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# Cos’è questo materiale un po’ alluminio, un po’ ceramica, di cui molti parlano
Il ceraluminum è un nuovo materiale frutto di 4 anni di ricerche che Asus ha presentato non solo alle fiere tecnologiche, ma anche al Design Festival di Londra. Ce lo racconta il Chief Design Officer Mitch Yang.
Opaco. Minimale. Solido. Rigido. Simile alla pietra. Piacevole al tatto, non certo freddo come l’alluminio. Sono diverse le sensazioni che si provano portando sotto braccio - e perché no carezzando - uno dei nuovi laptop Zenbook di Asus con scocca in ceraluminum, un nuovo materiale facilmente riciclabile, resistente ai graffi in una scala che sta tra il vetro e il diamante e disponibile per ora in due colori, grigio e bianco (“Zumaia Grey” e “Scandinavian White”, nella nomenclatura composta che piace tanto ai brand tecnologici). Ci sono voluti quattro anni per svilupparlo, spiega a *Domus* il capo design di Asus, Mitch Yang. Il ceraluminum è parte dell’intensa attività di ricerca dell’azienda tecnologica taiwanese, tra le Most Admired di Fortune e arcinota per i suoi computer, soprattutto quelli portatili, di cui Zenbook è la linea di punta.
Zenbook è zen e la natura è un riferimento fondamentale per Asus, spiega Yang. In passato, l’azienda ha sperimentato con materiali organici, ricorda il capo design: la pelle, per esempio, ma anche il bambù (sì, Asus aveva fatto un computer di bambù). Il ceraluminum, più che una sperimentazione, sembra un futuro altamente probabile, da quello che racconta Yang, che traccia un parallelo tra la “calma” che lo Zenbook vuole ispirare e questo nuovo materiale in cui si uniscono le qualità del metallo con quelle di una superficie ceramizzata.
Spesso sottovalutiamo il design della tecnologia. Troviamo più facilmente nobile il progetto di una sedia che quello di uno smartphone o un paio di cuffie. Succede anche che diamo il giusto peso ai device che ci hanno cambiato la vita solo guardando indietro nel tempo. E allora ci accorgiamo che la Playstation del 1994 o una radio di Dieter Rams sono a tutti gli effetti delle icone. “Design you can feel” è la mostra che ha messo il ceraluminum di Asus al centro di un racconto di design per raccontarne le caratteristiche, affiancandolo a progetti di ricerca e aprendo ad altri l’utilizzo del materiale. Parte del programma del Design Festival di Londra, l’esposizione ha mostrato le potenzialità del nuovo materiale, che per l’occasione è stato utilizzato anche per la realizzazione di due progetti non di Asus: una serie di sedute dei coreani Niceworkshop, famosi per i loro arredi in metallo, e un concept di assistente AI portatile disegnato da Future Facility, lo spin-off dello studio di industrial design Industry Facility specializzato in dispositivi tecnologici.
“Innovare i computer portatili è una grande sfida”, dice Yang, che incontro in un ufficio del grande spazio di Shoreditch che ospita la mostra, riferendosi al fatto che il fattore di forma del laptop è pressoché identico dagli inizi e dall’idea di “bento box” di Richard Sapper poco è cambiato. Ma qualcosa si sta muovendo e l’impiego sempre più massiccio dell’Intelligenza Artificiale da parte di chi i computer li usa sicuramente avrà delle conseguenze, spiega il Cdo. La forma seguirà l’interfaccia. Possiamo forse già ipotizzare dei computer con cui interagire parlando, più che con la tastiera? “L’integrazione dell’AI cambia l’approccio alla creazione della tecnologia” spiega Yang. Nelle sue parole traspare l’entusiasmo di chi sta presentando il frutto di anni di lavoro, eppure non può fare a meno di guardare al domani.
Un altro aspetto di cambiamento investirà sicuramente lo schermo… anzi gli schermi. Lo Zenbook Duo è il dispositivo con cui Asus sta sperimentando l’utilizzo di display multipli in un computer portatile. Dilagando nello spazio dedicato alla tastiera, come nel primo modello, o più recentemente con la proposta di un computer portatile che all’occorrenza può dispiegare due schermi, uno sopra l’altro. Creato soprattutto per chi lavora con video e immagini, il Duo è un laptop che non passa inosservato. Unisce l’aspetto emozionale e quello funzionale, due aspetti fondamentali del design di Asus, spiega Yang.
“Il laptop è un gadget, ma come lo rendi sexy?”, interviene Carolin Lin, Senior Global Product Marketing Manager. Insieme a Yang, mi mostra una serie di scocche Zenbook in ceraluminum. Alcune sono riuscite, altre sono degli interessanti fallimenti. Il processo per creare il nuovo materiale è stato sviluppato nel corso di quattro anni di prove ed errori, per raggiungere un risultato ottimale di colorazione, texture e durezza. Il processo è semplice, almeno a parole: il metallo viene immerso in una soluzione composta per il 95% di acqua e poi trasformato usando scariche elettriche. Ne risulta un materiale facilmente riciclabile e dai colori naturali - dimenticatevi le colorazioni pazzerelle che negli ultimi anni sono state così di moda. Il ceraluminum è un pensiero di ritorno all’essenziale. Allo zen. Yang e Lin accennano anche alla possibilità, un giorno, di creare dispositivi personalizzati, uno diverso dall’altro. Ho poggiato di fianco alle scocche la mia borsa Freitag e il riferimento sembra lampante.
Una finestra sul futuro, certo, ma Yang, interpretando in pieno una certa filosofia orientale del design, sicuramente zen ma anche concreta, accompagna l’entusiasmo per una innovazione di scenario con la cura del dettaglio che è possibile raggiungere utilizzando il ceraluminum. Mostra a *Domus* la scocca opaca e leggera dei nuovi Zenbook e si sofferma sulla griglia dell’altoparlante, creata con doppio livello, quello superiore a nido d’ape, in modo da bloccare la polvere ed eventuali schizzi. Questa attenzione è importante, spiega. Perché non si innova solo cambiando il fattore di forma. Ma anche con l’attenzione ai dettagli.
Foto
Zenbook S14 e S16
Zenbook Duo
Computer bambù
Foto Susa
Foto Niceworkshop
# Intro AI
L’idea che le macchine possano essere intelligenti è tutt’altro che nuova. Va indietro almeno agli antichi greci. Il mito di Talos racconta di un gigante di bronzo creato per difendere l’isola di Creta: una fantasia, certo, che ci ricorda però che i robot sono tra di noi da molto prima che iniziassimo a chiamarli così - fu un dramma utopistico ceco a introdurre il termine In Europa all’inizio del secolo scorso. Il dispositivo di Antichera, dal nome dell’isola in cui è stato trovato, non era invece una fantasia: è il primo esempio di computer analogico, utilizzato soprattutto per predire fenomeni astronomici. Risale a più di due millenni fa e non aveva certo la potenza di calcolo di un iPhone. Eppure, difficile dire che non fosse in qualche modo una “intelligenza artificiale”.
Oggi, indichiamo come Intelligenza Artificiale quel “campo della scienza informatica che si occupa della creazione di sistemi capaci di eseguire compiti che normalmente richiederebbero l'intelligenza umana”. Questi compiti includono: riconoscimento vocale e delle immagini, “la comprensione del linguaggio naturale, la risoluzione di problemi complessi e l'apprendimento automatico”. La definizione arriva da ChatGpt, ovvero lo strumento che associamo per convenzione all’idea di “AI” in questi giorni, basato sugli LLM, i “large Language models”, ChatGpt è capace di interagire via chatbot e di creare contenuti. Alle volte sbaglia, altre inventa, proprio come gli umani. Lanciato a fine del 2022, ha di fatto reso le AI un concetto di massa e utilizzabile da tutti per gli scopi più diversi, aprendo la strada a una diffusione sempre più ampia di sistemi di generazione automatizzata di testo, immagine e video.
Le macchine possono pensare? Nel 1950, il matematico Alan Touring torna a una delle questioni in realtà più antiche del pensiero occidentale – ci si era speso secoli addietro anche Cartesio, padre del pensiero moderno e del cogito ergo sum. La novità introdotta da Touring è quella di un criterio oggettivo per determinare quando una macchina è realmente in grado di pensare. Lo racconta il pensatore americano Ray Kurzweil in *The singularity is nearer*, testo recente che fa da seguito ideale a un libro seminale di vent’anni fa dal titolo similissimo. All’epoca l’AI era un tema per pochi, ora è al centro del dibattito. Kurzweil non si è mosso dalle sue posizioni: ha sempre indicato nel 2029 il momento in cui l’intelligenza artificiale raggiungerà quella umana, e nel 2045 il momento in cui le due intelligenze si fonderanno. È la “singolarità”, un’idea tutt’altro che nuova: l’abbiamo vista in una delle saghe di fantascienza più celebri di sempre, Terminator. E il momento in cui Skynet raggiunge la singolarità è… il 29 agosto di quest’anno. Vedremo se James Cameron ci aveva preso. Nell’attesa, abbiamo raccolto il meglio di quanto apparso su *Domus* sul tema dell’AI negli ultimi anni. # 30 anni di Fabrica: come i soldi hanno liberato la creatività dai soldi
Tadao Ando, Oliviero Toscani, Carlos Casas e ovviamente Luciano Benetton sono soltanto alcuni dei nomi coinvolti nell’anti-scuola che abbiamo visitato in occasione del suo anniversario. ==Ah, poteva esserci anche Fidel Castro==. E invece…
Di Alessandro Scarano
FOTO: https://we.tl/t-K3JKvstLGR
1. ~~Quanti fabbricanti~~
2. ~~C’è Fabrica su archivio di Domus?~~
3. Il viaggio in bus
4. I pillari
5. Come I fabricanti vengono scelti
6. ~~Progetto tadao domus?~~
7. Cosa faceva Fabrica (funzionava come agenzia etc)
8. 3. ~~Petri Saarikko e Sasha Huber~~
9. ~~Progetto, “un luogo magico e suggestivo”, mettere le idee al potere, “la formula è semplice e complessa al tempo stesso”, si impara facendo, Toscani: “lavoriamo soltanto facendo le cose che vanno bene a noi”, no compromesso, no legata a logiche del denaro~~
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Un telefono fisso di quelli con i pulsanti e un vecchio cellulare Nokia con la tastiera tipo Blackberry; teste d’aglio lasciate su un tavolo, un uccello che ci si posa sopra. Dei cracker Ritz. Insetti. Come memorie in cui si infiltra l’irrazionale, poi ridipinte a olio e presentate racchiuse in cornici che sembrano uscite da casa dei nonni, recuperate a un mercatino: sono le immagini di “Balcony, Backyard” di Annalise Kamegawa, una “installazione sculturale basata sulla pittura che racconta una famiglia dopo la crisi del 2008 negli Stati Uniti”. “A perfect house” di Alberto Allegretti racconta invece un’altra famiglia, anzi altre famiglie, quelle ricreate nelle immagini dalle intelligenze artificiali generative di massa. In una ideale casa ricreata un po’ alla *Dogville*, con il nastro bianco steso a terra, si succedono finte foto in cui vecchi pregiudizi vengono rimasticati dalle AI, che dispongono i posti a tavola secondo le norme patriarcali e che non riescono a immaginare una persona che lava i piatti che non sia donna, e probabilmente scura di pelle. Poco lontano, all’aperto, “Closed set” di Aindriú Ó'Deasún sovrappone alle immagini di daini, rappresentati con sculture in cui “appaiono immobili, quasi congelati”, un sonoro di frammenti tratti da porno gay. Si passa di qui per arrivare alla coloratissima casa-capanno di Davide Balda, la cui ricerca indaga le possibilità di recupero degli abiti. “Telare la materia” presenta in particolare il technosoil, un suolo per coltivare creato con gli scarti della linea Green B di Benetton. Ma il raggio di possibilità è ben più ampio, e Balda mostra a *Domus* declinazioni come feltro e addirittura un materiale per costruzioni creato sempre a partire dagli scarti tessili.
Arte, musica, cinema e racconti hanno riverberato per le sale e i corridoi e i giardini della creatura architettonica creata da Tadao Ando sul finire degli anni Novanta “per stimolare l’incontro tra persone, storia e natura”: l’occasione, i suoi trent’anni. Quelli di Fabrica, che è un luogo fuori dal normale, un’eccellenza italiana della creatività, un punto di riferimento internazionale e “quella che vuole essere tutto tranne una scuola”, come la definisce Carlos Casas, program director ed ex-fabricante lui stesso – la sua frequentazione risale alla fine del secolo scorso, mentre Kamegawa, Allegretti e Ó'Deasún sono tutti allievi alla fine del loro semestre; Balda invece ha avuto la possibilità di continuare qui la sua ricerca, complice l’affinità elettiva con la moda e la filiera del gruppo Benetton.
Fabrica nasce negli anni 90, sull’onda dell’incredibile successo delle campagne di Toscani per Benetton. Oliviero il creativo convince Luciano l’imprenditore a fare una scommessa all-in, creando da zero qualcosa di unico, un contesto capace di cambiare la traiettoria della vita di centinaia di persone. ~~Carlos Casas racconta che nei suoi trent’anni Fabrica è stata tante cose. Un luogo di apprendimento, di sperimentazione, una residenza per artisti.~~
In una nazione come l’Italia dove si è ossificato il pregiudizio che l’anzianità e l’esperienza siano i valori da privilegiare, e dove nelle aziende a trazioni familiari il cognome è sempre un privilegio, Fabrica è stato quel contesto dove le carte sono state sparigliate, dando a giovani semisconosciuti fiducia e responsabilità.
Casas ricorda quando aveva neanche 24 anni ed era stato coinvolto nel progetto di un ristorante ibrido a Venezia, che avrebbe dovuto aprire nel 2001. Il progetto voleva riempire i tempi vuoti d’uso di un ristorante trasformandolo in un luogo sempre vivo e al tempo stesso suscitare delle riflessioni sul turismo di massa. Una occasione irripetibile per un ragazzo di quell’età, e cosa vuoi fare?, “Ti metti a lavorare come un matto”, sorride lui. Il Colors Restaurant – ristorante, cinema, teatro, museo e anche altro – non è stato mai costruito, ma ben rappresenta l’approccio proprio di Fabrica di “mettere le idee al potere”, come racconta Loredana Mascheroni su *Domus* 815, supportata dalle foto di Ramak Fazel. In quell’articolo di fine anni Novanta si racconta la Fabrica dei primi anni, l’ambizione di “imparare facendo” e quel momento di creatività che la generosità di Benetton permetteva di mettere al riparo dai compromessi che il denaro porta quasi sempre con sé. “Lavoriamo soltanto facendo le cose che vanno bene a noi”, affermava perentorio come solo lui sa essere Oliviero Toscani. Qualche anno prima, Toscani aveva detto che avrebbe voluto Fidel Castro, “Maestro della Rivoluzione”, a dirigere Fabrica.
I “pillari” attorno a cui si è sviluppata Fabrica, come li definisce Casas nel suo italiano-pidgin che restituisce molto dell’aria di continuo melting pot che si respira qui, sono la multidisciplinarità, una di quelle parole magiche dell’istruzione in campo creativo che però qui si è sviluppata in modo naturale, in bilanciamento tra un certo spirito anarchico e quella necessità del dovere restituire che pone un netto confine tra chi fa e chi semplicemente studia; un empowerment personale, attraverso l’esposizione a stimoli e maestri che difficilmente si incontrano altrove e con questa intensità; e un continuo riferimento al sociale e alla società. Un punto cruciale questo, anche perché è stata la chiave di volta delle campagne di Toscani per Benetton. C’è di più: quello che si respira qui dentro è ancora un certo benessere che si fa fatica a non ricollegare proprio agli anni Novanta, un agio economico che altrove è difficile vedere, una generosità nei confronti del talento che oggi ci sembra straordinaria. E sarà l’impressione mia che arrivo da quartieri ultragentrificati e comunque ad alta densità, ma c’è anche tanto spazio qui a Fabrica: l’astronave di Tadao Ando accoglie le generazioni di fabricanti in percorsi talvolta lunghissimi – si cammina tanto qui a Fabrica, ribadirà Casas – e spesso solitari. D’altro canto, tutto questo vuoto, non può che risuonare anche per quel che effettivamente è: ovvero, vuoto. E i giorni in cui si festeggia Fabrica sono anche quelli in cui Benetton ha annunciato la sua più grande debacle finanziaria di sempre, con un gigantesco buco da 100 milioni.
“La mia vita è cominciata quando sono venuta qui”, racconta ==Sasha Huber==, che a Fabrica ha trovato anche il compagno di vita e di lavoro ==Petri Saarikko== e con cui sono tornati per portare il loro workshop sulla memoria orale, parte del più ampio progetto Kinship che ha coinvolto i fabricanti di questo semestre. Ricordano l’assegnazione per un lavoro futuristico sugli store Benetton che doveva connetterli come un social network anni prima che esistesse Facebook, e di quando erano volati a New York per incontrare Massimo Vignelli, che all’epoca ==si occupava dell’identità visuale del marchio==, per discuterne. “Un luogo che crede in te”, come lo definisce Casas. Dando fiducia, anche di sbagliare. “È meraviglioso fare un errore”, si unisce il designer, curatore, artista brasiliano ed ex fabricante Batman Zavarese, che sottolinea l’importanza dell’ “imparare facendo” e rievoca momenti di fuoco e fiamme con Oliviero Toscani, la cui presenza aleggia ancora forte nei corridoi e nelle sale: lo accompagnano memorie di scontri accesissimi e cosmiche turbolenze, insieme a un diffuso sentimento di riconoscenza. Con la sensibilità dell’oggi, quelle modalità sarebbero stigmatizzate. Chi ha affrontato quelle tempeste negli anni del proprio Bildungsroman, tuttavia, sembra averne tratto una lezione per dare una svolta alla propria vita, invece che fare dei video in lacrime su Tiktok come ti aspetteresti da un Gen Z.
Tadao Ando era volato in Veneto per dire di no a Luciano Benetton, o almeno così si dice. Tornò in Giappone con la commissione di progettare Fabrica. C’era questa villa veneta atipica non lontana da Treviso, con il corpo principale piccolo se confrontato alle barchese. Era stata distrutta da un incendio e Ando la ristrutturò trattando con delicatezza le preesistenze e plasmando un’arca spaziale che si adagia nella natura circostante, una scultura di cemento con un respiro zen che pervade le ampie sale come i corridoi e dove il tema dell’ovale è ricorrente, nella biblioteca a spirale come nella spaziosa agorà all’aperto. Un luogo “magico e suggestivo”, lo definiva *Domus* nel ’99.
Oggi questi spazi ospitano, oltre a Fabrica, alcuni reparti di Benetton e la collezione Imago Mundi, un progetto artistico iniziato da Luciano Benetton e basato su piccole immagini quadrate realizzate da artisti di tutto il mondo. Si era mosso qui il gruppo di lavoro di *Colors*, la rivista di Benetton “sul resto del mondo” creata da Toscani con il grafico americano Tibor Kalman e considerata nei suoi anni d’oro tra le migliori pubblicazioni al mondo. Ed era qui Fabrica Cinema, che nel corso della sua esistenza ha prodotto documentari, cortometraggi e lungometraggi, tra cui *No Man’s Land*, premio Oscar nel 2022. Nell’ufficio di Casas, dopo un lungo giro – “A Fabrica si cammina tanto”, commenta con il suo sorriso sornione – sfogliamo le riviste e parliamo del passato, del presente e del futuro. Nata in una congiuntura economica e sociale incredibile, spinta dall’energia degli anni Novanta, Fabrica è un patrimonio culturale di un’Italia che parla con il resto del mondo, al tempo stesso è legata con le sorti economiche di Benetton (e dei Benetton). Un legame a doppio filo: riusciresti mai a immaginare Benetton senza tutto questo? Ma quel che sarà di questo posto è ovviamente una domanda aperta. Con un rammarico. “Mi spiace che tutto questo non sia stato contagioso”, che altre grandi aziende non abbiano creato posti simili, dice Casas. Fabrica resterà l’espressione di un momento unico di un’azienda altrettanto unica. Intanto, un nuovo ciclo sta per cominciare e si aspetta l’ingresso del fabricante numero 800, ==che ha già un nome e cognome==. Buon compleanno, Fabrica.
==devi inserire qualcosa sull’outlook economico di Benetton==
[il progetto ]
[I pillari]