraggiare la Corte a prendere in conside­ +razione il caso, sia per esortarla a chiarire che la violazione dei termini di servizio +non è un reato ai sensi del CFAA. In una memoria amicus, depositata per conto +dei ricercatori di sicurezza informatica e delle organizzazioni che li impiegano e +li sostengono, abbiamo spiegato che l’interpretazione estensiva del CFAA mette i +ricercatori di sicurezza informatica a rischio di vertenze legali quando accedono ai +dati per effettuare test di sicurezza. + Epilogo +Milano, Italia. Autunno del 2022. L’anno sta terminando, e si sta avvicinando +gennaio. +Tra tre mesi esatti si celebrerà il decennale della morte di Aaron. +Il giovane hacker non ha fatto in tempo a osservare gli eventi incredibili sorti +attorno ai casi di Snowden e di Cambridge Analytica, il tormentato processo ad +Assange e il dominio assoluto delle piattaforme e, neppure, questi ultimi anni di +pandemia, di crisi economica e di guerra. Tutti fattori che hanno mutato radical­ +mente il quadro sociale, economico e tecnologico attorno a noi e, soprattutto, +che hanno dato al panorama digitale una forma nuova che avrebbe, certamente, +preoccupato il giovane hacker. +Subito dopo la morte di Aaron, nell’estate del 2013, esplosero il caso Snowden +e il Datagate. Un giovane hacker nordamericano rivelò in dettaglio alla stampa e +al mondo – nel mese di giugno di quell’anno – le tecnologie per la sorveglianza +globale utilizzate dalle agenzie americane persino nei confronti dei loro cittadi­ +ni: il dissidente fece anche circolare migliaia di documenti, slides, rapporti riser­ +vati e materiale segreto sulle relazioni Europa-USA. Snowden dovette fuggire +in fretta dagli Stati Uniti d’America, transitò per Hong Kong diretto in Ecuador +ma si vide costretto a riparare in Russia per evitare accuse e processi per spio­ +naggio, alto tradimento e attentato alla sicurezza nazionale. Molti politici già +domandavano a gran voce una sua condanna a morte per aver messo in crisi +la sicurezza dell’intero Stato. Proprio nei giorni scorsi, il 26 settembre 2022, il +presidente russo Vladimir Putin ha annunciato, in piena guerra in corso e come +gesto di sfida palese nei confronti degli americani, la concessione, con una legge +mirata, della cittadinanza russa all’hacker statunitense. +Lo scrittore, blogger ed esperto di tecnologie, Massimo Mantellini, il 13 gen­ +naio 2014, in un suo articolo intitolato “In memoria di Aaron Swartz”, tracciò +egregiamente una linea immaginaria per unire i profili di Aaron e di Edward. +Due hacker che non si incontrarono mai ma che sono entrati, insieme, nella +storia. +C’è una traiettoria sottile – esordisce Mantellini – ma molto evidente che unisce +Aaron Swartz a Edward Snowden. Swartz è morto un anno fa, a soli 27 anni, era +un hacker, uno dei pochissimi a cui un simile appellativo non vada stretto e non +suoni banale. Si è ucciso, schiacciato dal peso delle sue scelte di campo o forse +da differenti abissi della sua mente. Nulla, del resto, è più pericoloso del senno +di poi, se proviamo a indagare le ragioni di un suicidio, scelta imponderabile ed +illogica per definizione. Tuttavia, nel caso di Swartz, molto più chiaramente che in +altre occasioni, la relazione fra la sua morte e l’ostilità diffusa che lo circondava, +quella che siamo soliti riservare a tutto ciò che è nuovo e diverso, è tanto chiara + 228 +Aggiustare il mondo +da risultare quasi incontestabile. L’ombra di un apparato autoritario e immobile, +che dai luoghi simbolo della conoscenza (il MIT di Boston) arriva fino alle aule +di tribunale e alla pervicacia di un giudice, per stigmatizzare e punire le scelte di +campo di un giovane che aveva progetti troppo grandi: liberare il mondo, spargere +il sapere, togliere i legacci alla conoscenza. E che con i modi, l’avventatezza e l’in­ +cauto ottimismo dei vent’anni, è andato tragicamente a sbattere contro un sistema +abituato ad altri argomenti, più tiepidi entusiasmi e differenti velocità. Eppure, se +c’è un paese che è riuscito a valorizzare l’età dei giovani adulti, è quello degli USA: +accade in particolar modo, da qualche decennio, nell’innovazione tecnologica, in +ambienti nei quali, come in nessun altro comparto, fatta forse eccezione per l’arte, +la verginità è una moneta di scambio, il pensiero laterale un’opportunità, la rot­ +tura degli schemi un metodo ampiamente accettato, anche a costo di fallimenti e +ripartenze. +Mantellini evidenzia diversi elementi che legano le vicende di Aaron Swartz +a quelle che coinvolgeranno, a sei mesi di distanza e sempre su suolo nordame­ +ricano, Edward Snowden. Accadimenti che genereranno, da parte dell’autorità, +reazioni spropositate. +Edward Snowden – continua Mantellini – da mesi in fuga obbligata da quello +stesso Paese, costretto a riparare altrove come un ladro di polli, per colpa di verità +che non si possono dire, minacciato e svilito in ogni maniera possibile, perché +solo gli autorizzati, nei modi e nei tempi dovuti, possono mostrare al mondo la +luminosa scia di democrazia e libertà a stelle e strisce, mentre a chiunque altro +che desideri farlo in autonomia tutto questo è precluso, è stato ripagato con la +medesima moneta: un granitico muro di biasimo ed irriconoscenza da parte dello +Stato-chioccia, che predica la libertà rifiutando i suoi uomini più liberi. Anche per +lui vaste minacce di punizioni e galera. Snowden è l’altro lato della medesima me­ +daglia. Anche lui, come Swartz, rompe i codici, ribalta i comportamenti, anche lui, +per contestare pericolose prassi consolidate, utilizza la Rete. Questa è – intanto +– la prima cosa che ce li rende entrambi vicini e che scatena solidarietà planetarie. +Anche lui, con l’ingenuità eroica dei vent’anni, ottiene, esattamente come Aaron, +l’effetto di mostrare al mondo le grandi ambiguità del gigante buono, ma svela +anche gli imbarazzanti vassallaggi dei tanti amici intorno. Disegna un pianeta nel +quale, in vaste regioni, non vola foglia che l’America non voglia e lo fa con esempi +concreti, non con le elucubrazioni del complottista. Ed anche questo in fondo è +ribaltare il tavolo, scoperchiare verità che restavano lì a sonnecchiare silenziose. +Per estremo paradosso e per suprema complicazione, il Guardian di Londra è +costretto infine a far pubblicare le carte di Snowden dalla sua redazione USA: +le parole di un cittadino americano fuggito in Russia, pericolose da dire in Gran +Bretagna, in una confusione di ruoli che non è solo apparente, ma il risultato di +multipli incroci schizofrenici. + 229 +Epilogo +Siamo in presenza, conclude Mantellini, di due ragazzi normali che sono stati +demoliti da governo e politica. Due ragazzi che avrebbero potuto dare ancora +molto al mondo, e che sono stati invece perseguitati – o costretti a fuggire – per +le loro idee e le loro scelte. +In nessuno dei due casi – conclude – né a margine della tragica fine di Aaron +Swartz, e tantomeno nel caso di Edward Snowden, è stato possibile tentare il +trucchetto del diverso e del pazzo, così egregiamente riuscito con Julian Assan­ +ge, uomo strano e forse discutibile, esiliato nella piccola ambasciata dell’Ecuador +a Knightsbridge. Due ragazzi normali, più normali della media, di una pulizia +difficile da attaccare: nessuna possibilità di ridurli ai margini nella usuale delegitti­ +mazione che si applica tracciando una linea fra noi e loro, fra il normale ed il pa­ +tologico. Una delegittimazione usuale che nel caso di Snowden è stata comunque +tentata nei primi mesi dopo la sua fuga, ma con scarsi risultati. Nel caso di Swartz, +semplicemente non si poteva, perché il dolore della morte supera qualsiasi cini­ +smo architettato ad arte, perché le minacce di anni di galera come punizione per +aver liberato testi accademici su Internet raccontano un tale collasso di senso ed +intelligenza, che davvero non ammette replica. E nella drammatica evenienza di +una morte, segna con un tratto di penna indelebile l’abisso di una nazione intera. +Un anno dopo la vicenda di Snowden, nel 2014, le rivoluzioni tecnologiche +continuano. Facebook acquista WhatsApp: inizia, con questa storica fusione, +quella concentrazione, in pochi colossi tecnologici, di potere – e di big data – +che diventerà la caratteristica principale della società dell’informazione moder­ +na e che prenderà la forma di un vero e proprio capitalismo della sorveglianza, +come lo definirà puntualmente la studiosa Soshana Zuboff. I dati dei cittadini +diventano merce, o valuta, e sono gli stessi cittadini a esibirli, e a metterli in cir­ +colazione, denudandosi, in cambio di servizi apparentemente gratuiti o a basso +prezzo. +Il 2015 appare essere l’anno delle self-driving cars e dei droni: due tecnologie +che attirano gli interessi, le energie e le risorse di sviluppo dei tre grandi Apple, +Facebook e Google. Anche il mondo dei contenuti e del copyright, tanto caro +ad Aaron, sta cambiando pelle rapidamente: in quell’anno, vi è il boom dello +streaming, un nuovo modo per fruire di contenuti che elimina dal mercato i +DVD. Nel frattempo, Instagram supera Twitter come numero di utenti e Tesla +annuncia la possibilità concreta di eliminare il guidatore dalle auto. +Il 2016 è l’anno della politica, delle tornate elettorali e delle fake news. È un +anno che certamente avrebbe appassionato Aaron: la piattaforma Facebook è +infestata da disinformazione – non solo politica – e ci si sta preparando all’arrivo +dello scandalo mondiale causato dall’operato della società Cambridge Analytica. +Un caso giudiziario diventato celebre – Apple vs. FBI – riporta in auge, in quei +mesi, il tema della crittografia, della cifratura delle informazioni personali e della +sua potenza: Apple si rifiuta di violare, per conto dell’FBI, il sistema operativo + 230 +Aggiustare il mondo +iOS di un suo stesso telefono – trovato in tasca a un terrorista ucciso nella strage +di San Bernardino – protetto da crittografia forte. La società di Cupertino viene +pubblicamente accusata, dai vertici del governo statunitense, di «proteggere le +attività di terroristi e pedofili», ma non arretra di un passo e non indebolisce il +proprio sistema operativo, né attiva backdoors per favorire l’ingresso delle forze +dell’ordine nei suoi dispositivi. L’FBI rinuncerà a portare avanti la vertenza giu­ +diziaria, ma l’attacco alla crittografia come tecnologia pericolosa, e alla possibili­ +tà per i cittadini di custodire i loro segreti, era stato portato di nuovo. +Il 2017 è l’anno, assai vivace, dell’indagine triangolare “Russia – Facebook +– Fake News”, dove appare a tutti concreta la possibilità di sovvertire un ordi­ +ne democratico con azioni mirate, in periodo pre-elettorale, volte a diffondere +disinformazione, ad attaccare i dati delle organizzazioni politiche e a orientare +con tecniche subdole i voti dei cittadini, dopo averli profilati. Iniziano, anche, a +verificarsi i grandi data breach, con la fuga di milioni di dati di cittadini dai sistemi +di Equifax: appare chiara la vulnerabilità della società digitale sin lì creata, un +sistema che raccoglie big data in ogni momento, ma che non è grado, al contem­ +po, di prevedere dei sistemi di sicurezza adeguati a proteggerli. In quello stesso +anno, aumenta il successo delle cryptovalute, mentre gli attivisti tecnologici pro­ +testano per la volontà, da parte della Federal Communications Commission, di +eliminare la neutralità della rete e di abolire le regole che obbligano i provider a +trattare tutti i dati, i contenuti e i pacchetti allo stesso modo. +Nel 2018, scoppia lo scandalo di Cambridge Analytica, esplode il fenomeno +degli YouTuber, il 5G viene presentato come la tecnologia del futuro e Mark +Zuckerberg è costretto a presentarsi a Washington per cercare di spiegare al +mondo della politica, con non poco imbarazzo, il motivo per cui la sua piatta­ +forma non avesse individuato ciò che stava succedendo. Intanto, Elon Musk sta +aumentando il suo potere e diversificando i suoi interessi: Tesla, spazio, satelliti e +sistemi di comunicazione da usare in situazioni di emergenza. Il suo sistema di +satelliti Starlink viene usato, qualche anno dopo, per garantire la comunicazione +in territorio ucraino nei primi mesi della guerra e in Iran, per aggirare operazioni +di censura o chiusura di provider e disattivazione di reti da parte dei governi. In +Europa, il 25 maggio 2018 viene attuato il GDPR, la più importante normativa +sulla protezione dei dati mai elaborata nel Vecchio Continente, già entrata in +vigore due anni prima: si propone, anche, di limitare, e normare, il trattamento +dei dati dei cittadini europei da parte delle grandi società tecnologiche norda­ +mericane e cinesi. +Nel 2019, l’anno di TikTok, iniziano a diffondersi anche l’Internet delle Cose +e il podcasting. Il mondo delle web-radio era stata una delle grandi passioni di +Aaron – i primi post sul suo blog parlano proprio di questo – e i podcast avreb­ +bero certamente attirato la sua attenzione e il suo interesse. +Il 2020, l’anno della pandemia, segna il boom del cloud e dei software col­ +laborativi a distanza. La morte di George Floyd fa sorgere il movimento Black + 231 +Epilogo +Lives Matter: gli attivisti iniziano a sollecitare, dopo questo caso, un uso intenso +della tecnologia quale strumento perfetto per raccogliere testimonianze per le +strade. Gli smartphone diventano lo strumento preferito per il live streaming. +Il Presidente Trump insiste, in quell’anno, per rimuovere la famigerata Section +230 del Communication Decency Act del 1996, una normativa che ha fornito una +sorta di scudo alle piattaforme online che pubblicano i contenuti, limitando la +loro responsabilità. Si tratta di quella che è considerata la norma fondante che +ha permesso alle piattaforme di fiorire e di vedersi garantire un ampio margine +di libertà con riferimento a tutto ciò che pubblicano. Il suo tentativo, però, non +andrà a buon fine. Come conseguenza della pandemia, aumentano sensibilmen­ +te gli episodi di disinformazione, gli attacchi di phishing e le truffe informatiche. +Il 2021 è l’anno del metaverso, dell’intelligenza artificiale e degli NFT, mentre +il 2022 vede riaprirsi un dibattito sulla delicata posizione di Julian Assange, con +un accordo UK-USA-Ecuador per la sua estradizione. In Iran, nel frattempo, la +tecnologia viene usata ancora una volta come strumento per esercitare i propri +diritti di protesta e per opporsi al regime. Durante il conflitto Russia-Ucraina, le +fake news e il deepfake vengono utilizzati come veri e propri strumenti di guer­ +ra, così come i droni, i sistemi di riconoscimento facciale, i virus e il phishing. +La Electronic Frontier Foundation, una delle associazioni preferite da Aaron, che +collaborò anche a finanziare alcuni suoi progetti, è ancora oggi in piena attività e, +ogni anno, organizza un “giorno della memoria” per ricordare il giovane hacker. +Oggi la EFF si occupa, tra le altre cose, di riconoscimento facciale, di sorve­ +glianza, di tutela dei diritti umani, di violazione della privacy degli smartphone +e dei cittadini, di concorrenza, di copyright e di brevetti. Sul sito, sono decine i +documenti che ricordano le attività e le controversie giudiziarie di Aaron. +Lawrence Lessig, Carl Malamud, Tim Berners-Lee e Brewster Kahle, quat­ +tro dei più importanti punti di riferimento per Aaron quando era in vita, sono +ancora impegnati nelle loro attività di ricerca e di attivismo. Quinn Norton +continua a fare la giornalista e la scrittrice, Lisa Rein è coinvolta in numerose +iniziative artistiche e letterarie, molte delle quali pensate per ricordare Aaron. +Taren Stinebrickner-Kauffman, la sua ex compagna, continua a operare come +attivista. Carmen Ortiz, la procuratrice che guidava l’ufficio che ha accusato +Aaron, si è dimessa da ogni incarico nel dicembre del 2016. Stephen Heymann, +il procuratore che si era preso carico del caso, è passato a svolgere la professione +privata di avvocato. +Negli ultimi dieci anni, la sorveglianza e il controllo dei dati dei cittadini si +sono espansi a livelli preoccupanti. La governance della rete, delle piattaforme, +dei big data e dell’intelligenza artificiale è in mano a non più di una decina di +grandi società, statunitensi e cinesi. I governi hanno emanato sempre più norme +volte a regolamentare il digitale, e da un “Far-West giuridico” si è passati a una + 232 +Aggiustare il mondo +situazione di iper-produzione normativa, che vorrebbe disciplinare ogni aspetto +del digitale. +La memoria di Aaron, al contempo, non è scemata e, anzi, è ancora viva. +Il web è pieno di toccanti e sentite commemorazioni pubbliche e ricordi, di +conferenze sui temi a lui cari, di premi e memoriali a suo nome, di biografie, +d’interrogazioni politiche e proposte di legge, di riflessioni critiche e di continui +tentativi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su ciò che è successo e sulla +gravità degli eventi. +I più attivi sono stati, in questi ultimi anni, i componenti della sua famiglia, +gli affetti più cari, i suoi amici storici, mentori e colleghi ma, anche, semplici +cittadini. Alcune amministrazioni comunali, anche in Italia, hanno intestato sale +ricreative e spazi ad Aaron. +Oggi, con una rete che sta ancora una volta cambiando pelle e ha ormai preso +la direzione del controllo dell’individuo, della profilazione selvaggia degli utenti +e della centralità dei social network, le attività e le intuizioni di Aaron sono sem­ +pre più citate e prese ad esempio quali possibili strumenti correttivi del sistema. +Di certo, dieci anni, nel mondo digitale, sono un’era. A dieci anni esatti dalla +sua morte, il panorama tecnologico che ci troviamo ad analizzare appare radical­ +mente mutato, rispetto a quello in cui operava Aaron. È cambiato in un modo +che, probabilmente, non gli sarebbe piaciuto. +La riduzione di tutta l’informazione a valuta, comprese le emozioni delle +persone che agiscono online e, poi, la fusione di mondo privato, degli utenti e +del mondo governativo/pubblico in un unico, grande strumento di controllo +sarebbe stata traumatica, per lui. Vi è stato l’avvento, come ribadì più volte +Lawrence Lessig, di un Big, Big Brother. +Guardando in retrospettiva, e cercando di riflettere su come le azioni e le +strategie di Aaron Swartz possano essere assolutamente attuali anche nel quadro +moderno, notiamo molti aspetti interessanti. +Aaron ha, innanzitutto, combattuto per costruire un ponte tra il mondo +dell’attivismo e dei diritti – tanto caro anche, e soprattutto, alla tradizione nor­ +damericana – e quello tecnologico. +Ha cercato, in particolare, di comprendere come orientare la potenza dell’on­ +da tecnologica in una direzione che fosse utile per i diritti di libertà dei cittadini. +E lo ha fatto in un momento storico e politico critico. +Ha, poi, ribadito l’importanza centrale della curiosità in capo alle persone, +della volontà di mettere tutto in discussione, di valutare con cura tutti gli aspetti +di un fenomeno sociale, di una legge, di un’istituzione, di un’opera. +Si pensi a quanto gli sarebbe interessato, ad esempio, il fenomeno delle fake +news in società e in politica, per come è esploso negli ultimi anni. +Tutta la sua attività fu mossa, sempre, da una inarrestabile curiosità, e la cu­ +riosità si collega direttamente alle origini dell’informatica e all’aspetto più nobile +della tradizione dell’hacking. Ci riferiamo a quella curiosità innata, senza freni, + 233 +Epilogo +che porta anche a superare limiti, a violare confini, a cercare di far cadere il velo +di segretezza, che il potere è così propenso a mantenere, per tutelare la sua po­ +sizione di vantaggio nei confronti del cittadino. +Per Aaron, al centro di tutto vi era la convinzione che l’informazione – e i cit­ +tadini correttamente informati – fossero il bene più importante e più prezioso, +un bene del quale nessuno, in nessuna parte del mondo, doveva essere privato. +Non solo, quindi, lo affascinò la teoria dei commons, dei beni comuni, ma +pensava a un vero e proprio diritto in capo all’umanità di accedere a tutte le +informazioni, un diritto che voleva fosse riconosciuto giorno dopo giorno. E, +anche in questo caso, le sue idee si ritrovano non soltanto nelle azioni che Tim +Berners-Lee e altri continuano a portare avanti, ma anche nei vari progetti di +carte dei diritti che cercano di costituzionalizzare i principi inviolabili correlati +alla rete. Stefano Rodotà in Italia, ad esempio, con la sua Dichiarazione dei Diritti +di Internet del 14 luglio 2015, fu uno dei più illuminati teorici di questo aspetto. +Anche le sue incredibili capacità informatiche – come programmatore ma, +anche, come progettista – erano orientate nel collegare queste informazioni, +nel combattere la censura, nel rimuovere ogni possibile limitazione di accesso +ai contenuti e alla rete. Una continua ricerca di ordine e di catalogazione, unita, +però, alla semplicità di utilizzo per l’utente comune. +Nonostante Aaron sia vissuto nell’era della nascita delle prime grandi star­ +tup che, poi, avrebbero condizionato il mondo tecnologico e dei big data, si +mantenne sempre ai margini di un settore, quello dell’imprenditoria, dove era +rimasto scottato con l’esperienza di Reddit e dove, eticamente, si era sentito in +difficoltà ad arricchirsi come stavano facendo i suoi coetanei della Valley, ossia +chiudendo le informazioni, profilando le persone sin negli aspetti più intimi, +monetizzando quell’informazione che lui voleva, invece, libera e gratuita. +Del resto, quello era l’unico modo, secondo lui, per limitare i poteri sia dei +governi, sia delle multinazionali che già si stavano espandendo. Non solo le +multinazionali dei contenuti e del copyright – si interessò, è vero, alla questio­ +ne dello strapotere di Hollywood ma, per lui, era un problema satellite, indice +di una questione più grande – ma tutte le società e le piattaforme che stavano +mettendo i dati e i contenuti, e la loro capitalizzazione, al centro del business. +Se scorriamo il programma dell’ultima edizione dell’Aaron Swartz Day, l’even­ +to organizzato dalla EFF ogni anno per commemorare Aaron, notiamo chiara­ +mente l’attualità dei temi che già lui trattava, e la loro costante evoluzione. +Vediamo, ad esempio, alcune conferenze sul servizio SecureDrop – il suo pro­ +getto per la sicurezza delle fonti – ma, anche, la presentazione del progetto +BadApple, una collaborazione tra Priveasy e l’Aaron Swartz Day Police Surveillance +Project per fornire strumenti, e risorse preziose, con l’obiettivo di responsabiliz­ +zare le forze dell’ordine e porre fine a possibili condotte illegali da parte loro. +L’idea alla base di BadApple, che sicuramente Aaron avrebbe amato, è quella +di creare un database ricercabile di modelli di Public Records Act, che consentano + 234 +Aggiustare il mondo +a chiunque di richiedere, in modo semplice ed efficace, i documenti relativi a un +agente specifico o a un incidente che coinvolga l’operato illecito della polizia o +alle tecnologie di sorveglianza usate dalla polizia stessa (come droni, stingray o +software per azioni di polizia predittiva). +Il database consente a chiunque di consultare le informazioni sugli agenti che +sono stati condannati per comportamenti illeciti e diventa, così, uno strumento +importante per controllare gli agenti e garantire che coloro che abbiano prece­ +denti non vengano semplicemente spostati in nuove sedi, ogni volta che vi sia +un accertamento fondato di responsabilità contro di loro. +Tutte le informazioni contenute nel database provengono direttamente dagli +affari interni o da una commissione di supervisione e sono trascritte, parola per +parola, dal loro rapporto ufficiale post-investigativo. Utilizzando il database, è +possibile trovare immediatamente i dettagli dei rapporti investigativi relativi a un +determinato agente, organizzati in modo ordinato, per visualizzare tutte le in­ +formazioni pertinenti, oltre alla possibilità di visualizzare il rapporto completo +in qualsiasi momento. +Tutti i rapporti investigativi sono archiviati presso l’Internet Archive ed ordinati +tramite una indicizzazione molto accurata. Un utilizzo ulteriore che si può fare +di questo sistema è quello che permette di trovare le commissioni di supervisio­ +ne della polizia nella zona dell’utente e segnalare fatti, comunicando in maniera +anonima e senza timore di ritorsione alcuna. +Il suo carisma, il suo carattere, il suo attivismo, le sue competenze e la sua +fragilità continuano a riunire attorno alla memoria di Aaron, e ad affascinare, +tantissimi operatori della società tecnologica: hacker, politici, artisti, scrittori, +bibliotecari e tecnologi della vecchia guardia. +Studiosi del calibro di Cory Doctorow, di Tim Berners-Lee e di Lawrence +Lessig lo ricordano ancora e, in alcuni progetti, continuano a cercare di portare +avanti, in un certo senso, il suo pensiero. +Il suo sito/blog, Raw Thought, è online e, con ogni probabilità, ci rimarrà per +sempre grazie all’attività di tanti volontari. Ogni volta, rileggendo i suoi nume­ +rosi articoli, si trovano spunti nuovi di riflessione. +Tutti questi pensieri rimasti sul web, al di là di interpretazioni e ipotesi che si +possano fare su alcuni momenti critici della sua vita, sono la fonte più importan­ +te per comprenderlo veramente, anche in tutte le sue contraddizioni. +Dal blog, sembrerà strano per un “figlio di Internet”, emerge anche il suo +grande amore per il mondo analogico, soprattutto con riferimento a due aspetti: +i libri e le biblioteche, e la necessità costante di avere un contatto fisico con le +persone o di metterle in contatto tra loro. Questo ponte tra vecchio e nuovo gli +consentiva di creare, in ogni momento, collegamenti estremamente originali. +Dopo la sua morte, la frase più comune, in tante commemorazioni ed eventi +pubblici, fu di questo tenore: «poteva essere uno dei grandi innovatori e creato­ +ri del nostro futuro, ma nessuno lo saprà mai!». + 235 +Epilogo +In effetti, nessuno lo può sapere. Né si può ipotizzare come si sarebbero +evolute le sue idee in un quadro così cambiato. Sarebbero, quindi, considera­ +zioni fatue. +Di certo, i progetti che ha lasciato su cui riflettere, e da cui prendere spunto, +sono tanti, così come questa urgenza di organizzare le informazioni e di cercare +di riparare ogni cosa che non funziona bene: da un computer alla democrazia, da +una parte di codice sino al governo, al sistema giudiziario o alle leggi. +«Dobbiamo agire senza alcun timore», diceva spesso, «perché è un nostro +dovere pensare in grande». +E la sua decisione, nel periodo della maturità, fu proprio quella di investire il +suo tempo solo in qualcosa che fosse importante, unico e grande. +Nobile fu, anche, l’attenzione per gli ultimi, per chi voleva rimanere anonimo, +e il pensare a come usare le tecnologie per dar voce a persone che, nel dialogo +con professionisti e celebrità potessero, comunque, fornire il loro contributo +nella creazione di codice o di contenuti di valore. +Era un aspetto che aveva vissuto sulla sua pelle: il timore di non essere preso +in considerazione seriamente in determinati ambienti a causa della sua giovane +età o della gracilità del suo fisico. Ma era fermamente convinto che dal confron­ +to, dal dibattito e dalla messa in discussione, e costante revisione, di qualsiasi +concetto potesse uscire il meglio dell’umanità. +Più che pensare, allora, a cosa ci avrebbe potuto dare e dire ancora, è +opportuno riflettere sul fatto che abbia prodotto sufficiente materiale e progetti, +per ripercorrere criticamente l’intera storia di Internet dalle origini sino al 2013. +Il tutto, con una profondità di visione che è utile anche per interpretare il +quadro tecnologico odierno, e per discernere ciò che è andato bene e ciò, in­ +vece, che si è perso, anche rispetto alle originarie promesse. E che andrebbe +aggiustato. +Seguendo il suo esempio, ciascuno, con le proprie competenze – piccole o +grandi che siano – dovrebbe, ogni giorno, combattere per cercare di aggiustare +il mondo. + Ringraziamenti, metodologia, fonti +consultate e riferimenti bibliografici +Ringraziamenti +Questo libro è nato per ricordare – a dieci anni esatti di distanza dalla sua +tragica morte – uno dei più creativi, visionari e interessanti profili di hacker, +scienziato e pensatore, che ancora oggi è capace di ispirare tante persone che +operano nel mondo digitale. +Un ringraziamento va, in primis, a Paola Galimberti, della mia Università, che +si è subito appassionata al libro e che mi ha aiutato nella verifica del testo e +dei fatti, e nel confronto, capitolo per capitolo, di tantissimi aspetti della prima +stesura. A lei devo, anche, il prezioso contatto con la Milano University Press, +l’onore di poter pubblicare con loro quest’opera e la possibilità di divulgare in +open access il presente testo. +Le attività di ricerca alla base di questo libro sono state portate avanti per +tutto il 2022 nel mio Centro di Ricerca in “Information Society Law” dell’U­ +niversità degli Studi di Milano: Pierluigi Perri, Paulina Kowalicka, Maria Grazia +Peluso, Giulia Pesci, Gabriele Suffia e Samanta Stanco mi hanno aiutato nel +processo di redazione e nella correzione delle bozze. +Un piccolo team di studiose e studiosi di Aaron Swartz e delle tematiche a +lui connesse ha letto in anteprima il manoscritto nella sua prima versione e mi +ha fornito suggerimenti preziosi e critiche puntuali. Grazie, in particolare, a +Carola Frediani, ad Anna Masera, ad Antonio Pavolini, a Fabio Chiusi, a Frieda +Brioschi, a Philip Di Salvo, a Yvette Agostini, a Flavia Marzano e ad Agnese +Addone, a Giovanni Boccia Artieri, ad Alex Orlowski, a Roberto Scano, a +Vittorio Pasteris, a Massimo Canducci e a Francesca De Benedetti. Ovviamente, +tutte le imperfezioni e gli errori sono di mia, unica responsabilità. +La foto in copertina è una gentile concessione di Barbara Lacchini (su +Instagram: barbara_lacchini). +Metodologia +La stesura del libro ha avuto inizio con l’analisi accurata degli atti processuali +e degli scritti di Aaron. +Ho dato, in un certo senso, la priorità ai documenti ufficiali e alla sua voce, +per narrare i fatti in una modalità che fosse la più possibile autorevole. + 238 +Aggiustare il mondo +Ho pescato a piene mani, in particolare, dal suo blog, dai documenti rilasciati +dall’FBI e dalle autorità e dalle quasi duecento pagine del rapporto interno del +MIT. +Ho, poi, scelto di analizzare tutto il dibattito generato dagli studiosi e dalla +stampa cercando, però, di selezionare con cura le posizioni e lasciando, sempre, +al lettore la riflessione finale ed eventuali giudizi. +La traduzione dall’inglese in italiano di tutti i testi, post, articoli, atti proces­ +suali e lettere è opera mia, e ho preferito tradurre nuovamente molti testi, anche +qualora fossero disponibili già tradotti in lingua italiana. +Spesso, ho adattato il testo e i termini alla realtà processuale o sociale italiana, +o al contesto narrativo informale, prendendomi la libertà di cambiare alcuni +termini, ma senza mai alterare il senso dei periodi o il pensiero degli autori e +delle autrici. +In alcuni passaggi, come nel Prologo o nelle parti finali, ho cercato di imma­ +ginare determinare situazioni, spaziando un po’ nella direzione della fiction ma, +sempre, cercando di mantenere la massima aderenza ai fatti. +Fonti consultate +P. Di Salvo, “Coder,” “Activist,” “Hacker”: Aaron Swartz in the Italian, UK, U.S., +and Technology Press, in International Journal of Communication 11(2017), pp. +1149–1168 1932–8036/2017FEA0002. +J. Peters, The idealist. Aaron Swartz and the rise of free culture on the Internet, +Scribner, 2015. +A. Swartz, The boy who could change the world. The writings of Aaron Swartz, +The New Press, 2015. +Aaron Swartz’s FBI Files, University of Nebraska, Lincoln, 2014. +T. Carmody, Memory to myth: tracing Aaron Swartz, in The Verge, 22 gennaio +2013. +A. Souppouris, How a phone call made Aaron Swartz join the fight against SOPA, +in The Verge, 21 gennaio 2013. +A. Robertson, Senator John Cornyn accuses Eric Holder of prosecuting Aaron +Swartz as ‘retaliation, in The Verge, 19 gennaio 2013. +J. Kopfstein, After Aaron: how an antiquated law enables the government’s war on +hackers, activists, and you, in The Verge, 18 gennaio 2013. +A. Robertson, Rep. 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Shake Edizioni, +Milano, 2001. Ne ho parlato anche in G. Ziccardi, Hacker - Il richiamo della li­ +bertà, Marsilio, Venezia, 2011, e, più di recente, in G. Ziccardi, Diritti Digitali, +Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022. +Gli autori della Trilogia degli Illuminati sono Robert Shea e Robert Anton +Wilson. Si trovano numerose edizioni, in tutte le lingue, a partire dal 1975. I ro­ +manzi saranno poi riuniti in una trilogia a partire dal dal 1984. Si veda, ad esem­ +pio, l’edizione in lingua inglese del 1994 dell’editore Little, Brown Book Group. +L’episodio della proiezione privata di WarGames fatta all’allora Presidente de­ +gli Stati Uniti d’America è citata, tra gli altri, in K. Bankston, How Sci-Fi Like +‘WarGames’ Led to Real Policy During the Reagan Administration, in New America, 11 +ottobre 2018, ancora consultabile all’indirizzo https://www.newamerica.org/ +weekly/how-sci-fi-wargames-led-real-policy-during-reagan-administration/ +Il post di Aaron dal titolo “Wanted by the FBI”, citato e da me tradotto nel +libro, è ancora consultabile sul suo blog all’indirizzo http://www.aaronsw.com/ +weblog/fbifile +I PRIMI VENT’ANNI +Capitolo I +Il post di Aaron “It’s always cool to run”, citato e da me tradotto nel capi­ +tolo, è ancora disponibile in Internet all’indirizzo http://www.aaronsw.com/ +weblog/000101 +Il post di Aaron dal titolo “Tony Collen: Personally, I think”, citato e da me +tradotto nel capitolo, è ancora disponibile in Internet all’indirizzo http://www. +aaronsw.com/weblog/000107 + 245 +Ringraziamenti, metodologia, fonti consultate e riferimenti bibliografici +The Hacker Manifesto di The Mentor, pubblicato su Phrack!, citato e da me tra­ +dotto nel capitolo, è ancora consultabile a questo indirizzo http://phrack.org/ +issues/7/3.html#article +Il post di Aaron “Boston Trip Story”, citato e da me tradotto nel capitolo, è +ancora consultabile all’indirizzo http://www.aaronsw.com/weblog/000233 +Il post con la commemorazione di Aaron da parte del professor Philip +Greenspun, citato e da me tradotto nel capitolo, è ancora consultabile all’indi­ +rizzo https://philip.greenspun.com/blog/2013/01/12/aaron-swartz/ +L’intervista, e il ricordo, di Rolando Lemos di Creative Commons Brasile, +citati e da me tradotti nel capitolo, sono ancora consultabili nell’articolo “My +Email Exchange With Aaron Swartz Shows An Original Thinker”, pubbli­ +cato su Fast Company all’indirizzo https://www.fastcompany.com/3004769/ +my-email-exchange-aaron-swartz-shows-original-thinker +Capitolo II +Il TED di Tim Berners-Lee più celebre, e di cui ho citato e tradotto alcuni +passaggi, è intitolato “The Next Web” ed è facilmente reperibile su YouTube. +Le frasi di ricordo di Lisa Rein dedicate ad Aaron, da me citate e tradotte +nel capitolo, sono prese dal suo talk “Lisa Rein’s Opening Remarks at Aaron +Swartz’s Day at the Internet Archive” del 2014 e sono ancora disponibili al se­ +guente indirizzo: https://www.aaronswartzday.org/tag/lisa-rein/page/2/ +I ricordi di Aaron a firma, e a voce, di Cory Doctorow, da me citati e tradotti +nel capitolo, sono tratti dai contenuti della sezione del suo sito Boing Boing de­ +dicata a commemorarlo, e sono ancora disponibili all’indirizzo https://boing­ +boing.net/2013/01/12/rip-aaron-swartz.html +Capitolo III +Il post di Aaron intitolato “Aaron joins Creative Commons as RDF Advisor”, +da me citato e tradotto nel capitolo, è ancora reperibile all’indirizzo http:// +www.aaronsw.com/weblog/000174 +Il post di Aaron intitolato “To the Courthouse”, citato e da me tradotto +nel capitolo, è ancora disponibile all’indirizzo http://www.aaronsw.com/ +weblog/000637 + 246 +Aggiustare il mondo +Il post di Aaron intitolato “Mr. Swartz goes to Washington”, citato e da +me tradotto nel capitolo, è ancora disponibile all’indirizzo http://www.aaronsw. +com/weblog/000650 +L’intervista di Lawrence Lessig apparsa su WIPO Magazine, citata e da me +tradotta nel capitolo, è ancora disponibile all’indirizzo https://www.wipo.int/ +wipo_magazine/en/2011/01/article_0002.html +L’articolo di Coleen Walsh sulla Harvard Gazette, citato e da me tra­ +dotto nel capitolo, è pubblicato al link https://news.harvard.edu/gazette/ +story/2013/02/lessig-remembers-swartz/ +L’articolo di Caroline Kitchener su The Atlantic “Mentorship Cut +Short by Suicide”, da me citato e tradotto nel capitolo, è disponibi­ +le +all’indirizzo +https://www.theatlantic.com/business/archive/2017/08/ +lawrence-lessig-aaron-swartz/537693/ +Capitolo V +Il post di Aaron “I love the University”, da me citato e tradotto nel capitolo, +è disponibile all’indirizzo http://www.aaronsw.com/weblog/visitingmit +Il post di Aaron “Announcing the Open Library”, da me citato e tradot­ +to nel capitolo, è consultabile all’indirizzo http://www.aaronsw.com/weblog/ +openlibrary +Capitolo VI +Il post di Aaron “A Non-Programmer’s Apology”, da me citato e tradot­ +to nel capitolo, è consultabile all’indirizzo http://www.aaronsw.com/weblog/ +nonapology +L’ATTIVISMO TECNOLOGICO E POLITICO +Capitolo VII +Il post di Aaron “Welcome, watchdog.net”, da me citato e tradotto nel ca­ +pitolo, è consultabile all’indirizzo http://www.aaronsw.com/weblog/watchdog +L’annuncio originario di Aaron, da me citato e tradotto, è ancora disponibi­ +le sul sito della Sunlight Foundation all’indirizzo https://sunlightfoundation. +com/2008/04/15/watchdognet/ + 247 +Ringraziamenti, metodologia, fonti consultate e riferimenti bibliografici +La frase di David Segal citata e da me tradotta è tratta dal più volte citato +libro-raccolta degli scritti di Aaron (“A. Swartz, The boy who could change the +world. The writings of Aaron Swartz, The New Press, 2015”). +Capitolo VIII +L’Internet Archive custodisce il testo completo del Guerrilla Open Access +Manifesto all’indirizzo https://archive.org/stream/GuerillaOpenAccessMani­ +festo/Goamjuly2008_djvu.txt +La dichiarazione di indipendenza del ciberspazio di John Perry Barlow è con­ +sultabile all’indirizzo https://www.eff.org/it/cyberspace-independence +Il post di Aaron “Arrgh, pirates”, da me citato e tradotto nel capitolo, è con­ +sultabile all’indirizzo http://www.aaronsw.com/weblog/000158 +L’articolo di Aaron “Counterpoint: Downloading Isn’t Stealing”, da me citato +e tradotto nel capitolo, è all’indirizzo http://www.aaronsw.com/weblog/001112 +L’articolo di Lawrence Lessig apparso su The Industry Standard è stato pubbli­ +cato il 9 aprile del 1999 e reca il titolo “The Code is Law”. +Capitolo IX +Il quotidiano The New York Times narrò della vicenda PACER nell’articolo del +12 febbraio 2009 intitolato “An Effort to Upgrade a Court Archive System to +Free and Easy”, ancora consultabile in rete all’indirizzo https://www.nytimes. +com/2009/02/13/us/13records.html +Capitolo X +Il libro citato all’inizio del capitolo, che ebbe molta influenza negli am­ +bienti dell’attivismo di allora, è D. Karpf, The MoveOn Effect: The Unexpected +Transformation of American Political Advocacy, Oxford University Press USA, 2012. +Capitolo XI +Il post di Aaron intitolato “Markdown”, del 19 marzo 2004, da me citato e +tradotto nel capitolo, è ancora consultabile all’indirizzo http://www.aaronsw. +com/weblog/001189 +Capitolo XII +Nel capitolo, descrivo l’approccio di Aaron in difesa dell’anonimato, mi ri­ +ferisco ai contenuti del suo post del 24 ottobre 2008 dal titolo “In Defense +of Anonimity”, ancora consultabile all’indirizzo http://www.aaronsw.com/ +weblog/tor2web + 248 +Aggiustare il mondo +I CASI GIUDIZIARI +Capitolo XIV +L’articolo di Wired dell’11 dicembre 2008 “Online Rebel Publishes +Millions of Dollars in U.S. Court Records for Free”, da me citato e tradot­ +to nel testo, è ancora in linea all’indirizzo https://www.wired.com/2008/12/ +online-rebel-publishes-millions-of-dollars-in-u-s-court-records-for-free/ +L’articolo di The New York Times del 12 febbraio 2009 intitolato “An Effort +to Upgrade a Court Archive System to Free and Easy”, da me citato e tra­ +dotto nel testo, è ancora disponibile online all’indirizzo https://www.nytimes. +com/2009/02/13/us/13records.html +Capitolo XVI +Il report del MIT con l’esito dell’indagine interna sul caso di Aaron, da me +citato e tradotto (non integralmente) nel capitolo, è consultabile all’indirizzo +https://swartz-report.mit.edu +Capitolo XVIII +L’articolo commemorativo di Quinn Norton “Life Inside the Aaron +Swartz Investigation” del 4 marzo 2013, da me citato e tradotto nel capito­ +lo, è ancora disponibile all’indirizzo https://www.theatlantic.com/technology/ +archive/2013/03/life-inside-the-aaron-swartz-investigation/273654/ +L’articolo di The Guardian a firma di Amanda Holpuch del 7 marzo 2013 dal tito­ +lo “Eric Holder defends Aaron Swartz hacking prosecution”, dove si difende l’ope­ +rato dell’accusa, è ancora consultabile all’indirizzo https://www.theguardian.com/ +technology/2013/mar/07/eric-holder-defends-aaron-swartz-hacking-prosecution +La pagina della EFF contenente il documento “Questions the +Senate Should Ask At Tomorrow’s Briefing on the Aaron Swartz +Prosecution”, con i quesiti da porre a Holder dopo il caso, è ancora con­ +sultabile online all’indirizzo https://www.eff.org/it/deeplinks/2013/05/ +questions-senate-should-ask-tomorrows-briefing-aaron-swartz-prosecution +La trascrizione dell’accorata intervista di Lawrence Lessig alla giornalista +“Democracy Now” del 14 gennaio 2013, da me citata e tradotta nel capitolo, +è ancora disponibile all’indirizzo https://www.democracynow.org/2013/1/14/ +an_incredible_soul_lawrence_lessig_remembers +L’articolo commemorativo di Danah Boyd dal titolo “Processing the loss +of Aaron Swartz” del 13 gennaio 2013, da me citato e tradotto nel capitolo, + 249 +Ringraziamenti, metodologia, fonti consultate e riferimenti bibliografici +è ancora disponibile online all’indirizzo https://www.zephoria.org/thoughts/ +archives/2013/01/13/aaron-swartz.html +Con riferimento alle testimonianze e ai ricordi di Taren Stinebrickner- +Kaufmann, si veda il post del 4 febbraio 2013, da me citato e tradotto nel ca­ +pitolo, dal titolo “Why Aaron died”, ancora consultabile online all’indirizzo ht­ +tps://tarensk.tumblr.com/post/42260548767/why-aaron-died +La +poesia +commemorativa +che +Brewster +Kahle +ha +dedicato +ad +Aaron, +“Howl +for +Aaron Swartz”, riportata nel capitolo in lingua originale, è consultabile al seguen­ +te indirizzo: https://www.aaronswartzday.org/howl-for-aaron-swartz-2020/ +L’EREDITÀ +Capitolo XIX +Il post di Aaron del 1° giugno 2006, intitolato “Legacy” è consultabile, in lin­ +gua originale, al seguente indirizzo: http://www.aaronsw.com/weblog/legacy +La trascrizione del talk di Aaron “How To Get a Job Like Mine” è consulta­ +bile, in lingua originale, sul sito di Outlook India all’indirizzo https://www.outlo­ +okindia.com/website/story/how-to-get-a-job-like-mine/283535 +Capitolo XX +The Internet’s Own Boy è un documentario del 2014, della durata di 120 minuti, +scritto, girato e prodotto da Brian Knappenberger. Versioni complete del docu­ +mentario sono disponibili (anche) su YouTube. +Gli articoli di Swartz sono raccolti in A. Swartz, The boy who could change +the world. The writings of Aaron Swartz, The New Press, 2015. +L’articolo di Malcom Harris “Reading Everything Aaron Swartz Wrote” +del 29 dicembre 2015, pubblicato su The New Republic, è consultabi­ +le in lingua originale all’indirizzo https://newrepublic.com/article/126674/ +reading-everything-aaron-swartz-wrote +Capitolo XXI +Il post del blog di Aaron intitolato “Jefferson: Nature Wants Information +to Be Free” è dispnibile all’indirizzo http://www.aaronsw.com/weblog/001115 +I tre principi di Sci_Hub sono consultabili in home page all’indirizzo ht­ +tps://sci-hub.hkvisa.net +I post citati nel capitolo che Aaron ha dedicato a Wikipedia sono i seguenti: + 250 +Aggiustare il mondo +Part 1: Wikimedia at the Crossroads, sul suo blog all’indirizzo http://www. +aaronsw.com/weblog/wikiroads +Part 2: Who Writes Wikipedia?, sul suo blog all’indirizzo http://www.aaron­ +sw.com/weblog/whowriteswikipedia +Part 3: Who Runs Wikipedia?, sul suo blog all’indirizzo http://www.aaronsw. +com/weblog/whorunswikipedia +Part 4: Making More Wikipedians, sul suo blog all’indirizzo http://www.aar­ +onsw.com/weblog/morewikipedians +Part 5: Making More Wikipedias, sul suo blog all’indirizzo http://www.aar­ +onsw.com/weblog/morewikipedias +Part 6: Code, and Other Laws, sul suo blog all’indirizzo http://www.aaronsw. +com/weblog/wikicodeislaw +Capitolo XXII +La trascrizione del discorso di Carl Malamud dal titolo “Aaron’s Army” del 24 +gennaio 2013, pronunciato durante il Memoriale di Aaron all’Internet Archive +il 24 gennaio 2013, è consultabile all’indirizzo https://public.resource.org/ +aaron/army/ +Capitolo XXIII +Il riferimento di Lawrence Lessig a un “bullismo giudiziario” si trova, ad +esempio, in L. Lessig, Prosecutor as bully, 12 gennaio 2013, all’indirizzo ht­ +tps://lessig.tumblr.com/post/40347463044/prosecutor-as-bully +Il comunicato della EFF sul caso Van Buren si trova all’indirizzo https:// +www.eff.org/it/cases/van-buren-v-united-states +Epilogo +L’articolo di Massimo Mantellini (“In memoria di Aaron Swartz”) +è stato pubblicato su Punto Informatico il 13 gennaio 2014 ed è anco­ +ra consultabile al seguente indirizzo: https://www.punto-informatico.it/ +contrappunti-in-memoria-di-aaron-swartz/ +La Dichiarazione dei Diritti di Internet è consultabile all’indirizzo https://www. +camera.it/application/xmanager/projects/leg17/commissione_internet/di­ +chiarazione_dei_diritti_internet_pubblicata.pdf +Le informazioni relative all’Aaron Swartz Day del 2021, e i riferimenti ai +progetti SecureDrop e BadApple, sono tratte dal seguente indirizzo: https://www. +aaronswartzday.org. + Aggiustare il mondo +La vita, il processo e l’eredità dell’hacker Aaron Swartz +Giovanni Ziccardi +La vita troppo breve dell’hacker Aaron Swartz – morto suicida l’11 gennaio del 2013 – ha +tantissimi aspetti incredibili. Piccolo genio dell’informatica cresciuto in un sobborgo di Chi- +cago, incontra, da adolescente, studiosi del calibro di Tim Berners-Lee e Lawrence Lessig e +lavora con loro per costruire le architetture informatiche, e le licenze d’uso, del futuro. Con +un cambio di vita radicale, deciderà poi di dedicarsi all’attivismo politico e tecnologico proprio +mentre i suoi coetanei più talentuosi sfruttano l’onda della Silicon Valley per arricchirsi. Lui de- +dicherà, invece, le sue energie e il suo talento a combattere per l’open access, per la sicurezza +delle comunicazioni, per l’anonimato e per “liberare” contenuti e cultura dai confini, e pedag- +gi, delle grandi banche dati. A un certo punto, però, il governo degli Stati Uniti d’America lo +prenderà di mira e, lentamente, la potente macchina giudiziaria americana lo stritolerà. Il suo +insegnamento, le sue teorie, la sua passione sono ancora oggi, a distanza di dieci anni dalla sua +morte, esempio per tantissimi utenti, hacker e cittadini della società dell’informazione. +In copertina: Your rainbow panorama, installazione permanente dell’architetto Olafur Eliasson presente +dal 2011 sul tetto dell’ARoS Kunstmuseum, Aarhus, Danimarca. Foto di Barbara Lacchini. Per +gentile concessione dell’autrice. +ISBN 979-12-5510-001-0 (print) +ISBN 979-12-5510-004-1 (PDF) +ISBN 979-12-5510-006-5 (EPUB) +DOI 10.54103/milanoup.100