italian
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La vista di questo spettacolo, avuta nel momento più caldo della giornata, mi fece gelare e tremare d'amore. | Tal che mi fece, or quand'egli arde 'l cielo, tutto tremar d'un amoroso gielo. |
e questi Cristiani saranno condannati dall'Etiope, quando saranno divise le due schiere, una eternamente ricca e l'altra misera | e tai Cristian dannerà l’Etiòpe, quando si partiranno i due collegi, l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe |
Sinceramente affermo, meritevole di fiducia, che solo da un tale egli nasce ricompensa. | For d'ogne fraude, dico, degno in fede, che solo di costui nasce mercede. |
Se tu hai creduto che il mio sorriso avesse un altro motivo, trascuralo come non vero, e credi che la causa erano quelle parole che hai detto su di lui | Se cagion altra al mio rider credesti, lasciala per non vera, ed esser credi quelle parole che di lui dicesti |
Quindi si volse a sinistra: ci allontanammo dal muro e ci dirigemmo verso l'orlo esterno del Cerchio, per un sentiero che conduce a una valle da cui fin lassù arrivava un gran puzzo | Appresso mosse a man sinistra il piede: lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo per un sentier ch’a una valle fiede, che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo |
Fu appunto battezzato Domenico | Domenico fu detto |
ora voglio mostrargli quelle anime che si purificano sotto la tua custodia | e ora intendo mostrar quelli spirti che purgan sé sotto la tua balìa |
infatti la mia mente si indirizza solo a questo | ché solo a ciò la mia mente rifiede |
E io a lui: | E io a lui: |
Ma dimmi, se lo sai, dove si trova Piccarda | Ma dimmi, se tu sai, dov’è Piccarda |
Dunque ricominciai: | Però ricominciai: |
Avessi io potuto avvolgere le mani nei suoi capelli così da riscuoterla! | Le man' l'avess' io avolto entro' capegli! |
Lo corpo da cui essa fu strappata giace sulla Terra nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro | Lo corpo ond’ella fu cacciata giace giuso in Cieldauro |
Figlio, hai visto le pene eterne e quelle temporanee | Il temporal foco e l’etterno veduto hai, figlio |
Io ho sulla Terra una nipote, chiamata Alagia, di grande virtù purché la nostra casata non la renda malvagia col suo cattivo esempio | Nepote ho io di là c’ha nome Alagia, buona da sé, pur che la nostra casa non faccia lei per essempro malvagia |
I miei pensieri giungeranno al loro approdo solo quando il lauro non avrà più una foglia verde | Allor saranno i miei pensier a riva che foglia verde non si trovi in lauro. |
Certo non lo è maggiormente quello francese | Certo non la francesca sì d’assai |
Volgi verso di me gli occhi acuti dell'intelletto, e ti sarà chiaro l'errore dei ciechi che pretendono di fare da guida | Drizza ver’ me l’agute luci de lo ‘ntelletto, e fieti manifesto l’error de’ ciechi che si fanno duci |
E facemmo in tempo a salire pochi gradini, quando io e le mie guide ci accorgemmo che il sole era tramontato per il fatto che la mia ombra scomparve | E di pochi scaglion levammo i saggi, che ‘l sol corcar, per l’ombra che si spense, sentimmo dietro e io e li miei saggi |
e poi hai sentito da Piccarda che Costanza si mantenne fedele in cuore alla regola monastica | e poi potesti da Piccarda udire che l’affezion del vel Costanza tenne |
Questa isoletta, nelle sue parti più basse, là dove è battuta dalle onde, è piena di giunchi sul molle fango | Questa isoletta intorno ad imo ad imo, là giù colà dove la batte l’onda, porta di giunchi sovra ‘l molle limo |
mi fece aprire gli occhi e disse: | Li occhi mi sciolse e disse: |
e se io mi fossi voltato a guardarla, quale scusa sarebbe stata degna di un tale errore | e s’io avesse li occhi vòlti ad essa, qual fora stata al fallo degna scusa |
Egli mormorava | El mormorava |
Io fui senese, e purifico la mia vita peccaminosa con questi altri, piangendo verso colui perché si presti a noi | Io fui sanese, e con questi altri rimendo qui la vita ria, lagrimando a colui che sé ne presti |
Le occhiaie sembravano anelli senza gemme: chi nel viso degli uomini legge la parola 'omo', sui loro volti avrebbe potuto distinguere la 'emme' | Parean l’occhiaie anella sanza gemme: chi nel viso de li uomini legge ‘omo’ ben avria quivi conosciuta l’emme |
Non appena mi fui avvicinato, come dovevo, mi disse: | Sì com’io fui, com’io dovea, seco, dissemi: |
l'altro che lo segue è Orazio, autore delle Satire | l’altro è Orazio satiro che vene |
E quelli piegarono il collo | E quei piegaro i colli |
E ho detto questo per farti del male | E detto l’ho perché doler ti debbia |
Questo tuo grido sarà come un vento che colpisce di più le cime più alte | Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote |
io dissi: | diss’io: |
chi mi avrebbe fatto salire su per la montagna | chi m’avria tratto su per la montagna |
Poi un altro disse: | Poi disse un altro: |
Anche se il velo che le scendeva sulla testa, coronato dalle fronde di Minerva, non permetteva di vederla in viso, ancora regalmente altera nel suo atteggiamento continuò, come colui che parla e riserva gli argomenti più efficaci per la fine del discorso | Tutto che ‘l vel che le scendea di testa, cerchiato de le fronde di Minerva, non la lasciasse parer manifesta, regalmente ne l’atto ancor proterva continuò come colui che dice e ‘l più caldo parlar dietro reserva: |
Non appena noi fummo giù nel pozzo oscuro, molto più bassi dei piedi del gigante Anteo, e mentre io ancora osservavo l'alta parete rocciosa, sentii qualcuno che mi diceva: | Come noi fummo giù nel pozzo scuro sotto i piè del gigante assai più bassi, e io mirava ancora a l’alto muro, dicere udi’mi: |
Come quando si brucia un ramoscello verde da una delle estremità, e dall'altra cola la linfa e si sente un cigolio in quanto esce dell'aria, così dal ramo rotto uscivano insieme parole e sangue | Come d’un stizzo verde ch’arso sia da l’un de’capi, che da l’altro geme e cigola per vento che va via, sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue |
Il mio folle desiderio è così traviato a forza di seguire lei che fugge, e che libera e senza il peso d'ogni vincolo d'amore sembra quasi volare in confronto al mio agire lento, che quando provo ad indirizzare l'amore verso una strada più sicura, non mi ascolta: a niente serve forzare lo stato delle cose, o mettergli le briglie, perchè tanto più l'amore, per sua natura, comincia a sfuggire al controllo della mia volontà. | E poi che 'l fren per forza a sé raccoglie, i' mi rimango in signoria di lui, che mal mio grado a morte mi trasporta: sol per venir al lauro onde si coglie acerbo frutto, che le piaghe altrui, gustando, afflige piú che non conforta. |
in punto di morte una luce del cielo ci illuminò la mente, cosicché, pentendoci e perdonando, uscimmo fuori dalla vita in grazia di Dio, il quale ci strugge nel desiderio di vederlo | quivi lume del ciel ne fece accorti, sì che, pentendo e perdonando, fora di vita uscimmo a Dio pacificati, che del disio di sé veder n’accora |
in Purgatorio era il vespro, mentre in Italia era mezzanotte | vespero là, e qui mezza notte era |
Mentre io ero incerto riguardo alla mia vista spenta, dalla luce splendente che l'aveva spenta uscì una voce che attirò la mia attenzione, dicendo: | Mentr’io dubbiava per lo viso spento, de la fulgida fiamma che lo spense uscì un spiro che mi fece attento, dicendo: |
Poiché la virtù compenetrata nell'astro deriva da una natura gioiosa, essa risplende nel corpo stellare come la gioia brilla nella pupilla dell'occhio | Per la natura lieta onde deriva, la virtù mista per lo corpo luce come letizia per pupilla viva |
allora si batte il fianco, ritorna in casa, si lagna qua e là, come il pover'uomo che non sa cosa fare | ond’ei si batte l’anca, ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia |
infatti, mi apparvero lucenti e rosseggianti degli splendori dentro a due raggi, al punto che dissi: | ché con tanto lucore e tanto robbi m’apparvero splendor dentro a due raggi, ch’io dissi: |
Dunque io prego la mente in cui la tua virtù e il tuo moto iniziano, di osservare da dove esce il fumo che oscura il tuo raggio | Per ch’io prego la mente in che s’inizia tuo moto e tua virtute, che rimiri ond’esce il fummo che ’l tuo raggio vizia |
E altri animali, spinti da un istinto dagli effetti deleteri, tendono a dirigersi verso il fuoco attratti dal suo splendore, sperimentando del fuoco non la luce ma il troppo calore, venendone arsi: misero me, appartengo alla schiera di quest'ultimi animali! | Ed altri, col desio folle che spera gioir forse nel foco, perché splende, provan l'altra vertú, quella che 'ncende: lasso, e 'l mio loco è 'n questa ultima schera! |
Per questo la vista sensibile degli esseri umani penetra nella giustizia divina come l'occhio nel mare | Però ne la giustizia sempiterna la vista che riceve il vostro mondo, com’occhio per lo mare, entro s’interna |
Se io dissi il falso, tu falsificasti il conio | S’io dissi falso, e tu falsasti il conio |
e se vuoi di ciò testimonianza sicura, pensa alla nostra indole avara | e se di ciò vuoi fede o testimonio, rècati a mente il nostro avaro seno |
I cieli li cacciano per non perdere la loro bellezza, né l'Inferno li accoglie nelle sue profondità, poiché i dannati potrebbero ricevere alcuna gloria dalla loro presenza | Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli |
Democrito, che dice che il mondo è governato dal caso, Diogene, Anassagora e Talete, Empedocle, Eraclito e Zenone | Democrito, che ’l mondo a caso pone, Diogenés, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone |
gli risposi: | rispuos’io lui: |
Rispose lui: | Diss’elli: |
Quando a Dio, che l'aveva destinato a un tale bene, piacque di chiamarlo in Paradiso alla ricompensa che egli aveva meritato nel farsi umile, raccomandò ai suoi confratelli, come a legittimi eredi, la sua donna più cara e comandò loro che l'amassero restandole fedeli | Quando a colui ch’a tanto ben sortillo piacque di trarlo suso a la mercede ch’el meritò nel suo farsi pusillo, a’ frati suoi, sì com’a giuste rede, raccomandò la donna sua più cara, e comandò che l’amassero a fede |
Capii all'istante e fui certo che questa era la schiera dei vili che spiacevano tanto a Dio quanto ai suoi nemici | Incontanente intesi e certo fui che questa era la setta d’i cattivi, a Dio spiacenti e a’ nemici sui |
e a Faenza un Bernardino di Fosco, nobile rampollo di umili origini | quando in Faenza un Bernardin di Fosco, verga gentil di picciola gramigna |
Ma comunque ella muova e indirizzi i suoi occhi, mai accade che vengano indirizzati in modo tale che sia primavera per me. | Ma, come ch'ella gli governi o volga, primavera per me pur non è mai. |
Ed ecco poco a poco avanzare verso di noi un fumo, oscuro come la notte | Ed ecco a poco a poco un fummo farsi verso di noi come la notte oscuro |
O prediletta del primo amante, o donna divina, le cui parole mi inondano e scaldano al punto che mi ravvivano sempre di più | O amanza del primo amante, o diva, il cui parlar m’inonda e scalda sì, che più e più m’avviva |
Perciò in questi Cieli, in Purgatorio e nella dolorosa valle dell'Inferno ti sono mostrate solo le anime che sono molto famose, poiché l'animo di colui che ascolta non dà retta e non presta fede a un esempio che abbia la sua radice nascosta e sconosciuta, né a un altro argomento che non sia di tutta evidenza | Però ti son mostrate in queste rote, nel monte e ne la valle dolorosa pur l’anime che son di fama note, che l’animo di quel ch’ode, non posa né ferma fede per essempro ch’aia la sua radice incognita e ascosa, né per altro argomento che non paia |
Ma, se mi sarà consentito di portare a termine queste mie povere rime prima di morire, non spiaccia ad amore, il mio signore, che io lo preghi affinché possa un giorno dire liberamente in un luogo lieto: | Ma s' egli aven ch' ancor non mi si nieghi finir anzi 'l mio fine queste voci meschine, non gravi al mio signor perch'io il ripreghi di dir libero un dí tra l'erba e i fiori: |
Allora il monetiere: | Allora il monetier: |
La sua luminosità è conseguenza dell'ardore di carità | La sua chiarezza séguita l’ardore |
Vergine, laura è sottoterra, ma mentre viveva ha posto il mio cuore nel dolore, e lo teneva nel pianto, non conosceva uno solo dei miei mali. | Vergine, tale è terra, e posto à in doglia lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne, e de mille miei mali un non sapea. |
Ed egli mi rispose: | Ed elli a me: |
Quante volte dissi, preso da grande stupore: | Quante volte diss' io allor pien di spavento: |
per cui la sabbia si accendeva, proprio come l'esca con l'acciarino, per accrescere il dolore | onde la rena s’accendea, com’esca sotto focile, a doppiar lo dolore |
Scoprii, per quanto mi fu concesso dal cielo e per quanto l'applicazione e amore mi consentirono di innalzarmi al di sopra di me stesso, cose mai viste e piene di grazia, sebbene mortali, che le stelle dispensarono a un'unica persona, colei che amai. | Conobbi, quanto il ciel li occhi m' aperse, quanto studio ed amor m' alzaron l' ali, cose nove e leggiadre, ma mortali che 'n un soggetto ogni stella cosperse. |
ti farò da guida fin dove posso spingermi | per quanto ir posso, a guida mi t’accosto |
Vergine, rivolgi i tuoi bei occhi, che videro le profonde ferite nel corpo del tuo caro figlio, a me e al mio incerto stato, il quale indeciso viene da te per consiglio. | Vergine, que' belli occhi che vider tristi la spietata stampa ne' dolci membri del tuo caro figlio, volgi al mio dubio stato che sconsigliato a te ven per consiglio. |
Tu credi che nel petto di Adamo, da dove fu presa la costola per creare la bella guancia, e nel petto di Cristo che, forato dalla lancia, redense tutti gli uomini vissuti prima e dopo dallo stesso peccato originale, fosse infusa tutta la sapienza che è lecita alla natura umana, da Dio stesso che creò l'uno e l'altro | Tu credi che nel petto onde la costa si trasse per formar la bella guancia il cui palato a tutto ‘l mondo costa, e in quel che, forato da la lancia, e prima e poscia tanto sodisfece, che d’ogne colpa vince la bilancia, quantunque a la natura umana lece aver di lume, tutto fosse infuso da quel valor che l’uno e l’altro fece |
come un pittore che dipinge con un modello, descriverei come io mi addormentai | come pintor che con essempro pinga, disegnerei com’io m’addormentai |
e disprezzò Dio, e sembra che lo faccia ancora, e pare che non consideri il suo potere | ed ebbe e par ch’elli abbia Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi |
lo aiuterò a compiere il suo cammino" | sì l’agevolerò per la sua via" |
Questa palude che emana il gran puzzo cinge tutt'intorno la città di Dite, dove ormai non potremo entrare senza forzare la volontà dei demoni | Questa palude che ’l gran puzzo spira cigne dintorno la città dolente, u’ non potemo intrare omai sanz’ira |
E non si traformasse in una verde pianta per sottrarsi al mio abbraccio, come il giorno che lei fu seguita sulla terra da apollo. | E non se transformasse in verde selva per uscirmi di braccia, come il giorno ch'apollo la seguia qua giú per terra. |
La luce di Dio penetra in me, attraverso questa luce dentro alla quale io sono avvolto, e la cui virtù, unita alla mia visione intellettuale, mi innalza a tal punto sopra di me che io vedo la suprema essenza da cui proviene | Luce divina sopra me s’appunta, penetrando per questa in ch’io m’inventro, la cui virtù, col mio veder congiunta, mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio la somma essenza de la quale è munta |
Minerva soffia i venti, e Apollo regge il timone, e le nove Muse mi indicano la giusta rotta | Minerva spira, e conducemi Appollo, e nove Muse mi dimostran l’Orse |
ma lui gridò: | ma el gridò: |
E io: | E io: |
cominciò a dire sulla orribile soglia, | cominciò elli in su l’orribil soglia, |
seguimi lungo gli argini del fiume, poiché non sono bruciati dalla pioggia infuocata e ogni vapore igneo si spegne sopra di loro | fa che di retro a me vegne: li margini fan via, che non son arsi, e sopra loro ogne vapor si spegne |
Questo triste ruscello va nella palude chiamata Stige, una volta che è sceso ai piedi di quel tetro pendio infernale | In la palude va c’ha nome Stige questo tristo ruscel, quand’è disceso al piè de le maligne piagge grige |
La volontà assoluta non acconsente al danno | Voglia assoluta non consente al danno |
Se la mia capacità di vedere è offuscata dalla mia finitezza umana, dal mio corpo, infatti, che colpa ne hanno le stelle o laura? | Se mortal velo il mio veder appanna, che colpa è de le stelle o de le cose belle? |
Ma non passeranno cinquanta fasi lunari che anche tu saprai quant'è dolorosa quell'arte | Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell’arte pesa |
e le tue parole che prima ho citato si adattavano ai nuovi predicanti | e la parola tua sopra toccata si consonava a’ nuovi predicanti |
L'intelligenza angelica, che imprime il suggello alla cera mortale, opera la sua arte ma non distingue una famiglia dall'altra | La circular natura, ch’è suggello a la cera mortal, fa ben sua arte, ma non distingue l’un da l’altro ostello |
Io voglio che vi sia chiaro che sono pronto a ciò che la fortuna mi riserva, purché non mi rimorda la coscienza | Tanto vogl’io che vi sia manifesto, pur che mia coscienza non mi garra, che a la Fortuna, come vuol, son presto |
E lui a me: | Ed elli a me: |
Ora è necessario che il nostro cammino devii un poco fino a quella bestia malvagia, coricata laggiù | Or convien che si torca la nostra via un poco insino a quella bestia malvagia che colà si corca |
La natura degli angeli cresce di numero da un ordine all'altro, al punto che nessun discorso o intelletto umano può concepirlo | Questa natura sì oltre s’ingrada in numero, che mai non fu loquela né concetto mortal che tanto vada |
Mille desideri, più caldi della fiamma, strinsero i miei occhi agli occhi splendenti di Beatrice, che erano fissi sul grifone | Mille disiri più che fiamma caldi strinsermi li occhi a li occhi rilucenti, che pur sopra ‘l grifone stavan saldi |
Come un falcone, quando si libera dal cappuccio, muove la testa e sbatte le ali, manifestando il desiderio di volare e facendosi bello, così io vidi fare quell'aquila che era formato dalle lodi della grazia divina, cantando in modo che solo chi è lassù può capire | Quasi falcone ch’esce del cappello, move la testa e con l’ali si plaude, voglia mostrando e faccendosi bello, vid’io farsi quel segno, che di laude de la divina grazia era contesto, con canti quai si sa chi là sù gaude |
ma adesso mi stupisco di come io possa salire oltre questi corpi leggeri | ma ora ammiro com’io trascenda questi corpi levi |
Ma ditemi: che cosa sono i segni oscuri di questa stella, che laggiù in Terra inducono alcuni a favoleggiare di Caino | Ma ditemi: che son li segni bui di questo corpo, che là giuso in terra fan di Cain favoleggiare altrui |
Sotto l'ombra di un pino alto o di un colle, a volte fermo i miei passi, e subito sulla prima pietra che mi capita sotto gli occhi raffiguro idealmente il suo bel viso. | Ove porge ombra un pino alto od un colle, talor m' arresto, e pur nel primo sasso disegno co la mente il suo bel viso. |
Nell'Italia del nord sorge un lago ai piedi delle Alpi che dividono dalla Germania presso il Tirolo, chiamato Benaco | Suso in Italia bella giace un laco, a piè de l’Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, c’ha nome Benaco |
ma dopo che ebbero lasciato lo stupore, che nei cuori nobili si attenua in fretta, quell'anima che prima mi aveva rivolto la sua domanda ricominciò: | ma poi che furon di stupore scarche, lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta, ricominciò colei che pria m’inchiese: |
Così, parlando di altre cose che la mia Commedia non si cura di riferire, giungemmo all'altro ponte | Così di ponte in ponte, altro parlando che la mia comedìa cantar non cura, venimmo |